OSSERVARE LE METEORE Dispensa per il corso di radioastronomia organizzato dal Circolo Astrofili di Milano in collaborazione con Italian Amateur Radio Astronomy Group Mario Sandri Tutto il materiale della seguente dispensa è protetto da copyright ed è dunque vietata la pubblicazione e la riproduzione senza l’assenso dei rispettivi autori. Mario Sandri [email protected] http://www.mariosandri.it MSN: [email protected] Skype: mario_sandri Mario San ndri, mario.sandri@gm mail.com, htttp://www.m mariosandrii.it Gli sciam s mi me eteorrici T, SdR RadiooAstronomiaa UAI, Sociietà Italianaa di Fisica, IIMO IARA Grouup, GRRAT, ________________________________________________ Abstract c Vengono eviddenziate le diiverse tipologiie di oggetti che comunementte vengono raaggruppate sootto il nome di corpi interpllanetari. In particolare, viene sottolineaato il ruolo che i corpi interrplanetari hannno avuto neella storia, prima del Sistem ma Solare e poi del nostro t pianeta, eviddenziando sopprattutto la quantità di tali oggetti che colpisce la Terra T in perioodi più o meeno lunghi. Ognii tipologia di questi corpi necessita di un differente meetodo di indaggine. Infine, quuesti oggetti non n hanno tutti una medesim ma origine, che c può esseere a o interstellaree, e una stesssa cometaria, asteroidale evoluzione. ________________________________________________ meno ha inteeressato anch he la Terra,, Questo fenom oprattutto aglii albori del S Sistema Solarre, quando ill so nu umero di oggetti interplaneetari in movim mento caoticoo atttorno al Soole era notevvolmente maaggiore e all co ontempo il noostro pianeta nnon vi opponeeva ancora unn effficiente scudo protettivo iin quanto l’aatmosfera nonn av veva ancora raggiunto uuna completa formazione.. Oggi, al contraario, oltre al fatto che le probabilità p dii mpatti cosmicci sono drassticamente riidotte per laa im diiminuzione di d corpi vagaanti, la Terraa oppone unn effficientissima difesa doovuta alla presenza dii un n’atmosfera completament c te sviluppata.. Le cicatricii do ovute agli im mpatti passati sono state mascherate m nell tempo dai proccessi erosivi e tettonici, an nche se alcunii crrateri da impatto di granddi dimensioni sono tuttoraa ossservabili sullaa superficie deel nostro pian neta. t i più splendidi e rari fennomeni del cieelo, Sono questi tra fra i più capaaci di fissare la l pubblica atttenzione. […]] le stelle cadenti sono un fenoomeno di natuura astronomica, mosferiche, come e non apparrtengono alle meteore atm per lungo tem mpo si è credduto […] il rittorno delle steelle cadenti è di una u regolaritàà astronomicaa […] e le goccce di questa piooggia celeste cadono c sulla Terra T tutte neella medesima diirezione, e seccondo linee parallele p […]] le comete e le correnti c meteooriche sono frra loro associaate […] le stelle cadenti sono corpi solidi. p Giovanni Virrginio Schiappparelli (1835 – 1910), Le più belle pagine di astronnomia popolaare, CisalpinnoM 1976 Goliardica, Milano, I corpi interrplanetari Fino alla priima metà deggli anni '60, gli scienziati non n avevano a diisposizione molti m dati per poter p far luce sul ruolo del fennomeno impatttivo nell'evoluuzione dei coorpi del Sistema Solare, S finchéé le missioni innterplanetariee di questi ultimii 40 anni nonn hanno messoo in evidenzaa la fitta craterizzzazione di tuutti i corpi (piianeti, satellitti e asteroidi) chhe presentano una superficiie solida. Se per p spiegare la craterizzazion c ne dei corpi maggiori, m infaatti, accanto a quuesta soluzionee, si potrebbe anche suggerrire l'ipotesi endoogena, non si può p fare altretttanto per i coorpi di dimensionni più modesste, assolutam mente inadeguuati sia ad innesccare che a manntenere attivo tale processoo. Il meccanismo degli impattti riveste quinndi un ruolo di ma fondamentalee importanza nell'evoluzioone del Sistem Solare, non solo come moomento distruuttivo, ma ancche b elemeento costruttiivo come indisppensabile e basilare nella edificaazione e nellaa strutturazionne definitiva di tutti i corpi che c ne fanno parte, p così da risultare uno dei d processi essenziali del modellamento m delle superffici planetarie. Fiigura 1 - Localizzazione dei siti di impatto sulla superficie e terrrestre noti fino al 1987. no impatti dii Il fatto che atttualmente noon si osservin mponenti dimeensioni, non ssignifica che laa Terra sia unn im sistema isolato e del tutto im mmune all’inteerazione con ill mezzo m interplannetario ma annzi, durante il proprio motoo dii rivoluzionee intorno aal Sole, è bombardataa co ontinuamente da oggetti per lo piiù frenati o diisintegrati daggli strati atm mosferici. È interessante i a qu uesto propositto evidenziaree che ogni ann no l’atmosferaa steessa viene a contatto conn centinaia di d migliaia dii to onnellate di oggetti innterplanetari di modestee diimensioni: i meteoroidi. m Seecondo la deffinizione propposta nel 1961 1 dall’IAUNC C (In nternational Astronomicaal Union Nomenclature N e Co ommittee), unn meteoroide è un corpo so olido in motoo neel sistema inteerplanetario ddi dimensioni più p piccole dii un n asteroide ma m considerevvolmente maaggiore di unn attomo, la cui massa può essere com mpresa tra unn microgrammo m e parecchie m migliaia di ton nnellate [1]. I meteoroidi, m enntrando nella nostra atmo osfera, dannoo orrigine al fenoomeno delle m meteore. Il nome n meteoraa do ovrebbe indiccare soltanto iil complesso dei fenomenii lu uminosi e di ionizzazione a cui un meteoroide m dàà luogo nella parte superioore dello straato atmosferico. L’uso attualee ne estende il significato anche al corrpo stesso, purcché esso veenga totalmeente consumaato durante il passsaggio nell’aatmosfera. Si chiamano c inveece meteoriti, i meteoroidi più p grossi chhe, pur essenndo r dall’atttrito atmosferrico, riesconoo a fortemente ridotti raggiungere la superficie terrestre t per effetto e delle looro mensioni. All’altro estremo della scala deelle maggiori dim masse si trovano le micrometeooriti, particeelle estremamentte piccole (generalmente con dimensiooni del millesim mo del millim metro) che perdono p la looro energia sennza consumaarsi nell’atmoosfera cadenndo lentamente per p gravità suulla Terra [2].. La definizioone appena vistta include anche a i bollidi, cioè quuei meteoroidi più p grossi, e quindi più luminosi, che si frammentanoo in modo catastrofico c e poi esplodoono dissipando la loro ennergia nell’aatmosfera, con c produzione tra t l’altro di effetti acusticci percepibili da osservatori e da strumenti sismici posti in vicinanza del d punto di espllosione. uest’ultimo inntervallo rapprresentano la maggior m partee qu dii tutta la massaa proveniente dallo spazio che c cade sullaa Teerra con l’ecccezione, com me già detto o, dei grossii im mpattori che coostituiscono uun fenomeno sporadico. s Il grafico in figura mostrra la variazione in scalaa biilogaritmica del d numero cumulativo N dei corpii in nterplanetari di d massa uguuale o maggio ore di m chee en ntrano in un anno a nell’atm mosfera, rispettto alla massaa m. Fiigura 3 - Loga aritmo del num mero cumulativo o N, di corpi intterplanetari di massa m uguale o maggiore di m che entrano in un n anno nell’atmo osfera, rispetto a al logaritmo dellla massa m. Figura 2 - Rap ppresentazione della caduta di un meteoroide. Flussi di meeteoroidi e meetodi osservattivi Per essere inn grado di vaalutare i rischhi di impatto di oggetti cosm mici sulla Teerra o con evventuali struttuure orbitanti, quuali i satelliiti artificiali o la Stazioone Spaziale Intternazionale, negli ultimii decenni si è ritenuto oppoortuno studiarre più in dettaglio la natura ed il flusso dei meteoroidi. m Se si consideraano le masse che c vanno da 100-21 kg a 1015 kg, il flussso della mateeria interplanetaria che arriva mediamente ogni anno suulla Terra è valuttato attorno a 2.2 ⋅108 kg [1], di cui soloo il 30% è costittuito dai meteeoroidi di masssa compresa tra 10-9 kg e 1007 kg. Sui tem mpi lunghi i due d intervalli di massa che daanno il maggior contributoo al flusso tottale annuo di maateria interplaanetaria sulla Terra sono tra 1012 kg e 10015 kg (rappressentato per loo più da corpii di tipo rocciosoo o carbonaceoo) e fra 104 kgg e 107 kg (perr lo più piccole comete c inattivve). Si tratta inn questo casoo di corpi cosmicci di dimensiooni comunquee dell’ordine del d chilometro nel n primo casoo e maggiori di d qualche meetro nel secondoo. Sui tempi brevi, c’è un terzo piccco significativo nella scala delle d masse coompresa tra 10 1 -9 -4 a kg e 10 kg che corrisponnde alla polverre cosmica e alle a I meeteoroidi a appartenenti micrometeorriti. Esssa evidenziaa come l’andaamento della distribuzionee massa-numero m di corpi interrplanetari non n possa esseree esspressa da unna semplice legge di po otenza poichéé prresenta tre inteervalli di massa con marcatte fluttuazionii risspetto all’anddamento meddio di questa distribuzionee [3 3]. La prima reegione corrispponde alla situ uazione in cuii la dispersione delle particeelle sotto l’in nfluenza dellaa prressione di radiazione r soolare predom mina sul loroo in ncremento per effetto dellla collisione di corpi dii maggiori m dimeensioni. La seconda regione, invece,, co orrisponde alll’intervallo ddi massa occcupato daglii scciami meteorici, che hannoo origine per lo più da unn nu umero limitatoo di comete e asteroidi. In nfine, la terzaa reegione corrispponde alla m maggioranza di corpi dii prrobabile origiine cometariaa (piccole com mete inattive)) co ome è stato suuggerito da K Kresak (1978) e Rabinowitzz (1993). Co onsiderato l’ampio spettrro delle massse dei corpii in nterplanetari, il fenomeno meteorico è monitorato e stu udiato attraveerso differentii metodi osserrvativi, le cuii an nalisi possonoo essere poi messe in corrrelazione fraa lo oro. Partendo dalle massee più piccolee, le tecnichee uttilizzate ogggi si basanno sull’osseervazione dii microcrateri m lunnari, su rilevattori posti su sonde spaziali,, su u tecniche radar r e fotoografiche, su ull’analisi dii seedimenti marinni e nei ghiaccci polari e su u osservazionii dii asteroidi coon i telescopi o con sistem mi fotograficii av vanzati. Tabella 1 - Spettro della materia interplanetaria nei vari intervalli di massa con i relativi metodi di osservazione e gli autori che li hanno utilizzati. Intervallo Metodo Autore Microcrateri Grun et al. (1985) di massa (kg) 10 -21 – 10 -9 lunari 10 -16 – 6x10 -10 Sonde spaziali Grun e Zook (1980) -6 Meteore radar Cevolani et al. (1995) Meteore Ceplecha (1988) -9 3x10 – 3x10 -6 10 – 10 4 fotografiche e TV (fireballs e bolidi) 5 8x10 – 10 15 Asteroidi Rabinowitz (1993) Spacewatch SEAs (Small Earth Approachers) 12 10 – 10 15 Asteroidi fotografici ECA Shoemaker et al. (1990) (Earth-Crossing Asteroids) La scala delle masse presenta alcune discontinuità soprattutto ai limiti tra le misure effettuate con sonde spaziali e quelle con tecniche radar, nonché in corrispondenza della soglia tra le meteore fotografiche più luminose (fireballs e bolidi) e gli asteroidi recentemente osservati con il telescopio Spacewatch. Queste lacune, derivanti da strumenti e tecniche ancora non sufficientemente adeguati, impediscono di estendere l’osservazione a tutto l’intervallo delle masse dei corpi minori del Sistema Solare. Origine ed evoluzione degli sciami Il complesso interplanetario dei meteoroidi ha origine dai processi di disgregazione di altri corpi più grossi del Sistema Solare ed è costituito da due componenti fondamentali: le meteore di sciame e quelle sporadiche. Le meteore di sciame sembrano provenire dalla stessa regione di cielo, definita comunemente radiante, mentre quelle sporadiche non hanno un radiante definito, ma si distribuiscono casualmente sulla volta celeste. In generale le particelle che investono la Terra possono avere origine cometaria, asteroidale o interstellare. Le prime due sorgenti sono interne al Sistema Solare, con una probabilità notevolmente maggiore che il corpo progenitore del meteoroide sia di tipo cometario piuttosto che asteroidale, la terza invece è esterna. Altre sorgenti possono derivare da getti di materia espulsa dalle superfici di pianeti e satelliti per effetto di collisioni di asteroidi con essi: in questo caso, l’esplosione al suolo può scagliare nello spazio circostante materiale con sufficiente forza da vincere l’attrazione gravitazionale del pianeta o del satellite. I nuclei delle comete sono assimilabili a palle di neve sporca [4], in quanto costituiti da un conglomerato di ghiacci, principalmente acqua, ammoniaca, metano e diossido di carbonio, combinato con materiale solido carbonaceo o siliceo, vale a dire frammenti di roccia e polveri. Nel momento in cui la cometa, durante il suo moto orbitale, giunge nei pressi del Sole, normalmente a distanze inferiori a 3-4 UA, i ghiacci cometari, riscaldati dalla radiazione solare, sublimano e il materiale si trasforma direttamente dallo stato solido allo stato gassoso, liberando polveri e frammenti di roccia in essi imprigionati e formando la caratteristica chioma che avvolge il corpo cosmico. Tale materiale lascia la superficie sotto forma di getti, con una velocità di espulsione piuttosto bassa, 5 – 10 m/s, che rappresenta solo una piccola frazione della velocità orbitale della cometa, disponendosi su orbite simili a quelle del corpo progenitore. La cometa, passaggio dopo passaggio al perielio, rilascia nuovo materiale alimentando periodicamente la propria orbita di particelle, fino a quando non ha esaurito i ghiacci e i composti volatili del nucleo o cambiato la sua traiettoria a causa di perturbazioni gravitazionali. Se l’ellisse che descrive l’orbita della Terra interseca la conica costituita dalle polveri rilasciate dalla cometa, si creano le condizioni per la formazione di un nuovo sciame meteorico. Tabella 2 - Sciami meteorici di origine cometaria. Sciame Massimo di meteorico attività Cometa progenitrice Quadrantidi 3 gennaio Machholz Lyridi 22 aprile Thatcher Eta Acquaridi 5 maggio Halley Beta Tauridi 30 giugno Encke Delta Acquaridi 29 luglio Machholz Alpha 2 agosto 1948 XII Capricornidi Perseidi 12 agosto Swift-Tuttle Draconidi 9 ottobre Giacobini-Zinner Orionidi 22 ottobre Halley Tauridi 3 novembre Encke Leonidi 17 novembre Temple-Tuttle Andromedi 29 novembre Biela Ursidi 23 dicembre Tuttle Un’altra possibile sorgente di meteoroidi sono gli asteroidi NEA (Near Earth Asteroids), che probabilmente non sono altro che i resti di collisioni tra asteroidi della Fascia Principale, quella tra Marte e Giove, oppure i resti di comete estinte [5]. Questi appartengono a tre distinte famiglie, Aten, Apollo e Amor, e si trovano su delle orbite che li portano ad intersecare o ad avvicinare quella terrestre. La produzione di meteoroidi da parte di questi asteroidi è accidentale, cioè è dovuta a fenomeni di collisione tra gli stessi con conseguente formazione di detriti e polveri che, quando entrano a contatto con l’atmosfera terrestre, producono il ben noto fenomeno meteorico. Tabella 1.3 - Sciami meteorici di origine asteroidale. Sciame Massimo di Asteroide meteorico attività progenitore Fi Bootidi 1 maggio 1620 Gographos, 1978 CA Arietidi 2 giugno 1566 Icarus Tau Erculidi 3 giugno 1087 SJ3 Bootidi 27 giugno 1987 PA Sigma 12 luglio 2101 Adonis 13 agosto 1221 Amor, 3288 Capricornidi Camelopardidi Seleucus Kappa Acquaridi 20 settembre 4179 Toutatis Chi Orionidi 1 dicembre 2201 Oljato Geminidi 13 dicembre 3200 Phaeton Recentemente, sono state misurate velocità eliocentriche di meteoroidi superiori a quella di fuga del Sistema Solare nei dintorni della Terra (fino a 200 km/s). È molto probabile che un oggetto celeste con tali caratteristiche non appartenga al Sistema Solare e quindi si è ipotizzato che provenga da regioni esterne e che segua delle traiettorie spiccatamente iperboliche. Tale flusso non proviene uniformemente da tutte le direzioni, ma sembra presentare due picchi, dovuti al moto dell’intero Sistema Solare attorno al centro galattico e a quello verso le stelle vicine [6]. Bibliografia [1] Huges D.W.: in Meteoroids and their Parent Bodies, edito da J. Stohl e I.P. Williams, p. 15, (1993) [2] Whipple F.L.: A comet model. The acceleration of comet Encke, Astrophysical Journal, 111, p. 375-392, (1950) [3] Ceplecha Z.: Influx of interplanetary bodies onto Earth, Astronomy and Astrophysics, 263, p. 361-366, (1992) [4] Whipple F.L.: The cometary nucleus: current concepts, Astronomy and Astrophysics, 187, p. 852858, (1987) [5] Drummond J.D.: Earth-Orbit-Approaching Comets and their Theoretical Meteor Radiants, Icarus, 47, p. 500-517, (1981) [6] Taylor A.D., Baggaley W.J., Steel D.I.: Discovery of interstellar dust entering the earth’s atmosphere, Nature, 380, p. 323-325, (1996) Mario Sandri, [email protected], http://www.mariosandri.it Gli sciami cometari IARA Group, GRRAT, SdR RadioAstronomia UAI, Società Italiana di Fisica, IMO ____________________________________________ Abstract Viene presentata una panoramica generale sugli sciami meteorici di origine cometaria. In primo luogo viene visto il meccanismo di nascita dei corpi progenitori, le comete appunto. Successivamente vi è l’analisi del fenomeno dell’eiezione dei meteoroidi da questi oggetti e la loro evoluzione come corpi indipendenti del Sistema Solare. Il fenomeno dell’espulsione è molto importante e, in base alle forze in gioco sul meteoroide, determina l’orbita iniziale di tali oggetti. Quando la Terra nel suo moto di rivoluzione interseca queste orbite si parla di sciame meteorico. ____________________________________________ 662 A.E. Alla fine del mese di Ramadan [26 luglio, n.d.r.] una cometa (kawkab) con la coda apparve sopra l'orizzonte ad ovest nei pressi della casa lunare al-Han 'a. La cometa continuò a sorgere tutti i giorni prima dell'alba dietro la stella conosciuta come "la stella del mattino" [Venere, n.d.r.]. Avanzava di poco ogni giorno finché fu vista sorgere prima della "stella del mattino". La sua coda era molto brillante. Essa mantenne la sua posizione relativa alla casa lunare alHan'a, essendone discosta di circa 150 verso est. Sorse sempre regolarmente con al-Han 'a e si muoveva con essa. Poi cominciò ad avvicinarsi alla casa lunare. Restò visibile fino ai primi giorni del mese di Dhu al Qùda [dal 25 agosto in poi, n.d.r.], svanendo infine nel chiarore del mattino. Abu Shama, cronachista di Damasco, cometa che apparve nel 1264 Gli sciami cometari Nel capitolo precedente è stato descritto in breve il processo che porta alla formazione di uno sciame di origine cometaria. Tuttavia, dato che nella seguente esposizione verranno studiati tre sciami che presentano tale origine, è opportuno investigare in maniera maggiormente dettagliata i processi coinvolti nella formazione di questo tipo di fenomeno. Verranno descritti, perciò, la nascita e l’evoluzione delle comete e, successivamente, i processi alla base della formazione di un meteoroide e la sua esistenza come un corpo indipendente del Sistema Solare [1][2][3]. I principali processi coinvolti sono: 1. l’espulsione del meteoroide dal nucleo cometario; 2. il cambiamento nell’orbita osculatrice del meteoroide espulso rispetto quella del corpo progenitore; 3. l’evoluzione del meteoroide sotto l’azione di forze gravitazionali e di radiazione dopo il suo rilascio dalla cometa. Origine delle comete L’origine dei meteoroidi come corpi solidi inizia nell’atmosfera esterna di grandi stelle che si stanno raffreddando (Giganti Rosse), quando il materiale silicatico condensa a formare granuli [4]. Questi granelli formano il seme delle particelle di polvere interstellare che popolano il piano della nostra galassia. In seguito, la condensazione, nel mezzo interstellare, di gas volatili con un nucleo silicatico produce piccoli granuli dotati di una matrice organico-refrattaria, la quale si presenta come uno strato esterno ghiacciato. A causa dell’instabilità gravitazionale presente in molte parti di questo ammasso di polvere, stelle e pianeti possono crescere nel tempo. Molte regioni di formazione stellare sono molto popolate da gas e polvere provenienti dal decadimento precedente di altre stelle. La formazione del nostro Sistema Solare a partire da una dalla nebulosa primordiale si verificò 5 miliardi di anni fa e consistette in una condensazione centrale, il futuro Sole, e in un disco di materiale solido di diverse dimensioni generato dalla polvere interstellare e dal gas [5]. Fuori da questo disco di planetesimi, i pianeti si formarono come piccoli agglomerati di materia coagulata attraverso il processo di accrescimento gravitazionale. Tuttavia, non tutti i planetesimi furono utilizzati per la formazione di pianeti. Un ampio numero, circa 1015, di oggetti di materiale non processato, composto essenzialmente da gas interstellare congelato e polveri, di dimensioni chilometriche o superiori, formò corpi separati e indipendenti, nelle regioni periferiche del Sistema Solare. Questi corpi erano inizialmente confinati sul piano del Sistema Solare, il piano dell’eclittica. Attraverso successive interazioni con pianeti e stelle sfuggirono dalla loro originaria posizione e molti di questi oggetti furono isotropicamente eiettati nelle parti interne del Sistema Solare, per esempio entro l’orbita di Saturno. Altri oltre Nettuno continuarono a orbitare nel piano dell’eclittica in un disco esteso fino a migliaia di unità astronomiche (UA) dal Sole. Molti si dispersero nello spazio interstellare, ma una grande parte di questi rimase debolmente legata al Sistema Solare in una nube sferica molto distante, di raggio inferiore a 100000 UA. Molti di questi corpi ghiacciati sono legati al Sole dalla loro formazione e sono ancora presenti nella cosiddetta Nube di Oort. Quelli che fanno parte di tale nube sono composti principalmente di acqua ghiacciata, insieme a una piccola frazione di ghiacci volatili, come CO e CH4, e polvere, la stessa polvere interstellare che diede origine a tutto il processo. Mai riscaldati oltre i 100 K sopra lo zero assoluto dal tempo dalla loro formazione, questi oggetti sono rimasti praticamente inalterati per gli ultimi 4.5 miliardi di anni. Quando le perturbazioni indotte da stelle vicine o da maree galattiche alterano l’orbita di questi corpi ghiacciati, molti di essi possono muoversi all’interno di orbite più piccole che li portano a sentire le perturbazioni gravitazionali dei pianeti maggiori o ad avere un incontro ravvicinato con i pianeti terrestri. Una volta che ciò succede, molti di tali oggetti vengono espulsi per sempre dal Sistema Solare, ma una parte di essi viene catturata su orbite più strette attraverso ripetute e complesse interazioni coi pianeti. dettagli del rilascio dei meteoroidi dalla cometa sono stati affinati [7][8], dall’altro, invece, la rappresentazione fisica di base è rimasta intatta. Quando un nucleo si avvicina al Sole, la massa persa per unità di tempo Г è data da: Γ= π Rc2 S nr 2 H dove Rc è il raggio della cometa, S la costante solare, r la distanza eliocentrica del nucleo, H è il calore medio di sublimazione per il ghiaccio e 1/n è la frazione di energia solare in arrivo usata per la sublimazione. A una distanza l dalla superficie del nucleo la pressione su un grano dovuta alle collisioni molecolari libere è: P= Γvmol 2π l 2 dove vmol è la velocità molecolare media, la sublimazione è assunta essere confinata nell’emisfero rivolto verso il Sole e l>>Rc. La forza di trascinamento verso l’esterno sperimentata da un meteoroide dovuta alla chioma di gas è data da: Fdrag = Figura 1 - Visione prospettica da un punto sopra l’eclittica dell’orbita della cometa Thatcher (progenitrice delle Liridi) e della cometa Halley (progenitrice delle Eta-Aquaridi e delle Orionidi). Una volta che questi corpi ghiacciati si trovano più vicini di circa 4 UA dal Sole, la radiazione solare riesce a sublimare l’acqua ghiacciata e ad una distanza inferiore il ghiaccio volatile come la CO. Questo processo porta alla formazione di un inviluppo di gas sul corpo centrale ghiacciato e alla espulsione, attraverso il trascinamento del gas, dei grani di polvere vicini al nucleo. Gli oggetti più piccoli di queste polveri, di dimensioni micrometriche, sono spinti in direzione opposta al Sole dalla pressione di radiazione solare così da formare una scia. Visto dalla Terra in tale momento, l’oggetto sembra una stella sfocata con una coda che si muove su uno sfondo di stelle e comunemente viene chiamato cometa. Eiezione dei meteoroidi dal nucleo cometario La maggior parte dei meteoroidi sono i prodotti del decadimento cometario, sia graduale che, occasionalmente, catastrofico. Whipple fu il primo a proporre il moderno modello del nucleo cometario, cioè un agglomerato omogeneo di polvere e ghiaccio, come una palla di neve sporca [6]. Whipple inoltre sviluppò le equazioni che determinavano la velocità di espulsione di un meteoroide di una certa massa dal nucleo cometario. È questa velocità di eiezione, unita a quella orbitale della cometa, che determina l’orbita iniziale per i meteoroidi generatesi. Se da un lato i Cd PA 2 dove Cd è il coefficiente di trascinamento, pari a 26/9 per una sfera che riemette le molecole impattanti con velocità termiche, e A l’area della sezione d’urto del meteoroide. Così l’accelerazione relativa al nucleo è: a= Fdrag mp − GM c l2 dove mp è la massa del meteoroide, Mc la massa della cometa e G la costante di gravitazione universale. La velocità all’infinito relativa al nucleo è: ⎡ 39vmol S Rc 4πρ cG ⎤ v∞2 − v02 = 2 Rc ⎢ − ⎥ 2 3 ⎣ 72r H σρ m ⎦ dove v0 è la velocità iniziale, assunta generalmente nei calcoli pari a zero, ρc la densità di massa del nucleo cometario, σ il raggio del meteoroide e ρm la densità di massa del meteoroide. Il secondo termine dell’equazione precedente è tipicamente una piccola percentuale del primo termine. Whipple ha stabilito che la velocità di espulsione di un meteoroide da un nucleo cometario ve è pari a [6]: ve = 8.03r −1.125 − 1 3 1 2 c − ρm R mp 1 6 dove Rc è il raggio della cometa in km m e r la distannza i UA. eliocentrica in Jones ed altrri autori dopo aver riesaminnato il problem ma hanno trovaato equazionni molto siimili, le quuali producono velocità v di espulsione enttro il 10% dai d valori di Whhipple, partenddo dalle medeesime condiziooni iniziali [9][100]: − 1 1 − 1 ve = 10.2r −1.038 ρ m 3 Rc2 m p 6 afffermazione. L’informazion L ne su ogni siingolo nucleoo co ometario è inssufficiente in molti casi peer giustificaree un na più precisa scelta riguarddo alle direzio oni di eiezionee ch he potrebberoo deviare daa una sempliice direzionee op pposta a quellaa del Sole. Non appena sii definisce il luogo di esp pulsione e laa veelocità relativaa al nucleo, l’oorbita inizialee imperturbataa dii ogni meteorooide può esserre definita. L’’insieme dellee orrbite iniziali dà d origine allo sciame meteo orico. Orbita O inizialee dopo l’eiezioone Quello che em merge dalla seezione precedente è che laa 1 m/s perr veelocità di esspulsione è iinferiore a 100 meteoroidi m di massa m superiorre ai 10-5 g [9]]. Peer eiezioni all’interno a di 4 UA dal Sole, tipichee veelocità cometaarie sono dell’’ordine di V = 30 - 40 km/ss peer orbite moolto eccentrichhe, perciò laa velocità dii esspulsione dei meteoroidi reelativi alla co ometa v è talee ch he v<<V. È opportunno definire la velocitàà peerpendicolare al piano orbiitale della com meta, positivaa neella direzionee del polo orbitale nord, come vn, laa co omponente neella direzionee del Sole come c vr e laa co omponente oppposta alla dirrezione del veettore velocitàà isttantaneo dellaa cometa comee vt. Figura 2 - Ve elocità di eiezio one contro disttanza eliocentriica secondo il modello di Whipplle (linea continu ua) e Jones (linea tratteggiata) pe er oggetti di ma assa 0.01 g e densità d pari a 0.8 0 3 g/cm . Questa rapprresentazione è solo un’appprossimazionee e non tiene conto c di ciò che le osseervazioni hannno evidenziato come c la preseenza di getti isolati, i rotaziooni del nucleo, complessi c com mportamenti deella chioma, etc. e In particolarre, Steel haa notato l’essistenza di una u produzione di gas diistribuita, add esempio la d sublimazionee non è confinata solo sullla superficie del nucleo, maa ciascuno dei meteooroidi generrati contribuisce alla sublimazzione immediaatamente dopoo il rilascio. Ciòò è stato deddotto da Steeel nel corso di osservazioni della cometa Halley, il quuale ha suggerrito inoltre che questo potrrebbe produrrre velocità di espulsione radicalmentee differentii da queelle tradizionalmente trovate con la teoria dii Whipple [3].. A questo punnto sono statee definite le prrobabili veloccità di eiezione, il luogo di espulsione e e la l più probabbile direzione deell’eiezione deel meteoroidee. Il precedennte modello fisiico fornisce una stima deella velocità di espulsione per p una data massa, menttre osservaziooni cometarie suuggeriscono chhe l’eiezione dei d meteoroiddi è improbabile, ma non impoossibile, oltre le 4 UA. Si può p solamente suupporre che la fuoriuscita di meteoroiddi è più probaabile nell’emisfero d della comeeta istantaneameente opposto al Sole. Laa rotazione del d nucleo, il traascinamento teermico e l’esisstenza di regiooni di attività isolata modificano m questa ultim ma Fiigura 2.3 - Co oordinate come etocentriche perr la velocità dii es spulsione dei meteoroidi. La a componente normale della a ve elocità vn è direttta fuori dalla pa agina, vr è posittiva in direzione e de el Sole e vt è positiva p nella d direzione oppos sta al vettore dii ve elocità istantane eo della cometa ed è perpendic colare a vr. Fiigura 2.4 - Ele ementi generalii dell’orbita. Ciinque elementi so ono necessari per p specificare l’orientazione di d un’orbita nel Siistema Solare e un parametro o addizionale per p spiegare la prrecisa posizione e del meteoroide e. e = eccentricità dell’orbita d ellittica a (c/a) i = inclinazione (a angolo tra l’eclitttica e il piano de ell’orbita) q = distanza al pe erielio ω = argomento del perielio (a (angolo in orbita tra il nodo as scendente e il punto del perielio o) Ω = longitudine del d nodo ascend dente (angolo tra a l’equinozio di prrimavera e il pu unto dell’orbita che taglia da sotto s a sopra il pia ano dell’eclittica a) L’energia orbitale totale per unità di massa è data da [11]: E = T +U = v2 μ μ − =− 2 r 2a dove a è il valore osculatore del semiasse maggiore, v è la velocità eliocentrica, T l’energia cinetica, U quella potenziale e r la distanza eliocentrica. μ rappresenta GMs dove G è la costante di gravitazione universale e Ms la massa del Sole. Per una particella eiettata da una cometa a distanza r, la sua velocità relativa alla cometa causa un cambiamento nel semiasse maggiore pari a: ap = − 2a 2 μ Vvt + a dove ap è il semiasse maggiore della particella immediatamente dopo l’espulsione e si assume che 2Vvt/μ << 1. La variazione nel semiasse maggiore, e dunque nell’energia, dipende dalla componente della velocità del meteoroide espulso parallela al vettore velocità della cometa. Il massimo cambiamento nel semiasse maggiore si ha quando V è massimo, cioè al perielio. È possibile riscrivere la precedente equazione utilizzando la terza legge di Keplero e definire il cambiamento frazionale del periodo di rivoluzione per una velocità di espulsione come: Figura 2.5 - Variazione della longitudine del nodo ascendente Ω per espulsioni dalla cometa Thatcher come funzione della componente normale della velocità di eiezione vn a differenti valori dell’anomalia vera da 270° a 90°. dP 3a = Vvt μ P La variazione di ognuno degli altri elementi orbitali è legata alla velocità di espulsione, ma in una maniera più complessa e, inoltre, è dipendente da ogni altra componente. Pecina e Simek hanno descritto tali parametri, ma in questa analisi vengono proposti solo quelli di interesse fisico [12]. Il cambiamento nella longitudine del nodo ascendente Ω è: ΔΩ = a (1 − e 2 ) sin (θ + ω ) 1 2 μ (1 + e cos θ ) sin i vn dove θ è l’anomalia vera, ω l’argomento del perielio e i l’inclinazione dell’orbita iniziale. Figura 2.6 - Variazione della longitudine del nodo ascendente Ω per espulsioni dalla cometa Halley come funzione della componente normale della velocità di eiezione vn a differenti valori dell’anomaloa vera da 270° a 90°. Affinché un meteoroide intersechi l’orbita terrestre, il suo raggio nodale, cioè il punto dove interseca l’eclittica, deve essere alla distanza di circa 1 UA dal Sole. Questa condizione è: a (1 − e 2 ) 1 ± e cos ω = Re dove Re è il raggio dell’orbita terrestre a λ(Ω, Ω+180°), il valore negativo nel denominatore della precedente equazione è per il nodo discendente e quello positivo per il nodo ascendente dove λ = Ω + 180°. Tipiche velocità di eiezione dell’ordine di 10-20 m/s nel piano orbitale producono cambiamenti nel raggio nodale discendente di meno di 10-3 UA, mentre solo maggiori velocità, vicine ai 40 m/s, causano variazioni di un ordine superiore e cioè 0.01 UA. Forze agenti sul meteoroide dopo l’eiezione Per capire come si distribuisce la materia nel Sistema Solare è interessante analizzare le forze che intervengono nella dinamica dei meteoroidi [13]. Immediatamente dopo l’eiezione, l’orbita iniziale vista nel paragrafo precedente è modificata da numerose forze [14]. In totale, la forza agente su un meteoroide di circa 10-5 g o maggiore dopo l’eiezione è data da: F= −GM r + 2 ⎡ m ⎛ mM ⎞ r ⎤ 9 i mr + ∑ i =1 Gm ⎢ r − ri ) + ⎜ i s ⎟ i 3 ⎥ + 3 ( ⎢⎣ r − ri ⎝ M s + mi ⎠ ri ⎥⎦ SA SA 8π s 2 ΔT r − 2 ( 2Vr − Vt ) + cos ζ σT 4 c c 3c T dove la somma è su tutti i pianeti da Mercurio a Plutone, r il raggio vettore dal Sole al meteoroide in UA, ri e mi sono il raggio vettore e la massa del pianeta i-esimo, Ms la massa del Sole, m quella del meteoroide, S è il flusso solare alla distanza r dal Sole e vale S = 1.37/r2 in unità di kW m-2, A è l’area della sezione d’urto del meteoroide relativa alla direzione solare, c la velocità della luce, Vr e Vt sono rispettivamente la velocità eliocentrica radiale e trasversale del meteoroide, s è il raggio fisico del meteoroide, σ la costante di Stefan-Boltzmann, T è la temperatura media del meteoroide, ΔT è la differenza di temperatura tra le due facce del meteoroide e ζ l’obliquità dell’asse di rotazione del meteoroide relativa alla direzione normale dell’orbita. L’equazione precedente è composta di sei termini, ognuno dei quali rappresenta una forza fisica ben distinta agente sul meteoroide, la cui importanza relativa diminuisce procedendo da sinistra a destra. Il primo termine rappresenta l’attrazione radiale del Sole ed è di gran lunga la forza più forte agente sul meteoroide. Il moto del corpo è definito in termini eliocentrici, così il moto è eccellentemente approssimabile ad un sistema a due corpi, Solemeteoroide. Il secondo termine consiste in una somma della attrazione gravitazionale diretta di ognuno dei pianeti. I termini specifici dipendono dall’estensione dell’orbita del meteoroide, ma tipicamente Giove e/o Saturno dominano. Il terzo termine è spesso riferito a perturbazioni planetarie indirette o al termine di correzione del baricentro. Questa forza è l’analogo della forza centrifuga in un moto circolare uniforme ed è dovuta puramente ad una scelta di un sistema di coordinate non inerziali. Fisicamente, il meteoroide non si muove intorno al Sole, ma piuttosto intorno al centro di massa del Sistema Solare. Questo punto, chiamato baricentro, è lievemente spostato dal centro del Sole, a causa, in primo luogo, dell’attrazione di Giove e, secondariamente, da quella di Saturno. Esso si muove rispetto al centro solare dipendendo dalla posizione dei pianeti maggiori. Come risultato, gli elementi orbitali eliocentrici sembrano oscillare in relazione diretta all’accelerazione del baricentro relativa al centro del Sole. Questa forza diventa maggiormente significante per oggetti con orbite estremamente eccentriche vicino all’afelio, dato che la forza è dipendente dalla distanza del meteoroide dal Sole e dunque presenta un effetto maggiore quando l’oggetto è più lontano da tale stella e, cioè, quando ha l’energia potenziale più alta. L’importanza relativa di questo effetto diminuisce quando l’oggetto si muove verso l’interno del sistema e diventa pressoché insignificante quando l’oggetto è all’interno dell’orbita di Giove. Le perturbazioni indirette sono dunque tipicamente più piccole degli effetti delle perturbazioni dirette a distanza di 1-2 UA dai pianeti maggiori. Chambers ha discusso il ruolo di perturbazioni indirette nel mantenere un comportamento risonante nelle orbite delle comete di tipo Halley [15]. Il quarto termine dell’equazione è dovuto alla pressione di radiazione solare. I fotoni provenienti dal Sole trasportano con loro un momento. Quando il meteoroide assorbe i fotoni solari incidenti, rimuove il momento da tale fascio di particelle. Questa variazione nel momento del fascio, cioè una forza, dal punto di vista del meteoroide, agisce sul corpo in proporzione diretta all’area della superficie geometrica esposta e alla sua efficienza scatteratrice. Per una particella perfettamente assorbente, l’efficienza scatteratrice vale uno e generalmente è il valore che viene utilizzato nei calcoli. La forza agisce radialmente in direzione opposta al Sole dato che il momento del fotone assume virtualmente tale direzione e tende a spingere la materia ai confini del Sistema Solare. Dato che tale forza radiale decresce come 1/r2, come l’attrazione gravitazionale centrale del Sole, è spesso inclusa con il termine di forza centrale. Più specificatamente, è normale riferirsi al rapporto tra forza di radiazione e di gravità come β = Fr/Fg o β = 5.7 x 10-6/ρs, dove ρ è la densità di massa del meteoroide e s il raggio in metri. In tale maniera è possibile considerare insieme la forza di radiazione e di gravità come: r ur r F = GM (1 − β ) r 3 r che rivela chiaramente che l’effetto della pressione di radiazione è equivalente a una diminuzione della forza centrale, che può essere causata ad esempio da un’effettiva diminuzione della massa solare. La pressione di radiazione, cioè la forza radiativa dominante per i meteoroidi che andremo ad indagare, agisce immediatamente dopo l’eiezione. Per tale motivo finché il meteoroide mantiene la sua velocità, è facile mostrare, partendo da considerazioni energetiche, che un’orbita legata prima dell’eiezione, può diventare successivamente slegata a causa dell’anomalia vera θ se la condizione: β≥ 1 − e2 2 (1 + e cos θ ) è verificata. Così, il valore di β che è richiesto ad un’orbita molto eccentrica, cioè con e tendente a 1, per diventare slegata è abbastanza basso, molto meno di uno. Per eiezioni che avvengono al perielio, quando cioè il meteoroide e il corpo progenitore si muovono alla loro maggior velocità relativa al Sole e l’energia del corpo è principalmente quella cinetica, un meteoroide delle Orionidi o Eta-Aquaridi è slegato per β > 0.01, mentre per uno delle Liridi il valore è solo β > 0.1. Il quinto termine è dovuto all’emissione di radiazione del meteoroide. Quando la radiazione investe il meteoroide, essa è riemessa isotropicamente. Tuttavia, dato che il meteoroide si muove ad una velocità non nulla rispetto al Sole, la radiazione emessa in direzione del moto è spostata per effetto Doppler verso il blu relativamente alla radiazione emessa in direzione opposta al moto. Come risultato, la forza comunicata alla particella dalla luce spostata verso il blu, che ha un momento maggiore di quella spostata verso il rosso, agisce in direzione opposto al vettore velocità istantanea, e agisce frenando la particella. Questa forza è chiamata effetto Poynting-Robertson [14]. Dall’equazione emerge chiaramente che l’effetto Poynting-Robertson è dell’ordine di v/c, tipicamente circa 10-4, relativamente alla pressione di radiazione. Per tale motivo risulta trascurabile per quanto riguarda la dinamica di particelle nel caso di brevi intervalli di tempo o per i meteoroidi più grandi. L’effetto Poynting-Robertson diventa rilevante solamente per lunghi intervalli di tempo, rimuovendo il momento e l’energia da i piccoli meteoroidi, dell’ordine del micron, in modo tale che l’orbita si circolarizza e il semiasse maggiore diminuisce, permettendo alle particelle di muoversi all’interno di regimi dove altri effetti dinamici, come le risonanze planetarie, possono avere effetto [16]. L’ultimo termine dell’equazione è il più difficile da misurare fisicamente e la sua importanza relativa è stata discussa per molto tempo [17]. Tale forza risulta generata dall’asimmetria nella reirradiazione dell’energia termica assorbita da parte di un corpo rotante esposto alla radiazione solare. La parte più calda dell’oggetto cosmico irradia maggiore energia rispetto alla parte più fredda. A seconda dell’orientazione dell’asse di rotazione e del senso di spin, lo squilibrio dell’emissione di radiazione può indurre una forza, che agisce sul meteoroide in una particolare direzione. Come risultato, a differenza della pressione di radiazione o dell’effetto PoyntingRobertson, questa forza, chiamata effetto YarkovskyRadzievskii, è diffusa in natura e porta ad un cammino casuale nel moto perturbato del meteoroide. La direzione nella quale la forza agisce dipende dall’orientazione dell’asse di rotazione. Nessuna di queste quantità è conosciuta con un grado elevato di precisione per meteoroidi tipici. Come risultato, è possibile che nei casi estremi di oggetti rotanti lentamente, la forza esercitata dall’effetto Yarkovsky possa essere 103-104 volte rispetto alla forza prodotta dall’effetto Poynting-Robertson. Tuttavia la direzione casuale della forza nell’effetto Yarkovsky attenua il suo ruolo rispetto alla forza più piccola ma unidirezionale dell’effetto Poynting-Robertson. L’effetto Yarkovsky è ancora solamente una frazione percentuale della pressione di radiazione per un meteoroide delle dimensioni studiate in questo lavoro. Tale effetto diventa importante per lunghi periodi e per corpi molto grandi [18]. Tuttavia, a seconda delle dimensioni e delle masse delle particelle che compongono la materia interplanetaria, i rapporti tra questi tipi di forze possono variare, contribuendo così alla distribuzione dei meteoroidi all’interno del Sistema Solare. L’effetto Poynting-Robertson è importante per particelle di dimensioni che vanno da circa un millesimo di millimetro fino a qualche centimetro, mentre per corpi di dimensioni tra 0.1 e 100 metri è invece l’effetto Yarkovsky a diventare predominante. L’azione di queste forze è determinante nel descrivere l’evoluzione degli sciami meteorici in relazione alla vita dei loro corpi progenitori. Si possono evidenziare quattro stadi che rappresentano momenti diversi nell’evoluzione degli sciami: 1. il primo è caratterizzato da una breve attività, che ha un andamento asimmetrico rispetto alla posizione del corpo progenitore (come, per esempio, le Draconidi e le Leonidi); 2. nel secondo, la corrente delle particelle si estende lungo tutta l’orbita della cometa: la sezione del flusso è ancora ristretta e con un radiante ben definito (è il caso delle Quadrantidi e delle Perseidi); 3. il terzo presenta tutte le caratteristiche di un vecchio sciame omogeneo, la cui attività è meno pronunciata ed il radiante più disperso; 4. nel quarto stadio evolutivo, la corrente di particelle è più diffusa a causa dell’influenza, sempre maggiore, di forze dispersive ed il corpo progenitore non si comporta più come una sorgente di meteoroidi perché di quest’ultimo è rimasta ormai solo la parte più compatta del nucleo (come si presume sia il caso delle Geminidi). In quest’ultimo stadio della sua storia, lo sciame transita lentamente alla fase delle meteore a carattere sporadico e il radiante non è più localizzabile in quanto è divenuto molto disperso. Figura 7 - L’evoluzione nel tempo di uno sciame meteorico. Inizialmente, (a) i meteoroidi sono concentrati vicino alla cometa genitrice. Gradualmente (b) il flusso si distribuisce davanti e dietro alla cometa finché, eventualmente, i meteoroidi viaggianti con la cometa incontrano quelli precedenti ad essa e completano l’anello (c). Bibliografia [1] Williams I.P.: The dynamic of Meteoroid Streams, in Meteoroids and Their Parent Bodies, eds. J. Stohl e I.P. Williams, Astronomical Institute Slovak Academy Sciences, p. 31-40, (1993) [2] Ceplecha Z., Borovicka J., Elford W.G., Revelle D.O., Hawkes R.L., Porubcan V., Simek M.: Meteor Phenomena and Bodies, Space Science Review, 84, p. 327-471, (1998) [3] Steel D.: Meteoroid Streams, in Asteroids, Comets, Meteors, eds. A. 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I meteoroidi entrando nell’atmosfera interagiscono con questa dando origine ad una scia di plasma e a quel complesso di fenomeni luminosi e, a volte acustici, a cui si da il nome di meteore. Oltre a sottolineare il meccanismo attraverso il quale tale fenomeno trae origine, viene evidenziato anche quello con il quale la scia di plasma viene dissipata. Questi, visti insieme, si traducono anche in una diversa morfologia che gli echi radar, prodotti dalla meteora, presentano: echi ipodensi e iperdensi. ____________________________________________ ...l’aria è sottoposta a un attrito piuttosto violento... …quando l’urto (tra le masse d’aria, n.d.a.) è stato più leggero e si è solo verificato, per così dire, uno sfregamento, ne sprizzano luci più pallide, e le stelle nel loro volo si traggono dietro una chioma luminosa. Allora meteore infuocate estremamente sottili segnano e prolungano nel cielo un’esile traccia. gli atomi leggeri a quote più elevate di quelli più pesanti. Il numero delle particelle atmosferiche per unità di volume decresce in modo esponenziale passando dal suolo alle quote superiori [2]. Tale andamento suggerisce che il numero di particelle per unità di volume può diminuire a tal punto da rendere quasi inesistenti gli urti fra molecole in modo da aumentare fortemente il cammino libero medio. Questo parametro è fondamentale nella fisica delle meteore. A quote attorno ai 100 km, regione in cui si osserva la gran parte dei fenomeni meteorici, il libero cammino medio è dell’ordine di 0.1-1 metri (per confronto al suolo è di 10-7 metri). A seconda delle dimensioni dei meteoroidi che entrano nell’atmosfera terrestre, la descrizione dell’interazione con l’atmosfera sarà diversa. Se il meteoroide ha un diametro medio (0.01 metri) allora l’interazione con le molecole atmosferiche sarà paragonabile a quella fra due bocce da biliardo (regime molecolare). Nel caso limite di un corpo con dimensioni dell’ordine del centinaio di metri che entri nell’atmosfera, la descrizione dell’interazione si potrà fare assumendo che l’atmosfera si comporti come un fluido (regime continuo). Seneca (4 a.C. – 65 d.C.), Naturales quaestiones, Libro I-1, 5-6 L’atmosfera La corretta interpretazione dei fenomeni meteorici presuppone un’approfondita conoscenza della struttura e della composizione dell’atmosfera fino ad una altezza di 130 km. Solitamente l’atmosfera viene divisa in quattro strati caratterizzati da differenze nella composizione chimica i quali sono caratterizzati da variazioni nella temperatura: troposfera, stratosfera, mesosfera e termosfera. La troposfera e la stratosfera sono separate dalla tropopausa che varia in altitudine da circa 16 km vicino all’equatore fino a 9 km nei pressi dei poli. La stratosfera e la mesosfera sono invece separate dalla stratopausa che si trova a circa 50 km. La mesosfera e la termosfera sono separate dalla mesopausa, a circa 80 km di altezza. Le caratteristiche fisiche dell’atmosfera variano decisamente in relazione con la quota: se la quota aumenta, sia la densità che la pressione diminuiscono, mentre la temperatura mostra delle oscillazioni. La porzione più esterna dell’atmosfera, all’altezza di 450-500 km, è chiamata esosfera [1]. La composizione dell’atmosfera terrestre si mantiene costante fino a circa 100 km di quota, dove la turbolenza è elevata e produce un rimescolamento continuo (omosfera). Per quote superiori l’atmosfera tende ad assumere una struttura stratificata, portando Figura 1 - Rappresentazione degli strati atmosferici e relazione con il fenomeno meteorico. La fisica del fenomeno meteorico Quando un meteoroide giunge in prossimità della Terra inizia ad interagire con l’atmosfera, dando origine a quell’insieme di fenomeni luminosi e, a volte anche acustici, chiamati con il nome di meteora. La maggior parte dei meteoroidi si traasforma in meeteore ad altezzze mmino libero medio delle molecole d’aaria in cui il cam varia da circaa 0.1 metri (add un’altezza di d 90 km) a cirrca 1 metro (120 km) [3].. Tenendo presente p che le c dei meteoroidi m sonno dell’ordine di dimensioni comuni qualche miillimetro, si deduce chhe il processso dominante duurante il passaaggio in atmosfera è l’impaatto delle singole molecole d’aaria contro il corpo c cosmicoo. Per l’attrazioone gravitazioonale della Terra, la veloccità minima con cui un metteoroide entraa nell’atmosfe fera v massim ma terrestre è dii circa 12 km//s mentre la velocità dipende dall’’origine del coorpo e dalla direzione d del suo s moto. Essa, perciò, risullta essere di circa 72 km m/s, come sommaa della velociità della Terraa attorno al Soole (29.7 km/s) e della velocittà di fuga di una u particella dal d Sistema Solaare in prossim mità della Terrra (42.1 km//s). Inoltre, il Sistema Solare non è un sisttema isolato ma m può essere attraversato a daa particelle anncora più velooci (granuli innterstellari) provenienti dallo spazzio interstellare, che si muovvono a velociità fino ad olltre 200 km/s [4]. d Un parametrro importante è dato dallee dimensioni del meteoroide, che c determinaa l’evoluzionee del suo tragiitto nell’atmosferra terrestre. Innfatti, i meteorroidi più minuuti, oggetti con masse inferriori ai 10-9 kg tipiche dei d c cosiddetti miicrometeoroiddi, sono rallenttati in modo che la caduta siaa soggetta uniccamente alla forza di graviità, senza alcunaa emissione dii radiazione. Per P i meteorooidi di massa supperiore invecce l’interazionne con gli strrati più densi delll’atmosfera genera g un’ondda d’urto dovuuta al fatto che tali t oggetti coosmici si muoovono a veloccità ipersoniche [5]. Le caratteristiche c principali di d sono: quest’onda d’urto 1. fronte dell’onda d’uurto: è uno strato piuttosto sottile caratterizzatoo da bruschee variazioni di pressionne, densità e temperatura. In questo straato l’energiia cinetica delle d molecolle in collisioone viene convertita c in eccitazione degli elettrooni, dissociaazione molecoolare e ionizzaazione di atom mi; 2. strato compresso: c è una regionee di flusso non n viscosoo posto dietro al a fronte d’onnda dove il gass è, in prrima approsssimazione, in equilibbrio termodiinamico; 3. strato liimite: è un soottile strato viscoso v vicinoo al meteorooide in cui la componente tangenziale t deella velocitàà tende a decrescere fino add annullarsi suulla superficcie del corpo stesso. La strruttura di questo strato diventa piutttosto compleessa quando le molecole del meteorooide si vaporiizzano, poichéé si p vengono a creare moolteplici stratii limite: uno per mite le moolecole evapporate, uno strato lim aerodinnamico in cui viene compensata la componnente tangenziiale della veloocità e uno straato di equillibrio termico in cui la tem mperatura del gas g e del meteoroide m si uguagliano; u 4. zona dii stagnazione: è una regione posta dietroo al meteorooide contenennte un gas rarrefatto costituuito da moolecole evapporate dal meteoroide, m da particellle espulse daalle disomogeeneità del corrpo durantee la rotazione, etc.; 5. 5 traccia meteorica: m si forma come risultato dell collasso dei d gas che fluuiscono attorn no al corpo e della loro successiva diffusione. Fiigura 2 - Eleme enti principali de ell’onda d’urto: 1. 1 fronte d’onda;; 2. strato compressso; 3. strato lim mite; 4. zona di stagnazione; 5.. cia. sc volversi di unn Laa semplice teooria fisica chee descrive l’ev meteoroide m intteragente conn l’atmosferaa a velocitàà ip personiche, può p essere discussa rich hiamando lee eq quazioni fonddamentali chee governano i processi dii deecelerazione, perdita dii massa, luminosità e io onizzazione e assumendoo che i co oefficienti dii freenamento, trasporto t del calore, luminosità l e io onizzazione presenti p nellee equazioni stesse sianoo co ostanti [6]. Laa prima eqquazione fonndamentale della teoria,, l’eequazione di decelerazionee, tiene contto dell’effettoo freenante dell’attmosfera terreestre e si bassa sull’ipotesii ch he la perdita della d quantità ddi moto Mdv da parte di unn meteoroide m sia proporzionale all’impulso acquisito dall geetto d’aria innvestito. La massa d’ariaa che investee un n’area generiica S, definiita dalla proiezione dellaa seezione d’urtoo del meteooroide lungo o la propriaa traaiettoria, alla velocità v in uun tempo dt è S ρ vdt . Cosìì ottteniamo l’equuazione [5]: M dv = −Γ − S ρv2 dt ove Γ è il coeefficiente di ffrenamento, ch he esprime laa do po orzione di quantità q di m moto del gettto incontratoo co onvertita in deecelerazione ddel corpo. Il coefficiente c Γ pu uò essere sia maggiore m che minore di uno o. Nel caso dii Γ < 1 il trasfe ferimento di m momento al meteoroide è ncompleto (peer esempio, ill caso in cuii alcune dellee in molecole m che vengono v a conntatto con esso o gli fluisconoo atttorno); l’altrro caso si verifica quaando diventaa ap pprezzabile ill momento rrelativo al rimbalzo dellee molecole m dallaa superficie del meteorroide o allaa vaaporizzazione delle molecolle dal meteoro oide stesso. Allo stesso tem mpo i meteorroidi sono so oggetti ad unn prrocesso di peerdita di maassa, definito processo dii ab blazione, caraatterizzato da vaporizzazio one, fusione e fraammentazionee. In primo luogo ciò ch he avviene è l’eespulsione diiretta degli aatomi dalla superficie s dell meteoroide m in seguito s a colllisione. Ognun no di tali urtii lib bera un’energgia dell’ordinee di 100 eV. Mano M a manoo che il corpo cosmico procede nel suo tragitto si forma, vicino alla superficie, uno scudo di gas che tende a ridurre l’importanza del processo di espulsione diretta. Le molecole che ora giungono a colpire la superficie del meteoroide sono state smorzate dallo scudo di gas, per cui non hanno più energia sufficiente a espellere gli atomi del corpo cosmico. Tuttavia, riescono a riscaldarlo e ben presto si raggiungono temperature tali da fare evaporare gli atomi. Questo fenomeno è descritto dalla seconda equazione fondamentale della teoria, l’equazione di perdita di massa, che segue dall’ipotesi che una certa porzione di energia cinetica 1 S ρ v3 del getto opposto di molecole è spesa in 2 ablazione della massa dM nel tempo dt. Se Q è il calore latente di vaporizzazione o fusione del materiale che costituisce il meteoroide in unità di energia, allora l’equazione di perdita di massa si scrive come: dM S ρv2 = −Λ dt 2Q Il coefficiente Λ di trasferimento di calore descrive il consumo di energia ed è minore o uguale a uno poiché l’energia spesa nel processo di ablazione non può superare la totale energia cinetica del getto opposto di molecole. Se viene considerata anche la frammentazione, deve essere presa in considerazione la porzione di energia spesa nel processo stesso (vale a dire nel rompere i legami meccanici tra le particelle) e quella portata via dalle particelle frammentatesi. Ablazione e decelerazione si influenzano vicendevolmente, poiché l’ablazione dipende dalla velocità del corpo mentre la decelerazione dipende dalla massa. Quindi le equazioni di perdita di massa e di frenamento per un meteoroide devono essere risolte simultaneamente. Fatta eccezione per l’energia spesa nel processo di perdita di massa, parte dell’energia delle molecole che vengono a contatto con il bersaglio cosmico è spesa nel surriscaldare il meteoroide stesso e parte convertita in radiazione, mediante ionizzazione di atomi e molecole sia del meteoroide che dell’aria, ma la quantità più rilevante è dissipata dalle molecole d’aria e di vapore e dagli atomi considerati. La radiazione luminosa risultante si può esprimere attraverso la terza equazione fondamentale della teoria, l’equazione di luminosità, assumendo che l’intensità di radiazione I della meteora sia proporzionale all’energia cinetica della massa dM evaporata nel tempo dt: ⎛ dM I =τ ⎜− ⎝ dt 2 ⎞r ⎟ ⎠2 dove τ è il coefficiente di efficienza radiativo o, più comunemente, coefficiente di luminosità, che può dipendere, in generale, dalla velocità, dalla massa e dalla composizione del meteoroide. Atomi e molecole atmosferiche e meteoriche si eccitano e ionizzano durante le collisioni anelastiche fra atomi vaporizzati del meteoroide ed atomi e molecole d’aria. Di conseguenza, lungo il tragitto della meteora si forma una scia ionizzata, o più precisamente una traccia di ioni-elettroni, in quanto ne fanno parte entrambi rendendo la scia di plasma elettricamente quasi neutra. Tale traccia assomiglia ad una colonna cilindrica molto lunga e stretta, dove le dimensioni del raggio iniziale sono circa pari al cammino libero medio a quella quota, mentre la lunghezza può arrivare a parecchi chilometri. La caratteristica più importante della scia di plasma formatasi è la densità elettronica lineare q, vale a dire il numero di elettroni per unità di lunghezza costituitisi durante il cammino della meteora. Questo parametro è descritto dalla quarta equazione, l’equazione di ionizzazione meteorica, che, se β è il numero medio di elettroni liberi formati in collisioni con altre particelle da parte di un atomo meteorico (coefficiente di ionizzazione), si può scrivere: q=− β ⎛ dM ⎞ ⎜ ⎟ ma v ⎝ dt ⎠ dove ma è la massa media di un atomo meteorico. È interessante evidenziare che sia l’intensità di radiazione I della meteora sia la densità elettronica lineare q della traccia sono proporzionali al tasso di vaporizzazione. Processi di dissipazione di una scia ionizzata La ionizzazione meteorica prodotta dall’impatto di atomi meteorici ablati con atomi e molecole dell’atmosfera è dissipata per effetto di vari processi. I principali sono: 1. diffusione degli elettroni attraverso l’ambiente attorno la traccia ionizzata che si è formata; 2. ricombinazione elettronica con gli ioni; 3. attaccamento di elettroni alle molecole neutre dell’aria. Turbolenza su piccola scala, venti su grande scala e diffusione anisotropica causata dal campo geomagnetico sono generalmente di importanza secondaria. Diffusione ambipolare La diffusione ambipolare è il principale meccanismo di dissipazione delle tracce meteoriche ionizzate: tale processo influenza fortemente il decadimento della densità elettronica nelle meteore. In assenza di un campo magnetico, la diffusione ambipolare di un gas debolmente ionizzato obbedisce ad una convenzionale equazione di diffusione della forma ∂ne = D∇ 2 ne ∂t dove ne è la densità elettronica e D è il coefficiente di diffusione ambipolare. In questa trattazione si assume la quasi neutralità della traccia. Se consideriamo una scia meteorica che si propaga in un’atmosfera neutra, la soluzione a tale equazione è data da [5]: ⎛ r2 ⎞ −⎜ ⎜ 4 Dt + r 2 ⎟⎟ q 0 ⎠ ⎝ ne ( r ) = ⋅ e 2 4π Dt + π r0 dove q è la densità elettronica lineare e t il tempo di decadimento dopo il passaggio della meteora; r è il raggio del cilindro che costituisce la traccia ionizzata che si espande progressivamente per diffusione e può essere espresso dalla relazione r ( t ) = 4 Dt + r02 dove r0 è il raggio iniziale della scia che al momento della sua formazione è all’incirca di una decina di centimetri. Inizialmente si evidenzia un certo equilibrio nella carica elettrica della traccia essendoci lo stesso numero di elettroni liberi e ioni positivi per ogni unità di volume del cilindro. La densità dell’aria atmosferica circostante è però molto più bassa di quella della traccia e perciò ioni positivi ed elettroni iniziano a diffondersi verso l’esterno anche se con velocità differenti. Data la scarsa mobilità degli ioni positivi e, al contrario, la straordinaria capacità di diffusione degli elettroni, l’equilibrio di carica sottolineato precedentemente scompare in seguito alla separazione delle cariche. Tale processo è all’origine della formazione di un campo elettrico detto di carica spaziale, che tende a ricreare la neutralità. In definitiva, si ha quindi un processo di diffusione detto appunto di diffusione ambipolare, in cui elettroni e ioni positivi si espandono assieme nello spazio attorno al cilindro iniziale con velocità pari al doppio di quella che avrebbero gli ioni positivi da soli, ma sensibilmente minore della velocità propria di diffusione degli elettroni. Se la decomposizione della traccia fosse dovuta solamente alla diffusione, allora la concentrazione degli elettroni lungo l’asse della traccia ad un tempo tD sarebbe ne = Ricombinazione Assumendo che, insieme alla diffusione, acquisti importanza anche un processo di ricombinazione di elettroni con ioni, la concentrazione di cariche negative diventa [7]: ne ( 0 ) = Sebbene la diffusione ambipolare sia il meccanismo che controlla la deionizzazione delle scie meteoriche per altezze superiori a 95 km circa, al di sotto di questa quota, per effetto di un aumento della densità dei costituenti atmosferici, i processi chimici in gioco hanno un ruolo di primaria importanza nel determinare il deterioramento della traccia di quelle meteore più grosse capaci di penetrare negli strati più bassi dell’atmosfera. ⎛ 1 t ⎞ t R ⎜ 4π D + q β RD ln R ⎟ + π r02 2 t0 ⎠ ⎝ dove βRD è il coefficiente di ricombinazione. La ricombinazione di un elettrone con uno ione positivo non avviene direttamente ma attraverso una serie di reazioni chimiche che coinvolgono i costituenti atmosferici. Il processo di perdita di elettroni, come mostrato nelle reazioni successive, passa infatti attraverso la preliminare ossidazione da parte dell’ozono o dell’ossigeno degli ioni meteorici ablati [8]. X + + O 2 + M → XO +2 + M (β R = 2.5 ⋅10-30 cm 3 /s) X + + O3 → XO + + O 2 ( β R = 4.0 ⋅10 -10 cm 3 /s ) dove X+ è uno ione metallico presente nella traccia meteorica (Fe+, Mg+, Ca+, Si+, Na+, K+, Al+), M è una molecola presente in atmosfera e βR un coefficiente di ricombinazione ottenuto come valore medio dei coefficienti di ricombinazione per ogni specie metallica [9]. Gli ioni metallici ossidati e biossidati così prodotti si ricombinano poi con gli elettroni liberi e tali processi combinati hanno in ultima analisi l’effetto di neutralizzare gli ioni meteorici. XO +2 + e - → X + O 2 (β RD = 1.0 ⋅10-6 cm 3 /s) XO + + e - → X + O (β RD = 5.0 ⋅10-7 cm 3 /s) q 4π Dt D + π r02 q Queste ultime due reazioni di ricombinazione avvengono più velocemente delle precedenti e quindi il processo combinato sarà regolato dalla reazione di ossidazione più veloce. In assenza di ioni metallici meteorici, si deve sottolineare un altro meccanismo: il processo di ricombinazione dissociativa di elettroni con gli ioni + molecolari O 2 e NO + predominanti nella zona meteorica [5]. O +2 + e - → O + O (β RD = 2.0 ⋅10−7 cm 3 /s ) NO + + e - → N + O ( β RD = 4.55 ⋅10−7 cm3 /ss ) d queste reazzioni sono delllo stesso ordiine Le costanti di di grandezzza e le concentrazionni degli iooni corrispondennti nella zona meteorica nonn superano i 10 1 5 -3 cm cosiccché la ricoombinazione dissociativa è raggiunta entro circa 10-4 secondi, senzza incidere suulla d traccia. Come deetto graduale diistruzione della inizialmente tale processo è influente soolo in assenzaa di munque trasccurabile rispeetto ioni metallicci ed è com all’attaccameento per laa bassa conncentrazione di reagenti. nto Attaccamen Considerando il processo di attaccameento di elettrooni c alle molecolee ed atomi neutri dell’aria, la relazione che esprime la deensità elettronnica lungo l’aasse della traccia ad un tempo tA (tempo di attaccamento) a è data da ne = q 4π Dt A + π r02 e −( β A nM t A ) mento e nM è la dove βA è il coefficientee di attaccam concentrazione di particelle coinvoltte nel processso d a cui c sta avveneendo. dipendente dall’altezza Tale interazioone può avvennire in due moodi diversi: 1. attraaverso una reaazione a due corpi c [8] reeirradiano nelllo spazio un’oonda della stessa lunghezzaa d’’onda. Anchee gli ioni poositivi della traccia sonoo co ostretti ad osccillare dal caampo elettrico o dell’onda e reeirradiano nelllo spazio come dipoli herziaani, ma il loroo co ontributo è trascurabile rispetto a quello deglii elettroni, dal momento m chee la potenza reirradiata è nversamente prroporzionale aalla massa. in Sii hanno due tipi fondameentali di echii meteorici, a seeconda che laa concentrazioone lineare degli d elettronii neella traccia riiflettente sia maggiore o minore m di unn ceerto valore limite. l Quanddo la densittà elettronicaa lin neare della traaccia è minoree di circa 2.4 ⋅ 1014 el/m, laa rifflessione da origine o ad un eco ipodenso, o nel caso inn cu ui q sia magggiore di talee valore si forma f un ecoo ip perdenso [7]. Nel caso ipodeenso la densittà elettronica lineare è talee ch he le interaziooni tra i vari elettroni dellaa traccia sonoo traascurabili. consegue che l’ondaa Da ciò elettromagneticca riesce ad aattraversare in nteramente laa o interno daii traaccia meteoriica e viene ddiffusa al suo sin ngoli elettronni che si com mportano com me oscillatorii in ndipendenti. Inoltre, morfologicam mente sonoo caaratterizzati da d una rappida crescita del segnalee riccevuto dovuuta alla foormazione della d traccia.. Su uccessivamennte, una voolta raggiunto il valoree massimo, m l’eco decade esponnenzialmente nel n tempo perr efffetto della diffusione aambipolare della tracciaa meteorica, m il cuui allargamennto provoca laa diminuzionee deella potenza riflessa, inn quanto au umentano lee diifferenze di faase fra gli eleettroni più viccini al radar e qu uelli più lontanni [10]. e - + O → O - + hυ (β A = 1.3 ⋅10-15 cm 3 /ss) e - + O 2 → O -2 + hυ (β A = 2.0 ⋅10-18 cm 3 /ss) e- + O3 → O - + O 2 (β A = 1.6 ⋅10-30 cm 3 /ss) me interazione a tre corpi coon trasferimennto 2. com di un surpluss di energia add una terza parrticella [8] e- + O + M → O- + M (con M = N 2 o O 2 ) e - + O 2 + O 2 → O -2 + O 2 (β A = 1.6 ⋅10-30 cm 3 /ss) e + O2 + N 2 → O + N 2 - 2 (β A = 1.0 ⋅10-30 cm 3 /ss) he Classificazioone delle traccce meteorich Quando un’onda elettrom magnetica invveste la traccia m gli elettroni e in essa ionizzata proodotta dalla meteora, contenuti, peer effetto del campo eletttrico dell’onda, iniziano ad oscillare con la stessa freequenza. Questi, d herzianno, comportandoosi come un minuscolo dipolo Fiigura 3 - Profilo tipico di u un eco radar di una traccia a ipo odensa. Nel caso iperrdenso, invecce, la densittà elettronicaa lin neare della traccia t è sufficientementee elevata daa reendere non più p trascurabbile l’interazzione tra glii elettroni: in tale t situazionne la tracciaa può esseree asssimilata ad una superficcie conduttriice cilindricaa co oassiale con la stessa, chhe quindi no on si fa piùù atttraversare dallla radiazione elettromagnettica incidente,, su ubendo così una u riflessionee totale. Dal punto p di vistaa morfologico, m annche qui si ha una rapida salita inizialee deella potenza riflessa fino al massimo, raggiunto ill qu uale la potenzza rimane peròò pressoché co ostante per unn ceerto periodo di tempo, costituendo una u sorta dii pianerottolo (plateau), olltre il quale si ha la tipica caduta esponenziale delll’eco dovuta alla diffusioone d traccia. ambipolare della Figura.4 - Profilo P tipico dii un eco rada ar di una tracccia iperdensa. a rapppresentano dei d Purtroppo i due casi analizzati comportamennti ideali, chee negli echi reali ben pocche tracce seguono, in quantoo il fenomenoo è disturbato da numerosi fatttori tra cui: 1. distorsione e rotturaa della tracciia meteorica ad d venti mesoosferici e form mazione di zoone opera dei di riflesssione multiple note come glint; g 2. presenzza di oscillazzioni di Fresnnel nelle traccce ipodensse; 3. processsi non diffusivvi coinvolti neel dissolvimennto della traaccia meteoricca. La durata deggli echi è mollto varia e dippende fortemennte dalla lungheezza d’onda impiegata e dall’altezza del d punto di rifleessione: per frrequenze intorrno a 40 MHzz si considerano ipodensi gli echi che haanno una durrata inferiore al secondo e ipperdensi i resstanti. In questo secondo casoo si hanno echhi con durate anche superiiori al minuto, tuttavia il looro numero diminuisce con c l’aumentare del tempo dii vita in quannto derivano da m e quuindi più rare. meteore più massicce Bibliograffia [1] Fea G.: Appunti A di meeteorologia fissica descrittiva e generale, Serrvizio Meteorrologico Regiionale, Bolognna, (1988) [2] Foschini L., Carbognnani A.: Meteeore dalle steelle c di Tunguska, T Lee Nuove Tesseere, cadenti alla catastrofe CUEN, (1999) mosfera del pianeta Terrra, [3] Vittori O.: L’atm B (19922) Zanichelli, Bologna, [4] Taylor A.D., A Baggaleyy W.J., Steel D.I.: Discoveery of interstellaar dust enterring the Earthh’s atmospheere, Nature, 380, p. 967-970, (1994) [5] Bronshteen V.A.: Physsics of Meteooric Phenomenna, Geophysics and a Astrophyssics Monograp aphs, edito da D. 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V I radar attraverso a cuii si osservano glli sciami meteeorici possonno essere di due d tipi: a back-sscatter e a forrward-scatter. ________________________________________________ Meteore, bollidi, meteoritii rivestono unn grande fasciino e, se invesstigati con le tecniche della sciennza contemporannea, possono dare inform mazioni cruciiali sulla strutturra dinamica, la l storia e l’orrigine del nostro Sistema Soolare. Sonoo anche fenomeni f che, diversamentee dagli impattti catastrofici (e per fortunaa!), a ciascuno di d noi capita prima o poi di osservare in prima personna, in una nottte serena opppure durante una u visita a un museo m di storiia naturale. Capirli C dal punnto di vista scientifico non toglie certamente nulla al godimento estetico e (e neeppure, nei casi c estremi, al timore) che essi e possono suscitare. s Paolo Farineella r La finestra radar Generalmentte lo studio delle d onde ellettromagneticche può essere affrontato a daa due diversi punti di vissta: attraverso laa teoria onddulatoria oppuure con queella quantistica. I parametri foondamentali chhe descrivonoo le onde elettrom magnetiche soono la lunghezza d’onda λ,, la frequenza υ e l’energia asssociata E, legaate fra loro daalle seguenti relaazioni: c = λ ⋅υ E = h ⋅υ dove c è la vvelocità della luce che nel vuoto vale cirrca 3·108 m/s, mentre m in unn mezzo geneerico assumee il c valore cmezzo = , dipenddente dall’indiice di rifrazioone n s n; h è la costante di Plank il cui c del mezzo stesso valore è circaa 6.6·10-34 J·s.. La distribuziione delle eneergie di radiazzione può esseere rappresentataa sia in funzzione della luunghezza d'onnda che della freequenza in un u grafico notto come spetttro elettromagneetico. Fiigura 1 - La trassparenza atmossferica (troposfe era e ionosfera)) allle varie lunghezzze d’onda. Fiigura 2 - Vision ne d’insieme de ello spettro elettromagnetico in n ba ase alla lunghezzza d’onda. s arbitrariaamente suddiv viso in regionii Taale spettro è stato o intervalli cuui sono stati attribuiti nom mi descrittivi.. All'estremo piùù energetico (alte frequeenze, piccolee unghezze d'ondda) ci sono i rraggi gamma e i raggi X (lee lu cu ui lunghezze d'onda sonoo usualmentee misurate inn an ngstroms [Å] dove 1 Å = 10-10 m). La L radiazionee ulltravioletta si estende da ciirca 300 Å a circa c 4000 Å.. Peer le regionii centrali deello spettro è invece piùù op pportuno utiliizzare il miccron (µm) co ome unità dii misura. m La reggione visibile occupa quin ndi l'intervalloo fraa 0.4 e 0.7 µm m o quello eqquivalente da 4000 a 70000 Å; quella infraarossa è invecce compresa fra f 0.7 e 1000 m. Per gli inttervalli di lunnghezze d'ond da maggiori sii µm paassa dai mm ai metri e talle regione corrrisponde allee baande radio. Ta abella 1 - Suddiivisione dello sp pettro radio in va arie sottoclassi. DENOMINAZIO ONE FREQUENZE ESTREMAMEN NTE BASSE FREQUENZE BASSISSIME RADIOFREQ FREQUENZ UENZE E BASSE SIG FREQUE E LA NZA ELF 0 - 3kHz z VLF 3 - 30kH Hz LF 30 300kHz LUNGHE ZZA D'ONDA > 100Km 100 10Km 10 - 1Km (ONDE LUNGHE) MEDIE FREQUENZ E MF (ONDE 300kHz - 1Km - 3MHz 100m 3- 100 - 30MHz 10m MEDIE) ALTE FREQUENZ HF E FREQUENZ E ALTISSIME VHF (ONDE 30 300MHz 10 - 1m METRICHE) ONDE DECIMETRI UHF CHE ONDE MICROONDE CENTIMET SHF RICHE ONDE MILLIMETRI EHF CHE 300MHz 1m - - 3GHz 10cm 330GHz 10 - 1cm 30 - 1cm - 300GHz 1mm Le frequenze che possono essere utilizzate dal radar sono comprese generalmente in un intervallo che va da 3 MHz a 300 GHz. La determinazione di tale intervallo è limitata da alcuni problemi di carattere tecnologico ed altri legati alla natura del mezzo in cui si propagano le onde. Il ricorso alle frequenze più basse dell’intervallo, infatti, è limitato essenzialmente dall’ingombro delle strutture radianti. Ad esempio ad 1 MHz un dipolo di mezza lunghezza d’onda avrebbe delle dimensioni di 75 m, rendendo impossibile la costruzione di antenne ad alto guadagno. Inoltre, la ionosfera è un forte diffusore di basse frequenze e dà origine ad echi indesiderati; poiché la ionosfera non è un mezzo statico, questi si possono confondere con bersagli in movimento. Inoltre, elevate lunghezze d’onda comportano piccole variazioni in frequenza difficili da misurare se il segnale viene diffuso da un oggetto in movimento (effetto Doppler). Infine, si devono ricordare molti problemi logistici, quali le difficoltà nell’ottenere una licenza di trasmissione ed il reperimento di un canale radio libero adatto. Il fondo, in aggiunta, presenta livelli di rumore generalmente alti. Alle frequenze più alte, invece, i problemi sono di norma connessi con l’assorbimento di energia da parte degli strati atmosferici, anche se esistono varie bande dove l’assorbimento atmosferico è meno accentuato, come a 35 GHz e vicino a 94 GHz. La scelta della frequenza da utilizzare nella ricerca radar deve soddisfare principalmente due requisiti: 1. si devono utilizzare frequenze basse in quanto la potenza ricevuta dipende dal quadrato della lunghezza d’onda a meno della sezione d’urto radar dipendente anch’essa dalla lunghezza d’onda, mentre il rumore cresce col quadrato della stessa; 2. non è consigliabile scendere sotto i 30 MHz per non incorrere, come già detto, nei forti disturbi provocati dalla propagazione ionosferica. Una frequenza intorno ai 40 MHz soddisfa pienamente le condizioni richieste. Il radar Il radar utilizza onde radio per rilevare la presenza di oggetti e per trovare la loro posizione. La parola radar, per la prima volta usata dalla U.S. Navy nel 1940, deriva da radio detection and ranging, definizione che racchiude le due finalità di rilevazione e localizzazione. I radar attuali si sono evoluti e sono stati perfezionati per classificare o identificare bersagli, ma anche per ricreare le immagini degli oggetti, ad esempio la mappatura del territorio dai satelliti in orbita. Il principio del radar è che un segnale radio inviato da un trasmettitore viene deviato da qualsiasi oggetto incontrato (terra, mare, navi, aerei, etc.). Una piccola quantità di energia viene perciò riflessa verso un ricevitore. Dopo l’amplificazione del segnale da parte del ricevitore, i segnali sono elaborati sia attraverso una metodologia software che elettronica, al fine di ricavare dalla totalità degli echi ricevuti quelli utili per gli scopi di ricerca. Vi sono molteplici applicazioni per il radar. Viene utilizzato, infatti, per rilevare oggetti le cui dimensioni spaziano su di una scala che varia da pochi centimetri fino all’estensione di oggetti planetari. Tabella 2 - Applicazioni del rada, suddivise in civili e militari, con relative sottoclassi. APPLICAZIONI RADAR Controllo traffico aereo Controllo traffico navale Previsioni meteorologiche Terra Autovelox Sistemi di allarmi di sicurezza Astronomia e Geofisica Misure industriali Civili Mare Navigazione Prevenzione collisioni Altimetria Aria Navigazione Tempo meteorologico Studio delle risorse terresti Spazio Controllo navette spaziali Mappatura di pianeti e corpi minori Militari Rilevamento Forze nemiche ed alleate Inseguimento Obbiettivi marini, terrestri, aerei o spaziali Guida Sistemi di armi Il radar meteorico può essere impiegato sia in campo geofisico, per quanto concerne l’analisi della fisica dell’alta atmosfera (studio di profili di densità e temperatura, venti, maree atmosferiche, onde di gravità, etc), sia in campo astronomico per lo studio della materia interplanetaria interagente con l’atmosfera stessa. Tale radar può essere principalmente di due tipologie: a back-scatter (a retro-diffusione) e a forward-scatter (a diffusione in avanti). Nel primo sistema il trasmettitore e il ricevitore sono localizzati nello stesso sito e dunque l’onda incidente e quella diffusa sono perpendicolari alla traccia meteorica. La richiesta a cui devono soddisfare le meteore per poter essere rivelate da un sistema a backscatter è che la loro traccia sia tangente ad una sfera centrata sul radar. Dato che le tracce hanno un’estensione finita, alcune di esse non riescono a soddisfare la richiesta di essere ortogonali alla linea di vista del radar ed in tal caso il segnale di ritorno sarà estremamente debole e difficilmente potrà essere rivelato. Quindi il radar riesce a “vedere” solo una frazione degli oggetti che transitano nel suo campo di vista, ossia solo quelli aventi il giusto orientamento. Figura 3 - Schema di un radar meteorico a back-scatter. Nel caso del forward-scatter i due apparati sono dislocati in posti diversi e conseguentemente la diffusione è di tipo obliquo. La condizione che la traccia deve soddisfare perché si abbia la ricezione dell’eco radar non è più l’ortogonalità della traccia meteorica con la linea di vista del radar, come visto nel back-scatter, bensì è richiesto che il raggio incidente e quello riflesso formino angoli uguali con l’asse della traccia. Ciò si traduce nella condizione che la colonna di plasma deve essere tangente ad un’ellissoide nei cui fuochi si trovano il trasmettitore e il ricevitore. Inoltre è opportuno che la distanza tra ricevitore e trasmettitore sia sufficientemente elevata in modo che la curvatura terrestre impedisca ai due apparati di “vedersi” direttamente (in altre parole, il ricevitore deve essere oltre l’orizzonte radio del trasmettitore). Solo in questo modo il sistema sarà capace di rivelare la traccia ionizzata della meteora. Figura 4 - Schema di un radar meteorico a forward-scatter. Una differenza sostanziale fra i due sistemi sta quindi nel fatto che, mentre nei radar a back-scatter la stessa antenna viene utilizzata alternativamente dal circuito ricevente e da quello trasmittente, e quindi può usare solo onde pulsate, nei radar a forward-scatter, avendo apparati trasmittenti e riceventi separati, è opportuno operare in onda continua. Bisogna dire che i sistemi radar a forward-scatter, sia in ambito civile che militare, non hanno avuto una diffusione così vasta come quelli a back-scatter, soprattutto a causa della complessa geometria del sistema per la localizzazione del bersaglio e della sincronizzazione fra trasmettitore e ricevitore necessaria per misurare la distanza dal bersaglio stesso [1]. La possibilità di avvalersi di un sistema a forwardscatter permette tuttavia di trarre ulteriori vantaggi rispetto al radar monostatico: innanzitutto non vi è il rischio di intercettare falsi bersagli posti a terra, come invece può avvenire nei sistemi monostatici; è possibile innalzare il tetto di osservazione delle meteore che, unito ad una maggiore persistenza dell’eco, porta al monitoraggio di una zona più estesa di atmosfera; si possono effettuare misure di concentrazione di ozono mesosferico e climatologia delle onde di gravità e dei moti atmosferici che influenzano nel tempo la distribuzione di costituenti minori nell’atmosfera media; costituisce una valida alternativa all’uso di satelliti per le comunicazioni al di sopra dell’orizzonte, attraverso l’impiego dei canali ionizzati lasciati dalle tracce meteoriche; infine non si è limitati dal traffico aereo, perciò si può far uso della tecnica ad onda continua che si rivela particolarmente consigliabile per la maggior sensibilità delle apparecchiature riceventi e per l’uso di ristrette bande di frequenza con una conseguente riduzione del livello di rumore. Caratteristiche del radar È interessante ora approfondire alcune delle proprietà che descrivono la qualità dello strumento, come la precisione, la risoluzione, il tempo di integrazione e lo spostamento doppler. Con il termine precisione generalmente si indica l’incertezza nella misurazione della distanza assoluta di un oggetto. Sembrerebbe intuitivo associare questa caratteristica alla nitidezza della forma dell’impulso, tuttavia si scopre che il fattore cruciale che determina la precisione è l’ampiezza di banda. Se si utilizzasse una sola frequenza la determinazione della posizione di un oggetto sarebbe approssimativa e produrrebbe delle inevitabili ambiguità, in quanto la misura della fase è periodica. Per ovviare a questo problema si utilizzano diverse bande di frequenza che migliorano la determinazione della misura. In prima approssimazione, una stima della larghezza di banda B è pari all’inverso della durata dell’impulso τ: B 1 τ Ad esempio, un radar con frequenza di banda di 1 MHz che trasmette impulsi della lunghezza di 1 μs ha una precisione di 150 metri. Se questo stesso radar fosse concepito per avere una precisione di 15 cm, dovrebbe trasmettere impulsi con un periodo di 1 ns, che corrisponderebbe ad una ampiezza di banda di 1 GHz. Figura 6 - Risoluzione radar. Due bersagli (a) facilmente risolvibili quando sono separati da un lasso di tempo superiore alla durata dell’impulso (b) irrisolvibili quando tale tempo è inferiore alla durata dell’impulso e (c) appena risolvibili quando esso uguaglia la durata dell’impulso. Figura 5 - Precisione del range in funzione dell’ampiezza di banda. (a) con un’unica frequenza, la precisione del bersaglio è scarsa e ambigua; (b) con due frequenze, la precisione e l’ambiguità migliorano (c) utilizzando più ampiezze di banda, le ambiguità vengono eliminate e la precisione aumenta ulteriormente. Un altro fattore in grado di alterare la precisione delle misure è il rapporto segnale-rumore in quanto il rumore può modificare negativamente la forma dell’impulso. Con risoluzione si indica invece quanto devono essere distanti spazialmente due bersagli per poter essere discriminati dallo strumento. È possibile distinguere due echi separati se il ritardo di tempo tra gli echi provenienti da due oggetti è maggiore della durata dell’impulso τ. Il criterio che stabilisce la risoluzione spaziale ΔR fra due oggetti è dato dall’espressione ΔR ≥ cτ 2 Un’altra caratteristica è il tempo d’integrazione, vale a dire il tempo necessario affinché l’apparato ricevente sia in grado di integrare e sommare i dati a disposizione, in modo da rendere le misurazioni più precise possibili. Un’ultima, ma importante proprietà è il modo con cui il radar può misurare la velocità di un oggetto. Un metodo si basa sulle variazioni della posizione del bersaglio nel tempo. In questo modo è facile introdurre delle incertezze a meno che non si insegua il bersaglio per un lungo lasso di tempo. In realtà un metodo più preciso per calcolare la velocità di un bersaglio si basa sullo spostamento doppler, che consiste nella variazione della frequenza del segnale radio causata dal movimento del bersaglio: tanto più l’oggetto si avvicina velocemente al ricevitore, maggiore è l’aumento di frequenza. L’espressione che lega lo spostamento doppler in frequenza Δν con la componente della velocità radiale vr è Δν νT = ν R − ν T vr = νT c dove υT è la frequenza del trasmettitore e υR quella del ricevitore. Con questo metodo, tuttavia, si può calcolare unicamente la componente radiale della velocità. Bibliografia [1] Kingsley S., Quegan S.: Understanding Radar Systems, edito da McGarw-Hill, London, (1992) Mario Sandri, [email protected], http://www.mariosandri.it L’equazione radar IARA Group, GRRAT, SdR RadioAstronomia UAI, Società Italiana di Fisica, IMO ____________________________________________ Abstract Viene illustrata la fisica che sta alla base del funzionamento di un radar meteorico introducendo l’equazione radar. Il parametro che gioca un ruolo fondamentale per la risoluzione di tale formula è la densità elettronica lineare che, tra le altre cose, determina la distinzione tra echi ipodensi e iperdensi. ____________________________________________ …per li seren tranquilli e puri discorre a ora a or subito foco, movendo li occhi che stavan sicuri, e pare stella che tramuti loco, se non che dalla parte ond’el s’accende nulla s’en perde, ed esso dura poco… Dante Alighieri Divina Commedia, Paradiso, Canto XV, 13-18 L’equazione radar La capacità che ha un radar di rilevare un bersaglio è espressa attraverso una relazione nota come equazione radar, la cui dimostrazione offre fondamentali informazioni sul funzionamento dello strumento ed è perciò utile ricavarla da considerazioni generali. Un costituente essenziale del radar è certamente l’antenna, un dispositivo volto ad irradiare o ricevere energia elettromagnetica. Le sue funzioni principali sono quelle di focalizzare la potenza in una data direzione in modo da aumentare la sensibilità, garantire il controllo del fascio esploratore in modo da perlustrare una certa area di copertura e infine permettere la misurazione di informazioni angolari in modo da determinare la direzione di un bersaglio. Un parametro fondamentale che racchiude in sé le caratteristiche fondamentali dell’antenna è il guadagno di potenza G(θ,φ) o semplicemente guadagno G, che esprime la capacità dell’antenna di concentrare la potenza irradiata in una determinata direzione. Tale parametro comprende il concetto di perdite che si verificano attraverso il riscaldamento dell’antenna stessa, attraverso il terreno, assorbimenti vari, perdite delle guide d’onda e di polarizzazione, attraverso qualsiasi accoppiamento con l’antenna oltre che attraverso la potenza irradiata nei lobi laterali. In generale un’antenna in cui G è costante, e che quindi ha la caratteristica di irradiare la potenza in modo uniforme in tutte le direzioni e cioè sull’intero angolo solido (4π steradianti), viene definita omnidirezionale o radiatore isotropo. Si può ora definire il guadagno di potenza come il rapporto fra l’intensità di radiazione nel lobo principale dell’antenna e l’intensità di radiazione di un’antenna isotropa con un’efficienza del 100% avente lo stesso assorbimento di potenza: G (θ , ϕ ) = 4π Δθ ⋅ Δϕ dove Δθ e Δφ sono rispettivamente l’ampiezza del fascio in direzione azimutale e in direzione ascensionale, tutto misurato in radianti. L’angolo azimutale θ fornisce le informazioni direzionali o di posizione e, come in una bussola magnetica, viene misurato in senso orario partendo dal nord. L’altezza φ, invece, viene misurata partendo dall’orizzonte verso l’alto. In alternativa il guadagno stesso può essere definito come: G= 4π ⋅ Aeff λ2 dove Aeff è l’area efficace dell’antenna che solitamente è inferiore all’area reale. Figura 1 - Azimut, elevazione ed ampiezza di fascio. I diagrammi dell’antenna sono direzionali in tre dimensioni, produrne uno è un po’ come schiacciare un pallone sferico per ottenere una sporgenza. Se si vuole G>1 in qualche direzione particolare si deve schiacciare il resto ed ammettere G < 1 da qualche altra parte. Il punto importante è che il guadagno integrato attorno ad un’antenna ammonta al valore unitario. La potenza irradiata da un’antenna isotropa PT si distribuisce in modo uniforme su di una sfera in modo tale che il flusso di potenza ΦT ad una distanza RT dall’antenna è dato da [1][2]: PT 4π RT2 Φ T ( RT ) = PR = Tuttavia le antenne reali non sono omnidirezionali ma concentrano la propria potenza in una data direzione. Per questo è opportuno modificare la precedente equazione tenendo conto della direzione tramite il guadagno d’antenna in modo da ottenere la seguente relazione per il flusso di potenza: ΦT ( RT ,θ , ϕ ) = PT GT (θ , ϕ ) 4π RT2 Tale flusso di potenza investe un bersaglio che espone ad esso una superficie nota come sezione d’urto radar σ (RCS, radar cross section), dipendente dalla forma dell’oggetto colpito, dal materiale che lo costituisce, dalla lunghezza d’onda incidente, etc., per cui il bersaglio reirradierà isotropicamente una potenza data dal prodotto tra il flusso di potenza incidente e la sezione d’urto radar: Preirradiata = Φ T σ = PT GT σ 4π RT2 Ad essa è associato un flusso che si ottiene considerando che tale potenza si distribuisce, nel suo tragitto verso il ricevitore, su una sfera di raggio RR pari alla distanza tra il bersaglio e il ricevitore stesso: ΦR = PT GT σ ( 4π RT2 )( 4π RR2 ) Del flusso inviato al ricevitore solo una parte sarà intercettata dall’antenna, che è in grado di raccogliere una potenza proporzionale alla sua area efficace Aeff , cosicché la potenza al ricevitore PR risulta essere pari a: PR = PT GT σ Aeff ( 4π R )( 4π R ) 2 T 2 R Utilizzando la relazione per l’area efficace si ottiene la fondamentale equazione radar generale, riferibile immediatamente al caso forward-scatter: PR = PT GT GRσλ 2 ( 4π ) 3 2 T 2 R R R L’equazione radar nel caso back-scatter si può ottenere direttamente dalla precedente tenendo conto che RT = RR = R: PT GT GRσλ 2 ( 4π ) 3 R4 L’equazione radar si rivela tuttavia insufficiente in quanto non indica se la potenza è superiore o inferiore al livello di rumore di fondo. È noto infatti che il rumore è sempre presente, sia come rumore interno causato da componenti elettronici, sia come rumore esterno proveniente da sorgenti naturali, quali l’atmosfera, o da interferenze prodotte dall’uomo. Queste sorgenti di rumore sono ad ampia banda rispetto al segnale radar, ed una funzione dei ricevitori radar è quella di adattare l’ampiezza di banda per accettare il segnale, evitando l’entrata di qualsiasi ulteriore rumore. Pertanto si è soliti comparare la potenza ricevuta dal bersaglio con il rumore di fondo medio N presente nel sistema, ottenendo il rapporto segnale-rumore (signal to noise ratio, SNR): SNR = PR P G G σλ 2 = T T3 R2 2 N ( 4π ) RT RR N Equazione radar nel caso ipodenso Le equazioni radar viste precedentemente possono essere differentemente considerate nel caso in cui il bersaglio sia una traccia meteorica di tipo ipodenso. Per semplicità, si può partire da un sistema radar a backscatter, assumendo che la traccia sia approssimabile ad un cilindro circolare infinitamente lungo, il cui diametro risulti molto piccolo rispetto alla lunghezza d’onda del radar, e che solo la componente elettronica della traccia contribuisca alla diffusione. Sotto queste ipotesi, la sezione d’urto radar di una traccia ipodensa in funzione del tempo è espressa da [3][4]: ⎛ 8π 2 r02 ⎞ ⎟ λ2 ⎟⎠ −⎜ ⎜ r 2 q 2 Rλ σ= e ⋅e ⎝ 2 ⋅e ⎛ 32π 2 D ⎞ t⎟ −⎜ ⎟ ⎜ λ2 ⎠ ⎝ dove re è il raggio classico dell’elettrone e vale circa 2.8178 ⋅ 10 −15 m, D il coefficiente di diffusione della traccia e si misura in m2/s ed r0 il raggio iniziale della traccia meteorica in m. Il primo dei tre fattori nella equazione (5.11) rappresenta la sezione d’urto radar iniziale della traccia meteorica (t = 0) nel caso ideale, in cui il raggio iniziale della traccia sia nullo ( r0 = 0 ). Il secondo termine è il fattore di attenuazione dovuto al raggio iniziale finito della traccia. Infine il terzo termine rappresenta l’attenuazione del segnale causata dall’interferenza distruttiva innescata dalla progressiva diffusione ambipolare della traccia. Gli ultimi due termini sono stati calcolati assumendo un modello in cui la distribuzione degli elettroni attraverso la traccia è gaussiana e l’aumento del raggio a seguito della diffusione ambipolare obbedisce alla relazione r (t ) = 4 Dt , in cui r(t) è il raggio della traccia meteorica al tempo t e D è il coefficiente di diffusione [5]. Sostituendo la sezione d’urto nell’equazione radar generale per un sistema a back-scatter si ottiene l’equazione radar a back-scatter per una traccia meteorica ipodensa, valida a grandi lunghezze d’onda ( λ > r0 ) [1]: PR = PT GT G R λ3 q 2 re2 2(4π ) R 3 3 e ⎛ 8π 2 r02 −⎜ ⎜ λ2 ⎝ ⎞ ⎟ ⎟ ⎠ e ⎛ 32π 2 D −⎜ ⎜ λ2 ⎝ t ⎞⎟ ⎟ ⎠ Passando ad un radar a forward-scatter entrano in gioco numerose variabili e la geometria del sistema diventa molto complessa. τ= λ2 32π 2 D mentre per un sistema a forward-scatter è dato da: τ= λ 2 sec 2 φ 32π 2 D Dal confronto immediato tra le due equazioni si ricava che, a parità di lunghezza d’onda e di coefficiente di diffusione, il tempo di decadimento per un sistema a forward-scatter è maggiore di quello di un radar a backscatter di un fattore sec2φ. Equazione radar nel caso iperdenso Lo stesso ragionamento può essere fatto per dedurre le equazioni radar nel caso iperdenso. In tali condizioni si assume che la scia di plasma sia assimilabile ad un cilindro metallico che si espande radialmente per diffusione. La sezione d’urto della traccia iperdensa per un sistema radar a back-scatter è [4]: 1 ⎛ r qλ2 ⎞⎤ 2 R⎡ ⎟⎟⎥ σ = ⎢4 D t ⋅ ln⎜⎜ e 2 4 ⎢⎣ ⎝ 4π D t ⎠⎥⎦ Figura 2 - Geometria di un sistema radar a forward scatter: R è il ricevitore e T il trasmettitore. L’equazione radar completa nel caso ipodenso per un sistema a forward-scatter è data da: PR = PT GT GR λ 3 q 2 re2 sin 2α ( 4π ) RT RR ( RT + RR ) (1 − cos 2 β sin 2φ ) 3 ⋅e ⎛ 8π 2 r 2 ⎞ − ⎜ 2 02 ⎟ ⎜ λ sec φ ⎟ ⎝ ⎠ ⋅e Sostituendo tale espressione nell’equazione radar generale, si deriva l’equazione radar per una traccia iperdensa in un sistema a back-scatter: ⎛ 32π 2 D t ⎞ −⎜ 2 ⎜ λ sec 2 φ ⎟⎟ ⎝ ⎠ dove RT ed RR rappresentano le distanze del trasmettitore e del ricevitore dal punto della traccia in cui è soddisfatta la condizione di riflessione, β è l’angolo tra la traccia e il piano di propagazione (ossia il piano in cui giacciono RT ed RR), ed infine φ è la metà dell’angolo tra RT ed RR (nel piano di propagazione). Il significato dei tre termini che compongono l’equazione per il radar a forward-scatter sono analoghi a quelli visti nel caso del radar a backscatter. L’angolo α che compare nel numeratore del primo termine è l’angolo compreso tra il vettore campo elettrico dell’onda incidente sulla traccia meteorica ed RR. Esso è una misura della variazione di polarizzazione dell’onda elettromagnetica nella diffusione, mentre nel back-scatter tale angolo è sempre α = 90°. Dal confronto tra le due equazioni radar emergono alcune differenze rilevanti tra i due sistemi. Prima di tutto, è utile stabilire un tempo caratteristico di decadimento per un eco ipodenso, definito come il tempo necessario al segnale per ridursi di un fattore 1/e rispetto al suo valore massimo. Questo tempo per un sistema a back-scatter vale: 1 ⎛ r qλ 2 ⎞ ⎤ 2 P G G λ2 ⎡ PR = T T 3R 3 ⎢ 4 D t ⋅ ln ⎜ e 2 ⎟⎥ 4 ( 4π ) R ⎣ ⎝ 4π D t ⎠ ⎦ che è applicabile approssimativamente finché il logaritmo non diventa nullo, ossia fino al tempo: τ′ = re qλ2 4π 2 D Trascorso questo periodo, la traccia continua a seguire la relazione valida per le tracce ipodense. Per il sistema a forward-scatter l’equazione radar nel caso iperdenso risulta molto più complessa in quanto nella sezione d’urto si tiene conto della geometria del sistema: 1 PR = ⎡ 4D t ⎛ r qλ 2 sec 2 φ ⎞ ⎤ 2 ⋅ ⎢ 2 ⋅ ln ⎜ e 2 ⎟⎥ 3 2 2 sec φ 2 ( 4π ) RT RR (RT + RR )( 1 − cos β sin φ ) ⎣ ⎝ 4π D t ⎠ ⎦ PT GT GR λ 2 sin 2 α che è valida fino all’annullamento del logaritmo, cioè fino al tempo: τ′ = re qλ 2 sec2 φ 4π 2 D dopo il quale per la potenza del segnale continua a valere la relazione vista precedentemente. Si può notare che le equazioni per i radar a forwardscatter, sia nel caso ipodenso che iperdenso, ponendo RT = RR = R , φ = 0°, β = 90°, α = 90° , si riducono alle equazioni per un radar a back-scatter. Tutte le relazioni precedenti sono state ricavate supponendo che la lunghezza d’onda fosse molto maggiore del raggio iniziale della traccia, in caso contrario bisognerebbe adottare altre relazioni valide a piccole lunghezze d’onda [5.4]. La lunghezza d’onda di transizione tra i due casi è data dalla relazione: 1 ⎛ 128π 4 D 2 R ⎞ 3 ⎟⎟ λT = ⎜⎜ 2 v ⎝ ⎠ che per i valori tipici del sistema radar utilizzato nel presente lavoro (R = 500 km, v = 40 km/s e D = 3 m2/s) vale circa 3 metri. Bibliografia [1] Kingsley S., Quegan S.: Understanding Radar Systems, edito da McGarw-Hill, London, (1992) [2] Skolnik M.: Radar Handbook, McGraw-Hill, New York, (1970) [3] McKinley D.W.R.: Meteor Science and Engineering, edito da McGraw-Hill Book Company, (1961) [4] Sugar G.R.: Radio propagation by reflection from meteor trains, Proceedings of the IEEE, (1964) [5] Keiser T.R.: Radio echo studies of meteor ionization, Advan. Phys., 2, p. 495-544, (1953) Mario Sandri, [email protected], http://www.mariosandri.it Procedura di analisi dei dati IARA Group, GRRAT, SdR RadioAstronomia UAI, Società Italiana di Fisica, IMO ____________________________________________ Abstract Vviene affrontata la questione dell’analisi dei dati. Quelli ricavati dal sistema radar subiscono una prima selezione attraverso un processo di preelaborazione durante la loro fase di acquisizione. Nonostante ciò essi devono subire ulteriori riduzioni e correzioni, come la sottrazione del background, il recupero del dead-time e la correzione per gli effetti chimici. I dati così ottenuti servono per ricavare il profilo di attività dello sciame e il suo indice di massa. I dati visuali, invece, sono stati reperiti dall’archivio dell’International Meteor Organization e, dopo una opportuna scrematura, sono stati utilizzati per ricavare il tasso orario zenitale o ZHR e l’indice di popolazione che è direttamente collegabile con quello di massa. ____________________________________________ San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l’aria tranquilla arde e cade, perché di gran pianto nel concavo cielo sfavilla. (…) E tu, Cielo, dall’alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh! d’un pianto di stelle lo inondi quest’atomo opaco del Male X Agosto, Giovanni Pascoli, Myricae Dati radio Le principali correzioni che devono essere effettuate a seconda dei casi sono: 1. sottrazione dell’attività meteorica sporadica (sottrazione del background); 2. correzione per il tempo di oscuramento dei segnali radio riflessi dalle tracce meteoriche (dead-time); 3. correzione delle durate per gli effetti di dissipazione non dovuti al processo di diffusione della traccia meteorica. Il background sporadico Uno sciame meteorico è caratterizzato dal fatto che le meteore ad esso associate sembrano provenire da una medesima zona del cielo detta radiante. Tuttavia è presente un’attività di fondo caratterizzata da meteore sporadiche, le quali non presentano un radiante ben definito. Per eliminare la contaminazione di questi ultimi oggetti, in fase di analisi è opportuno sottrarre il contributo del fondo dall’attività dello sciame esaminato. Questa procedura sarebbe ottimizzata, e quindi molto più semplice, se il sistema radar fosse in grado di determinare la posizione di provenienza delle meteore, in modo da selezionare solo quelle che provengono da uno stesso radiante. Tuttavia, tale modalità non può essere utilizzata con lo strumento in dotazione e quindi è necessario intervenire in altro modo. La sottrazione del background è complicata ulteriormente dal fatto che l’attività sporadica non è costante nel tempo, in quanto presenta variazioni sia a breve periodo (variazione diurna) sia a lungo periodo (variazioni stagionali). Le cause di queste variazioni sono da ricercarsi principalmente in due effetti sovrapposti: 1. effetto apice del moto orbitale della Terra; 2. variazioni reali nella distribuzione della materia interplanetaria. Per definizione l’apice del moto terrestre è quel punto dell’eclittica verso il quale sembra muoversi la Terra istante per istante. Tale punto è sempre posto a 90° di distanza angolare dal Sole e, come questo, l’apice si muove giornalmente di 0.99 gradi lungo l’eclittica. Si definisce invece antiapice il punto sulla sfera celeste posto a 180° dall’apice, vale a dire il punto dell’eclittica opposto al moto di direzione della Terra. Assumendo una distribuzione spaziale costante di meteore sporadiche, l’effetto apice consiste nel fatto che maggiore è l’altezza dell’apice sull’orizzonte dell’osservatore, maggiore sarà il numero di meteore incontrate. Viceversa, maggiore è l’elevazione dell’antiapice e minore sarà l’attività di fondo. Va sottolineato il fatto che l’apice non è una sorta di radiante, ma rappresenta, in sostanza, la porzione di atmosfera terrestre esposta frontalmente al moto orbitale del nostro pianeta, regione in cui è maggiore la probabilità di impatto con meteoroidi disposti in maniera uniforme. La variazione diurna del flusso sporadico è la prima evidenza di tale effetto in quanto il massimo di attività sporadica è registrato intorno alle ore 06 locali, quando l’apice è alla maggiore altezza sull’orizzonte, mentre il minimo si osserva alle 18 locali in corrispondenza della massima elevazione dell’antiapice rispetto all’osservatore. effetti dovuti alla variazione diurna. Tuttavia questo metodo presenta possibili problemi, dovuti al fatto che molto spesso vengono campionati pochi giorni attorno al massimo previsto di attività dello sciame o che l’attività dello sciame che si vuole analizzare non è molto appariscente e tende ad avere dei flussi non molto superiori a quelli del fondo. Fortunatamente, per gli sciami analizzati in questo lavoro tali problemi non si sono verificati. Figura 1 - Geometria dell’effetto apice, che sta alla base delle variazioni diurne del flusso sporadico. Nelle ore serali (18 TL) solo le meteore più veloci, che riescono a raggiungere la Terra, possono essere osservate. Nelle prime ore del mattino (06 TL) l’osservatore è esposto frontalmente al moto terrestre, per cui sono rivelabili non solo le meteore veloci, ma anche quelle più lente. In questa breve analisi non si è fatto riferimento al fatto che la Terra presenta un’inclinazione del suo asse pari a 23.27° rispetto alla normale del piano orbitale. Tale caratteristica rende l’effetto apice una delle cause che contribuiscono alla variazione stagionale del background sporadico. Infatti, per un osservatore posto a latitudini superiori a 23.27° (tropico del Cancro), come nel nostro caso, si osserva un picco annuale di attività del background sporadico in corrispondenza dell’equinozio autunnale (23 settembre). In tale data, infatti, l’apice rimane sopra l’orizzonte dell’osservatore per un numero maggiore di ore rispetto ad altri periodi ed inoltre raggiunge la massima altezza sull’orizzonte. Ovviamente il minimo stagionale di attività lo si ha in corrispondenza dell’equinozio di primavera (21 marzo), giorno in cui è l’antiapice a raggiungere la massima elevazione e a perdurare per un periodo maggiore di ore. Oltre al precedente effetto, la variazione stagionale del background sporadico è dovuta al fatto che la distribuzione di meteoroidi nello spazio interplanetario, incontrata dalla Terra durante il suo moto, non è uniforme. Sembra che le meteore sporadiche abbiano una densità spaziale maggiore nell’ultima parte dell’anno. Questo sta a significare che negli ultimi mesi dell’anno nel nostro emisfero tale flusso andrà a sommarsi a quello dovuto per effetto apice, provocando così una ampia variazione stagionale, mentre in quello australe i due contributi dovranno essere sottratti determinando variazioni molto meno accentuate dell’attività sporadica. Ovviamente tutto il discorso si inverte andando a considerare i primi mesi dell’anno. Per minimizzare gli errori causati dalla presenza del fondo sporadico si è andati a mediare i flussi sporadici in numerosi giorni in cui non vi era l’attività dello sciame, con l’accorgimento tuttavia di non selezionare giorni troppo lontani dal periodo di attività dello sciame considerato. Questa scelta è stata fatta per minimizzare eventuali fluttuazioni stagionali del background sporadico. Inoltre, il fondo è stato campionato ad intervalli orari e sottratto nelle ore in cui veniva investigato lo sciame per ridurre al minimo gli Correzione per il dead-time Un radar è in grado di rilevare un eco alla volta e questo significa che se vi è la presenza contemporanea di due o più echi, solo uno viene rilevato. Di conseguenza nel corso della fase di acquisizione si ha un accumulo di tempo morto (dead-time) che è opportuno ridurre. È possibile correggere il dead-time attraverso due differenti procedure applicabili in due casi distinti, a seconda che si considerino distribuzioni in ampiezza o in durata degli echi. Nell’analisi della distribuzione in ampiezza si assume che gli echi di maggiore ampiezza oscurino quelli più deboli durante il tempo ΔT in cui avviene l’inseguimento dell’eco. Se tutti gli echi fossero della stessa durata si potrebbe applicare la classica correzione adottata per i contatori Geiger: Nc = N 1 − N ΔT dove Nc è il numero di eventi corretto per il dead-time, N è il numero di eventi misurato e ΔT è il tempo di riflessione di un singolo evento espresso come frazione del tempo totale in cui è misurato N. Tuttavia le meteore più luminose presentano una riflessione più durevole che maschera la riflessione delle meteore più deboli. Se il segnale osservato di una determinata ampiezza maschera tutti i segnali di una ampiezza inferiore in un intervallo ΔT variabile, allora la correzione è [1][2]: Nc = 1 1 ⎛ ⎞ ln ⎜ ⎟ Δ T ⎝ 1 − N ΔT ⎠ Questa relazione si può applicare al primo ordine quando l’interferenza distruttiva dei segnali riflessi da altre meteore non causa complicazioni addizionali. La procedura correttiva nel caso in cui si consideri la distribuzione degli echi in durata si basa sul fatto che il sistema continua ad inseguire l’eco meteorico fino a quando la sua ampiezza non scende al di sotto del limite di soglia stabilito. Questo rende gli echi più lunghi sovrapposti a quelli di minore durata, indipendentemente dalla loro ampiezza. Sfruttando questa caratteristica è possibile utilizzare un metodo semplice per correggere il dead-time. Si suddividono gli echi in classi di durata fissata e ad ogni classe si stabilisce un fattore di correzione che dovrà essere moltiplicato per il numero di echi di quella specifica classe. Tale fattore correttivo si calcola sulla base del tempo di inibbizione del siistema provoccato dagli eveenti appartenenti alla classe di durata da corrreggere e a tuutte d durata suuperiore. Sfrruttando questa le classi di definizione e ordinando lee classi in orddine crescente di durata si ottieene: Cn = ∑ ΔT i≥n i Ttot ma dove Cn è il fattore corretttivo da appliccare alla n-esim t di oscuuramento dovuuto classe di durrata, ΔTi è il tempo agli eventi della classe i-esima e Ttot è il tem mpo complessivo dell’acquisiziione dei dati in esame. d è particolarmennte La correzione per il dead-time u indicata per sciami attivi,, ma che non presentano una a com me nel casoo di tempeste eccessiva attività, meteoriche, in quanto vi v è la sovrrapposizione di innumerevoli echi meteoriici e questo reende inaffidabbile tale procedurra. p effetti chimici Correzione per È stato osseervato come esistano prinncipalmente tre effetti che concorrono c allla dissipazioone di una sccia meteorica: diffusione d am mbipolare, riccombinazione e attaccamentoo. Il primo di d questi fattoori è quello che c maggiormentte viene conssiderato ed è anche l’unicoo a cui ci si riferrisce nello scrrivere le equaazioni radar e le equazioni che da esse derivvano. Questa c di traccce approssimaziione è veraa solo nel caso meteoriche di d breve durata, invece quanndo si vanno ad indagare traccce di durata maggiore, m dunnque prodotte da meteoroidi più p massicci, non si possonno escludere gli altri effetti di dissipazioone secondarri (diffusione e attaccamentoo) che vengoono indicati come proceessi chimici [3]. Infatti, andanndo a rappresentare in scaala bilogaritmicaa il numero cuumulativo Nc di echi radarr in funzione dellla durata dell’’eco T, si ottieene una curvaa di pendenza neegativa che corrisponde alla previsioone fisica che il numero n di corrpi interagenti con l’atmosfe fera sia inversam mente proporzzionale alla dimensione dei d corpi stessi e cioè alla looro massa chee è direttamennte correlata coon la duraata dell’eco stesso. Oggni distribuzionee ha un andaamento regollare fino ad un punto ben deeterminato, chhe dipende dalllo sciame, olltre il quale la curva c cambiaa la propria pendenza. Essso determina duue zone nettaamente distinte. La mancannza di echi di lunga durata è oggetto di discussione orm mai v imputaata da molti annni. Negli annni ’60 essa veniva esclusivamennte all’attaccaamento [3][4][[5][6][7], menntre negli anni ’770 sono stati fatti ulteriorii passi in avaanti nello studio dei fenomenni meteorici approfondendo a o i processi chimici coinnvolti nell’iinterazione di con l’attmosfera [88][9][10]. meteoroidi La determinazioone delle costtanti di reazioone ha mostraato che la sensibbile diminuziione di traccee iperdense non n può essere attribuita unnicamente all fenomeno di attaccamentoo degli elettrooni. È emersoo perciò che la ricombinazioone contribuuisce a tale fenomeno in maniera rilevvante. Fiigura 2 - Grafico o in scala biloga aritmica del num mero cumulativo o di echi Nc in funzzione della dura rata T in second di. La flessione e div vide il grafico in due zone, qu uella a sinistra dominata dalla a difffusione, mentrre quella sinistrra dominata da a effetti chimicii (riicombinazione e attaccamento)). Nonostante laa ricombinazzione sia un u processoo im mportante, le piccole p costannti di reazionee βR e la bassaa co oncentrazione degli ioni positivi co oinvolti nellaa reeazione rendono tale prrocesso quassi del tuttoo traascurabile ai fini della disstruzione della traccia, neii co onfronti, ad esempio, e conn la diffusion ne ambipolaree [11]. Perciò nellla maggior paarte dei casi tale t fenomenoo no on necessita di d alcuna correezione. Il fenomeno dell’attaccam mento, invecce, è moltoo mportante perr la determinnazione della durata deglii im ecchi iperdensi.. Per corregggere la duratta degli echii ip perdensi è stata utilizzatta la seguen nte relazionee [6 6][12]: TD = TA ⋅ e 1 ⎡ ⎤ ⎢ ⎛ TD ⎞ 4 ⎥ ⎢ B0 ⎜ T ⎟ TA ⎥ ⎢ ⎝ 0⎠ ⎥ ⎣ ⎦ do ove TD è la durata dell’’eco in presenza di solaa diiffusione, TA è la duraata dell’eco in presenzaa deell’attaccamennto, mentre il termine B0 lo si puòò riccavare attraveerso la seguentte equazione [12][13]: [ B0 = e( −0.16612 H +11.49) nfine T0 è la duurata di un eco iperdenso corrispondentee in alla velocità geocentrica g ddel meteoroid de all’altezzaa me e si può ricavare r dallaa caaratteristica H dello sciam seeguente relazioone semiempiirica [3]: T0 = re λ 2 q 2 ( sin φ ) 2 4π D ove re è il ragggio classico dell’elettronee e vale circaa do 2.8178 ⋅ 10 −15 m, D il coeffficiente di difffusione dellaa traaccia in m2/s, q la densità elettronica lin neare in el/m,, Φ l’angolo di d riflessione medio m della trraccia meteoriica pari a circa 75° 7 e λ la lunnghezza d’ondda trasmessa del d radar. Quessta apparenteemente sempplice relazioone presenta al suuo interno duee incognite chhe devono esseere calcolate: il coefficiente di diffusionne e la denssità l Per calcolare q si utilizza la elettronica lineare. seguente form mula [3][6]: co orrisponde siaa all’aumentoo del numerro di piccolee paarticelle, ma anche all’areea della sezione d’urto a paarità di massa totale (Figuraa 3). H = 82 + 49 log l v − 4.4 loog q me dove v è la velocità caratteristicaa dello sciam v di D, la analizzato inn km/s. Per calcolare il valore letteratura ci offre due equuazioni [14]: M Massey D = 100.06 H − 4.74 Veerniani D = 100.086 H − 7.23 v utilizzatta per sciami la La relazionee di Massey viene cui altezza caratteristica c è inferiore ai 100 chilomettri, mentre quellla di Verniani si sfruttta per sciaami caratterizzatii da un’altezzza pari o suuperiore ai 100 1 chilometri, come suggeritoo da Jones [144]. s ricavano soono solo dei valori medi in Quelli che si quanto, a riggore, si dovrebbe calcolarre l’altezza e la velocità dii ogni singola meteorra che enntra nell’atmosferra [15]. Tuttavia, la relazione precedente noon è risolvibbile analiticamennte. Per tale ragione si è utilizzato un algoritmo peer la risoluzionne numerica per p mezzo di una u tecnica iteratttiva. L’algorritmo pone unn valore iniziaale di prova per p TD e, attraverso approssimazio a oni successive, determina il valore cercaato di TD enntro l’errore stabiilito. Indice di maassa Abbiamo vissto come il nuumero di metteoroidi dipennda inversamentee dalla massaa. Conoscere la massa di un oggetto inteerplanetario è indispensaabile per daare un’indicazionne dell’origine, dei processi di frammentazione e delle perturbazionii che tali corpi hanno subitoo. A questo scopo è utile inttrodurre l’indiice di massa s che è definito dalll’equazione di distribuzionee di massa dei meteorooidi. Il numeero cumulativo di d particelle N con masse maggiori m di m è proporzionalle a m1-s, ovvero [16][17]: Fiigura 3 - Variazione dell’indicce di massa: l’a aumento di tale e pa arametro coinciide con un inccremento di pic ccoli corpi e, a pa arità di massa, dell’area d della se ezione d’urto. minare l’indicce di massa, è Peer essere in grrado di determ neecessario traasformare laa massa, generalmentee in nosservabile direttamente, d in una quanttità rilevabilee daal radar. Si puuò definire innnanzitutto laa magnitudinee asssoluta radio Mr in funzionne della densiità elettronicaa lin neare q: M r = 40 − 2.5log q do l’equazionee Il valore di q puuò essere ricavvato sfruttand onsiderano lee dii ionizzazionee (3.4), tuttaavia se si co eq quazioni di decelerazione d e e di perditta di massa,, ab bbiamo che l’equazione di ionizzazione diventaa [6 6.11]: N ( m ) ∝ m1− s La precedennte relazione è nota comee funzione deella distribuzionee di massa o più p semplicem mente funzionee di massa. Diffeerenziandola sii trova [3][18]][19]: dN ∝ m − s dm c L’indice di massa è sperrimentalmentee un valore che supera l’uniità in quantoo i corpi di minore masssa predominanoo nettamente rispetto a quelli q di masssa maggiore. Sii noti che l’aaumento dell’indice di masssa q=− β m0 cos z ρ ⎛ 1 ρ ⎞ ⎜1 − ⎟ ma H * ρ m ⎝ 3 ρ m ⎠ ove m0 è la massa m iniziale del meteoroid de, z l’angoloo do zeenitale, H* l’alltezza di scalaa atmosferica ricavabile daii modelli, m ρ la deensità atmosfeerica nel puntto consideratoo e ρm la denssità dell’aria nel punto di massimaa onizzazione. io Dall’equazione emerge chhe la durata di un ecoo perdenso è direttamente d pproporzionale alla densitàà ip lin neare di carrica, che a sua volta è direttamentee proporzionale alla massa del meteoroide, per cui T ∝ m . Quindi il rapporto tra le durate di due echi iperdensi, generati da meteoroidi appartenenti al medesimo sciame e caratterizzati circa dallo stesso angolo zenitale, fornisce direttamente il rapporto tra le masse iniziali dei meteoroidi: T1 m1 = T2 m2 Infatti è stato dimostrato che il numero cumulativo Nc di echi iperdensi di durata superiore a TD è legato all’indice di massa s secondo la relazione [5][20]: 3 (1− s ) 4 D Nc ∝ T dalla quale logaritmica: è immediato log N c = trovare la relazione 3 (1 − s ) log TD + k 4 dove k è una costante. Rappresentando in scala bilogaritmica il numero cumulativo di echi in funzione della durata in presenza di sola diffusione, il coefficiente angolare della retta di interpolazione fornisce direttamente il valore dell’indice di massa. Andando a selezionare intervalli orari è possibile ricavare per ognuno di essi il corrispettivo indice di massa. Lo studio dell’andamento di tale parametro nel corso di una giornata evidenzia una variabilità che riflette la diversa distribuzione della popolazione dei meteoroidi all’interno dello sciame. Nel caso menzionato è stata utilizzata una dipendenza lineare tra s e il logTD tuttavia è stata proposta una dipendenza quadratica tra queste due quantità [21]: s = s0 + s1 log TD + s2 ( log TD ) 2 Misure effettuate in un ampio range di masse hanno dimostrato, comunque, che la dipendenza tra queste due quantità può essere considerata lineare. Dati visuali I dati visuali possono invece essere prelevati dall’archivio dell’International Meteor Organization (IMO) disponibili in rete. Questi dati sono spesso utilizzati da ricercatori professionisti per la verifica delle loro teorie [22][23][24][25]. A differenza dei dati radio in cui è stato analizzato solo il giorno relativo al massimo dello sciame, per i dati visuali sono stati osservati il giorno del massimo, quello antecedente e quello successivo al massimo, questo per avere a disposizione un numero maggiore di valori e per valutare possibili discrepanze coi risultati ottenuti con la tecnica radar. Attraverso lo studio di meteore visuali si possono ottenere due importanti risultati: lo ZHR (Zenithal Hourly Rate o Tasso Orario Zenitale) e l’indice di popolazione r. Questi due parametri possono essere confrontati rispettivamente col profilo ricavato attraverso l’analisi dei dati radar e con l’indice di massa. Calcolo dello ZHR Per conoscere l’attività di uno sciame nella banda visuale sembrerebbe sufficiente contare il numero di meteore a intervalli orari determinati. Tuttavia, questo non è sufficiente per una valutazione quantitativa dell’attività di un determinato sciame. Infatti, il numero di meteore osservato sarà influenzato da diversi fattori, come la distanza del radiante dallo zenit, la magnitudine limite, la presenza di ostacoli nel campo visivo. Per poter confrontare dati provenienti da diversi osservatori, o da osservazioni compiute in condizioni di cielo differenti, è necessario introdurre una grandezza che viene chiamata ZHR. Lo ZHR rappresenta il numero di meteore appartenenti ad uno sciame osservate in condizioni standard, cioè con una magnitudine stellare visuale limite pari a 6.5, il radiante allo zenit e la volta celeste totalmente libera da ostacoli e nubi, nonché, naturalmente una visione di 360°. La formula più generale per il calcolo dello ZHR è [26][27][28]: ZHR = N 6.5− Lm −γ r sin ( hr ) c p Teff dove N rappresenta il numero di meteore di sciame conteggiate nel tempo efficace Teff, r e γ sono parametri che dipendono dallo sciame considerato, Lm è la magnitudine limite, hr è l’altezza del radiante sopra l’orizzonte dell’osservatore e cp è il fattore di percezione. Nonostante la precedente sia la formula più generale applicabile, normalmente viene utilizzata con delle standardizzazioni atte a rendere omogenei i risultati dei diversi ricercatori. Per tale ragione ci rifaremo alle procedure utilizzate dall’IMO e dalla maggior parte dei ricercatori [17][23][29][30]. La codifica adottata considera il valore di γ pari a 1, perché l’introduzione di tale parametro è ancora oggetto di discussione e di verifica [31]. Il valore dell’indice di popolazione r nonostante vari nel tempo, in questa analisi viene normalmente considerato costante. Per uniformità sono stati presi i valori di r utilizzati dall’IMO, anche se alcuni autori preferiscono usare r = 2.5 per gli sciami meteorici e r = 3.4 per le meteore di background [32]. Infine, il fattore di percezione cp varia da osservatore a osservatore e dipende da fattori quali la tecnica di osservazione e l’esperienza, ma anche da caratteristiche biologiche e fisiologiche come l’età, il campo effettivo, la sensibilità della retina e la trasparenza del cristallino. Generalmente, questo parametro viene posto uguale a uno data la difficoltà di misurarlo con precisione, altre volte, come nel nostro caso, si considera come contributo unicamente il campo effettivo F, che corregge l’influenza attribuita a ostacoli o nubi che oscurano parte del campo visivo. L’eventuale disturbo della luce solare e lunare è corretto dalla normalizzazione della magnitudine limite. Per rendere più omogenei i risultati sono stati selezionati solo quei dati che presentavano una magnitudine limite pari o superiore a 5.5. Un ulteriore accorgimento nell’analisi è stato quello di selezionare solo quei dati che presentavano un’altezza del radiante superiore ai 20° e di mediare dinamicamente i valori dello ZHR allo scopo di ridurre gli errori. Calcolato il valore dello ZHR è necessario stabilire l’attendibilità dello stesso attraverso la sua incertezza. Quest’ultima dipende a sua volta dall’entità degli scostamenti dalle condizioni standard e può essere calcolata con la seguente formula [26][29]: σ ZHR = ZHR N tot dove Ntot rappresenta il numero totale di meteore osservate, comprese quelle non appartenenti allo sciame. Indice di popolazione L’indice di popolazione r è il corrispettivo in campo visuale dell’indice di massa s adottato nel dominio radar. Allo stesso modo r dà una stima sulla composizione dei meteoroidi che formano un determinato sciame. L’indice di popolazione è una stima del rapporto del numero di meteore in classi di magnitudini contigue [29][30]: r= N ( M + 1) N (M ) In sostanza r è un valore che indica quanto sono numericamente superiori le meteore di magnitudine M + 1 rispetto a quelle di magnitudine M. Nonostante la definizione possa apparire alquanto semplice, la sua applicazione richiede una laboriosa procedura. Anche in questo caso sono stati analizzati i dati riguardanti le magnitudini prelevati dall’archivio dell’IMO. Il range delle luminosità viene suddiviso in quattordici classi unitarie, dalla -6 alla +7, che, per comodità, chiameremo Mi e, per ogni rispettiva classe, vengono segnalate il numero di meteore osservate Ni. Successivamente è necessario calcolare la variazione di magnitudine ΔMi di ogni classe rispetto alla magnitudine limite Lm: ΔM i = Lm − M i Si ottengono così le nuove classi di magnitudine ΔMi a cui corrispondono un numero di meteore pari alla rispettiva classe Mi. A questo punto si ottiene la media pesata <ΔM> utilizzando la seguente formula: < ΔM >= ∑ ΔM N ∑N i i i i i Per ridurre al minimo gli eventuali errori è stata eseguita una media dinamica a venti punti dei vari risultati ottenuti. Il valore dell’indice di popolazione si ricava interpolando i dati ottenuti con quelli contenuti in una tabella di riferimento. Tabella 1 - Valori di riferimento standard per il calcolo dell’indice di popolazione r data la conoscenza della media delle classi di magnitudine riferite ad una magnitudine limite. r 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 2.0 2.1 2.2 2.3 2.4 <ΔM> 5.830 5.301 4.894 4.568 4.298 4.069 3.872 3.700 3.549 3.413 r 2.5 2.6 2.7 2.8 2.9 3.0 3.1 3.2 3.3 3.4 <ΔM> 3.291 3.180 3.079 2.987 2.902 2.823 2.750 2.682 2.618 2.559 r 3.5 3.6 3.7 3.8 3.9 4.0 4.1 4.2 4.3 4.4 <ΔM> 2.503 2.450 2.400 2.353 2.308 2.266 2.260 2.187 2.151 2.116 La stima dell’errore dipende molto dal numero N di meteore in esame nel calcolare l’indice di popolazione e per 10 < N < 400 vale la seguente formula [29]: σ r = ( 4.07 N −0.764 + 0.2 ) N Ntot dove Ntot rappresenta il numero totale di meteore incluse nell’analisi. A questo punto è possibile connettere l’indice di popolazione r con l’indice di massa s, in quanto esiste una ben nota relazione tra la magnitudine assoluta visuale Mv di una meteora e la potenza luminosa I irradiata dal meteoroide [3]: M v = 6.8 − 2.5log I Almeno nel dominio ottico, si è accertato che la luminosità della meteora è direttamente proporzionale alla massa del meteoroide stesso [17]: I ∝ mb dove b in generale non è una costante, ma dipende da molti fattori quale, ad esempio, l’angolo zenitale. Dalla definizione di indice di popolazione e di massa si trova la relazione che lega queste due quantità: s = 1 + 2.5b log r Si è soliti attribuire al parametro b un valore costante pari a uno. Generalmente ai profili visuali si associa il grafico dell’andamento dell’indice di popolazione, dal quale è possibile ricavare utili informazioni sulla composizione delle particelle facenti parte dello sciame considerato. 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Storicamente sono stati usati metodi visuali successivamente sostituiti da tecniche più raffinate quali la fotografia e in seguito utilizzando apparecchiature elettroniche. Nonostante vi siano diversi modi per effettuare una simile indagine, tra i più efficaci e utilizzati vi è sicuramente l’utilizzo del radar, il cui eco è dovuto alla scia ionizzata che si verifica grazie al processo di ablazione attraverso il quale le molecole d’aria staccano molecole dalle meteore e ne provocano dissociazione e ionizzazione. Il radar più comune è caratterizzato dal fatto che il trasmettitore e il ricevitore sono posti nello stesso luogo e fanno parte integrante di un unico complesso. Questo tipo di radar è detto monostatico o a retrodiffusione (backscatter). In tal caso l’onda trasmessa si riflette specularmente sulla traccia ionizzata e viene registrata da un sistema ricevente situato nello stesso luogo del ricevitore. Se il ricevitore e il trasmettitore sono posti in due località separate, fino a 200 km di distanza, il radar è detto bistatico o a diffusione in avanti (forward scatter). Se poi si ha più di un ricevitore è possibile realizzare un radar multistatico. Alcuni fattori hanno impedito lo sviluppo di tali strumenti, soprattutto la complessità della geometria per la localizzazione del bersaglio e la difficoltà di sincronizzare i sistemi trasmittente e ricevente per misurare l’effetto doppler dovuto allo spostamento della traccia ionizzata causato dai venti di alta quota. A vantaggio di quest’ultimo sistema è il fatto di poter lavorare con onde continue che permettono di avere un’ampiezza di banda molto contenuta, con incremento della sensibilità e minor influenza da parte di sorgenti radio esterne, e di avere una risposta temporale dell’eco molto più lunga. Analizzando brevemente i processi che producono la scia ionizzata lasciata dalle meteore, in primis si vede come il processo di ablazione inizi nella regione E della ionosfera ad un’altezza di circa 100 km e termini dopo circa 10 km. In tale zona l’energia cinetica di una meteora tipica è un centinaio di volte maggiore della sua energia di legame che è dell’ordine dell’elettronvolt e questo evidenzia come la grandissima parte delle meteore sia destinata ad evaporare nell’atmosfera. Il fatto che il cammino libero medio in tale regione sia di qualche centimetro, confrontato con la dimensione media delle meteore che è circa un millimetro, fa sì che non vi sia la formazione di un fronde d’onda, infatti il processo collisionale può essere visto come una serie di urti singoli anelastici tra le molecole d’aria e quelle della meteorite che provocano il riscaldamento di queste ultime. La meteora vaporizza e i suoi atomi mantengono la medesima velocità finché successivi urti con le molecole d’aria non ne causano un rallentamento. Quest’ultime collisioni sono le responsabili della scia di gas ionizzato e della successiva emissione di luce per ricombinatine degli ioni. Tale fenomeno, in campo radio, è accompagnato dalla formazione di una scia di plasma di diametro dell’ordine dei centimetri e di lunghezza della decina di chilometri, che segue la meteora e che svanisce rapidamente. Tale scia è paragonabile ad un cilindro metallico riflettente, che, una volta investito da un’onda radio abbastanza lunga, inizia ad oscillare e ad emettere. L’equazione della potenza radar per tali oggetti risulta essere: Pr = cost. q2 Pt G2 A λ3 / d3 dove q è la densità lineare elettronica, Pt la potenza trasmessa, G il guadagno dell’antenna, A la sua area e d la distanza. Da notare che tale equazione differisce da quella generale del radar: Pr = cost. Pt G A s / d4. Il massimo del segnale si ha quando la scia è perpendicolare alla direzione di emissione. Un’altra cosa interessante, che l’equazione esprime, è il fatto che la potenza aumenta col cubo della lunghezza d’onda. Tale parametro è molto importante in quanto la durata e la frequenza aumentano più o meno col quadrato di tale parametro. Una frequenza intorno ai 30 – 40 MHz risponde bene ai requisiti necessari. D’altra parte è sconsigliabile scendere sotto i 30 MHz per non incorrere in disturbi causati dall’elevata propagazione ionosferica e non è permesso scendere sotto i 15 MHz a causa del forte assorbimento della regione D della ionosfera. Tutti gli oggetti minori, che si trovano nel sistema solare, si ritiene siano nati dalla medesima nebulosa che diede origine al Sole ed ai pianeti. Tale affermazione la si può fare e ritenere valida perché non è mai stata riscontrata, in asteroidi o comete, una velocità superiore a quella di fuga del sistema solare, tuttavia nulla vieta di pensare che vi siano oggetti che provengono dal mezzo interstellare o da addirittura altri sistemi stellari. Infatti, come alcune comete sono state espulse dal sistema solare per opera della gravità del sole, così si può ritenere che vi sia un flusso di oggetti di origine extrasolare che penetra in esso. Tali oggetti si deve pensare che siano per la loro quasi totalità delle particelle minuscole che non appena entrano in contatto con l’atmosfera terrestre vengono identificate come meteore. A sostegno di questa ipotesi, la sonda Ulysses ha trovato nei pressi di Giove un flusso di particelle identificate, attraverso la loro velocità e traiettoria, come di origine interstellare. È possibile ricavare il flusso di particelle che entrano in atmosfera e da questo discernere quelle di origine extrasolare attraverso la tecnica radar, che per calcolare le caratteristiche delle meteore, prima fra tutte la velocità, si basa sulla diffrazione di Fresnel. Tale tecnica fu introdotta da Herlofson e si basa sull’analogo effetto in campo ottico. minimo e il massimo è facilmente ricavabile, dato che sono state utilizzate delle forti approssimazioni nello studiare il fenomeno, utilizzando semplicemente il teorema di Pitagora ed eliminando i termini di ordine superiore. La distanza tra il primo massimo (A’) e il primo minimo (B’) risulta essere pari a: PB’ – PA’ = 0.3 Se la meteora viaggia a velocità V, essa deve coprire questa distanza in un tempo t: t= Nella figura, O rappresenta il punto di osservazione mentre QQ’ è la colonna ionizzata formata dalla meteora e P il punto dove cade la perpendicolare del segnale. Nel grafico si ha OA = OA’ = R + λ/4 OB = OB’ = R + λ/2 OC = OC’ = R + 3λ/4 OD = OD’ = R + λ, eccetera dove ovviamente R è le distanza tra il radar e la scia ionizzata che può essere misurata misurando il tempo di andata e ritorno del segnale sapendo che questo viaggia alla velocità della luce. Gli elettroni all’interno del cilindro cominciano a muoversi e ad irradiare in tutte le direzioni e dunque anche verso il radar. Dato che i cammini percorsi da queste onde saranno diversi si potranno avere situazioni di massimo e minimo d’intensità. L’ampiezza scatterata, vedi figura, è praticamente nulla fino a quando la meteora non entra nella zona AP, fino al massimo in A’, per poi decrescere fino B’ e poi riprendere a risalire, e così via. L’andamento previsto e trovato è quello mostrato nel grafico. La distanza tra il λR 0.3 λ R V Facendo un semplice esempio, se V = 40 km/s, R = 100 km e λ = 4 m, risulta t = 3.25 millisecondi. Questo esempio suggerisce che il segnale radar deve essere emesso almeno una volta ogni millisecondo affinché si possa fare un’analisi accurata dei dati. Affinché una meteora sia di origine extrasolare deve avere una velocità misurata V di circa 73 km/s o superiore (limite di orbita parabolica), pari a una velocità reale v di 42.1 km/s. Per capire meglio questi dati si consideri che la velocità misurata V di una meteora che entra nell’atmosfera, detta geocentrica, è una combinazione della sua velocità reale attorno al sole v, detta eliocentrica, e di quella della Terra W, pari a 29.8 km/s. Come si vede V può variare tra W – v e W + v. I calcoli mostrano che per una meteora che si trovi in orbita parabolica, considerando la sola attrazione solare, si ha v = W 2 e dato che si conosce il valore di W si deduce che v = 42.1 km/s. Questo è il limite di parabolicità che corrisponde a V = 72 km/s, il quale, se si introducono calcoli più raffinati contenenti l’attrazione terrestre, portano il valore a 73 km/s. Da una campagna osservativa del 1990/91 condotta su un campione di 350000 meteore (Taylor, Baggaley, Steel, Nature, 380, p. 323, 1996) è emerso che il 14% di esse presentano una velocità superiore ai 73 km/s. Tuttavia il problema è capire quante di queste particelle siano veramente di origine extrasolare e non aventi orbite legate affette da un grande errore di misura. Per evitare possibili errori gli autori della ricerca hanno analizzato meteore con velocità maggiore a 100 km/s e hanno trovato che il numero di esse è circa 1% del totale. Questa scelta è avvalorata dal fatto che la stima dell’errore sulla misura della velocità σ è stata ricavata essere pari a circa 6 km/s con dati che presentavano un’incertezza fino a 3σ. Questa drastica approssimazione, ma inevitabile a causa degli strumenti d’indagine, fa pensare che il maggior numero di particelle extrasolari sia stato escluso dalla ricerca. Dopo le opportune stime, è stato ricavato per gli oggetti selezionati una velocità media di circa 140 km/s. L’esperimento presentava una magnitudine limite Mlim pari a 12.5 e in prossimità di tale valore le meteore erano più piccole di quelle provenienti da orbite legate dalle dimensioni ordinarie di circa 100 μm. Verniani ha determinato una relazione empirica tra la densità lineare elettronica q (in m-1), la massa m (in g) e la velocità della meteore v (in m/s): mezzo interstellare, concentrando questa polvere dalla parte opposta del Sole rispetto alla sorgente. q = 0.0509 m0.92 v3.91 Alla Mlim si trova un q = 2.5 x 1011 m-1 e assumendo le meteore sferiche e di densità pari a 1 g/cm3, si trova che a v = 100 km/s la più piccola meteora rilevabile ha un diametro di circa 40 μm, mentre a v = 200 km/s ne ha uno di circa 15 μm. Le osservazioni del vicino infrarosso richiedono un flusso di particelle di dimensioni di circa 30 μm, mentre le sonde Pioneer 10 e 11 hanno trovato un flusso di particelle dell’ordine di 10 μm, valore quest’ultimo che nell’esperimento effettuato dagli autori non è previsto essere rilevabile. La figura mostra la densità spaziale a 1 AU come funzione della longitudine eclittica terrestre L rispetto agli influssi della ipotetica sorgente A. Quando 180º < L < 360º il moto terrestre va verso la sorgente producendo un innalzamento del flusso. Ciò è dovuto al fatto che la velocità varia e con essa la massa limite delle meteore rilevabili. Infatti per ogni q e v esiste una massa minima mmin che permette di osservare le meteore. Il numero di osservazioni N è: N (m > mmin) = k mmin-α L’andamento stagionale presenta una struttura bimodale in cui si trovano due strutture i cui picchi sono centrati rispettivamente nei giorni 32 e 170. Quest’ultima struttura può a sua volta essere vista come formata da due sottostrutture aventi il proprio picco nei giorni 150 e 225. Il fatto che praticamente non vi siano particelle tra i giorni 260 e 350, quando la Terra si muove lontano dall’apice del moto solare, è una forte evidenza che queste siano di origine extrasolare. Tale andamento può essere spiegato come uno stagionale cambiamento della geometria relativa al vettore del moto terrestre e la direzione della sorgente. Il grafico evidenzia come il primo picco sia più piccolo rispetto al secondo e questo si traduce nel fatto che la sorgente associata ad esso presenta una velocità inferiore di circa 20 km/s. Per cercare l’ubicazione di queste due sorgenti si assume che queste meteore provengano da una direzione definita dalla latitudine eclittica β e longitudine λ con una velocità iniziale v∞. Il grafico è stato interpolato dagli autori con due sorgenti aventi i seguenti dati: • sorgente A (picco nel giorno 32): β = 30º, λ = 240º e v∞ = 40 km/s; • sorgente B (picco nel giorno 170): β = 30º, λ = 0º e v∞ = 80 km/s. È stato rilevato che variando β tra 0º e 60º il risultato cambia di poco, in altre parole vi è una grande indeterminazione sul valore di β. Il centro gravitazionale aumenta la densità rispetto a quella nel dove α è l’indice di massa cumulativa e k una costante. Nell’interpretazione dei dati è stato usato α = 0.6. Il valore di α influenza poco la forma della curva dei due grafici, ma molto la potenza della sorgente a diverse v∞. Un’analisi dimostra che nell’intorno a 270º sono rilevabili 16 volte più meteore. La figura mostra l’andamento teorico di meteore rilevabili dalla medesima sorgente A ma aventi v∞ differenti, rispettivamente 40 e 80 km/s e ciò dimostra che le sorgenti di polvere interstellare di alta velocità sono fortemente favorite dalla selezione della velocità, ma il grafico rappresenta le due sorgenti, A e B, differenzialmente shiftate in longitudine e scalate di un fattore 1.1 (A) e 0.037 (B). Ciò suggerisce che la densità spaziale della sorgente A sia circa 103 volte più grande che quella della sorgente B. La figura è un sommario delle varie ipotetiche sorgenti. Il moto solare relativo alle stelle vicine è diretto verso la latitudine galattica b = 23º e longitudine l = 52º corrispondente a β = 50º e λ = 269º in prossimità della locazione della sorgente A. Solamente per stelle di tipo A si avrebbe un picco in corrispondenza del giorno 34. Molte sono le possibili candidate a sorgenti di polveri, infatti vi sono molte stelle che presentano un particolare disco protoplanetario dove le collisioni e la pressione di radiazione producono l’espulsione della polvere. La sorgente A è racchiusa da regioni di elio neutro, che è la causa del flusso di particelle di 0.4 μm, ma queste le ha rilevate la sonda Ulysses ma non l’esperimento preso in esame. La sorgente B è associata con le più veloci meteore ed è nei pressi dell’orbita galattocentrica solare a b = 0º e l = 90º cioè a β = 60º e λ = 347º. Tale punto è identificato dal giorno 154 che si discosta da quello del picco osservato che è il giorno 170. Questa sorgente tuttavia potrebbe essere composta da due sorgenti discrete indipendenti, una con picco nel giorno 150 e l’altra in quello 225. Secondo Eggen quest’ultima sorgente è un’associazione di stelle giovani che si muove nei pressi del Sole. È dimostrata l’esistenza di un flusso di piccoli meteore di dimensioni 15 – 40 μm circa che provengono dal mezzo interstellare, originato da alcune sorgenti discrete che si trovano in vicinanza del Sole. Tuttavia un’analisi più dettagliata e condotta su un maggior numero di campioni effettuabile eliminando in parte le cause di indeterminazione porterebbe senz’altro a migliori risultati. Mario Sandri, [email protected], http://www.mariosandri.it Il metodo SVB IARA Group, GRRAT, SdR RadioAstronomia UAI, Società Italiana di Fisica, IMO ____________________________________________ Abstract The radio data were obtained using the meteor scatter techniques. The activity of a stream has been analyzed using the method SVB. This method allows to separate from the observed datas the sporadic activity and the observability function of the forward-scatter apparatus and from these to obtain the true activity of the stream. The data were taken from the Radio Meteor Observation Bullettins. ____________________________________________ Nel nostro paese i lauri sono tutti avvizziti e le meteore spaventano le stelle del firmamento […] Questi sono segni che precorrono le morte o la caduta dei re. sconosciuta e la si considera implementata nel termine sopra citato. Il valore della funzione di osservabilità dipende da molti fattori, quale la geometria del trasmettitorericevitore, le caratteristiche del ricevitore e dell’antenna, l’altezza del radiante e la velocità delle meteore appartenenti allo sciame e da altre ancora difficilmente quantificabili [3]. Concettualmente la funzione di osservabilità è analoga al fattore di correzione nel calcolo dello ZHR visuale. Inoltre, i valori di S e OF sono periodici nel senso che essi assumono lo stesso valore nello stesso periodo del giorno se il periodo preso in considerazione è limitato, come nel caso in esame con una durata di 5 giorni [4] [5]. Shakespeare, Riccardo II, 2, 4 Il valore di T si ricava dalla seguente equazione: Introduzione Lo studio dell’attività meteorica attraverso la tecnica forward-scatter non viene investigata attraverso una metodologia universalmente accettata e applicata. Molto spesso i vari ricercatori utilizzano metodi diversi. La stessa cosa non avviene invece per lo studio del medesimo fenomeno in campo ottico, dove invece la metodologia è universalmente riconosciuta e applicata. In questo lavoro verrà proposto un nuovo metodo di indagine proposto nella sua prima forma da Christian Steyaert nel 2005 all’International Meteor Conference svoltasi ad Oostmalle in Belgio [1]. Lo scopo del presente lavoro è quello di migliorare la conoscenza delle caratteristiche degli sciami meteorici. Attraverso dati radio verranno ricreati i profili di attività dello sciame dai quali verranno ricavate le principali caratteristiche dello sciame prima fra tutte la longitudine solare del massimo. Procedura di analisi dei dati I dati sono stati prelevati dall’archivio internet del Radio Meteor Observation Bullettins (RMOB). I dati raccolti dagli osservatori del RMOB utilizzano la tecnica del meteor scatter operante nella banda VHF da circa i 50 MHz ai 100 MHz. Il metodo proposto da Steyaert [1] e successivamente da Steyaert, Verbelen, Brower [2] presuppone che l’attività osservata , dove è il tempo, dipenda dalla somma tra l’attività sporadica e il prodotto tra la funzione di osservabilità e la vera attività dello sciame . In realtà anche l’attività sporadica avrebbe la sua funzione di osservabilità, ma questa è è un generico intervallo di tempo e D è la dove lunghezza del giorno in ore. Nel caso in esame assume il valore 24. Si suppone che lo sciame sia descritto da una doppia asimmetrica funzione esponenziale: è il periodo del massimo e a e b sono dove parametri da calcolare. Si osservi come la funzione sia 1. normalizzata a 1 nel momento del massimo Questo modello continuo viene in pratica sostituito da uno discreto: dove l’indice j rappresenta le ore e k i giorni: j = 1, …, 24 e k = 1, …, 5. Una soluzione esatta non è possibile, ma se si suppongono noti i parametri fondamentali , a, b è possibile trovare una soluzione per S e per OF utilizzando il criterio dei minimi quadrati, in quanto questi risultano lineari, minimizzando la funzione: 1 2 Attraverso la regressione lineare si ottengono le seguenti soluzioni (per comodità si assume 24 1 : ∑ ∑ 5∑ 5∑ ∑ ∑ ∑ 5 È importante sottolineare che la funzione di osservabilità può assumere valori sia positivi che negativi. In quest’ultimo caso essa non ha alcun significato fisico e dunque è da ritenersi pari a zero. Fino a questo punto si sono assunti noti i tre parametri fondamentali. Il passaggio successivo è quello di , , per ricavare il minimizzare la funzione valore migliore per i parametri. Per la minimizzazione non lineare viene utilizzato il metodo Nelder-Mead [6]. Conclusioni Sicuramente il metodo SVB presenta dei risultati soddisfacenti per quanto riguarda la ricerca del periodo di massima attività. Sicuramente il metodo di ricerca dei minimi deve essere migliorato per ricavare i valori dei parametri con maggiore accuratezza e con la relativa indeterminazione. Il modello rappresenta un primo tentativo di riduzione dei dati radio. Come suggerisce lo stesso autore della ricerca, il passo successivo è quello di implementare il metodo Monte Carlo. Con questo, è possibile derivare la funzione di osservabilità [3] che può essere confrontato con il modello teorico di Hines-Pugh per la struttura degli sciami [7]. È tuttavia necessario effettuare successive ricerche e verifiche per affermare con certezza che questo sia il modo migliore di operare. Infatti, almeno per quanto riguarda l’andamento dell’attività sporadica vi è la possibilità di operare attraverso altre tecniche, come quella della sottrazione del background [4] [5] [8]. Bibliografia [1] Steyaert, C., Proceedings of the International Meteor Conference, Oostmalle, Belgium 15-18 September, 2005, 25-33 (2006) [2] Steyaert C., Brower J., Verbelen F., WGN, the Journal of the IMO, 34:3, 87-93 (2006) [3] Steyaert C., WGN, the Journal of the IMO, 15, 9093 (1989) [4] Sandri M., Astronomia UAI, 6, 21-27 (novembredicembre 2006) [5] Sandri M., Analisi di sciami meteorici di origine cometaria attraverso tecniche radar e visuali, Università degli Studi di Padova (2003) [6] Vetterling W., Teukolsky S., PressW., Flannery B. Numerical Recipes in C: The Art of Scientific Computing, Cambridge University Press (1992) [7] Hines C.O., Pugh R.E., Canadian Journal Physics, 34, 495-544 (1956) [8] Sandri M., Astronomia UAI, 6, 26-29 (luglio-agosto 2007) Mario Sandri 1,2, Gabriele Sartori 1, Fabio Drescig 1 [email protected] Il progetto GMeteor – Un sistema per il monitoraggio degli impatti meteorici in atmosfera 1 2 Gruppo Ricerca Radioastronomia Amatoriale Trentino, IARA Group SdR RadioAstronomia UAI, Società Italiana di Fisica, International Meteor Organization ____________________________________________ Abstract GMeteor is a project with the scope to create a kit for the monitoring of the meteoric impacts in atmosphere. They come introduced the main characteristics of the hardware with the characteristics of the receiver in function of the better waveband. Moreover they come shown the peculiarities of the software in phase of development acted to acquire and subsequently to elaborate the data. The data will be able to come use for several researches and analysis, like the rate-time graph or the mass index or in order to evidence the mesospheric ozone concentration. ____________________________________________ ...perchè, se ciò fosse vero, sarebbero già venute a mancare; infatti non passa notte senza che sembri che un gran numero di stelle attraversino il cielo […] Eppure si ritrova poi al solito posto […] ne consegue dunque che codesti fenomeni si producono più in basso delle stelle e svaniscono rapidamente perché non hanno sostegno e sede stabile. Seneca (4 a.C. – 65 d.C.) Naturales quaestiones, Libro I-1, 10 Introduzione La radioastronomia amatoriale ha avuto un improvviso e favorevole sviluppo negli ultimi anni soprattutto a seguito della nascita di numerosi gruppi sfocianti nei vari congressi nazionali. Tuttavia questa disciplina è rimasta ancora nascosta al grande pubblico, soprattutto per la poca conoscenza che la massa, anche di astrofili, ha nei riguardi di questa moderna branca dell’astronomia. In realtà, molto probabilmente, il fatto che il grande pubblico non si avvicini a questa disciplina deriva principalmente dal fatto che è quasi impossibile reperire sul mercato dei radiotelescopi pronti per l’uso. In secondo luogo in quanto l’analisi del segnale non è sempre semplice. In fondo in radioastronomia quello che si va ad analizzare è solo del rumore. Troviamo in rete la possibilità di comprare dei kit prefabbricati che ci permettono di compiere le prime ricerche radioastronomiche. Sicuramente il più famoso è il progetto RadioJove della NASA [1] che permette di costruire un rilevatore atto principalmente allo studio del pianeta Giove. Poi da circa un anno è possibile acquistare un kit prodotto dalla ditta RadioAstroLab dell’amico Flavio Falcinelli [2], col quale è possibile osservare le principali radiosorgenti celesti. Scopo Il progetto che si sta elaborando fa certamente parte del mondo della radioastronomia, tuttavia va a sindacare degli oggetti che si trovano nell’atmosfera terrestre: tali corpi sono le meteore. È in fase di progettazione e sviluppo un kit vendibile a basso costo, e dunque di facile diffusione, che permetta il monitoraggio degli impatti meteorici in atmosfera e l’analisi del fenomeno stesso. Tale kit potrà essere utilizzato facilmente sia dal neofita che per effettuare delle serie ricerche scientifiche. Nel presente elaborato verranno presentate solo alcune linee guida generali senza soffermarsi nello specifico e senza esibire nessun algoritmo. Principio di funzionamento Il funzionamento dell'apparato si basa sul fenomeno ormai noto di ionizzazione dell'aria causata dal passaggio di un meteoroide in atmosfera a velocità elevata. Il meteoroide crea un canale ionizzato che si comporta per la radiazione elettromagnetica compresa nello spettro radio come un buon riflettore. Premesso ciò, se la regione di atmosfera viene "illuminata" con segnale a radiofrequenza di opportuna intensità in assenza di riflessione la radiazione prosegue in linea retta senza raggiungere la stazione ricevente, ma quando incontra un canale ionizzato viene riflessa verso la superficie terrestre e quindi può venire rilevata da un ricevitore di idonee caratteristiche [3]. Banda di trasmissione Il rilevatore non sarà monobanda, ma presenterà la possibilità di selezionare la frequenza idonea. Il range di frequenza utilizzabili è compreso tra le bande VHFUHF con frequenza compresa tra i 40 MHz e i 600 MHz. La scelta di tale banda deriva dal fatto che le VHF risentono molto meno dei fenomeni di propagazione ionosferica e hanno un elevato coefficiente di riflessione da parte delle tracce meteoriche, mentre le UHF praticamente non risentono di fenomeni di propagazione naturale, pur avendo un coefficiente di riflessione nelle tracce meteoriche inferiore rispetto alla banda VHF [3]. Caratteristiche apparato L’apparato presenta delle caratteristiche abbastanza comuni ai normali radioricevitori dei radioamatori. Essenzialmente le caratteristiche principali devono essere: 1. banda di ricezione: la più ampia possibile all’interno del range tra i 40 e i 200 MHz in continuo; 2. modo di ricezione: USB - LSB - CW settabile dall'utente; 3. alimentazione: batterie e/o da rete elettrica; 4. uscita: audio su altoparlante e cuffia per l'ingresso nella scheda audio del PC e/o tramite porta accesso dati; 5. sensibilità di ingresso: -150 Dbm e basso rumore intrinseco. Programma Il software ha lo scopo di facilitare l’acquisizione e l’elaborazione dei dati ricevuti. Infatti i dati acquisiti non possono essere utilizzati senza un’elaborazione accurata. Inoltre, essendo il programma rivolto ad un pubblico che necessariamente non è esperto della scienza meteorica o che si avvicina alla radioastronomia per la prima volta, deve essere di facile utilizzo, me estremamente completo. Procedura di acquisizione La parte hardware ha lo scopo di registrare ogni fluttuazione del segnale che arriva. Tale segnale però non è pulito in quanto presenta un rumore di fondo che è impossibile eliminare, ma che al più può venire attenuato tramite procedure hardware (ricevitore a correlazione, etc.). I segnali prodotti da una meteora sono superiori, in generale, a quelli del rumore di fondo, per tale ragione è necessario studiare attentamente il sistema affinché questo acquisisca echi meteorici e non del semplice rumore. Alle frequenze a cui si intende operare le meteore, sia ipodense che iperdense, presentano il consueto andamento delle oscillazioni di Fresnel. I parametri fondamentali per una meteora sono la durata e l’intensità al picco. Per semplicità immaginiamo un segnale che presenti valori positivi e negativi in media attorno ad un valore zero. Sia il segnale meteorico che il rumore avranno le medesime fluttuazioni. Questi due segnali si differenziano solo per l’intensità. Per tale ragione è necessario che il programma registri solo quegli echi che superano in intensità un certo valore di soglia e termini l’acquisizione quando il valore è sotto al valore di soglia. Procedura di analisi I dati acquisiti non possono servire a granché da un punto di vista scientifico in quanto non sono corretti. In prima analisi il valore registrato di ampiezza e durata del segnale non sono corretti in quanto non viene considerata la soglia. Ovviato a questo facile problema, i dati ottenuti possono essere sì visualizzati in un grafico eventotempo, ma anche in questa maniera non si ottiene nulla di soddisfacente. Quello che serve è creare un file cumulativo in classi di durata. Il file così ottenuto permette di effettuare delle ricerche in maniera più accurata. Tasso-Tempo Sicuramente l’analisi principale è quella di poter visualizzare un grafico tasso-tempo in funzione della classe di durata. In effetti l’attività di sciame è caratterizzata dall’attività meteorica degli oggetti che presentano una durata maggiore. Per fare questo è necessario però operare preventivamente sul file attraverso una serie di operazioni atte a correggere vari problemi come il dead-time, il tempo di attaccamento e il background sporadico [4]. Indice di massa Un altro parametro importante per l’analisi di uno sciame meteorico è la valutazione del suo indice di massa e dell’andamento del parametro stesso in funzione del tempo. Tale parametro dà una stima della distribuzione in massa dello sciame e può essere immediatamente correlato con l’indice di popolazione che deriva da studi meteorici in ambito visuale [4]. Ozono mesosferico Tra le varie ricerche ed analisi che si possono effettuare sulle meteore, che qui non verranno menzionate, c’è la possibilità di andare a valutare la concentrazione dell’ozono mesosferico. Per effettuare una tale analisi bisogna ricorrere a strategie diverse che nei casi precedenti e dunque ad operazioni differenti da parte del programma. Vantaggi L’utilizzo di un kit così concepito presenta degli indubbi vantaggi rispetto ad altri in commercio. Innanzitutto il sistema acquisitore è completamente automatico e può lavorare costantemente sia di giorno che di notte o ad intervalli reimpostati dall’utente. Il programma di analisi è innovativo in quanto non si limita unicamente ad accumulare dati osservativi che difficilmente possono essere analizzati per la grande mole di dati (vedi ad esempio le campagne dell’International Meteor Organization [5]). Inoltre permette di effettuare ricerche più approfondite rispetto ai dati che si possono reperire tramite il Radio Meteor Observation Bullettins [6]. Il programma permetterebbe di analizzare i dati in maniera quasi istantanea senza dover perdere troppo tempo. Inoltre i parametri dell’analisi vengono gestiti in maniera determinante dall’utente. Inoltre il fatto di creare uno standard comune di immagazzinamento dei dati tra i vari utenti è certamente un punto di forza, in quanto molto spesso è alquanto difficile poter lavorare coi vari bollettini reperibili in internet. Database Il programma prevede la possibilità di far confluire tutti i dati grezzi in un database così da poter essere usufruiti dai vari utenti per ricerche maggiormente approfondite. In effetti la volontà di effettuare delle ricerche professionali necessita di avere a disposizione il maggior numero di dati possibile per mettere in luce eventuali anomalie nel proprio apparato ricevente. Conclusioni Il progetto GMeteor è sicuramente un valido modo per far conoscere la radioastronomia, magari non la parte più affascinante, ma sicuramente quella che permette di ottenere immediatamente semplici e facili risultati. Il kit, data la sua versatilità, sarebbe indicato non solo al neofita o come strumento didattico, ma anche, e soprattutto, come strumento di ricerca professionale. Ovviamente accanto alla conoscenza stessa delle potenzialità del programma è indispensabile da parte dell’utente una conoscenza della scienza meteorica tale da permettergli di giungere ai suoi obiettivi di ricerca. Bibliografia [1] RadioJove, http://radiojove.gsfc.nasa.gov/ [2] RadioAstroLab, http://www.radioastrolab.it [3] Sartori G., Drescig F., Astronomia UAI, 4, 50-52 (luglio-agosto 2006) [4] Sandri M., Analisi di sciami meteorici di origine cometaria attraverso tecniche radar e visuali, Università degli Studi di Padova, (2003) [5] International Meteor Organization, http://www.imo.net [6] Radio Meteor Observation Bullettins, http://visualrmob.free.fr Mario Sandri 1,2, Gabriele Sartori 1 [email protected] Le meteore in radio - Ascoltare e rilevare le meteore in ELF e VLF 1 2 Gruppo Ricerca Radioastronomia Amatoriale Trentino, IARA Group SdR RadioAstronomia UAI, Società Italiana di Fisica, International Meteor Organization Introduzione E' ormai ben noto che eventi naturali possono generare radiazione elettromagnetica nella gamma ELF - VLF. La principale fonte di radiazione in tale gamma è legata ad eventi di ionizzazione più o meno casuali dello strato superiore dell'atmosfera terrestre. E' altresì noto che lo spazio compreso fra la superficie terrestre e la ionosfera si comporta come una guida d'onda per i segnali VLF i quali, a causa dello strato riflettente ionizzato, rimangono confinati all'interno dell'atmosfera; oltre a ciò la radiazione elettromagnetica in questa gamma presenta una propagazione abbastanza uniforme, ed ha ridotti fenomeni di evanescenza che risultano ben più accentuati alle frequenze più elevate. La fonte principale di emissione di tali segnali è probabilmente l'attività temporalesca; tuttavia non è assolutamente trascurabile il contributo dato dall'impatto con l'atmosfera terrestre di bolidi e probabilmente anche di sciami meteorici con sufficiente ZHR. Obiettivi Come è noto, in alcuni periodi dell'anno (con un massimo nei mesi estivi) l'orbita terrestre incrocia quella dei vari sciami meteorici i quali, entrando nell'atmosfera, producono intense tracce ionizzate, sorgenti di radiazione elettromagnetica alle frequenze più basse dello spettro radio. Lo scopo che ci prefiggiamo è quello di verificare, se possibile, la correlazione tra impatti di bolidi o di sciami meteorici con l'atmosfera terrestre, e l'aumento della radiazione in banda ELF - VLF. Nell'ipotesi ciò fosse verificato speriamo di poter evidenziare anche una correlazione tra ZHR ed aumento della radiazione stessa. Apparato La stazione ricevente è formata (come si può vedere dallo schema a blocchi) da una antenna filare della lunghezza di 11.60 metri; tale antenna risulta largamente sotto dimensionata se si tiene in considerazione la lunghezza d'onda correlata alle frequenze da noi monitorate, ma ragioni logistiche hanno impedito sia dimensioni maggiori sia configurazioni più complesse (tipo array di dipoli) che potrebbero aiutare nella rilevazione di segnali ben più deboli di quelli da noi captati. Il ricevitore è del tipo ad amplificazione diretta (lo schema è tratto dal libro SUSSURRI DAL COSMO del Dott Flavio Falcinelli che ringraziamo per la disponibilità dimostrata). La frequenza di lavoro è stata scelta compresa tra 1.5 e 7.5 kHz sebbene i segnali su cui stiamo indagando arrivino fino ad anche 13-14 KHz. Il motivo di tale scelta risiede nel fatto che le frequenze attorno ai 10KHz sono utilizzate per scopi militari soprattutto dai sottomarini e quindi sarebbero fortemente disturbate. L'alimentatore è del tipo duale opportunamente schermato ed in grado di alimentare il ricevitore con una tensione di +/-5V c.c. L'uscita audio del ricevitore pilota un piccolo amplificatore di b.f. utile per evidenziare anomalie ed oscillazioni nel funzionamento. L'uscita 0-5Vcc è connessa ad un convertitore analogico digitale ad 8bit e a 8 canali (ADC808) del quale viene utilizzato un solo ingresso. Il valore digitale viene quindi letto tramite la porta parallela da un Pc sul quale gira un programma in Qbasic scritto dagli stessi autori. Il software registra il valore presente sull'uscita del ricevitore ad intervalli di circa 0.6 secondi in un file e calcola inoltre la media di 60 letture che viene automaticamente salvata in un altro file. Tutto l'apparato viene attivato e disattivato automaticamente da un interruttore orario. Luogo installazione Tutto l'apparato è installato nel paese di Terlago in provincia di Trento in una zona del paese il più possibile priva delle "normali" interferenze umane. Preventivamente all'inizio delle misure sono state eseguite delle verifiche sia audio che mediante registrazione riguardo all'assenza di disturbi derivanti da attività umana. Conclusioni preliminari Sebbene il ciclo di misure non sia ancora concluso in prima approssimazione si può evidenziare una buona probabilità di correlazione tra frequenza degli sciami meteorici ed aumento del "rumore" medio rilevato dal nostro apparato. In una rilevazione effettuata il giorno 12/11/2000 notte del massimo previsto dello sciame delle Tauridi Nord il grafico mostra il tipico andamento a campana che potrebbe in linea teorica essere correlato al repentino aumento e diminuzione del segnale dovuto al picco di massimo dello sciame. Tale fenomeno però si è presentato solo in questo caso e quindi allo stato attuale delle cose non è possibile affermare con certezza che la particolare forma del grafico della rilevazione sia imputabile al fenomeno fisico in esame. Le rilevazioni stanno tuttora continuando e una analisi più specifica dei dati è senza dubbio necessaria, le conclusioni finali si potranno azzardare solo ad esperimento terminato. Fabio Drescig Osservazione di tracce meteoriche tramite radio doppler IARA Group, Gruppo Ricerca Radioastronomia Amatoriale Trentino Nell'osservazione e nel monitoraggio di sciami meteorici è sempre stato un problema conciliare osservazioni fatte visualmente con altre ottenute con tecniche radar come il meteor-scatter. Questo è in parte dovuto al fatto che le tecniche radar convenzionalmente adottate, hanno il limite di rivelare solamente un innalzamento del livello del segnale nel ricevitore, quando una traccia meteorica, superando la soglia di rivelazione del sistema, appare nell'area di cielo che sta' sopra il trasmettitore e contemporaneamente vista dal fascio d'antenna del ricevitore. In breve, il segnale rivelato è costituito da una singola misurazione, rispetto ad una soglia di per sè stessa incerta. Conseguentemente, è difficile mettere in relazione la magnitudine assoluta della rivelazione radio con l'equivalente magnitudine dell'osservazione visuale. Questo articolo descrive un metodo di rivelazione di tracce meteoriche tramite una tecnica radio-amatoriale la quale fornisce maggiori informazioni quantitative sullo scattering delle tracce meteoriche rivelate, che i metodi di radio-scattering tradizionali. Il radio scattering: In genere l'energia di un segnale radio può viaggiare dal trasmettitore a un ricevitore seguendo diverse modalità di percorso; direttamente, seguendo un percorso per così dire a vista, per via di onde di terra, da riflessione ionosferica, da diffusione troposferica o da diffusione (scattering) da altri oggetti illuminati dal trasmettitore e visibili dal ricevitore. Il metodo usuale per rivelare tracce meteoriche, è il cosiddetto “forward scatter“ (diffusione in avanti), esso consiste nell'usare un segnale del trasmettitore la cui frequenza e distanza siano selezionate in modo che il trasmettitore illumini l'orizzonte sopra il ricevitore, ma al ricevitore non arrivi nessun segnale (o comunque di entità irrilevante) tramite riflessione ionosferica, percorso di terra o per via diretta. In pratica se la geometria del sistema è ideale, una parte del segnale subirà uno scattering in avanti verso il ricevitore, solo quando una traccia meteorica (o un oggetto qualsiasi) comparirà nella zona di cielo illuminata dal trasmettitore, ecco che allora nel ricevitore si udirà il segnale del trasmettitore, in questo modo le meteore possono essere contate. La figura 1 illustra il concetto dello scattering sopra l'orizzonte. Il metodo doppler usa la stessa geometria ma, non si limita a rivelare solo l'ampiezza del volume del segnale che raggiunge il ricevitore, ma può misurare la frequenza con grande precisione. Se lo scattering è diffuso da un oggetto in movimento, il suo segnale in arrivo al ricevitore sarà affetto da uno spostamento doppler (doppler-shift). Esaminando lo spettro del segnale diffuso si riveleranno informazioni sul movimento della sorgente che provoca lo scattering. Dalla geometria del percorso del segnale il doppler-shift (spostamento doppler) rivelato è corrispondente alla variazione del percorso del segnale, tra trasmettitore e ricevitore che viene diffuso dall'oggetto in movimento, che, non è uguale al movimento dell'oggetto. Per esempio: se il trasmettitore ed il ricevitore sono relativamente vicini e l'oggetto è in avvicinamento ad entrambi, la variazione della lunghezza del percorso trasmettitore-ricevitore è approssimativamente il doppio della velocità dell'oggetto; nella fig.2, l'oggetto riflettendo il segnale si muove di una distanza dx da A a B, mentre la lunghezza del percorso tra trasmettitoreA-ricevitore, differisce dal percorso trasmettitore-Bricevitore di 2 dx. Vi sono due tipi di velocità in un evento meteorico. La velocità della stessa meteora, generalmente si tratta di decine di Km al secondo, e la velocità della traccia ionizzata risultante dall'evento che è uguale alla velocità dei venti in quote molto alte, tra gli 80 e i 100 Km di altezza. Tipicamente la velocità dei venti a queste quote sono nell'ordine di alcune centinaia di metri al secondo. La traccia lasciata dalla velocità della meteora, dura frazioni di secondo, mentre quella della scia ionizzata può durare da alcuni secondi a qualche minuto. Scelta del segnale trasmittente: Il metodo di rivelare piccoli doppler-shift impone che il segnale usato come trasmittente, debba avere una portante (carrier) stabile e abbastanza pura, cioè priva di spurie. Questa necessità esclude l'uso di tutti i segnali modulati in frequenza (FM), come quelli usati normalmente nella banda VHF 88-108 Mhz,lo stesso vale per la componente audio della TV (anche questa in FM). Il sistema adottato si basa sul monitoraggio di un segnale modulato in ampiezza (AM), questo segnale consiste in una portante (carrier) di una certa frequenza, es. 21.000 Khz; ai lati del carrier compaiono due bande laterali, una di frequenza maggiore, ed una di frequenza minore del carrier, la fig. 3 illustra la disposizione del carrier e delle due bande laterali simmetriche di un segnale AM. I tipici segnali video TV sono in AM, ma le bande laterali iniziano a +/- 50 Hz che corrisponde alla componente più bassa del segnale video, per questo motivo nel segnale video TV non vi è abbastanza spazio tra il carrier e la più bassa componente delle bande laterali per rivelare i segnali di doppler- shift riflessi dalla meteora. I segnali delle emittenti broadcast in onde corte sono anch’essi modulati in ampiezza, ma la frequenza di taglio delle bande laterali sono intorno ai 300 Hz, cioè vi è una zona utile per rilevare il doppler-shift di 300 Hz tra il carrier e le bande di modulazione laterali. Con un carrier di frequenza che va dai 10 Mhz ai 100 Mhz si hanno buone zone utili per la rivelazione del doppler-shift, essendo la distanza tra il carrier e le bande laterali sufficientemente larga per rilevare i doppler-shift. Lo svantaggio dei segnali AM in onde corte è che questi segnali sono fortemente riflessi dalla ionosfera, quindi serve molta attenzione e pazienza nel scegliere un segnale AM: il trasmettitore deve essere posto ad una distanza tale da non rivelare il segnale riflesso dalla ionosfera, questo dipende dall'angolo incidente dell'onda del trasmettitore rispetto alla ionosfera; nello stesso tempo il ricevitore deve essere ad una distanza tale da non ricevere il segnale per via diretta, questa zona d'ombra per i segnali diretti viene chiamata “skipdistance”, questa distanza è in relazione con la frequenza, e dipende dall'ora del giorno e dalla proprietà di propagazione della ionosfera (legata anche all'attività solare). Per frequenze che cadono sulle onde corte, la zona si estende per un raggio maggiore di 150 Km dal trasmettitore, la fig. 4 illustra il meccanismo. Per rivelare il doppler-shift del segnale diffuso da una traccia meteorica è neccessario che il segnale trasmittente non includa le bande laterali che potrebbero coprire l'effetto doppler. Per esempio alla frequenza di un carrier di 100 Mhz, l'effetto doppler corrispondente ad una variazione della lunghezza di percorso del segnale riflesso di 400 m/s, dovrebbe essere 133 Hz; più alto in frequenza è il carrier, piu' alto è proporzionalmente il doppler-shift del segnale riflesso. L'esperimento che descrivo usava principalmente un segnale AM prodotto da un'emittente broadcast in onde corte e precisamente Radio Svizzera International, il cui segnale viene trasmesso dal territorio svizzero sulla frequenza di 21.710 Mhz. Il segnale è probabilmente emesso con un angolo rispetto alla ionosfera sufficientemente basso per servire probabilmente il continente sudamericano, ma l'angolo visto dal mio ricevitore, che si trova a circa 350 Km in linea d'aria dal trasmettitore, è troppo acuto per ricevere il segnale riflesso dalla ionosfera. In realtà una minima percentuale di segnale è ricevibile (forse per via troposferica), ma molto debole, questo non pregiudica la cosa ma, anzi facilita l'identificazione della stazione radio da monitorare. Rivelazione del doppler-shift: Come spiegato sopra, il segnale consiste in una frequenza di carrier (21.710 Mhz nell'esperimento citato), composto da due bande laterali che iniziano a 300 Hz da entrambi i lati del carrier i segnali di scattered si rivelano ad alcune decine di Hz dal carrier. Il carrier e le sue bande laterali arrivano al ricevitore per varie vie, da scattering della ionosfera, da non omogeneità della troposfera o da back-scattered (diffusione all'indietro) e dal terreno dopo due riflessioni ionosferiche. In tutti i casi, si tratta di segnali di basso livello. I ricevitori amatoriali generalmente hanno un'uscita audio con una banda passante che taglia drasticamente le frequenze al di sotto dei 100 Hz, quindi è conveniente ricevere il segnale nel modo SSB (Single Side Band), cioè una sola banda laterale, portando la nota audio del carrier circa ad 1 Khz: quindi il segnale di doppler-shift (df), anch’esso viene traslato sulle frequenze audio di 1000 Hz +/- df Hz. A questo punto abbiamo bisogno di un programma per la visualizzazione del segnale doppler. Vi sono parecchi programmi in grado di digitalizzare un segnale audio per poi produrre una uscita grafica che rappresenti le varie frequenze e il loro andamento nel tempo, in pratica si tratta di produrre uno spettrogramma. L'articolo originale era accompagnato da un ottimo programma dedicato, che genera dei dopplergrammi partendo dal segnale audio prelevato dal ricevitore, ma per i miei esperimenti avevo a disposizione un ormai datato ricevitore FRG 7 della YAESU con l'oscillatore che andava “un pò troppo a spasso” per questo programma (mi ci voleva più di un'ora perché si stabilizzasse): aveva una tolleranza di poche decine di Hz. Ho trovato più confacente ai miei scopi utilizzare un noto programma shareware, SPETTROGRAM, che genera ottimi spettrogrammi con una banda che va da qualche Hz a qualche Khz nel dominio del tempo; la schermata grafica è piacevole e il programma lavora in FFT (Fast Fourier Transform), con parecchie opzioni di analisi e valori di settaggio. Centrando la schermata sulla frequenza di 1Khz, si può seguire il segnale del carrier e, sopra e sotto questo, le due bande laterali; tra il carrier e le bande laterali vi è la zona dove si rivelano i segnali doppler riflessi da un oggetto illuminato dal trasmettitore e visto nel medesimo tempo dal ricevitore. Il segnale doppler se appartiene ad esempio ad un aereo (molto frequente nel mio caso) in avvicinamento, verrà evidenziato con la comparsa di un segnale più debole del carrier che ha inizio qualche decina di Hz sopra il carrier stesso (il percorso del segnale riflesso dall'aereo è più corto del percorso che segue il segnale del carrier) , per poi passare in un certo tempo (legato alla velocità relativa dell'aereo) a essere sovrapposto al carrier (l'aereo in questo caso non ha doppler-shift perche il percorso dell'onda riflessa e uguale al percorso dell'onda ricevuta dal ricevitore del carrier); in seguito il segnale doppler si abbasserà al di sotto del carrier per sparire in concomitanza dell'inizio della banda laterale inferiore (in questo caso l'aereo si stà allontanando e il percorso del segnale riflesso diventa più lungo del segnale originale del carrier), nella fig.5 si vede un esempio di doppler-shift generato da un aereo di linea. Nel caso di una traccia meteorica, ci si aspetta una traccia di intensità proporzionale all'energia dell'evento, e della durata di una frazione di secondo, o al massimo di qualche secondo (bolidi lenti). La velocità della meteora potrà essere misurata con sufficiente precisione osservando l'angolo del doppler shift rispetto al carrier: più l'angolo è acuto, più la velocità della meteora è elevata. Da questo è possibile risalire all'appartenenza della meteora ad un particolare sciame. Inoltre è possibile seguire l'evolversi della scia ionizzata per alcuni secondi o anche minuti, prima che i venti in quota la disperdano; è probabile che ogni evento meteorico di una certa entità sia associato ad una coda con velocità più bassa dell'ordine di alcune centinaia di metri al secondo (dipendente dalla velocità dei venti in quota), in questo caso la traccia viene rilevata con una caratteristica forma a uncino, vedi esempio la fig.6. Conclusioni: La tecnica del doppler-shift è molto promettente in campo amatoriale e consente dopo un periodo di rodaggio e affinamento delle tecniche strumentali di ottenere validi monitoraggi di sciami meteorici, non solo dal punto di vista quantitativo ma anche sotto l'aspetto qualitativo. Il problema principale stà nella pazienza nel trovare un carrier adatto ( ho passato molte ore a monitorare emittenti broadcast in onde corte sulle bande dei 17 e 21 Mhz), nel mio caso dopo aver usato il carrier di Radio Svizzera International sui 21.710 Mhz per alcuni mesi, ho scoperto con rammarico la cessazione dell'attività di questa emittente; poco male perchè in seguito ho avuto la fortuna di scoprire un eccellente carrier sui 26.200 Mhz, questa emissione in AM, non è un'emittente broadcast, ma probabilmente qualche ripetitore dati a banda larga, mi è anche sconosciuta la locazione del trasmettitore e per esperienza, è molto difficile risalire al sito del trasmettitore, perché il segnale che giunge al ricevitore può avere varie modalità di percorso. Questo dato anche se utile, comunque non è strettamente necessario ai fini del monitoraggio delle meteore. Finora ho effettuato monitoraggi sporadici, più per controllare la tecnica che per rilevare dati, purtroppo ho iniziato queste sperimentazioni in febbraio, periodo scarso di sciami meteorici (in compenso rilevo un sacco di aerei). Il vero banco di prova potrebbe essere il monitoraggio delle Perseidi; per rendere il sistema automatico si potrebbe registrare con un registratore il carrier all'uscita audio del ricevitore e, in seguito, analizzarlo con il programma SPECTROGRAM. Tutto il sistema potrebbe essere reso automatizzato, facendolo partire con un timer, oppure salvato su l'hard-disk del PC, magari in un formato compresso. Le migliorie sono possibili e il programma originale accoppiato con un buon ricevitore amatoriale probabilmente è migliore di quello che uso attualmente; per le antenne basta un dipolo tagliato per la frequenza del carrier e orientato nella zona di cielo che interessa monitorare ciò non toglie che sistemi più complessi, come ad esempio antenne direttive ecc. possano dare migliori risultati. Questo articolo è la libera traduzione dall'inglese di una pubblicazione dell'International Meteor Organism (IMO), che potete visionare al sito: www.imo.net Gabriele Sartori, Fabio Drescig Radar bistatico in banda VHF per il monitoraggio di impatti meteorici in atmosfera IARA Group, Gruppo Ricerca Radioastronomia Amatoriale Trentino ____________________________________________ Abstract Il presente studio ha lo scopo di descrivere le caratteristiche minime di un sistema radar bistatico (il trasmettitore e il ricevitore sono posti in luoghi diversi) atto a rilevare gli impatti meteorici in atmosfera a un'altezza di circa 100 km dalla superficie terrestre. Si riportano, inoltre, le misure effettuate dagli autori durante il massimo dello sciame delle Perseidi 2004 il giorno 11/08/2004 dalle ore 22:20 alle ore 23:20 TU. ____________________________________________ Principio di funzionamento Il funzionamento dell'apparato si basa sul fenomeno ormai noto di ionizzazione dell'aria causata dal passaggio di un meteoroide in atmosfera a velocità elevata. Il meteoroide crea un canale ionizzato che si comporta per la radiazione elettromagnetica compresa nello spettro radio come un buon riflettore. Premesso ciò, se la regione di atmosfera viene "illuminata" con segnale a radiofrequenza di opportuna intensità in assenza di riflessione la radiazione prosegue in linea retta senza raggiungere la stazione ricevente, ma quando incontra un canale ionizzato viene riflessa verso la superficie terrestre e quindi può venire rilevata da un ricevitore di idonee caratteristiche. Figura 2. Andamento del segnale in presenza di canali ionizzati. Scelta della banda di trasmissione: la frequenza di trasmissione del segnale deve rispondere essenzialmente a due requisiti fondamentali: 1) essere poco sensibile a fenomeni di riflessione naturale come la propagazione ionosferica, E sporadico (porzione di atmosfera compresa tra i 100 e i 150 km di altezza dal suolo), riflessione da vapore acqueo, ecc. 2) essere riflessa in maniera il più completa possibile dal canale ionizzato creato dalla meteora. Ciò premesso, prendiamo in considerazione comportamento delle varie bande di trasmissione. Figura 1. Andamento del segnale in assenza di canali ionizzati. il A) Le HF (da circa 1.5 MHz fino a circa 30 MHz) "soffrono" di una spiccata tendenza alla riflessione dovuta a fenomeni di propagazione atmosferica naturale e non sono quindi adatte allo scopo. B) Le VHF (da circa 30 MHz fino a circa 300 MHz) risentono molto meno dei fenomeni di propagazione ionosferica, e hanno un elevato coefficiente di riflessione da parte delle tracce meteoriche; C) Le UHF (da circa 300 MHz fino a circa 3000 MHz) praticamente non risentono di fenomeni di propagazione naturale, pur avendo un coefficiente di riflessione nelle tracce meteoriche inferiore rispetto alla banda VHF; D) Le SHF (da circa 3 GHz a 30 GHz) tendono a essere riflesse da strati di vapore acqueo, nuvole ecc., non sono quindi idonee allo scopo se non in condizioni particolari di bassa umidità atmosferica e nella regione r com mpresa tra trasmettitore t ricevitorre, e questa condizione è senza dubbbio troppo liimitante. Premesso ciiò riteniamo che il rangge di frequennza utilizzabili siia compreso a tra le bandee VHF-UHF con c frequenza coomprese tra i 40 4 MHz e i 6000 MHz. L'utilizzo di una data freqquenza non è però consenttito se non dietroo autorizzazionne del compettente ministeroo e dietro il paggamento di una tassa annnua. In questo lavoro si è quindi q scelto di utilizzare un'emittente u T TV operante a 48.250 4 MHz frequenza f chee, pur soffrenndo parzialmentee della rifleessione natuurale in ceerte particolari coondizioni, connsente di avere a disposizioone un segnale molto m forte a coosto zero. L'emittente da noi sceltta è una TV V svedese che c RA JP93 pol. Hor.) con una u trasmette daa Vannas (QR potenza di 600 kW. Più avvanti comunquue verranno daate tutte le infoormazioni perr dimensionarre un eventuaale trasmettitore costruito alloo scopo. Verifica dellla ricevibilitàà del segnale Per sempliccità immaginniamo un radar bistatiico composto daa un trasmettittore e da un ricevitore ubiccati in due luoghhi distinti maa posti alla stessa s quota sul livello del mare. m Nel casoo più generalee non essendoo i due strumentti alla medesim ma quota, nel calcolo si dovvrà inserire la quuota media deelle due stazioni per otteneere un dato simille alla situazioone rea le opppure la quota del d componente più basso per ottenere dei dati d leggermennte superiori a quuelli reali. Detto ciò costruiamo unn triangolo con c base AB B e posizioniamoo nel vertice A il trasmettitore e nel vertiice B il ricevitorre; l'altezza di detto triangoolo, il segmennto CH, sarà datta dall'altezza prevista del canale c ionizzaato meno la quotta sul livello del d mare del sistema s calcolaata come già dettto (figura 3). Osservando la figura si vede subito che il percorrso totale compiiuto dal fasccio di segnale risulta esseere AC+CB. Coon semplici equazioni e possiamo calcolaare sia il percorsso totale che l''angolo nel veertice A che saarà l'inclinazionee ottimale del sistema d'antenna sia approssimatiivamente la porzione di d cielo vista dall'antenna ricevente. r x: Vannas m s.l.m. s 150 Tx Rx x: Monte Veloo m s.l.m. 12000 Quota media: 150 + (1200 -150) /2 = 675 m s.ll.m. onizzato: 1000 Altezza dal livello del maree del canale io m; Tratto CH: km CH H = 100 - 0.675 = 99.325 km m Trratto AC: 2 2 H = 1005 km m AC = AH +CH Il tragitto comppleto compiutoo dal segnale risulta esseree paari al doppio del d lato AC e quindi 2xAC C = 2010 km.. L''angolo al verrtice A che ccorrisponde alll'inclinazionee otttimale dell'anntenna è dato dda: A = arctg(AH//CH) = 5.68° Una volta defiiniti i parameetri geometricci del sistemaa paassiamo a quuantificare l'atttenuazione che il segnalee traasmesso subbirà durante tutto il percorso p dall traasmettitore al ricevitore trattto AC + CB. Laa formula chee ci consente di calcolare l'attenuazionee in n Dbm (decibeel riferiti a l mW) è tratta da "Antennee lin nee e propaggazione - Neerio Neri - C&C C edizionii raadioelettriche"" [1]: N = 37 + 20 log(f) + 20 log(d) do ove: N = attenuazionne in Dbm f = frequenza ussata in MHz d = lunghezza del d percorso inn chilometri. Nel nostro casoo: f = 48.250 MHzz d = 2010 km N = 37 + 20 log(48.2250) + 20 log(2010) N = 136.7734 Dbm Po oiché il trasm mettitore operaa con una poteenza pari a 600 kW W che corrisppondono a +777.5 Dbm ci aspettiamo a unn seegnale ricevutto pari alla differenza trra la potenzaa traasmessa e l'atttenuazione caalcolata senzaa tenere contoo deelle perdite doovute alla rifleessione vera e propria. bm. Seegnale ricevutto = 77.5 - 1366.7 = -59.2 Db Figura 3. Geometria del sistema. Nel caso dellle nostre misuure abbiamo: Un segnale di tale intensità è senza dubbio rilevabilee u ovvero uun apparato radioamatorialee daal ricevitore usato IC COM IC 7066 che ha unna sensibilitàà di ingressoo diichiarata pari a circa -126 D Dbm. Durante le nostre misurre abbiamo rilevato r segnnali variabili da circa c -75 Dbm m fino a circaa -60 Dbm, coosa che fa pressupporre un'aalta efficienzza dello straato riflettente. Analogamennte possiamo utilizzare unn ragionamennto inverso per stimare, s parteendo dall'intennsità del segnaale voluta, la pootenza necessaria al trasmeettitore affincché l'eventuale eco (segnale riicevuto a caussa del passagggio della meteoraa) sia sicuram mente ricevuto.. Strumentaziione usata Il nostro appparato di misuura è costituitto da un'antennna Yagi 3 elem menti autocostruita fatta risuonare neella gamma di freequenza di noostro interesse (48.250 MHzz) , un ricevitore radioamatoriale ICOM IC7706 sintonizzaato in banda laaterale USB (ossia ad l kHz sotto la frequenza di trasmissione)). L'uscita cufffie del ricevitoore è connessa alla a scheda audio a del PC che processaa il segnale con il software spectrogramm m, un sempliice analizzatore di spettro in teempo reale. Figura 4. Setu up misura. La sessione di d misura ha avuto a la durataa di circa un'oora, centrata sul massimo presunto p delloo sciame deelle Perseidi 20044. Dati ricavati I dati si limiitano al conteeggio degli evventi meteoricci e alla distinzioone tra le meteeore ipodense e iperdense [22]. Il numero di eventi è calccolato contanddo il numero dei d echi ricevutti, mentre la l distinzionne tra meteoora ipodensa e ipperdensa viene fatta valutanndo visivamennte uno ad unoo gli invilupppi del segnalle presentati da spectrogramm m direttamentte sul monitorr del PC Poicché gli eventi daa noi rilevati sono s decisam mente superiorri a quelli visuali, ciò conferm ma l'ipotesi che c le misure in radio hanno una sensibillità nettamennte maggiore di quelle visualli anche di un fattore 100, Attualmente A n non è ancora com mpletata la distinzione d traa le tipologie di meteora menntre è possibille fare dei raagionamenti suull' andamento del d numero di eventi per uniità di tempo. Fiigura 5. Grafico o Ping vs. Tempo. Considerazion ni Co onfrontando il grafico dda noi ricav vato con lee ossservazioni viisuali si notaa un buon acccordo fino a circa ¾ della sessione di miisura, In seguito si nota unn no otevole aumennto del segnaale per altro rilevato r anchee du urante il contrrollo della misura dovuto probabilmente p e alla forte ionnizzazione ddell'atmosferaa dovuta all massimo m dello sciame. La foorte ionizzazio one ha fatto sìì ch he ricevessim mo il segnalee dell'emitten nte anche inn asssenza di passsaggi di meeteore. Nonosstante questoo in nconveniente possiamo p conssiderare riusciito l'intento dii co ostruire un sisttema semi auttomatico per l'l acquisizionee dii eventi metteorici. Una possibile ev voluzione dell sistema potrebbbe essere quuella di cercaare all'internoo deello spettro radio r una poorzione nella quale sianoo riccevibili simuultaneamente due o più p emittentii po osizionate ill luoghi coonsiderevolmeente distantii deell'ordine del migliaio di chhilometri. Qu uesto potrebbee co onsentire di sttimare con buona approssim mazione sia laa diirezione sia la velocità del corpo entrante inn attmosfera. Po ossibili svilupp ppi Uno sviluppo possibile e facilmente realizzabilee po otrebbe esseree quello di coostruire dei riccevitori moltoo seemplici ed ecoonomici che ddovrebbero av vere all'incircaa le seguenti caraatteristiche: 1. 2. 3. 4. 5. banda di ricezione: 40.000 - 55.0 000 MHz inn continuo; modo di ricezione: r US SB - LSB - CW settabilee dall'utente;; alimentazioone: batterie uscita: auddio su altoparllante e cuffia per l'ingressoo nella schedda audio del PC; sensibilità di ingresso: --150 Dbm e basso b rumoree intrinseco. Avendo a diisposizione aalcuni riceviitori con lee caaratteristiche sopradette s opeerati da soggeetti interessatii alla tipologia di d misura, otttima sarebbe un'esperienzaa prratica per le scuole s superioori, si potrebb be monitoraree in n continuo l'atttività meteoriica da più partti avendo unaa "m mappa" spaziaale del fenomeeno. Un'altra possibile evoluzione, alla quale il G.R.R.AT. sta lavorando, è quella di creare un software dedicato alla misura che implementa il lavoro svolto dal dott. Mario Sandri nella sua tesi di laurea [2], in modo da consentire una prima ma approfondita analisi dei dati raccolti. Ringraziamenti Il G.R.R.AT. vuole ringraziare: dott. Vittorio Napoli, ing. Stelio Montebugnoli, dott. Giuseppe Pupillo, ing. Flavio Falcinelli Bibliografia [l] Neri N., Antenne linee e propagazione - C&C edizioni radioelettriche. [2] Sandri M., Analisi di sciami meteorici di origine cometaria attraverso tecniche radar e visuali Università degli Studi di Padova a.a. 2002-2003. [3] Falcinelli F., Radioastronomia Amatoriale, Ed. Il Rostro