Osservare le Meteore - Circolo Astrofili di Milano

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 OSSERVARE LE METEORE Dispensa per il corso di radioastronomia organizzato dal Circolo Astrofili di Milano in collaborazione con Italian Amateur Radio Astronomy Group Mario Sandri
Tutto il materiale della seguente dispensa è protetto da copyright ed è dunque vietata la pubblicazione e la riproduzione senza l’assenso dei rispettivi autori. Mario Sandri [email protected] http://www.mariosandri.it MSN: [email protected] Skype: mario_sandri Mario San
ndri, mario.sandri@gm
mail.com, htttp://www.m
mariosandrii.it
Gli sciam
s mi me
eteorrici
T, SdR RadiooAstronomiaa UAI, Sociietà Italianaa di Fisica, IIMO
IARA Grouup, GRRAT,
________________________________________________
Abstract
c
Vengono eviddenziate le diiverse tipologiie di oggetti che
comunementte vengono raaggruppate sootto il nome di
corpi interpllanetari. In particolare, viene sottolineaato
il ruolo che i corpi interrplanetari hannno avuto neella
storia, prima del Sistem
ma Solare e poi del nostro
t
pianeta, eviddenziando sopprattutto la quantità di tali
oggetti che colpisce la Terra
T
in perioodi più o meeno
lunghi. Ognii tipologia di questi corpi necessita di un
differente meetodo di indaggine. Infine, quuesti oggetti non
n
hanno tutti una medesim
ma origine, che
c
può esseere
a
o interstellaree, e una stesssa
cometaria, asteroidale
evoluzione.
________________________________________________
meno ha inteeressato anch
he la Terra,,
Questo fenom
oprattutto aglii albori del S
Sistema Solarre, quando ill
so
nu
umero di oggetti interplaneetari in movim
mento caoticoo
atttorno al Soole era notevvolmente maaggiore e all
co
ontempo il noostro pianeta nnon vi opponeeva ancora unn
effficiente scudo protettivo iin quanto l’aatmosfera nonn
av
veva ancora raggiunto uuna completa formazione..
Oggi, al contraario, oltre al fatto che le probabilità
p
dii
mpatti cosmicci sono drassticamente riidotte per laa
im
diiminuzione di
d corpi vagaanti, la Terraa oppone unn
effficientissima difesa doovuta alla presenza dii
un
n’atmosfera completament
c
te sviluppata.. Le cicatricii
do
ovute agli im
mpatti passati sono state mascherate
m
nell
tempo dai proccessi erosivi e tettonici, an
nche se alcunii
crrateri da impatto di granddi dimensioni sono tuttoraa
ossservabili sullaa superficie deel nostro pian
neta.
t i più splendidi e rari fennomeni del cieelo,
Sono questi tra
fra i più capaaci di fissare la
l pubblica atttenzione. […]] le
stelle cadenti sono un fenoomeno di natuura astronomica,
mosferiche, come
e non apparrtengono alle meteore atm
per lungo tem
mpo si è credduto […] il rittorno delle steelle
cadenti è di una
u regolaritàà astronomicaa […] e le goccce
di questa piooggia celeste cadono
c
sulla Terra
T
tutte neella
medesima diirezione, e seccondo linee parallele
p
[…]] le
comete e le correnti
c
meteooriche sono frra loro associaate
[…] le stelle cadenti sono corpi solidi.
p
Giovanni Virrginio Schiappparelli (1835 – 1910), Le più
belle pagine di astronnomia popolaare, CisalpinnoM
1976
Goliardica, Milano,
I corpi interrplanetari
Fino alla priima metà deggli anni '60, gli scienziati non
n
avevano a diisposizione molti
m
dati per poter
p
far luce sul
ruolo del fennomeno impatttivo nell'evoluuzione dei coorpi
del Sistema Solare,
S
finchéé le missioni innterplanetariee di
questi ultimii 40 anni nonn hanno messoo in evidenzaa la
fitta craterizzzazione di tuutti i corpi (piianeti, satellitti e
asteroidi) chhe presentano una superficiie solida. Se per
p
spiegare la craterizzazion
c
ne dei corpi maggiori,
m
infaatti,
accanto a quuesta soluzionee, si potrebbe anche suggerrire
l'ipotesi endoogena, non si può
p fare altretttanto per i coorpi
di dimensionni più modesste, assolutam
mente inadeguuati
sia ad innesccare che a manntenere attivo tale processoo. Il
meccanismo degli impattti riveste quinndi un ruolo di
ma
fondamentalee importanza nell'evoluzioone del Sistem
Solare, non solo come moomento distruuttivo, ma ancche
b
elemeento costruttiivo
come indisppensabile e basilare
nella edificaazione e nellaa strutturazionne definitiva di
tutti i corpi che
c ne fanno parte,
p
così da risultare uno dei
d
processi essenziali del modellamento
m
delle superffici
planetarie.
Fiigura 1 - Localizzazione dei siti di impatto sulla superficie
e
terrrestre noti fino al 1987.
no impatti dii
Il fatto che atttualmente noon si osservin
mponenti dimeensioni, non ssignifica che laa Terra sia unn
im
sistema isolato e del tutto im
mmune all’inteerazione con ill
mezzo
m
interplannetario ma annzi, durante il proprio motoo
dii rivoluzionee intorno aal Sole, è bombardataa
co
ontinuamente da oggetti per lo piiù frenati o
diisintegrati daggli strati atm
mosferici. È interessante
i
a
qu
uesto propositto evidenziaree che ogni ann
no l’atmosferaa
steessa viene a contatto conn centinaia di
d migliaia dii
to
onnellate di oggetti innterplanetari di modestee
diimensioni: i meteoroidi.
m
Seecondo la deffinizione propposta nel 1961
1 dall’IAUNC
C
(In
nternational Astronomicaal Union Nomenclature
N
e
Co
ommittee), unn meteoroide è un corpo so
olido in motoo
neel sistema inteerplanetario ddi dimensioni più
p piccole dii
un
n asteroide ma
m considerevvolmente maaggiore di unn
attomo, la cui massa può essere com
mpresa tra unn
microgrammo
m
e parecchie m
migliaia di ton
nnellate [1]. I
meteoroidi,
m
enntrando nella nostra atmo
osfera, dannoo
orrigine al fenoomeno delle m
meteore. Il nome
n
meteoraa
do
ovrebbe indiccare soltanto iil complesso dei fenomenii
lu
uminosi e di ionizzazione a cui un meteoroide
m
dàà
luogo nella parte superioore dello straato atmosferico.
L’uso attualee ne estende il significato anche al corrpo
stesso, purcché esso veenga totalmeente consumaato
durante il passsaggio nell’aatmosfera. Si chiamano
c
inveece
meteoriti, i meteoroidi più
p grossi chhe, pur essenndo
r
dall’atttrito atmosferrico, riesconoo a
fortemente ridotti
raggiungere la superficie terrestre
t
per effetto
e
delle looro
mensioni. All’altro estremo della scala deelle
maggiori dim
masse si trovano le micrometeooriti, particeelle
estremamentte piccole (generalmente con dimensiooni
del millesim
mo del millim
metro) che perdono
p
la looro
energia sennza consumaarsi nell’atmoosfera cadenndo
lentamente per
p gravità suulla Terra [2].. La definizioone
appena vistta include anche
a
i bollidi, cioè quuei
meteoroidi più
p grossi, e quindi più luminosi, che si
frammentanoo in modo catastrofico
c
e poi esplodoono
dissipando la loro ennergia nell’aatmosfera, con
c
produzione tra
t l’altro di effetti acusticci percepibili da
osservatori e da strumenti sismici posti in vicinanza del
d
punto di espllosione.
uest’ultimo inntervallo rapprresentano la maggior
m
partee
qu
dii tutta la massaa proveniente dallo spazio che
c cade sullaa
Teerra con l’ecccezione, com
me già detto
o, dei grossii
im
mpattori che coostituiscono uun fenomeno sporadico.
s
Il grafico in figura mostrra la variazione in scalaa
biilogaritmica del
d numero cumulativo N dei corpii
in
nterplanetari di
d massa uguuale o maggio
ore di m chee
en
ntrano in un anno
a
nell’atm
mosfera, rispettto alla massaa
m.
Fiigura 3 - Loga
aritmo del num
mero cumulativo
o N, di corpi
intterplanetari di massa
m
uguale o maggiore di m che entrano in
un
n anno nell’atmo
osfera, rispetto a
al logaritmo dellla massa m.
Figura 2 - Rap
ppresentazione della caduta di un meteoroide.
Flussi di meeteoroidi e meetodi osservattivi
Per essere inn grado di vaalutare i rischhi di impatto di
oggetti cosm
mici sulla Teerra o con evventuali struttuure
orbitanti, quuali i satelliiti artificiali o la Stazioone
Spaziale Intternazionale, negli ultimii decenni si è
ritenuto oppoortuno studiarre più in dettaglio la natura ed
il flusso dei meteoroidi.
m
Se si consideraano le masse che
c
vanno da 100-21 kg a 1015 kg, il flussso della mateeria
interplanetaria che arriva mediamente ogni anno suulla
Terra è valuttato attorno a 2.2 ⋅108 kg [1], di cui soloo il
30% è costittuito dai meteeoroidi di masssa compresa tra
10-9 kg e 1007 kg. Sui tem
mpi lunghi i due
d intervalli di
massa che daanno il maggior contributoo al flusso tottale
annuo di maateria interplaanetaria sulla Terra sono tra
1012 kg e 10015 kg (rappressentato per loo più da corpii di
tipo rocciosoo o carbonaceoo) e fra 104 kgg e 107 kg (perr lo
più piccole comete
c
inattivve). Si tratta inn questo casoo di
corpi cosmicci di dimensiooni comunquee dell’ordine del
d
chilometro nel
n primo casoo e maggiori di
d qualche meetro
nel secondoo. Sui tempi brevi, c’è un terzo piccco
significativo nella scala delle
d
masse coompresa tra 10
1 -9
-4
a
kg e 10 kg che corrisponnde alla polverre cosmica e alle
a
I
meeteoroidi
a
appartenenti
micrometeorriti.
Esssa evidenziaa come l’andaamento della distribuzionee
massa-numero
m
di corpi interrplanetari non
n possa esseree
esspressa da unna semplice legge di po
otenza poichéé
prresenta tre inteervalli di massa con marcatte fluttuazionii
risspetto all’anddamento meddio di questa distribuzionee
[3
3]. La prima reegione corrispponde alla situ
uazione in cuii
la dispersione delle particeelle sotto l’in
nfluenza dellaa
prressione di radiazione
r
soolare predom
mina sul loroo
in
ncremento per effetto dellla collisione di corpi dii
maggiori
m
dimeensioni. La seconda regione, invece,,
co
orrisponde alll’intervallo ddi massa occcupato daglii
scciami meteorici, che hannoo origine per lo più da unn
nu
umero limitatoo di comete e asteroidi. In
nfine, la terzaa
reegione corrispponde alla m
maggioranza di corpi dii
prrobabile origiine cometariaa (piccole com
mete inattive))
co
ome è stato suuggerito da K
Kresak (1978) e Rabinowitzz
(1993).
Co
onsiderato l’ampio spettrro delle massse dei corpii
in
nterplanetari, il fenomeno meteorico è monitorato e
stu
udiato attraveerso differentii metodi osserrvativi, le cuii
an
nalisi possonoo essere poi messe in corrrelazione fraa
lo
oro. Partendo dalle massee più piccolee, le tecnichee
uttilizzate ogggi si basanno sull’osseervazione dii
microcrateri
m
lunnari, su rilevattori posti su sonde spaziali,,
su
u tecniche radar
r
e fotoografiche, su
ull’analisi dii
seedimenti marinni e nei ghiaccci polari e su
u osservazionii
dii asteroidi coon i telescopi o con sistem
mi fotograficii
av
vanzati.
Tabella 1 - Spettro della materia interplanetaria nei vari
intervalli di massa con i relativi metodi di osservazione e gli
autori che li hanno utilizzati.
Intervallo
Metodo
Autore
Microcrateri
Grun et al. (1985)
di massa (kg)
10
-21
– 10
-9
lunari
10
-16
– 6x10
-10
Sonde spaziali
Grun e Zook (1980)
-6
Meteore radar
Cevolani et al. (1995)
Meteore
Ceplecha (1988)
-9
3x10 – 3x10
-6
10 – 10
4
fotografiche e TV
(fireballs e bolidi)
5
8x10 – 10
15
Asteroidi
Rabinowitz (1993)
Spacewatch
SEAs
(Small Earth
Approachers)
12
10 – 10
15
Asteroidi
fotografici ECA
Shoemaker et al.
(1990)
(Earth-Crossing
Asteroids)
La scala delle masse presenta alcune discontinuità
soprattutto ai limiti tra le misure effettuate con sonde
spaziali e quelle con tecniche radar, nonché in
corrispondenza della soglia tra le meteore fotografiche
più luminose (fireballs e bolidi) e gli asteroidi
recentemente osservati con il telescopio Spacewatch.
Queste lacune, derivanti da strumenti e tecniche ancora
non sufficientemente adeguati, impediscono di
estendere l’osservazione a tutto l’intervallo delle masse
dei corpi minori del Sistema Solare.
Origine ed evoluzione degli sciami
Il complesso interplanetario dei meteoroidi ha origine
dai processi di disgregazione di altri corpi più grossi
del Sistema Solare ed è costituito da due componenti
fondamentali: le meteore di sciame e quelle sporadiche.
Le meteore di sciame sembrano provenire dalla stessa
regione di cielo, definita comunemente radiante,
mentre quelle sporadiche non hanno un radiante
definito, ma si distribuiscono casualmente sulla volta
celeste.
In generale le particelle che investono la Terra possono
avere origine cometaria, asteroidale o interstellare. Le
prime due sorgenti sono interne al Sistema Solare, con
una probabilità notevolmente maggiore che il corpo
progenitore del meteoroide sia di tipo cometario
piuttosto che asteroidale, la terza invece è esterna. Altre
sorgenti possono derivare da getti di materia espulsa
dalle superfici di pianeti e satelliti per effetto di
collisioni di asteroidi con essi: in questo caso,
l’esplosione al suolo può scagliare nello spazio
circostante materiale con sufficiente forza da vincere
l’attrazione gravitazionale del pianeta o del satellite.
I nuclei delle comete sono assimilabili a palle di neve
sporca [4], in quanto costituiti da un conglomerato di
ghiacci, principalmente acqua, ammoniaca, metano e
diossido di carbonio, combinato con materiale solido
carbonaceo o siliceo, vale a dire frammenti di roccia e
polveri. Nel momento in cui la cometa, durante il suo
moto orbitale, giunge nei pressi del Sole, normalmente
a distanze inferiori a 3-4 UA, i ghiacci cometari,
riscaldati dalla radiazione solare, sublimano e il
materiale si trasforma direttamente dallo stato solido
allo stato gassoso, liberando polveri e frammenti di
roccia in essi imprigionati e formando la caratteristica
chioma che avvolge il corpo cosmico. Tale materiale
lascia la superficie sotto forma di getti, con una
velocità di espulsione piuttosto bassa, 5 – 10 m/s, che
rappresenta solo una piccola frazione della velocità
orbitale della cometa, disponendosi su orbite simili a
quelle del corpo progenitore. La cometa, passaggio
dopo passaggio al perielio, rilascia nuovo materiale
alimentando periodicamente la propria orbita di
particelle, fino a quando non ha esaurito i ghiacci e i
composti volatili del nucleo o cambiato la sua
traiettoria a causa di perturbazioni gravitazionali. Se
l’ellisse che descrive l’orbita della Terra interseca la
conica costituita dalle polveri rilasciate dalla cometa, si
creano le condizioni per la formazione di un nuovo
sciame meteorico.
Tabella 2 - Sciami meteorici di origine cometaria.
Sciame
Massimo di
meteorico
attività
Cometa progenitrice
Quadrantidi
3 gennaio
Machholz
Lyridi
22 aprile
Thatcher
Eta Acquaridi
5 maggio
Halley
Beta Tauridi
30 giugno
Encke
Delta Acquaridi
29 luglio
Machholz
Alpha
2 agosto
1948 XII
Capricornidi
Perseidi
12 agosto
Swift-Tuttle
Draconidi
9 ottobre
Giacobini-Zinner
Orionidi
22 ottobre
Halley
Tauridi
3 novembre
Encke
Leonidi
17 novembre
Temple-Tuttle
Andromedi
29 novembre
Biela
Ursidi
23 dicembre
Tuttle
Un’altra possibile sorgente di meteoroidi sono gli
asteroidi NEA (Near Earth Asteroids), che
probabilmente non sono altro che i resti di collisioni tra
asteroidi della Fascia Principale, quella tra Marte e
Giove, oppure i resti di comete estinte [5]. Questi
appartengono a tre distinte famiglie, Aten, Apollo e
Amor, e si trovano su delle orbite che li portano ad
intersecare o ad avvicinare quella terrestre. La
produzione di meteoroidi da parte di questi asteroidi è
accidentale, cioè è dovuta a fenomeni di collisione tra
gli stessi con conseguente formazione di detriti e
polveri che, quando entrano a contatto con l’atmosfera
terrestre, producono il ben noto fenomeno meteorico.
Tabella 1.3 - Sciami meteorici di origine asteroidale.
Sciame
Massimo di
Asteroide
meteorico
attività
progenitore
Fi Bootidi
1 maggio
1620 Gographos,
1978 CA
Arietidi
2 giugno
1566 Icarus
Tau Erculidi
3 giugno
1087 SJ3
Bootidi
27 giugno
1987 PA
Sigma
12 luglio
2101 Adonis
13 agosto
1221 Amor, 3288
Capricornidi
Camelopardidi
Seleucus
Kappa Acquaridi
20 settembre
4179 Toutatis
Chi Orionidi
1 dicembre
2201 Oljato
Geminidi
13 dicembre
3200 Phaeton
Recentemente,
sono
state
misurate
velocità
eliocentriche di meteoroidi superiori a quella di fuga
del Sistema Solare nei dintorni della Terra (fino a 200
km/s). È molto probabile che un oggetto celeste con tali
caratteristiche non appartenga al Sistema Solare e
quindi si è ipotizzato che provenga da regioni esterne e
che segua delle traiettorie spiccatamente iperboliche.
Tale flusso non proviene uniformemente da tutte le
direzioni, ma sembra presentare due picchi, dovuti al
moto dell’intero Sistema Solare attorno al centro
galattico e a quello verso le stelle vicine [6].
Bibliografia
[1] Huges D.W.: in Meteoroids and their Parent
Bodies, edito da J. Stohl e I.P. Williams, p. 15, (1993)
[2] Whipple F.L.: A comet model. The acceleration of
comet Encke, Astrophysical Journal, 111, p. 375-392,
(1950)
[3] Ceplecha Z.: Influx of interplanetary bodies onto
Earth, Astronomy and Astrophysics, 263, p. 361-366,
(1992)
[4] Whipple F.L.: The cometary nucleus: current
concepts, Astronomy and Astrophysics, 187, p. 852858, (1987)
[5] Drummond J.D.: Earth-Orbit-Approaching Comets
and their Theoretical Meteor Radiants, Icarus, 47, p.
500-517, (1981)
[6] Taylor A.D., Baggaley W.J., Steel D.I.: Discovery
of interstellar dust entering the earth’s atmosphere,
Nature, 380, p. 323-325, (1996)
Mario Sandri, [email protected], http://www.mariosandri.it
Gli sciami cometari
IARA Group, GRRAT, SdR RadioAstronomia UAI, Società Italiana di Fisica, IMO
____________________________________________
Abstract
Viene presentata una panoramica generale sugli
sciami meteorici di origine cometaria. In primo luogo
viene visto il meccanismo di nascita dei corpi
progenitori, le comete appunto. Successivamente vi è
l’analisi del fenomeno dell’eiezione dei meteoroidi da
questi oggetti e la loro evoluzione come corpi
indipendenti del Sistema Solare. Il fenomeno
dell’espulsione è molto importante e, in base alle forze
in gioco sul meteoroide, determina l’orbita iniziale di
tali oggetti. Quando la Terra nel suo moto di
rivoluzione interseca queste orbite si parla di sciame
meteorico.
____________________________________________
662 A.E. Alla fine del mese di Ramadan [26 luglio,
n.d.r.] una cometa (kawkab) con la coda apparve sopra
l'orizzonte ad ovest nei pressi della casa lunare al-Han
'a. La cometa continuò a sorgere tutti i giorni prima
dell'alba dietro la stella conosciuta come "la stella del
mattino" [Venere, n.d.r.]. Avanzava di poco ogni
giorno finché fu vista sorgere prima della "stella del
mattino". La sua coda era molto brillante. Essa
mantenne la sua posizione relativa alla casa lunare alHan'a, essendone discosta di circa 150 verso est. Sorse
sempre regolarmente con al-Han 'a e si muoveva con
essa. Poi cominciò ad avvicinarsi alla casa lunare.
Restò visibile fino ai primi giorni del mese di Dhu al
Qùda [dal 25 agosto in poi, n.d.r.], svanendo infine nel
chiarore del mattino.
Abu Shama, cronachista di Damasco, cometa che
apparve nel 1264
Gli sciami cometari
Nel capitolo precedente è stato descritto in breve il
processo che porta alla formazione di uno sciame di
origine cometaria. Tuttavia, dato che nella seguente
esposizione verranno studiati tre sciami che presentano
tale origine, è opportuno investigare in maniera
maggiormente dettagliata i processi coinvolti nella
formazione di questo tipo di fenomeno. Verranno
descritti, perciò, la nascita e l’evoluzione delle comete
e, successivamente, i processi alla base della
formazione di un meteoroide e la sua esistenza come
un corpo indipendente del Sistema Solare [1][2][3].
I principali processi coinvolti sono:
1. l’espulsione del meteoroide dal nucleo cometario;
2. il cambiamento nell’orbita osculatrice del
meteoroide espulso rispetto quella del corpo
progenitore;
3.
l’evoluzione del meteoroide sotto l’azione di
forze gravitazionali e di radiazione dopo il suo
rilascio dalla cometa.
Origine delle comete
L’origine dei meteoroidi come corpi solidi inizia
nell’atmosfera esterna di grandi stelle che si stanno
raffreddando (Giganti Rosse), quando il materiale
silicatico condensa a formare granuli [4]. Questi
granelli formano il seme delle particelle di polvere
interstellare che popolano il piano della nostra galassia.
In seguito, la condensazione, nel mezzo interstellare, di
gas volatili con un nucleo silicatico produce piccoli
granuli dotati di una matrice organico-refrattaria, la
quale si presenta come uno strato esterno ghiacciato. A
causa dell’instabilità gravitazionale presente in molte
parti di questo ammasso di polvere, stelle e pianeti
possono crescere nel tempo. Molte regioni di
formazione stellare sono molto popolate da gas e
polvere provenienti dal decadimento precedente di altre
stelle.
La formazione del nostro Sistema Solare a partire da
una dalla nebulosa primordiale si verificò 5 miliardi di
anni fa e consistette in una condensazione centrale, il
futuro Sole, e in un disco di materiale solido di diverse
dimensioni generato dalla polvere interstellare e dal gas
[5]. Fuori da questo disco di planetesimi, i pianeti si
formarono come piccoli agglomerati di materia
coagulata attraverso il processo di accrescimento
gravitazionale. Tuttavia, non tutti i planetesimi furono
utilizzati per la formazione di pianeti. Un ampio
numero, circa 1015, di oggetti di materiale non
processato, composto essenzialmente da gas
interstellare congelato e polveri, di dimensioni
chilometriche o superiori, formò corpi separati e
indipendenti, nelle regioni periferiche del Sistema
Solare.
Questi corpi erano inizialmente confinati sul piano del
Sistema Solare, il piano dell’eclittica. Attraverso
successive interazioni con pianeti e stelle sfuggirono
dalla loro originaria posizione e molti di questi oggetti
furono isotropicamente eiettati nelle parti interne del
Sistema Solare, per esempio entro l’orbita di Saturno.
Altri oltre Nettuno continuarono a orbitare nel piano
dell’eclittica in un disco esteso fino a migliaia di unità
astronomiche (UA) dal Sole. Molti si dispersero nello
spazio interstellare, ma una grande parte di questi
rimase debolmente legata al Sistema Solare in una
nube sferica molto distante, di raggio inferiore a
100000 UA.
Molti di questi corpi ghiacciati sono legati al Sole dalla
loro formazione e sono ancora presenti nella cosiddetta
Nube di Oort. Quelli che fanno parte di tale nube sono
composti principalmente di acqua ghiacciata, insieme a
una piccola frazione di ghiacci volatili, come CO e
CH4, e polvere, la stessa polvere interstellare che diede
origine a tutto il processo. Mai riscaldati oltre i 100 K
sopra lo zero assoluto dal tempo dalla loro formazione,
questi oggetti sono rimasti praticamente inalterati per
gli ultimi 4.5 miliardi di anni.
Quando le perturbazioni indotte da stelle vicine o
da maree galattiche alterano l’orbita di questi corpi
ghiacciati, molti di essi possono muoversi all’interno di
orbite più piccole che li portano a sentire le
perturbazioni gravitazionali dei pianeti maggiori o ad
avere un incontro ravvicinato con i pianeti terrestri.
Una volta che ciò succede, molti di tali oggetti
vengono espulsi per sempre dal Sistema Solare, ma una
parte di essi viene catturata su orbite più strette
attraverso ripetute e complesse interazioni coi pianeti.
dettagli del rilascio dei meteoroidi dalla cometa sono
stati
affinati
[7][8],
dall’altro,
invece,
la
rappresentazione fisica di base è rimasta intatta.
Quando un nucleo si avvicina al Sole, la massa persa
per unità di tempo Г è data da:
Γ=
π Rc2 S
nr 2 H
dove Rc è il raggio della cometa, S la costante solare, r
la distanza eliocentrica del nucleo, H è il calore medio
di sublimazione per il ghiaccio e 1/n è la frazione di
energia solare in arrivo usata per la sublimazione. A
una distanza l dalla superficie del nucleo la pressione
su un grano dovuta alle collisioni molecolari libere è:
P=
Γvmol
2π l 2
dove vmol è la velocità molecolare media, la
sublimazione è assunta essere confinata nell’emisfero
rivolto verso il Sole e l>>Rc.
La forza di trascinamento verso l’esterno sperimentata
da un meteoroide dovuta alla chioma di gas è data da:
Fdrag =
Figura 1 - Visione prospettica da un punto sopra l’eclittica
dell’orbita della cometa Thatcher (progenitrice delle Liridi) e
della cometa Halley (progenitrice delle Eta-Aquaridi e delle
Orionidi).
Una volta che questi corpi ghiacciati si trovano più
vicini di circa 4 UA dal Sole, la radiazione solare riesce
a sublimare l’acqua ghiacciata e ad una distanza
inferiore il ghiaccio volatile come la CO. Questo
processo porta alla formazione di un inviluppo di gas
sul corpo centrale ghiacciato e alla espulsione,
attraverso il trascinamento del gas, dei grani di polvere
vicini al nucleo. Gli oggetti più piccoli di queste
polveri, di dimensioni micrometriche, sono spinti in
direzione opposta al Sole dalla pressione di radiazione
solare così da formare una scia. Visto dalla Terra in
tale momento, l’oggetto sembra una stella sfocata con
una coda che si muove su uno sfondo di stelle e
comunemente viene chiamato cometa.
Eiezione dei meteoroidi dal nucleo cometario
La maggior parte dei meteoroidi sono i prodotti del
decadimento
cometario,
sia
graduale
che,
occasionalmente, catastrofico. Whipple fu il primo a
proporre il moderno modello del nucleo cometario,
cioè un agglomerato omogeneo di polvere e ghiaccio,
come una palla di neve sporca [6]. Whipple inoltre
sviluppò le equazioni che determinavano la velocità di
espulsione di un meteoroide di una certa massa dal
nucleo cometario. È questa velocità di eiezione, unita a
quella orbitale della cometa, che determina l’orbita
iniziale per i meteoroidi generatesi. Se da un lato i
Cd
PA
2
dove Cd è il coefficiente di trascinamento, pari a 26/9
per una sfera che riemette le molecole impattanti con
velocità termiche, e A l’area della sezione d’urto del
meteoroide. Così l’accelerazione relativa al nucleo è:
a=
Fdrag
mp
−
GM c
l2
dove mp è la massa del meteoroide, Mc la massa della
cometa e G la costante di gravitazione universale. La
velocità all’infinito relativa al nucleo è:
⎡ 39vmol S
Rc 4πρ cG ⎤
v∞2 − v02 = 2 Rc ⎢
−
⎥
2
3
⎣ 72r H σρ m
⎦
dove v0 è la velocità iniziale, assunta generalmente nei
calcoli pari a zero, ρc la densità di massa del nucleo
cometario, σ il raggio del meteoroide e ρm la densità di
massa del meteoroide. Il secondo termine
dell’equazione precedente è tipicamente una piccola
percentuale del primo termine.
Whipple ha stabilito che la velocità di espulsione di un
meteoroide da un nucleo cometario ve è pari a [6]:
ve = 8.03r
−1.125
−
1
3
1
2
c
−
ρm R mp
1
6
dove Rc è il raggio della cometa in km
m e r la distannza
i UA.
eliocentrica in
Jones ed altrri autori dopo aver riesaminnato il problem
ma
hanno trovaato equazionni molto siimili, le quuali
producono velocità
v
di espulsione enttro il 10% dai
d
valori di Whhipple, partenddo dalle medeesime condiziooni
iniziali [9][100]:
−
1
1
−
1
ve = 10.2r −1.038 ρ m 3 Rc2 m p 6
afffermazione. L’informazion
L
ne su ogni siingolo nucleoo
co
ometario è inssufficiente in molti casi peer giustificaree
un
na più precisa scelta riguarddo alle direzio
oni di eiezionee
ch
he potrebberoo deviare daa una sempliice direzionee
op
pposta a quellaa del Sole.
Non appena sii definisce il luogo di esp
pulsione e laa
veelocità relativaa al nucleo, l’oorbita inizialee imperturbataa
dii ogni meteorooide può esserre definita. L’’insieme dellee
orrbite iniziali dà
d origine allo sciame meteo
orico.
Orbita
O
inizialee dopo l’eiezioone
Quello che em
merge dalla seezione precedente è che laa
1
m/s perr
veelocità di esspulsione è iinferiore a 100
meteoroidi
m
di massa
m
superiorre ai 10-5 g [9]].
Peer eiezioni all’interno
a
di 4 UA dal Sole, tipichee
veelocità cometaarie sono dell’’ordine di V = 30 - 40 km/ss
peer orbite moolto eccentrichhe, perciò laa velocità dii
esspulsione dei meteoroidi reelativi alla co
ometa v è talee
ch
he v<<V. È opportunno definire la velocitàà
peerpendicolare al piano orbiitale della com
meta, positivaa
neella direzionee del polo orbitale nord, come vn, laa
co
omponente neella direzionee del Sole come
c
vr e laa
co
omponente oppposta alla dirrezione del veettore velocitàà
isttantaneo dellaa cometa comee vt.
Figura 2 - Ve
elocità di eiezio
one contro disttanza eliocentriica
secondo il modello di Whipplle (linea continu
ua) e Jones (linea
tratteggiata) pe
er oggetti di ma
assa 0.01 g e densità
d
pari a 0.8
0
3
g/cm .
Questa rapprresentazione è solo un’appprossimazionee e
non tiene conto
c
di ciò che le osseervazioni hannno
evidenziato come
c
la preseenza di getti isolati,
i
rotaziooni
del nucleo, complessi
c
com
mportamenti deella chioma, etc.
e
In particolarre, Steel haa notato l’essistenza di una
u
produzione di gas diistribuita, add esempio la
d
sublimazionee non è confinata solo sullla superficie del
nucleo, maa ciascuno dei meteooroidi generrati
contribuisce alla sublimazzione immediaatamente dopoo il
rilascio. Ciòò è stato deddotto da Steeel nel corso di
osservazioni della cometa Halley, il quuale ha suggerrito
inoltre che questo potrrebbe produrrre velocità di
espulsione radicalmentee differentii da queelle
tradizionalmente trovate con la teoria dii Whipple [3]..
A questo punnto sono statee definite le prrobabili veloccità
di eiezione, il luogo di espulsione
e
e la
l più probabbile
direzione deell’eiezione deel meteoroidee. Il precedennte
modello fisiico fornisce una stima deella velocità di
espulsione per
p una data massa, menttre osservaziooni
cometarie suuggeriscono chhe l’eiezione dei
d meteoroiddi è
improbabile, ma non impoossibile, oltre le 4 UA. Si può
p
solamente suupporre che la fuoriuscita di meteoroiddi è
più
probaabile
nell’emisfero
d
della
comeeta
istantaneameente opposto al Sole. Laa rotazione del
d
nucleo, il traascinamento teermico e l’esisstenza di regiooni
di attività isolata modificano
m
questa ultim
ma
Fiigura 2.3 - Co
oordinate come
etocentriche perr la velocità dii
es
spulsione dei meteoroidi. La
a componente normale della
a
ve
elocità vn è direttta fuori dalla pa
agina, vr è posittiva in direzione
e
de
el Sole e vt è positiva
p
nella d
direzione oppos
sta al vettore dii
ve
elocità istantane
eo della cometa ed è perpendic
colare a vr.
Fiigura 2.4 - Ele
ementi generalii dell’orbita. Ciinque elementi
so
ono necessari per
p specificare l’orientazione di
d un’orbita nel
Siistema Solare e un parametro
o addizionale per
p spiegare la
prrecisa posizione
e del meteoroide
e.
e = eccentricità dell’orbita
d
ellittica
a (c/a)
i = inclinazione (a
angolo tra l’eclitttica e il piano de
ell’orbita)
q = distanza al pe
erielio
ω = argomento del perielio (a
(angolo in orbita tra il nodo
as
scendente e il punto del perielio
o)
Ω = longitudine del
d nodo ascend
dente (angolo tra
a l’equinozio di
prrimavera e il pu
unto dell’orbita che taglia da sotto
s
a sopra il
pia
ano dell’eclittica
a)
L’energia orbitale totale per unità di massa è data da
[11]:
E = T +U =
v2 μ
μ
− =−
2 r
2a
dove a è il valore osculatore del semiasse maggiore, v è
la velocità eliocentrica, T l’energia cinetica, U quella
potenziale e r la distanza eliocentrica. μ rappresenta
GMs dove G è la costante di gravitazione universale e
Ms la massa del Sole. Per una particella eiettata da una
cometa a distanza r, la sua velocità relativa alla cometa
causa un cambiamento nel semiasse maggiore pari a:
ap = −
2a 2
μ
Vvt + a
dove ap è il semiasse maggiore della particella
immediatamente dopo l’espulsione e si assume che
2Vvt/μ << 1. La variazione nel semiasse maggiore, e
dunque nell’energia, dipende dalla componente della
velocità del meteoroide espulso parallela al vettore
velocità della cometa. Il massimo cambiamento nel
semiasse maggiore si ha quando V è massimo, cioè al
perielio.
È possibile riscrivere la precedente equazione
utilizzando la terza legge di Keplero e definire il
cambiamento frazionale del periodo di rivoluzione per
una velocità di espulsione come:
Figura 2.5 - Variazione della longitudine del nodo ascendente
Ω per espulsioni dalla cometa Thatcher come funzione della
componente normale della velocità di eiezione vn a differenti
valori dell’anomalia vera da 270° a 90°.
dP 3a
= Vvt
μ
P
La variazione di ognuno degli altri elementi orbitali è
legata alla velocità di espulsione, ma in una maniera
più complessa e, inoltre, è dipendente da ogni altra
componente. Pecina e Simek hanno descritto tali
parametri, ma in questa analisi vengono proposti solo
quelli di interesse fisico [12].
Il cambiamento nella longitudine del nodo ascendente
Ω è:
ΔΩ =
a (1 − e 2 ) sin (θ + ω )
1
2
μ (1 + e cos θ ) sin i
vn
dove θ è l’anomalia vera, ω l’argomento del perielio e i
l’inclinazione dell’orbita iniziale.
Figura 2.6 - Variazione della longitudine del nodo ascendente
Ω per espulsioni dalla cometa Halley come funzione della
componente normale della velocità di eiezione vn a differenti
valori dell’anomaloa vera da 270° a 90°.
Affinché un meteoroide intersechi l’orbita terrestre, il
suo raggio nodale, cioè il punto dove interseca
l’eclittica, deve essere alla distanza di circa 1 UA dal
Sole. Questa condizione è:
a (1 − e 2 )
1 ± e cos ω
= Re
dove Re è il raggio dell’orbita terrestre a λ(Ω,
Ω+180°), il valore negativo nel denominatore della
precedente equazione è per il nodo discendente e quello
positivo per il nodo ascendente dove λ = Ω + 180°.
Tipiche velocità di eiezione dell’ordine di 10-20 m/s
nel piano orbitale producono cambiamenti nel raggio
nodale discendente di meno di 10-3 UA, mentre solo
maggiori velocità, vicine ai 40 m/s, causano variazioni
di un ordine superiore e cioè 0.01 UA.
Forze agenti sul meteoroide dopo l’eiezione
Per capire come si distribuisce la materia nel Sistema
Solare è interessante analizzare le forze che
intervengono nella dinamica dei meteoroidi [13].
Immediatamente dopo l’eiezione, l’orbita iniziale vista
nel paragrafo precedente è modificata da numerose
forze [14]. In totale, la forza agente su un meteoroide di
circa 10-5 g o maggiore dopo l’eiezione è data da:
F=
−GM
r
+
2
⎡ m
⎛ mM ⎞ r ⎤
9
i
mr + ∑ i =1 Gm ⎢
r − ri ) + ⎜ i s ⎟ i 3 ⎥ +
3 (
⎢⎣ r − ri
⎝ M s + mi ⎠ ri ⎥⎦
SA
SA
8π s 2
ΔT
r − 2 ( 2Vr − Vt ) +
cos ζ
σT 4
c
c
3c
T
dove la somma è su tutti i pianeti da Mercurio a
Plutone, r il raggio vettore dal Sole al meteoroide in
UA, ri e mi sono il raggio vettore e la massa del pianeta
i-esimo, Ms la massa del Sole, m quella del meteoroide,
S è il flusso solare alla distanza r dal Sole e vale S =
1.37/r2 in unità di kW m-2, A è l’area della sezione
d’urto del meteoroide relativa alla direzione solare, c la
velocità della luce, Vr e Vt sono rispettivamente la
velocità eliocentrica radiale e trasversale del
meteoroide, s è il raggio fisico del meteoroide, σ la
costante di Stefan-Boltzmann, T è la temperatura media
del meteoroide, ΔT è la differenza di temperatura tra le
due facce del meteoroide e ζ l’obliquità dell’asse di
rotazione del meteoroide relativa alla direzione
normale dell’orbita.
L’equazione precedente è composta di sei termini,
ognuno dei quali rappresenta una forza fisica ben
distinta agente sul meteoroide, la cui importanza
relativa diminuisce procedendo da sinistra a destra.
Il primo termine rappresenta l’attrazione radiale del
Sole ed è di gran lunga la forza più forte agente sul
meteoroide. Il moto del corpo è definito in termini
eliocentrici, così il moto è eccellentemente
approssimabile ad un sistema a due corpi, Solemeteoroide.
Il secondo termine consiste in una somma della
attrazione gravitazionale diretta di ognuno dei pianeti. I
termini specifici dipendono dall’estensione dell’orbita
del meteoroide, ma tipicamente Giove e/o Saturno
dominano.
Il terzo termine è spesso riferito a perturbazioni
planetarie indirette o al termine di correzione del
baricentro. Questa forza è l’analogo della forza
centrifuga in un moto circolare uniforme ed è dovuta
puramente ad una scelta di un sistema di coordinate
non inerziali. Fisicamente, il meteoroide non si muove
intorno al Sole, ma piuttosto intorno al centro di massa
del Sistema Solare. Questo punto, chiamato baricentro,
è lievemente spostato dal centro del Sole, a causa, in
primo
luogo,
dell’attrazione
di
Giove
e,
secondariamente, da quella di Saturno. Esso si muove
rispetto al centro solare dipendendo dalla posizione dei
pianeti maggiori. Come risultato, gli elementi orbitali
eliocentrici sembrano oscillare in relazione diretta
all’accelerazione del baricentro relativa al centro del
Sole. Questa forza diventa maggiormente significante
per oggetti con orbite estremamente eccentriche vicino
all’afelio, dato che la forza è dipendente dalla distanza
del meteoroide dal Sole e dunque presenta un effetto
maggiore quando l’oggetto è più lontano da tale stella
e, cioè, quando ha l’energia potenziale più alta.
L’importanza relativa di questo effetto diminuisce
quando l’oggetto si muove verso l’interno del sistema e
diventa pressoché insignificante quando l’oggetto è
all’interno dell’orbita di Giove. Le perturbazioni
indirette sono dunque tipicamente più piccole degli
effetti delle perturbazioni dirette a distanza di 1-2 UA
dai pianeti maggiori. Chambers ha discusso il ruolo di
perturbazioni
indirette
nel
mantenere
un
comportamento risonante nelle orbite delle comete di
tipo Halley [15].
Il quarto termine dell’equazione è dovuto alla pressione
di radiazione solare. I fotoni provenienti dal Sole
trasportano con loro un momento. Quando il
meteoroide assorbe i fotoni solari incidenti, rimuove il
momento da tale fascio di particelle. Questa variazione
nel momento del fascio, cioè una forza, dal punto di
vista del meteoroide, agisce sul corpo in proporzione
diretta all’area della superficie geometrica esposta e
alla sua efficienza scatteratrice. Per una particella
perfettamente assorbente, l’efficienza scatteratrice vale
uno e generalmente è il valore che viene utilizzato nei
calcoli. La forza agisce radialmente in direzione
opposta al Sole dato che il momento del fotone assume
virtualmente tale direzione e tende a spingere la
materia ai confini del Sistema Solare.
Dato che tale forza radiale decresce come 1/r2, come
l’attrazione gravitazionale centrale del Sole, è spesso
inclusa con il termine di forza centrale. Più
specificatamente, è normale riferirsi al rapporto tra
forza di radiazione e di gravità come β = Fr/Fg o β =
5.7 x 10-6/ρs, dove ρ è la densità di massa del
meteoroide e s il raggio in metri. In tale maniera è
possibile considerare insieme la forza di radiazione e di
gravità come:
r
ur
r
F = GM (1 − β ) r 3
r
che rivela chiaramente che l’effetto della pressione di
radiazione è equivalente a una diminuzione della forza
centrale, che può essere causata ad esempio da
un’effettiva diminuzione della massa solare. La
pressione di radiazione, cioè la forza radiativa
dominante per i meteoroidi che andremo ad indagare,
agisce immediatamente dopo l’eiezione. Per tale
motivo finché il meteoroide mantiene la sua velocità, è
facile
mostrare,
partendo
da
considerazioni
energetiche, che un’orbita legata prima dell’eiezione,
può diventare successivamente slegata a causa
dell’anomalia vera θ se la condizione:
β≥
1 − e2
2 (1 + e cos θ )
è verificata. Così, il valore di β che è richiesto ad
un’orbita molto eccentrica, cioè con e tendente a 1, per
diventare slegata è abbastanza basso, molto meno di
uno. Per eiezioni che avvengono al perielio, quando
cioè il meteoroide e il corpo progenitore si muovono
alla loro maggior velocità relativa al Sole e l’energia
del corpo è principalmente quella cinetica, un
meteoroide delle Orionidi o Eta-Aquaridi è slegato per
β > 0.01, mentre per uno delle Liridi il valore è solo β >
0.1.
Il quinto termine è dovuto all’emissione di radiazione
del meteoroide. Quando la radiazione investe il
meteoroide, essa è riemessa isotropicamente. Tuttavia,
dato che il meteoroide si muove ad una velocità non
nulla rispetto al Sole, la radiazione emessa in direzione
del moto è spostata per effetto Doppler verso il blu
relativamente alla radiazione emessa in direzione
opposta al moto. Come risultato, la forza comunicata
alla particella dalla luce spostata verso il blu, che ha un
momento maggiore di quella spostata verso il rosso,
agisce in direzione opposto al vettore velocità
istantanea, e agisce frenando la particella. Questa forza
è chiamata effetto Poynting-Robertson [14].
Dall’equazione emerge chiaramente che l’effetto
Poynting-Robertson è dell’ordine di v/c, tipicamente
circa 10-4, relativamente alla pressione di radiazione.
Per tale motivo risulta trascurabile per quanto riguarda
la dinamica di particelle nel caso di brevi intervalli di
tempo o per i meteoroidi più grandi. L’effetto
Poynting-Robertson diventa rilevante solamente per
lunghi intervalli di tempo, rimuovendo il momento e
l’energia da i piccoli meteoroidi, dell’ordine del
micron, in modo tale che l’orbita si circolarizza e il
semiasse maggiore diminuisce, permettendo alle
particelle di muoversi all’interno di regimi dove altri
effetti dinamici, come le risonanze planetarie, possono
avere effetto [16].
L’ultimo termine dell’equazione è il più difficile da
misurare fisicamente e la sua importanza relativa è
stata discussa per molto tempo [17]. Tale forza risulta
generata
dall’asimmetria
nella
reirradiazione
dell’energia termica assorbita da parte di un corpo
rotante esposto alla radiazione solare. La parte più
calda dell’oggetto cosmico irradia maggiore energia
rispetto alla parte più fredda. A seconda
dell’orientazione dell’asse di rotazione e del senso di
spin, lo squilibrio dell’emissione di radiazione può
indurre una forza, che agisce sul meteoroide in una
particolare direzione. Come risultato, a differenza della
pressione di radiazione o dell’effetto PoyntingRobertson, questa forza, chiamata effetto YarkovskyRadzievskii, è diffusa in natura e porta ad un cammino
casuale nel moto perturbato del meteoroide. La
direzione nella quale la forza agisce dipende
dall’orientazione dell’asse di rotazione. Nessuna di
queste quantità è conosciuta con un grado elevato di
precisione per meteoroidi tipici. Come risultato, è
possibile che nei casi estremi di oggetti rotanti
lentamente, la forza esercitata dall’effetto Yarkovsky
possa essere 103-104 volte rispetto alla forza prodotta
dall’effetto Poynting-Robertson. Tuttavia la direzione
casuale della forza nell’effetto Yarkovsky attenua il
suo ruolo rispetto alla forza più piccola ma
unidirezionale
dell’effetto
Poynting-Robertson.
L’effetto Yarkovsky è ancora solamente una frazione
percentuale della pressione di radiazione per un
meteoroide delle dimensioni studiate in questo lavoro.
Tale effetto diventa importante per lunghi periodi e per
corpi molto grandi [18]. Tuttavia, a seconda delle
dimensioni e delle masse delle particelle che
compongono la materia interplanetaria, i rapporti tra
questi tipi di forze possono variare, contribuendo così
alla distribuzione dei meteoroidi all’interno del Sistema
Solare. L’effetto Poynting-Robertson è importante per
particelle di dimensioni che vanno da circa un
millesimo di millimetro fino a qualche centimetro,
mentre per corpi di dimensioni tra 0.1 e 100 metri è
invece l’effetto Yarkovsky a diventare predominante.
L’azione di queste forze è determinante nel descrivere
l’evoluzione degli sciami meteorici in relazione alla
vita dei loro corpi progenitori. Si possono evidenziare
quattro stadi che rappresentano momenti diversi
nell’evoluzione degli sciami:
1. il primo è caratterizzato da una breve attività, che
ha un andamento asimmetrico rispetto alla
posizione del corpo progenitore (come, per
esempio, le Draconidi e le Leonidi);
2. nel secondo, la corrente delle particelle si estende
lungo tutta l’orbita della cometa: la sezione del
flusso è ancora ristretta e con un radiante ben
definito (è il caso delle Quadrantidi e delle
Perseidi);
3. il terzo presenta tutte le caratteristiche di un
vecchio sciame omogeneo, la cui attività è meno
pronunciata ed il radiante più disperso;
4. nel quarto stadio evolutivo, la corrente di particelle
è più diffusa a causa dell’influenza, sempre
maggiore, di forze dispersive ed il corpo
progenitore non si comporta più come una
sorgente di meteoroidi perché di quest’ultimo è
rimasta ormai solo la parte più compatta del nucleo
(come si presume sia il caso delle Geminidi). In
quest’ultimo stadio della sua storia, lo sciame
transita lentamente alla fase delle meteore a
carattere sporadico e il radiante non è più
localizzabile in quanto è divenuto molto disperso.
Figura 7 - L’evoluzione nel tempo di uno sciame meteorico.
Inizialmente, (a) i meteoroidi sono concentrati vicino alla
cometa genitrice. Gradualmente (b) il flusso si distribuisce
davanti e dietro alla cometa finché, eventualmente, i
meteoroidi viaggianti con la cometa incontrano quelli
precedenti ad essa e completano l’anello (c).
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Dynamical Evolution of Meteoroids via the Yarkovsky
Effect, American Astronomical Society, DPS meeting
#30, (1998)
Mario Sandri, [email protected], http://www.mariosandri.it
La fisica del fenomeno meteorico
IARA Group, GRRAT, SdR RadioAstronomia UAI, Società Italiana di Fisica, IMO
____________________________________________
Abstract
Viene trattato il fenomeno meteorico partendo da
considerazioni sulla struttura atmosferica. I meteoroidi
entrando nell’atmosfera interagiscono con questa
dando origine ad una scia di plasma e a quel
complesso di fenomeni luminosi e, a volte acustici, a
cui si da il nome di meteore. Oltre a sottolineare il
meccanismo attraverso il quale tale fenomeno trae
origine, viene evidenziato anche quello con il quale la
scia di plasma viene dissipata. Questi, visti insieme, si
traducono anche in una diversa morfologia che gli echi
radar, prodotti dalla meteora, presentano: echi
ipodensi e iperdensi.
____________________________________________
...l’aria è sottoposta a un attrito piuttosto violento...
…quando l’urto (tra le masse d’aria, n.d.a.) è stato più
leggero e si è solo verificato, per così dire, uno
sfregamento, ne sprizzano luci più pallide, e le stelle
nel loro volo si traggono dietro una chioma luminosa.
Allora meteore infuocate estremamente sottili segnano
e prolungano nel cielo un’esile traccia.
gli atomi leggeri a quote più elevate di quelli più
pesanti.
Il numero delle particelle atmosferiche per unità di
volume decresce in modo esponenziale passando dal
suolo alle quote superiori [2]. Tale andamento
suggerisce che il numero di particelle per unità di
volume può diminuire a tal punto da rendere quasi
inesistenti gli urti fra molecole in modo da aumentare
fortemente il cammino libero medio. Questo parametro
è fondamentale nella fisica delle meteore. A quote
attorno ai 100 km, regione in cui si osserva la gran
parte dei fenomeni meteorici, il libero cammino medio
è dell’ordine di 0.1-1 metri (per confronto al suolo è di
10-7 metri). A seconda delle dimensioni dei meteoroidi
che entrano nell’atmosfera terrestre, la descrizione
dell’interazione con l’atmosfera sarà diversa. Se il
meteoroide ha un diametro medio (0.01 metri) allora
l’interazione con le molecole atmosferiche sarà
paragonabile a quella fra due bocce da biliardo (regime
molecolare). Nel caso limite di un corpo con
dimensioni dell’ordine del centinaio di metri che entri
nell’atmosfera, la descrizione dell’interazione si potrà
fare assumendo che l’atmosfera si comporti come un
fluido (regime continuo).
Seneca (4 a.C. – 65 d.C.), Naturales quaestiones, Libro
I-1, 5-6
L’atmosfera
La corretta interpretazione dei fenomeni meteorici
presuppone un’approfondita conoscenza della struttura
e della composizione dell’atmosfera fino ad una altezza
di 130 km. Solitamente l’atmosfera viene divisa in
quattro strati caratterizzati da differenze nella
composizione chimica i quali sono caratterizzati da
variazioni nella temperatura: troposfera, stratosfera,
mesosfera e termosfera. La troposfera e la stratosfera
sono separate dalla tropopausa che varia in altitudine
da circa 16 km vicino all’equatore fino a 9 km nei
pressi dei poli. La stratosfera e la mesosfera sono
invece separate dalla stratopausa che si trova a circa 50
km. La mesosfera e la termosfera sono separate dalla
mesopausa, a circa 80 km di altezza. Le caratteristiche
fisiche dell’atmosfera variano decisamente in relazione
con la quota: se la quota aumenta, sia la densità che la
pressione diminuiscono, mentre la temperatura mostra
delle oscillazioni. La porzione più esterna
dell’atmosfera, all’altezza di 450-500 km, è chiamata
esosfera [1]. La composizione dell’atmosfera terrestre
si mantiene costante fino a circa 100 km di quota, dove
la turbolenza è elevata e produce un rimescolamento
continuo (omosfera). Per quote superiori l’atmosfera
tende ad assumere una struttura stratificata, portando
Figura 1 - Rappresentazione degli strati atmosferici e
relazione con il fenomeno meteorico.
La fisica del fenomeno meteorico
Quando un meteoroide giunge in prossimità della Terra
inizia ad interagire con l’atmosfera, dando origine a
quell’insieme di fenomeni luminosi e, a volte anche
acustici, chiamati con il nome di meteora. La maggior
parte dei meteoroidi si traasforma in meeteore ad altezzze
mmino libero medio delle molecole d’aaria
in cui il cam
varia da circaa 0.1 metri (add un’altezza di
d 90 km) a cirrca
1 metro (120 km) [3].. Tenendo presente
p
che le
c
dei meteoroidi
m
sonno dell’ordine di
dimensioni comuni
qualche miillimetro, si deduce chhe il processso
dominante duurante il passaaggio in atmosfera è l’impaatto
delle singole molecole d’aaria contro il corpo
c
cosmicoo.
Per l’attrazioone gravitazioonale della Terra, la veloccità
minima con cui un metteoroide entraa nell’atmosfe
fera
v
massim
ma
terrestre è dii circa 12 km//s mentre la velocità
dipende dall’’origine del coorpo e dalla direzione
d
del suo
s
moto. Essa, perciò, risullta essere di circa 72 km
m/s,
come sommaa della velociità della Terraa attorno al Soole
(29.7 km/s) e della velocittà di fuga di una
u particella dal
d
Sistema Solaare in prossim
mità della Terrra (42.1 km//s).
Inoltre, il Sistema Solare non è un sisttema isolato ma
m
può essere attraversato
a
daa particelle anncora più velooci
(granuli innterstellari) provenienti dallo spazzio
interstellare, che si muovvono a velociità fino ad olltre
200 km/s [4].
d
Un parametrro importante è dato dallee dimensioni del
meteoroide, che
c determinaa l’evoluzionee del suo tragiitto
nell’atmosferra terrestre. Innfatti, i meteorroidi più minuuti,
oggetti con masse inferriori ai 10-9 kg tipiche dei
d
c
cosiddetti miicrometeoroiddi, sono rallenttati in modo che
la caduta siaa soggetta uniccamente alla forza di graviità,
senza alcunaa emissione dii radiazione. Per
P i meteorooidi
di massa supperiore invecce l’interazionne con gli strrati
più densi delll’atmosfera genera
g
un’ondda d’urto dovuuta
al fatto che tali
t oggetti coosmici si muoovono a veloccità
ipersoniche [5]. Le caratteristiche
c
principali di
d
sono:
quest’onda d’urto
1. fronte dell’onda d’uurto: è uno strato piuttosto
sottile caratterizzatoo da bruschee variazioni di
pressionne, densità e temperatura. In questo straato
l’energiia cinetica delle
d
molecolle in collisioone
viene convertita
c
in eccitazione degli elettrooni,
dissociaazione molecoolare e ionizzaazione di atom
mi;
2. strato compresso:
c
è una regionee di flusso non
n
viscosoo posto dietro al
a fronte d’onnda dove il gass è,
in prrima approsssimazione, in equilibbrio
termodiinamico;
3. strato liimite: è un soottile strato viscoso
v
vicinoo al
meteorooide in cui la componente tangenziale
t
deella
velocitàà tende a decrescere fino add annullarsi suulla
superficcie del corpo stesso. La strruttura di questo
strato diventa piutttosto compleessa quando le
molecole del meteorooide si vaporiizzano, poichéé si
p
vengono a creare moolteplici stratii limite: uno per
mite
le moolecole evapporate, uno strato lim
aerodinnamico in cui viene compensata la
componnente tangenziiale della veloocità e uno straato
di equillibrio termico in cui la tem
mperatura del gas
g
e del meteoroide
m
si uguagliano;
u
4. zona dii stagnazione: è una regione posta dietroo al
meteorooide contenennte un gas rarrefatto costituuito
da moolecole evapporate dal meteoroide,
m
da
particellle espulse daalle disomogeeneità del corrpo
durantee la rotazione, etc.;
5.
5
traccia meteorica:
m
si forma come risultato dell
collasso dei
d gas che fluuiscono attorn
no al corpo e
della loro successiva diffusione.
Fiigura 2 - Eleme
enti principali de
ell’onda d’urto: 1.
1 fronte d’onda;;
2. strato compressso; 3. strato lim
mite; 4. zona di stagnazione; 5..
cia.
sc
volversi di unn
Laa semplice teooria fisica chee descrive l’ev
meteoroide
m
intteragente conn l’atmosferaa a velocitàà
ip
personiche, può
p
essere discussa rich
hiamando lee
eq
quazioni fonddamentali chee governano i processi dii
deecelerazione, perdita dii massa, luminosità e
io
onizzazione e assumendoo che i co
oefficienti dii
freenamento, trasporto
t
del calore, luminosità
l
e
io
onizzazione presenti
p
nellee equazioni stesse sianoo
co
ostanti [6].
Laa prima eqquazione fonndamentale della teoria,,
l’eequazione di decelerazionee, tiene contto dell’effettoo
freenante dell’attmosfera terreestre e si bassa sull’ipotesii
ch
he la perdita della
d
quantità ddi moto Mdv da parte di unn
meteoroide
m
sia proporzionale all’impulso acquisito dall
geetto d’aria innvestito. La massa d’ariaa che investee
un
n’area generiica S, definiita dalla proiezione dellaa
seezione d’urtoo del meteooroide lungo
o la propriaa
traaiettoria, alla velocità v in uun tempo dt è S ρ vdt . Cosìì
ottteniamo l’equuazione [5]:
M
dv
= −Γ
− S ρv2
dt
ove Γ è il coeefficiente di ffrenamento, ch
he esprime laa
do
po
orzione di quantità
q
di m
moto del gettto incontratoo
co
onvertita in deecelerazione ddel corpo. Il coefficiente
c
Γ
pu
uò essere sia maggiore
m
che minore di uno
o. Nel caso dii
Γ < 1 il trasfe
ferimento di m
momento al meteoroide è
ncompleto (peer esempio, ill caso in cuii alcune dellee
in
molecole
m
che vengono
v
a conntatto con esso
o gli fluisconoo
atttorno); l’altrro caso si verifica quaando diventaa
ap
pprezzabile ill momento rrelativo al rimbalzo dellee
molecole
m
dallaa superficie del meteorroide o allaa
vaaporizzazione delle molecolle dal meteoro
oide stesso.
Allo stesso tem
mpo i meteorroidi sono so
oggetti ad unn
prrocesso di peerdita di maassa, definito processo dii
ab
blazione, caraatterizzato da vaporizzazio
one, fusione e
fraammentazionee. In primo luogo ciò ch
he avviene è
l’eespulsione diiretta degli aatomi dalla superficie
s
dell
meteoroide
m
in seguito
s
a colllisione. Ognun
no di tali urtii
lib
bera un’energgia dell’ordinee di 100 eV. Mano
M
a manoo
che il corpo cosmico procede nel suo tragitto si forma,
vicino alla superficie, uno scudo di gas che tende a
ridurre l’importanza del processo di espulsione diretta.
Le molecole che ora giungono a colpire la superficie
del meteoroide sono state smorzate dallo scudo di gas,
per cui non hanno più energia sufficiente a espellere gli
atomi del corpo cosmico. Tuttavia, riescono a
riscaldarlo e ben presto si raggiungono temperature tali
da fare evaporare gli atomi. Questo fenomeno è
descritto dalla seconda equazione fondamentale della
teoria, l’equazione di perdita di massa, che segue
dall’ipotesi che una certa porzione di energia cinetica
1
S ρ v3 del getto opposto di molecole è spesa in
2
ablazione della massa dM nel tempo dt. Se Q è il calore
latente di vaporizzazione o fusione del materiale che
costituisce il meteoroide in unità di energia, allora
l’equazione di perdita di massa si scrive come:
dM
S ρv2
= −Λ
dt
2Q
Il coefficiente Λ di trasferimento di calore descrive il
consumo di energia ed è minore o uguale a uno poiché
l’energia spesa nel processo di ablazione non può
superare la totale energia cinetica del getto opposto di
molecole.
Se
viene
considerata
anche
la
frammentazione, deve essere presa in considerazione la
porzione di energia spesa nel processo stesso (vale a
dire nel rompere i legami meccanici tra le particelle) e
quella portata via dalle particelle frammentatesi.
Ablazione
e
decelerazione
si
influenzano
vicendevolmente, poiché l’ablazione dipende dalla
velocità del corpo mentre la decelerazione dipende
dalla massa. Quindi le equazioni di perdita di massa e
di frenamento per un meteoroide devono essere risolte
simultaneamente.
Fatta eccezione per l’energia spesa nel processo di
perdita di massa, parte dell’energia delle molecole che
vengono a contatto con il bersaglio cosmico è spesa nel
surriscaldare il meteoroide stesso e parte convertita in
radiazione, mediante ionizzazione di atomi e molecole
sia del meteoroide che dell’aria, ma la quantità più
rilevante è dissipata dalle molecole d’aria e di vapore e
dagli atomi considerati. La radiazione luminosa
risultante si può esprimere attraverso la terza equazione
fondamentale della teoria, l’equazione di luminosità,
assumendo che l’intensità di radiazione I della meteora
sia proporzionale all’energia cinetica della massa dM
evaporata nel tempo dt:
⎛ dM
I =τ ⎜−
⎝ dt
2
⎞r
⎟
⎠2
dove τ è il coefficiente di efficienza radiativo o, più
comunemente, coefficiente di luminosità, che può
dipendere, in generale, dalla velocità, dalla massa e
dalla composizione del meteoroide.
Atomi e molecole atmosferiche e meteoriche si
eccitano e ionizzano durante le collisioni anelastiche
fra atomi vaporizzati del meteoroide ed atomi e
molecole d’aria. Di conseguenza, lungo il tragitto della
meteora si forma una scia ionizzata, o più precisamente
una traccia di ioni-elettroni, in quanto ne fanno parte
entrambi rendendo la scia di plasma elettricamente
quasi neutra. Tale traccia assomiglia ad una colonna
cilindrica molto lunga e stretta, dove le dimensioni del
raggio iniziale sono circa pari al cammino libero medio
a quella quota, mentre la lunghezza può arrivare a
parecchi chilometri. La caratteristica più importante
della scia di plasma formatasi è la densità elettronica
lineare q, vale a dire il numero di elettroni per unità di
lunghezza costituitisi durante il cammino della
meteora. Questo parametro è descritto dalla quarta
equazione, l’equazione di ionizzazione meteorica, che,
se β è il numero medio di elettroni liberi formati in
collisioni con altre particelle da parte di un atomo
meteorico (coefficiente di ionizzazione), si può
scrivere:
q=−
β ⎛ dM ⎞
⎜
⎟
ma v ⎝ dt ⎠
dove ma è la massa media di un atomo meteorico.
È interessante evidenziare che sia l’intensità di
radiazione I della meteora sia la densità elettronica
lineare q della traccia sono proporzionali al tasso di
vaporizzazione.
Processi di dissipazione di una scia ionizzata
La ionizzazione meteorica prodotta dall’impatto di
atomi meteorici ablati con atomi e molecole
dell’atmosfera è dissipata per effetto di vari processi. I
principali sono:
1. diffusione degli elettroni attraverso l’ambiente
attorno la traccia ionizzata che si è formata;
2. ricombinazione elettronica con gli ioni;
3. attaccamento di elettroni alle molecole neutre
dell’aria.
Turbolenza su piccola scala, venti su grande scala e
diffusione
anisotropica
causata
dal
campo
geomagnetico sono generalmente di importanza
secondaria.
Diffusione ambipolare
La diffusione ambipolare è il principale meccanismo di
dissipazione delle tracce meteoriche ionizzate: tale
processo influenza fortemente il decadimento della
densità elettronica nelle meteore.
In assenza di un campo magnetico, la diffusione
ambipolare di un gas debolmente ionizzato obbedisce
ad una convenzionale equazione di diffusione della
forma
∂ne
= D∇ 2 ne
∂t
dove ne è la densità elettronica e D è il coefficiente di
diffusione ambipolare. In questa trattazione si assume
la quasi neutralità della traccia.
Se consideriamo una scia meteorica che si propaga in
un’atmosfera neutra, la soluzione a tale equazione è
data da [5]:
⎛
r2
⎞
−⎜
⎜ 4 Dt + r 2 ⎟⎟
q
0 ⎠
⎝
ne ( r ) =
⋅
e
2
4π Dt + π r0
dove q è la densità elettronica lineare e t il tempo di
decadimento dopo il passaggio della meteora; r è il
raggio del cilindro che costituisce la traccia ionizzata
che si espande progressivamente per diffusione e può
essere espresso dalla relazione
r ( t ) = 4 Dt + r02
dove r0 è il raggio iniziale della scia che al momento
della sua formazione è all’incirca di una decina di
centimetri. Inizialmente si evidenzia un certo equilibrio
nella carica elettrica della traccia essendoci lo stesso
numero di elettroni liberi e ioni positivi per ogni unità
di volume del cilindro. La densità dell’aria atmosferica
circostante è però molto più bassa di quella della
traccia e perciò ioni positivi ed elettroni iniziano a
diffondersi verso l’esterno anche se con velocità
differenti. Data la scarsa mobilità degli ioni positivi e,
al contrario, la straordinaria capacità di diffusione degli
elettroni,
l’equilibrio
di
carica
sottolineato
precedentemente scompare in seguito alla separazione
delle cariche. Tale processo è all’origine della
formazione di un campo elettrico detto di carica
spaziale, che tende a ricreare la neutralità. In definitiva,
si ha quindi un processo di diffusione detto appunto di
diffusione ambipolare, in cui elettroni e ioni positivi si
espandono assieme nello spazio attorno al cilindro
iniziale con velocità pari al doppio di quella che
avrebbero gli ioni positivi da soli, ma sensibilmente
minore della velocità propria di diffusione degli
elettroni.
Se la decomposizione della traccia fosse dovuta
solamente alla diffusione, allora la concentrazione degli
elettroni lungo l’asse della traccia ad un tempo tD
sarebbe
ne =
Ricombinazione
Assumendo che, insieme alla diffusione, acquisti
importanza anche un processo di ricombinazione di
elettroni con ioni, la concentrazione di cariche negative
diventa [7]:
ne ( 0 ) =
Sebbene la diffusione ambipolare sia il meccanismo
che controlla la deionizzazione delle scie meteoriche
per altezze superiori a 95 km circa, al di sotto di questa
quota, per effetto di un aumento della densità dei
costituenti atmosferici, i processi chimici in gioco
hanno un ruolo di primaria importanza nel determinare
il deterioramento della traccia di quelle meteore più
grosse capaci di penetrare negli strati più bassi
dell’atmosfera.
⎛
1
t ⎞
t R ⎜ 4π D + q β RD ln R ⎟ + π r02
2
t0 ⎠
⎝
dove βRD è il coefficiente di ricombinazione.
La ricombinazione di un elettrone con uno ione
positivo non avviene direttamente ma attraverso una
serie di reazioni chimiche che coinvolgono i costituenti
atmosferici.
Il processo di perdita di elettroni, come mostrato nelle
reazioni successive, passa infatti attraverso la
preliminare ossidazione da parte dell’ozono o
dell’ossigeno degli ioni meteorici ablati [8].
X + + O 2 + M → XO +2 + M
(β R = 2.5 ⋅10-30 cm 3 /s)
X + + O3 → XO + + O 2
( β R = 4.0 ⋅10
-10
cm 3 /s )
dove X+ è uno ione metallico presente nella traccia
meteorica (Fe+, Mg+, Ca+, Si+, Na+, K+, Al+), M è una
molecola presente in atmosfera e βR un coefficiente di
ricombinazione ottenuto come valore medio dei
coefficienti di ricombinazione per ogni specie metallica
[9].
Gli ioni metallici ossidati e biossidati così prodotti si
ricombinano poi con gli elettroni liberi e tali processi
combinati hanno in ultima analisi l’effetto di
neutralizzare gli ioni meteorici.
XO +2 + e - → X + O 2
(β RD = 1.0 ⋅10-6 cm 3 /s)
XO + + e - → X + O
(β RD = 5.0 ⋅10-7 cm 3 /s)
q
4π Dt D + π r02
q
Queste ultime due reazioni di ricombinazione
avvengono più velocemente delle precedenti e quindi il
processo combinato sarà regolato dalla reazione di
ossidazione più veloce.
In assenza di ioni metallici meteorici, si deve
sottolineare un altro meccanismo: il processo di
ricombinazione dissociativa di elettroni con gli ioni
+
molecolari O 2 e NO
+
predominanti nella zona
meteorica [5].
O +2 + e - → O + O
(β
RD
= 2.0 ⋅10−7 cm 3 /s )
NO + + e - → N + O
( β RD = 4.55 ⋅10−7 cm3 /ss )
d queste reazzioni sono delllo stesso ordiine
Le costanti di
di grandezzza e le concentrazionni degli iooni
corrispondennti nella zona meteorica nonn superano i 10
1 5
-3
cm
cosiccché la ricoombinazione dissociativa è
raggiunta entro circa 10-4 secondi, senzza incidere suulla
d
traccia. Come deetto
graduale diistruzione della
inizialmente tale processo è influente soolo in assenzaa di
munque trasccurabile rispeetto
ioni metallicci ed è com
all’attaccameento per laa bassa conncentrazione di
reagenti.
nto
Attaccamen
Considerando il processo di attaccameento di elettrooni
c
alle molecolee ed atomi neutri dell’aria, la relazione che
esprime la deensità elettronnica lungo l’aasse della traccia
ad un tempo tA (tempo di attaccamento)
a
è data da
ne =
q
4π Dt A + π r02
e −( β A nM t A )
mento e nM è la
dove βA è il coefficientee di attaccam
concentrazione di particelle coinvoltte nel processso
d
a cui
c sta avveneendo.
dipendente dall’altezza
Tale interazioone può avvennire in due moodi diversi:
1. attraaverso una reaazione a due corpi
c
[8]
reeirradiano nelllo spazio un’oonda della stessa lunghezzaa
d’’onda. Anchee gli ioni poositivi della traccia sonoo
co
ostretti ad osccillare dal caampo elettrico
o dell’onda e
reeirradiano nelllo spazio come dipoli herziaani, ma il loroo
co
ontributo è trascurabile rispetto a quello deglii
elettroni, dal momento
m
chee la potenza reirradiata è
nversamente prroporzionale aalla massa.
in
Sii hanno due tipi fondameentali di echii meteorici, a
seeconda che laa concentrazioone lineare degli
d
elettronii
neella traccia riiflettente sia maggiore o minore
m
di unn
ceerto valore limite.
l
Quanddo la densittà elettronicaa
lin
neare della traaccia è minoree di circa 2.4 ⋅ 1014 el/m, laa
rifflessione da origine
o
ad un eco ipodenso,
o nel caso inn
cu
ui q sia magggiore di talee valore si forma
f
un ecoo
ip
perdenso [7].
Nel caso ipodeenso la densittà elettronica lineare è talee
ch
he le interaziooni tra i vari elettroni dellaa traccia sonoo
traascurabili.
consegue
che
l’ondaa
Da
ciò
elettromagneticca riesce ad aattraversare in
nteramente laa
o interno daii
traaccia meteoriica e viene ddiffusa al suo
sin
ngoli elettronni che si com
mportano com
me oscillatorii
in
ndipendenti.
Inoltre,
morfologicam
mente
sonoo
caaratterizzati da
d una rappida crescita del segnalee
riccevuto dovuuta alla foormazione della
d
traccia..
Su
uccessivamennte, una voolta raggiunto il valoree
massimo,
m
l’eco decade esponnenzialmente nel
n tempo perr
efffetto della diffusione aambipolare della tracciaa
meteorica,
m
il cuui allargamennto provoca laa diminuzionee
deella potenza riflessa, inn quanto au
umentano lee
diifferenze di faase fra gli eleettroni più viccini al radar e
qu
uelli più lontanni [10].
e - + O → O - + hυ
(β A = 1.3 ⋅10-15 cm 3 /ss)
e - + O 2 → O -2 + hυ
(β A = 2.0 ⋅10-18 cm 3 /ss)
e- + O3 → O - + O 2
(β A = 1.6 ⋅10-30 cm 3 /ss)
me interazione a tre corpi coon trasferimennto
2. com
di un surpluss di energia add una terza parrticella [8]
e- + O + M → O- + M
(con M = N 2 o O 2 )
e - + O 2 + O 2 → O -2 + O 2
(β A = 1.6 ⋅10-30 cm 3 /ss)
e + O2 + N 2 → O + N 2
-
2
(β A = 1.0 ⋅10-30 cm 3 /ss)
he
Classificazioone delle traccce meteorich
Quando un’onda elettrom
magnetica invveste la traccia
m
gli elettroni
e
in essa
ionizzata proodotta dalla meteora,
contenuti, peer effetto del campo eletttrico dell’onda,
iniziano ad oscillare con la stessa freequenza. Questi,
d
herzianno,
comportandoosi come un minuscolo dipolo
Fiigura 3 - Profilo tipico di u
un eco radar di una traccia
a
ipo
odensa.
Nel caso iperrdenso, invecce, la densittà elettronicaa
lin
neare della traccia
t
è sufficientementee elevata daa
reendere non più
p
trascurabbile l’interazzione tra glii
elettroni: in tale
t
situazionne la tracciaa può esseree
asssimilata ad una superficcie conduttriice cilindricaa
co
oassiale con la stessa, chhe quindi no
on si fa piùù
atttraversare dallla radiazione elettromagnettica incidente,,
su
ubendo così una
u riflessionee totale. Dal punto
p
di vistaa
morfologico,
m
annche qui si ha una rapida salita inizialee
deella potenza riflessa fino al massimo, raggiunto ill
qu
uale la potenzza rimane peròò pressoché co
ostante per unn
ceerto periodo di tempo, costituendo una
u
sorta dii
pianerottolo (plateau), olltre il quale si ha la tipica
caduta esponenziale delll’eco dovuta alla diffusioone
d
traccia.
ambipolare della
Figura.4 - Profilo
P
tipico dii un eco rada
ar di una tracccia
iperdensa.
a
rapppresentano dei
d
Purtroppo i due casi analizzati
comportamennti ideali, chee negli echi reali ben pocche
tracce seguono, in quantoo il fenomenoo è disturbato da
numerosi fatttori tra cui:
1. distorsione e rotturaa della tracciia meteorica ad
d venti mesoosferici e form
mazione di zoone
opera dei
di riflesssione multiple note come glint;
g
2. presenzza di oscillazzioni di Fresnnel nelle traccce
ipodensse;
3. processsi non diffusivvi coinvolti neel dissolvimennto
della traaccia meteoricca.
La durata deggli echi è mollto varia e dippende fortemennte
dalla lungheezza d’onda impiegata e dall’altezza del
d
punto di rifleessione: per frrequenze intorrno a 40 MHzz si
considerano ipodensi gli echi che haanno una durrata
inferiore al secondo e ipperdensi i resstanti. In questo
secondo casoo si hanno echhi con durate anche superiiori
al minuto, tuttavia il looro numero diminuisce con
c
l’aumentare del tempo dii vita in quannto derivano da
m
e quuindi più rare.
meteore più massicce
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o
T, SdR RadiooAstronomiaa UAI, Sociietà Italianaa di Fisica, IIMO
IARA Grouup, GRRAT,
________________________________________________
Abstract
Viene innanzzitutto consideerata la regioone dello spetttro
elettromagneetico analizzata dal radar: le onde radioo e
in particolarre la banda VHF.
V
I radar attraverso
a
cuii si
osservano glli sciami meteeorici possonno essere di due
d
tipi: a back-sscatter e a forrward-scatter.
________________________________________________
Meteore, bollidi, meteoritii rivestono unn grande fasciino
e, se invesstigati con le tecniche della sciennza
contemporannea, possono dare inform
mazioni cruciiali
sulla strutturra dinamica, la
l storia e l’orrigine del nostro
Sistema Soolare. Sonoo anche fenomeni
f
che,
diversamentee dagli impattti catastrofici (e per fortunaa!),
a ciascuno di
d noi capita prima o poi di osservare in
prima personna, in una nottte serena opppure durante una
u
visita a un museo
m
di storiia naturale. Capirli
C
dal punnto
di vista scientifico non toglie certamente nulla al
godimento estetico
e
(e neeppure, nei casi
c
estremi, al
timore) che essi
e possono suscitare.
s
Paolo Farineella
r
La finestra radar
Generalmentte lo studio delle
d
onde ellettromagneticche
può essere affrontato
a
daa due diversi punti di vissta:
attraverso laa teoria onddulatoria oppuure con queella
quantistica. I parametri foondamentali chhe descrivonoo le
onde elettrom
magnetiche soono la lunghezza d’onda λ,, la
frequenza υ e l’energia asssociata E, legaate fra loro daalle
seguenti relaazioni:
c = λ ⋅υ
E = h ⋅υ
dove c è la vvelocità della luce che nel vuoto vale cirrca
3·108 m/s, mentre
m
in unn mezzo geneerico assumee il
c
valore cmezzo = , dipenddente dall’indiice di rifrazioone
n
s
n; h è la costante di Plank il cui
c
del mezzo stesso
valore è circaa 6.6·10-34 J·s..
La distribuziione delle eneergie di radiazzione può esseere
rappresentataa sia in funzzione della luunghezza d'onnda
che della freequenza in un
u grafico notto come spetttro
elettromagneetico.
Fiigura 1 - La trassparenza atmossferica (troposfe
era e ionosfera))
allle varie lunghezzze d’onda.
Fiigura 2 - Vision
ne d’insieme de
ello spettro elettromagnetico in
n
ba
ase alla lunghezzza d’onda.
s
arbitrariaamente suddiv
viso in regionii
Taale spettro è stato
o intervalli cuui sono stati attribuiti nom
mi descrittivi..
All'estremo piùù energetico (alte frequeenze, piccolee
unghezze d'ondda) ci sono i rraggi gamma e i raggi X (lee
lu
cu
ui lunghezze d'onda sonoo usualmentee misurate inn
an
ngstroms [Å] dove 1 Å = 10-10 m). La
L radiazionee
ulltravioletta si estende da ciirca 300 Å a circa
c
4000 Å..
Peer le regionii centrali deello spettro è invece piùù
op
pportuno utiliizzare il miccron (µm) co
ome unità dii
misura.
m
La reggione visibile occupa quin
ndi l'intervalloo
fraa 0.4 e 0.7 µm
m o quello eqquivalente da 4000 a 70000
Å; quella infraarossa è invecce compresa fra
f 0.7 e 1000
m. Per gli inttervalli di lunnghezze d'ond
da maggiori sii
µm
paassa dai mm ai metri e talle regione corrrisponde allee
baande radio.
Ta
abella 1 - Suddiivisione dello sp
pettro radio in va
arie sottoclassi.
DENOMINAZIO
ONE
FREQUENZE
ESTREMAMEN
NTE BASSE
FREQUENZE BASSISSIME
RADIOFREQ
FREQUENZ
UENZE
E BASSE
SIG
FREQUE
E
LA
NZA
ELF 0 - 3kHz
z
VLF 3 - 30kH
Hz
LF
30 300kHz
LUNGHE
ZZA
D'ONDA
> 100Km
100 10Km
10 - 1Km
(ONDE
LUNGHE)
MEDIE
FREQUENZ
E
MF
(ONDE
300kHz -
1Km -
3MHz
100m
3-
100 -
30MHz
10m
MEDIE)
ALTE
FREQUENZ HF
E
FREQUENZ
E
ALTISSIME
VHF
(ONDE
30 300MHz
10 - 1m
METRICHE)
ONDE
DECIMETRI UHF
CHE
ONDE
MICROONDE CENTIMET
SHF
RICHE
ONDE
MILLIMETRI EHF
CHE
300MHz
1m -
- 3GHz
10cm
330GHz
10 - 1cm
30 -
1cm -
300GHz
1mm
Le frequenze che possono essere utilizzate dal radar
sono comprese generalmente in un intervallo che va da
3 MHz a 300 GHz. La determinazione di tale intervallo
è limitata da alcuni problemi di carattere tecnologico ed
altri legati alla natura del mezzo in cui si propagano le
onde. Il ricorso alle frequenze più basse dell’intervallo,
infatti, è limitato essenzialmente dall’ingombro delle
strutture radianti. Ad esempio ad 1 MHz un dipolo di
mezza lunghezza d’onda avrebbe delle dimensioni di
75 m, rendendo impossibile la costruzione di antenne
ad alto guadagno. Inoltre, la ionosfera è un forte
diffusore di basse frequenze e dà origine ad echi
indesiderati; poiché la ionosfera non è un mezzo
statico, questi si possono confondere con bersagli in
movimento. Inoltre, elevate lunghezze d’onda
comportano piccole variazioni in frequenza difficili da
misurare se il segnale viene diffuso da un oggetto in
movimento (effetto Doppler). Infine, si devono
ricordare molti problemi logistici, quali le difficoltà
nell’ottenere una licenza di trasmissione ed il
reperimento di un canale radio libero adatto. Il fondo,
in aggiunta, presenta livelli di rumore generalmente
alti. Alle frequenze più alte, invece, i problemi sono di
norma connessi con l’assorbimento di energia da parte
degli strati atmosferici, anche se esistono varie bande
dove l’assorbimento atmosferico è meno accentuato,
come a 35 GHz e vicino a 94 GHz.
La scelta della frequenza da utilizzare nella ricerca
radar deve soddisfare principalmente due requisiti:
1. si devono utilizzare frequenze basse in quanto la
potenza ricevuta dipende dal quadrato della
lunghezza d’onda a meno della sezione d’urto
radar dipendente anch’essa dalla lunghezza
d’onda, mentre il rumore cresce col quadrato della
stessa;
2. non è consigliabile scendere sotto i 30 MHz per
non incorrere, come già detto, nei forti disturbi
provocati dalla propagazione ionosferica.
Una frequenza intorno ai 40 MHz soddisfa pienamente
le condizioni richieste.
Il radar
Il radar utilizza onde radio per rilevare la presenza di
oggetti e per trovare la loro posizione. La parola radar,
per la prima volta usata dalla U.S. Navy nel 1940,
deriva da radio detection and ranging, definizione che
racchiude le due finalità di rilevazione e localizzazione.
I radar attuali si sono evoluti e sono stati perfezionati
per classificare o identificare bersagli, ma anche per
ricreare le immagini degli oggetti, ad esempio la
mappatura del territorio dai satelliti in orbita.
Il principio del radar è che un segnale radio inviato da
un trasmettitore viene deviato da qualsiasi oggetto
incontrato (terra, mare, navi, aerei, etc.). Una piccola
quantità di energia viene perciò riflessa verso un
ricevitore. Dopo l’amplificazione del segnale da parte
del ricevitore, i segnali sono elaborati sia attraverso una
metodologia software che elettronica, al fine di ricavare
dalla totalità degli echi ricevuti quelli utili per gli scopi
di ricerca.
Vi sono molteplici applicazioni per il radar. Viene
utilizzato, infatti, per rilevare oggetti le cui dimensioni
spaziano su di una scala che varia da pochi centimetri
fino all’estensione di oggetti planetari.
Tabella 2 - Applicazioni del rada, suddivise in civili e militari,
con relative sottoclassi.
APPLICAZIONI RADAR
Controllo traffico aereo
Controllo traffico navale
Previsioni meteorologiche
Terra
Autovelox
Sistemi di allarmi di sicurezza
Astronomia e Geofisica
Misure industriali
Civili
Mare
Navigazione
Prevenzione collisioni
Altimetria
Aria
Navigazione
Tempo meteorologico
Studio delle risorse terresti
Spazio
Controllo navette spaziali
Mappatura di pianeti e corpi minori
Militari
Rilevamento
Forze nemiche ed alleate
Inseguimento
Obbiettivi marini, terrestri, aerei o
spaziali
Guida
Sistemi di armi
Il radar meteorico può essere impiegato sia in campo
geofisico, per quanto concerne l’analisi della fisica
dell’alta atmosfera (studio di profili di densità e
temperatura, venti, maree atmosferiche, onde di
gravità, etc), sia in campo astronomico per lo studio
della materia interplanetaria interagente con
l’atmosfera stessa.
Tale radar può essere principalmente di due tipologie: a
back-scatter (a retro-diffusione) e a forward-scatter (a
diffusione in avanti).
Nel primo sistema il trasmettitore e il ricevitore sono
localizzati nello stesso sito e dunque l’onda incidente e
quella diffusa sono perpendicolari alla traccia
meteorica. La richiesta a cui devono soddisfare le
meteore per poter essere rivelate da un sistema a backscatter è che la loro traccia sia tangente ad una sfera
centrata sul radar. Dato che le tracce hanno
un’estensione finita, alcune di esse non riescono a
soddisfare la richiesta di essere ortogonali alla linea di
vista del radar ed in tal caso il segnale di ritorno sarà
estremamente debole e difficilmente potrà essere
rivelato. Quindi il radar riesce a “vedere” solo una
frazione degli oggetti che transitano nel suo campo di
vista, ossia solo quelli aventi il giusto orientamento.
Figura 3 - Schema di un radar meteorico a back-scatter.
Nel caso del forward-scatter i due apparati sono
dislocati in posti diversi e conseguentemente la
diffusione è di tipo obliquo. La condizione che la
traccia deve soddisfare perché si abbia la ricezione
dell’eco radar non è più l’ortogonalità della traccia
meteorica con la linea di vista del radar, come visto nel
back-scatter, bensì è richiesto che il raggio incidente e
quello riflesso formino angoli uguali con l’asse della
traccia. Ciò si traduce nella condizione che la colonna
di plasma deve essere tangente ad un’ellissoide nei cui
fuochi si trovano il trasmettitore e il ricevitore. Inoltre è
opportuno che la distanza tra ricevitore e trasmettitore
sia sufficientemente elevata in modo che la curvatura
terrestre impedisca ai due apparati di “vedersi”
direttamente (in altre parole, il ricevitore deve essere
oltre l’orizzonte radio del trasmettitore). Solo in questo
modo il sistema sarà capace di rivelare la traccia
ionizzata della meteora.
Figura 4 - Schema di un radar meteorico a forward-scatter.
Una differenza sostanziale fra i due sistemi sta quindi
nel fatto che, mentre nei radar a back-scatter la stessa
antenna viene utilizzata alternativamente dal circuito
ricevente e da quello trasmittente, e quindi può usare
solo onde pulsate, nei radar a forward-scatter, avendo
apparati trasmittenti e riceventi separati, è opportuno
operare in onda continua.
Bisogna dire che i sistemi radar a forward-scatter, sia in
ambito civile che militare, non hanno avuto una
diffusione così vasta come quelli a back-scatter,
soprattutto a causa della complessa geometria del
sistema per la localizzazione del bersaglio e della
sincronizzazione fra trasmettitore e ricevitore
necessaria per misurare la distanza dal bersaglio stesso
[1]. La possibilità di avvalersi di un sistema a forwardscatter permette tuttavia di trarre ulteriori vantaggi
rispetto al radar monostatico: innanzitutto non vi è il
rischio di intercettare falsi bersagli posti a terra, come
invece può avvenire nei sistemi monostatici; è possibile
innalzare il tetto di osservazione delle meteore che,
unito ad una maggiore persistenza dell’eco, porta al
monitoraggio di una zona più estesa di atmosfera; si
possono effettuare misure di concentrazione di ozono
mesosferico e climatologia delle onde di gravità e dei
moti atmosferici che influenzano nel tempo la
distribuzione di costituenti minori nell’atmosfera
media; costituisce una valida alternativa all’uso di
satelliti per le comunicazioni al di sopra dell’orizzonte,
attraverso l’impiego dei canali ionizzati lasciati dalle
tracce meteoriche; infine non si è limitati dal traffico
aereo, perciò si può far uso della tecnica ad onda
continua che si rivela particolarmente consigliabile per
la maggior sensibilità delle apparecchiature riceventi e
per l’uso di ristrette bande di frequenza con una
conseguente riduzione del livello di rumore.
Caratteristiche del radar
È interessante ora approfondire alcune delle proprietà
che descrivono la qualità dello strumento, come la
precisione, la risoluzione, il tempo di integrazione e lo
spostamento doppler.
Con il termine precisione generalmente si indica
l’incertezza nella misurazione della distanza assoluta di
un oggetto. Sembrerebbe intuitivo associare questa
caratteristica alla nitidezza della forma dell’impulso,
tuttavia si scopre che il fattore cruciale che determina la
precisione è l’ampiezza di banda. Se si utilizzasse una
sola frequenza la determinazione della posizione di un
oggetto sarebbe approssimativa e produrrebbe delle
inevitabili ambiguità, in quanto la misura della fase è
periodica. Per ovviare a questo problema si utilizzano
diverse bande di frequenza che migliorano la
determinazione
della
misura.
In
prima
approssimazione, una stima della larghezza di banda B
è pari all’inverso della durata dell’impulso τ:
B
1
τ
Ad esempio, un radar con frequenza di banda di 1 MHz
che trasmette impulsi della lunghezza di 1 μs ha una
precisione di 150 metri. Se questo stesso radar fosse
concepito per avere una precisione di 15 cm, dovrebbe
trasmettere impulsi con un periodo di 1 ns, che
corrisponderebbe ad una ampiezza di banda di 1 GHz.
Figura 6 - Risoluzione radar. Due bersagli (a) facilmente
risolvibili quando sono separati da un lasso di tempo superiore
alla durata dell’impulso (b) irrisolvibili quando tale tempo è
inferiore alla durata dell’impulso e (c) appena risolvibili quando
esso uguaglia la durata dell’impulso.
Figura 5 - Precisione del range in funzione dell’ampiezza di
banda. (a) con un’unica frequenza, la precisione del bersaglio
è scarsa e ambigua; (b) con due frequenze, la precisione e
l’ambiguità migliorano (c) utilizzando più ampiezze di banda, le
ambiguità vengono eliminate e la precisione aumenta
ulteriormente.
Un altro fattore in grado di alterare la precisione delle
misure è il rapporto segnale-rumore in quanto il rumore
può modificare negativamente la forma dell’impulso.
Con risoluzione si indica invece quanto devono essere
distanti spazialmente due bersagli per poter essere
discriminati dallo strumento. È possibile distinguere
due echi separati se il ritardo di tempo tra gli echi
provenienti da due oggetti è maggiore della durata
dell’impulso τ. Il criterio che stabilisce la risoluzione
spaziale ΔR fra due oggetti è dato dall’espressione
ΔR ≥
cτ
2
Un’altra caratteristica è il tempo d’integrazione, vale a
dire il tempo necessario affinché l’apparato ricevente
sia in grado di integrare e sommare i dati a
disposizione, in modo da rendere le misurazioni più
precise possibili.
Un’ultima, ma importante proprietà è il modo con cui il
radar può misurare la velocità di un oggetto. Un
metodo si basa sulle variazioni della posizione del
bersaglio nel tempo. In questo modo è facile introdurre
delle incertezze a meno che non si insegua il bersaglio
per un lungo lasso di tempo. In realtà un metodo più
preciso per calcolare la velocità di un bersaglio si basa
sullo spostamento doppler, che consiste nella
variazione della frequenza del segnale radio causata dal
movimento del bersaglio: tanto più l’oggetto si
avvicina velocemente al ricevitore, maggiore è
l’aumento di frequenza. L’espressione che lega lo
spostamento doppler in frequenza Δν con la
componente della velocità radiale vr è
Δν
νT
=
ν R − ν T vr
=
νT
c
dove υT è la frequenza del trasmettitore e υR quella del
ricevitore. Con questo metodo, tuttavia, si può
calcolare unicamente la componente radiale della
velocità.
Bibliografia
[1] Kingsley S., Quegan S.: Understanding Radar
Systems, edito da McGarw-Hill, London, (1992)
Mario Sandri, [email protected], http://www.mariosandri.it
L’equazione radar
IARA Group, GRRAT, SdR RadioAstronomia UAI, Società Italiana di Fisica, IMO
____________________________________________
Abstract
Viene illustrata la fisica che sta alla base del
funzionamento di un radar meteorico introducendo
l’equazione radar. Il parametro che gioca un ruolo
fondamentale per la risoluzione di tale formula è la
densità elettronica lineare che, tra le altre cose,
determina la distinzione tra echi ipodensi e iperdensi.
____________________________________________
…per li seren tranquilli e puri
discorre a ora a or subito foco,
movendo li occhi che stavan sicuri,
e pare stella che tramuti loco,
se non che dalla parte ond’el s’accende
nulla s’en perde, ed esso dura poco…
Dante Alighieri
Divina Commedia, Paradiso, Canto XV, 13-18
L’equazione radar
La capacità che ha un radar di rilevare un bersaglio è
espressa attraverso una relazione nota come equazione
radar, la cui dimostrazione offre fondamentali
informazioni sul funzionamento dello strumento ed è
perciò utile ricavarla da considerazioni generali. Un
costituente essenziale del radar è certamente l’antenna,
un dispositivo volto ad irradiare o ricevere energia
elettromagnetica. Le sue funzioni principali sono quelle
di focalizzare la potenza in una data direzione in modo
da aumentare la sensibilità, garantire il controllo del
fascio esploratore in modo da perlustrare una certa area
di copertura e infine permettere la misurazione di
informazioni angolari in modo da determinare la
direzione di un bersaglio.
Un parametro fondamentale che racchiude in sé le
caratteristiche fondamentali dell’antenna è il guadagno
di potenza G(θ,φ) o semplicemente guadagno G, che
esprime la capacità dell’antenna di concentrare la
potenza irradiata in una determinata direzione. Tale
parametro comprende il concetto di perdite che si
verificano attraverso il riscaldamento dell’antenna
stessa, attraverso il terreno, assorbimenti vari, perdite
delle guide d’onda e di polarizzazione, attraverso
qualsiasi accoppiamento con l’antenna oltre che
attraverso la potenza irradiata nei lobi laterali.
In generale un’antenna in cui G è costante, e che quindi
ha la caratteristica di irradiare la potenza in modo
uniforme in tutte le direzioni e cioè sull’intero angolo
solido (4π steradianti), viene definita omnidirezionale o
radiatore isotropo. Si può ora definire il guadagno di
potenza come il rapporto fra l’intensità di radiazione
nel lobo principale dell’antenna e l’intensità di
radiazione di un’antenna isotropa con un’efficienza del
100% avente lo stesso assorbimento di potenza:
G (θ , ϕ ) =
4π
Δθ ⋅ Δϕ
dove Δθ e Δφ sono rispettivamente l’ampiezza del
fascio in direzione azimutale e in direzione
ascensionale, tutto misurato in radianti. L’angolo
azimutale θ fornisce le informazioni direzionali o di
posizione e, come in una bussola magnetica, viene
misurato in senso orario partendo dal nord. L’altezza φ,
invece, viene misurata partendo dall’orizzonte verso
l’alto. In alternativa il guadagno stesso può essere
definito come:
G=
4π ⋅ Aeff
λ2
dove Aeff è l’area efficace dell’antenna che solitamente
è inferiore all’area reale.
Figura 1 - Azimut, elevazione ed ampiezza di fascio.
I diagrammi dell’antenna sono direzionali in tre
dimensioni, produrne uno è un po’ come schiacciare un
pallone sferico per ottenere una sporgenza. Se si vuole
G>1 in qualche direzione particolare si deve
schiacciare il resto ed ammettere G < 1 da qualche altra
parte. Il punto importante è che il guadagno integrato
attorno ad un’antenna ammonta al valore unitario.
La potenza irradiata da un’antenna isotropa PT si
distribuisce in modo uniforme su di una sfera in modo
tale che il flusso di potenza ΦT ad una distanza RT
dall’antenna è dato da [1][2]:
PT
4π RT2
Φ T ( RT ) =
PR =
Tuttavia le antenne reali non sono omnidirezionali
ma concentrano la propria potenza in una data
direzione. Per questo è opportuno modificare la
precedente equazione tenendo conto della direzione
tramite il guadagno d’antenna in modo da ottenere la
seguente relazione per il flusso di potenza:
ΦT ( RT ,θ , ϕ ) =
PT GT (θ , ϕ )
4π RT2
Tale flusso di potenza investe un bersaglio che espone
ad esso una superficie nota come sezione d’urto radar σ
(RCS, radar cross section), dipendente dalla forma
dell’oggetto colpito, dal materiale che lo costituisce,
dalla lunghezza d’onda incidente, etc., per cui il
bersaglio reirradierà isotropicamente una potenza data
dal prodotto tra il flusso di potenza incidente e la
sezione d’urto radar:
Preirradiata = Φ T σ =
PT GT σ
4π RT2
Ad essa è associato un flusso che si ottiene
considerando che tale potenza si distribuisce, nel suo
tragitto verso il ricevitore, su una sfera di raggio RR pari
alla distanza tra il bersaglio e il ricevitore stesso:
ΦR =
PT GT σ
( 4π RT2 )( 4π RR2 )
Del flusso inviato al ricevitore solo una parte sarà
intercettata dall’antenna, che è in grado di raccogliere
una potenza proporzionale alla sua area efficace Aeff ,
cosicché la potenza al ricevitore PR risulta essere pari a:
PR =
PT GT σ Aeff
( 4π R )( 4π R )
2
T
2
R
Utilizzando la relazione per l’area efficace si ottiene la
fondamentale equazione radar generale, riferibile
immediatamente al caso forward-scatter:
PR =
PT GT GRσλ 2
( 4π )
3
2
T
2
R
R R
L’equazione radar nel caso back-scatter si può ottenere
direttamente dalla precedente tenendo conto che RT =
RR = R:
PT GT GRσλ 2
( 4π )
3
R4
L’equazione radar si rivela tuttavia insufficiente in
quanto non indica se la potenza è superiore o inferiore
al livello di rumore di fondo. È noto infatti che il
rumore è sempre presente, sia come rumore interno
causato da componenti elettronici, sia come rumore
esterno proveniente da sorgenti naturali, quali
l’atmosfera, o da interferenze prodotte dall’uomo.
Queste sorgenti di rumore sono ad ampia banda rispetto
al segnale radar, ed una funzione dei ricevitori radar è
quella di adattare l’ampiezza di banda per accettare il
segnale, evitando l’entrata di qualsiasi ulteriore rumore.
Pertanto si è soliti comparare la potenza ricevuta dal
bersaglio con il rumore di fondo medio N presente nel
sistema, ottenendo il rapporto segnale-rumore (signal
to noise ratio, SNR):
SNR =
PR
P G G σλ 2
= T T3 R2 2
N ( 4π ) RT RR N
Equazione radar nel caso ipodenso
Le equazioni radar viste precedentemente possono
essere differentemente considerate nel caso in cui il
bersaglio sia una traccia meteorica di tipo ipodenso. Per
semplicità, si può partire da un sistema radar a backscatter, assumendo che la traccia sia approssimabile ad
un cilindro circolare infinitamente lungo, il cui
diametro risulti molto piccolo rispetto alla lunghezza
d’onda del radar, e che solo la componente elettronica
della traccia contribuisca alla diffusione.
Sotto queste ipotesi, la sezione d’urto radar di una
traccia ipodensa in funzione del tempo è espressa da
[3][4]:
⎛ 8π 2 r02 ⎞
⎟
λ2 ⎟⎠
−⎜
⎜
r 2 q 2 Rλ
σ= e
⋅e ⎝
2
⋅e
⎛ 32π 2 D ⎞
t⎟
−⎜
⎟
⎜ λ2
⎠
⎝
dove re è il raggio classico dell’elettrone e vale circa
2.8178 ⋅ 10 −15 m, D il coefficiente di diffusione della
traccia e si misura in m2/s ed r0 il raggio iniziale della
traccia meteorica in m. Il primo dei tre fattori nella
equazione (5.11) rappresenta la sezione d’urto radar
iniziale della traccia meteorica (t = 0) nel caso ideale,
in cui il raggio iniziale della traccia sia nullo ( r0 = 0 ).
Il secondo termine è il fattore di attenuazione dovuto al
raggio iniziale finito della traccia. Infine il terzo
termine rappresenta l’attenuazione del segnale causata
dall’interferenza distruttiva innescata dalla progressiva
diffusione ambipolare della traccia. Gli ultimi due
termini sono stati calcolati assumendo un modello in
cui la distribuzione degli elettroni attraverso la traccia è
gaussiana e l’aumento del raggio a seguito della
diffusione ambipolare obbedisce alla relazione
r (t ) = 4 Dt , in cui r(t) è il raggio della traccia
meteorica al tempo t e D è il coefficiente di diffusione
[5].
Sostituendo la sezione d’urto nell’equazione radar
generale per un sistema a back-scatter si ottiene
l’equazione radar a back-scatter per una traccia
meteorica ipodensa, valida a grandi lunghezze d’onda (
λ > r0 ) [1]:
PR =
PT GT G R λ3 q 2 re2
2(4π ) R
3
3
e
⎛ 8π 2 r02
−⎜
⎜ λ2
⎝
⎞
⎟
⎟
⎠
e
⎛ 32π 2 D
−⎜
⎜
λ2
⎝
t ⎞⎟
⎟
⎠
Passando ad un radar a forward-scatter entrano in gioco
numerose variabili e la geometria del sistema diventa
molto complessa.
τ=
λ2
32π 2 D
mentre per un sistema a forward-scatter è dato da:
τ=
λ 2 sec 2 φ
32π 2 D
Dal confronto immediato tra le due equazioni si ricava
che, a parità di lunghezza d’onda e di coefficiente di
diffusione, il tempo di decadimento per un sistema a
forward-scatter è maggiore di quello di un radar a backscatter di un fattore sec2φ.
Equazione radar nel caso iperdenso
Lo stesso ragionamento può essere fatto per dedurre le
equazioni radar nel caso iperdenso. In tali condizioni si
assume che la scia di plasma sia assimilabile ad un
cilindro metallico che si espande radialmente per
diffusione. La sezione d’urto della traccia iperdensa per
un sistema radar a back-scatter è [4]:
1
⎛ r qλ2 ⎞⎤ 2
R⎡
⎟⎟⎥
σ = ⎢4 D t ⋅ ln⎜⎜ e 2
4 ⎢⎣
⎝ 4π D t ⎠⎥⎦
Figura 2 - Geometria di un sistema radar a forward scatter: R
è il ricevitore e T il trasmettitore.
L’equazione radar completa nel caso ipodenso per un
sistema a forward-scatter è data da:
PR =
PT GT GR λ 3 q 2 re2 sin 2α
( 4π ) RT RR ( RT + RR ) (1 − cos 2 β sin 2φ )
3
⋅e
⎛ 8π 2 r 2 ⎞
− ⎜ 2 02 ⎟
⎜ λ sec φ ⎟
⎝
⎠
⋅e
Sostituendo tale espressione nell’equazione radar
generale, si deriva l’equazione radar per una traccia
iperdensa in un sistema a back-scatter:
⎛ 32π 2 D t ⎞
−⎜ 2
⎜ λ sec 2 φ ⎟⎟
⎝
⎠
dove RT ed RR rappresentano le distanze del
trasmettitore e del ricevitore dal punto della traccia in
cui è soddisfatta la condizione di riflessione, β è
l’angolo tra la traccia e il piano di propagazione (ossia
il piano in cui giacciono RT ed RR), ed infine φ è la
metà dell’angolo tra RT ed RR (nel piano di
propagazione). Il significato dei tre termini che
compongono l’equazione per il radar a forward-scatter
sono analoghi a quelli visti nel caso del radar a backscatter. L’angolo α che compare nel numeratore del
primo termine è l’angolo compreso tra il vettore campo
elettrico dell’onda incidente sulla traccia meteorica ed
RR. Esso è una misura della variazione di
polarizzazione dell’onda elettromagnetica nella
diffusione, mentre nel back-scatter tale angolo è
sempre α = 90°.
Dal confronto tra le due equazioni radar emergono
alcune differenze rilevanti tra i due sistemi. Prima di
tutto, è utile stabilire un tempo caratteristico di
decadimento per un eco ipodenso, definito come il
tempo necessario al segnale per ridursi di un fattore 1/e
rispetto al suo valore massimo. Questo tempo per un
sistema a back-scatter vale:
1
⎛ r qλ 2 ⎞ ⎤ 2
P G G λ2 ⎡
PR = T T 3R 3 ⎢ 4 D t ⋅ ln ⎜ e 2
⎟⎥
4 ( 4π ) R ⎣
⎝ 4π D t ⎠ ⎦
che è applicabile approssimativamente finché il
logaritmo non diventa nullo, ossia fino al tempo:
τ′ =
re qλ2
4π 2 D
Trascorso questo periodo, la traccia continua a seguire
la relazione valida per le tracce ipodense.
Per il sistema a forward-scatter l’equazione radar nel
caso iperdenso risulta molto più complessa in quanto
nella sezione d’urto si tiene conto della geometria del
sistema:
1
PR =
⎡ 4D t
⎛ r qλ 2 sec 2 φ ⎞ ⎤ 2
⋅ ⎢ 2 ⋅ ln ⎜ e 2
⎟⎥
3
2
2
sec
φ
2 ( 4π ) RT RR (RT + RR )( 1 − cos β sin φ ) ⎣
⎝ 4π D t ⎠ ⎦
PT GT GR λ 2 sin 2 α
che è valida fino all’annullamento del logaritmo, cioè
fino al tempo:
τ′ =
re qλ 2 sec2 φ
4π 2 D
dopo il quale per la potenza del segnale continua a
valere la relazione vista precedentemente.
Si può notare che le equazioni per i radar a forwardscatter, sia nel caso ipodenso che iperdenso, ponendo
RT = RR = R , φ = 0°, β = 90°, α = 90° , si riducono
alle equazioni per un radar a back-scatter. Tutte le
relazioni precedenti sono state ricavate supponendo che
la lunghezza d’onda fosse molto maggiore del raggio
iniziale della traccia, in caso contrario bisognerebbe
adottare altre relazioni valide a piccole lunghezze
d’onda [5.4]. La lunghezza d’onda di transizione tra i
due casi è data dalla relazione:
1
⎛ 128π 4 D 2 R ⎞ 3
⎟⎟
λT = ⎜⎜
2
v
⎝
⎠
che per i valori tipici del sistema radar utilizzato nel
presente lavoro (R = 500 km, v = 40 km/s e D = 3 m2/s)
vale circa 3 metri.
Bibliografia
[1] Kingsley S., Quegan S.: Understanding Radar
Systems, edito da McGarw-Hill, London, (1992)
[2] Skolnik M.: Radar Handbook, McGraw-Hill, New
York, (1970)
[3] McKinley D.W.R.: Meteor Science and
Engineering, edito da McGraw-Hill Book Company,
(1961)
[4] Sugar G.R.: Radio propagation by reflection from
meteor trains, Proceedings of the IEEE, (1964)
[5] Keiser T.R.: Radio echo studies of meteor
ionization, Advan. Phys., 2, p. 495-544, (1953)
Mario Sandri, [email protected], http://www.mariosandri.it
Procedura di analisi dei dati
IARA Group, GRRAT, SdR RadioAstronomia UAI, Società Italiana di Fisica, IMO
____________________________________________
Abstract
Vviene affrontata la questione dell’analisi dei dati.
Quelli ricavati dal sistema radar subiscono una prima
selezione attraverso un processo di preelaborazione
durante la loro fase di acquisizione. Nonostante ciò
essi devono subire ulteriori riduzioni e correzioni,
come la sottrazione del background, il recupero del
dead-time e la correzione per gli effetti chimici. I dati
così ottenuti servono per ricavare il profilo di attività
dello sciame e il suo indice di massa. I dati visuali,
invece,
sono
stati
reperiti
dall’archivio
dell’International Meteor Organization e, dopo una
opportuna scrematura, sono stati utilizzati per ricavare
il tasso orario zenitale o ZHR e l’indice di popolazione
che è direttamente collegabile con quello di massa.
____________________________________________
San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché di gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
(…)
E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male
X Agosto, Giovanni Pascoli, Myricae
Dati radio
Le principali correzioni che devono essere effettuate a
seconda dei casi sono:
1. sottrazione dell’attività meteorica sporadica
(sottrazione del background);
2. correzione per il tempo di oscuramento dei segnali
radio riflessi dalle tracce meteoriche (dead-time);
3. correzione delle durate per gli effetti di
dissipazione non dovuti al processo di diffusione
della traccia meteorica.
Il background sporadico
Uno sciame meteorico è caratterizzato dal fatto che le
meteore ad esso associate sembrano provenire da una
medesima zona del cielo detta radiante. Tuttavia è
presente un’attività di fondo caratterizzata da meteore
sporadiche, le quali non presentano un radiante ben
definito. Per eliminare la contaminazione di questi
ultimi oggetti, in fase di analisi è opportuno sottrarre il
contributo del fondo dall’attività dello sciame
esaminato. Questa procedura sarebbe ottimizzata, e
quindi molto più semplice, se il sistema radar fosse in
grado di determinare la posizione di provenienza delle
meteore, in modo da selezionare solo quelle che
provengono da uno stesso radiante. Tuttavia, tale
modalità non può essere utilizzata con lo strumento in
dotazione e quindi è necessario intervenire in altro
modo. La sottrazione del background è complicata
ulteriormente dal fatto che l’attività sporadica non è
costante nel tempo, in quanto presenta variazioni sia a
breve periodo (variazione diurna) sia a lungo periodo
(variazioni stagionali). Le cause di queste variazioni
sono da ricercarsi principalmente in due effetti
sovrapposti:
1. effetto apice del moto orbitale della Terra;
2. variazioni reali nella distribuzione della materia
interplanetaria.
Per definizione l’apice del moto terrestre è quel punto
dell’eclittica verso il quale sembra muoversi la Terra
istante per istante. Tale punto è sempre posto a 90° di
distanza angolare dal Sole e, come questo, l’apice si
muove giornalmente di 0.99 gradi lungo l’eclittica. Si
definisce invece antiapice il punto sulla sfera celeste
posto a 180° dall’apice, vale a dire il punto
dell’eclittica opposto al moto di direzione della Terra.
Assumendo una distribuzione spaziale costante di
meteore sporadiche, l’effetto apice consiste nel fatto
che maggiore è l’altezza dell’apice sull’orizzonte
dell’osservatore, maggiore sarà il numero di meteore
incontrate. Viceversa, maggiore è l’elevazione
dell’antiapice e minore sarà l’attività di fondo. Va
sottolineato il fatto che l’apice non è una sorta di
radiante, ma rappresenta, in sostanza, la porzione di
atmosfera terrestre esposta frontalmente al moto
orbitale del nostro pianeta, regione in cui è maggiore la
probabilità di impatto con meteoroidi disposti in
maniera uniforme. La variazione diurna del flusso
sporadico è la prima evidenza di tale effetto in quanto il
massimo di attività sporadica è registrato intorno alle
ore 06 locali, quando l’apice è alla maggiore altezza
sull’orizzonte, mentre il minimo si osserva alle 18
locali in corrispondenza della massima elevazione
dell’antiapice rispetto all’osservatore.
effetti dovuti alla variazione diurna. Tuttavia questo
metodo presenta possibili problemi, dovuti al fatto che
molto spesso vengono campionati pochi giorni attorno
al massimo previsto di attività dello sciame o che
l’attività dello sciame che si vuole analizzare non è
molto appariscente e tende ad avere dei flussi non
molto superiori a quelli del fondo. Fortunatamente, per
gli sciami analizzati in questo lavoro tali problemi non
si sono verificati.
Figura 1 - Geometria dell’effetto apice, che sta alla base delle
variazioni diurne del flusso sporadico. Nelle ore serali (18 TL)
solo le meteore più veloci, che riescono a raggiungere la
Terra, possono essere osservate. Nelle prime ore del mattino
(06 TL) l’osservatore è esposto frontalmente al moto terrestre,
per cui sono rivelabili non solo le meteore veloci, ma anche
quelle più lente.
In questa breve analisi non si è fatto riferimento al fatto
che la Terra presenta un’inclinazione del suo asse pari
a 23.27° rispetto alla normale del piano orbitale. Tale
caratteristica rende l’effetto apice una delle cause che
contribuiscono alla variazione stagionale del
background sporadico. Infatti, per un osservatore posto
a latitudini superiori a 23.27° (tropico del Cancro),
come nel nostro caso, si osserva un picco annuale di
attività del background sporadico in corrispondenza
dell’equinozio autunnale (23 settembre). In tale data,
infatti, l’apice rimane sopra l’orizzonte dell’osservatore
per un numero maggiore di ore rispetto ad altri periodi
ed inoltre raggiunge la massima altezza sull’orizzonte.
Ovviamente il minimo stagionale di attività lo si ha in
corrispondenza dell’equinozio di primavera (21
marzo), giorno in cui è l’antiapice a raggiungere la
massima elevazione e a perdurare per un periodo
maggiore di ore.
Oltre al precedente effetto, la variazione stagionale del
background sporadico è dovuta al fatto che la
distribuzione di meteoroidi nello spazio interplanetario,
incontrata dalla Terra durante il suo moto, non è
uniforme. Sembra che le meteore sporadiche abbiano
una densità spaziale maggiore nell’ultima parte
dell’anno. Questo sta a significare che negli ultimi mesi
dell’anno nel nostro emisfero tale flusso andrà a
sommarsi a quello dovuto per effetto apice,
provocando così una ampia variazione stagionale,
mentre in quello australe i due contributi dovranno
essere sottratti determinando variazioni molto meno
accentuate dell’attività sporadica. Ovviamente tutto il
discorso si inverte andando a considerare i primi mesi
dell’anno.
Per minimizzare gli errori causati dalla presenza del
fondo sporadico si è andati a mediare i flussi sporadici
in numerosi giorni in cui non vi era l’attività dello
sciame, con l’accorgimento tuttavia di non selezionare
giorni troppo lontani dal periodo di attività dello
sciame considerato. Questa scelta è stata fatta per
minimizzare eventuali fluttuazioni stagionali del
background sporadico. Inoltre, il fondo è stato
campionato ad intervalli orari e sottratto nelle ore in cui
veniva investigato lo sciame per ridurre al minimo gli
Correzione per il dead-time
Un radar è in grado di rilevare un eco alla volta e
questo significa che se vi è la presenza contemporanea
di due o più echi, solo uno viene rilevato. Di
conseguenza nel corso della fase di acquisizione si ha
un accumulo di tempo morto (dead-time) che è
opportuno ridurre. È possibile correggere il dead-time
attraverso due differenti procedure applicabili in due
casi distinti, a seconda che si considerino distribuzioni
in ampiezza o in durata degli echi.
Nell’analisi della distribuzione in ampiezza si assume
che gli echi di maggiore ampiezza oscurino quelli più
deboli durante il tempo ΔT in cui avviene
l’inseguimento dell’eco. Se tutti gli echi fossero della
stessa durata si potrebbe applicare la classica
correzione adottata per i contatori Geiger:
Nc =
N
1 − N ΔT
dove Nc è il numero di eventi corretto per il dead-time,
N è il numero di eventi misurato e ΔT è il tempo di
riflessione di un singolo evento espresso come frazione
del tempo totale in cui è misurato N. Tuttavia le
meteore più luminose presentano una riflessione più
durevole che maschera la riflessione delle meteore più
deboli. Se il segnale osservato di una determinata
ampiezza maschera tutti i segnali di una ampiezza
inferiore in un intervallo ΔT variabile, allora la
correzione è [1][2]:
Nc =
1
1
⎛
⎞
ln ⎜
⎟
Δ T ⎝ 1 − N ΔT ⎠
Questa relazione si può applicare al primo ordine
quando l’interferenza distruttiva dei segnali riflessi da
altre meteore non causa complicazioni addizionali.
La procedura correttiva nel caso in cui si consideri la
distribuzione degli echi in durata si basa sul fatto che il
sistema continua ad inseguire l’eco meteorico fino a
quando la sua ampiezza non scende al di sotto del
limite di soglia stabilito. Questo rende gli echi più
lunghi sovrapposti a quelli di minore durata,
indipendentemente dalla loro ampiezza. Sfruttando
questa caratteristica è possibile utilizzare un metodo
semplice per correggere il dead-time. Si suddividono
gli echi in classi di durata fissata e ad ogni classe si
stabilisce un fattore di correzione che dovrà essere
moltiplicato per il numero di echi di quella specifica
classe. Tale fattore correttivo si calcola sulla base del
tempo di inibbizione del siistema provoccato dagli eveenti
appartenenti alla classe di durata da corrreggere e a tuutte
d durata suuperiore. Sfrruttando questa
le classi di
definizione e ordinando lee classi in orddine crescente di
durata si ottieene:
Cn =
∑ ΔT
i≥n
i
Ttot
ma
dove Cn è il fattore corretttivo da appliccare alla n-esim
t
di oscuuramento dovuuto
classe di durrata, ΔTi è il tempo
agli eventi della classe i-esima e Ttot è il tem
mpo
complessivo dell’acquisiziione dei dati in esame.
d
è particolarmennte
La correzione per il dead-time
u
indicata per sciami attivi,, ma che non presentano una
a
com
me nel casoo di tempeste
eccessiva attività,
meteoriche, in quanto vi
v è la sovrrapposizione di
innumerevoli echi meteoriici e questo reende inaffidabbile
tale procedurra.
p effetti chimici
Correzione per
È stato osseervato come esistano prinncipalmente tre
effetti che concorrono
c
allla dissipazioone di una sccia
meteorica: diffusione
d
am
mbipolare, riccombinazione e
attaccamentoo. Il primo di
d questi fattoori è quello che
c
maggiormentte viene conssiderato ed è anche l’unicoo a
cui ci si riferrisce nello scrrivere le equaazioni radar e le
equazioni
che
da
esse
derivvano.
Questa
c
di traccce
approssimaziione è veraa solo nel caso
meteoriche di
d breve durata, invece quanndo si vanno ad
indagare traccce di durata maggiore,
m
dunnque prodotte da
meteoroidi più
p massicci, non si possonno escludere gli
altri effetti di dissipazioone secondarri (diffusione e
attaccamentoo) che vengoono indicati come proceessi
chimici [3]. Infatti, andanndo a rappresentare in scaala
bilogaritmicaa il numero cuumulativo Nc di echi radarr in
funzione dellla durata dell’’eco T, si ottieene una curvaa di
pendenza neegativa che corrisponde alla previsioone
fisica che il numero
n
di corrpi interagenti con l’atmosfe
fera
sia inversam
mente proporzzionale alla dimensione dei
d
corpi stessi e cioè alla looro massa chee è direttamennte
correlata coon la duraata dell’eco stesso. Oggni
distribuzionee ha un andaamento regollare fino ad un
punto ben deeterminato, chhe dipende dalllo sciame, olltre
il quale la curva
c
cambiaa la propria pendenza. Essso
determina duue zone nettaamente distinte. La mancannza
di echi di lunga durata è oggetto di discussione orm
mai
v
imputaata
da molti annni. Negli annni ’60 essa veniva
esclusivamennte all’attaccaamento [3][4][[5][6][7], menntre
negli anni ’770 sono stati fatti ulteriorii passi in avaanti
nello studio dei fenomenni meteorici approfondendo
a
o i
processi chimici coinnvolti nell’iinterazione di
con
l’attmosfera
[88][9][10].
meteoroidi
La
determinazioone delle costtanti di reazioone ha mostraato
che la sensibbile diminuziione di traccee iperdense non
n
può essere attribuita unnicamente all fenomeno di
attaccamentoo degli elettrooni. È emersoo perciò che la
ricombinazioone contribuuisce a tale fenomeno in
maniera rilevvante.
Fiigura 2 - Grafico
o in scala biloga
aritmica del num
mero cumulativo
o
di echi Nc in funzzione della dura
rata T in second
di. La flessione
e
div
vide il grafico in due zone, qu
uella a sinistra dominata dalla
a
difffusione, mentrre quella sinistrra dominata da
a effetti chimicii
(riicombinazione e attaccamento)).
Nonostante laa ricombinazzione sia un
u
processoo
im
mportante, le piccole
p
costannti di reazionee βR e la bassaa
co
oncentrazione degli ioni positivi co
oinvolti nellaa
reeazione rendono tale prrocesso quassi del tuttoo
traascurabile ai fini della disstruzione della traccia, neii
co
onfronti, ad esempio,
e
conn la diffusion
ne ambipolaree
[11]. Perciò nellla maggior paarte dei casi tale
t fenomenoo
no
on necessita di
d alcuna correezione.
Il fenomeno dell’attaccam
mento, invecce, è moltoo
mportante perr la determinnazione della durata deglii
im
ecchi iperdensi.. Per corregggere la duratta degli echii
ip
perdensi è stata utilizzatta la seguen
nte relazionee
[6
6][12]:
TD = TA ⋅ e
1
⎡
⎤
⎢ ⎛ TD ⎞ 4 ⎥
⎢ B0 ⎜ T ⎟ TA ⎥
⎢ ⎝ 0⎠
⎥
⎣
⎦
do
ove TD è la durata dell’’eco in presenza di solaa
diiffusione, TA è la duraata dell’eco in presenzaa
deell’attaccamennto, mentre il termine B0 lo si puòò
riccavare attraveerso la seguentte equazione [12][13]:
[
B0 = e( −0.16612 H +11.49)
nfine T0 è la duurata di un eco iperdenso corrispondentee
in
alla velocità geocentrica
g
ddel meteoroid
de all’altezzaa
me e si può ricavare
r
dallaa
caaratteristica H dello sciam
seeguente relazioone semiempiirica [3]:
T0 =
re λ 2 q
2
( sin φ )
2
4π D
ove re è il ragggio classico dell’elettronee e vale circaa
do
2.8178 ⋅ 10 −15 m, D il coeffficiente di difffusione dellaa
traaccia in m2/s, q la densità elettronica lin
neare in el/m,,
Φ l’angolo di
d riflessione medio
m
della trraccia meteoriica
pari a circa 75°
7 e λ la lunnghezza d’ondda trasmessa del
d
radar. Quessta apparenteemente sempplice relazioone
presenta al suuo interno duee incognite chhe devono esseere
calcolate: il coefficiente di diffusionne e la denssità
l
Per calcolare q si utilizza la
elettronica lineare.
seguente form
mula [3][6]:
co
orrisponde siaa all’aumentoo del numerro di piccolee
paarticelle, ma anche all’areea della sezione d’urto a
paarità di massa totale (Figuraa 3).
H = 82 + 49 log
l v − 4.4 loog q
me
dove v è la velocità caratteristicaa dello sciam
v
di D, la
analizzato inn km/s. Per calcolare il valore
letteratura ci offre due equuazioni [14]:
M
Massey
D = 100.06 H − 4.74
Veerniani
D = 100.086 H − 7.23
v
utilizzatta per sciami la
La relazionee di Massey viene
cui altezza caratteristica
c
è inferiore ai 100 chilomettri,
mentre quellla di Verniani si sfruttta per sciaami
caratterizzatii da un’altezzza pari o suuperiore ai 100
1
chilometri, come suggeritoo da Jones [144].
s ricavano soono solo dei valori medi in
Quelli che si
quanto, a riggore, si dovrebbe calcolarre l’altezza e la
velocità dii ogni singola meteorra che enntra
nell’atmosferra [15].
Tuttavia, la relazione precedente noon è risolvibbile
analiticamennte. Per tale ragione si è utilizzato un
algoritmo peer la risoluzionne numerica per
p mezzo di una
u
tecnica iteratttiva. L’algorritmo pone unn valore iniziaale
di prova per
p
TD e, attraverso approssimazio
a
oni
successive, determina il valore cercaato di TD enntro
l’errore stabiilito.
Indice di maassa
Abbiamo vissto come il nuumero di metteoroidi dipennda
inversamentee dalla massaa. Conoscere la massa di un
oggetto inteerplanetario è indispensaabile per daare
un’indicazionne
dell’origine,
dei
processi
di
frammentazione e delle perturbazionii che tali corpi
hanno subitoo. A questo scopo è utile inttrodurre l’indiice
di massa s che è definito dalll’equazione di
distribuzionee di massa dei meteorooidi. Il numeero
cumulativo di
d particelle N con masse maggiori
m
di m è
proporzionalle a m1-s, ovvero [16][17]:
Fiigura 3 - Variazione dell’indicce di massa: l’a
aumento di tale
e
pa
arametro coinciide con un inccremento di pic
ccoli corpi e, a
pa
arità di massa, dell’area
d
della se
ezione d’urto.
minare l’indicce di massa, è
Peer essere in grrado di determ
neecessario traasformare laa massa, generalmentee
in
nosservabile direttamente,
d
in una quanttità rilevabilee
daal radar. Si puuò definire innnanzitutto laa magnitudinee
asssoluta radio Mr in funzionne della densiità elettronicaa
lin
neare q:
M r = 40 − 2.5log q
do l’equazionee
Il valore di q puuò essere ricavvato sfruttand
onsiderano lee
dii ionizzazionee (3.4), tuttaavia se si co
eq
quazioni di decelerazione
d
e e di perditta di massa,,
ab
bbiamo che l’equazione di ionizzazione diventaa
[6
6.11]:
N ( m ) ∝ m1− s
La precedennte relazione è nota comee funzione deella
distribuzionee di massa o più
p semplicem
mente funzionee di
massa. Diffeerenziandola sii trova [3][18]][19]:
dN ∝ m − s dm
c
L’indice di massa è sperrimentalmentee un valore che
supera l’uniità in quantoo i corpi di minore masssa
predominanoo nettamente rispetto a quelli
q
di masssa
maggiore. Sii noti che l’aaumento dell’indice di masssa
q=−
β m0 cos z ρ ⎛ 1 ρ ⎞
⎜1 −
⎟
ma H * ρ m ⎝ 3 ρ m ⎠
ove m0 è la massa
m
iniziale del meteoroid
de, z l’angoloo
do
zeenitale, H* l’alltezza di scalaa atmosferica ricavabile daii
modelli,
m
ρ la deensità atmosfeerica nel puntto consideratoo
e ρm la denssità dell’aria nel punto di massimaa
onizzazione.
io
Dall’equazione emerge chhe la durata di un ecoo
perdenso è direttamente
d
pproporzionale alla densitàà
ip
lin
neare di carrica, che a sua volta è direttamentee
proporzionale alla massa del meteoroide, per cui
T ∝ m . Quindi il rapporto tra le durate di due echi
iperdensi, generati da meteoroidi appartenenti al
medesimo sciame e caratterizzati circa dallo stesso
angolo zenitale, fornisce direttamente il rapporto tra le
masse iniziali dei meteoroidi:
T1 m1
=
T2 m2
Infatti è stato dimostrato che il numero cumulativo Nc
di echi iperdensi di durata superiore a TD è legato
all’indice di massa s secondo la relazione [5][20]:
3
(1− s )
4
D
Nc ∝ T
dalla quale
logaritmica:
è
immediato
log N c =
trovare
la
relazione
3
(1 − s ) log TD + k
4
dove k è una costante. Rappresentando in scala
bilogaritmica il numero cumulativo di echi in funzione
della durata in presenza di sola diffusione, il
coefficiente angolare della retta di interpolazione
fornisce direttamente il valore dell’indice di massa.
Andando a selezionare intervalli orari è possibile
ricavare per ognuno di essi il corrispettivo indice di
massa. Lo studio dell’andamento di tale parametro nel
corso di una giornata evidenzia una variabilità che
riflette la diversa distribuzione della popolazione dei
meteoroidi all’interno dello sciame.
Nel caso menzionato è stata utilizzata una dipendenza
lineare tra s e il logTD tuttavia è stata proposta una
dipendenza quadratica tra queste due quantità [21]:
s = s0 + s1 log TD + s2 ( log TD )
2
Misure effettuate in un ampio range di masse hanno
dimostrato, comunque, che la dipendenza tra queste
due quantità può essere considerata lineare.
Dati visuali
I dati visuali possono invece essere prelevati
dall’archivio dell’International Meteor Organization
(IMO) disponibili in rete. Questi dati sono spesso
utilizzati da ricercatori professionisti per la verifica
delle loro teorie [22][23][24][25].
A differenza dei dati radio in cui è stato analizzato solo
il giorno relativo al massimo dello sciame, per i dati
visuali sono stati osservati il giorno del massimo,
quello antecedente e quello successivo al massimo,
questo per avere a disposizione un numero maggiore di
valori e per valutare possibili discrepanze coi risultati
ottenuti con la tecnica radar.
Attraverso lo studio di meteore visuali si possono
ottenere due importanti risultati: lo ZHR (Zenithal
Hourly Rate o Tasso Orario Zenitale) e l’indice di
popolazione r. Questi due parametri possono essere
confrontati rispettivamente col profilo ricavato
attraverso l’analisi dei dati radar e con l’indice di
massa.
Calcolo dello ZHR
Per conoscere l’attività di uno sciame nella banda
visuale sembrerebbe sufficiente contare il numero di
meteore a intervalli orari determinati. Tuttavia, questo
non è sufficiente per una valutazione quantitativa
dell’attività di un determinato sciame. Infatti, il numero
di meteore osservato sarà influenzato da diversi fattori,
come la distanza del radiante dallo zenit, la
magnitudine limite, la presenza di ostacoli nel campo
visivo. Per poter confrontare dati provenienti da diversi
osservatori, o da osservazioni compiute in condizioni
di cielo differenti, è necessario introdurre una
grandezza che viene chiamata ZHR. Lo ZHR
rappresenta il numero di meteore appartenenti ad uno
sciame osservate in condizioni standard, cioè con una
magnitudine stellare visuale limite pari a 6.5, il
radiante allo zenit e la volta celeste totalmente libera da
ostacoli e nubi, nonché, naturalmente una visione di
360°. La formula più generale per il calcolo dello ZHR
è [26][27][28]:
ZHR =
N 6.5− Lm
−γ
r
sin ( hr ) c p
Teff
dove N rappresenta il numero di meteore di sciame
conteggiate nel tempo efficace Teff, r e γ sono parametri
che dipendono dallo sciame considerato, Lm è la
magnitudine limite, hr è l’altezza del radiante sopra
l’orizzonte dell’osservatore e cp è il fattore di
percezione.
Nonostante la precedente sia la formula più generale
applicabile, normalmente viene utilizzata con delle
standardizzazioni atte a rendere omogenei i risultati dei
diversi ricercatori. Per tale ragione ci rifaremo alle
procedure utilizzate dall’IMO e dalla maggior parte dei
ricercatori [17][23][29][30]. La codifica adottata
considera il valore di γ pari a 1, perché l’introduzione
di tale parametro è ancora oggetto di discussione e di
verifica [31]. Il valore dell’indice di popolazione r
nonostante vari nel tempo, in questa analisi viene
normalmente considerato costante. Per uniformità sono
stati presi i valori di r utilizzati dall’IMO, anche se
alcuni autori preferiscono usare r = 2.5 per gli sciami
meteorici e r = 3.4 per le meteore di background [32].
Infine, il fattore di percezione cp varia da osservatore a
osservatore e dipende da fattori quali la tecnica di
osservazione e l’esperienza, ma anche da caratteristiche
biologiche e fisiologiche come l’età, il campo effettivo,
la sensibilità della retina e la trasparenza del cristallino.
Generalmente, questo parametro viene posto uguale a
uno data la difficoltà di misurarlo con precisione, altre
volte, come nel nostro caso, si considera come
contributo unicamente il campo effettivo F, che
corregge l’influenza attribuita a ostacoli o nubi che
oscurano parte del campo visivo. L’eventuale disturbo
della luce solare e lunare è corretto dalla
normalizzazione della magnitudine limite. Per rendere
più omogenei i risultati sono stati selezionati solo quei
dati che presentavano una magnitudine limite pari o
superiore a 5.5. Un ulteriore accorgimento nell’analisi
è stato quello di selezionare solo quei dati che
presentavano un’altezza del radiante superiore ai 20° e
di mediare dinamicamente i valori dello ZHR allo
scopo di ridurre gli errori.
Calcolato il valore dello ZHR è necessario stabilire
l’attendibilità dello stesso attraverso la sua incertezza.
Quest’ultima dipende a sua volta dall’entità degli
scostamenti dalle condizioni standard e può essere
calcolata con la seguente formula [26][29]:
σ ZHR =
ZHR
N tot
dove Ntot rappresenta il numero totale di meteore
osservate, comprese quelle non appartenenti allo
sciame.
Indice di popolazione
L’indice di popolazione r è il corrispettivo in campo
visuale dell’indice di massa s adottato nel dominio
radar. Allo stesso modo r dà una stima sulla
composizione dei meteoroidi che formano un
determinato sciame. L’indice di popolazione è una
stima del rapporto del numero di meteore in classi di
magnitudini contigue [29][30]:
r=
N ( M + 1)
N (M )
In sostanza r è un valore che indica quanto sono
numericamente superiori le meteore di magnitudine M
+ 1 rispetto a quelle di magnitudine M.
Nonostante la definizione possa apparire alquanto
semplice, la sua applicazione richiede una laboriosa
procedura. Anche in questo caso sono stati analizzati i
dati riguardanti le magnitudini prelevati dall’archivio
dell’IMO. Il range delle luminosità viene suddiviso in
quattordici classi unitarie, dalla -6 alla +7, che, per
comodità, chiameremo Mi e, per ogni rispettiva classe,
vengono segnalate il numero di meteore osservate Ni.
Successivamente è necessario calcolare la variazione di
magnitudine ΔMi di ogni classe rispetto alla
magnitudine limite Lm:
ΔM i = Lm − M i
Si ottengono così le nuove classi di magnitudine ΔMi a
cui corrispondono un numero di meteore pari alla
rispettiva classe Mi. A questo punto si ottiene la media
pesata <ΔM> utilizzando la seguente formula:
< ΔM >=
∑ ΔM N
∑N
i
i
i
i
i
Per ridurre al minimo gli eventuali errori è stata
eseguita una media dinamica a venti punti dei vari
risultati ottenuti. Il valore dell’indice di popolazione si
ricava interpolando i dati ottenuti con quelli contenuti
in una tabella di riferimento.
Tabella 1 - Valori di riferimento standard per il calcolo
dell’indice di popolazione r data la conoscenza della media
delle classi di magnitudine riferite ad una magnitudine limite.
r
1.5
1.6
1.7
1.8
1.9
2.0
2.1
2.2
2.3
2.4
<ΔM>
5.830
5.301
4.894
4.568
4.298
4.069
3.872
3.700
3.549
3.413
r
2.5
2.6
2.7
2.8
2.9
3.0
3.1
3.2
3.3
3.4
<ΔM>
3.291
3.180
3.079
2.987
2.902
2.823
2.750
2.682
2.618
2.559
r
3.5
3.6
3.7
3.8
3.9
4.0
4.1
4.2
4.3
4.4
<ΔM>
2.503
2.450
2.400
2.353
2.308
2.266
2.260
2.187
2.151
2.116
La stima dell’errore dipende molto dal numero N di
meteore in esame nel calcolare l’indice di popolazione
e per 10 < N < 400 vale la seguente formula [29]:
σ r = ( 4.07 N −0.764 + 0.2 )
N
Ntot
dove Ntot rappresenta il numero totale di meteore
incluse nell’analisi.
A questo punto è possibile connettere l’indice di
popolazione r con l’indice di massa s, in quanto esiste
una ben nota relazione tra la magnitudine assoluta
visuale Mv di una meteora e la potenza luminosa I
irradiata dal meteoroide [3]:
M v = 6.8 − 2.5log I
Almeno nel dominio ottico, si è accertato che la
luminosità della meteora è direttamente proporzionale
alla massa del meteoroide stesso [17]:
I ∝ mb
dove b in generale non è una costante, ma dipende da
molti fattori quale, ad esempio, l’angolo zenitale.
Dalla definizione di indice di popolazione e di massa si
trova la relazione che lega queste due quantità:
s = 1 + 2.5b log r
Si è soliti attribuire al parametro b un valore costante
pari a uno. Generalmente ai profili visuali si associa il
grafico dell’andamento dell’indice di popolazione, dal
quale è possibile ricavare utili informazioni sulla
composizione delle particelle facenti parte dello sciame
considerato.
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Mario Sandri, [email protected], http://www.mariosandri.it
Meteore in radio con particolare
riferimento alle meteore extrasolari
IARA Group, GRRAT, SdR RadioAstronomia UAI, Società Italiana di Fisica, IMO
Vi sono molti metodi per l’osservazione e l’indagine
delle meteore. Storicamente sono stati usati metodi
visuali successivamente sostituiti da tecniche più
raffinate quali la fotografia e in seguito utilizzando
apparecchiature elettroniche. Nonostante vi siano
diversi modi per effettuare una simile indagine, tra i
più efficaci e utilizzati vi è sicuramente l’utilizzo del
radar, il cui eco è dovuto alla scia ionizzata che si
verifica grazie al processo di ablazione attraverso il
quale le molecole d’aria staccano molecole dalle
meteore e ne provocano dissociazione e ionizzazione.
Il radar più comune è caratterizzato dal fatto che il
trasmettitore e il ricevitore sono posti nello stesso
luogo e fanno parte integrante di un unico complesso.
Questo tipo di radar è detto monostatico o a
retrodiffusione (backscatter). In tal caso l’onda
trasmessa si riflette specularmente sulla traccia
ionizzata e viene registrata da un sistema ricevente
situato nello stesso luogo del ricevitore. Se il ricevitore
e il trasmettitore sono posti in due località separate,
fino a 200 km di distanza, il radar è detto bistatico o a
diffusione in avanti (forward scatter). Se poi si ha più
di un ricevitore è possibile realizzare un radar
multistatico. Alcuni fattori hanno impedito lo sviluppo
di tali strumenti, soprattutto la complessità della
geometria per la localizzazione del bersaglio e la
difficoltà di sincronizzare i sistemi trasmittente e
ricevente per misurare l’effetto doppler dovuto allo
spostamento della traccia ionizzata causato dai venti di
alta quota. A vantaggio di quest’ultimo sistema è il
fatto di poter lavorare con onde continue che
permettono di avere un’ampiezza di banda molto
contenuta, con incremento della sensibilità e minor
influenza da parte di sorgenti radio esterne, e di avere
una risposta temporale dell’eco molto più lunga.
Analizzando brevemente i processi che producono la
scia ionizzata lasciata dalle meteore, in primis si vede
come il processo di ablazione inizi nella regione E
della ionosfera ad un’altezza di circa 100 km e termini
dopo circa 10 km. In tale zona l’energia cinetica di una
meteora tipica è un centinaio di volte maggiore della
sua energia di legame che è dell’ordine
dell’elettronvolt e questo evidenzia come la
grandissima parte delle meteore sia destinata ad
evaporare nell’atmosfera. Il fatto che il cammino libero
medio in tale regione sia di qualche centimetro,
confrontato con la dimensione media delle meteore che
è circa un millimetro, fa sì che non vi sia la formazione
di un fronde d’onda, infatti il processo collisionale può
essere visto come una serie di urti singoli anelastici tra
le molecole d’aria e quelle della meteorite che
provocano il riscaldamento di queste ultime. La
meteora vaporizza e i suoi atomi mantengono la
medesima velocità finché successivi urti con le
molecole d’aria non ne causano un rallentamento.
Quest’ultime collisioni sono le responsabili della scia
di gas ionizzato e della successiva emissione di luce
per ricombinatine degli ioni. Tale fenomeno, in campo
radio, è accompagnato dalla formazione di una scia di
plasma di diametro dell’ordine dei centimetri e di
lunghezza della decina di chilometri, che segue la
meteora e che svanisce rapidamente. Tale scia è
paragonabile ad un cilindro metallico riflettente, che,
una volta investito da un’onda radio abbastanza lunga,
inizia ad oscillare e ad emettere.
L’equazione della potenza radar per tali oggetti risulta
essere:
Pr = cost. q2 Pt G2 A λ3 / d3
dove q è la densità lineare elettronica, Pt la potenza
trasmessa, G il guadagno dell’antenna, A la sua area e d
la distanza. Da notare che tale equazione differisce da
quella generale del radar: Pr = cost. Pt G A s / d4. Il
massimo del segnale si ha quando la scia è
perpendicolare alla direzione di emissione. Un’altra
cosa interessante, che l’equazione esprime, è il fatto
che la potenza aumenta col cubo della lunghezza
d’onda. Tale parametro è molto importante in quanto la
durata e la frequenza aumentano più o meno col
quadrato di tale parametro. Una frequenza intorno ai 30
– 40 MHz risponde bene ai requisiti necessari. D’altra
parte è sconsigliabile scendere sotto i 30 MHz per non
incorrere in disturbi causati dall’elevata propagazione
ionosferica e non è permesso scendere sotto i 15 MHz
a causa del forte assorbimento della regione D della
ionosfera.
Tutti gli oggetti minori, che si trovano nel sistema
solare, si ritiene siano nati dalla medesima nebulosa
che diede origine al Sole ed ai pianeti. Tale
affermazione la si può fare e ritenere valida perché non
è mai stata riscontrata, in asteroidi o comete, una
velocità superiore a quella di fuga del sistema solare,
tuttavia nulla vieta di pensare che vi siano oggetti che
provengono dal mezzo interstellare o da addirittura altri
sistemi stellari. Infatti, come alcune comete sono state
espulse dal sistema solare per opera della gravità del
sole, così si può ritenere che vi sia un flusso di oggetti
di origine extrasolare che penetra in esso. Tali oggetti
si deve pensare che siano per la loro quasi totalità delle
particelle minuscole che non appena entrano in contatto
con l’atmosfera terrestre vengono identificate come
meteore. A sostegno di questa ipotesi, la sonda Ulysses
ha trovato nei pressi di Giove un flusso di particelle
identificate, attraverso la loro velocità e traiettoria,
come di origine interstellare.
È possibile ricavare il flusso di particelle che entrano in
atmosfera e da questo discernere quelle di origine
extrasolare attraverso la tecnica radar, che per calcolare
le caratteristiche delle meteore, prima fra tutte la
velocità, si basa sulla diffrazione di Fresnel. Tale
tecnica fu introdotta da Herlofson e si basa
sull’analogo effetto in campo ottico.
minimo e il massimo è facilmente ricavabile, dato che
sono state utilizzate delle forti approssimazioni nello
studiare il fenomeno, utilizzando semplicemente il
teorema di Pitagora ed eliminando i termini di ordine
superiore. La distanza tra il primo massimo (A’) e il
primo minimo (B’) risulta essere pari a:
PB’ – PA’ = 0.3
Se la meteora viaggia a velocità V, essa deve coprire
questa distanza in un tempo t:
t=
Nella figura, O rappresenta il punto di osservazione
mentre QQ’ è la colonna ionizzata formata dalla
meteora e P il punto dove cade la perpendicolare del
segnale. Nel grafico si ha
OA = OA’ = R + λ/4
OB = OB’ = R + λ/2
OC = OC’ = R + 3λ/4
OD = OD’ = R + λ, eccetera dove ovviamente R è le
distanza tra il radar e la scia ionizzata che può essere
misurata misurando il tempo di andata e ritorno del
segnale sapendo che questo viaggia alla velocità della
luce. Gli elettroni all’interno del cilindro cominciano a
muoversi e ad irradiare in tutte le direzioni e dunque
anche verso il radar. Dato che i cammini percorsi da
queste onde saranno diversi si potranno avere
situazioni di massimo e minimo d’intensità.
L’ampiezza scatterata, vedi figura, è praticamente nulla
fino a quando la meteora non entra nella zona AP, fino
al massimo in A’, per poi decrescere fino B’ e poi
riprendere a risalire, e così via. L’andamento previsto e
trovato è quello mostrato nel grafico. La distanza tra il
λR
0.3 λ R
V
Facendo un semplice esempio, se V = 40 km/s, R = 100
km e λ = 4 m, risulta t = 3.25 millisecondi. Questo
esempio suggerisce che il segnale radar deve essere
emesso almeno una volta ogni millisecondo affinché si
possa fare un’analisi accurata dei dati.
Affinché una meteora sia di origine extrasolare deve
avere una velocità misurata V di circa 73 km/s o
superiore (limite di orbita parabolica), pari a una
velocità reale v di 42.1 km/s. Per capire meglio questi
dati si consideri che la velocità misurata V di una
meteora che entra nell’atmosfera, detta geocentrica, è
una combinazione della sua velocità reale attorno al
sole v, detta eliocentrica, e di quella della Terra W, pari
a 29.8 km/s. Come si vede V può variare tra W – v e W
+ v. I calcoli mostrano che per una meteora che si trovi
in orbita parabolica, considerando la sola attrazione
solare, si ha v = W 2 e dato che si conosce il valore
di W si deduce che v = 42.1 km/s. Questo è il limite di
parabolicità che corrisponde a V = 72 km/s, il quale, se
si introducono calcoli più raffinati contenenti
l’attrazione terrestre, portano il valore a 73 km/s.
Da una campagna osservativa del 1990/91 condotta su
un campione di 350000 meteore (Taylor, Baggaley,
Steel, Nature, 380, p. 323, 1996) è emerso che il 14%
di esse presentano una velocità superiore ai 73 km/s.
Tuttavia il problema è capire quante di queste particelle
siano veramente di origine extrasolare e non aventi
orbite legate affette da un grande errore di misura. Per
evitare possibili errori gli autori della ricerca hanno
analizzato meteore con velocità maggiore a 100 km/s e
hanno trovato che il numero di esse è circa 1% del
totale. Questa scelta è avvalorata dal fatto che la stima
dell’errore sulla misura della velocità σ è stata ricavata
essere pari a circa 6 km/s con dati che presentavano
un’incertezza
fino
a
3σ.
Questa
drastica
approssimazione, ma inevitabile a causa degli
strumenti d’indagine, fa pensare che il maggior numero
di particelle extrasolari sia stato escluso dalla ricerca.
Dopo le opportune stime, è stato ricavato per gli
oggetti selezionati una velocità media di circa 140
km/s.
L’esperimento presentava una magnitudine limite Mlim
pari a 12.5 e in prossimità di tale valore le meteore
erano più piccole di quelle provenienti da orbite legate
dalle dimensioni ordinarie di circa 100 μm. Verniani ha
determinato una relazione empirica tra la densità
lineare elettronica q (in m-1), la massa m (in g) e la
velocità della meteore v (in m/s):
mezzo interstellare, concentrando questa polvere dalla
parte opposta del Sole rispetto alla sorgente.
q = 0.0509 m0.92 v3.91
Alla Mlim si trova un q = 2.5 x 1011 m-1 e assumendo le
meteore sferiche e di densità pari a 1 g/cm3, si trova
che a v = 100 km/s la più piccola meteora rilevabile ha
un diametro di circa 40 μm, mentre a v = 200 km/s ne
ha uno di circa 15 μm. Le osservazioni del vicino
infrarosso richiedono un flusso di particelle di
dimensioni di circa 30 μm, mentre le sonde Pioneer 10
e 11 hanno trovato un flusso di particelle dell’ordine di
10 μm, valore quest’ultimo che nell’esperimento
effettuato dagli autori non è previsto essere rilevabile.
La figura mostra la densità spaziale a 1 AU come
funzione della longitudine eclittica terrestre L rispetto
agli influssi della ipotetica sorgente A. Quando 180º <
L < 360º il moto terrestre va verso la sorgente
producendo un innalzamento del flusso. Ciò è dovuto
al fatto che la velocità varia e con essa la massa limite
delle meteore rilevabili. Infatti per ogni q e v esiste una
massa minima mmin che permette di osservare le
meteore. Il numero di osservazioni N è:
N (m > mmin) = k mmin-α
L’andamento stagionale presenta una struttura
bimodale in cui si trovano due strutture i cui picchi
sono centrati rispettivamente nei giorni 32 e 170.
Quest’ultima struttura può a sua volta essere vista
come formata da due sottostrutture aventi il proprio
picco nei giorni 150 e 225. Il fatto che praticamente
non vi siano particelle tra i giorni 260 e 350, quando la
Terra si muove lontano dall’apice del moto solare, è
una forte evidenza che queste siano di origine
extrasolare. Tale andamento può essere spiegato come
uno stagionale cambiamento della geometria relativa al
vettore del moto terrestre e la direzione della sorgente.
Il grafico evidenzia come il primo picco sia più piccolo
rispetto al secondo e questo si traduce nel fatto che la
sorgente associata ad esso presenta una velocità
inferiore di circa 20 km/s. Per cercare l’ubicazione di
queste due sorgenti si assume che queste meteore
provengano da una direzione definita dalla latitudine
eclittica β e longitudine λ con una velocità iniziale v∞.
Il grafico è stato interpolato dagli autori con due
sorgenti aventi i seguenti dati:
•
sorgente A (picco nel giorno 32): β = 30º, λ =
240º e v∞ = 40 km/s;
• sorgente B (picco nel giorno 170): β = 30º, λ =
0º e v∞ = 80 km/s.
È stato rilevato che variando β tra 0º e 60º il
risultato cambia di poco, in altre parole vi è una grande
indeterminazione sul valore di β. Il centro
gravitazionale aumenta la densità rispetto a quella nel
dove α è l’indice di massa cumulativa e k una costante.
Nell’interpretazione dei dati è stato usato α = 0.6. Il
valore di α influenza poco la forma della curva dei due
grafici, ma molto la potenza della sorgente a diverse v∞.
Un’analisi dimostra che nell’intorno a 270º sono
rilevabili 16 volte più meteore.
La figura mostra l’andamento teorico di meteore
rilevabili dalla medesima sorgente A ma aventi v∞
differenti, rispettivamente 40 e 80 km/s e ciò dimostra
che le sorgenti di polvere interstellare di alta velocità
sono fortemente favorite dalla selezione della velocità,
ma il grafico rappresenta le due sorgenti, A e B,
differenzialmente shiftate in longitudine e scalate di un
fattore 1.1 (A) e 0.037 (B). Ciò suggerisce che la
densità spaziale della sorgente A sia circa 103 volte più
grande che quella della sorgente B.
La figura è un sommario delle varie ipotetiche sorgenti.
Il moto solare relativo alle stelle vicine è diretto verso
la latitudine galattica b = 23º e longitudine l = 52º
corrispondente a β = 50º e λ = 269º in prossimità della
locazione della sorgente A. Solamente per stelle di tipo
A si avrebbe un picco in corrispondenza del giorno 34.
Molte sono le possibili candidate a sorgenti di polveri,
infatti vi sono molte stelle che presentano un
particolare disco protoplanetario dove le collisioni e la
pressione di radiazione producono l’espulsione della
polvere. La sorgente A è racchiusa da regioni di elio
neutro, che è la causa del flusso di particelle di 0.4 μm,
ma queste le ha rilevate la sonda Ulysses ma non
l’esperimento preso in esame.
La sorgente B è associata con le più veloci meteore ed
è nei pressi dell’orbita galattocentrica solare a b = 0º e l
= 90º cioè a β = 60º e λ = 347º. Tale punto è
identificato dal giorno 154 che si discosta da quello del
picco osservato che è il giorno 170. Questa sorgente
tuttavia potrebbe essere composta da due sorgenti
discrete indipendenti, una con picco nel giorno 150 e
l’altra in quello 225. Secondo Eggen quest’ultima
sorgente è un’associazione di stelle giovani che si
muove nei pressi del Sole.
È dimostrata l’esistenza di un flusso di piccoli meteore
di dimensioni 15 – 40 μm circa che provengono dal
mezzo interstellare, originato da alcune sorgenti
discrete che si trovano in vicinanza del Sole. Tuttavia
un’analisi più dettagliata e condotta su un maggior
numero di campioni effettuabile eliminando in parte le
cause di indeterminazione porterebbe senz’altro a
migliori risultati.
Mario Sandri, [email protected], http://www.mariosandri.it
Il metodo SVB
IARA Group, GRRAT, SdR RadioAstronomia UAI, Società Italiana di Fisica, IMO
____________________________________________
Abstract
The radio data were obtained using the meteor scatter
techniques. The activity of a stream has been analyzed
using the method SVB. This method allows to separate
from the observed datas the sporadic activity and the
observability function of the forward-scatter apparatus
and from these to obtain the true activity of the stream.
The data were taken from the Radio Meteor
Observation Bullettins.
____________________________________________
Nel nostro paese i lauri sono tutti avvizziti e le meteore
spaventano le stelle del firmamento […] Questi sono
segni che precorrono le morte o la caduta dei re.
sconosciuta e la si considera implementata nel termine
sopra citato.
Il valore della funzione di osservabilità dipende da
molti fattori, quale la geometria del trasmettitorericevitore, le caratteristiche del ricevitore e
dell’antenna, l’altezza del radiante e la velocità delle
meteore appartenenti allo sciame e da altre ancora
difficilmente quantificabili [3]. Concettualmente la
funzione di osservabilità è analoga al fattore di
correzione nel calcolo dello ZHR visuale.
Inoltre, i valori di S e OF sono periodici nel senso che
essi assumono lo stesso valore nello stesso periodo del
giorno se il periodo preso in considerazione è limitato,
come nel caso in esame con una durata di 5 giorni [4]
[5].
Shakespeare, Riccardo II, 2, 4
Il valore di T si ricava dalla seguente equazione:
Introduzione
Lo studio dell’attività meteorica attraverso la tecnica
forward-scatter non viene investigata attraverso una
metodologia universalmente accettata e applicata.
Molto spesso i vari ricercatori utilizzano metodi
diversi. La stessa cosa non avviene invece per lo studio
del medesimo fenomeno in campo ottico, dove invece
la metodologia è universalmente riconosciuta e
applicata.
In questo lavoro verrà proposto un nuovo metodo di
indagine proposto nella sua prima forma da Christian
Steyaert nel 2005 all’International Meteor Conference
svoltasi ad Oostmalle in Belgio [1].
Lo scopo del presente lavoro è quello di migliorare la
conoscenza delle caratteristiche degli sciami meteorici.
Attraverso dati radio verranno ricreati i profili di
attività dello sciame dai quali verranno ricavate le
principali caratteristiche dello sciame prima fra tutte la
longitudine solare del massimo.
Procedura di analisi dei dati
I dati sono stati prelevati dall’archivio internet del
Radio Meteor Observation Bullettins (RMOB). I dati
raccolti dagli osservatori del RMOB utilizzano la
tecnica del meteor scatter operante nella banda VHF da
circa i 50 MHz ai 100 MHz.
Il metodo proposto da Steyaert [1] e successivamente
da Steyaert, Verbelen, Brower [2] presuppone che
l’attività osservata
, dove è il tempo, dipenda
dalla somma tra l’attività sporadica
e il prodotto
tra la funzione di osservabilità
e la vera attività
dello sciame
. In realtà anche l’attività sporadica
avrebbe la sua funzione di osservabilità, ma questa è
è un generico intervallo di tempo e D è la
dove
lunghezza del giorno in ore. Nel caso in esame assume
il valore 24.
Si suppone che lo sciame sia descritto da una doppia
asimmetrica funzione esponenziale:
è il periodo del massimo e a e b sono
dove
parametri da calcolare. Si osservi come la funzione sia
1.
normalizzata a 1 nel momento del massimo
Questo modello continuo viene in pratica sostituito da
uno discreto:
dove l’indice j rappresenta le ore e k i giorni: j = 1, …,
24 e k = 1, …, 5.
Una soluzione esatta non è possibile, ma se si
suppongono noti i parametri fondamentali , a, b è
possibile trovare una soluzione per S e per OF
utilizzando il criterio dei minimi quadrati, in quanto
questi risultano lineari, minimizzando la funzione:
1
2
Attraverso la regressione lineare si ottengono le
seguenti soluzioni (per comodità si assume
24
1 :
∑
∑
5∑
5∑
∑
∑
∑
5
È importante sottolineare che la funzione di
osservabilità può assumere valori sia positivi che
negativi. In quest’ultimo caso essa non ha alcun
significato fisico e dunque è da ritenersi pari a zero.
Fino a questo punto si sono assunti noti i tre parametri
fondamentali. Il passaggio successivo è quello di
, ,
per ricavare il
minimizzare la funzione
valore migliore per i parametri. Per la minimizzazione
non lineare viene utilizzato il metodo Nelder-Mead [6].
Conclusioni
Sicuramente il metodo SVB presenta dei risultati
soddisfacenti per quanto riguarda la ricerca del periodo
di massima attività. Sicuramente il metodo di ricerca
dei minimi deve essere migliorato per ricavare i valori
dei parametri con maggiore accuratezza e con la
relativa indeterminazione.
Il modello rappresenta un primo tentativo di riduzione
dei dati radio. Come suggerisce lo stesso autore della
ricerca, il passo successivo è quello di implementare il
metodo Monte Carlo. Con questo, è possibile derivare
la funzione di osservabilità [3] che può essere
confrontato con il modello teorico di Hines-Pugh per la
struttura degli sciami [7].
È tuttavia necessario effettuare successive ricerche e
verifiche per affermare con certezza che questo sia il
modo migliore di operare. Infatti, almeno per quanto
riguarda l’andamento dell’attività sporadica vi è la
possibilità di operare attraverso altre tecniche, come
quella della sottrazione del background [4] [5] [8].
Bibliografia
[1] Steyaert, C., Proceedings of the International
Meteor Conference, Oostmalle, Belgium 15-18
September, 2005, 25-33 (2006)
[2] Steyaert C., Brower J., Verbelen F., WGN, the
Journal of the IMO, 34:3, 87-93 (2006)
[3] Steyaert C., WGN, the Journal of the IMO, 15, 9093 (1989)
[4] Sandri M., Astronomia UAI, 6, 21-27 (novembredicembre 2006)
[5] Sandri M., Analisi di sciami meteorici di origine
cometaria attraverso tecniche radar e visuali,
Università degli Studi di Padova (2003)
[6] Vetterling W., Teukolsky S., PressW., Flannery B.
Numerical Recipes in C: The Art of Scientific
Computing, Cambridge University Press (1992)
[7] Hines C.O., Pugh R.E., Canadian Journal Physics,
34, 495-544 (1956)
[8] Sandri M., Astronomia UAI, 6, 26-29 (luglio-agosto
2007)
Mario Sandri 1,2, Gabriele Sartori 1, Fabio Drescig 1 [email protected]
Il progetto GMeteor – Un sistema per il
monitoraggio degli impatti meteorici in
atmosfera
1
2
Gruppo Ricerca Radioastronomia Amatoriale Trentino, IARA Group
SdR RadioAstronomia UAI, Società Italiana di Fisica, International Meteor Organization
____________________________________________
Abstract
GMeteor is a project with the scope to create a kit for
the monitoring of the meteoric impacts in atmosphere.
They come introduced the main characteristics of the
hardware with the characteristics of the receiver in
function of the better waveband. Moreover they come
shown the peculiarities of the software in phase of
development acted to acquire and subsequently to
elaborate the data. The data will be able to come use
for several researches and analysis, like the rate-time
graph or the mass index or in order to evidence the
mesospheric ozone concentration.
____________________________________________
...perchè, se ciò fosse vero, sarebbero già venute a
mancare; infatti non passa notte senza che sembri che
un gran numero di stelle attraversino il cielo […]
Eppure si ritrova poi al solito posto […] ne consegue
dunque che codesti fenomeni si producono più in basso
delle stelle e svaniscono rapidamente perché non
hanno sostegno e sede stabile.
Seneca (4 a.C. – 65 d.C.)
Naturales quaestiones, Libro I-1, 10
Introduzione
La radioastronomia amatoriale ha avuto un improvviso
e favorevole sviluppo negli ultimi anni soprattutto a
seguito della nascita di numerosi gruppi sfocianti nei
vari congressi nazionali. Tuttavia questa disciplina è
rimasta ancora nascosta al grande pubblico, soprattutto
per la poca conoscenza che la massa, anche di astrofili,
ha nei riguardi di questa moderna branca
dell’astronomia. In realtà, molto probabilmente, il fatto
che il grande pubblico non si avvicini a questa
disciplina deriva principalmente dal fatto che è quasi
impossibile reperire sul mercato dei radiotelescopi
pronti per l’uso. In secondo luogo in quanto l’analisi
del segnale non è sempre semplice. In fondo in
radioastronomia quello che si va ad analizzare è solo
del rumore.
Troviamo in rete la possibilità di comprare dei kit
prefabbricati che ci permettono di compiere le prime
ricerche radioastronomiche. Sicuramente il più famoso
è il progetto RadioJove della NASA [1] che permette di
costruire un rilevatore atto principalmente allo studio
del pianeta Giove. Poi da circa un anno è possibile
acquistare un kit prodotto dalla ditta RadioAstroLab
dell’amico Flavio Falcinelli [2], col quale è possibile
osservare le principali radiosorgenti celesti.
Scopo
Il progetto che si sta elaborando fa certamente parte del
mondo della radioastronomia, tuttavia va a sindacare
degli oggetti che si trovano nell’atmosfera terrestre: tali
corpi sono le meteore.
È in fase di progettazione e sviluppo un kit vendibile a
basso costo, e dunque di facile diffusione, che permetta
il monitoraggio degli impatti meteorici in atmosfera e
l’analisi del fenomeno stesso. Tale kit potrà essere
utilizzato facilmente sia dal neofita che per effettuare
delle serie ricerche scientifiche.
Nel presente elaborato verranno presentate solo alcune
linee guida generali senza soffermarsi nello specifico e
senza esibire nessun algoritmo.
Principio di funzionamento
Il funzionamento dell'apparato si basa sul fenomeno
ormai noto di ionizzazione dell'aria causata dal
passaggio di un meteoroide in atmosfera a velocità
elevata. Il meteoroide crea un canale ionizzato che si
comporta per la radiazione elettromagnetica compresa
nello spettro radio come un buon riflettore. Premesso
ciò, se la regione di atmosfera viene "illuminata" con
segnale a radiofrequenza di opportuna intensità in
assenza di riflessione la radiazione prosegue in linea
retta senza raggiungere la stazione ricevente, ma
quando incontra un canale ionizzato viene riflessa
verso la superficie terrestre e quindi può venire rilevata
da un ricevitore di idonee caratteristiche [3].
Banda di trasmissione
Il rilevatore non sarà monobanda, ma presenterà la
possibilità di selezionare la frequenza idonea. Il range
di frequenza utilizzabili è compreso tra le bande VHFUHF con frequenza compresa tra i 40 MHz e i 600
MHz. La scelta di tale banda deriva dal fatto che le
VHF risentono molto meno dei fenomeni di
propagazione ionosferica e hanno un elevato
coefficiente di riflessione da parte delle tracce
meteoriche, mentre le UHF praticamente non risentono
di fenomeni di propagazione naturale, pur avendo un
coefficiente di riflessione nelle tracce meteoriche
inferiore rispetto alla banda VHF [3].
Caratteristiche apparato
L’apparato presenta delle caratteristiche abbastanza
comuni ai normali radioricevitori dei radioamatori.
Essenzialmente le caratteristiche principali devono
essere:
1. banda di ricezione: la più ampia possibile
all’interno del range tra i 40 e i 200 MHz in
continuo;
2. modo di ricezione: USB - LSB - CW settabile
dall'utente;
3. alimentazione: batterie e/o da rete elettrica;
4. uscita: audio su altoparlante e cuffia per
l'ingresso nella scheda audio del PC e/o
tramite porta accesso dati;
5. sensibilità di ingresso: -150 Dbm e basso
rumore intrinseco.
Programma
Il software ha lo scopo di facilitare l’acquisizione e
l’elaborazione dei dati ricevuti. Infatti i dati acquisiti
non possono essere utilizzati senza un’elaborazione
accurata. Inoltre, essendo il programma rivolto ad un
pubblico che necessariamente non è esperto della
scienza meteorica o che si avvicina alla
radioastronomia per la prima volta, deve essere di
facile utilizzo, me estremamente completo.
Procedura di acquisizione
La parte hardware ha lo scopo di registrare ogni
fluttuazione del segnale che arriva. Tale segnale però
non è pulito in quanto presenta un rumore di fondo che
è impossibile eliminare, ma che al più può venire
attenuato tramite procedure hardware (ricevitore a
correlazione, etc.). I segnali prodotti da una meteora
sono superiori, in generale, a quelli del rumore di
fondo, per tale ragione è necessario studiare
attentamente il sistema affinché questo acquisisca echi
meteorici e non del semplice rumore. Alle frequenze a
cui si intende operare le meteore, sia ipodense che
iperdense, presentano il consueto andamento delle
oscillazioni di Fresnel. I parametri fondamentali per
una meteora sono la durata e l’intensità al picco.
Per semplicità immaginiamo un segnale che presenti
valori positivi e negativi in media attorno ad un valore
zero. Sia il segnale meteorico che il rumore avranno le
medesime fluttuazioni. Questi due segnali si
differenziano solo per l’intensità. Per tale ragione è
necessario che il programma registri solo quegli echi
che superano in intensità un certo valore di soglia e
termini l’acquisizione quando il valore è sotto al valore
di soglia.
Procedura di analisi
I dati acquisiti non possono servire a granché da un
punto di vista scientifico in quanto non sono corretti. In
prima analisi il valore registrato di ampiezza e durata
del segnale non sono corretti in quanto non viene
considerata la soglia.
Ovviato a questo facile problema, i dati ottenuti
possono essere sì visualizzati in un grafico eventotempo, ma anche in questa maniera non si ottiene nulla
di soddisfacente. Quello che serve è creare un file
cumulativo in classi di durata. Il file così ottenuto
permette di effettuare delle ricerche in maniera più
accurata.
Tasso-Tempo
Sicuramente l’analisi principale è quella di poter
visualizzare un grafico tasso-tempo in funzione della
classe di durata. In effetti l’attività di sciame è
caratterizzata dall’attività meteorica degli oggetti che
presentano una durata maggiore.
Per fare questo è necessario però operare
preventivamente sul file attraverso una serie di
operazioni atte a correggere vari problemi come il
dead-time, il tempo di attaccamento e il background
sporadico [4].
Indice di massa
Un altro parametro importante per l’analisi di uno
sciame meteorico è la valutazione del suo indice di
massa e dell’andamento del parametro stesso in
funzione del tempo. Tale parametro dà una stima della
distribuzione in massa dello sciame e può essere
immediatamente correlato con l’indice di popolazione
che deriva da studi meteorici in ambito visuale [4].
Ozono mesosferico
Tra le varie ricerche ed analisi che si possono effettuare
sulle meteore, che qui non verranno menzionate, c’è la
possibilità di andare a valutare la concentrazione
dell’ozono mesosferico. Per effettuare una tale analisi
bisogna ricorrere a strategie diverse che nei casi
precedenti e dunque ad operazioni differenti da parte
del programma.
Vantaggi
L’utilizzo di un kit così concepito presenta degli
indubbi vantaggi rispetto ad altri in commercio.
Innanzitutto il sistema acquisitore è completamente
automatico e può lavorare costantemente sia di giorno
che di notte o ad intervalli reimpostati dall’utente.
Il programma di analisi è innovativo in quanto non si
limita unicamente ad accumulare dati osservativi che
difficilmente possono essere analizzati per la grande
mole di dati (vedi ad esempio le campagne
dell’International Meteor Organization [5]). Inoltre
permette di effettuare ricerche più approfondite rispetto
ai dati che si possono reperire tramite il Radio Meteor
Observation
Bullettins
[6].
Il
programma
permetterebbe di analizzare i dati in maniera quasi
istantanea senza dover perdere troppo tempo. Inoltre i
parametri dell’analisi vengono gestiti in maniera
determinante dall’utente.
Inoltre il fatto di creare uno standard comune di
immagazzinamento dei dati tra i vari utenti è
certamente un punto di forza, in quanto molto spesso è
alquanto difficile poter lavorare coi vari bollettini
reperibili in internet.
Database
Il programma prevede la possibilità di far confluire
tutti i dati grezzi in un database così da poter essere
usufruiti dai vari utenti per ricerche maggiormente
approfondite. In effetti la volontà di effettuare delle
ricerche professionali necessita di avere a disposizione
il maggior numero di dati possibile per mettere in luce
eventuali anomalie nel proprio apparato ricevente.
Conclusioni
Il progetto GMeteor è sicuramente un valido modo per
far conoscere la radioastronomia, magari non la parte
più affascinante, ma sicuramente quella che permette di
ottenere immediatamente semplici e facili risultati.
Il kit, data la sua versatilità, sarebbe indicato non solo
al neofita o come strumento didattico, ma anche, e
soprattutto, come strumento di ricerca professionale.
Ovviamente accanto alla conoscenza stessa delle
potenzialità del programma è indispensabile da parte
dell’utente una conoscenza della scienza meteorica tale
da permettergli di giungere ai suoi obiettivi di ricerca.
Bibliografia
[1] RadioJove, http://radiojove.gsfc.nasa.gov/
[2] RadioAstroLab, http://www.radioastrolab.it
[3] Sartori G., Drescig F., Astronomia UAI, 4, 50-52
(luglio-agosto 2006)
[4] Sandri M., Analisi di sciami meteorici di origine
cometaria attraverso tecniche radar e visuali,
Università degli Studi di Padova, (2003)
[5] International Meteor Organization,
http://www.imo.net
[6] Radio Meteor Observation Bullettins,
http://visualrmob.free.fr
Mario Sandri 1,2, Gabriele Sartori 1 [email protected]
Le meteore in radio - Ascoltare e
rilevare le meteore in ELF e VLF
1
2
Gruppo Ricerca Radioastronomia Amatoriale Trentino, IARA Group
SdR RadioAstronomia UAI, Società Italiana di Fisica, International Meteor Organization
Introduzione
E' ormai ben noto che eventi naturali possono generare
radiazione elettromagnetica nella gamma ELF - VLF.
La principale fonte di radiazione in tale gamma è legata
ad eventi di ionizzazione più o meno casuali dello
strato superiore dell'atmosfera terrestre. E' altresì noto
che lo spazio compreso fra la superficie terrestre e la
ionosfera si comporta come una guida d'onda per i
segnali VLF i quali, a causa dello strato riflettente
ionizzato,
rimangono
confinati
all'interno
dell'atmosfera;
oltre
a
ciò
la
radiazione
elettromagnetica in questa gamma presenta una
propagazione abbastanza uniforme, ed ha ridotti
fenomeni di evanescenza che risultano ben più
accentuati alle frequenze più elevate.
La fonte principale di emissione di tali segnali è
probabilmente l'attività temporalesca; tuttavia non è
assolutamente trascurabile il contributo dato
dall'impatto con l'atmosfera terrestre di bolidi e
probabilmente anche di sciami meteorici con
sufficiente ZHR.
Obiettivi
Come è noto, in alcuni periodi dell'anno (con un
massimo nei mesi estivi) l'orbita terrestre incrocia
quella dei vari sciami meteorici i quali, entrando
nell'atmosfera, producono intense tracce ionizzate,
sorgenti di radiazione elettromagnetica alle frequenze
più basse dello spettro radio.
Lo scopo che ci prefiggiamo è quello di verificare, se
possibile, la correlazione tra impatti di bolidi o di
sciami meteorici con l'atmosfera terrestre, e l'aumento
della radiazione in banda ELF - VLF. Nell'ipotesi ciò
fosse verificato speriamo di poter evidenziare anche
una correlazione tra ZHR ed aumento della radiazione
stessa.
Apparato
La stazione ricevente è formata (come si può vedere
dallo schema a blocchi) da una antenna filare della
lunghezza di 11.60 metri; tale antenna risulta
largamente sotto dimensionata se si tiene in
considerazione la lunghezza d'onda correlata alle
frequenze da noi monitorate, ma ragioni logistiche
hanno impedito sia dimensioni maggiori sia
configurazioni più complesse (tipo array di dipoli) che
potrebbero aiutare nella rilevazione di segnali ben più
deboli di quelli da noi captati.
Il ricevitore è del tipo ad amplificazione diretta (lo
schema è tratto dal libro SUSSURRI DAL COSMO del
Dott Flavio Falcinelli che ringraziamo per la
disponibilità dimostrata). La frequenza di lavoro è stata
scelta compresa tra 1.5 e 7.5 kHz sebbene i segnali su
cui stiamo indagando arrivino fino ad anche 13-14
KHz. Il motivo di tale scelta risiede nel fatto che le
frequenze attorno ai 10KHz sono utilizzate per scopi
militari soprattutto dai sottomarini e quindi sarebbero
fortemente disturbate.
L'alimentatore è del tipo duale opportunamente
schermato ed in grado di alimentare il ricevitore con
una tensione di +/-5V c.c.
L'uscita audio del ricevitore pilota un piccolo
amplificatore di b.f. utile per evidenziare anomalie ed
oscillazioni nel funzionamento.
L'uscita 0-5Vcc è connessa ad un convertitore
analogico digitale ad 8bit e a 8 canali (ADC808) del
quale viene utilizzato un solo ingresso.
Il valore digitale viene quindi letto tramite la porta
parallela da un Pc sul quale gira un programma in
Qbasic scritto dagli stessi autori. Il software registra il
valore presente sull'uscita del ricevitore ad intervalli di
circa 0.6 secondi in un file e calcola inoltre la media di
60 letture che viene automaticamente salvata in un altro
file.
Tutto l'apparato viene attivato e disattivato
automaticamente da un interruttore orario.
Luogo installazione
Tutto l'apparato è installato nel paese di Terlago in
provincia di Trento in una zona del paese il più
possibile priva delle "normali" interferenze umane.
Preventivamente all'inizio delle misure sono state
eseguite delle verifiche sia audio che mediante
registrazione riguardo all'assenza di disturbi derivanti
da attività umana.
Conclusioni preliminari
Sebbene il ciclo di misure non sia ancora concluso in
prima approssimazione si può evidenziare una buona
probabilità di correlazione tra frequenza degli sciami
meteorici ed aumento del "rumore" medio rilevato dal
nostro apparato.
In una rilevazione effettuata il giorno 12/11/2000 notte
del massimo previsto dello sciame delle Tauridi Nord il
grafico mostra il tipico andamento a campana che
potrebbe in linea teorica essere correlato al repentino
aumento e diminuzione del segnale dovuto al picco di
massimo dello sciame. Tale fenomeno però si è
presentato solo in questo caso e quindi allo stato attuale
delle cose non è possibile affermare con certezza che la
particolare forma del grafico della rilevazione sia
imputabile al fenomeno fisico in esame.
Le rilevazioni stanno tuttora continuando e una analisi
più specifica dei dati è senza dubbio necessaria, le
conclusioni finali si potranno azzardare solo ad
esperimento terminato.
Fabio Drescig
Osservazione di tracce meteoriche
tramite radio doppler
IARA Group, Gruppo Ricerca Radioastronomia Amatoriale Trentino
Nell'osservazione e nel monitoraggio di sciami
meteorici è sempre stato un problema conciliare
osservazioni fatte visualmente con altre ottenute con
tecniche radar come il meteor-scatter. Questo è in parte
dovuto
al
fatto
che
le
tecniche
radar
convenzionalmente adottate, hanno il limite di rivelare
solamente un innalzamento del livello del segnale nel
ricevitore, quando una traccia meteorica, superando la
soglia di rivelazione del sistema, appare nell'area di
cielo
che
sta'
sopra
il
trasmettitore
e
contemporaneamente vista dal fascio d'antenna del
ricevitore. In breve, il segnale rivelato è costituito da
una singola misurazione, rispetto ad una soglia di per
sè stessa incerta.
Conseguentemente, è difficile mettere in relazione la
magnitudine assoluta della rivelazione radio con
l'equivalente magnitudine dell'osservazione visuale.
Questo articolo descrive un metodo di rivelazione di
tracce meteoriche tramite una tecnica radio-amatoriale
la quale fornisce maggiori informazioni quantitative
sullo scattering delle tracce meteoriche rivelate, che i
metodi di radio-scattering tradizionali.
Il radio scattering: In genere l'energia di un segnale
radio può viaggiare dal trasmettitore a un ricevitore
seguendo diverse modalità di percorso; direttamente,
seguendo un percorso per così dire a vista, per via di
onde di terra, da riflessione ionosferica, da diffusione
troposferica o da diffusione (scattering) da altri oggetti
illuminati dal trasmettitore e visibili dal ricevitore.
Il metodo usuale per rivelare tracce meteoriche, è il
cosiddetto “forward scatter“ (diffusione in avanti), esso
consiste nell'usare un segnale del trasmettitore la cui
frequenza e distanza siano selezionate in modo che il
trasmettitore illumini l'orizzonte sopra il ricevitore, ma
al ricevitore non arrivi nessun segnale (o comunque di
entità irrilevante) tramite riflessione ionosferica,
percorso di terra o per via diretta. In pratica se la
geometria del sistema è ideale, una parte del segnale
subirà uno scattering in avanti verso il ricevitore, solo
quando una traccia meteorica (o un oggetto qualsiasi)
comparirà nella zona di cielo illuminata dal
trasmettitore, ecco che allora nel ricevitore si udirà il
segnale del trasmettitore, in questo modo le meteore
possono essere contate. La figura 1 illustra il concetto
dello scattering sopra l'orizzonte.
Il metodo doppler usa la stessa geometria ma, non si
limita a rivelare solo l'ampiezza del volume del segnale
che raggiunge il ricevitore, ma può misurare la
frequenza con grande precisione.
Se lo scattering è diffuso da un oggetto in movimento,
il suo segnale in arrivo al ricevitore sarà affetto da uno
spostamento doppler (doppler-shift). Esaminando lo
spettro del segnale diffuso si riveleranno informazioni
sul movimento della sorgente che provoca lo
scattering. Dalla geometria del percorso del segnale il
doppler-shift (spostamento doppler) rivelato è
corrispondente alla variazione del percorso del segnale,
tra trasmettitore e ricevitore che viene diffuso
dall'oggetto in movimento, che, non è uguale al
movimento dell'oggetto.
Per esempio: se il trasmettitore ed il ricevitore sono
relativamente vicini e l'oggetto è in avvicinamento ad
entrambi, la variazione della lunghezza del percorso
trasmettitore-ricevitore è approssimativamente il
doppio della velocità dell'oggetto; nella fig.2, l'oggetto
riflettendo il segnale si muove di una distanza dx da A
a B, mentre la lunghezza del percorso tra trasmettitoreA-ricevitore, differisce dal percorso trasmettitore-Bricevitore di 2 dx.
Vi sono due tipi di velocità in un evento meteorico. La
velocità della stessa meteora, generalmente si tratta di
decine di Km al secondo, e la velocità della traccia
ionizzata risultante dall'evento che è uguale alla
velocità dei venti in quote molto alte, tra gli 80 e i 100
Km di altezza.
Tipicamente la velocità dei venti a queste quote sono
nell'ordine di alcune centinaia di metri al secondo. La
traccia lasciata dalla velocità della meteora, dura
frazioni di secondo, mentre quella della scia ionizzata
può durare da alcuni secondi a qualche minuto.
Scelta del segnale trasmittente: Il metodo di rivelare
piccoli doppler-shift impone che il segnale usato come
trasmittente, debba avere una portante (carrier) stabile e
abbastanza pura, cioè priva di spurie. Questa necessità
esclude l'uso di tutti i segnali modulati in frequenza
(FM), come quelli usati normalmente nella banda VHF
88-108 Mhz,lo stesso vale per la componente audio
della TV (anche questa in FM). Il sistema adottato si
basa sul monitoraggio di un segnale modulato in
ampiezza (AM), questo segnale consiste in una
portante (carrier) di una certa frequenza, es. 21.000
Khz; ai lati del carrier compaiono due bande laterali,
una di frequenza maggiore, ed una di frequenza minore
del carrier, la fig. 3 illustra la disposizione del carrier e
delle due bande laterali simmetriche di un segnale AM.
I tipici segnali video TV sono in AM, ma le bande
laterali iniziano a +/- 50 Hz che corrisponde alla
componente più bassa del segnale video, per questo
motivo nel segnale video TV non vi è abbastanza
spazio tra il carrier e la più bassa componente delle
bande laterali per rivelare i segnali di doppler- shift
riflessi dalla meteora.
I segnali delle emittenti broadcast in onde corte sono
anch’essi modulati in ampiezza, ma la frequenza di
taglio delle bande laterali sono intorno ai 300 Hz, cioè
vi è una zona utile per rilevare il doppler-shift di 300
Hz tra il carrier e le bande di modulazione laterali. Con
un carrier di frequenza che va dai 10 Mhz ai 100 Mhz
si hanno buone zone utili per la rivelazione del
doppler-shift, essendo la distanza tra il carrier e le
bande laterali sufficientemente larga per rilevare i
doppler-shift.
Lo svantaggio dei segnali AM in onde corte è che
questi segnali sono fortemente riflessi dalla ionosfera,
quindi serve molta attenzione e pazienza nel scegliere
un segnale AM: il trasmettitore deve essere posto ad
una distanza tale da non rivelare il segnale riflesso
dalla ionosfera, questo dipende dall'angolo incidente
dell'onda del trasmettitore rispetto alla ionosfera; nello
stesso tempo il ricevitore deve essere ad una distanza
tale da non ricevere il segnale per via diretta, questa
zona d'ombra per i segnali diretti viene chiamata “skipdistance”, questa distanza è in relazione con la
frequenza, e dipende dall'ora del giorno e dalla
proprietà di propagazione della ionosfera (legata anche
all'attività solare). Per frequenze che cadono sulle onde
corte, la zona si estende per un raggio maggiore di 150
Km dal trasmettitore, la fig. 4 illustra il meccanismo.
Per rivelare il doppler-shift del segnale diffuso da una
traccia meteorica è neccessario che il segnale
trasmittente non includa le bande laterali che
potrebbero coprire l'effetto doppler. Per esempio alla
frequenza di un carrier di 100 Mhz, l'effetto doppler
corrispondente ad una variazione della lunghezza di
percorso del segnale riflesso di 400 m/s, dovrebbe
essere 133 Hz; più alto in frequenza è il carrier, piu'
alto è proporzionalmente il doppler-shift del segnale
riflesso.
L'esperimento che descrivo usava principalmente un
segnale AM prodotto da un'emittente broadcast in onde
corte e precisamente Radio Svizzera International, il
cui segnale viene trasmesso dal territorio svizzero sulla
frequenza di 21.710 Mhz. Il segnale è probabilmente
emesso con un angolo rispetto alla ionosfera
sufficientemente basso per servire probabilmente il
continente sudamericano, ma l'angolo visto dal mio
ricevitore, che si trova a circa 350 Km in linea d'aria
dal trasmettitore, è troppo acuto per ricevere il segnale
riflesso dalla ionosfera. In realtà una minima
percentuale di segnale è ricevibile (forse per via
troposferica), ma molto debole, questo non pregiudica
la cosa ma, anzi facilita l'identificazione della stazione
radio da monitorare.
Rivelazione del doppler-shift: Come spiegato sopra, il
segnale consiste in una frequenza di carrier (21.710
Mhz nell'esperimento citato), composto da due bande
laterali che iniziano a 300 Hz da entrambi i lati del
carrier i segnali di scattered si rivelano ad alcune
decine di Hz dal carrier. Il carrier e le sue bande laterali
arrivano al ricevitore per varie vie, da scattering della
ionosfera, da non omogeneità della troposfera o da
back-scattered (diffusione all'indietro) e dal terreno
dopo due riflessioni ionosferiche. In tutti i casi, si tratta
di segnali di basso livello. I ricevitori amatoriali
generalmente hanno un'uscita audio con una banda
passante che taglia drasticamente le frequenze al di
sotto dei 100 Hz, quindi è conveniente ricevere il
segnale nel modo SSB (Single Side Band), cioè una
sola banda laterale, portando la nota audio del carrier
circa ad 1 Khz: quindi il segnale di doppler-shift (df),
anch’esso viene traslato sulle frequenze audio di 1000
Hz +/- df Hz.
A questo punto abbiamo bisogno di un programma per
la visualizzazione del segnale doppler. Vi sono
parecchi programmi in grado di digitalizzare un
segnale audio per poi produrre una uscita grafica che
rappresenti le varie frequenze e il loro andamento nel
tempo, in pratica si tratta di produrre uno
spettrogramma.
L'articolo originale era accompagnato da un ottimo
programma dedicato, che genera dei dopplergrammi
partendo dal segnale audio prelevato dal ricevitore, ma
per i miei esperimenti avevo a disposizione un ormai
datato ricevitore FRG 7 della YAESU con l'oscillatore
che andava “un pò troppo a spasso” per questo
programma (mi ci voleva più di un'ora perché si
stabilizzasse): aveva una tolleranza di poche decine di
Hz. Ho trovato più confacente ai miei scopi utilizzare
un noto programma shareware, SPETTROGRAM, che
genera ottimi spettrogrammi con una banda che va da
qualche Hz a qualche Khz nel dominio del tempo; la
schermata grafica è piacevole e il programma lavora in
FFT (Fast Fourier Transform), con parecchie opzioni di
analisi e valori di settaggio.
Centrando la schermata sulla frequenza di 1Khz, si può
seguire il segnale del carrier e, sopra e sotto questo, le
due bande laterali; tra il carrier e le bande laterali vi è
la zona dove si rivelano i segnali doppler riflessi da un
oggetto illuminato dal trasmettitore e visto nel
medesimo tempo dal ricevitore. Il segnale doppler se
appartiene ad esempio ad un aereo (molto frequente nel
mio caso) in avvicinamento, verrà evidenziato con la
comparsa di un segnale più debole del carrier che ha
inizio qualche decina di Hz sopra il carrier stesso (il
percorso del segnale riflesso dall'aereo è più corto del
percorso che segue il segnale del carrier) , per poi
passare in un certo tempo (legato alla velocità relativa
dell'aereo) a essere sovrapposto al carrier (l'aereo in
questo caso non ha doppler-shift perche il percorso
dell'onda riflessa e uguale al percorso dell'onda
ricevuta dal ricevitore del carrier); in seguito il segnale
doppler si abbasserà al di sotto del carrier per sparire in
concomitanza dell'inizio della banda laterale inferiore
(in questo caso l'aereo si stà allontanando e il percorso
del segnale riflesso diventa più lungo del segnale
originale del carrier), nella fig.5 si vede un esempio di
doppler-shift generato da un aereo di linea.
Nel caso di una traccia meteorica, ci si aspetta una
traccia di intensità proporzionale all'energia
dell'evento, e della durata di una frazione di secondo, o
al massimo di qualche secondo (bolidi lenti). La
velocità della meteora potrà essere misurata con
sufficiente precisione osservando l'angolo del doppler
shift rispetto al carrier: più l'angolo è acuto, più la
velocità della meteora è elevata. Da questo è possibile
risalire all'appartenenza della meteora ad un particolare
sciame. Inoltre è possibile seguire l'evolversi della scia
ionizzata per alcuni secondi o anche minuti, prima che i
venti in quota la disperdano; è probabile che ogni
evento meteorico di una certa entità sia associato ad
una coda con velocità più bassa dell'ordine di alcune
centinaia di metri al secondo (dipendente dalla velocità
dei venti in quota), in questo caso la traccia viene
rilevata con una caratteristica forma a uncino, vedi
esempio la fig.6.
Conclusioni: La tecnica del doppler-shift è molto
promettente in campo amatoriale e consente dopo un
periodo di rodaggio e affinamento delle tecniche
strumentali di ottenere validi monitoraggi di sciami
meteorici, non solo dal punto di vista quantitativo ma
anche sotto l'aspetto qualitativo. Il problema principale
stà nella pazienza nel trovare un carrier adatto ( ho
passato molte ore a monitorare emittenti broadcast in
onde corte sulle bande dei 17 e 21 Mhz), nel mio caso
dopo aver usato il carrier di Radio Svizzera
International sui 21.710 Mhz per alcuni mesi, ho
scoperto con rammarico la cessazione dell'attività di
questa emittente; poco male perchè in seguito ho avuto
la fortuna di scoprire un eccellente carrier sui 26.200
Mhz, questa emissione in AM, non è un'emittente
broadcast, ma probabilmente qualche ripetitore dati a
banda larga, mi è anche sconosciuta la locazione del
trasmettitore e per esperienza, è molto difficile risalire
al sito del trasmettitore, perché il segnale che giunge al
ricevitore può avere varie modalità di percorso. Questo
dato anche se utile, comunque non è strettamente
necessario ai fini del monitoraggio delle meteore.
Finora ho effettuato monitoraggi sporadici, più per
controllare la tecnica che per rilevare dati, purtroppo ho
iniziato queste sperimentazioni in febbraio, periodo
scarso di sciami meteorici (in compenso rilevo un
sacco di aerei). Il vero banco di prova potrebbe essere
il monitoraggio delle Perseidi; per rendere il sistema
automatico si potrebbe registrare con un registratore il
carrier all'uscita audio del ricevitore e, in seguito,
analizzarlo con il programma SPECTROGRAM. Tutto
il sistema potrebbe essere reso automatizzato,
facendolo partire con un timer, oppure salvato su
l'hard-disk del PC, magari in un formato compresso. Le
migliorie sono possibili e il programma originale
accoppiato con un buon ricevitore amatoriale
probabilmente è migliore di quello che uso
attualmente; per le antenne basta un dipolo tagliato per
la frequenza del carrier e orientato nella zona di cielo
che interessa monitorare ciò non toglie che sistemi più
complessi, come ad esempio antenne direttive ecc.
possano dare migliori risultati.
Questo articolo è la libera traduzione dall'inglese di
una pubblicazione dell'International Meteor Organism
(IMO), che potete visionare al sito: www.imo.net
Gabriele Sartori, Fabio Drescig
Radar bistatico in banda VHF per il
monitoraggio di impatti meteorici in
atmosfera
IARA Group, Gruppo Ricerca Radioastronomia Amatoriale Trentino
____________________________________________
Abstract
Il presente studio ha lo scopo di descrivere le
caratteristiche minime di un sistema radar bistatico (il
trasmettitore e il ricevitore sono posti in luoghi diversi)
atto a rilevare gli impatti meteorici in atmosfera a
un'altezza di circa 100 km dalla superficie terrestre. Si
riportano, inoltre, le misure effettuate dagli autori
durante il massimo dello sciame delle Perseidi 2004 il
giorno 11/08/2004 dalle ore 22:20 alle ore 23:20 TU.
____________________________________________
Principio di funzionamento
Il funzionamento dell'apparato si basa sul fenomeno
ormai noto di ionizzazione dell'aria causata dal
passaggio di un meteoroide in atmosfera a velocità
elevata. Il meteoroide crea un canale ionizzato che si
comporta per la radiazione elettromagnetica compresa
nello spettro radio come un buon riflettore. Premesso
ciò, se la regione di atmosfera viene "illuminata" con
segnale a radiofrequenza di opportuna intensità in
assenza di riflessione la radiazione prosegue in linea
retta senza raggiungere la stazione ricevente, ma
quando incontra un canale ionizzato viene riflessa
verso la superficie terrestre e quindi può venire rilevata
da un ricevitore di idonee caratteristiche.
Figura 2. Andamento del segnale in presenza di canali
ionizzati.
Scelta della banda di trasmissione:
la frequenza di trasmissione del segnale deve
rispondere essenzialmente a due requisiti fondamentali:
1) essere poco sensibile a fenomeni di riflessione
naturale come la propagazione ionosferica, E
sporadico (porzione di atmosfera compresa tra i
100 e i 150 km di altezza dal suolo), riflessione da
vapore acqueo, ecc.
2) essere riflessa in maniera il più completa possibile
dal canale ionizzato creato dalla meteora.
Ciò premesso, prendiamo in considerazione
comportamento delle varie bande di trasmissione.
Figura 1. Andamento del segnale in assenza di canali
ionizzati.
il
A) Le HF (da circa 1.5 MHz fino a circa 30 MHz)
"soffrono" di una spiccata tendenza alla riflessione
dovuta a fenomeni di propagazione atmosferica
naturale e non sono quindi adatte allo scopo.
B) Le VHF (da circa 30 MHz fino a circa 300 MHz)
risentono molto meno dei fenomeni di
propagazione ionosferica, e hanno un elevato
coefficiente di riflessione da parte delle tracce
meteoriche;
C) Le UHF (da circa 300 MHz fino a circa 3000
MHz) praticamente non risentono di fenomeni di
propagazione naturale, pur avendo un coefficiente
di riflessione nelle tracce meteoriche inferiore
rispetto alla banda VHF;
D) Le SHF (da circa 3 GHz a 30 GHz) tendono a
essere riflesse da strati di vapore acqueo, nuvole
ecc., non sono quindi idonee allo scopo se non in
condizioni particolari di bassa umidità atmosferica
e
nella regione
r
com
mpresa tra trasmettitore
t
ricevitorre, e questa condizione è senza dubbbio
troppo liimitante.
Premesso ciiò riteniamo che il rangge di frequennza
utilizzabili siia compreso a tra le bandee VHF-UHF con
c
frequenza coomprese tra i 40
4 MHz e i 6000 MHz.
L'utilizzo di una data freqquenza non è però consenttito
se non dietroo autorizzazionne del compettente ministeroo e
dietro il paggamento di una tassa annnua. In questo
lavoro si è quindi
q
scelto di utilizzare un'emittente
u
T
TV
operante a 48.250
4
MHz frequenza
f
chee, pur soffrenndo
parzialmentee della rifleessione natuurale in ceerte
particolari coondizioni, connsente di avere a disposizioone
un segnale molto
m
forte a coosto zero.
L'emittente da noi sceltta è una TV
V svedese che
c
RA JP93 pol. Hor.) con una
u
trasmette daa Vannas (QR
potenza di 600 kW. Più avvanti comunquue verranno daate
tutte le infoormazioni perr dimensionarre un eventuaale
trasmettitore costruito alloo scopo.
Verifica dellla ricevibilitàà del segnale
Per sempliccità immaginniamo un radar bistatiico
composto daa un trasmettittore e da un ricevitore ubiccati
in due luoghhi distinti maa posti alla stessa
s
quota sul
livello del mare.
m
Nel casoo più generalee non essendoo i
due strumentti alla medesim
ma quota, nel calcolo si dovvrà
inserire la quuota media deelle due stazioni per otteneere
un dato simille alla situazioone rea le opppure la quota del
d
componente più basso per ottenere dei dati
d leggermennte
superiori a quuelli reali.
Detto ciò costruiamo unn triangolo con
c
base AB
B e
posizioniamoo nel vertice A il trasmettitore e nel vertiice
B il ricevitorre; l'altezza di detto triangoolo, il segmennto
CH, sarà datta dall'altezza prevista del canale
c
ionizzaato
meno la quotta sul livello del
d mare del sistema
s
calcolaata
come già dettto (figura 3).
Osservando la figura si vede subito che il percorrso
totale compiiuto dal fasccio di segnale risulta esseere
AC+CB. Coon semplici equazioni
e
possiamo calcolaare
sia il percorsso totale che l''angolo nel veertice A che saarà
l'inclinazionee ottimale del sistema d'antenna sia
approssimatiivamente la porzione di
d cielo vista
dall'antenna ricevente.
r
x: Vannas m s.l.m.
s
150
Tx
Rx
x: Monte Veloo m s.l.m. 12000
Quota media:
150 + (1200 -150) /2 = 675 m s.ll.m.
onizzato: 1000
Altezza dal livello del maree del canale io
m; Tratto CH:
km
CH
H = 100 - 0.675 = 99.325 km
m
Trratto AC:
2
2
H = 1005 km
m
AC = AH +CH
Il tragitto comppleto compiutoo dal segnale risulta esseree
paari al doppio del
d lato AC e quindi 2xAC
C = 2010 km..
L''angolo al verrtice A che ccorrisponde alll'inclinazionee
otttimale dell'anntenna è dato dda:
A = arctg(AH//CH) = 5.68°
Una volta defiiniti i parameetri geometricci del sistemaa
paassiamo a quuantificare l'atttenuazione che il segnalee
traasmesso subbirà durante tutto il percorso
p
dall
traasmettitore al ricevitore trattto AC + CB.
Laa formula chee ci consente di calcolare l'attenuazionee
in
n Dbm (decibeel riferiti a l mW) è tratta da "Antennee
lin
nee e propaggazione - Neerio Neri - C&C
C
edizionii
raadioelettriche"" [1]:
N = 37 + 20 log(f) + 20 log(d)
do
ove:
N = attenuazionne in Dbm
f = frequenza ussata in MHz
d = lunghezza del
d percorso inn chilometri.
Nel nostro casoo:
f = 48.250 MHzz
d = 2010 km
N = 37 + 20 log(48.2250) + 20 log(2010)
N = 136.7734 Dbm
Po
oiché il trasm
mettitore operaa con una poteenza pari a 600
kW
W che corrisppondono a +777.5 Dbm ci aspettiamo
a
unn
seegnale ricevutto pari alla differenza trra la potenzaa
traasmessa e l'atttenuazione caalcolata senzaa tenere contoo
deelle perdite doovute alla rifleessione vera e propria.
bm.
Seegnale ricevutto = 77.5 - 1366.7 = -59.2 Db
Figura 3. Geometria del sistema.
Nel caso dellle nostre misuure abbiamo:
Un segnale di tale intensità è senza dubbio rilevabilee
u
ovvero uun apparato radioamatorialee
daal ricevitore usato
IC
COM IC 7066 che ha unna sensibilitàà di ingressoo
diichiarata pari a circa -126 D
Dbm.
Durante le nostre misurre abbiamo rilevato
r
segnnali
variabili da circa
c
-75 Dbm
m fino a circaa -60 Dbm, coosa
che fa pressupporre un'aalta efficienzza dello straato
riflettente.
Analogamennte possiamo utilizzare unn ragionamennto
inverso per stimare,
s
parteendo dall'intennsità del segnaale
voluta, la pootenza necessaria al trasmeettitore affincché
l'eventuale eco (segnale riicevuto a caussa del passagggio
della meteoraa) sia sicuram
mente ricevuto..
Strumentaziione usata
Il nostro appparato di misuura è costituitto da un'antennna
Yagi 3 elem
menti autocostruita fatta risuonare neella
gamma di freequenza di noostro interesse (48.250 MHzz) ,
un ricevitore radioamatoriale ICOM IC7706 sintonizzaato
in banda laaterale USB (ossia ad l kHz sotto la
frequenza di trasmissione)). L'uscita cufffie del ricevitoore
è connessa alla
a scheda audio
a
del PC che processaa il
segnale con il software spectrogramm
m, un sempliice
analizzatore di spettro in teempo reale.
Figura 4. Setu
up misura.
La sessione di
d misura ha avuto
a
la durataa di circa un'oora,
centrata sul massimo presunto
p
delloo sciame deelle
Perseidi 20044.
Dati ricavati
I dati si limiitano al conteeggio degli evventi meteoricci e
alla distinzioone tra le meteeore ipodense e iperdense [22].
Il numero di eventi è calccolato contanddo il numero dei
d
echi ricevutti, mentre la
l distinzionne tra meteoora
ipodensa e ipperdensa viene fatta valutanndo visivamennte
uno ad unoo gli invilupppi del segnalle presentati da
spectrogramm
m direttamentte sul monitorr del PC Poicché
gli eventi daa noi rilevati sono
s
decisam
mente superiorri a
quelli visuali, ciò conferm
ma l'ipotesi che
c le misure in
radio hanno una sensibillità nettamennte maggiore di
quelle visualli anche di un fattore 100, Attualmente
A
n
non
è ancora com
mpletata la distinzione
d
traa le tipologie di
meteora menntre è possibille fare dei raagionamenti suull'
andamento del
d numero di eventi per uniità di tempo.
Fiigura 5. Grafico
o Ping vs. Tempo.
Considerazion
ni
Co
onfrontando il grafico dda noi ricav
vato con lee
ossservazioni viisuali si notaa un buon acccordo fino a
circa ¾ della sessione di miisura, In seguito si nota unn
no
otevole aumennto del segnaale per altro rilevato
r
anchee
du
urante il contrrollo della misura dovuto probabilmente
p
e
alla forte ionnizzazione ddell'atmosferaa dovuta all
massimo
m
dello sciame. La foorte ionizzazio
one ha fatto sìì
ch
he ricevessim
mo il segnalee dell'emitten
nte anche inn
asssenza di passsaggi di meeteore. Nonosstante questoo
in
nconveniente possiamo
p
conssiderare riusciito l'intento dii
co
ostruire un sisttema semi auttomatico per l'l acquisizionee
dii eventi metteorici. Una possibile ev
voluzione dell
sistema potrebbbe essere quuella di cercaare all'internoo
deello spettro radio
r
una poorzione nella quale sianoo
riccevibili simuultaneamente due o più
p
emittentii
po
osizionate ill luoghi coonsiderevolmeente distantii
deell'ordine del migliaio di chhilometri. Qu
uesto potrebbee
co
onsentire di sttimare con buona approssim
mazione sia laa
diirezione sia la velocità del corpo entrante inn
attmosfera.
Po
ossibili svilupp
ppi
Uno sviluppo possibile e facilmente realizzabilee
po
otrebbe esseree quello di coostruire dei riccevitori moltoo
seemplici ed ecoonomici che ddovrebbero av
vere all'incircaa
le seguenti caraatteristiche:
1.
2.
3.
4.
5.
banda di ricezione: 40.000 - 55.0
000 MHz inn
continuo;
modo di ricezione:
r
US
SB - LSB - CW settabilee
dall'utente;;
alimentazioone: batterie
uscita: auddio su altoparllante e cuffia per l'ingressoo
nella schedda audio del PC;
sensibilità di ingresso: --150 Dbm e basso
b
rumoree
intrinseco.
Avendo a diisposizione aalcuni riceviitori con lee
caaratteristiche sopradette
s
opeerati da soggeetti interessatii
alla tipologia di
d misura, otttima sarebbe un'esperienzaa
prratica per le scuole
s
superioori, si potrebb
be monitoraree
in
n continuo l'atttività meteoriica da più partti avendo unaa
"m
mappa" spaziaale del fenomeeno.
Un'altra possibile evoluzione, alla quale il G.R.R.AT.
sta lavorando, è quella di creare un software dedicato
alla misura che implementa il lavoro svolto dal dott.
Mario Sandri nella sua tesi di laurea [2], in modo da
consentire una prima ma approfondita analisi dei dati
raccolti.
Ringraziamenti
Il G.R.R.AT. vuole ringraziare: dott. Vittorio Napoli,
ing. Stelio Montebugnoli, dott. Giuseppe Pupillo, ing.
Flavio Falcinelli
Bibliografia
[l] Neri N., Antenne linee e propagazione - C&C
edizioni radioelettriche.
[2] Sandri M., Analisi di sciami meteorici di origine
cometaria attraverso tecniche radar e visuali Università degli Studi di Padova a.a. 2002-2003.
[3] Falcinelli F., Radioastronomia Amatoriale, Ed. Il
Rostro
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