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1. Breve storia dello studio della famiglia
Nel corso degli anni, gli studi sociali hanno mostrato la varietà di “esperienze
familiari” nel passato, mettendo in evidenza come sia impossibile ricostruire
una vicenda unitaria di trasformazioni, nel quale tracciare un quadro
completo della famiglia. Si sono così aggiunti studi etnologici e
antropologici, ma, soprattutto, si sono iniziati a raccogliere i dati in maniera
più completa ed unitaria, arrivando oggi alle indagini multiscopo sulla
famiglia, che sono indici importanti per capire il mutamento di questa
particolare realtà sociale. Infatti, la storia umana presenta differenti repertori
di modi di organizzare e attribuire significato alla generazione e alla
sessualità, al modo di rapportarsi e confrontarsi all'interno e all'esterno della
famiglia e quindi al modo di costruirla.
Concepita dapprima come storia delle elite, la “storia della famiglia” è poi
diventata un ambito privilegiato per indagare nella vita di grandi masse
anonime. Seguendo la via tracciata dal demografo francese L. Henri, gli
storici hanno adottato la tecnica della ricostituzione delle famiglie per
studiare i mutamenti nel tempo della fecondità legittima e più in generale
della famiglia come unità biologica: la possibilità di sfruttare fonti seriali
(registri parrocchiali in primo luogo) e di applicare tecniche e metodi
quantitativi in modo sistematico, ne hanno fatto uno dei campi
all'avanguardia nell'innovazione storiografica. Gli sviluppi più ambiziosi li
troviamo in ambito anglosassone, grazie all'attività del Cambridge Group for
the History of Population and Social Structure. Questi studi si sono
concentrati sulla raccolta di una quantità considerevole di dati ricavati dai
registri di battesimo, nascita e morte allo scopo di poter comparare lungo un
arco cronologico assai vasto i comportamenti familiari di intere comunità. I
temi su cui questi lavori si sono di preferenza concentrati sono: il numero e la
frequenza dei matrimoni, l'età al matrimonio, i tassi di fecondità e quelli di
natalità, i concepimenti extra matrimoniali e il numero degli illegittimi, le
dimensioni della famiglia e dell'aggregato domestico. Sulla base di questi dati
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Laslett ha enunciato la tesi, controcorrente rispetto a un luogo comune della
tradizione sociologica, dello scarso rilievo in età medievale e moderna della
cosiddetta “famiglia ceppo” e in generale degli aggregati domestici di ampie
dimensioni, sostenendo che a partire dal Medioevo la famiglia coniugale è
stata la forma caratteristica dell'occidente. Successive revisioni, per opera
dello stesso Cambridge Group, hanno corretto l'impostazione originaria
individuando quattro tipologie differenti lungo due assi, verticale e
orizzontale, ovvero rapporti di sesso e rapporti di generazione1:
a) i gruppi domestici detti “senza struttura”, cioè senza rapporti definiti
di sesso e generazione. Ne fanno parte le convivenze tra fratelli e
sorelle, consanguinei senza vincoli di generazione, coloro che vivono
da soli;
b) i gruppi domestici “semplici”, composti sia da genitori con figli,che
da un genitore con i figli, alla coppia senza figli;
c) gruppi domestici “estesi” (o modello mediterraneo) , composti oltre
dalla famiglia semplice, da parenti ascendenti (nonni), discendenti
(nipoti), collaterali (sorella..);
d) gruppi domestici “multipli” , più nuclei coniugali, che si articolano
ulteriormente lungo l'asse generazionale che intercorre tra i diversi
nuclei, ad esempio famiglie a ceppo dove il tipo di legame prevede
che la coppia di anziani genitori viva con l'erede; o dove tutti i fratelli
e le loro famiglie vivono nella stessa casa, etc.
A Laslett è stato contestato il procedimento di isolare i dati statistici
dall'ambiente socioeconomico e politico finendo con il considerarli come
"fatti sociali" significativi di per sé; inoltre è stata ritenuta insoddisfacente
una classificazione di tipo geografico poiché all'interno della stessa area
possono essere individuati modelli diversi di famiglia, come vedremo più
avanti.
Sono enormi i passi avanti fatti dal Gruppo di Cambridge in poi negli studi
sulla famiglia, e presi nel loro complesso hanno portato alla conoscenza di
1 C.Saraceno, M. Naldini, Sociologia della famiglia, pag 17
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vari meccanismi sociali in età moderna e contemporanea, ma restano ancora
molti nodi irrisolti, legati all'ambiguità della nozione stessa di famiglia. Gli
storici la considerano infatti dall'esterno, come una delle istituzioni della vita
sociale, in una prospettiva di storia della società; o dall'interno, come un
microcosmo dove l'accento dell'analisi cade sul ruolo delle sue singole
componenti e sui loro rapporti reciproci.
E' a partire dagli anni Cinquanta che possiamo notare un grande sviluppo nel
movimento di studi per la costruzione di una “teoria sociologica della
famiglia”. La storia di questo movimento è assai complesso e cercherò di
farne una breve sintesi.
Negli anni Cinquanta, vari autori hanno tentato di fornire delle classificazioni
sistematiche degli approcci sociologici allo studio della famiglia2. Il tentativo
più famoso è quello di Reuben Hill e Donald Hansen, che hanno distinto
cinque differenti approcci: istituzionale, struttural-funzionalista,
interazionista, situazionale e dello sviluppo. Nel corso degli anni Sessanta,
studiosi appartenenti a discipline al confine con la sociologia, hanno proposto
altri approcci, come quello socio-antropologico, psicoanalitico e quello
economico. Sono più recenti, invece, gli approcci avanzati da J. Sprey che ha
proposto quello ermeneutico, della teoria critica e quello femminista. In
realtà, fu proprio questa moltiplicazione di approcci a mostrare i limiti di una
strategia scientifica che non fa avanzare la teoria, ma risulta solo come una
operazione di ricognizione della varietà dei modi di analizzare la famiglia. E'
comunque utile avere presente una classificazione degli approcci
specificatamente sociologici. Va sottolineato, inoltre, che tali approcci non
sono alternativi ma complementari, e di fatto molto spesso li troviamo
combinati tra loro.
Il primo a comparire fu l'approccio istituzionale che considera la famiglia
essenzialmente come “istituzione sociale”, cioè come un gruppo sociale che
deve avere una precisa strutturazione normativa pubblicamente sanzionata. In
generale ciò che contraddistingue questo approccio è un modo di intendere la
2 P. Donati, Manuale di sociologia della famiglia, pag 50
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famiglia come “cellula della società”, quindi come una micro-società che
riproduce al suo interno le fondamenta della macro-società. La famiglia,
quindi, è un organismo culturale vivente che si evolve adattandosi
all'ambiente che la circonda. E' un'istituzione che, sebbene creata dalla
società, risponde a bisogni naturali; quindi istituzione in quanto la società
stabilisce precise regole e pratiche comportamentali, con le relative sanzioni
positive e negative, attraverso le quali controlla l'associarsi dei sessi e
sanziona la riproduzione e la socializzazione delle nuove generazioni. In
sostanza, chi condivide l'approccio istituzionale ritiene che la famiglia sia la
forma sociale di base del processo di civilizzazione umana.
Altra caratteristica di questo approccio è quello di mettere in evidenza il
carattere multifunzionale della famiglia, ovvero che deve far fronte in modo
inevitabile a una serie di compiti, come quelli affettivi o di socializzazione;
poiché la famiglia coinvolge di fatto la totalità della persona umana nelle sue
interazioni di vita quotidiana, le relazioni familiari toccano, almeno in via
potenziale, tutte le dimensioni esistenziali fuori della famiglia. Rimane
comunque un' istituzione auto-sufficiente, il che corrisponde spesso a
tipologie limitate, ed in particolare tradizionali come quella della famiglia
agricola isolata nella società feudale; ma è anche un sistema auto-normativo,
ovvero che ha la tendenza a generare da sé le proprie strutture relazionali.
L' approccio struttural-funzionalista, che si diffuse a partire dagli anni
Cinquanta, si differenzia dal precedente principalmente perché l'unità di
analisi non è “l'istituzione”, ma il “sistema sociale famiglia”, concepito come
struttura di status-ruoli che devono svolgere funzioni specializzate; il
comportamento familiare non è visto come una manifestazione di bisogni
naturali ma come risposta a un insieme di aspettative connesse alla posizione
che i vari membri occupano nel sistema dei ruoli familiari. Pur non negando
il carattere di istituzione sociale della famiglia, esso osserva la rete di
relazioni che tiene insieme i membri della famiglia come il prodotto di
“aspettative normative partecipate”, socialmente condizionate. Questa
caratteristica è in qualche modo il corollario dell'assunzione secondo cui la
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famiglia è un sistema sociale, che deve connettersi funzionalmente a tutti gli
altri sistemi presenti nella società3. La famiglia è vista attraverso dei modelli,
che a loro volta si riferiscono a un tipo-base molto semplice, quello della
famiglia nucleare parsoniana. Questa era ordinata gerarchicamente in base
all'età e differenziata orizzontalmente per sesso nei compiti. Questo modello,
anche se a prima vista può apparire scontato, in realtà si basa su una
posizione abbastanza rigida occupata dai singoli membri. Ciò implica che la
struttura complessiva della famiglia possa esistere solo a patto di presupporre
una determinata serie di condizioni. La prima condizione essenziale è la
presenza di un comune sistema normativo, che definisca i fini della famiglia
e la colleghi con altri sotto-sistemi sociali. Ovvero, questo approccio suppone
che l'integrazione familiare si basi sulla partecipazione e condivisione dei
valori dominanti nella società. Questi valori devono essere costantemente
rinforzati attraverso un sistema di scambio con altri sotto-sistemi, in modo da
favorire un buon funzionamento al sistema societario.
Come seconda condizione la famiglia, per far fronte alle esigenze adattive
poste dall'ambiente esterno, deve suddividere il lavoro fra uomo e donna,
supponendo che il ruolo del leader strumentale appartenga all'uomo, e quello
di leader espressivo alla donna.
Il terzo approccio, quello dello scambio, ritiene che la solidarietà familiare
non può essere basata su una conformità dei ruoli e sul consenso a valori
ultimi. Conformità e consenso non possono spiegare come si possa
mantenere la coesione, o unità familiare, di fronte a tensioni e conflitti che
sorgono durante i processi di adattamento più complessi. Quindi tale
approccio ritiene che le strutture familiari e parentali vadano essenzialmente
comprese come espressione di forme ristrette, o allargate, di scambio sociale.
Vi sono due maggiori tradizioni riguardo la teoria dello scambio. La prima,
quella francese, mette in rilievo gli aspetti collettivi e simbolici dello
scambio, che assume essenzialmente la caratteristica del dono nelle reti
familiari e parentali. L'altra, quella nord-americana, ritiene che il
3 P. Donati, Manuale di sociologia della famiglia, pag. 60
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comportamento dell'uomo, anche all'interno della famiglia, vada compreso in
relazione ai bisogni primari e ai processi sociali messi in atto per soddisfarli
attraverso scambi basati sulla reciproca utilità dei partecipanti. Siamo davanti
a due differenti visioni della famiglia, dove nella prima nasce dallo scambio
come espressione di esigenze strutturali e collettive della società, nella
seconda il comportamento familiare deve essere analizzato come un agire
volto alla ricerca di ricompense prevalentemente individuali e strumentali.
Ma, in entrambi i casi, la vita familiare, tanto nelle sue premesse quanto nelle
sue attualizzazioni, viene considerata come uno scambio complesso di attività
mutualmente ricompensanti, in cui ogni membro è tenuto ad accettare un
beneficio se e nella misura in cui è disposto a contraccambiarlo verso un
altro. In breve, le norme morali familiari vengono indotte dalle azioni che i
membri attuano come contraccambio di benefici ricevuti, ma anche come
modo per ottenere possibili gratificazioni future.
L'importanza dell'approccio marxista è certamente più storica che teorica,
ha avuto molta influenza politica nell'ultimo secolo, ma scientificamente
debole. La famiglia, intesa come istituzione sociale monogamica, sarebbe
nata con la proprietà privata dei mezzi di produzione, e avrebbe trovato nello
Stato il suo garante, così da diventare la base su cui si fonda la
disuguaglianza sociale, intesa come sfruttamento delle classi sociali più
deboli da parte di quelle più forti, e contemporaneamente uno sfruttamento
della donna e dei figli da parte dell'uomo di casa.
Dal punto di vista concettuale4, Marx, ritiene che la famiglia nasca e
stabilisca le sue varie forme di solidarietà interna sulla base dei diversi tipi di
divisione sociale del lavoro susseguitesi nella storia, i quali si sovrappongono
alla divisione originaria del lavoro, ovvero quella fondata sulla differenza
biologica dei sessi. Il nucleo centrale di questa teoria sostiene che la famiglia
rifletta sempre in se stessa il modo di produzione dominante che si afferma in
una data società posta in una determinata area geografico-culturale.
L' approccio della teoria critica è legato alla nascita e allo sviluppo della
4 P. Donati, Manuale di sociologia della famiglia, pag 67
12
cosiddetta Scuola di Francoforte. Il nocciolo di questa teoria sta nel vedere la
famiglia come una forma sociale ambivalente, ovvero da un lato è funzionale
all'ordine socio-culturale e dall'altro è necessaria alla maturazione
dell'individuo. E' considerata necessaria per alcune funzioni primarie, come
la socializzazione dei bambini, ma è negativa per gli effetti di conservazione
naturale, di autoritarismo e disuguaglianza sociale. Questo approccio si rifà a
quello marxista, ma con alcune differenze tra cui una maggiore attenzione ai
fattori psicologici e culturali.
La famiglia è soggetta a una duplice dinamica storica, da una parte la
crescente socializzazione tende a comprimere e negare l'elemento
dell'ordinamento familiare, visto dalla società come irrazionale e naturalespontaneo.
Dall'altra, lo squilibrio tra l'individuo e le potenze totalitarie delle
società si acuisce in modo tale da indurre il primo a cercare una sorta di
riparo ritraendosi in micro-associazioni, come appunto la famiglia, la cui
persistenza autonoma appare inconciliabile con lo sviluppo generale5. La
Scuola di Francoforte esprime, più delle altre, la coscienza della “tragedia”
che la famiglia deve affrontare nella società moderna, la quale la esalta e la
combatte allo stesso tempo. La esalta nel momento in cui in essa vivono
motivi di solidarietà ed altruismo, la combatte quando in essa vede quelle
spinte conservatrici e repressive che sono alla base dei rapporti di autorità e
disuguaglianza sociale.
Altro approccio è quello ermeneutico-fenomenologico che pone l'accento
sugli elementi significativi e intenzionali, quindi soggettivi e intersoggettivi,
della famiglia. Viene enfatizzato il fatto che dire famiglia significa evocare
un mondo simbolico che richiede una data interpretazione. Questo approccio
non parte da una data definizione rigida di famiglia, anzi fa in modo che
questa venga fuori dai mondi di vita quotidiana delle persone, dove si crea
attraverso relazioni interpersonali, linguaggi e immagini codificate e
decodificate in base agli attori, conversazioni che producono uno specifico
“discorso familiare” il quale necessita di una interpretazione, sia da parte
5 P. Donati, Manuale di sociologia della famiglia, pag 71
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degli attori che degli osservatori. La famiglia è oggetto di una conoscenza
sempre altamente soggettiva, e intersoggettiva, che si costruisce proprio in
questa realtà che sta fra i soggetti agenti, e attraverso di essa. Quindi non
risulta essere tanto un insieme di legami o vincoli sociali, collettivamente
definiti, quanto piuttosto un modo di annettere un significato alle relazioni
interpersonali.
Per questo approccio la famiglia è un “progetto” interpretativo che si fa
attraverso le parole, cioè attraverso una pratica descrittiva che genera un
discorso da cui prende forma una organizzazione che costituisce quello che
noi intendiamo come vita familiare. I limiti di tale approccio risiedono nel
rischio di un eccessivo soggettivismo, mentre i vantaggi stanno nel mettere in
rilievo che la famiglia umana è tale perché è significativa per i soggetti
coinvolti6.
L' approccio interazionista considera la famiglia come unità di persone
interagenti, senza riguardo ai vincoli legali, considerati solo come vincoli
dovuti a una determinata situazione, di cui gli attori devono tenere conto. Qui
la famiglia si costituisce su una identità che è costruzione simbolica del sé
attraverso l'altro. La vita familiare viene osservata non in base ai rapporti con
le altre sfere sociali, ma da un punto di vista dell'adattamento reciproco e
della soddisfazione degli individui coinvolti. Tra i primi contributi specifici
di applicazione di questa teoria, possiamo trovare quello di H. Locke e E.
Burgess. La tesi centrale è che la famiglia, nel corso del processo di
modernizzazione, si trasformi da istituzione, intesa come modello di vita
controllato dal costume, dall'opinione pubblica e dalla legge, in una
“comunità di amicizia”, intesa come modello di vita basato su comportamenti
che nascono dal mutuo affetto e dal consenso generato giorno per giorno. Si
suppone che in tale modello la divisione del lavoro sia totalmente ugualitaria,
spontanea e flessibile. I vantaggi di tale approccio stanno nel mettere in
risalto come i modi di vita che emergono siano il prodotto della reciproca
interazione fra attori-agenti, che condividono un sistema simbolico nel quale
6 P. Donati, Manuale di sociologia della famiglia, pag 74
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giace l'identità culturale della famiglia. Gli svantaggi invece possono essere
sintetizzati in tre punti:
• a) questo approccio da un contributo minimo al chiarimento dei
processi di cambiamento macrostrutturali della famiglia, infatti
ponendo l'accento sui fattori soggettivi, tralascia quelli strutturali;
• b) far dipendere l'esistenza della famiglia da una costante interazione
“soddisfacente” rivela l'influenza di una “corrente della felicità”
familiare e di coppia che ha influenzato e influenza tuttora gli studiosi
di questo approccio;
• c) si può notare un uso generalistico di concetti e metodi di indagine
che non è esente da rischi.
L' approccio dello sviluppo nasce precisamente per lo studio della famiglia,
e nella sua formulazione originaria risulta fondamentalmente eclettico, in
quanto incorpora molte categorie di analisi usate dagli altri approcci, fra loro
distanti, ritenendole compatibili, e anzi cercando di collocarle nello stesso
frame concettuale7. Lo scopo è quello di mostrare come le configurazioni
della famiglia si modifichino nel tempo a seconda della fase di vita in cui si
trova. La classificazione del ciclo di vita è variabile, sia per numero che per
struttura; la più usata è la seguente: 1) coppia pre-coniugale; 2) coppia
coniugale senza figli; 3) coppia con figli piccoli; 4) coppia con fili adulti ma
conviventi con i genitori; 5) coppia adulta-anziana con figli usciti di casa.
I bisogni e i compiti si sviluppano in modo diverso in ognuna di queste fasi,
come ad esempio il tempo dedicato al partner è maggiore nella prima e
ultima fase e nettamente inferiore nella terza.
Ciò che caratterizza questo approccio è l'applicazione di due concetti. Il
primo è quello di ciclo di vita familiare, il secondo è quello di compito di
sviluppo, che vuole sottolineare il fatto che esista una storia evolutiva della
famiglia, la quale presuppone che i suoi componenti abbiano affrontato
determinati compiti e continuino a farlo. Il sistema famiglia è un sistema
adattivo complesso, semi-aperto che contempla un certo grado di adattamento
7 P. Donati, Manuale di sociologia della famiglia, pag 79
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e cambiamento delle strutture interne nel corso della sua esistenza.
Il concetto principale è quello di tempo familiare, ovvero la sequenza di stadi
e fasi determinati internamente dalle domande dei singoli membri, come
bisogni biologici, ed esternamente dalla più vasta società, come le aspettative
sociali. Tale concetto si riferisce al processo di differenziazione e
trasformazione strutturale che avviene nel corso di vita della famiglia, ovvero
all'acquisizione attiva e all'abbandono selettivo dei ruoli da parte dei singoli
membri che occupano le varie posizioni, cercando di soddisfare i mutevoli
requisiti funzionali della sopravvivenza e cercando di adattarsi allo “stress”
insito nel sistema-famiglia. In sintesi, la famiglia per essere funzionante deve
far fronte a quattro requisiti fondamentali: interdipendenza dei membri,
mantenimento selettivo dei confini, capacità di adattarsi al cambiamento e
competenza nell'espletare i propri compiti di ruolo. Questo è un principio di
massima adattabilità che si basa :
• a) sul fatto che il sistema-famiglia è un insieme interdipendente di
relazioni complesse, con alti livelli di comunicazione e interazione tra
i membri e gli altri sotto-insiemi, con un organizzazione flessibile e
una considerevole capacità di elaborare regole nel tempo;
• b) ogni attività familiare viene vista come lavoro, o “compito di
sviluppo”.
La famiglia studiata in questa maniera non appare più come qualcosa di
uniforme o come modello standardizzato nel corso della vita; piuttosto si
presenta come un compito di sviluppo diverso in ogni istante della sua vita.
Il contributo di questo approccio è quello di mostrare come la famiglia sia
concretamente fatta di compiti e situazioni che sovrastano i suoi membri, e
quindi dei comportamenti che essi mettono in atto per risolverli, sia
individualmente che relazionalmente. Tale approccio è utile, perciò, per
descrivere quali siano gli esiti e le conseguenze del ciclo di vita sui singoli
membri, sia nel gruppo domestico che nella società.
Una delle maggiori mancanze da parte degli autori classici è stata quella di
non avere considerato la distinzione maschile/femminile nelle analisi delle
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