Aspetti organizzativi in Maxiemergenze: il Triage Abstract Il

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Aspetti organizzativi in Maxiemergenze: il Triage
Pier Carlo Scarone*, Aldo Tua**, Roberta Marino***, Roberta Petrino****
*SSvD Medicina e Chirurgia d’Accettazione e d’Urgenza, Ospedale Sant’Andrea Vercelli ASL VC
Abstract
Mass casualty is defined as the condition in which there is a mismatch between requirements and resources available.
By organizational perspective, the critical issue is the rational use of available resources, in order to ensure the best treatment to the victims: the triage procedure is one of the main factors involved in this process.
Mass casualty triage shows peculiar aspects related to the need of having to quickly and adequately assist the
largest number of casualties.
In Italy a law was enacted in 2007 to obtain uniformity of behavior : in particular , it pointed out features of the
Mass Casualty Card.
In the article we analyze Mass Casualty Card developed from Italian NGO ARES in collaboration with the Italian Civil
Protection and used in numerous international relief missions , as part of the European Civil Protection Mechanism .
It shows two schemes of triage: START triage, used at the site and SMART triage , used in field hospitals (AMP level I and II , LFH ) .
We describe also the triage CESIRA used by Italian Red Cross.
Keywords: Mass casualty; triage; Disaster Medicine; START triage; SMART triage
Il triage nella storia
La parola triage deriva dal francese “trier” che significa smistare. La prima descrizione dell’applicazione di una
selezione dei pazienti risale alle guerre napoleoniche, quando il capo chirurgo dell’ospedale da campo dell’armata francese, il barone Jean Dominique Larrey, organizzò i primi soccorsi ai soldati feriti sul campo scegliendo di
soccorrere per primi quelli che avevano subito lesioni meno gravi ed erano, quindi, più rapidamente recuperabili
per la battaglia. Nelle epoche successive la pratica del triage si diffuse inizialmente in ambito militare, con caratteristiche sempre più evolute e perfezionate, e in un secondo momento anche in ambito civile.
La Maxiemergenza
La maxiemergenza in senso stretto può essere definita come la condizione nella quale le necessità dei pazienti
eccedono la possibilità del sistema sanitario di soddisfarle: si verifica pertanto un mismatch tra le richieste ed i
mezzi a disposizione.
La definizione citata non fa rifermento ad uno squilibrio in senso assoluto, ma contestualizzato in una determinata
realtà: ecco dunque che l’evento considerato maxiemergenziale in un ambito rurale non è necessariamente tale in
un ambiente urbano, ove le possibilità di prestare soccorso sono nettamente maggiori.
Dal punto di vista organizzativo, l’aspetto più arduo per tutti i sistemi di soccorso è quello di utilizzare nel modo
più razionale le risorse disponibili, con il fine ultimo di assicurare il miglior trattamento possibile alle vittime.
Non si tratta sicuramente di un compito semplice: molti sono infatti i fattori in gioco, nel cui novero, senza tema di
smentita, possiamo collocare il Triage.
Superando la mera definizione semantica, possiamo dire che il Triage rappresenta, in definitiva, uno dei momenti
fondamentali in cui avviene l’allocazione razionale delle risorse (1-2): nel nostro caso, con la finalità di effettuare
una rapida valutazione dei pazienti per stabilire il livello di trattamento più appropriato per ciascuno.
Il triage in Maxiemergenza
Analizzato dal punto di vista metodologico, il triage in maxiemergenza presenta quindi aspetti radicalmente differenti rispetto alla prassi quotidiana.
In condizioni ordinarie, la funzione del triage è quella di stabilire le priorità di accesso al trattamento, in modo
particolare quando è richiesto l’utilizzo di metodiche diagnostico-terapeutiche avanzate e costose. In un questo
contesto, le decisioni sono prese da personale esperto e qualificato, in possesso di tutte le informazioni disponibili
e, entro certi limiti, esente dalla pressione del “fattore tempo”.
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In maxiemergenza, al contrario, il processo decisionale è posto in capo a soggetti spesso non adeguatamente
preparati, in possesso di scarne informazioni e soggetti alla terribile pressione psicologica rappresentata dalla
necessità di dover soccorrere adeguatamente e rapidamente il maggior numero possibile di vittime.
È pertanto fondamentale comprendere il diverso processo decisionale richiesto dal triage di maxiemergenza, che
lo differenzia in modo sostanziale dagli altri triage, anche da quello che viene effettuato in caso di eventi con
numero elevato di vittime, ma risorse sufficienti ed integrità delle infrastrutture sanitarie e di trasporto.
In queste ultime circostanze, in cui la catena dei soccorsi è fondamentalmente intatta, gli operatori si concentrano
sull’individuazione del paziente che ha necessità impellenti rispetto a quello che può invece aspettare prima di
essere trattato, senza che l’attesa gli arrechi danno.
Quando le risorse sono invece insufficienti, come in maxiemergenza, è necessario modificare in modo radicale
l’approccio, spostandosi dalla Medicina dell’individuo alla Medicina della comunità e fornendo le migliori cure
possibili non più al singolo paziente, ma alla popolazione nella sua globalità. In altri termini, il fine del Sistema
di soccorso diventa trattare, compatibilmente con la disponibilità di risorse, il maggior numero possibile di vittime.
Una simile prospettiva comporta necessariamente la definizione di procedure atte a riconoscere quegli individui
che, per le lesioni subite, hanno una bassissima probabilità di sopravvivere e che non saranno sottoposti ad alcuna
procedura terapeutica avanzata.
Da qui la richiesta di una metodica di triage semplice non solo da imparare, ma anche da insegnare (3-4).
Il triage di maxiemergenza ideale si trova, quindi, a dover soddisfare alcuni requisiti fondamentali:
• Dinamicità: la rivalutazione deve essere possibile in ogni momento (in relazione ai mutamenti nelle condizioni
del paziente, eventualmente indotti dal trattamento prestato) e ad ogni livello (sulla scena, nella struttura campale, in ospedale). Ciò implica, tra l’altro, accettare che allo stesso paziente possano essere attribuiti codici di
priorità differenti nei diversi livelli della catena di soccorso.
• Standardizzazione: consente di superare le differenze nel livello di competenza degli operatori, permettendone l’utilizzo in momenti in cui le competenze avanzate che sarebbero necessarie non sono disponibili.
• Chiarezza: i criteri di attribuzione dei codici devono essere chiaramente definiti e facilmente richiamabili da
parte di tutti gli operatori: in altre parole, tutti devono parlare lo stesso linguaggio. Inoltre il codice di priorità
assegnato deve essere ben evidente sul paziente.
La realtà italiana
La Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 dicembre 2007, “Procedura e modulistica del triage sanitario nelle catastrofi”, pubblicata sulla GU 17 aprile 2008, n. 91 (5), tenta una sistematizzazione della materia al
fine di ottenere un’uniformità di comportamenti.
In particolare, vi si afferma che «l’analisi del processo di triage rappresenta la metodologia di approccio più
corretta per la costruzione dello strumento di lavoro, poiché consente di individuare necessità concrete a cui rispondere con soluzioni idonee a soddisfare le esigenze operative dei soccorritori. In situazioni ambientali spesso
critiche, caratterizzate da scarsi mezzi ed elevatissima componente di stress, ogni strumento di lavoro deve essere
progettato in funzione della sua reale possibilità di impiego per non aggiungere agli operatori ulteriori elementi
di criticità».
In questo senso e riguardo ad un «evento catastrofico che travalica le potenzialità di risposta delle strutture locali» vengono indicati due tipologie di scenari: uno «scenario incidentale non pianificato» (data e luogo ignoti,
patologia prevalente non prevedibile, possibile difficoltà nel raggiungere l’area di interesse, possibili problemi di
sicurezza) e uno «scenario pianificato» per i grandi eventi dove l’evento, in data e luogo noti, è «preceduto da
una fase di pianificazione che consente di prevedere con considerevole precisione quante e quali risorse umane e
materiali siano necessarie e, quindi, di procedere ad una selezione mirata del personale e assegnazione precisa
di ruoli e compiti».
In questo secondo caso la «documentazione affidata al personale di primo intervento può tener conto del suo
livello di capacità professionale e della tipologia di informazioni che dovranno essere raccolte sul posto” (Fig. 1).
Secondo la tipologia di scenario, e «quindi sulla base delle diverse modalità operative e conseguenti differenti
esigenze di triage», si porrebbe dunque la necessità di «separare gli algoritmi e la modulistica da utilizzare».
Tuttavia – precisa la direttiva – bisogna tener conto che «lo scenario pianificato per i grandi eventi può trasformarsi in scenario incidentale imprevisto» ed è importante «armonizzare gli strumenti con l’operatività quotidiana in
modo da facilitare l’intero processo, compresa la compilazione della modulistica».
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Inoltre è necessario considerare che «in caso di maxiemergenza, nella prima fase
dei soccorsi è presente, quale risorsa aggiuntiva, anche personale non sanitario» e le
procedure e i materiali da utilizzare nelle fasi di triage «devono tener conto di ciò per
non imporre protocolli e modulistiche di difficile comprensione da parte di soccorritori
con minori competenze professionali sanitarie».
La scheda sanitaria di maxiemergenza dovrà quindi essere «versatile e permettere di
segnalare le condizioni del paziente anche in eventi eccezionali come quelli di tipo
NBCR (nucleare, biologico, chimico e radiologico)».
In caso di maxiemergenza le operazioni di soccorso fino al PMA si realizzano attraverso tre fasi fondamentali:
• «nella prima fase la squadra di soccorso esegue il triage delle vittime con l’attribuzione di codici-colore di gravità utilizzando algoritmi semplici e veloci (Gazzetta
Ufficiale 12 maggio 2001, n. 109)»;
• «nella seconda fase si realizzano le prime operazioni di stabilizzazione dei parametri vitali, di solito in un punto di raccolta prossimo al focolaio incidentale, in
attesa che il PMA venga installato»;
• «nella terza fase, giunti nel PMA, si eseguirà una rivalutazione del triage per verificare la congruità del codice-colore preventivamente assegnato, le informazioni
cliniche iniziali verranno integrate in maniera sistematica e verranno effettuate e
Figura 1. Cartellino
registrate le procedure diagnostico-terapeutiche erogate».
Si ribadisce che uno strumento operativo molto efficace è proprio la scheda triage, (tag) di triage extra-ospe«eventualmente integrata da dispositivi di diversa tipologia (quali braccialetto, cartel- daliero
lino colore, ecc.), di rapida applicazione da parte di personale anche
non sanitario e particolarmente pratici soprattutto se utilizzati sul “cantiere” ed in condizioni meteorologiche avverse» (Fig. 2).
Le caratteristiche della scheda e dei dispositivi devono rispondere a
«criteri di:
• facile visibilità;
• facilità di applicazione;
• tracciabilità del percorso della vittima, possibilmente attraverso codici prenumerati;
• conoscenza e condivisione, almeno a livello regionale, da parte de- Figura 2. Nastri delimitazione aree
triage extra-ospedaliero
gli operatori dell’emergenza, sia sanitari che laici;
• resistenza ad eventi atmosferici e potenziali agenti lesivi;
• disponibilità in quantitativi adeguati su tutti i mezzi di soccorso».
La tipologia ed il dettaglio dei dati da indicare nella scheda sono:
sezione anagrafica con nome, cognome, età, sesso, indicazione della sede di recupero, dati cronologici dell’evento, codice colore di gravità. «Un sistema di identificazione, anche di tipo numerico, è utile soprattutto in caso di
difficoltà nella compilazione dei dati anagrafici»;
sezione clinica con dati parametrici di valutazione e trattamento. È inoltre «fondamentale indicare la possibile
evoluzione del codice colore e le procedure (rianimazione, decontaminazione, ecc.) eventualmente eseguite»;
sezione evacuazione con i «dati relativi al trasporto verso l’ospedale di destinazione, mezzo utilizzato, dati cronologici, dati identificativi degli operatori».
Le schede di triage attualmente in uso sono numerose: per gli scopi di questa trattazione prendiamo in considerazione la Scheda sviluppata dall’ARES Italia in collaborazione con la Protezione Civile della Regione Marche (6),
in quanto viene utilizzata in numerose missioni internazionali di soccorso, nell’ambito del Meccanismo Europeo
di Protezione Civile (Fig. 3).
In essa sono riportati due schemi di triage: il triage START, utilizzato sul luogo dell’evento ed il triage SMART,
utilizzato nelle strutture campali (PMA di I e II livello, LFH).
Per completezza di informazione, descriviamo anche il triage CESIRA, ampiamente diffuso in quanto utilizzato
dalla CRI nei suoi corsi di formazione.
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Figura 3. Scheda di Maxiemergenza (da Andraghetti D. La gestione del paziente nel P.E.I.M.A.F.: la Scheda
Sanitaria ed I Percorsi)
Il triage START
Acronimo di Simple Triage And Rapid Treatment, rappresenta l’algoritmo più usato nella gestione delle maxiemergenze (7-9). È stato sviluppato nel 1983 nella Contea di Orange (California, USA) dal Newport Beach Fire and
Marine Dept. facente capo all’Hoag Memorial Hospital, basandosi sui criteri del triage NATO.
È concepito in modo tale da consentire al soccorritore, che non deve essere necessariamente un professionista
sanitario, di effettuare una valutazione della vittima in circa 1 minuto, rilevando parametri fisiologici senza dover
utilizzare alcun tipo di strumentazione, fino ad arrivare alla classificazione in quattro gruppi, identificati da codici
colore.
Nella sede dell’evento, la procedura inizia invitando tutti coloro che possono camminare a recarsi in un luogo
identificato come sicuro: a tutte queste persone verrà attribuito un codice a bassa gravità (verde).
La valutazione delle vittime rimanenti procede in modo sistematico prendendo in considerazione la frequenza
respiratoria, la frequenza cardiaca e lo stato mentale. I pazienti privi di attività respiratoria spontanea vengono
assistiti unicamente con manovre elementari di apertura delle vie aeree: se rimangono apnoici vengono codificati
come blu/nero ed abbandonati. I pazienti con frequenza cardiaca superiore a 30 bpm, assenza di polso radiale
o incapacità ad eseguire ordini semplici vengono codificati come rossi. I pazienti rimanenti sono codificati come
gialli (Fig. 4).
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L’algoritmo è stato modificato in alcune realtà, ad es. in
Israele, con l’introduzione di altri codici colore per affinarne la sensibilità.
Il protocollo START consente due sole procedure operative:
l’emostasi per compressione di emorragie esterne, preferibilmente eseguita da astanti, e la già citata apertura delle
vie aeree.
È stato ampiamente utilizzato in eventi di maxiemergenza: tra i più recenti, le esplosioni alla maratona di Boston
dell’aprile 2013.
Il triage SMART
Acronimo di Simple Method for Advanced and Rapid Triage, lo SMART è un algoritmo più raffinato, che valuta i pazienti facendo riferimento all’ABCDE dell’ATLS e richiede
l’utilizzo di un unico dispositivo: il saturimetro. È concepito
per essere applicato da personale sanitario, preferibilmente in una struttura ospedaliera.
Il paziente riparte dalla condizione di codice verde, qua- Figura 4. Triage START (da Andraghetti D. La gelunque sia il suo codice di arrivo in ospedale: il triage stione del paziente nel P.E.I.M.A.F.: la Scheda Sanitaria ed I Percorsi)
SMART procede poi lungo cinque passaggi:
1. Valutazione rapida delle condizioni che comportano un
immediato rischio di vita:
A) Ostruzione delle vie aeree;
B) Assenza di respiro;
C) Assenza di polso periferico.
La presenza di uno di questi segni codifica il paziente come rosso avanzato.
Questa condizione richiede un trattamento di stabilizzazione immediato, rappresentato da:
disostruzione delle vie aeree, aspirazione di materiale, introduzione di cannula oro faringea, somministrazione
di ossigeno, ventilazione assistita, tamponamento di ferite e applicazione di laccio emostatico.
2. Se il paziente non è rosso avanzato, viene indagata la respirazione.
Se non si riscontra dispnea il paziente continua il suo percorso di Triage rimanendo verde.
Se è presente dispnea (FR < 8 o > 30) il paziente diviene codice giallo e viene applicato un saturimetro: se la
saturazione periferica è pari o superiore al 90% viene confermato il codice giallo e si continua la valutazione;
se invece la saturimetria evidenzia valori inferiori al 90% il paziente passa in codice rosso, che interrompe il
triage.
3. Nel terzo passaggio si valuta la circolazione.
Se il paziente in codice verde al passaggio 1 ha polso periferico compreso tra 40 e 130 bpm continua il suo
percorso di Triage rimanendo verde.
Se il paziente in codice giallo al passaggio 1 ha polso periferico compreso tra 40 e 130 bpm continua il suo
percorso di triage rimanendo giallo.
Se il paziente ha polso periferico < 40 o > 130 bpm passa in codice rosso, che interrompe il triage.
4. Il quarto passaggio consiste nella valutazione neurologica.
Dalla letteratura risulta che la maggior sensibilità in questo dato è fornita dalla sola valutazione motoria del
GCS (GCS-M) (10).
Se il paziente in codice verde al passaggio 2 ha GCS-M di 6 rimane verde e continua il triage.
Se il paziente in codice verde al passaggio 2 ha GCS-M di 5 diventa codice giallo e continua il triage.
Se il paziente in codice giallo al passaggio 2 ha GCS-M di 6 o 5 rimane giallo e continua il suo percorso di
triage.
Se il paziente ha GCS-M <5 passa in codice rosso, che interrompe il triage.
A questo punto sia i pazienti con codice rosso che quelli con codice giallo finiscono la loro valutazione.
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Figura 5. Triage SMART (da Andraghetti D.
La gestione del paziente nel P.E.I.M.A.F.: la
Scheda Sanitaria ed I Percorsi)
5. Se il paziente è rimasto verde anche dopo il passaggio precedente, viene eseguita un’ultima valutazione che
permette al paziente di trasformarsi in codice giallo se presenta dolore toracico-addominale importante o gravi
alterazioni anatomiche e/o funzionali, che comunque non sono state in grado di alterare i parametri vitali
precedentemente considerati.
Quest’ultimo passaggio aumenta la sensibilità del
sistema alle problematiche internistiche, che rappresentano una delle carenze dei sistemi di triage
in maxiemergenza maggiormente tarate a livello
traumatologico.
La negatività di tali riscontri lascia il paziente in
codice verde (Fig. 5)
Il protocollo CESIRA
Acronimo di Coscienza, Emorragia, Shock, Insufficienza respiratoria, Rotture, Altro, è stato sviluppato
nel 1990, derivandolo dal triage START, dall’Associazione Italiana Medicina delle Catastrofi e destinato
a squadre di soccorritori prive di personale sanitario
professionista. Contempla tre categorie principali,
corrispondenti ai codici colore rosso, giallo e verde.
Attraverso una valutazione articolata in sette semplici
domande, si arriva alla definizione del codice da attribuire al paziente (Fig. 6).
Figura 6. Triage CESIRA
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È utilizzato dalla CRI nei suoi corsi di formazione per Operatori del Soccorso: essendo destinato a personale non
medico, manca un codice per i pz deceduti, in quanto la constatazione della morte per la legislazione italiana è
di esclusiva pertinenza medica.
Pregi del protocollo START:
• ha un grado di sensibilità buono;
• è semplice da imparare e da applicare;
• può essere utilizzato da personale non sanitario.
Limiti del protocollo START:
• tende ad un overtriage dei codici gialli e rossi;
• non è del tutto adeguato in condizioni in cui intercorra del tempo tra l’evento lesivo e le sue manifestazioni
cliniche, ad esempio in incidenti NCBR
• l’attribuzione del codice nero/blu da parte di personale non medico potrebbe esporre al rischio di contenziosi
legali.
Pregi del protocollo SMART
• ha sensibilità e specificità buone;
• è semplice da imparare e da applicare;
• consente una valutazione rapida e sufficientemente accurata dei pazienti anche in contesto ospedaliero, considerando non solo gli aspetti legati alle lesioni traumatiche.
Limiti del protocollo SMART:
• è destinato a personale sanitario;
• richiede l’utilizzo di dispositivi medicali (ad. es. saturimetro).
Pregi del protocollo CESIRA:
• può essere utilizzato da soccorritori non sanitari;
• è di facile apprendimento e memorizzazione;
• è stato utile per introdurre il concetto di triage in maxiemergenza.
Limiti del protocollo CESIRA:
• è molto più approssimativo dello START;
• non contemplando un codice per il paziente non salvabile/deceduto, può ingenerare confusione.
Conclusioni
Come è accaduto per molte altre metodiche, anche il triage è stato ampiamente studiato (11-12). Fin dall’inizio
è emersa la difficoltà di condurre indagini i cui risultati potessero avere una valenza forte in ambito EBM, poiché
disegnare studi randomizzati controllati - o anche semplicemente di tipo comparativo – è obiettivamente molto
problematico (13). Le cose si complicano ulteriormente se si prende in considerazione il triage di maxiemergenza:
ne consegue che, ad oggi, non esiste alcuna prova di alta qualità che ci dica qual è in assoluto il migliore sistema
di triage, come d’altra parte non si trovano neppure evidenze forti che avvalorino l’assunto secondo cui il triage
rappresenta il miglior metodo possibile di utilizzo delle risorse disponibili.
In letteratura si trovano studi mirati all’analisi della correttezza nell’applicazione e dell’efficacia della singola
metodica di triage nell’ambito di una simulazione di evento catastrofico (14), oppure diretti a testare l’adattabilità
dei diversi tipi di triage a particolari eventi. I lavori che riportano performances di triage in eventi reali sono poco
numerosi e di modesta qualità e poche sono anche le analisi retrospettive sulle variazioni nell’outcome finale di
singoli pazienti triagiati con diversi sistemi.
Parte dei concetti che stanno alla base dell’utilizzo del triage, in modo particolare in maxiemergenza, sono quindi
sostanzialmente privi di una validazione e la stessa stratificazione dei pazienti in gruppi operata dal triage non
sempre trova un precisa correlazione con la gravità delle patologie: ciononostante, questi stessi concetti devono
necessariamente essere dati per assodati ed universalmente accettati (15).
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