CORTE COSTITUZIONALE, 21 OTTOBRE 2004, n

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “ROMA TRE”
FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA
Scuola dottorale
Interuniversitaria Internazionale in Diritto europeo
Storia e Sistemi giuridici dell’Europa
ROMA
TRE
TESI DOTTORALE
LA CERTEZZA DEL DIRITTO “COSTITUZIONAL-EUROPEO” NEI COMPLESSI
RAPPORTI TRA GIUDICATO INTERNO E COMUNITARIO
Tutor: Chiar.ma Prof.ssa Luisa Torchia
Dottoranda: Dott.ssa Chiara Di Seri
Com’è possibile fidarsi di un ordinamento di valori che richiede
il continuo rimaneggiamento delle preferenze relative?
Luhmann,
Sociologia del diritto (trad. it., Bari, 1977)
II
INDICE
INTRODUZIONE
1. L’“interpretazione conforme” alle sentenze pregiudiziali……………………………………...1
2. L’ipotesi di lavoro: il superamento dell’intangibilità del giudicato nazionale e gli strumenti
posti a garanzia della certezza del diritto «costituzional-europeo»………….................................2
CAPITOLO I
LA «PREGIUDIZIALE COMUNITARIA»
1. Il ruolo della Corte di giustizia nell’ottica del primato del diritto comunitario: la «pregiudiziale
comunitaria»………………………………………………………………………………………5
2. La responsabilità degli Stati membri per la violazione dell’obbligo di rinvio…......................12
3. La sospensione del processo nazionale in pendenza di «questioni comunitarie»………...…..19
4. La tutela cautelare nei confronti degli atti legislativi in contrasto con il diritto comunitario....23
5. «Pregiudiziale comunitaria», questioni di legittimità costituzionale e “controlimiti”…….......26
6. Il problema dell’efficacia delle sentenze interpretative……………………………………….43
III
CAPITOLO II
L’EFFICACIA NEL TEMPO DELLE SENTENZE PREGIUDIZIALI
1. Le sentenze interpretative come fonti di produzione normativa………………………………46
2. La «diretta applicabilità» delle sentenze della Corte di giustizia nella giurisprudenza
costituzionale………………………………………..…………………………………………...50
3. Il dovere della Corte di conformarsi alle sue precedenti decisioni……………………………57
4. Efficacia retroattiva e potere della Corte di modulare gli effetti delle proprie decisioni……..59
4.1. Irretroattività delle pronunce di annullamento ex art. 231 T.C.E. e salvaguardia dei diritti dei
terzi………………………………………………........................................................................64
4.2. Certezza del diritto e limitazione degli effetti delle pronunce adottate in sede di rinvio
pregiudiziale……………………………………………………………………………………...68
5. Gli effetti delle pronunce di rinvio pregiudiziale sulla validità e sull’interpretazione..............71
CAPITOLO III
L’INCIDENZA DELLE SENTENZE PREGIUDIZIALI SUI RAPPORTI QUESITI
1. Certezza del diritto ed intangibilità del giudicato reso in violazione al diritto
comunitario………………………………………………………………………………………79
2.
L’obbligo
di
riesame
di
atti
amministrativi
“anticomunitari”
coperti
dal
giudicato……………………………………………………………………….............................84
3.
Il
riesame
degli
atti
divenuti
definitivi
per
decorrenza
del
termine
per
impugnare……………………………………………………………………………………......91
IV
4. La sussistenza dell’obbligo di riesame se il ricorrente non ha in precedenza fatto valere la
violazione del diritto comunitario…………………………………………................................100
5. La “presunta” inesistenza dei presupposti di un obbligo di autotutela nell’ordinamento
interno……………………………………………………………..............................................104
6. L’annullamento d’ufficio “doveroso” ed ex lege…………………………………………….112
7.
La
necessità
di
revisione
del
giudicato
in
violazione
delle
sentenze
C.E.D.U…………………………………………………………………………………………122
8. Profili problematici in relazione al “giudicato costituzionale”: la disapplicazione delle
disposizioni “create” dalla Corte costituzionale………………………………………………..129
9. La prevalenza delle sentenze della Corte di giustizia sulle decisioni delle Corti costituzionali
nazionali in materia di diritti fondamentali……………………..................................................139
CAPITOLO IV
VERSO LA DISAPPLICAZIONE DELL’ART. 2909 c.c.
1. Un’ipotesi di assoluta prevalenza del principio di piena efficacia del diritto comunitario sulla
certezza del diritto: il recupero degli aiuti di Stato……………………………………………..143
2. La revoca “fuori termine” dell’atto di concessione dell’aiuto…………………….................151
3.
La
revoca
dell’atto
di
concessione
dell’aiuto
coperto
da
giudicato
nazionale......................................................................................................................................154
4. La vis espansiva del principio di cedevolezza del giudicato nazionale……...........................161
V
5.
L’autorità
della
cosa
giudicata
nei
principali
ordinamenti
giuridici
europei……………………………………………………………………………….................166
5.1. L’ordinamento tedesco………………………………………………….................170
5.2. L’ordinamento francese……………………………………………………………172
5.3. L’ordinamento spagnolo…………………………………………………………...175
5.4. L’ordinamento inglese……………………………………………………………..177
6.
La
«tutela
debole»
del
giudicato
nell’ordinamento
costituzionale
italiano……………………………………………………………………………….................180
7.
La
certezza
del
diritto
quale
“controlimite”:
la
Corte
costituzionale
come
Revisioninstanz………………………………………………………………………………....189
8. Conclusioni…………………………………………………………………………………..193
Bibliografia……………………………………………………………………………………..196
VI
INTRODUZIONE
1. L’“interpretazione conforme” alle sentenze pregiudiziali − «Continuiamo a
proclamarci interpreti della legge e ad elaborare teorie sulla sua interpretazione; ma ci troviamo
di fatto ad operare, sempre più frequentemente, come interpreti della sentenza» 1 .
A distanza di vent’anni, questa acuta presa di coscienza risulta ancora più veritiera e può
essere attualizzata aggiungendo che le sentenze, cui il giurista è sempre più spesso tenuto a
riferirsi, sono quelle del giudice comunitario 2 .
Fin dagli albori del processo di integrazione europea, alla “funzione interpretativa” svolta
dalla Corte di giustizia è stato attribuito un ruolo fondamentale nel raggiungimento dell’obiettivo
di garantire l’uniformità e l’effettività nell’applicazione del diritto europeo da parte degli Stati
membri ed, in particolare, da parte dei loro organi giurisdizionali.
Tale posizione di “privilegio ermeneutico” è garantita mediante il riconoscimento
dell’esclusività delle competenze attribuite alla Corte dal Trattato ex art. 220 T.C.E. e la
previsione di un obbligo, in capo ai giudici nazionali di ultima istanza, di sottoporre alla Corte le
«questioni comunitarie».
Il sistema del rinvio pregiudiziale previsto dall’art. 234 T.C.E. consente, infatti, al giudice
comunitario un controllo sull’interpretazione del diritto comunitario «più incisivo di quello di
una Corte di Cassazione», in quanto, a differenza di quest’ultimo, non è un mezzo di
impugnazione delle sentenze di merito rimesso all’interesse della parte soccombente, ma
costituisce un procedimento incidentale attivabile, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del
giudizio 3 . Analogamente a quanto avviene per le pronunce di un giudice di legittimità, il potere
di interpretare in via pregiudiziale le norme comunitarie, pur non comprendendo anche quello di
pronunziarsi direttamente sulla compatibilità tra norme interne e norme comunitarie 4 , manifesta
tutta la sua incidenza nella necessità per i giudici nazionali di “conformarsi al principio di
diritto” enunciato dalla Corte 5 , disapplicando le norme interne eventualmente configgenti.
1
GALGANO, L’interpretazione del precedente giudiziario, in Contratto ed impresa, 1985, 701.
La moltiplicazione delle fonti normative, a seguito del processo di integrazione europea, ha infatti comportato un incremento
dei poteri dei giudici tale da indurre la dottrina a reimpostare in termini nuovi il tema della giurisprudenza come fonte del diritto.
In argomento si veda ZACCARIA, La giurisprudenza come fonte del diritto. Un’evoluzione storica e teorica, Napoli, 2007.
3
Il rilievo è di SORRENTINO, Profili costituzionali dell’integrazione comunitaria, Torino, 1996, 33.
4
Il ruolo della Corte di giustizia è infatti quello di «fornire al giudice nazionale tutti gli elementi d’interpretazione, che rientrano
nel diritto comunitario, atti a consentirgli di pronunciarsi sulla compatibilità delle norme nazionali con la norma comunitaria»
(Corte di giustizia delle Comunità Europee, 29 giugno 1978, in causa C-154/77, Dechmann).
5
Non solo il giudice di rinvio è vincolato a tener conto dell’interpretazione della Corte di giustizia nella soluzione della causa da
lui composta, ma tutti i giudici chiamati a conoscere della questone.
2
1
L’autorità riconosciuta alle sentenze interpretative sembrerebbe dunque avvicinarsi al
principio dello stare decisis, del precedente obbligatorio con efficacia generale che oltrepassa il
caso di specie, nel senso che l’interpretazione fornita integra il contenuto della norma
comunitaria e condiziona la sua applicazione da parte di qualsiasi giudice nazionale, oltre a far
venir meno l’obbligo di rinvio dei giudici di ultima istanza: «la decisione interpretativa della
Corte di giustizia, svincolata dalla fattispecie che occasionalmente la determina, attribuisce alla
norma un significato autentico di ordine generale, acquistando valore direttivo» 6 .
Con un’immagine suggestiva, il rinvio pregiudiziale è stato quindi rappresentato come una
«finestra aperta sull’ordinamento interno dalla quale la Corte di giustizia controlla
l’interpretazione e l’applicazione del diritto comunitario», finestra che «una volta aperta,
consente alla Corte di vedere e di controllare non solo il diritto comunitario, ma anche il diritto
interno in rapporto ad esso» 7 .
E non solo. L’interpretazione autoritativa fornita dalle sentenze pregiudiziali è stata
gradualmente posta nelle condizioni di influire anche sull’interpretazione e l’attuazione del
diritto interno, stante l’affermazione dell’obbligo di interpretazione conforme al diritto
comunitario e della responsabilità dello Stato per le violazioni del diritto comunitario imputabili
agli organi giurisdizionali.
Al “valore interpretativo” delle pronunce è stato così associato il riconoscimento della loro
valenza normativa di ius superveniens retroattivo di origine giurisprudenziale.
Tale conclusione, calata in ordinamenti come il nostro, ha comportato l’accoglimento del
principio dell’“interpretazione giurisprudenziale autentica” 8 ed, in definitiva, conferma la
progressiva attenuazione della distinzione tra civil law e common law, quali tradizioni giuridiche
parallele, e non contrapposte, se collocate nel quadro unitario di riferimento costituito dal diritto
europeo 9 .
2. L’ipotesi di lavoro: il superamento dell’intangibilità del giudicato nazionale e gli
strumenti posti a garanzia della certezza del diritto «costituzional-europeo» − Di qui muove
l’ipotesi di questo lavoro che può essere esposta, in estrema sintesi, come segue.
6
ZUCCALÀ, Di una forma di interpretazione giurisprudenziale autentica delle leggi, in Giur. It., IV, 1959, 144.
SORRENTINO, Profili costituzionali, cit., 34.
8
Sul punto si veda la ricostruzione teorica di TEDESCHI, Su alcune forme di interpretazione autoritativa della legge, in Riv. Dir.
Civ., 1957, 136, poi ripresa da ZUCCALÀ, Di una forma di interpretazione giurisprudenziale, cit.
9
CASSESE, Il problema della convergenza dei diritti amministrativi: verso un modello amministrativo europeo?, in Riv. It. Dir.
Pubbl. Com., 1992, 23 e ss.
7
2
Nella crescente valorizzazione della funzione nomofilattica della Corte di giustizia si
profila la necessità di una rimeditazione dei caratteri di alcuni istituti del diritto nazionale, ed, in
particolare, della discrezionalità dell’annullamento d’ufficio per le ipotesi di violazione della
“legalità comunitaria” e del principio dell’intangibilità del giudicato.
A tale rimeditazione si associa l’esigenza di valutare l’adeguatezza degli strumenti di tutela
posti a garanzia della certezza del diritto «costituzional-europeo» 10 .
Alla luce di questa premessa, il presente lavoro si propone di analizzare il sistema della
«pregiudizialità comunitaria» nella prospettiva dei suoi rapporti con l’ordinamento costituzionale
italiano (capitolo I) e, successivamente, di approfondire la tematica dell’efficacia delle sentenze
della Corte di giustizia, esaminando la portata del vincolo che, a seguito delle decisioni adottate
in sede di rinvio, si determina in capo ai giudici nazionali e allo stesso giudice comunitario, gli
effetti temporali delle pronunce ed il potere della Corte di modularne gli effetti a fronte di
situazioni consolidate di diritto interno (capitolo II).
Sarà poi presa in considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia che ha
riconosciuto il principio dell’intangibilità del giudicato nazionale fondato su una non corretta
interpretazione del diritto comunitario ed ha, al contempo, affermato l’obbligo di riesame di atti
amministrativi “anticomunitari”, anche qualora costituiscano oggetto di una decisione definitiva.
Se ne esamineranno i riflessi sull’ordinamento nazionale, dimostrando la compatibilità
dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio “doveroso” per il ripristino della legalità
comunitaria con la tradizionale configurazione dell’istituto ed evidenziando i profili
problematici, soprattutto in relazione alla prevalenza del ius superveniens comunitario sul
giudicato costituzionale (capitolo III).
Verrà infine posto l’accento sulla tendenza al superamento del principio dell’intangibilità
del giudicato reso in violazione di competenze comunitarie “riservate”, partendo dall’analisi
della normativa in materia di aiuti di Stato e della sentenza Lucchini (C-119/05) ed
ipotizzandone la sua la vis espansiva fino all’eventuale affermazione dell’opposto principio della
cedevolezza del giudicato nazionale (capitolo IV). Si cercherà, quindi, di valutare se una tale
ossimorica “assoluta relativizzazione” sia in armonia con il valore assegnato, negli ordinamenti
giuridici europei, alla certezza nella stabilità dei rapporti definiti con una sentenza non più
soggetta a gravame e, a tal fine, si esporranno i risultati di un’analisi comparatistica delle
10
RUGGERI, La certezza del diritto al crocevia tra dinamiche della normazione ed esperienze di giustizia costituzionale, in AA.
VV., Le fonti del diritto oggi, Giornate di studio in onore di A. Pizzorusso, Pisa 3-4 marzo 2005, Pisa, 2006, 129 e ss
3
discipline positive dei paesi che rappresentano i principali modelli costituzionali di riferimento
(Germania, Francia, Spagna, Inghilterra, Italia).
Muovendo dalla constatazione che la tutela o il superamento della “certezza” connessa alla
stabilità dei rapporti oggetto di una decisione definitiva costituiscono sempre il punto di
equilibrio del bilanciamento con altri valori di pari rilevanza costituzionale, si dimostrerà che la
“relativizzazione” del principio dell’intangibilità del giudicato non può essere “assoluta” a
vantaggio della primauté del diritto comunitario.
Pertanto, nell’ipotesi in cui la Corte di giustizia dovesse orientarsi in questo senso, sarà
possibile ipotizzare l’operatività della dottrina dei “controlimiti” e, conseguentemente, ritenere
che il superamento del principio dell’intangibilità del giudicato ad opera di una successiva
pronuncia interpretativa della Corte di giustizia non passi, sempre ed inevitabilmente, per lo
strumento della disapplicazione della norma interna sulla res iudicata, ma possa costituire il
frutto di un’opera di bilanciamento di valori.
L’obiettivo della ricerca esposta è quindi quello giungere ad affermare la necessità che si
riconosca alle Corti costituzionali nazionali il compito di Revisionistanz, ossia di organo che, per
espressa disposizione costituzionale, sia tenuto a risolvere l’eventuale contrasto tra giudicato
interno e comunitario.
La prefigurata prospettiva, vista nell’ottica del progressivo abbandono di una visione
“dualistica” dei rapporti tra ordinamento nazionale ed europeo e dell’auspicato “dialogo” tra le
Corti, costituirebbe un’ulteriore tappa nel “cammino comunitario” della Corte costituzionale11 ,
in adesione alla inaugurata tendenza a rileggere i rapporti interordinamentali con gli strumenti
della teoria dell’interpretazione piuttosto che con quelli di una teoria delle fonti d’ispirazione
formale-astratta 12 .
Si compirebbe inoltre quell’evoluzione, adombrata dalla più attenta dottrina, della nozione
stessa di “certezza del diritto”, così «portata a sdoppiarsi e a convertirsi in certezze di un diritto
non più solo costituzionale, come pure non più solo comunitario o europeo, distinto seppur
“coordinato” rispetto al primo, bensì, ad un tempo, costituzional-europeo, conseguente ad
un’integrazione ormai optimo iure compiuta, nel segno non della sopraffazione dell’uno
sull’altro
ordinamento
ma
della
loro
11
congiunta,
armonica
affermazione» 13 .
Per riprendere la nota espressione di BARILE, Il cammino comunitario della Corte, in Giur. Cost., 1973, 2406 e ss.
RUGGERI, La CEDU alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale-astratta e prospettiva assiologico-sostanziale
d’inquadramento sistematico (a prima lettura di Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007), in “Itinerari” di una ricerca sul sistema
delle fonti, Torino, 2008, 493 e ss.
13
RUGGERI, La certezza del diritto al crocevia tra dinamiche della normazione ed esperienze di giustizia costituzionale, in AA.
VV., Le fonti del diritto oggi, Giornate di studio in onore di A. Pizzorusso, Pisa 3-4 marzo 2005, Pisa, 2006, 129 e ss.
12
4
CAPITOLO I
LA «PREGIUDIZIALE COMUNITARIA»
Sommario: 1. Il ruolo della Corte di giustizia nell’ottica del primato del diritto
comunitario: la «pregiudiziale comunitaria» - 2. La responsabilità degli Stati membri per la
violazione dell’obbligo di rinvio - 3. La sospensione del processo nazionale in pendenza di
«questioni comunitarie» - 4. La tutela cautelare nei confronti degli atti legislativi in contrasto con
il diritto comunitario - 5. «Pregiudiziale comunitaria», questioni di legittimità costituzionale e
“controlimiti” - 6. Il problema dell’ efficacia delle sentenze interpretative.
1. Il ruolo della Corte di giustizia nell’ottica del primato del diritto comunitario: la
«pregiudiziale comunitaria» − A norma dell’art. 220 T.C.E., la Corte di giustizia delle
Comunità Europee è l’istituzione che assicura il rispetto del diritto comunitario e la sua corretta
ed uniforme interpretazione, attraverso il controllo giurisdizionale degli atti e dei comportamenti
inerti delle Istituzioni comunitarie e degli Stati e, soprattutto, esercitando la competenza a
decidere sulle questioni pregiudiziali 1 .
L’attività di interpretazione del Trattato e del diritto comunitario è riservata al giudice
comunitario in via esclusiva.
1
Per un generale inquadramento delle competenze e dei poteri assegnati alla Corte, si vedano: AA. VV., The European Court of
Justice, a cura di De Burca e Weiler, Oxford, 2001; ARNULL, The European Union and its Court of Justice, Oxford, 1999; BEBR,
Development of judicial control of the European communities, Boston-London, 1981; BROWN, The Court of Justice of the
European Communities, London, 1989; BROWN, KENNEDY, The Court of Justice of the European Communities, London, 2004;
CARBONE, Il ruolo della Corte di Giustizia nella costruzione del sistema giuridico europeo, in Dir. Pubbl. Comp. Eu., 2006, 547
e ss.; CAPOTORTI, voce Corte di giustizia delle Comunità europee, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988; DA CRUZ VILACA,
L’evoluzione del sistema giurisdizionale comunitario prima e dopo Maastricht, in Il Diritto dell’Unione europea, 1996, 89 e ss.;
DANIELE, voce Corte di giustizia delle Comunità europee, in Dig. Disc. Pubbl., IV, Torino, 1989; DAVIES, The division of powers
between the European Court of Justice and National Courts, in http://lesl.man.ac.uk/conweb/; IVALDI, Il rinvio pregiudiziale, in
Comunicazioni e Studi, 2002, 235 e ss.; LASOK, The European Court of Justice: practice and procedures, London, 1994; LASOK,
MILLET, HOWARD, Judicial Contro1 in the EU: procedures and principles, Richmond, 2004; LENZ, The Court of Justice of the
European Communities, in European Law Review, 1988, 130 e ss.; MIGLIAZZA, La Corte di giustizia delle Comunità europee,
Milano, 1961; NEIL, The European Court of Justice – A case Study in Judicial Activism, London, 1995; STONE SWEET, La Corte
di giustizia europea, in L’Unione europea. Le istituzioni e gli attori di un sistema sopranazionale, Roma-Bari, 80 e ss.;
TIMMERMANS, The European Union’s judicial system, in Common Market Law Review, 2004, 393 e ss.; TIZZANO, La Corte di
giustizia delle Comunità europee, Napoli, 1967 e ID., Il ruolo della Corte di Giustizia nella prospettiva dell’Unione europea, in
Scritti in onore di A. Predieri, II, 1996, Milano, 1470 e ss.; VANDERSANDEN, BARAV, Contentieux communautaire, Bruxelles,
1977. Con riguardo al particolare profilo della legittimazione dell’istituzione si veda il recente contributo di MANCINI,
Democrazia e costituzionalismo nell’Unione europea, Bologna, 2004.
5
Tale esclusività si proietta sia all’esterno dell’ordinamento comunitario che all’interno
dello stesso.
Quanto al primo profilo, infatti, l’art. 292 T.C.E. dispone che «gli Stati membri si
impegnano a non sottoporre una controversia relativa all’interpretazione o all’applicazione del
presente trattato ad un modo di composizione diverso dal trattato stesso». La risoluzione delle
controversie tra gli Stati membri va dunque ricondotta nell’ambito del quadro giuridico ed
istituzionale comunitario, mediante la rimessione delle questioni interpretative alla Corte di
giustizia, che ha delineato l’ambito della sua giurisdizione esclusiva in termini limitativi per
l’esercizio della giurisdizione da parte di altre Corti o Tribunali internazionali che siano chiamati
a giudicare controversie di rilevanza comunitaria 2 .
Quanto, invece, alla manifestazione dell’esclusività della potestà interpretativa all’interno
dell’ordinamento comunitario, la cui pregnante incidenza sarà oggetto del presente studio,
2
Sul tema della possibile concorrenza della giurisdizione della Corte di Giustizia con quella degli altri giudici internazionali si
veda la completa analisi di SHANY, The Competing Jurisdictions of International Courts and Tribunals, Oxford, 2004 e ID.,
Regulating Jurisdictional Relations between National and International Courts, Oxford, 2007, il quale analizza rispettivamente i
rapporti tra ordini giuridici globali e le relazioni tra ordinamenti statali e sovranazionali, considerando ambedue i tipi di “judicial
interaction”, dal punto di vista e con la preoccupazione della sovrapposizione e dei conflitti di giurisdizione. Si veda, inoltre,
LAVRANOS, Concurrence of Jurisdiction Beetween the ECJ and Other International Courts and Tribunals, in European
Environmental Law Review, 2005, 213 e ss.
In giurisprudenza, si cfr. Corte di giustizia delle Comunità Europee, 30 maggio 2006, in causa C-459/03, MOX Plant, ed i relativi
commenti di CARDWELL, FRENCH, Who decides? The Eu’s judgment on jurisdiction in the Mox Plant case, in Journal of
Environmental Law, 2007, 123 e ss., CASOLARI, La sentenza Mox: la Corte di Giustizia delle Comunità europee torna ad
occuparsi dei rapporti tra ordinamento comunitario ed ordinamento internazionale, in Il diritto dell’Unione Europea, 2007, 355
e ss., LAVRANOS, The MOX Plant and IJzeren Rijn Disputes: Which Court is the Supreme Arbiter?, ivi, 2006, 223 e ss. e ID., The
scope of the exclusive jurisdiction of the Court of Justice, in European Law Review, 2007, 83 e ss., MALJEAN DUBOIS, MARTINE,
L’affaire de l’Usine Mox devant les tribunaux internationaux, in Journal du Droit International, 2007, 450 e ss., SHANY, The
First MOX Plant Award: The need to Harmonize Competine Environmental Regimes and dispute Settlements Procedures, in
Leiden Journal of International Law, 2004, 815 e ss.,
Negli ultimi anni, inoltre, si sono moltiplicati gli scritti che hanno approfondito l’emersione del fenomeno di judicial
globalization, alcuni dei quali incentrati sulla tutela dei diritti umani: tra i tanti, si vedano ALLARD, GARAPON, A global
Community of Courts, in Harvard International Law Journal, 2003, 191 e ss., CASSESE, La funzione costituzionale dei giudici
non statali. Dallo spazio giuridico globale all’ordine giuridico globale, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2007, 609 e ss. e ID., Quando
gli ordinamenti giuridici si scontrano. Dal dialogo alla cooperazione tra le Corti, in www.irpa.eu, CHOUDRY, Globalization in
Search of Justification: Towards a Theory of Comparative Constitutional Interpretation, in Indiana Law Journal, 1999, 821 e ss.,
DE BURCA, GERSTENBERG, The Denationalization of Constitutional Law, in Harvard International Law Journal, 2006, 243 e ss.,
FERRARESE, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna, 2002, 201, 202 e 230, FONTANELLI,
MARTINICO, Alla ricerca della coerenza: le tecniche del ‘dialogo nascosto’ fra i giudici nell’ordinamento costituzionale multilivello, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2008, 351 e ss. (traduzione italiana del saggio “Looking for coherence: hidden techniques of
multilevel dialogue and constitutional comity in the Eu context”, presentato al sesto International Workshop for Young Scholars WISH - Dublino, 16-17 novembre 2007), HIRSCHL, Towards juristocracy, the limits and the consequence of the new
constitutionalism, 2004 e ID., The global expansion of the judicial power, New York, 1995, L’HEUREUX-DUBE, The International
Judicial Dialogue: When Domestic Constitutional Courts Join the Conversation, in Harvard Law Review, 2001, 2049 e ss.,
MARTINEZ, Towards an International Judicial System, in Standford Law Review, 2003, 452 e ss., MARTINICO, POLLICINO, The
specificity of the European judiciary system against the background of the judicial globalization, paper presentato al VII
Congresso mondiale dell’Associazione internazionale di diritto costituzionale, Atene, 11-15 giugno 2007, reperibile su
www.enelsyn.gr/papers, MCCRUDDEN, A Common Law of Human Righs?: Transnational Judicial Conversations on
Constitutional Rights, in Oxford Journal of Legal Studies, 2000, 499 e ss., SLAUGHTER, A Global Community of Courts, in
Harvard International Law Journal, 2003, 191 e ss. e ID., A New World Order, Princeton, 2004, STONE SWEET, The Judicial
Construction of Europe, Oxford, 2004, ID., On Law, Politics and Judicialization, Oxford, 2002, ID., Governing with Judges:
Constitutional Politics in Europe, New York, 2000, TREVES, Fragmentation of International Law: the Judicial Perspective, in
Comunicazioni e Studi, 2008, 42 e ss.
6
occorre riferirsi alla sussistenza di un obbligo di rinvio pregiudiziale 3 , gravante ex art. 234
T.C.E., 3° comma, sui giudici nazionali di ultima istanza (salvo il limite previsto dall’art. 68 4 ).
In proposito, la Corte di giustizia ha avuto modo di affermare, in molte sue decisioni, che
l’«obbligo di adire la Corte rientra nell’ambito della cooperazione istituita al fine di garantire la
corretta applicazione e l’interpretazione uniforme del diritto comunitario, nell’insieme degli Stati
membri, fra i giudici nazionali, in quanto incaricati dell’applicazione delle norme comunitarie, e
la Corte di giustizia. L’art. 177 (ora 234) mira, più in particolare ad evitare che si producano
divergenze giurisprudenziali all’interno della Comunità su questioni di diritto comunitario. La
portata di tale obbligo va pertanto valutata tenendo conto di tali finalità in funzione delle
competenze rispettive dei giudici nazionali e della Corte di giustizia»5 .
L’esigenza di uniformità del diritto europeo comporta dunque l’accentramento in capo al
giudice comunitario della funzione interpretativa: «one of the Court’s essential tasks is to ensure
just such a uniform interpretation, and it discharges that duty by answering the questions put to it
3
Sul meccanismo del rinvio pregiudiziale, si vedano, tra i contributi più autorevoli, FERRARI BRAVO, Commento sub art. 177, in
Commentario Cee, a cura di Quadri, Monaco, Trabucchi, Milano, 1965, 1310 e ss., SCHWARZE, Art. 234 EGV, in EUKommentar, Baden Baden, 2000, 2009 e ss., ID., The role of the European Court of Justice (ECJ) in the interpretation of uniform
law among the member States of the European Communities, Baden-Baden, 1988 e WEILER, The European Court, National
Courts and References for Preliminary Rulings – the Paradox of Success: A revisionist View of Article 177 EEC, in AA. VV.,
Article 177 EEC: Experiences and Problems, 1987, 366 e ss.
4
Secondo l’attuale formulazione dell’art. 68 T.C.E., la Corte di Giustizia può pronunciarsi sulle questioni pregiudiziali di
interpretazione delle disposizioni del titolo IV del Trattato (in materia di visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con
la libera circolazione delle persone), oppure sulle questioni pregiudiziali di validità o di interpretazione degli atti adottati dalle
istituzioni comunitarie in base a tale titolo, ma solo se tali questioni vengono sollevate da un giudice nazionale »avverso le cui
decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno». La competenza pregiudiziale della Corte è esclusa in
materia di mantenimento dell’ordine pubblico e di salvaguardia della sicurezza interna, nell’ambito di giudizi su misure o
decisioni adottate dal Consiglio ai sensi dell’art. 62 punto 1 T.C.E., ossia misure miranti a garantire l’eliminazione dei controlli
sulle persone, sia cittadini dell’Unione europea sia cittadini di paesi terzi, all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne. Due
le principali ragioni della limitazione della competenza della Corte di Giustizia in queste materia: l’esigenza di contenere
l’afflusso di rinvii pregiudiziali e la necessità che il procedimento del rinvio pregiudiziale non ritardi troppo il procedimento
dinanzi al giudice nazionale che ha sollevato la questione e l’opportunità di contenere l’intervento della Corte di Giustizia in
settori particolarmente sensibili per la sovranità degli Stati membri.
Su tali limitazioni, si veda GAROFALO, Sulla competenza a titolo pregiudiziale della Corte di giustizia secondo l’art. 68 del
Trattato CE, in Il diritto dell’Unione europea, 2000, 805 e ss.
Si segnala infine che in una comunicazione del 28 giugno 2006 (COM (2006) 346), la Commissione ha proposto di modificare la
riferita disciplina.
5
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 6 ottobre 1982, in causa C-283/81, Cilfit, nonché in precedenza Id., 27 marzo 1980,
in causa C-61/79, Denkavit Italiana e Id., 27 marzo 1980, in cause riunite C-66, 127 e 128/79, Salumi.
In generale, sulla funzione di garanzia dell’uniforme interpretazione del diritto comunitario, si vedano: CAPOTORTI, Processo
comunitario, in Enc. Dir., XXXVI, Milano, 1987, 846; DANIELE, Corte di giustizia delle Comunità Europee, in Dig. Disc.
Pubbl., IV, Torino, 1989, 238; MONACO, Realtà e tendenze della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità, in Riv.
Dir. europeo, 1987, 175 e ss.; BIAVATI, La funzione unificatrice della Corte di giustizia delle Comunità europee, in Riv. Trim.
Dir. Proc. Civ., 1995, 273 e ss.; BRIGUGLIO, voce Pregiudiziale comunitaria, in Enc. Giur. Treccani, XXIII, Roma, 1997, 1 e ss.;
FOGLIA, Il ruolo della Corte di giustizia e il rapporto tra giudice comunitario e i giudici nazionali nel quadro dell’art. 177 del
Trattato (con particolare riferimento alle politiche sociali), in Il diritto del lavoro, 1999, 148 e ss. Si cfr., infine, il saggio di
KOMÀREK, In the court(s) we trust? On the need for hierarchy and differentiation in the preliminary ruling procedure, in
European Law Review, 2007, 467 e ss. in cui l’autore propone l’introduzione di una limitazione della legittimazione a procedure
al rinvio ai giudici nazionali di ultima istanza.
7
by the national courts and tribunals. The possibility of refering a question to the Court of Justice
must therefore remain open to all those courts and tribunals»6 .
Il raggiungimento dell’uniformità viene quindi a configurarsi come un obiettivo che va al
di là della coerenza di un sistema ordinamentale 7 : «uniform application is rather a sort of
existencial problem to which the Community legal order has to relate» 8 , “esigenza esistenziale”
che si sostanzia nell’affermazione del principio del primato del diritto comunitario sul diritto
nazionale, mitigato dal principio delle competenze di attribuzione della Comunità 9 .
Occorre tuttavia precisare che il potere di interpretare in via pregiudiziale le norme
comunitarie non comprende anche quello di pronunziarsi direttamente sulla compatibilità tra
norme interne e norme comunitarie, spettando al giudice nazionale risolvere la questio facti
mediante l’applicazione della norma comunitaria al caso concreto 10 .
6
Report of the Court of Justice on certain aspects of the application of the Treaty on European Union, 1995, punto 11.
In quest’ottica, un’autorevole dottrina (RASMUSSENM, Remedying the crumbling EC judicial System, in Common Market Law
Review, 2000, 1071 e ss.), nel descrivere il sistema giurisdizionale comunitario, ha ritenuto preferibile parlare di “non sistema”:
«“Non system” evokes better the undeniable absence, for more that forty years, of systematic thinking over how that system, and
more specifically its definition of the relationship between national and EC judges ought ideally be organized, architecture,
division of competences, rules of standing, and the rest».
8
DYBERG, What Should the Court of Justice Be Doing?, in European Law Review, 2001, 295. Si cfr. inoltre DASHWOOD,
JOHNSTON, The future of European Judicial System, Oxford, 2001.
9
Tale “esigenza esistenziale” è stata recentemente evocata nella Dichiarazione del 13 dicembre 2004 con cui Tribunal
constitucional spagnolo, a poche settimane da un’omologa pronuncia del Conseil constitutionnel (Décision 2004-505 DC) è
intervenuto sulla ratifica del Trattato costituzionale europeo. Per un’analisi della decisione si veda SCHILLACI, Il tribunale
costituzionale spagnolo e la Costituzione europea, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, in cui si sottolinea l’importanza
della distinzione, operata dal giudice costituzionale spagnolo tra primato del diritto comunitario e supremazia della Costituzione
(primacìa y supremacìa): «la supremazia si concretizza nel carattere gerarchicamente superiore di una norma, e per ciò stesso, è
fonte di validità delle norme sott’ordinate, e implica, come conseguenza, l’invalidità di queste ultime, qualora contravvengano a
disposizioni imperative contenute nella prima. Il primato non si concretizza necessariamente in un rapporto gerarchico, bensì
nella distinzione tra diversi ambiti di applicazione di norme tra loro differenti, per principio valide, delle quali, tuttavia, una o
alcune di queste possiedono la capacità di essere applicate a preferenza di altre, in virtù di ragioni che possono essere le più varie.
La supremazia implica sempre, per principio, il primato, salvo che la stessa norma suprema abbia previsto, in qualche ambito, la
possibilità di una sua disapplicazione. La supremazia della Costituzione, è, pertanto, compatibile con regimi di applicazione che
riconoscano preferenza applicativa a norme di altri ordinamenti diversi da quelli nazionali, sempre che la Costituzione lo abbia
previsto, ciò che accade, precisamente, nel caso dell’art. 93».
Si cfr.no altresì FERRERES COMELLA, La Constituciòn española ante la clausola de primacia del Derecho de la Union europea.
Un comentario a la Declaraciòn 1/2004 del Tribunal Constitucional, in AA.VV., Constitucion española y constituciòn europea,
a cura di Lopez Castillo, Saiz Arnaiz, Ferreres Comella, Madrid, 2005, 77 e ss. secondo cui, nel descrivere il rapporto fra diritto
costituzionale interno e diritto comunitario, parla di fessibilizzazione delle supremazie, e SAIZ ARAIZ, De primacia, supremazia y
derechos fundamentales en la Europa integrada: la Declaraciòn del Tribunal Constitucional de 13 diciembre de 2004 y e1
Tratado por e1 que establece una Constitucion para Europa, ibidem, 51 e ss.
10
In proposito, Corte di giustizia delle Comunità Europee, 27 marzo 1963, C-28, 29 e 30/62, Da Costa en Schaake, afferma che
«quando, nell’ambito concreto di una controversia vertente avanti un giudice nazionale, la Corte dà un’interpretazione del
trattato, essa si limita a trarre dalla lettera e dallo spirito di questo il significato delle norme comunitarie, mentre l’applicazione
alla fattispecie delle norme così interpretate rimane riservata al giudice nazionale: tale concezione corrisponde alla funzione
assegnata alla Corte dall’art. 177, che mira a garantire l’unità dell’interpretazione del diritto comunitario nei sei Stati membri».
Bisogna però rilevare che, nella pratica delle pronunce pregiudiziali, l’interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte è
spesso resa in modo tale che il giudice nazionale possa evincere a quali condizioni la Corte ritenga sussista l’incompatibilità, con
conseguente effetto conformativo del giudice alla decisione.
7
8
La sentenza pronunciata in sede pregiudiziale risulta infatti idonea «a fornire al giudice
nazionale tutti gli elementi d’interpretazione, che rientrano nel diritto comunitario, atti a
consentirgli di pronunciarsi sulla compatibilità di dette norme con la norma di cui trattasi» 11 .
La Corte è dunque chiamata a svolgere la funzione di garantire l’applicazione del Trattato e
del diritto comunitario derivato congiuntamente ai giudici degli Stati membri, che, in forza del
primato del diritto comunitario, devono disapplicare le norme interne eventualmente
configgenti 12 ed , in caso di dubbi interpretativi, rimettere la questione in sede comunitaria.
11
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 29 giugno 1978, in causa C-154/77, Dechmann.
Come è noto, il percorso seguito dalla giurisprudenza costituzionale italiana in tema di criteri di risoluzione delle antinomie tra
diritto interno e diritto comunitario si è articolato in due fasi: dopo aver sostenuto, in aperto contrasto con la giurisprudenza
comunitaria (si cfr.no le storiche decisioni Corte di giustizia delle Comunità Europee, 15 giugno 1964, in causa C-6/64, Costa e
Id., 9 marzo 1978, in causa C-106/77, Simmenthal, su cui, tra i tanti, MARCH HUNNINGS, Rival Constitutional Courts: A Comment
on Case 106/77, in Common Market Law Review, 1978, 483 e ss.; MENGONI, Note sul rapporto tra fonti di diritto comunitario e
fonti di diritto interno degli Stati membri, in AA.VV., Diritto privato europeo e categorie civilistiche, a cura di Lipari, Napoli,
1998, 26 ss.), la tesi della necessaria dichiarazione di illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 11 Cost, delle leggi
interne contrastanti con il diritto comunitario (Corte cost., 18 dicembre 1973, n. 183, in Giur. Cost., 1973, 2401 e ss. con nota di
BARILE, Il cammino comunitario della Corte, ibidem, 2406 e ss.), la Corte, pur ribadendo la propria concezione dualista, ha
affermato che le norme comunitarie ricevono piena e diretta applicazione “per forza propria”, non entrando a far parte
dell’ordinamento nazionale, e devono pertanto essere preferite alle norme interne incompatibili, nelle materie trasferite alla
competenza delle Comunità, sia che seguano sia che precedano nel tempo le leggi ordinarie incompatibili. Tale “preferenza”
accordata alla norma comunitaria fa sì che, nel proprio ambito di competenza, «l’effetto connesso con la sua vigenza è (…)
quello non già di caducare, nell’accezione propria del termine, la norma interna incompatibile, bensì di impedire che tale norma
venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale» (Corte cost., 5 giugno 1984, n. 170, in Giur.
Cost., 1984, 1098 e ss., sui cui, tra i tanti, RUGGERI, Continuo e discontinuo nella giurisprudenza costituzionale, a partire dalla
sent. n. 170 del 1984, in tema di rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento interno: dalla teoria della separazione alla
prassi dell’integrazione intersistemica?, in Giur. Cost., 1991, 1598 e ss.).
Per una completa ricostruzione della problematica della disapplicazione, quale criterio per la risoluzione delle antinomie tra
diritto interno e diritto comunitario, si vedano: AA. VV., La Corte costituzionale tra diritto interno e diritto comunitario, Atti del
seminario svoltosi a Roma, Palazzo della Consulta 15-16 ottobre 1990, Milano, 1991; ALBINO, Il sistema delle fonti tra
ordinamento interno e comunitario, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com, 2001, 923 e ss.; CELOTTO, La prevalenza del diritto comunitario
sul diritto interno: orientamenti della Corte costituzionale e spunti di teoria generale, in Giur. Cost., 1992, 4481 e ss.; ID., Le
«modalità» di prevalenza delle norme comunitarie sulle norme interne: spunti ricostruttivi, in Riv. It., dir. pubbl. com., 1999,
1463 e ss. e ID., Concorrenza e conflitti tra criteri di risoluzione, in MODUGNO, Appunti per una teoria generale del diritto, La
teoria del diritto oggettivo, Torino, 2000, 225 e ss.; ID., Legittimità costituzionale e legittimità comunitaria (prime
considerazioni sul controllo di costituzionalità in Italia come sistema “misto”, in Riv. Dir. Pubbl. Eu., 2002, 47 e ss.; DONATI,
Diritto comunitario e sindacato di costituzionalità, Milano, 1995; MIGLIAZZA, Conflitto fra la Corte costituzionale e la Corte di
Giustizia delle Comunità europee e possibilità di soluzione, in AA. VV.., Il primato del diritto comunitario e i giudici italiani,
Milano, 1978, 177 e ss.; PAGOTTO, La disapplicazione della legge, Milano, 2008; PIZZORUSSO, Sull’applicazione del diritto
comunitario da parte del giudice italiano, in Quad. Reg., 1989, 48 e ss. e ID., Interrogativi in tema di rapporti tra fonti
comunitarie e fonti nazionali, in AA. VV., Le riforme istituzionali e la partecipazione dell’Italia all’Unione europea, Milano,
2002, 21 e ss.; RUGGERI, Fonti, norme criteri, ordinatori, Torino, 2005, 215 e ss. ed, in precedenza, ID., Continuo e discontinuo
nella giurisprudenza costituzionale, a partire dalla sent. n. 170 del 1984, cit.; SILVESTRI, La diretta applicabilità delle norme
comunitarie, in Associazione Italiana dei costituzionalisti, Annuario 1999, La Costituzione Europea, Atti del XIV Convegno
annuale, Padova, 2000; SORRENTINO, Brevi osservazioni sulle leggi contrastanti con norme comunitarie: incostituzionalità e/o
disapplicazione?, in Giur. Cost., 1975, II, 3237 e ss., ID., Ai limiti dell’integrazione europea: primato delle fonti o delle
istituzioni comunitarie?, in Pol. Dir., 1994, 189 e ss. e ID., La rilevanza delle fonti comunitarie nell’ordinamento italiano, in Dir.
commercio internaz., 1989, 452 e ss.; SPERDUTI, Diritto comunitario e diritto interno nella giurisprudenza della Corte
costituzionale italiana e della Corte di Giustizia delle Comunità europee: un dissidio da sanare, in Giur. cost., 1978, 791 e ss. e
ID., Corte costituzionale e Corte comunitaria: un dissidio senza reale fondamento in diritto, in Comun. Intern., 1979, 5 e ss.
Si veda inoltre l’originale ricostruzione offerta da LA PERGOLA, Il giudice costituzionale italiano di fronte al primato e all'effetto
diretto del diritto comunitario: note su un incontro di studio, in Giur. Cost., 2003, 2419 e ss., secondo cui «al pari della Corte di
giustizia, il giudice costituzionale italiano ritiene che gli obblighi comunitari non stanno soltanto sul piano dei rapporti
internazionali. Li vede come obblighi che attraversano il diaframma della sovranità esterna dello Stato-soggetto per riversarsi
nella sfera dello Stato-ordinamento. L’effetto dell’obbligo comunitario, sottinteso da questa giurisprudenza costituzionale, è
quello, più precisamente, della immediatisation organique: esso genera un vincolo di condotta che grava direttamente, sempre in
forza dell'art. il Cost., sugli organi interni, i quali sono chiamati ad adempierlo, ciascuno nell’ambito delle proprie attribuzioni.
12
9
Gli organi giurisdizionali nazionali rivestono quindi simbolicamente due ruoli: quello di
giudici nazionali che applicano il diritto interno e quello di giudici europei che applicano il
diritto comunitario 13 .
In quest’ottica il sistema del rinvio pregiudiziale previsto dall’art. 234 T.C.E. si configura
come “dialogo tra giudici”, in cui risulta assegnato al giudice comunitario un ruolo di «interprete
qualificato», chiamato a statuire in termini generali, in virtù delle particolari conoscenze che il
diritto comunitario richiede: «il primo compito della Corte nelle pronunce pregiudiziali non è
risolvere controversie specifiche sulla base di fatti scarsamente definiti, o risolvere un problema
per il giudice nazionale in una particolare causa, ma stabilire chiaramente e con coerenza, a
beneficio di tutti nella Comunità, la corretta interpretazione del diritto, ed emanare pronunce di
portata generale. Solo tale più ampia funzione giustifica il sistema delle domande di pronuncia
pregiudiziale e spiega tale procedimento unico in cui gli Stati membri e la Commissione sono
sistematicamente invitati a presentare osservazioni e appunto il perché la sentenza della Corte e
le conclusioni dell'avvocato generale in ogni causa vengano pubblicate in non meno di undici
lingue» (corsivo nostro) 14 .
La principale originalità del meccanismo del rinvio pregiudiziale si sostanzia nella
cooperazione, dando vita ad un sistema di controllo unitario dal punto di vista funzionale, senza
creare alcun legame gerarchico tra le autorità giudiziarie nazionali e la Corte di giustizia: «al
contrario la posizione di quest’ultima nei suoi rapporti con i giudici degli Stati membri è quella
di un primus inter pares» 15 .
Allo stesso tempo, però, è stato efficacemente osservato come la disposizione dell’art. 234
T.C.E. non preveda alcuno strumento processuale per ovviare alle ipotesi in cui i giudici di
ultima istanza si astengano dall’adempiere l’obbligo di rinvio 16 , con la conseguenza che
L'obbligo per ciascuno di tali organi di assicurare i pieni effetti e in primo luogo lo stesso primato dei precetti comunitari è stato,
altrimenti detto, costituzionalizzato dalla Consulta».
13
Su questo punto la dottrina è unanimemente concorde e si cfr.no: CAPPELLETTI, The Judicial Process in Comparative
Perspective, Oxford, 1999, 36 e ss.; CASSESE, La costituzione europea, in Quad. Cost., 1991, 494, il quale sottolinea anche come,
da una parte, «la Corte è riuscita a conquistare un “rapporto privilegiato” con i giudici nazionali, che fanno crescente ricorso al
rinvio pregiudiziale», dall’altra, «i giudici nazionali, facendo ricorso ai rinvio pregiudiziale, nel corso di un processo, vengono a
trovarsi integrati in un sistema giudiziario unitario, poiché devono dare attuazione alla decisione della Corte nel caso concreto
portato dinanzi ad essi»; CRAIG, The jurisdiction of the Community Courts Reconsidered, in AA. VV., The European Court of
Justice, a cura di De Burca e Weiler, Oxford, 2001, 178 e ss.; WEILER, Il contesto istituzionale dell’Unione Europea, in
CARTABIA, WEILER, L’Italia in Europa. Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, 2000, 55 e ss.
Si vedano, infine, i contributi di CONTI, I1 ruolo del giudice civile e il sistema europeo delle fonti, in Nuove autonomie, 2006, 127
e ss. e ID., L’effettività del diritto comunitario ed il ruolo del giudice, in Europa e Dir. Priv., 2007, 479 e ss. nonché, con
particolare riguardo alla disapplicazione che è chiamato ad operare il giudice amministrativo, di CHITI, I signori del diritto
comunitario: la Corte di giustizia e lo sviluppo del diritto amministrativo europeo, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1991, 796 e ss.
14
Conclusioni dell’Avvocato generale Jacobs, 21 marzo 2002, in causa C-136/00, Danner, punto 38.
15
WEILER, Il contesto istituzionale dell’Unione Europea, cit. 55 e ss.
16
In proposito si veda MANCINI, Le sfide costituzionali alla Corte di Giustizia europea, in Democrazia e costituzionalismo
nell’Unione europea, Bologna, 2004, 63, il quale, constatando la natura speciale dell’obbligo posto dall’art. 234 T.C.E., osserva
10
l’attuazione dei principi stabiliti nelle sentenze rese dai giudici del Lussemburgo venga
interamente rimessa alla libera scelta dei giudici nazionali 17 .
Si può così comprendere il motivo per il quale la Corte non abbia mai cessato, nel corso
della sua attività, di sottolineare il ruolo decisivo dei giudici nazionali nell’attuazione del diritto
comunitario, elaborando progressivamente una vera e propria «etica giurisdizionale
comunitaria» 18 .
La funzione nomofilattica viene pertanto garantita indirettamente da una serie di altri
istituti, frutto dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte stessa e dei giudici nazionali, che
saranno di seguito analizzati nella loro incidenza sull’ordinamento costituzionale italiano. Si
tratta del riconoscimento della responsabilità degli Stati membri per violazione dell’obbligo di
rinvio commessa dagli organi giurisdizionali di ultima istanza, della sospensione del processo
nazionale in pendenza di «questioni comunitarie», della sospensione dell’efficacia degli atti
legislativi nazionali di cui si contesti la legittimità in sede comunitaria, della pregiudizialità del
rinvio alla Corte di giustizia rispetto alle questioni di legittimità costituzionale ed, infine,
dell’autorità delle dell’interpretazione resa dal giudice comunitario.
come «la parte che intenda invocare il diritto comunitario, ma la cui richiesta di rinvio obbligatorio non venga accolta dalle Corti
nazionali di ultima istanza, non ha accesso diretto alla Corte di giustizia di Lussemburgo e si trova nella disgraziata posizione di
essere titolare di un diritto non giustiziabile».
17
Sul punto, MANCINI, op. ult. cit., 63-64, il quale sottolinea che «la caratteristica più saliente della procedura disciplinata
dall’art. 177 (ora 234, nds) del Trattato Ce consiste nel fatto che essa è interamente dipendente dalla buona volontà delle Corti
nazionali»: «anche nel caso in cui la Corte nazionale recalcitrante venga persuasa ad effettuare un sia pur riluttante rinvio
pregiudiziale e la Corte di giustizia si pronunci solennemente, riconoscendo i diritti attribuiti alle parti dall’ordinamento
comunitario, non c’è modo di assicurare che la sentenza sia poi applicata dai giudici nazionali. Questi ultimi, infatti, potrebbero
non avere dimestichezza con l’ormai consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia sulla natura vincolante delle pronunce in
via pregiudicale, o rifiutare di applicarla, oppure semplicemente, potrebbero interpretare erroneamente la sentenza e applicarla in
modo scorretto».
L’esigenza di una volontà di collaborazione dei giudici nazionali nell’applicare i principi enunciati dalla giurisprudenza
comunitaria è sottolineata anche da BARAV, La plénitude de compétence du juge national en sa qualità de juge communautaire,
in L’Europe et le droit, Mèlanges en hommage à Jean Boulouis, Parìs, 1991, 1, secondo cui sia il primato del diritto comunitario,
sia la sua efficacia diretta costituiscono, innanzitutto, indicazioni per i giudici nazionali. In senso analogo, si cfr. WEILER, Il
contesto istituzionale dell’Unione Europea, cit., 63 e ss., secondo cui «i rapporti tra Corte di giustizia e giudici nazionali sono
caratterizzati da una storia in cui il potere giudiziario nazionale ha accettato la disciplina comunitaria in un duplice senso. Da una
parte vi è stata l’accettazione dei principi giurisprudenziali: seguendo un cammino discontinuo, e tutt’ora in corso, muovendosi e
fermandosi, facendo due passi avanti e uno indietro, il potere giudiziario nazionale è giunto ad accettare i principi elaborati dalla
Corte di giustizia della comunità europea, riguardanti sia la struttura istituzionale (principi strutturali), sia il diritto sostanziale
(principi sostanziali) della Comunità. Ma non meno importante è stato l’altrettanto crescente coinvolgimento del potere
giudiziario nazionale nell’applicazione del diritto comunitario, trasformando così l’accettazione dei principi in realtà processuale.
Le due dimensioni sono entrambe importanti: dopo tutto, a che serve, ad esempio, accettare il principio del primato del diritto
comunitario, se non esiste un giudice ed un processo per rivendicarlo in concreto in caso di conflitto? Ibi jus ubi remedium!».
18
Per questa considerazione, GRÉVISSE, BONICHOT, Les incidences du droit communautaire sur l’organization et l’exercice de la
function juridictionelle dans l’Ètats members, in L’Europe et le droit, cit., 297 e ss. Nonostante l’assenza di meccanismi
coercitivi espressi, infatti, il meccanismo di cooperazione previsto dall’art. 234 ha ottenuto un discreto successo, come
documenta la quantità sempre maggiore di domande pregiudiziali che sono state sottoposte alla Corte di giustizia da parte dei
giudici degli Stati membri nel corso degli anni: dall’unica questione sollevata nel 1961 si è passati a 37 nel 1971, a 108 nel 1981,
a 186 nel 1991, a 237 nel 2001, numero che si è mantenuto poi stabile fino ai giorni nostri. In totale, dal 1961 al 2005, sono state
proposte alla Corte 5514 domande pregiudiziali, di cui 862 provenienti dall’Italia (per questi dati, si cfr.no le Statistiche
giudiziarie – Corte di giustizia in www.curia.eu).
11
2. La responsabilità degli Stati membri per la violazione dell’obbligo di rinvio − Il dovere
di cooperazione del giudice nazionale risulta innanzitutto rafforzato dall’affermazione della
responsabilità extracontrattuale degli Stati membri per le violazioni del diritto comunitario
commesse dagli organi giurisdizionali.
Nella ormai nota sentenza Köbler 19 , la Corte ha infatti ribadito come il principio per il
quale uno Stato membro è obbligato a risarcire i danni arrecati ai singoli per violazioni del diritto
comunitario che gli sono imputabili ha valore in riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del
diritto comunitario, qualunque sia l’organo di tale Stato la cui azione od omissione ha dato
origine alla trasgressione 20 .
19
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 30 settembre 2003, in causa C-224/01, Köbler, in Foro It., 2004, IV, 4, con nota di
SCODITTI, «Francovich» presa sul serio: la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario derivante da
provvedimento giurisdizionale.
Per un’analisi di questa decisione si vedano inoltre: ALPA, La responsabilità dello stato per “atti giudiziari”. A proposito del
caso Köbler c. Repubblica d’Austria, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2005, 1 e ss.; BASTIANON, Giudici nazionali
e responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario, in Resp. Civ., 2004, 57 e ss.; BIAVATI, Inadempimento degli
stati membri al diritto comunitario per fatto del giudice supremo: alla prova la nozione europea di giudicato, in Int'l Lis, 2005,
62 e ss.; BOTELLA, La responsabilità du juge national, in Revue trimestrielle de droit européen, 2004, 283 e ss.; BREUER, State
liability for judicial wrongs and Community law: the case of Gerhard Kobler v Austria, in European Law Rewiew, 2004, 243 e
ss.; CALVANO, Corti supreme nazionali e responsabilità civile degli Stati per violazione del diritto comunitario. La rivoluzione
strisciante, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; CONTI, Giudici supremi e responsabilità per violazione del diritto
comunitario, in Danno e responsabilità, 2004, 26 e ss.; CURTIAL, La responsabilité du fait de l’activité des juridictions de l’ordre
administratif: un droit sous influence européenne?, in Actualités juridiques - Droit administratif, 2004, 428 e ss.; DE MARIA,
Recenti sviluppi della giurisprudenza comunitaria in materia di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto
comunitario, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2004, 879 e ss.; DI FEDERICO, Risarcimento del singolo per violazione del diritto
comunitario da parte dei giudici nazionali, il cerchio si chiude?, in Riv. Dir. Internaz. Privato e proc., 2004, 133 e ss.; DRAKE,
State Liability under Community Law for Judicial Error: A False Dawn for the Effective Protection of the Individual’s
Community Rights, in Irish Journal of European Law, 2004, 34 e ss.; FERRARO, L’illecito comunitario di un organo
giurisdizionale supremo, in Danno e Resp., 2007, 518 e ss. e 629 e ss.; GARDE, Member States’ Liability for Judicial Acts or
Omissions: Much Ado about Nothing?, in Cambridge Law Journal, 2004, 564 e ss.; GRANGER, National applications of
Francovich and the construction of a European administrative jus comune, in European Law Rewiew, 2007, 157 e ss.; JANS,
State liability and infringements attributable to national courts: a Dutch perspective on the Kobler case, in DE ZWAAN, JANS,
NELISSEN, BLOCKMAN, The European Union: un ongoing process of integration, Cambridge, 2004, 165 e ss.; LAJOLO DI
COSSANO, La responsabilità dello stato per violazione di diritto comunitario da parte dei giudici nazionali di ultima istanza, in
Dir. Comm. Internaz., 2006, 759 e ss.; MAGRASSI, Il principio di responsabilità risarcitoria dello Stato-giudice tra ordinamento
comunitario, interno e convenzionale, in Dir. Pubbl. Comparato Eu., 2004, 490 e ss.; MARI, La forza di giudicato delle decisioni
dei giudici nazionali di ultima istanza nella giurisprudenza comunitaria, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2004, 1007 e ss.; ROPPO,
Responsabilità dello Stato per fatto della giurisdizione e diritto europeo: una «case story?» in attesa del finale, in Riv. Dir. Priv.,
2006, 347 e ss.; SIMON, La responsabilité des Etats members en cas de violations du droit communautaire par une jurisdiction
supreme, in Juris Classeur Europe, 2003, 3 e ss.; TIRALONGO, Violazioni del diritto comunitario e la responsabilità degli Stati
membri. Una nuova interessante sentenza della Corte di giustizia europea, in Rass. Fisc. internaz., 2004, 40 e ss.; SCHULZE,
Gemeinschaftsrechtliche Staatshaftung: Das judikative Unrecht, in Zeitschrift fur europaisches Privatrecht, 2004, 1049 e ss.;
WATTEL, Köbler, Cilfìt und Welthgrove: we can’t go on meeting like this, in Common Market Law Review, 2004, 177 e ss.
Per un inquadramento più generale della problematica della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario, si
vedano: DI MAJO, Responsabilità e danni nelle violazioni comunitarie ad opera dello Stato, in Europa e Diritto Privato, 1998,
774 e ss.; TESAURO, Responsabilité des Etats Membres pour violation du droit communautaire, in Rev. Marché Un. Eur., 1996,
27 e ss. e TIZZANO, La tutela dei privati nei confronti degli Stati membri dell’Unione europea, in Foro It., 1995, IV, 13 e ss.;
nonché, più recentemente: CALZOLAIO, L’illecito dello Stato tra diritto comunitario e diritto interno. Una prospettiva
compararistica, Milano, 2004; FERRARO, La responsabilità risarcitoria degli Stati membri per violazione del diritto comunitario,
Milano, 2008; FUMAGALLI, La responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto comunitario, Milano, 2000 e
SCODITTI, La responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario, in Danno e Resp., 2005, 5, e ss.
Si cfr., infine, KOMÀREK, Federal elements in the Community judicial system: building coherence in the Community legal order,
in Common Market Law Review, 2005, 13 e ss., il quale ha descritto l’azione di responsabilità come un particolare mezzo di
ricorso in appello alla Corte di giustizia.
20
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 5 marzo 1996, in cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie du pêcheur, punto 32
(su cui si veda la nota di CATALANO, Responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario: atto secondo, in Foro It.,
12
In particolare, la considerazione del ruolo essenziale svolto dal potere giudiziario nella
tutela dei diritti che derivano ai singoli dalle norme comunitarie21 e la circostanza che un organo
giurisdizionale di ultimo grado costituisca, per definizione, l’ultima istanza dinanzi alla quale
essi possono far valere i diritti che l’ordinamento comunitario conferisce loro, ha indotto la Corte
ad affermare che la tutela di tali diritti sarebbe indebolita e, conseguentemente, la piena efficacia
delle norme comunitarie che conferiscono simili diritti sarebbe messa in discussione, se si
escludesse che i singoli possano ottenere, a talune condizioni, il risarcimento dei danni loro
arrecati da una violazione del diritto comunitario imputabile a una decisione di un organo
giurisdizionale di ultimo grado 22 .
Tale responsabilità, in ragione della specificità della funzione giurisdizionale e del
necessario rispetto del principio di certezza del diritto, è però ritenuta sussistente solo nel caso in
cui l’organo giurisdizionale che ha statuito in ultimo grado abbia violato in modo manifesto il
diritto vigente, avuto riguardo al grado di chiarezza e di precisione della norma violata, al
carattere intenzionale della violazione, alla scusabilità o inescusabilità dell’errore di diritto, alla
posizione adottata eventualmente da un’istituzione comunitaria, nonché, appunto, alla mancata
osservanza, da parte dell’organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio
pregiudiziale ai sensi dell’art. 234, 3° comma, T.C.E. 23 .
La posizione di interprete qualificato del diritto comunitario riconosciuta in capo alla Corte
di giustizia, quindi, non è solo garantita “a priori” mediante la sanzionabilità dell’obbligo di
rinvio, ma anche “a posteriori”, mediante il riconoscimento di un primato ermeneutico delle sue
decisioni, la cui violazione determina egualmente una responsabilità extracontrattuale dello Stato
membro.
Nella sentenza Köbler si precisa, infatti, che «in ogni è caso, una violazione del diritto
comunitario è sufficientemente caratterizzata allorché la decisione di cui trattasi è intervenuta
ignorando manifestatamente la giurisprudenza della Corte in questa materia».
1996, IV, 322 e ss.; Id., 1° giugno 1999, in causa C-302/97, Konle, punto 62; Id., 4 luglio 2000, in causa C-427/97, Haim, punto
27 (sulla quale si veda FERRARO, La sentenza «Haim II» e il problema della compatibilità del sistema di responsabilità extracontrattuale per illeciti della P.A. elaborato dalla Corte di giustizia con quello vigente in Italia, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com.,
2001, 416 e ss.).
21
In questo senso, si cfr.no le conclusioni dell’Avvocato generale Lèger, 8 aprile 2003, punto 53, in cui si sottolinea che
«costituite secondo il diritto, le Comunità europee si sono sviluppate e consolidate essenzialmente mediante il diritto. Il giudice
nazionale, avendo come compito quello di applicare il diritto, compreso il diritto comunitario, costituisce incontestabilmente un
elemento essenziale dell’ordinamento giuridico comunitario».
22
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 30 settembre 2003, in causa C-224/01, Köbler, punti 33-36.
23
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 30 settembre 2003, in causa C-224/01, Köbler, punti 53-55.
13
Le medesime argomentazioni sono state successivamente richiamate nella sentenza
Traghetti del Mediterraneo 24 , su cui vale la pena brevemente soffermarsi, trattandosi di una
decisione destinata ad incidere sullo statuto della responsabilità dei magistrati previsto nel nostro
ordinamento dalla legge n. 117 del 1988 25 .
In quell’occasione, la Corte di giustizia delle Comunità Europee è stata chiamata a
pronunciarsi su una domanda pregiudiziale proposta nell’ambito di un giudizio di ammissibilità
della domanda di risarcimento - presentata dal curatore fallimentare di una società, Traghetti del
Mediterraneo, ai sensi della L. n. 117 del 1988 al Tribunale di Genova - a causa degli errori
commessi dalla Corte di Cassazione nell’interpretazione delle norme del Trattato in materia di
aiuti di Stato nonché in ragione della violazione dell’obbligo di rinvio che ai sensi dell’art. 234,
3° comma, T.C.E., nell’ambito di una causa promossa nei confronti di un’altra società di
navigazione, Tirrenia, che aveva abusato della propria posizione dominante sul mercato in
ragione di sovvenzioni pubbliche di dubbia legittimità alla luce del diritto comunitario 26 .
24
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 13 giugno 2006, in causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo S.p.a.
Per un approfondimento sulle conseguenze di questa decisione si vedano: CONTI, Responsabilità per atto del giudice, legislazione
italiana e Corte UE: una sentenza annunciata, in Corr. Giur., 2006, 1515 e ss.; BIFULCO, L’attività interpretativa del giudice non
è esente da responsabilità (a proposito della sentenza della Corte di giustizia 13 giugno 2006, C-173/03, Traghetti del
Mediterraneo S.p.A.), in www.giustamm.it; BIONDI, Un “brutto” colpo per la responsabilità civile dei magistrati (nota a Corte di
giustizia, sentenza 13 giugno 2006, TDM contro Italia), in www.forumcostituzionale.it; GIOVANETTI, La responsabilità civile dei
magistrati come strumento di nomofilachia? Una strada pericolosa, in Foro It., 2006, IV, 423 e ss.; LUISO, La responsabilità
civile del magistrato, in www.judicium.it; MANGIARACINA, Responsabilità dello Stato membro per danni arrecati ai singoli a
seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale - Nota a CGCE Grande sezione 13
giugno 2006 (causa C-173/03), ivi, 2008, 247 e ss.; PALMIERI, Corti di ultima istanza, diritto comunitario e responsabilità dello
Stato: luci ed ombre di una tendenza irreversibile, in Foro It., 2006, IV, 420 e ss.; PETRUSO, Osservazioni sulla responsabilità
dello Stato membro per illecito comunitario alla luce della recente giurisprudenza della Corte Europea di Giustizia, in Europa e
diritto privato, 2006, 693 e ss., ed, infine, SCODITTI, Violazione del diritto comunitario derivante da provvedimento
giurisdizionale: illecito dello Stato e non del giudice, in Foro It., 2006, IV, 417 e ss.
Per un generale inquadramento della responsabilità dei giudici in Europa si vedano le Relazioni al Congresso dell’European
Network of Councils for the Judiciary, “The Responsibility of Judges in Europe”, Barcellona, 2-3 giugno 2005, consultabili su
www.csm.it/pages/ENCJ/ENCJ%20conference%2OrepoH%2OBarcelona.pdf ed il saggio del Presidente della Corte Skouris al
Convegno su “The Position of Constitutional Courts Following Integration into the European Union”, Bled, 30 Settembre - 2
ottobre, 2004 consultabile su www.us-rs.si/en.
25
Per un commento alla legge n. 117 del 1988 si veda CICALA, La responsabilità civile del magistrato, IPSOA, 1988 con in
appendice gli atti parlamentari, nonché, in generale, tra i tanti, CAPPELLETTI, Giudici irresponsabili?, Milano, 1988; CIRILLO,
SORRENTINO, La responsabilità del giudice, Napoli, 1989; CORSARO, POLITI, La cosiddetta responsabilità del giudice, in Giur. It.,
1989, IV, 366; PICARDI, VACCARELLA, La responsabilità civile dello Stato giudice, Padova, 1990. Con riferimento agli
ordinamenti, come quelli di common law, in cui vige il principio della immunity from civil liability, e, quindi, dell’assoluta
irresponsabilità del giudice, si cfr.no: VARANO, Responsabilità del magistrato, in Dig. disc. civ., 1998, XVII, 112 e ss.;
CAPPELLETTI, Giudici, cit.; GIULIANI, PICARDI, Professionalità e responsabilità, cit.
26
La Traghetti del Mediterraneo era stata infatti parte attrice di un giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli, nel quale aveva
convenuto la Tirrenia di Navigazione al fine di ottenere il risarcimento del pregiudizio che essa avrebbe subito, negli anni
precedenti, a causa della politica di tariffe notevolmente inferiori al prezzo di costo praticata da quest’ultima grazie al
conseguimento di sovvenzioni pubbliche. Più in particolare, ad avviso della società Traghetti, un tale comportamento della
concorrente doveva essere qualificato come atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598, n. 3, del codice civile italiano: la
società invocava pertanto la violazione degli artt. 85, 86, 90 e 92 T.C.E. (oggi artt. 81, 82, 86, e 87 T.C.E.), sostenendo che la
Tirrenia aveva abusato della propria posizione dominante sul mercato in questione in ragione delle sovvenzioni pubbliche di
dubbia legittimità alla luce del diritto comunitario. Tale domanda di risarcimento era stata respinta dal Tribunale di Napoli con la
sentenza del 26 maggio 1993, poi confermata in appello dalla sentenza del 13 dicembre 1996, sul presupposto che le sovvenzioni
concesse dalle autorità statali fossero legittime in quanto perseguivano obiettivi di interesse generale connessi, in particolare, allo
sviluppo del Mezzogiorno ed in quanto, in ogni caso, non recavano pregiudizio all’esercizio di attività di trasporto marittimo
diverse e concorrenti rispetto a quelle censurate dalla società Traghetti.
14
Più in particolare, il Tribunale di Genova, chiamato a pronunciarsi sull’ammissibilità della
domanda di risarcimento dei danni ex art. 5 della L. n. 117 del 1988, aveva ritenuto pregiudiziale
stabilire se uno Stato membro risponda a titolo di responsabilità extracontrattuale nei confronti
dei cittadini per i danni da questi subiti derivanti da violazioni del diritto comunitario da parte di
un organo giurisdizionale di ultimo grado, in particolare in ragione del mancato assolvimento
dell’obbligo di rinvio pregiudiziale e, in caso di risposta affermativa, se sia compatibile con il
diritto comunitario una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità
dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto
comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la
violazione controversa risulta da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione
dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale ovvero che limiti la sussistenza di
tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice (art. 2 L. n. 117/88) 27 .
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli il curatore fallimentare della società Traghetti aveva proposto ricorso in
Cassazione, nell’ambito del quale invitava la Suprema Corte a sottoporre alla Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 234, 3° comma,
T.C.E., le pertinenti questioni d’interpretazione del diritto comunitario.
Con sentenza n. 5087 del 19 aprile 2000 (pubblicata in Foro It., 2000, I , 2824, con nota di PARDOLESI. Si vedano inoltre i
commenti di ARNAUDO, Aiuti di Stato, tariffe e concorrenze: tra competenze chiuse e questioni aperte, in Riv. It. Dir. Pubbl.
Com., 2000, 1368 e ss., MANZELLA, «Marina sovvenzionata», «predatoty pricing» ed Unione europea, in Giorn. Dir. Amm.,
2001, 33 e ss., ROMAGNOLI, In tema di aiuti di Stato a finalità regionale concessi ad imprese che gestiscono servizi di interesse
economico generale, in Riv. Dir. Ind., 2002, II, 26 e ss.) la Corte di Cassazione aveva però rifiutato di accogliere tale istanza,
ritenendo che la soluzione adottata dai giudici di merito rispettasse la lettera delle disposizioni del Trattato ed fosse, per di più,
perfettamente conforme alla giurisprudenza della Corte, in particolare alla sentenza del 22 maggio 1985, pronunciata nella causa
C-13/83, Parlamento/Consiglio. Con riferimento all’asserita violazione delle norme del Trattato in materia di aiuti di Stato,
aveva invece affermato che gli artt. 90 e 92 T.C.E. consentivano di sottrarsi in taluni casi, come in quello in questione, al
generale divieto di aiuti di Stato, al fine di favorire lo sviluppo economico di regioni svantaggiate o di rispondere a domande di
beni e servizi che non possano essere pienamente soddisfatte in un regime di libera concorrenza. Aveva poi giudicato infondato il
motivo di ricorso relativo all’asserita violazione degli artt. 85 e 86 T.C.E., in quanto, all’epoca dei fatti della controversia,
l’attività di cabotaggio marittimo non era ancora stata liberalizzata e in quanto la natura limitata e il modesto contesto geografico
di tale attività non consentivano di individuare chiaramente il mercato rilevante.
Ritenendo che tale pronuncia fosse fondata su un’errata interpretazione delle norme del Trattato in materia di concorrenza e di
aiuti di Stato e sulla premessa erronea dell’esistenza di una giurisprudenza costante della Corte in materia, il curatore fallimentare
della società Traghetti aveva quindi citato la Repubblica italiana dinanzi al Tribunale di Genova per ottenere la condanna di
quest’ultima al risarcimento del danno subito a causa degli errori di interpretazione commessi dalla Corte di Cassazione, nonché
in ragione della violazione dell’obbligo di rinvio che graverebbe a carico di organo giurisdizionale di ultimo grado ai sensi
dell’art. 234, 3° comma, T.C.E.
27
Con lettera 13 gennaio 2004, il Tribunale di Genova, aveva poi riconosciuto che la sentenza Köbler avesse nel frattempo
fornito una risposta esauriente alla prima delle due questioni da esso proposte, risultando utile mantenere solo la seconda
questione.
A seguito della sentenza Köbler , l’art. 2 della legge n. 117 è stato anche oggetto di una pronuncia di disapplicazione. Si tratta di
un decreto (Trib. Roma, decreto 29 settembre 2004, in Dir. e Giust., 2004, 80) con il quale il Tribunale di Roma ha dichiarato
ammissibile la domanda risarcitoria presentata da uno studente per i danni subiti a seguito di una sentenza, con la quale il
Consiglio di Stato aveva rigettato l’impugnazione del provvedimento di diniego del servizio di leva per motivi di studio, sulla
base dei seguenti rilievi: «già il Tribunale di Genova ha dubitato della compatibilità con la normativa comunitaria delle
limitazioni che la legge 117/88 pone all’esercizio dell’azione risarcitoria da parte dei cittadini. Il Tribunale di Genova ha con
puntualità richiamato la sentenza della Corte di Giustizia Ce del 5 marzo 1996 nelle cause riunite C-46/93 e C-48/93, Brasserie
du Pecheur (…) La Corte, pur prendendo esplicitamente atto che “il rispetto dell’autorità della cosa definitivamente giudicata o
dell’indipendenza di giudici hanno potuto ispirare ai sistemi di diritto nazionale restrizioni, talvolta severe, alla possibilità di far
dichiarare la responsabilità dello Stato per i danni causati da decisioni giurisdizionali erronee” ha escluso che la preoccupazione
di salvaguardare detti valori possa sfociare nell’esclusione in radice di ogni responsabilità dello Stato e, conseguentemente, nella
violazione del principio “secondo cui gli stati membri sono obbligati a riparare i danni causati ai singoli dalle violazioni del
diritto comunitario che sono loro imputabili” neppure nel caso in cui “la violazione di cui trattasi deriva da una decisione di un
organo giurisdizionale di ultimo grado (…) Infatti, il ricorrente in un’azione di responsabilità contro lo Stato ottiene, in caso di
15
Nel giudizio dinanzi alla Corte giustizia, la società Traghetti ha sostenuto la tesi della non
conformità al diritto comunitario della disposizione sull’esclusione della responsabilità,
argomentando che la valutazione dei fatti e delle prove nonché l’interpretazione delle norme di
diritto sono inerenti all’attività giurisdizionale sicché l’esclusione, in tali casi, della
responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli a seguito dell’esercizio di tale attività
equivarrebbe, in pratica, ad esonerare quest’ultimo da ogni responsabilità per violazioni del
diritto comunitario imputabili al potere giudiziario.
Anche la Commissione ha rilevato la non compatibilità con il diritto comunitario della L. n.
117/88, nei limiti in cui il presupposto del dolo o colpa grave del giudice sottoponga la
responsabilità dello Stato italiano a condizioni più rigorose di quelle connesse ad una grave
violazione del diritto comunitario. La stessa ha ritenuto inaccettabile la regola dell’esclusione
della responsabilità per errori connessi all’attività interpretativa in quanto, nei casi dubbi, il
Trattato impone ai giudici di ultima istanza una scelta procedurale precisa, ossia il rinvio
pregiudiziale, in modo da garantire l’intervento decisivo della Corte di giustizia.
Al contrario, il governo italiano, sostenuto, su tale punto, dai governi greco, olandese,
irlandese e del Regno Unito 28 , si è espresso nel senso della conformità al diritto comunitario
successo, la condanna di quest’ultimo a risarcire il danno subito ma non necessariamente che sia rimessa in discussione la
statuizione della sentenza di ultimo grado che ha cagionato il danno. Orbene evidente è l’interferenza tra il principi di diritto
enunciato nelle sentenze sopra citate e l’articolo 2, comma 2, della legge 117/88, la quale, se applicata, costituirebbe una
limitazione all’attuazione del principio comunitario».
A tale proposito, si cfr. in senso critico SCODITTI, Violazione del diritto comunitario derivante da provvedimento giurisdizionale:
illecito dello Stato e non del giudice, cit., il quale sostiene l’inapplicabilità della legge n. 117 all’ipotesi di responsabilità degli
organi giurisdizionali per violazione del diritto comunitario, sostenendo che «nel caso di responsabilità dello Stato per violazione
comunitaria derivante da provvedimento giurisdizionale non trova applicazione la 1. 117/88 perché la fattispecie non è di illecito
giudiziario, ma dello Stato in senso proprio. I1 problema non è di difformità della legge italiana rispetto all’ordinamento
comunitario, ma di mancanza dei presupposti di applicabilità della normativa in discorso. Allo stato, in mancanza di una specifica
disciplina sostanziale e processuale, l’azione di responsabilità troverebbe titolo nell’art. 2043 c.c. e seguirebbe le forme ordinarie.
Ne discende l’inapplicabilità della rivalsa da parte dello Stato nei confronti del magistrato prevista dall’art. 7 1. 117/88 (ché,
altrimenti, dovrebbe consentirsi una rivalsa in mancanza di dolo o colpa grave, o per attività d’interpretazione ed applicazione di
norme). Un’eventuale rivalsa, nei casi di violazione manifesta del diritto comunitario, avrebbe bisogno di una norma ad hoc, che
disciplini comunque i caratteri della fattispecie e fissi dei limiti. Ciò non vuol dire che una sentenza a seguito di domanda
risarcitoria nei confronti dello Stato per violazione comunitaria ai sensi della 1. 117/88 non abbia efficacia di giudicato in un
giudizio di responsabilità proposto successivamente nelle forme ordinarie (e viceversa). I1 diritto soggettivo fatto valere è il
medesimo e le due controversie sarebbero dunque identiche. Pur nella diversità di fattispecie legali, il fatto costitutivo resta
unico. Il nesso ricorrente fra le due fattispecie è di specialità, nel senso che la fattispecie di responsabilità comunitaria dello Stato
comprende quella di diritto interno, caratterizzata dal danno cagionato nell’esercizio di funzioni giudiziarie, ma con l’elemento
ulteriore dato dalla violazione (manifesta) del diritto comunitario e dall’imputabilità del danno alla condotta dello Stato anziché a
quella del giudice. La disciplina della fattispecie di responsabilità di diritto interno contempla limiti, derivanti dalla ricorrenza
dell’esercizio di funzioni giudiziarie, che quella della fattispecie di diritto comunitario, come si è visto, non prevede per
l’irrilevanza dell’organo agente. Va da sé che, pur dovendosi riconoscere l’efficacia di giudicato di un’eventuale pronuncia ai
sensi della l. 117/88, la fattispecie legale applicabile è quella della responsabilità dello Stato per violazione comunitaria».
28
In particolare i governi irlandese e del Regno Unito hanno sostenuto la posizione, ancora più radicale, secondo cui gli Stati
membri non possano essere ritenuti responsabili delle eventuali violazioni del diritto comunitario imputabili al potere giudiziario:
ciò in ragione del principio della separazione dei poteri e dell’indipendenza del potere giudiziario nonché della necessità di
garantire il rispetto della cosa giudicata. Il governo del Regno Unito ha inoltre fatto riferimento alle conclusioni dell’Avvocato
generale Geelhoed nella causa C-129/00 per sostenere che il ricorso per inadempimento costituisce la via più appropriata per
sanzionare una violazione del diritto comunitario imputabile a un giudice nazionale di quella del ricorso per il risarcimento dei
danni contro gli Stati membri, e ciò tanto a causa della scelta del giudice chiamato a pronunciarsi su tale ricorso per
16
della normativa nazionale, in quanto essa realizzerebbe un giusto equilibrio tra la necessità di
preservare l’indipendenza del potere giudiziario e gli imperativi della certezza del diritto, da un
lato, e la concessione di una tutela giurisdizionale effettiva ai singoli nei casi più evidenti di
violazioni del diritto comunitario imputabili al potere giudiziario, dall’altro lato.
In sede di intervento orale il governo italiano ha inoltre prospettato la possibilità di
interpretare la normativa in senso conforme ai principi enunciati nella sentenza Köbler: ha così
evidenziato che l’art. 2, 3° comma, lett. a), della L. n. 117/88 dispone che costituisca colpa
grave (fonte di responsabilità dello Stato) “la grave violazione di legge determinata da
negligenza inescusabile” e che una simile formulazione venga di fatto a coincidere con il
concetto di “violazione grave e manifesta del diritto comunitario”, che la Corte ritiene necessario
per configurare una responsabilità dello Stato per danni, con la conseguenza che lo Stato sarà
responsabile anche nel caso in cui un giudice abbia interpretato una norma di diritto comunitario,
allorché tale interpretazione costituisca “grave violazione di legge determinata da negligenza
inescusabile”, corrispondente alla “violazione grave e manifesta” elaborata dalla Corte di
giustizia.
Tale impostazione non è stata però condivisa dall’Avvocato generale Léger 29 , il quale ha
del pari respinto gli argomenti fondati sulla necessità che fossero rispettati i principi di
indipendenza dei giudici e di autorità della cosa definitivamente giudicata, ricordando che «se la
specificità della funzione giurisdizionale nonché le legittime esigenze della certezza del diritto
inadempimento, ossia la Corte di giustizia e non i giudici nazionali, quanto con riferimento alla procedura applicata, che ben si
presta ad un esatto accertamento dei fatti.
29
Si cfr.no le Conclusioni dell’Avvocato generale Léger, 11 ottobre 2005, in causa C-173/03, punti 44-46. A ben vedere però
l’interpretazione della disposizione prospettata dallo Stato italiano, che l’Avvocato generale ha ritenuto non coincidente con
quella proposta dal giudice di rinvio, era conforme all’orientamento della Corte di Cassazione (Cass., Sez. I, 20 settembre 2001,
nn. 11859 e 11880, in Foro It., 2004, I, 3356 con nota di SCARSELLI, La responsabilità del giudice nei limiti del principio di
indipendenza della magistratura). La Suprema Corte aveva infatti avuto modo di affermare che «il legislatore del 1988, nel
tracciare i limiti della responsabilità del magistrato, si è ispirato, almeno in via tendenziale, al principio di tassatività, prevedendo
alcuni comportamenti tipici integranti la colpa grave, pur con il temperamento della ipotesi aperta della “grave violazione di
legge determinata da negligenza inescusabile”, la cui formulazione per clausole generali rende certamente più complesso definire
i confini della condotta considerata. È, peraltro, evidente che ogni altra ipotesi di colpa non riconducibile ad una delle fattispecie
espressamente previste non determina quella imputazione allo Stato che integra il titolo di responsabilità, e successivamente
legittima la rivalsa. (…) Peraltro, la già richiamata interazione tra la clausola di salvaguardia contenuta nel comma 2 dell'art. 2 diretta a tutelare, come gia osservato, il principio del libero convincimento del giudice - con le diverse ipotesi di colpa grave
previste nel comma 3 dello stesso art. 2 impone di far salva l’attività ermeneutica e quella valutativa. Ciò vale a dire, in relazione
alla fattispecie indicata sub a), che il giudice non risponde degli errori di diritto determinati da un'erronea opzione ermeneutica: la
“grave violazione di legge”, posta in termini di contrapposizione con l'attività tutelata di “interpretazione”, viene così a
sostanziarsi nella violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma, ovvero - secondo una tipologia elaborata dalla
dottrina - nella interpretazione del suo significato in termini contrastanti con ogni criterio logico, nell'adozione di scelte
aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore, nella manipolazione arbitraria del testo normativo, nello
sconfinamento nel diritto libero, mentre resta nell’area di esenzione da responsabilità la lettura della legge secondo uno dei
significati possibili, sia pure il meno probabile e convincente, quando dell'opzione interpretativa seguita si dia conto e ragione
nella motivazione (v. in tal senso anche i lavori preparatori). Sulla base di tali principi è possibile quindi, ravvisare il discrimine
tra attività interpretativa tutelata e colpa grave ritenendo fonte di responsabilità quei comportamenti, atti e provvedimenti che non
possono considerarsi manifestazioni di discrezionalità interpretativa esplicata all'interno della dialettica processuale, ma appaiono
determinati da una inescusabile e macroscopica negligenza del magistrato nella lettura del complesso normativo» (corsivo
nostro).
17
sono state prese in considerazione dalla Corte e l’hanno così portata a limitare la responsabilità
dello Stato al «caso eccezionale in cui il giudice [vale a dire un organo giurisdizionale supremo]
ha violato in maniera manifesta il diritto vigente», resta pur sempre il fatto che essa ha
considerato che né il principio dell’indipendenza dei giudici né quello dell’autorità della cosa
definitivamente giudicata possono giustificare l’esclusione generale di qualsiasi responsabilità
dello Stato in caso di violazione del diritto comunitario imputabile a siffatto organo
giurisdizionale» con la conseguenza che «tali principi, anche quando rivestono valenza
costituzionale, non possono neppure giustificare l’esclusione della responsabilità di uno Stato
nell’ipotesi specifica in cui la violazione del diritto comunitario ad opera di un organo
giurisdizionale supremo sia connessa all’interpretazione di norme di diritto. Ammettere il
contrario equivarrebbe a privare di sostanza o di effetto utile il principio della responsabilità
dello Stato per fatto degli organi giurisdizionali supremi che è stato sancito dalla Corte nella
citata Köbler» 30 .
La tesi dell’Avvocato generale è stata condivisa dalla Corte giustizia che si è quindi
espressa nel senso della non conformità con il diritto comunitario della legislazione nazionale
che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai
singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale
di ultimo grado, precisando altresì che una limitazione di tale responsabilità ai soli casi di dolo o
colpa grave del giudice non deve essere tale da escludere la sussistenza della responsabilità dello
Stato membro interessato nei casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto
vigente 31 .
In conclusione, l’obbligo di rinvio pregiudiziale viene reso stringente “indirettamente”, non
solo attraverso il riconoscimento della responsabilità risarcitoria in capo alla Stato membro per
l’omissione commessa dai giudici nazionali di ultima istanza ma, con particolare riferimento
all’ordinamento italiano, mediante l’eventuale necessità di disapplicare la clausola di esonero di
responsabilità connessa all’attività interpretativa prevista dalla L. n. 117/88.
30
Conclusioni dell’Avvocato generale Léger, 11 ottobre 2005, in causa C-173/03, punti 50-52.
Rileva BIFULCO (L’attività interpretativa del giudice non è esente da responsabilità, cit.) che la conclusione della Corte
«risulta in fondo obbligata. In primo luogo, proprio il concreto comportamento dell’organo giurisdizionale che ha dato luogo al
giudizio di responsabilità - vale a dire la mancata osservanza, da parte dell’organo giurisdizionale, del suo obbligo di rinvio
pregiudiziale - era stato assunto nella sentenza Köbler come un’ipotesi paradigmatica di violazione manifesta. In secondo luogo,
non si può negare la fondatezza dell’argomentazione dell’avvocato Léger (p. 89 delle conclusioni) secondo cui la vigilanza sugli
aiuti di stato, spettante anche al giudice nazionale, implica diverse operazioni di qualificazione giuridica dei fatti (nel caso di
specie si trattava anche di valutare se il provvedimento controverso costituisse o meno un aiuto di Stato)».
31
18
3. La sospensione del processo nazionale in pendenza di «questioni comunitarie» −
L’altro meccanismo che contribuisce a rafforzare il ruolo nomofilattico della Corte di giustizia è
quello della sospensione del processo nazionale in pendenza di «questioni comunitarie», la cui
operatività nel nostro ordinamento risulta alquanto problematica con riferimento all’ipotesi della
previa pendenza di una questione comunitaria, comunque rilevante, già prospettata da altro
giudice.
A norma dell’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia «la decisione della giurisdizione
nazionale, che sospende la procedura e si rivolge alla Corte, è notificata a quest’ultima a cura del
giudice nazionale». Tale disposizione è stata recepita in Italia dall’art. 3 della legge n. 204 del
1958, secondo cui «gli organi della giurisdizione ordinaria e speciale emettono ordinanza con la
quale, riferiti i termini e i motivi della istanza, con cui fu sollevata la questione, dispongono la
immediata trasmissione degli atti alla Corte di giustizia e sospendono il giudizio in corso». Sia lo
Statuto della Corte, dunque, sia la legge di esecuzione del Trattato non contemplano l’ipotesi in
cui giudice debba definire una controversia la cui risoluzione dipenda dalla decisione di una
«questione comunitaria» preventivamente prospettata alla Corte da altro giudice.
Conseguentemente ci si è domandati se in una tale circostanza fosse invocabile la c.d.
sospensione necessaria del processo prevista dall’art. 295 del codice di procedura civile, secondo
cui «il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice
deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa» 32 .
Al riguardo, la dottrina 33 ha escluso che la «questione pregiudiziale comunitaria» potesse
rientrare nel concetto di pregiudizialità di cui all’art. 295: la sospensione necessaria sarebbe
difficilmente applicabile, considerando che il procedimento che si instaura ai sensi dell’art. 234
T.C.E. non può essere considerato una “controversia” (come invece è richiesto dall’art. 295
c.p.c.) e non ha una sua autonomia rispetto al giudizio a quo.
In tal senso si è inizialmente espressa la Corte di Cassazione, precisando che «allorquando
si ponga, in un giudizio civile pendente dinanzi a giudice italiano non di ultima istanza, una
questione di interpretazione di disposizioni del Trattato istitutivo della Comunità europea o di
atti di diritto derivato (regolamenti, direttive, decisioni e ogni altro atto “comunitario” produttivo
32
Sul tema della sospensione del processo civile di cognizione si vedano MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, 2004;
SATTA, PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 2000; CIPRIANI, Le sospensioni del processo civile per pregiudizialità, in Riv.
Dir. Proc. Civ., 1984, 239 e ss.; MONTESANO, La sospensione per dipendenza di cause civili e l’efficacia dell’accertamento
contenuto nelle sentenze, in Riv. Dir. Proc. Civ., 1983, 385 e ss.; LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, Milano, 1981;
DENTI, voce «Questioni pregiudiziali (dir. proc. civ.)», in Noviss. Dig. It.; XIV, Torino, 1967; CHIAVARIO, voce «Giudizi
(rapporto tra)», in Enc. Dir., XVIII, Milano, 1969; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1966; ANDRIOLI,
Commentario al codice di procedura civile, Napoli, 1956.
33
TRISORIO LIUZZI, La sospensione del processo civile di cognizione, Bari, 1987, 249 e ss.; BRIGUGLIO, Pregiudiziale
comunitaria e processo civile, Padova, 1996, 347 e ss.
19
di effetti giuridici), ritenute applicabili per la decisione della controversia, il giudice, ove non
ritenga di poter procedere, direttamente ed immediatamente, all’interpretazione (ed
all’applicazione) del diritto comunitario “rilevante” nella fattispecie, deve investirne la Corte di
giustizia della Comunità europea e sospendere il giudizio in corso alle condizioni, nelle forme e
con le modalità stabilite dagli artt. 177 del Trattato, 20 del Protocollo sullo Statuto della Corte, e
3 comma 1 della legge n. 204 del 1958 (cfr., “supra”, lett. A e B), con conseguente abnormità (e,
quindi, illegittimità) di forme e modalità diverse da quelle ivi previste» 34 .
Tale impostazione è stata in particolare supportata dall’argomento dell’analogia tra la
sospensione del processo per “pregiudiziale costituzionale”, ai sensi dell’art. 23, 2° comma, della
legge n. 87 del 1953 35 , e la sospensione in pendenza di “questioni comunitarie”.
In proposito, per quanto attiene alla sospensione del giudizio “pregiudicato” da precedente
promovimento di questione “incidentale” di legittimità costituzionale, la tesi dell’applicazione
dell’art. 295 c.p.c. fu avanzata, nei primi anni dell’attività della Corte, dal Presidente Azzariti,
secondo i giudici, avendo notizia delle questioni pendenti in Gazzetta Ufficiale, «nel caso che
venissero sollevate davanti a loro identiche questioni, (…) dovrebbero limitarsi a sospendere il
giudizio in corso ed attendere la decisione che la Corte pronunzierà su di esse» 36 .
A tale impostazione non ha però aderito la dottrina maggioritaria 37 , secondo cui la
relazione tra la fattispecie di sospensione del processo ex art. 295 c.p.c. e quella prevista dall’art.
34
Cass., 14 settembre 1999, n. 9813, in Giust. Civ., 1999, I, 3273 (con nota di BRIGUGLIO, Sospensione per pregiudizialità
comunitaria e regolamento di competenza) pronunciata nel corso di un procedimento promosso da una società, al fine di ottenere
la restituzione delle somme versate a titolo di concessione governativa per l’iscrizione della stessa al registro delle imprese negli
anni 1985-1992. Si cfr. anche MASTROIANNI, Rinvio pregiudiziale e sospensione del processo civile: la Cassazione è «più
realista del re»?, in Dir. Un Eur., 2000, 91 e ss.
La Corte di Cassazione, nella sentenza 24 maggio 2002, n. 7636 (in www.judicium.it con nota di BALLARINO, Sospensione per
pregiudizialità comunitaria e codice di rito) si è inoltre occupata del rapporto tra le “questioni comunitarie” e l’art. 42 c.p.c.,
secondo cui sono impugnabili con regolamento di competenza i provvedimenti che dichiarano la sospensione del processo ai
sensi dell’art. 295, esprimendosi nel senso che «l'ordinanza con cui il giudice di merito solleva in via incidentale una questione
pregiudiziale ai sensi dell'art. 234 (“olim” art. 177) del Trattato istitutivo della Comunità europea, disponendo conseguentemente
la trasmissione degli atti alla Corte di giustizia e la sospensione del giudizio in corso davanti a lui, non è impugnabile con il
regolamento di competenza, essendo estranea, al controllo che la Corte di Cassazione svolge sui provvedimenti di sospensione
del processo ai sensi dell'art. 295 c.p.c., la verifica della correttezza giuridica delle premesse interpretative alla base
dell'investitura dell'organo di giustizia comunitaria, restando salvo il sindacato che, su tali premesse, il giudice di legittimità
esercita in sede di ricorso ordinario contro la decisione assunta a conclusione del giudizio di merito».
35
A norma dell’art. in questione «l’autorità giurisdizionale, qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla
risoluzione della questione di legittimità costituzionale o non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata,
emette ordinanza con la quale, riferiti i termini ed i motivi della istanza con cui fu sollevata la questione, dispone l’immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso».
36
Discorso pubblicato in Giur. Cost., 1957, 878 e ss.
37
Cfr. CAPPELLETTI, La pregiudizialità costituzionale nel processo civile, Milano, 1957; BISCARETTI DI RUFFIA, In tema di
sospensione del processo di rimessione alla Corte costituzionale delle questioni di legittimità costituzionale, in Foro It., 1957,
699; STENDARDI, L’eccezione ai sensi dell’art. 23 L. 11 marzo 1953 n. 87 e l’ordinanza del giudice ordinario, in Foro Pad.,
1956, IV, 90; in senso contrario si vedano BARALDI, La questione di legittimità costituzionale e i provvedimenti del giudice civile,
in Giur. It., 1958, IV, 1 e CALAMANDREI, Corte costituzionale e Autorità giudiziaria, in Riv. Dir. Proc. Civ., 1956, 41.
20
23 della L. n. 87 sarebbe di genus ad speciem, in ragione delle differenze fra l’una e l’altra
ipotesi di sospensione sotto il profilo dei presupposti, della struttura e degli effetti 38 .
La sospensione di cui all’art. 23 è stata così definita “impropria”, in quanto «il processo si
sospende solo apparentemente, ma in realtà continua, deviato, davanti a un altro giudice per lo
svolgimento di una sua fase speciale, determinata dalla necessità di far decidere una delle
questioni del processo da un giudice esclusivamente competente» 39 .
Anche in giurisprudenza si è consolidato l’orientamento che ritiene non invocabile l’art.
295 c.p.c., cosicché il giudice «chiamato ad applicare una norma per la quale pende dinanzi alla
Corte costituzionale giudizio di legittimità, se ritenga non manifestatamente infondata la
questione di costituzionalità, deve a sua volta sollevare incidente di costituzionalità
contestualmente sospendendo il giudizio dinanzi a sé pendente» e, quindi, «l’incidente di
legittimità costituzionale determina la sospensione del giudizio nel quale è stato sollevato (…) e
non può essere invocato quale ragione di sospensione di altro processo» 40 .
Un’ipotesi di sospensione “impropria” sarebbe dunque ravvisabile anche per la rimessione
di questioni dinanzi alla Corte di giustizia, non potendosi invocare l’art. 295 c.p.c.
Con l’ordinanza 21 giugno 2006, n. 14411 41 , pronunciata nell’ambito di un ricorso per
regolamento di competenza 42 , la Cassazione è tuttavia tornata ad occuparsi del problema della
38
Mentre infatti l’art. 295 presuppone una questione già pendente, in rapporto di identità soggettiva con quella principale, e che,
nel caso concreto, non possa essere risolta incidentalmente dallo stesso giudice, il quale è tenuto a valutarne la necessaria
pregiudizialità logica e giuridica, la sospensione per incidente di costituzionalità è disposta, a seguito della ulteriore verifica della
non manifesta infondatezza, con il provvedimento che dà inizio al giudizio costituzionale, che non è un processo tra le parti del
giudizio a quo e che, infine, non può essere oggetto di autonoma domanda di accertamento incidentale ai sensi dell’art. 34 c.p.c.
Per un’analisi più puntuale di tali differenze si veda D’AMICO, Sospensione del processo e questione di costituzionalità pendente,
in Riv. Dir. Civ., 1988, II, 76.
39
LIEBMAN, Sulla sospensione propria ed impropria del processo civile, in Riv. Dir. Proc., 1958, 153.
40
Da ultimo Cass., 6 ottobre, 1988 n. 5414 del 1988, in Foro it., Rep. 1988, voce Corte costituzionale, n. 73; nonché in
precedenza Id., 3 giugno 1983, n. 3783, ivi, Rep. 1983, voce Corte costituzionale, n. 39; Id., 30 ottobre 1979, n. 5681, in Foro It.,
1980, I, 1041; 15 dicembre 1977, n. 5457, in Foro It., Rep. 1978, voce Procedimento civile, n. 200; 3 agosto 1977, n. 3454, in
Foro It., 1978, I, 698. Sul tema inoltre ha avuto modo di intervenire la Corte costituzionale, che, con l’ordinanza 18 aprile 1983,
n. 100 (in Giur. Cost., 1983, 424 e ss.) ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale
degli art. 23 e 30 della L. n. 87 del 1953, nella parte in cui non prevedono l’obbligatoria sospensione di tutti i procedimenti nei
quali sia applicabile una norma già impugnata per sospetta incostituzionalità, in quanto «il giudice a quo non poteva porsi un
problema di costituzionalità della norma che impone la sospensione del giudizio, quando di tale norma non poteva affermare
l’applicabilità, non avendo delibato la questione di legittimità costituzionale della norma penale sostanziale la cui violazione era
stata contestata dall’imputato». Fanno riferimento all’art. 23 della L. 87, seppur sotto altri profili, anche Corte cost., 16 dicembre
1982, n. 225, in Giur. Cost., 1985, 2255 e ss.; Id., 9 maggio 1997, n. 130, ivi, 1997, 1483 e ss.; Id., 16 aprile 1998, n. 130, ivi,
1998, 1023.
41
La decisione è pubblicata in Foro It., 2007, I, 1886, con nota di PORRECA, Giudizio comunitario di annullamento e sospensione
ex art. 295 c.p.c. Negli stessi termini si veda, in precedenza, l’ordinanza 21 giugno 2006, n. 14357.
42
Più in particolare la Corte era stata chiamata a pronunciarsi su un ricorso per regolamento di competenza presentato dall’Inps
in un giudizio instaurato nei confronti di alcune imprese per la restituzione di incentivi attribuiti nella forma di sgravi degli oneri
sociali, in precedenza qualificati dalla Commissione Europea come aiuti di stato.
Le imprese avevano infatti proposto opposizione al Tribunale di Venezia, chiedendo, in via preliminare, la sospensione del
giudizio ex art. 295 c.p.c., risultando pendente davanti al Tribunale di Lussemburgo una questione in ordine alla validità della
decisione della Commissione, ai sensi degli artt. 230 e 231 T.C.E.
Il giudice, accogliendo la richiesta, aveva sospeso il giudizio, osservando che l’invocata distinzione fra pregiudizialità tecnica e
pregiudizialità logica viene a “sfumare” «in quanto la decisione davanti al Tribunale europeo “è destinata, per sua natura, ad
21
possibile incidenza di “questioni comunitarie” sui processi pendenti dinanzi ai giudici nazionali,
affermando, con un revirement giurisprudenziale, l’applicazione dell’art. 295 c.p.c. nell’ambito
del giudizio nazionale avente ad oggetto un atto comunitario da altri impugnato in sede
comunitaria ai sensi degli 230 e 231 T.C.E.
La Corte, nell’affrontare la questione, ha proceduto all’analisi degli effetti del rinvio
pregiudiziale ex art. 234 T.C.E. e dell’azione di annullamento di un atto comunitario derivato,
disciplinata dagli artt. 230 e 231 T.C.E.
L’art. 231 T.C.E., infatti, nel prevedere che la Corte di giustizia «dichiara nullo e non
avvenuto l’atto impugnato», senza alcun riferimento ai soli ricorrenti, attribuisce alla sentenza di
annullamento efficacia erga omnes. Rilevato, dunque, che l’azione di annullamento di un atto di
diritto comunitario derivato può avere dei riflessi anche in un giudizio pendente dinanzi al
giudice nazionale promosso da una soggetto diverso dal ricorrente in sede comunitaria, una
lettura restrittiva dell’art. 295 c.p.c. avrebbe comportato che «quanto alle parti non impugnanti,
(…) un’eventuale pronuncia della giurisdizione comunitaria di annullamento della decisione
negativa della Commissione (atto presupposto della pretesa alla restituzione) gioverebbe o meno
a tali parti a seconda che essa intervenga quando il processo nazionale è ancora pendente ovvero
quando, esso si sia già concluso con sentenza definitiva» e, conseguentemente, «l’obiettivo
primario della parità di trattamento giuridico dei cittadini dell’UE sarebbe allora vanificato in
funzione di un elemento fortemente accidentale quale la durata, rispettivamente, del giudizio
comunitario e di quello nazionale». Ad avviso della Corte, dunque, solo ammettendo che il
giudice italiano possa disporre la sospensione del processo, promosso da parte che non ha
impugnato l’atto comunitario, in attesa della decisione del giudice comunitario sull’azione di
annullamento, si segue «un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma processuale
in quanto realizza, nella massima misura possibile, la cooperazione della giurisdizione nazionale
con la giurisdizione comunitaria».
Tale conclusione raggiunta dal giudice di legittimità non è stata ad oggi confermata da
successive pronunce.
Tuttavia non può non rilevarsi come, a prescindere dalla qualificazione della sospensione
per pregiudizialità, come sospensione “impropria” o come sospensione “necessaria” ex art. 295
c.p.c., il delineato meccanismo contribuisca a “prevenire” il contrasto tra giudicati interni e
esplicare i suoi effetti ultra partes, determinando, in caso di accoglimento del ricorso, la caducazione del diritto dello Stato
italiano al recupero contributivo”, visto che il giudice comunitario a conclusione del procedimento ex art. 230 del Trattato ha il
potere, a norma dell’art. 231, di dichiarare “nullo e non avvenuto l'atto impugnato”, con pronuncia efficace erga omnes ed ex
tunc».
22
giudicato comunitario, consolidando il ruolo della Corte di giustizia quale interprete qualificato
del diritto europeo.
4. La tutela cautelare nei confronti degli atti legislativi in contrasto con il diritto
comunitario – L’incidenza dell’intervento del giudice comunitario si manifesta anche
anteriormente all’adozione della decisione interpretativa o di annullamento, non solo mediante la
richiamata sospensione del processo nazionale in pendenza di una «questione comunitaria», ma
anche attraverso l’operatività dello strumento della sospensione cautelare, disposta dallo stessa
Corte di giustizia nei confronti degli atti legislativi nazionali di cui si contesti la legittimità in
sede comunitaria.
Nell’ambito del controllo sulla validità degli atti comunitari, l’art. 242 T.C.E. stabilisce che
«i ricorsi proposti alla Corte di giustizia non hanno effetto sospensivo. Tuttavia, la Corte può,
quando reputi che le circostanze lo richiedano, ordinare la sospensione dell’esecuzione dell’atto
impugnato». Analogo potere di adottare provvedimenti sospensivi è stato riconosciuto anche in
capo ai giudici nazionali con riferimento ai provvedimenti nazionali di esecuzione degli atti
comunitari di cui risulta contestata la validità 43 .
Oltre alla sospensione degli atti delle Istituzioni, la Corte può disporre provvedimenti
provvisori atipici. Infatti, in virtù del successivo art. 243 T.C.E., «la Corte di giustizia, negli
affari che le sono proposti, può ordinare i provvedimenti provvisori necessari»44 .
Anche per la concessione dei provvedimenti provvisori, che segue lo stesso iter
procedurale previsto per la sospensiva di cui all’art. 242 T.C.E., occorre la previa instaurazione
di un giudizio di merito innanzi alla Corte, chiamata a giudicare della validità di un atto ovvero
l’inadempimento dello Stato rispetto agli obblighi del Trattato. In sede comunitaria non è infatti
possibile proporre una istanza cautelare ante causam. L’art. 84, n. 2 del regolamento di
procedura della Corte di giustizia, consente tuttavia al Presidente di «accogliere una domanda di
provvedimenti provvisori anche prima che l’altra parte abbia presentato le sue osservazioni», con
43
Si cfr. a riguardo la sentenza Corte di giustizia delle Comunità Europee, 21 febbraio 1991, in cause riunite C- 143/88 e C92/89, Zuckerfabrik, in cui la Corte, richiamando il proprio potere di concedere misure sospensive dell’esecuzione dell’atto ai
sensi dell’art. 242 T.C.E., ha precisato che «la coerenza di tutela cautelare impone che il giudice nazionale possa, allo stesso
modo, ordinare la sospensione dell’esecuzione di un provvedimento amministrativo nazionale basato su un regolamento
comunitario la cui legittimità sia in contestazione».
44
Le disposizioni degli artt. 242-243 T.C.E. sono riprodotte in maniera analoga nell’articolo III-379 della Costituzione europea
che stabilisce che: «I ricorsi proposti alla Corte di giustizia dell’Unione europea non hanno effetto sospensivo. Tuttavia, la Corte
può, quando reputi che le circostanze lo richiedono, ordinare la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato. La Corte di
giustizia dell’Unione europea, nelle cause che le sono proposte, può ordinare le misure provvisorie necessarie».
23
la possibilità che tale provvedimento possa essere successivamente modificato o revocato anche
d’ufficio.
L’adozione di un provvedimento, sia in corso di causa che inaudita altera parte, risulta
subordinata ad una valutazione sommaria sulla non infondatezza degli argomenti addotti dalla
parte a sostegno del ricorso (fumus boni iuris) e sulla sussistenza di circostanze che giustifichino
la necessaria urgenza della concessione del provvedimento provvisorio immediato (periculum in
mora), nonché ad un bilanciamento di interessi. Tale bilanciamento coinvolge, da una parte,
l’interesse ad una “buona amministrazione della giustizia” e, dall’altra, gli obiettivi che l’atto
controverso si propone di raggiungere, obiettivi che non devono essere “seriamente” pregiudicati
dalla ritardata applicazione.
Nella prassi i provvedimenti provvisori si sostanziano in un’ingiunzione con cui si chiede
agli Stati membri di sospendere l’applicazione di determinati atti, anche legislativi 45 .
La possibilità per il giudice comunitario di ordinare la sospensione di un atto legislativo
che si assume in contrasto con il diritto comunitario costituisce un potere di non poco rilievo, se
si considera che, nel diritto interno, fino a non molto tempo fa, al giudice costituzionale non era
consentito adottare un simile provvedimento in pendenza di una questione di legittimità
costituzionale, sia che questa fosse stata proposta in via incidentale, sia in via principale.
Solo con l’art. 9 della L. n. 131 del 2003, è stato infatti introdotto, limitatamente al giudizio
in via principale, un potere d’ufficio di sospensione dell’atto impugnato, qualora la sua
esecuzione «possa comportare il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse pubblico o
all’ordinamento giuridico della Repubblica, ovvero il rischio di un pregiudizio grave ed
irreparabile per i diritti dei cittadini»46 .
45
Si veda, a titolo esemplificativo, la recente ordinanza Corte di giustizia delle Comunità Europee, 19 dicembre 2006, in causa
C-503/06 R, con cui il Presidente della Corte ha ingiunto, a titolo conservativo, all’Italia di sospendere l’esecuzione della legge
Reg. Liguria n. 36/2006.
46
Per un’analisi dei presupposti e i limiti del potere di sospensione di cui al nuovo art. 35 della L. n. 87/1953, si vedano CARETTI,
Il contenzioso costituzionale, in FALCON (a cura di), Stato, regioni ed enti locali nella legge 5 giugno 2003, n. 131, 2003, PINELLI,
Art. 9, in AA.VV., Legge “La Loggia”, Commento alla legge 5 giugno 2003 n. 131 di attuazione del Titolo V della Costituzione,
Rimini, 2003, LAMARQUE, Articolo 9, in L'attuazione del nuovo Titolo V, parte seconda, della Costituzione. Commento alla legge
"La Loggia" (Legge 5 giugno 2003, n. 131), a cura di Cavalieri, Lamarque, Torino, 2004, DRAGO, I ricorsi in via d'azione tra
attuazione del Titolo V e giurisprudenza costituzionale, in Giur. Cost., 2004, 4815. Sull’ammissibilità di un’stanza cautelare
proposta da una Regione nei confronti di una legge statale si veda di recente Corte cost., ordinanza 22 giugno 2006, n. 245, in
www.giurcost.org, con nota di MILAZZO, L’impugnativa regionale del “codice dell'ambiente”: un’occasione per qualche
riflessione sulla struttura ed i limiti del potere di sospensione delle leggi nell'ambito dei giudizi in via d'azione introdotti dalle
regioni, in Le Regioni, 2007.
In sede di conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni, l’art. 40 della L. n. 87/1953 già attribuiva espressamente alla Corte il
potere di disporre, con ordinanza motivata, la sospensione degli atti oggetto del conflitto in presenza di gravi ragioni.
Nell’accertamento delle «gravi» ragioni che, nei conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni, legittimano la sospensione dell’atto
impugnato la Corte dà rilievo, oltre all’incidenza dell’atto sui rapporti giuridici cui si riferisce, anche alla sussistenza del fumus
boni iuris: sul punto si vedano PIZZORUSSO, La tutela cautelare nei giudizi costituzionali sui conflitti tra enti, in I processi
speciali (Studi offerti a V. Andrioli), Napoli, 1979, 304 e ss., AZZENA, Irreparabilità del danno e «gravi ragioni« per la
sospensione nei conflitti di attribuzione fra Stato e Regioni, in Le Regioni, 1980, 143 e ss., MOR, La sentenza sospesa, in Le
24
Diversamente, una legge ritenuta incostituzionale ed oggetto di una questione di legittimità
sollevata in via incidentale, in ragione di una presunzione di legittimità riconosciuta in ossequio
al principio del favor legislatoris, continua a produrre medio tempore i suoi effetti. Di
conseguenza le disposizioni di un atto legislativo illegittimo non potranno essere disapplicate da
alcun organo dello Stato 47 , essendo riservato al giudice a quo il potere di “sospenderne”
l’applicazione al caso in esame, disponendo la sospensione del processo in corso.
Gli effetti eventualmente prodotti sono destinati a perdurare, nonostante l’efficacia
retroattiva della pronuncia di illegittimità, in presenza dei c.d. diritti quesiti e quando siano, per
loro natura, irreversibili.
Il rilevato favor legislatoris risulta, invece, parzialmente oscurato laddove l’illegittimità sia
contestata con ricorso diretto a livello comunitario: in presenza dei presupposti in precedenza
enunciati, l’esecuzione dell’atto legislativo di diritto interno, oggetto di una questione
comunitaria, sarà posticipata al termine del giudizio cautelare ovvero, laddove la misura sia
confermata, alla soluzione della causa nel merito.
È dunque evidente come l’ordinamento comunitario, mediante lo strumento della tutela
cautelare atipica, abbia voluto accrescere l’autorità della pronuncia della Corte di giustizia,
garantendone a monte gli effetti.
Regioni, 1980, 1023 e ss., VOLPE, Garanzie costituzionali. Art. 137, in Commentario alla Costituzione a cura di Branca,
Bologna-Roma, 1981, GRASSI, Il giudizio costituzionale sui conflitti di attribuzione tra Stato e regioni e tra regioni, Milano,
1985, 287 e ss.La valutazione della configurabilità del rimedio cautelare anche nei conflitti di attribuzione tra poteri è ritenuta
dalla Corte «impregiudicata» anche se, in concreto, manca una espressa statuizione sulla configurabilità del rimedio (così Corte
cost. 5 giugno 1997, n. 171, in www.giurcost.org con nota di LOLLI, La sospensione cautelare di atti impugnati nel conflitto fra
poteri: ancora un'occasione mancata dalla Corte costituzionale, in Giur. Cost., 1997, 1735 e ss.).
47
Sulla sorte degli atti amministrativi adottati in esecuzione di una disposizione di legge poi dichiarata incostituzionale, si veda
tuttavia CERRI, Corso di giustizia costituzionale, Milano, 1994, 228.
La parte potrà comunque ottenere la sospensione degli atti amministrativi eventualmente pregiudizievoli, adottati in esecuzione
della legge della cui costituzionalità si dubita, secondo l’ordinario procedimento cautelare, senza che peraltro ciò escluda la
possibilità che sia rimessa alla Corte la questione di legittimità. Il giudice costituzionale ha infatti più volte ribadito che il giudice
amministrativo ben può sollevare la questione di legittimità in sede cautelare, sia quando non provveda sulla relativa domanda,
sia quando conceda la relativa misura «purché tale concessione non si risolva, per le ragioni addotte a suo fondamento, nel
definitivo esaurimento del potere cautelare del quale in quella sede il giudice amministrativo fruisce: con la conseguenza che la
questione di legittimità è inammissibile – oltre che, ovviamente, se la misura è espressamente negata (ordinanza n. 82 del 2005) –
quando essa sia concessa sulla base di ragioni, quanto al fumus boni juris, che prescindono dalla non manifesta infondatezza della
questione stessa (sentenza n. 451 del 1993)» viceversa quando la misura cautelare è fondata, quanto al fumus, sulla non manifesta
infondatezza la «potestas judicandi non può ritenersi esaurita (…) dovendosi in tal caso la sospensione dell’efficacia del
provvedimento impugnato ritenere di carattere provvisorio e temporaneo fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l’incidente
di costituzionalità» (così da ultimo Corte cost., ord. 25 gennaio 2006, n. 25). Tali principi sono richiamati anche in molte
pronunce del giudice amministrativo (da ultimo Cons. Stato, VI, ord, 24 marzo 2000, n. 1431) in cui si precisa che «il giudice che
intenda sospendere un provvedimento basato su una legge su una legge sospetta di incostituzionalità, deve sollevare
contestualmente incidente di legittimità costituzionale e sospendere l’atto impugnato in via provvisoria fino all’esito della
definizione dell’incidente medesimo», così confermando la pregiudizialità della questione di legittimità costituzionale.
25
5. «Pregiudiziale comunitaria», questioni di legittimità costituzionale e “controlimiti” −
Il ruolo di interprete qualificato del diritto comunitario assegnato alla Corte di giustizia trova
adeguate garanzie anche nel rapporto con le Corti costituzionali degli Stati membri.
In applicazione del sistema del rinvio pregiudiziale, il giudice chiamato a risolvere una
controversia, la cui decisione dipenda dalla risoluzione di un’antinomia tra diritto comunitario e
diritto costituzionale nazionale, sarebbe in via di principio tenuto a sollevare la questione di
fronte al giudice costituzionale, il quale però, in presenza di un dubbio sull’interpretazione delle
norme comunitarie, avrebbe l’obbligo di rinviare alla Corte di giustizia la questione ex art. 234,
3° comma, T.C.E.
Il delineato meccanismo non è stato mai attuato nel nostro ordinamento, almeno fino alla
recenti pronunce della Corte costituzionale nn. 102 e 103 del 2008 di sospensione del giudizio di
legittimità costituzionale di una legge regionale e contestuale rinvio di una questione
interpretativa alla Corte di giustizia 48 .
La Corte costituzionale, a differenza di altre Corti costituzionali europee 49 , ha sempre
tenuto fermo l’orientamento circa la sua estraneità alla nozione di “giudice nazionale” ai fini del
ricorso all’istituto del rinvio pregiudiziale 50 .
48
Si veda infra.
Ci si riferisce alla Cour d’Arbitrage, divenuta Cour constitutionelle del Belgio (si veda ad esempio il rinvio operato nella causa
C-93/97, Fédération Belge des Chambres Syndicales de Médecins v Flemish Government e, più recentemente, nella causa C305/05, Ordre des barreaux francophones et germanophone e al. v Conseil des ministres – si cfr., in particolare, CA n. 6/1997),
del Verfassungsgerichtshof austriaco (si veda il rinvio nella causa C-143/99, Adria-Wien Pipeline GmbH ed, ancora, quello nelle
cause C-456/00, C-138/01 e C-139/01 – si cfr., in particolare, VfGH, 10 marzo, 199, B 2251/97 e B 2594/97), del Krajský soud v
49
Ostravě della Repubblica ceca (si veda il rinvio nella causa C-161/06, Skoma-Lux sro e Celní ředitelství Olomouc) e del
Konstitucinis Teismas Lituano (si cfr. il rinvio nella causa C-239/07, Julius Sabatauskas e a. v. Seimas – Parlamento,
commentato da POLLICINO on-line). Anche il Tribunale costituzionale portoghese ha affermato in astratto di essere un’autorità
giurisdizionale soggetta all’obbligo di rinvio pregiudiziale ma di fatto non si è mai avvalso direttamente della procedura di cui
all’art. 234 T.C.E. (si cfr.no le decisioni TC nn. 658/1999, 240/2000 e 278/2000). Analogamente il Tribunale federale tedesco ha
riconosciuto in astratto di essere tenuto all’applicazione del rinvio (si cfr. sentenza 8 aprile 1987, Koppenburg, BverfGE 75, 223).
Meno restie le Corti supreme irlandesi (si veda il rinvio operato nella causa C-182/83, Fearon c. Irish Land Commission), greca
(si veda il rinvio operato nella causa C-348/96, Calfa), finlandese (si veda il rinvio operato nella causa C-172/99, Liikenne),
olandesi (si vedano i rinvii operati nelle cause C-36/73, Nederlanse Sporwegen c. Minister van Verkeer en Watterstaat e C-15/74,
Centrafarm BV e al. c. Sterling Drug), svedesi (si vedano i rinvii operati nelle cause C-43/95, Data Delecta Aktiebolag und
Forsberg, C-241/97, Forsaktiebolaget Skandia), danese (si veda il rinvio operato nella causa C-151/78, Sukkerfabriken
Nykobing) e la High Court inglese (si cfr. il rinvio operato nella causa C-34/79, Henn and Derby).
Il Conseil constutionnel francese invece non ha mai interpellato la Corte di giustizia né si considera obbligato a farlo (si cfr., da
ultimo, sentenza 27 giugno 2006, n. 540 DC rispetto alla quale è stato evidenziato che la previsione di un controllo preventivo,
caratterizzante l’intervento del giudice costituzionale francese, mal si attaglia al meccanismo del rinvio pregiudiziale che
presuppone una legge in vigore). Analoga posizione di chiusura da parte del Tribunal Constitucional spagnolo (si veda la
sentenza 13 dicembre 1993, n. 372).
50
Per una ricostruzione a più voci dei rapporti tra Corte di giustizia e Corte costituzionale si vedano: AA.VV., Atti del seminario
tenutosi a Roma, Palazzo della Consulta, 20 aprile 2007 “Diritto comunitario e diritto interno”, Milano, 2008; AA. VV., Le
Corti dell’integrazione europea e la Corte costituzionale italiana. Avvicinamenti, dialoghi, dissonanze, a cura di Zanon, collana
«Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica Italiana, Napoli, 2006; AA. VV., La Corte costituzionale e le Corti
d’Europa, Atti del seminario svoltosi a Copanello (CZ) il 31 maggio-1 giugno 2002, a cura di Falzea, Spadaro e Ventura, Torino,
2003; AA. VV., La Corte costituzionale tra diritto interno e diritto comunitario: atti del seminario svoltosi in Roma, Palazzo
della Consulta, 15 e 16 ottobre 1990, Milano, 199; AZZENA, Prospettive evolutive in tema di applicazione del diritto europeo e
ruolo dei giudici nazionali, in www.federalismi.it; BARIATTI, Il ruolo del giudice nella costruzione dell’ordinamento comunitario,
in www.dirittoestoria.it; CARTABIA, «Taking Dialogue Seriously» The Renewed Need for a Judicial Dialogue at the Time of
26
La principale argomentazione richiamata a sostegno di tale posizione emerge già in una
risalente pronuncia della Corte, la n. 13 del 1960 51 , in cui si sottolinea la diversa natura della
funzione giurisdizionale rispetto al controllo di costituzionalità delle leggi.
Ad avviso del giudice costituzionale, l’opinione secondo cui la Corte possa essere inclusa
fra gli organi giudiziari, ordinari o speciali, è da respingere, alla luce delle profonde differenze
fra lo svolgimento di funzioni di controllo costituzionale ed i compiti propri degli organi
giurisdizionali: la Corte è infatti «chiamata a risolvere la questione di legittimità, astraendo dai
rapporti di essa con la controversia principale (…) La sua decisione, concernendo la norma in sé,
concorre non tanto alla sua interpretazione ed attuazione, quanto all’accertamento di validità
delle norme dell’ordinamento» 52 .
L’atteggiamento di chiusura è stato sostanzialmente ripreso anche nell’ordinanza n. 206 del
1976 53 , in cui la Corte, una volta rilevata la sussistenza di un contrasto interpretativo in ordine al
contenuto e alla sfera di applicazione di un regolamento comunitario, ha escluso la possibilità di
rivolgersi in via pregiudiziale alla Corte di giustizia, demandando al giudice a quo il compito di
Constitutional Activism in the European Union, 2007, in www.jeanmonnetprogram.org/papers; MARTINICO, Il dialogo fra le
corti nell’arena del Gattopardo: l’Europa fra novità costituzionale e nostalgie di comportamento, in AA.VV., Giurisprudenza
costituzionale e principî fondamentali. Alla ricerca del nucleo duro delle Costituzioni, a cura di Staiano, Torino, 2006, 891 e ss.;
PERLINGERI, Leale collaborazione tra Corte costituzionale e Corti europee, in Quad. Rass. Dir. Pubbl. Eu., Napoli, 2008; ROSAS,
The European Court of Justice in Context: Forms and Patterns of Judicial Dialogue, in European Journal of Legal Studies,
2007, 15 e ss.; RAITI, La collaborazione giudiziaria nell’esperienza del rinvio pregiudiziale comunitario, Milano, 2003; SPERTI,
Il dialogo tra le Corti costituzionali ed il ricorso alla comparazione giuridica nella esperienza più recente, in Riv. Dir. Cost.,
2006, 125 e ss.; TIZZANO, Ancora sui rapporti tra Corti europee: principi comunitari e c.d. controlimiti costituzionali, in Dir. Un.
Eur., 2007, 737 e ss.; ZAGREBELSKY, Corti europee e Corti nazionali, in I costituzionalisti e l’Europa. Riflessioni sui mutamenti
costituzionali nel processo di integrazione europea, a cura di Panunzio, Milano, 2002, 529 e ss.
Per quanto riguarda la discussione a livello europeo, O’KEEFFE, In the Spirit of Artiche 177 Under Attack?, Preliminary
References and Admissibility e RUIZ-JARABO, La cooperaciòn entre el Tribunal de Justicia y los Jueces nacionales: limites del
procedimento prejudicial, in Studi in onore di G. F. Mancini, Milano, 1998, 695 e ss. e 847 e ss.; RODRIGUEZ, IGLESIAS,
PUISSOCHET, Rapport de Court de justice des communautès européennes, in occasione del convegno Droit communautaire et
droit constitutionnel, organizzato nel 1997 dal Conseil contitutionnel, consultabile dal sito www.conseil-constitutionnel.fr; AA.
VV., Le dialogue entre le judges europeéns et nationaux: incantation ou realitè, a cura di Lichere, Potvin Solis e Rayanouard,
Bruxelles, 2004 ed, in particolare, GAUTIER, Le renvoi préjudiciel, un instrument efficace de diaogue?; ALONSO GARCIA, Il
giudice nazionale come giudice europeo, in Quaderni costituzionali, 2005, 111 e ss.; PERLINGIERI, Leale collaborazione tra
Corte costituzionale e Corti europee. Per un unitario sistema ordinamentale, in Quad. della Rass. dir. pubbl. eur., Napoli, 2008;
POLLICINO, EU Enlargement and European Constitutionalism through the looking glass of the interaction between national and
supranational legal systems, in www.forumcostituzionale.it.
51
Corte cost., 23 marzo 1960, n. 13, in Giur. Cost., 1960, 123 e ss. con osservazioni di ANDRIOLI, Intorno all’applicabilità della
L. 25 marzo 1958 n. 260 ai giudici avanti la Corte Costituzionale.
52
Parte della dottrina (si vedano BARONE, Corte costituzionale e diritto comunitario: vecchie questioni e nuovi interrogativi, in
Foro it., 1996, I, 785 e ss. e FUMAGALLI, Competenza della Corte di Giustizia e ricevibilità della domanda nella procedura
pregiudiziale, in Dir. Com. Scambi Internaz., 1993, 311 e ss.) ha ritenuto tale conclusione non coerente con l’orientamento
giurisprudenziale in tema di legittimazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale: in particolare la Corte,
nell’elaborare la nozione di giudice necessaria per individuare quali siano gli organi legittimati a sollevare questione di legittimità
costituzionale, ha riconosciuto tale qualifica anche ad un organo non incardinato in un ordine giudiziario, il quale risulti
legittimato secondo la legge a decidere in via tendenzialmente definitiva, in posizione di radicale terzietà e nel contraddittorio
con gli interessati e, sulla base di questi criteri, la Corte si ritiene essa stessa giudice a quo, legittimata a sollevare questione di
legittimità costituzionale nell’esercizio di tutte le sue funzioni a carattere giurisdizionale. Secondo l’opinione della citata dottrina,
non si comprendono quindi i motivi per i quali, se la Corte si qualifica come giudice per poter sollevare questione di legittimità
costituzionale, la stessa qualificazione non valga per effettuare il rinvio pregiudiziale davanti al giudice comunitario.
53
Corte cost., 28 luglio 1976, n. 206, in Giur. Cost., 1976, 1299 e ss.
27
decidere sugli effetti diretti delle norme comunitarie, eventualmente anche con il supporto
interpretativo dello stesso giudice comunitario.
Successivamente, la timida apertura della sentenza n. 168 del 1991 - in cui la Corte si
esprimeva nel senso di riconoscere «la facoltà di sollevare anch’essa questione pregiudiziale di
interpretazione ai sensi dell’art. 177» (oggi 234 T.C.E.), pur ritenendo nel giudizio in esame di
procedere alla diretta interpretazione della normativa comunitaria di chiara evidenza - è stata
immediatamente smentita.
Nell’ordinanza n. 536 del 1995 54 , infatti, la Corte ha affermato che il giudice comunitario
«non può essere adito, come pure ipotizzato in una precedente pronuncia (sent. n. 168 del 1991),
dalla Corte costituzionale», perché in essa «non è ravvisabile quella “giurisdizione nazionale”
alla quale fa riferimento l’art. 177 (ora 234) del Trattato istitutivo della CEE, poiché la Corte non
può “essere inclusa fra gli organi giudiziari, ordinari o speciali che siano, tante sono, e profonde,
le differenze tra il compito affidato alla prima, senza precedenti nell’ordinamento italiano, e
quelli ben noti e storicamente consolidati propri degli organi giurisdizionali” (sent. n. 13 del
1961)».
Tuttavia, l’argomento fondato sul carattere non giurisdizionale della funzione di controllo
di legittimità costituzionale risulta abbastanza debole sia alla luce del diritto interno che del
diritto comunitario.
54
Cfr. Corte cost., 29 dicembre 1995, n. 536, in Foro it., 1996, I, 783 e ss. con osservazioni di BARONE, Corte costituzionale e
diritto comunitario: vecchie questioni e nuovi interrogativi, cit., nonché di BARATTA, Rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia
e Corte costituzionale, in Giustizia Civile, 1996, 932 e ss., CANNIZZARO, La Corte Costituzionale come giurisdizione nazionale ai
sensi dell’art. 177 del Trattato CE, in Riv. Dir. Internazionale, 1996, 452 e ss., CARTABIA, Considerazioni sulla posizione del
giudice italiano di fronte ai casi di doppia pregiudizialità, comunitaria e costituzionale, in Foro It., 1997, V, 22 e ss., DI TURI,
Ancora sul rapporto tra giurisdizioni nazionali e Corte Comunitaria in tema di rinvio pregiudiziale ex art. 177 del Trattato di
Roma, in Dir. Com. Scambi Internaz., 1997, 165 e ss. e GROPPI, La Corte costituzionale come giudice del rinvio ai sensi dell’art.
177 del trattato CE, in Giudici e giurisdizioni nella giurisprudenza della Corte costituzionale, a cura di Ciarlo, Pitruzzella,
Tarchi, Torino, 1997, 171 e ss..
Più recentemente, si veda infine la dettagliata analisi di GHERA, Pregiudiziale comunitaria, pregiudiziale costituzionale e valore
di precedente delle sentenze interpretative della Corte di giustizia, in Giur. cost., 2000, I, 1193 e ss., il quale osserva che «dal
“combinato disposto” tra l’art. 23 l. n. 87 del 1953 e l’art. 234 (177) T.C.E. (…) deriverebbe per qualsiasi giudice italiano (anche
se non di ultima istanza, dunque) l’onere di raccordarsi alla giurisdizione interpretativa comunitaria nella soluzione delle
antinomie tra norme comunitarie e norme interne, in quanto detta raccordo costituirebbe un passaggio logicamente necessario
onde verificare se, a causa del dubbio sulla compatibilità comunitaria di una norma interna, ricorrono i presupposti in presenza
dei quali si trova obbligato a sospendere il procedimento ed a instaurare il giudizio incidentale di costituzionalità. Sviluppata in
tutte le sue logiche implicazioni, la giurisprudenza della Corte costituzionale porta dunque ad una decisa correzione del carattere
diffuso del sistema di risoluzione dei conflitti tra diritto comunitario e diritto interno (…) derivandone per i giudici nazionali, in
sostanza, l’obbligo di decidere detti contrasti sulla base dei precedenti della Corte di giustizia o, in mancanza, di richiedere a
questa un’apposita pronuncia sul punto, la quale poi, evidentemente, costituirà il precedente al quale ogni altro giudice dovrà
rifarsi in casi analoghi».
28
Con riferimento al primo profilo, è stato osservato come la Corte costituzionale, per quanto
il processo costituzionale sia un processo sui generis, non possa essere considerata del tutto
estranea alla funzione giurisdizionale 55 .
Sottolineare la peculiare natura della Corte costituzionale e delle funzioni che essa svolge
nell’ambito di un sistema accentrato di sindacato di costituzionalità può infatti valere per
evidenziare le specificità di tale organo rispetto ai giudici comuni, ma non per escluderla dai
soggetti che partecipano dell’attività giurisdizionale e, quindi, per concludere che essa non sia
abilitata ad utilizzare la procedura pregiudiziale davanti alla Corte di Lussemburgo.
È stato inoltre osservato che l’esclusione di ogni elemento di giurisdizionalità delle
funzioni assegnate alla Corte renderebbe più difficile la giustificazione del riconoscimento del
suo ruolo di giudice a quo nelle ipotesi di autorimessione: vi infatti sarebbe una palese
contraddizione tra la qualifica della Corte costituzionale come giudice a quo nel caso della
pregiudiziale costituzionale ed il suo diniego ai fini della pregiudiziale comunitaria 56 .
Con riguardo al secondo profilo, competente a qualificare un organo giurisdizionale
nazionale come giudice di rinvio è comunque la Corte di giustizia, nello svolgimento delle sue
funzioni ermeneutiche dello stesso art. 234 T.C.E. 57
La definizione della nozione di «giudice nazionale» è stata quindi elaborata dalla Corte di
giustizia in termini abbastanza ampi in quanto, in quanto, dopo aver preliminarmente affermato
che tale nozione non è necessariamente coincidente con le definizioni ricavabili dai singoli
ordinamenti degli Stati membri, gli ha attribuito una dimensione comunitaria 58 . Costituisce
infatti un principio più volte ribadito nella giurisprudenza comunitaria quello secondo cui la
legittimazione a rinviare deve essere valutata dalla Corte secondo criteri “tanto strutturali quanto
funzionali”. Tali criteri sono: l’esercizio di una funzione giurisdizionale, nel senso che l’organo
decidente deve essere chiamato a statuire nell’ambito di un procedimento destinato a risolversi in
una pronuncia di carattere giurisdizionale; l’origine legale dell’organo; il suo carattere
permanente; l’obbligatorietà della sua giurisdizione; la natura contraddittoria del procedimento;
55
Si veda AGOSTA, Il rinvio pregiudiziale ex art. 234 Trattato CE, tra (ingiustificato?) horror obsequii della Corte costituzionale
ed irresistibile vocazione espansiva del giudice comunitario, cit., 349 e ss.
56
Sul punto GROPPI, La Corte costituzionale come giudice di rinvio ai sensi dell’art. 177 del trattato CE, in AA. VV., Giudici e
giurisdizioni nelle giurisprudenza della Corte costituzionale, a cura di Ciarlo, Pitruzzella e Tarchi, Torino, 1997, 171 e ss.
57
Si vedano sul punto, SEMENTILLI, Brevi note sul rapporto tra la Corte costituzionale italiana e la Corte di giustizia delle
Comunità europee, in Giur. Cost., 2004, 4771 e ss. ed, in precedenza, AMOROSO, La giurisprudenza costituzionale nell’anno
1995 in tema di rapporto tra ordinamento comunitario e ordinamento nazionale: verso una quarta fase?, in Foro it., 1996, V, 37
e ss. e VIARENGO, Diritto comunitario e valori fondamentali tra sindacato di costituzionalità e controllo di validità della Corte di
giustizia, in Riv. dir. int. prov. proc., 1997, 367 e ss.
58
Per una sintetica, ma esaustiva, illustrazione della tematica si veda CALAMIA, VIGIAK, Manuale breve di diritto comunitario,
Milano, 2006, 117 e ss.
29
l’applicazione da parte dell’organo di norme giuridiche e la sua indipendenza rispetto altri
organi 59 .
Ogni pronuncia in ordine alla legittimazione del giudice di rinvio è, dunque, una questione
«unicamente» di diritto comunitario e non di diritto nazionale.
Secondo un’autorevole dottrina, alla luce della richiamata nozione di giudice legittimato ad
adire la Corte in sede pregiudiziale e della ratio del rinvio, l’art. 234 T.C.E. «non potrà non
applicarsi anche ad organi che, come la Corte Costituzionale, esercitano un’attività
d’interpretazione e di applicazione del diritto oggettivo, in regime d’indipendenza, nelle forme
della giurisdizione» 60 .
Se le argomentazioni esplicite al mancato utilizzo da parte della Corte non appaiono del
tutto convincenti, ancor meno risultano quelle sottese ad una tale posizione di chiusura al dialogo
con il giudice comunitario.
La ragione implicita che impedisce al giudice della leggi di pronunciarsi su questioni di
costituzionalità di rilevanza comunitaria risiede nell’esigenza politico-istituzionale di mantenere
l’autonomia del giudizio di legittimità costituzionale: la Corte sarebbe infatti assoggettata
all’“obbligo” di rinvio pregiudiziale, e non alla semplice “facoltà”, in quanto giudice le cui
pronunce non possono essere impugnate, stante il divieto dell’art. 137 Cost. 61
In proposito è stato osservato come la Corte costituzionale, in quanto custode supremo
della Costituzione, non possa assoggettarsi alle interpretazioni di un altro giudice 62 , mentre lo
strumento del rinvio pregiudiziale finirebbe per produrre l’effetto di formalizzare un rapporto di
sovra-sottordinazione tra il giudice europeo e giudici nazionali.
A ben vedere una tale impostazione dei rapporti tra Corte di giustizia e Corti costituzionali
nazionali è stata successivamente sottoposta ad una serie di obiezioni.
59
Si veda, ex plurimis, recentemente Corte di giustizia delle Comunità Europee, 27 aprile 2006, in causa C-96/04, Standesamt
Stadt Niebüll, con nota di BASILE, La Corte di giustizia Ce torna a pronunciarsi sulla nozione di “giurisdizione nazionale” ai
sensi dell'art. 234 del Trattato, in Foro Amm Cds, 2006, 1340 e ss., Id., 27 gennaio 2005, in causa C-125/04, Denuit, e Id., 31
maggio 2005, in causa C-53/03, Syfait, con nota di BASILE, La nozione di «giurisdizione nazionale» nella giurisprudenza della
Corte di giustizia. Aspetti problematici e profili comparativi, in Foro Amm Cds, 2006, 696 e ss. nonché, in precedenza, le
sentenze Id., 17 settembre 1997, in causa C-43/95, Dorsch Consult, con nota di CHITI, Nuovi sviluppi del concetto di
giurisdizione ex art. 177 del Trattato, in Giorn. Dir. Amm. 1998, 139 e ss., Id., 16 ottobre 1997, in cause riunite da C-69/96 a C79/96, Garofalo e al., GNES, Consiglio di Stato e rinvio pregiudiziale nell’ambito dei ricorsi straordinari, in Giorn. Dir. Amm.,
1998, e 145 ss. e di PRETTO, Giurisdizione nazionale ed effettività della tutela delle situazioni soggettive di matrice comunitaria,
in Urbanistica ed appalti, 1998, 441 e ss., Id., 20 marzo 2000, in cause riunite da C-110/98 a C-147/98, Gabalfrisa e al., Id., 14
giugno 2001, in causa C-178/99, Salzmann, ed infine Id., 15 gennaio 2002, in causa C-182/00, Lutz. Si cfr. altresì le note a
sentenza di: CARANTA, La Corte dei conti come giurisdizione di controllo ex art. 177 Trattato CE, in Urbanistica ed appalti,
1999, 105 e ss.
60
SORRENTINO, Corte costituzionale e Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Milano, 1970, 141 e ss.
61
GROPPI, La Corte costituzionale come giudice di rinvio ai sensi dell’art. 177 del trattato CE, cit.
62
Si vedano in proposito, SORRENTINO, Rivisitando l’art. 177 del trattato di Roma, AA. VV., Lo Stato delle Istituzioni Italiane.
Problemi e Prospettive. Atti del Convegno (Roma, 30 Giugno - 2 Luglio 1993), Milano, 1994, 646 e ss. e ZAGREBELSKY,
Intervento al seminario dell’Osservatorio costituzionale della Luiss su «I mutamenti costituzionali in Italia nel quadro
dell’integrazione europea», 12 gennaio, 2001, in www.luiss.it/semcost/europa/zagrebelsky.
30
Innanzitutto è stato rilevato come lo strumento del rinvio pregiudiziale risponda più ad un
“ethos collaborativo” che gerarchico 63 .
In secondo luogo, è stato sottolineato che l’astensione dal rinvio pregiudiziale non risulta
sufficiente a proteggere la giurisprudenza della Corte costituzionale dalle influenze della Corte di
giustizia 64 .
Si sta infatti diffondendo la tendenza da parte dei giudici costituzionali a tenere uno
sguardo attento alla giurisprudenza delle altre Corti, che viene richiamata quasi avesse valore di
precedente, così determinando una rapida circolazione dei modelli giuridici a livello globale,
soprattutto in materia di diritti fondamentali 65 .
In questo contesto anche la Corte costituzionale italiana conosce ed applica sempre più
frequentemente gli orientamenti giurisprudenziali della Corte di giustizia che emergono a seguito
dei rinvii interpretativi dei giudici comuni.
A ben vedere quindi il rapporto tra le Corti non è ormai del tutto assente: ciò che manca è
un dialogo diretto tra i due interlocutori, avendo la Corte costituzionale prediletto un dialogo
indiretto, a distanza, ovvero «per interposta persona» 66 .
Il processo di “autoesclusione” 67 dal dialogo diretto, e non da quello mediato, risulta inoltre
confermato dalla giurisprudenza costituzionale in materia di c.d. doppia pregiudizialità 68 .
Infatti, sia nell’ipotesi di preventiva pendenza di un giudizio dinanzi alla Corte di giustizia,
sia in quella di contemporaneo rinvio della questione, la Corte ha sempre negato il proprio
sindacato 69 , sottolineando che al giudice costituzionale «non compete (…) fornire
63
Così TIZZANO, I diritti fondamentali e le Corti in Europa, in Diritto dell’Unione europea, Torino, 2005, 843.
CARTABIA, La Corte costituzionale italiana e il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea, in AA. VV., Le Corti
dell’integrazione europea e la Corte costituzionale italiana. Avvicinamenti, dialoghi, dissonanze, a cura di Zanon, collana
«Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica Italiana, Napoli, 2006, 108.
65
ZAGREBELSKY, Le Corti costituzionali, le Costituzioni democratiche, l’interdipendenza e l’indivisibilità dei beni costituzionali,
Discorso pronunciato in Campidoglio per la celebrazione dei 50 anni di attività della Corte costituzionale, Roma, 22 aprile 2006.
66
CARTABIA, La Corte costituzionale italiana e il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea, cit., 110.
67
Così CARTABIA, CELOTTO, La giustizia costituzionale in Italia dopo la Carta di Nizza, in Giur. Cost., 2002, 4502 e ss.
68
Si parla di «doppia pregiudizialità» per identificare una serie di ipotesi di interferenza tra sindacato di costituzionalità e
giudizio di compatibilità comunitaria in relazione ad una medesima fattispecie. Più in particolare, la doppia pregiudizialità può
presentarsi come “diretta” o “indiretta”. È diretta quando il giudice a quo ha rinviato la questione contemporaneamente sia alla
Corte costituzionale che alla Corte di giustizia, in quanto la norma da applicare al caso concreto presenta profili sia di
costituzionalità che di compatibilità comunitaria, oppure quando è la stessa Corte a rilevare che appare pregiudiziale una
valutazione di comunitarietà della norma che costituisce il presupposto o il parametro della questione di legittimità costituzionale.
È indiretta quando tra il momento di promovimento della questione di costituzionalità e il momento della decisione della stessa,
sopravvenga una decisione relativa all’interpretazione di una disposizione comunitaria, che seppur non stimolata dal giudice a
quo, sia comunque in grado di interferire sulla decisione.
Per un’analisi della problematica in questione, CARTABIA, Considerazioni sulla posizione del giudice comune di fronte a casi di
«doppia pregiudizialità», comunitaria e costituzionale, in Foro It., 1997, V, 222 ss.; CARTABIA, WEILER, L’Italia in Europa.
Profili istituzionali e costituzionali, Bologna, 2000, 194 e ss.; SORRENTINO, È veramente inammissibile il «doppio rinvio»?, in
Giur. Cost., 2002, 781 e ss.; SALMONI, La Corte costituzionale, la Corte di giustizia CE e la tutela dei diritti fondamentali, in La
Corte costituzionale e le Corti d’Europa, a cura di Falzea, Spadaro e Ventura, Torino, 2003, 300 e ss.
69
Per una ricostruzione della giurisprudenza in materia si rinvia a SALMONI, La Corte costituzionale e la Corte di giustizia delle
Comunità europee, in Diritto pubblico, 2002, 504 e ss. Si veda inoltre la recente ord. n. 165/2004, con osservazione di CELOTTO,
64
31
l'interpretazione della normativa comunitaria che non risulti di per sè di “chiara evidenza”
(sentenza n. 168 del 1991), né (…) risolvere i contrasti interpretativi insorti (come nella
fattispecie) in ordine a tale normativa, essendone demandata alla Corte di giustizia delle
Comunità europee la interpretazione con forza vincolante per tutti gli Stati membri» 70 .
La necessità di un prioritario intervento del giudice comunitario, qualora la decisione di
quest’ultimo incida sui presupposti di ammissibilità di una questione di legittimità costituzionale,
comporta che sia «il giudice rimettente, il quale alleghi, come nella specie, la norma comunitaria
a presupposto della censura di costituzionalità, a doversi far carico in mancanza di precedenti
puntuali
pronunce
della
Corte
di
giustizia
di
adire
quest’ultima
per
provocare
quell’interpretazione certa ed affidabile che assicuri l’effettiva (e non già ipotetica e comunque
precaria) rilevanza e non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale circa
una disposizione interna che nel raffronto con un parametro di costituzionalità risenta,
direttamente o indirettamente, della portata della disposizione comunitaria» 71 .
Anche la giurisprudenza successiva è costante nel senso della restituzione degli atti al
giudice a quo, con l’invito ad effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, al fine di
una nuova valutazione sulla rilevanza della questione 72 .
Un simile meccanismo, come osservava la più acuta dottrina, non sarebbe risultato però
praticabile qualora il problema di interpretazione del diritto comunitario si fosse posto
nell’ambito del giudizio in via di azione, in mancanza di un giudice a quo cui rinviare la
questione al fine di sciogliere la pregiudiziale comunitaria 73 .
Ciò che è appunto di recente avvenuto per l’impugnativa delle disposizioni della L. Reg.
Sardegna sulla c.d. tassa sul lusso, oggetto della questione risolta con la sentenza n. 102 del 2008
Ancora un’occasione perduta per mettere chiarezza sulle interferenze fra giudizio di costituzionalità e giudizio di
«comunitarietà», cit., il quale sottolinea che la formula rinvio delle cause a nuovo ruolo in attesa della decisione della Corte di
giustizia, in luogo della restituzione degli atti al giudice remittente, a ben vedere non costituisca un revirement tale da comportare
una significativa apertura della Corte ad un sindacato sulle questioni di rilevanza comunitaria.
70
Corte cost., 29 dicembre 1995, n. 536, cit.
71
Corte cost., 29 dicembre 1995, n. 536, cit.
72
Così Corte cost., 21 marzo 2002, n. 85, in Giur. cost., 2002, 774 e ss.; Id., 12 luglio 2001, n. 249, ivi, 2137 e ss.; Id., 13
febbraio 1995, n. 38, ivi, 1995, 386 e ss.; Id., 16 giugno 1994, n. 244, ivi, 1994, 2013 e ss.; Id., 30 luglio 1992, n. 391, ivi, 1992,
3197 e ss. Si veda, invece, la recente ord. n. 165/2004, con osservazione di CELOTTO, Ancora un’occasione perduta per mettere
chiarezza sulle interferenze fra giudizio di costituzionalità e giudizio di «comunitarietà», cit. il quale sottolinea che la formula
rinvio delle cause a nuovo ruolo in attesa della decisione della Corte di giustizia, in luogo della restituzione degli atti al giudice
remittente, a ben vedere non costituisca un revirement tale da comportare una significativa apertura della Corte ad un sindacato
sulle questioni di rilevanza comunitaria.
73
In senso favorevole all’azionabilità dell’art. 234 T.C.E. nell’ambito del giudizio in via principale, si vedano GROPPI, La Corte
costituzionale come giudice di rinvio ai sensi dell’art. 177 del trattato CE, in AA. VV., Giudici e giurisdizioni nelle
giurisprudenza della Corte costituzionale, cit.; BASSI, Ancora sul rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia e sulla nozione di
«giudice nazionale»: è giunto il momento della Corte costituzionale?, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2000, 155 e ss.; ONIDA,
“Armonia tra diversi” e problemi aperti. La giurisprudenza costituzionale sui rapporti tra ordinamento interno e ordinamento
comunitario, in Quaderni costituzionali, 2002, 554 e ss.; ZAGREBELSKY, Corti europee e corti nazionali, in I costituzionalisti e
l’Europa, a cura di Panunzio, Milano, 2002, 539.
32
e la relativa ordinanza n. 103 di sospensione del giudizio, consentendo così un parziale
superamento del riferito atteggiamento di chiusura del giudice costituzionale nei confronti del
rinvio ex art. 234 T.C.E. 74 .
La Corte, muovendo dal presupposto che le norme comunitarie costituiscono norme
interposte, atte ad integrare il parametro di legittimità costituzionale - l’art. 117, 1° comma, Cost.
- invocato avverso la legge regionale impugnata, ha infatti ritenuto necessario adire la Corte di
giustizia mediante il meccanismo del rinvio pregiudiziale al fine di ottenere l’interpretazione
degli artt. 49 (libera prestazione di servizi) e 87 (aiuti di Stato alle imprese) del Trattato.
La Corte ha quindi affermato, limitatamente al sindacato di legittimità costituzionale in via
principale, la propria legittimazione a rinviare le «questioni di comunitarietà» alla Corte di
giustizia, riconoscendo, pur nella «peculiare posizione di organo di garanzia costituzionale», la
propria «natura di giudice e, in particolare, di giudice di unica istanza (in quanto contro le sue
decisioni non è ammessa alcuna impugnazione: art. 137, terzo comma, Cost.)».
A sostegno di tale conclusione, il giudice costituzionale ha sottolineato le differenze
esistenti a seconda che il contrasto tra diritto comunitario e diritto interno sia rilevato davanti ad
un giudice ordinario ovvero davanti alla Corte a seguito di ricorso proposto in via principale.
Nel primo caso, infatti, i giudici ordinari non possono applicare il diritto interno
contrastante con quello comunitario e, qualora sorga un dubbio interpretativo sul diritto
comunitario, devono sollevare la questione davanti alla Corte di Giustizia, mediante rinvio
pregiudiziale secondo quanto previsto dall’art. 234 T.C.E.
Invece, nel caso in cui il giudizio penda davanti alla Corte a seguito di un ricorso in via
principale ed abbia ad oggetto la legittimità costituzionale di una norma regionale per possibile
contrasto con il diritto comunitario, la valutazione di tale conformità si risolve in un giudizio di
legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 117, 1° comma, Cost. nell’ambito del quale le norme
comunitarie fungono da norme interposte.
74
Si cfr. Corte cost., 15 aprile 2008, n. 102, con la relativa ordinanza (n. 103) di rinvio alla Corte di giustizia (iscritta al ruolo C169/08), con nota a prima lettura di CELOTTO, Crolla un altro baluardo, in www.giustamm.it, nonché di CARTABIA, La Corte
costituzionale e la Corte di giustizia: primo atto, in Giur. Cost., 2008, 1312 e ss., CHITI, La Consulta e il primo rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia: verso il concerto costituzionale europeo, in Giorn. Dir. Amm., 2008, 961 e ss., GENNUSA, Il
primo rinvio pregiudiziale da Palazzo della Consulta: la Corte costituzionale come "giudice europeo", in Quaderni
costituzionali, 2008, 612 e ss., PESOLE, La Corte costituzionale ricorre per la prima volta al rinvio pregiudiziale. Spunti di
riflessione sull’ordinanza n. 103 del 2008, in www.federalismi.it, PORENA, L’evoluzione dei rapporti tra ordinamento interno ed
ordinamento internazionale alla luce della revisione costituzionale e della recente giurisprudenza della Corte costituzionale,
ibidem, SPIGNO, La Corte costituzionale e la vexata quaestio del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, in
www.osservatoriosullefonti.it, SORRENTINO, Svolta della Corte sul rinvio pregiudiziale: le decisioni 102 e 103 del 2008, in
Giur.Cost., 2008, 1288 e ss., ZICCHITTU, Il primo rinvio pregiudiziale da Palazzo della Consulta: verso il superamento della
teoria dualista?, in Quaderni costituzionali, 2008, 615 e ss. Per ulteriori osservazioni sui riflessi della decisione nel sistema delle
tutele dei diritti fondamentali, si veda PANZERA, Il bello dell’essere diversi. Corte costituzionale e Corti europee ad una svolta ,
in forumcostituzionale.it.
33
In conclusione, il giudice costituzionale ha evidenziato come «nell’àmbito dei giudizi di
legittimità costituzionale promossi in via principale, questa Corte è l’unico giudice chiamato a
pronunciarsi in ordine al loro oggetto, in quanto – come già sopra osservato – manca un giudice
a quo abilitato a definire la controversia, e cioè ad applicare o a disapplicare direttamente la
norma interna non conforme al diritto comunitario. Pertanto, non ammettere in tali giudizi il
rinvio pregiudiziale di cui all’art. 234 del Trattato CE comporterebbe un’inaccettabile lesione del
generale interesse all’uniforme applicazione del diritto comunitario, quale interpretato dalla
Corte di giustizia CE».
Pertanto, sussistendo dei dubbi sulle disposizioni del Trattato evocate come norme
interposte, la Corte costituzionale, in assenza di puntuali riferimenti nelle pronunce del giudice
comunitario su fattispecie analoghe, ha ritenuto opportuno il rinvio pregiudiziale 75 , anche «al
fine di evitare il pericolo di contrasti ermeneutici tra la giurisdizione comunitaria e quella
costituzionale nazionale, che non giovano alla certezza e all’uniforme applicazione del diritto
comunitario» (corsivo nostro) 76 .
Laddove non vi siano dubbi sull’interpretazione della normativa comunitaria, perché
univoca o comunque già chiarita dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, la Corte, in una
successiva occasione, ha invece escluso la sussistenza dei presupposti per il rinvio, con
conseguente necessità di procedere alla soluzione della sola questione di legittimità
costituzionale per violazione dell’art. 117, 1° comma Cost. e dei principi affermati in sede
europea 77 .
La Corte, quindi, senza negare la propria precedente giurisprudenza, ha ammesso la
sussistenza di un proprio obbligo di rinvio al giudice comunitario in presenza di «questioni di
75
Si tratta quindi di un rinvio con finalità interpretative. Parte della dottrina (auspica tuttavia che possa in futuro essere ammesso
anche il rinvio per la verifica della validità del diritto europeo, in quanto permetterebbe di «costringere la Corte di giustizia a
sindacare il diritto comunitario alla luce dei principi superiori dell’Unione europea» (così CARTABIA, La Corte costituzionale e la
Corte di giustizia: primo atto, cit., 1317).
76
Il problema dei possibili contrasti tra giudicati sarà analizzato nel capitolo 3.
77
Così Corte cost., 23 dicembre 2008, n. 439 che ha dichiarato l’illegittimità di una disposizione della Provincia autonoma di
Bolzano in materia di affidamento diretto dei servizi pubblici locali per contrasto con l’art. 117, 1° comma, Cost., le disposizioni
del Trattato poste a tutela della concorrenza e le condizioni legittimanti la gestione in house enunciate dalla Corte di Giustizia.
La Corte ha inoltre di recente avuto modo di indicare un criterio di priorità nell’analisi delle censure proposte nell’ambito di un
giudizio di legittimità costituzionale in via principale nell’ipotesi in cui avverso una legge regionale sia contestualmente
lamentata la violazione delle disposizioni sul riparto di competenze interne ex art. 117, 2° e 3° comma, ed il contrasto con il
limite del rispetto del diritto comunitario di cui all’art. 117, 1° comma: nella sentenza 14 novembre 2008, n. 368 il giudice
costituzionale ha infatti incidentalmente affermato affermare che «le censure dirette a contestare il potere della Regione di
emanare la norma impugnata, in base alle regole che disciplinano il riparto interno delle competenze, hanno carattere
preliminare, sotto il profilo logico-giuridico, rispetto a quelle che denunciano il vizio oggetto della prima questione» (corsivo
nostro).
34
comunitarietà» soltanto nei giudizi in via principale, dove la Corte stessa è giudice non di ultima,
ma addirittura di unica istanza 78 .
Una simile eccezione fa da pendant all’orientamento circa la prevalenza del diritto
comunitario sul diritto nazionale contrastante e le relative conseguenze nell’ambito del giudizio
di costituzionalità.
A seguito dell’affermazione dell’istituto della disapplicazione, o meglio della “non
applicazione” 79 , è infatti emersa l’insufficienza di tale criterio per la risoluzione di tutte le ipotesi
di antinomia tra diritto interno e diritto comunitario 80 .
La Corte costituzionale ha così dichiarato di mantenere, in deroga al principio generale
della disapplicazione, la propria competenza a sindacare la legittimità delle norme interne per
violazione del diritto comunitario, non solo quando le norme nazionali violino norme
comunitarie non direttamente applicabili, non recependole oppure recependole in maniera
incompleta, impropria o errata 81 , ma anche quando il Governo impugni in via d’azione leggi
regionali contrastanti con il diritto comunitario ovvero le Regioni impugnino leggi dello Stato
che, contravvenendo al diritto comunitario, allo stesso tempo ledano o invadano le proprie
competenze 82 . La ratio di questa posizione risiede nel fatto che, in queste ipotesi, non essendoci
un giudice remittente, la Corte costituzionale è il solo giudice della questione, cui spetta
78
Questa argomentazione ha indotto un’acuta dottrina (CARTABIA, La Corte costituzionale e la Corte di giustizia: primo atto, cit.,
1315) a prospettare l’estensione della riconosciuta legittimazione della Corte ad operare il rinvio pregiudiziale nei giudizi in cui
la Corte è ultimo giudice e, quindi, in particolare, ai giudizi per conflitti di attribuzione tra organi ed enti, ai giudizi sugli Statuti
regionali, ai giudizi sulle accuse al Presidente della Repubblica ed, infine, ai giudizi sull’ammissibilità dei referendum abrogativi
(qualche dubbio con riferimento a quets’ultima tipologia di giudizi è invece manifestato da SORRENTINO, Svolta della Corte sul
rinvio pregiudiziale: le decisioni 102 e 103 del 2008, cit., 1291).
79
Si cfr. Corte cost., 18 aprile 1991, n. 168 in cui la Corte ha qualificato in termini di “non applicazione” l’istituto volto a
garantire la primazia del diritto comunitario. In particolare, è stato affermato che ricorrendo alla disapplicazione della norma
nazionale si presuppone un suo vizio: aderendo a tela impostazione la prevalenza del diritto comunitario discende infatti
dall’applicazione di un criterio gerarchico o di competenza dei rapporti tra fonti, secondo una ricostruzione dei rapporti tra
ordinamenti in chiave monistica. Diversamente è stato rilevato che con la “non applicazione” le disposizioni antinomiche
risultano avere ambiti di rilevanza diversi, con conseguente operatività del criterio di specialità secondo il modello dualista.
Sul punto si veda più diffusamente CELOTTO, Coerenza dell’ordinamento e soluzione delle antinomie nell’applicazione
giurisprudenziale, in MODUGNO, Appunti per una teoria generale del diritto, Torino, 1998, 202 e ss.; ID., Dalla “non
applicazione” alla “disapplicazione” del diritto interno incompatibile con il diritto comunitario, in Giur. It., 1995, I, 341 e ss.
80
In tal senso, RUGGERI, Fonti, norme, criteri ordinatori, Torino, 1996, 163 e ss. e CELOTTO, Fonti comunitarie e Corte
costituzionale. Le norme comunitarie come «parametro» e come «oggetto» nei giudizi costituzionali, Roma, 2000, 59 e ss.
81
Si cfr. la sentenza n. 285 del 1993.
82
Si cfr. Corte cost., 10 novembre 1994, n. 384, in Giur. cost., 1994, 3449 e ss. in cui il giudice costituzionale ha previsto il
proprio intervento nella soluzione di quelle antinomie che possano sorgere tra una norma comunitaria e una norma interna non
entrata ancora in vigore, ossia deliberazione legislativa approvata dal Consiglio regionale ed una norma comunitaria, ed oggetto
di ricorso preventivo ai sensi dell’art. 127 Cost. (nella formulazione antecedente alla riforma del Titolo V). In una seconda
pronuncia, Corte cost., 31 marzo 1995, n. 94, in Giur. Cost., 1995, 788 e ss. la Corte ha esteso la portata del suo sindacato, non
limitandolo ai soli casi di impugnazione da parte dello Stato di deliberazioni legislative regionali, bensì estendendolo a tutte le
fattispecie del giudizio in via principale, e, quindi, anche ai ricorsi regionali avverso leggi statali in contrasto con il diritto
comunitario. L’orientamento ha trovato recente conferma nella sentenza Corte cost., 28 marzo 2006, n. 129 su cui si veda, tra gli
altri, BARBERA, Corte costituzionale e giudici di fronte ai «vincoli comunitari»: una ridefinizione dei confini?, in Quad. cost.,
2007, 335 e ss.
35
l’obbligo di garantire la certezza del diritto e la prevalenza del diritto comunitario adempiendo
all’obbligo di cui all’art. 10 del Trattato.
Alla luce di questo orientamento, dunque, mentre se un giudice a quo solleva questione di
costituzionalità per violazione del diritto comunitario, la Corte riterrà inammissibile la questione,
rientrando nella competenza del giudice comune pronunciarsi mediante disapplicazione, se
analoga violazione è fatta valere nell’ambito di un giudizio in via principale la Corte si
pronuncerà, in ragione della struttura stessa del giudizio in via d’azione, in cui essa è l’unico
giudice 83 .
La Corte costituzionale, nell’estranearsi dal sistema del rinvio pregiudiziale, ha inoltre
cercato di mantenere ulteriori margini per un proprio sindacato sulla legittimità dell’ingresso di
una determinata disciplina comunitaria nell’ordinamento italiano.
Il giudice delle leggi, infatti, non ha mai aderito alla ricostruzione in termini monistici 84 dei
rapporti tra ordinamento nazionale e comunitario proposta dalla Corte di giustizia: al contrario,
pur facendo propria la regola della “disapplicazione” del diritto interno incompatibile con le
norme create dalle istituzioni comunitarie, ha sempre cercato di salvaguardare la propria
impostazione dualistica 85 .
Il riconoscimento della sussistenza dei principi supremi e la loro qualificazione in termini
di “controlimiti” 86 costituisce dunque il presupposto per rivendicare una tale competenza.
83
Nel senso della piena conformità del controllo accentrato di costituzionalità sulle infrazioni al diritto comunitario, che la
Consulta esercita nei giudizi in via principale ai principi del sistema giuridico della Comunità e alle sottostanti esigenze
dell’integrazione europea, LA PERGOLA, Il giudice costituzionale italiano di fronte al primato e all'effetto diretto del diritto
comunitario, cit., 2436 e ss.
84
La teoria monista prospettata da KELSEN (La dottrina pura del diritto, Torino, 1960, 377 e ss.) è stata accolta dal giudice
comunitario per affermare la prevalenza del diritto comunitario sul diritto nazionale contrastante: si cfr.no le storiche decisioni
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 15 giugno 1964, in causa C-6/64 Costa e Id., 9 marzo 1978, in causa C-106/77
Simmenthal.
85
La tesi dualista, avviata da TRIEPEL (Diritto internazionale e diritto interno, Torino, 1913) , è stata proposta in Italia da
ANZILLOTTI (Il diritto internazionale nei giudizi interni, in Opere, Scritti dir. int. pubbl., Roma, 1956, 281 e ss.).
Sull’adozione di tale concezione dei rapporti tra ordinamenti operata dalla Corte costituzionale, si vedano recentemente CASSESE,
Le basi costituzionali, in Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo generale, Milano, 2000, 180, CAPOTOSTI,
Quali prospettive nei rapporti tra Corte costituzionale e Corte di Giustizia?, in Quad. Cost., 2002, 559 e ss. SALERNO, L’impatto
del fattore internazionale sulla Costituzione: il neo-dualismo della Corte costituzionale nei rapporti tra diritto internazionale e
diritto interno e GAJA, La Corte costituzionale dinanzi al diritto comunitario, in La dimensione internazionale ed europea del
diritto nell’esperienza della Corte costituzionale, a cura di Daniele, Napoli, 2006, rispettivamente 137 e ss. e 255 e ss.
86
L’espressione “controlimiti” si deve a Barile che, agli inizi degli anni settanta, felicemente la coniò, con essa indicando quelle
limitazioni (i principi fondamentali o meglio, secondo quanto affermato dalla Corte, i principi supremi e i diritti inalienabili della
persona umana) alle limitazioni di sovranità ex art. 11 Cost.
Per una dettagliata ricostruzione della problematica dei “controlimiti” all’immissione del diritto comunitario in Italia, CARTABIA,
Principi inviolabili e integrazione europea, Milano, 1995, 95 e ss.; per un esame delle posizioni nei diversi Stati membri si veda
invece CELOTTO, GROPPI, Diritto UE e diritto nazionale: primautè vs. controlimiti, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2004 e GROPPI,
La primautè del diritto europeo sul diritto costituzionale nazionale: un punto di vista comparato, in AA.VV., Le fonti del diritto,
oggi, Pisa, 2006, 428 e ss.
36
In proposito parte della dottrina ha fatto notare come il riferimento ad un nucleo di norme
costituzionali resistenti agli atti normativi sopranazionali risulti non a caso contemporaneo
all’affermazione dell’idoneità derogatoria di questi ultimi 87 .
In particolare, nella sentenza n. 183 del 1973, la Corte si esprime nel senso che «in base
all’art. 11 della Costituzione sono state consentite limitazioni di sovranità unicamente per il
conseguimento delle finalità ivi indicate; e deve quindi escludersi che siffatte limitazioni (…)
possano comunque comportare per gli organi della C.E.E. un inammissibile potere di violare i
principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona
umana. Ed è ovvio che qualora dovesse mai darsi all'art. 189 (ora art. 249) una sì aberrante
interpretazione, in tale ipotesi sarebbe sempre assicurata la garanzia del sindacato giurisdizionale
di questa Corte sulla perdurante compatibilità del Trattato con i predetti principi
fondamentali» 88 .
Tale orientamento viene successivamente confermato nella sentenza n. 170 del 1984, in cui
si afferma definitivamente il principio della disapplicazione, rilevando come «le osservazioni fin
qui svolte non implicano, tuttavia, che l’intero settore dei rapporti fra diritto comunitario e diritto
interno sia sottratto alla competenza della Corte, [la quale] ha, nella sent. n. 183 del 1973, già
avvertito come la legge di esecuzione del Trattato possa andar soggetta al suo sindacato, in
riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e ai diritti inalienabili
della persona umana» 89 .
87
In proposito CELOTTO, La Corte costituzionale ribadisce l’idoneità delle norme comunitarie a derogare a norme interne di
rango costituzionale…ma lascia aperti notevoli problemi teorici, in Giur. It., 1995, 193 e ss.
88
Corte cost., 27 dicembre 1973, n. 183, in Giur. cost., 1973, 4059 e ss.
Le argomentazioni proposte dalla Corte costituzionale italiana sono state successivamente recepite e approfondite dal
Bundesverfassungsgericht nelle sentenze Solange I (29 maggio 1974, BVerfGE 37, 271) e Solange II (22 ottobre 1986, BVerfGE
73, 339), che nel qualificare i “controlimiti” come “provvisori”, ha ritenuto che tali “riserve” sarebbero potute scomparire al
raggiungimento di sufficienti garanzie in tema di protezione dei diritti (sul punto si veda CLAES, Le «clausole europee» nelle
costituzioni nazionali, in Quad. Cost., 2005, 283 e ss.). In termini analoghi si sono espresse le Corti francese e spagnola in due
recenti pronunce in tema di ratifica del Trattato costituzionale europeo (Conseil constitutionnel, 10 giugno 2004, n. 2004-496 DC
e Tribunal constitucional, déclaration del 13 dicembre 2004, n. 1/2004, sulle quali, da ultimo e per tutti, CARTABIA, L’ora dei
diritti fondamentali nell’Unione Europea, in AA.VV., I diritti in azione. Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle
Corti europee, Bologna, 2007, 24 e ss.). Per ulteriori riferimenti si veda supra nota 8.
89
Corte cost., 8 giugno 1984, n. 170, in Giur. Cost., 1984, 1098 e ss. con nota di GEMMA, Un’opportuna composizione di un
dissidio, ibidem, TIZZANO, La Corte costituzionale e il diritto comunitario: vent’anni dopo, in Foro It., 1984, I, 2062, BERRI,
Composizione del contrasto tra Corte costituzionale e Corte di giustizia delle Comunità Europee, in Giur. It., 1984, 1521 e ss.
37
Tali argomentazioni sono poi state riprese nella sentenza n. 232 del 1989 90 in cui la Corte
costituzionale, pur riconoscendo che i diritti fondamentali, desumibili dai principi comuni agli
ordinamenti degli Stati membri, costituiscono parte integrante ed essenziale dell’ordinamento
comunitario che prevede un ampio ed efficace sistema di tutela giurisdizionale degli interessi dei
singoli, ha rivendicato la propria competenza a verificare, attraverso il controllo di
costituzionalità della legge di esecuzione del Trattato, se una qualsiasi disposizione del Trattato
stesso 91 - secondo l’interpretazione che ad essa è stata data dalle istituzioni e dagli organi
comunitari - sia in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento o non possa
attentare ai diritti inalienabili della persona umana.
Se queste sono state le enunciazioni teoriche, occorre rilevare come il giudice
costituzionale, nel concreto esercizio della competenza a sindacare la conformità ai
“controlimiti”, abbia sempre mostrato un certo self-restraint 92 .
90
Corte cost., 21 aprile 1989, n. 232, , in Giur. cost., 1989, 1001 e ss. con osservazioni di CARTABIA, Nuovi sviluppi nelle
«competenze comunitarie» della Corte costituzionale, nonché di DANIELE, Costituzione italiana ed efficacia nel tempo delle
sentenze della Corte di giustizia comunitaria, in Foro It., 1990, 1855 e ss., GAJA, La sentenza della Corte costituzionale n. 232
del 1989 e i «controlimiti» alla superiorità del diritto comunitario, in La Corte costituzionale tra diritto interno e diritto
comunitario, Milano, 1991, 81 e ss., DONATI, La motivazione nella sent. n. 232 del 1989 ed il «bilanciamento» tra interessi
nazionali ed interessi comunitari nel sindacato sui «controlimiti», in La motivazione delle decisioni della Corte costituzionale, a
cura di Ruggeri, Torino, 1994, 494 e ss.
Si tratta della decisione la Corte si è pronunciata sulla prassi della Corte di giustizia di limitare gli effetti retroattivi delle proprie
pronunce di invalidità degli atti normativi comunitari, per violazione del diritto alla tutela giurisdizionale garantito dall’art. 24
della Cost. Per un maggiore approfondimento si rinvia al cap. 2, par. 7.
91
Con questa sentenza la Corte ha quindi inteso allargare il proprio sindacato ad ogni norma comunitaria che possa
violare i principi fondamentali o i diritti inalienabili per garantire concretamente il rispetto dei “controlimiti”. In altri
termini, per attivare l’intervento della Corte costituzionale non occorre che nell’ordinamento comunitario vi siano
dei mutamenti epocali o generali contrari ai principi fondamentali del nostro ordinamento. Sarebbe sufficiente che
una singola disposizione del Trattato o una norma da esso derivata in via di interpretazione o applicazione si ponesse
in conflitto con un principio fondamentale della nostra Costituzione.
92
Diversamente dal Consiglio di Stato, che nella sentenza 8 agosto 2005, n. 4207, ha evocato la teoria per escludere il rinvio alla
Corte di giustizia e applicare la disposizione nazionale in contrasto con il diritto comunitario. Per un’analisi dei profili
problematici della decisione (sulla quale si veda infra cap. 3): ADINOLFI, Rapporti tra norme comunitarie e norme interne
integrate da pronunce additive della Corte costituzionale: un orientamento (…«sperimentale») del Consiglio di Stato, in Riv.
Dir. Internaz., 2006, 139 e ss.; BARONE, A proposito della sentenza Federfarma: fra tutela del consumatore e tutela
costituzionale dei diritti fondamentali il Consiglio di stato smarrisce la retta via?, in Dir. Unione europea, 2006, 201 ss.;
CAPUANO, Norme fondamentali del Trattato CE private dell’effetto diretto, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2006, 241; CELOTTO, I
controlimiti “presi sul serio”, nota a margine della sentenza del Cons. St., sez. V, n. 4207 del 2005, in www.giustamm.it;
DANIELE, La protection des droits fondamentaux peut-elle limiter la primauté du droit communitaire et l’obligation de renvoi
prejudiciel?, in Cahiers de droit européen, 2006, 67 e ss.; DONATI, La teoria dei “controlimiti” secondo una recente sentenza
del Consiglio di Stato, in AA.VV., Le fonti del diritto, oggi, Pisa, 2006, 425 e ss.; DOLSO, AMADEO, Il Consiglio di Stato tra
Corte costituzionale e Corte di Giustizia, in Giur. Cost., 2006, 785 e ss.; LIGNANI, Giudicato della Corte costituzionale e
questione di pregiudizialità alla Corte di Giustizia: Limiti e controlimiti, in Foro Amm. Cons. Stato, 2005, 2652 e ss.;
MORBIDELLI, Controlimiti o contro la pregiudiziale comunitaria, in Giur. Cost., 2005, 3404 e ss.; PISTORIO, A questionable
decision of the Italian Council of State: «Much ado about nothing»?, in corso di pubblicazione su Europ. Const. Law Rev., 2006;
POLLICINO, Il difficile riconoscimento delle implicazioni della supremazia del diritto europeo: una discutibile pronuncia del
Consiglio di Stato, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2006, I, 1939 e ss.; RUGGERI, Le pronunzie della Corte costituzionale come
“controlimiti” alle cessioni di sovranità a favore dell’ordinamento comunitario?, nota a margine di Cons. St., sez. V, n. 4207 del
2005, in www.forumcostituzionale.it; SCHILLACI, Un (discutibile) caso di applicazione dei «controlimiti», in Giur. It., 2006, 2026
e ss.
Anche negli altri ordinamenti la teoria dei “contro limiti” è enunciata e mai messa in pratica con l’unica recente eccezione del
Bundesverfassungsgericht che, con la sentenza 18 luglio 2005 (2 BvR 2236/04), ha annullato la legge di attuazione della
normativa comunitaria relativa al mandato d’arresto europeo (per un commento alla decisione, PALERMO, La sentenza del
Tribunale costituzionale tedesco sul mandato d’arresto europeo, in www.forumcostituzionale.it).
38
Infatti, nell’unica occasione in cui è stata chiamata a giudicare di un simile conflitto, la
Corte ha dichiarato inammissibile la questione per difetto di rilevanza 93 .
Una tale posizione può essere spiegata con la volontà di non minare l’unitarietà
dell’ordinamento comunitario, che non può ammettere un potere nazionale di controllo sulle
norme adottate dalle sue istituzioni 94 .
Ancora più acutamente, alcuni autori 95 hanno sottolineato come la mancata applicazione
della dottrina dei “controlimiti” rappresenti una diretta conseguenza dell’evoluzione della tutela
dei diritti fondamentali in ambito comunitario, sia in sede giurisprudenziale che a livello della
disciplina positiva.
Da una parte, infatti, la Corte di giustizia, dall’iniziale funzione di garanzia dei diritti di
natura esclusivamente economica, ha assunto via via un ruolo sempre più importante nella
costruzione e salvaguardia dei diritti di libertà, attraverso l’espresso riconoscimento che i diritti
fondamentali della persona umana costituiscono parte integrante dei principi generali del diritto
comunitario, cui garantire l’osservanza sia da parte degli atti comunitari 96 , sia da parte degli atti
93
Si tratta della citata Corte cost., 21 aprile 1989, n. 232, in cui la Corte, dopo aver affermato che la disposizione di cui all’art.
177 (ora 234) T.C.E., nella parte in cui consente alla Corte di giustizia di limitare nel tempo gli effetti delle proprie pronunce
pregiudiziali, con l’esito paradossale che un’eventuale dichiarazione di invalidità di determinati atti non possa dispiegare i propri
effetti sulla controversia da cui ha avuto origine la questione, ben costituisce una violazione dell’art. 24 Cost., in quanto «il diritto
di ognuno ad avere per qualsiasi controversia un giudice e un giudizio verrebbe a svuotarsi dei suoi contenuti sostanziali se il
giudice, il quale dubiti della legittimità di una norma che dovrebbe applicare, si veda rispondere dalla autorità giurisdizionale cui
è tenuto a rivolgersi, che effettivamente la norma non è valida, ma che tale invalidità non ha effetto nella controversia oggetto del
giudizio principale, che dovrebbe quindi essere deciso con l’applicazione di una norma riconosciuta illegittima», ha comunque
concluso nel senso dell’inammissibilità della questione.
94
Per tale considerazione CICCONETTI, Le fonti del diritto, Torino, 2001, 450 e ss.
95
CARTABIA, CELOTTO, La giustizia costituzionale in Italia dopo la Carta di Nizza, in Giur. Cost., 2002, 4496 e ss.
Sulla tematica della tutela dei diritti fondamentali si vedano: AA. VV., I diritti fondamentali e le Corti in Europa, a cura di
Panunzio, Napoli, 2005; AA.VV., I diritti in azione. Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, cit.;
AA.VV., Tutela dei diritti fondamentali e costituzionalismo multilivello, a cura di D’Atena e Grossi, Milano, 2004; AA.VV., La
tutela multilivello dei diritti, punti di crisi, problemi aperti e momenti di stabilizzazione, Milano, 2004; AA. VV. La Costituzione
europea (Atti del convegno dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, Perugia, 7-9 ottobre 2000), Padova, 2000; AA.VV.,
Atti del seminario tenutosi a Roma, Palazzo della Consulta, 20 aprile 2007 “Diritto comunitario e diritto interno”, Milano,
2008; AA. VV., Profili attuali e prospettive di diritto costituzionale europeo, a cura di Castorina, Torino, 2007; BILANCIA, I
diritti fondamentali e la loro effettività, www.associazionedeicostituzionalisti.it; CARETTI, I diritti fondamentali nell’ordinamento
nazionale e nell’ordinamento comunitario: due modelli a confronto, in Dir. pubbl., 2001, 946 e ss.; GENNUSA, La tutela dei
diritti fondamentali nell’Unione Europea: tratti di continuità e discontinuità nella giurisprudenza comunitaria, in Il Politico,
2006, 25 e ss.; MANCINI, La tutela dei diritti dell’uomo: il ruolo della Corte di giustizia delle comunità europee, in Riv. trim. dir.
e proc. civ., 1988, 1 e ss.; MENGOZZI, I diritti fondamentali tutelati dal diritto comunitario e il diritto degli Stati membri, in
Contr. Impresa Europa, 2002, 888 e ss.; RUGGERI, Prospettive di aggiornamento del catalogo costituzionale dei diritti
fondamentali, Relazione al Convegno nel sessantesimo della Costituzione italiana e della Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo, Bologna 9 giugno 2008 e ID., Sovranità dello Stato e sovranità sovranazionale, attraverso i diritti umani, e le
prospettive di un diritto europeo “intercostituzionale”, in Dir. Pubbl. Comp. ed Eur., 2001, 544 e ss.; TESAURO, I diritti
fondamentali nella giurisprudenza della Corte di giustizia, in Riv. int. dir. uomo, 1992, 426 e ss.; ed, infine, SCHWARZE, Der
Schutz der Grundrechte durch den EuGH, in Neue jur. Worchenschr., 2005, 3459 e ss.
96
Sul punto si veda da ultimo Corte di giustizia delle Comunità Europee, 3 settembre 2008, in cause riunite C-402/05 e C-415/05
(con nota di DICKMANN, Il “principio di legalità comunitaria” nel sindacato della Corte di giustizia delle Comunità Europee
degli atti comunitari esecutivi di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in www.federalismi.it), in cui si
ribadisce che il rispetto dei diritti fondamentali rappresenta una condizione di legittimità degli atti comunitari, cui la Comunità
non può derogare neppure in attuazione di obblighi di diritto internazionale pattizio.
39
normativi adottati dagli Stati membri in attuazione del diritto comunitario 97 . Un ruolo di recente
enfatizzato dall’Avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer con un’icastica analogia che qui vale la
pena richiamare: «esistono tre categorie di giudici: gli operai, veri e propri automi che, usando
solo le proprie mani, producono sentenze in serie ed in quantità industriali, senza toccare il
livello dei valori umani o dell’ordine sociale; gli artefici, che con l’uso delle mani e
dell’intelletto seguono metodi di interpretazione tradizionali che conducono inevitabilmente a
plasmare la volontà del legislatore e infine gli artisti che, con l’ausilio delle mani, della testa e
del cuore, aprono ai cittadini migliori orizzonti, senza voltare le spalle alla realtà né alle
situazioni concrete. Sebbene tutte e tre le suddette categorie siano necessarie per l’adempimento
della funzione giurisdizionale, la Corte di giustizia, calandosi nel ruolo che le è proprio, si è
sempre identificata nell’ultima categoria, specialmente in quelle situazioni che rallentavano
l’inarrestabile evoluzione delle idee che hanno illuminato la creazione della Comunità» 98 .
Dall’altra, le modifiche ai Trattati istitutivi hanno coinvolto anche la materia della tutela
dei diritti 99 . Nell’art. 6 TUE è stata codificata la necessità di rispetto da parte degli organi
comunitari dei «diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre
1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto
principi generali del diritto comunitario» con la previsione, nel successivo art. 7, dell’attivazione
di una procedura sanzionatoria ai danni dello Stato che violi in maniera «grave e persistente»
quei principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo. Ed un ulteriore livello di
97
Si cfr.no Corte di giustizia delle Comunità Europee, 12 novembre 1969, in causa C-29/69, Stauder, Id., 18 giugno 1991, in
causa C-260/89, ERT, Id., 6 marzo 2001, in causa C-274/99 P, Connolly/Commissione, Id., 22 ottobre 2002, in causa C-94/00,
Roquette Frères, Id., 12 giugno 2003, in causa C-112/00, Schmidberger, nonché da ultimo Id., 14 ottobre 2004, in causa C-36/02,
Omega (con nota di PELLECCHIA, Il caso Omega: la dignità umana e il delicato rapporto tra diritti fondamentali e libertà
(economiche) fondamentali nel diritto comunitario, in Europa e Dir. Priv., 2007, 181 e ss.) in cui si ribadisce che «i diritti
fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto dei quali la Corte garantisce l’osservanza e che, a tal fine,
quest’ultima si ispira alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali
relativi alla tutela dei diritti dell’uomo a cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito. (…) Poiché il rispetto dei diritti
fondamentali si impone, in tal modo, sia alla Comunità sia ai suoi Stati membri, la tutela di tali diritti rappresenta un legittimo
interesse che giustifica, in linea di principio, una limitazione degli obblighi imposti dal diritto comunitario, ancorché derivanti da
una libertà fondamentale garantita dal Trattato quale la libera prestazione dei servizi».
Contra, si veda, seppur isolatamente, Cass. 22 marzo 2007, n.6978, che ha dichiarato inammissibile l’istanza di rinvio
pregiudiziale alla Corte di Giustizia,ai sensi dell’art. 234, per la risoluzione di questioni di interpretazione della Convenzione
Europea dei diritti dell’Uomo, ritenendo che le disposizioni della Convenzione non costituiscano parte integrante del diritto
comunitario.
98
Si vedano le conclusioni presentate il 20 marzo 2007 nelle cause riunite C-11/06 e C-12/06, Morgan e Bucher.
In proposito si vedano NEGRI, La tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento comunitario alla luce del Trattato di
Amsterdam, in Dir. un. eur., 1997, 233 e ss. e NASCIMBENE, Tutela dei diritti fondamentali, sanzioni e controllo della Corte di
giustizia. Verso il Trattato di Amsterdam, ibidem, 773 e ss.
99
40
protezione dei diritti fondamentali è postato assicurato con l’approvazione della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea 100 .
La dottrina ha, tuttavia, sottolineato come anche l’adozione di una carta di diritti
fondamentali, oltre a valorizzare la posizione della Corte di giustizia come garante dei diritti in
essa enunciati, non comporti un futuro e definitivo abbandono della dottrina dei “controlimiti”.
Alcuni, infatti, hanno sostenuto una residua utilità degli stessi in chiave di integrazione
europea 101 , altri hanno attribuito loro una funzione di salvaguardia dell’identità costituzionale
nazionale nell’eventuale acuirsi dei conflitti tra Stati membri e Unione europea 102 .
C’è, infine, chi ha ritenuto 103 che proprio la previsione dell’art. 53 della Carta di Nizza secondo cui nessuna disposizione della stessa «deve essere interpretata come limitativa o lesiva
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di
applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali
delle quali l’Unione, la Comunità o tutti gli Stati membri sono parti contraenti, in particolare la
convenzione europea per salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dalle
costituzioni degli Stati membri» - costituisca una “clausola di legittimazione della dottrina dei
controlimiti”, nella diversa veste di strumenti per il raggiungimento di un grado massimo di
tutela multilivello 104 dei diritti fondamnetali, nel senso di permettere la disapplicazione della
100
Sulla tutela dei diritti apprestata dalla Carta di Nizza si vedano: AA.VV., L’Europa dei diritti, a cura di Bifulco, Cartabia,
Celotto, Bologna, 2001; AA. VV., Associazione italiana dei costituzionalisti, Annuario 1999. La costituzione europea, Atti del
XIV Convegno Annuale, Perugia, 7-8-9 ottobre, 1999, Cedam, Padova, 2000, 323 e ss.; AZZARITI, Il valore della Carta dei diritti
fondamentali nella prospettiva della costruzione europea: dall’Europa dei mercanti all'Europa dei diritti?, in AA.VV.,
Ripensare lo Stato, Atti del convegno di Napoli, 22-23 marzo 2002, a cura di Labriola, Milano, 2003, 393 ss.; AZZENA, La carta
dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in AA. VV., L’attuazione della Costituzione. Recenti riforme e ipotesi di revisione,
a cura di Panizza e Romboli, Pisa, 2004, 292 e ss.; CABIDDU, Costituzione europea e Carta dei diritti fondamentali, in QUADRIO
CURZIO, Profili della Costituzione economica europea, Bologna, 2001, 177 e ss.; CELOTTO, PISTORIO, L’efficacia della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea (rassegna giurisprudenziale 2001-2004), in Giur. It., 2005, 427 e ss.; DE SIERVO,
L’ambigua relazione della Carta dei diritti fondamentali nel processo di costituzionalizzazione dell’Unione europea, in Dir.
pubbl, 2001, 43 e ss.; MANZELLA, MELOGRANI, PACIOTTI, RODOTÀ, Riscrivere i diritti in Europa, Bologna, 2001; PACE, A che
serve la Carta dei diritti dell’Unione europea? Appunti preliminari, in Giur. cost., 2001, 193 e ss.; PIZZORUSSO, Il patrimonio
costituzionale europeo, Bologna, 2002, 104 e ss.; SPADARO, Sulla “giuridicità” della Carta europea dei diritti: c’è ma (per
molti) non si vede, in AA.VV., I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il costituzionalismo dei diritti, a cura di Ferrari,
Milano, 2001, 259 e ss.
101
RUGGERI, «Tradizioni costituzionali comuni» e «controlimiti», tra teoria delle fonti e teoria dell’interpretazione, in La Corte
costituzionale e le Corti d’Europa, a cura di Falzea, Spadaro e Ventura, Torino, 2003, 505 e ss.
102
AZZARITI, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel «processo costituente europeo», in Rass. dir. pub. eur.,
2002, 9 e ss.; SALMONI, La Corte costituzionale e la Corte di giustizia delle Comunità europee, cit., 556 e ss.
103
CARTABIA, CELOTTO, La giustizia costituzionale in Italia dopo la Carta di Nizza, cit., 4500 e ss. Si veda anche CELOTTO,
Carta dei diritti fondamentali e Costituzione italiana: verso il “Trattato costituzionale” europeo, in www.
associazionedeicostituzionalisti.it in cui si osserva che, con l’emanazione della Carta di Nizza e con l’affermarsi quindi della
garanzia dei diritti fondamentali a livello europeo in modo più intenso rispetto a quanto avviene a livello nazionale, la teoria dei
controlimiti entra “definitivamente in crisi”, risultando forse «da abbandonare, salvo le ipotesi – estreme ed assai remote – di
violazione dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale».
104
Per la teoria della multilevel Constitution, PERNICE, Multilevel Constitutionalism and Treaty of Amsterdam: European
Constitution-making Revisited?, in Common Market Law Review, 1999, 703 e ss. e ID., Multilevel Constitutionalism in the
European Union, in European Law Review, 2002, 511 e ss.
41
normativa comunitaria, ove la Corte costituzionale rilevi un maggior livello di protezione di un
determinato diritto nella Costituzione italiana.
Quest’ultima ipotesi ricostruttiva ha trovato conferma nell’espresso riconoscimento della
tutela dei diritti nazionali come limite al primato del diritto comunitario nel testo del Trattato
costituzionale europeo del 2004 105 e nel successivo Trattato di riforma 106 .
Emerge dunque una tendenza evolutiva all’“europeizzazione” 107 dei “controlimiti”, i quali,
da limite statico esterno, divengono limite dinamico interno 108 allo stesso diritto comunitario.
Per un’efficace descrizione della proceduralizzazione del costituzionalismo nei sistemi multilivello, si cfr. CARROZZA,
Constitutionalism’s Post-Modern Opening, in AA. VV., The Paradox of Constitutionalism - Constitutent Power and
Constitutional Form, a cura di Loughlin, Walker, Oxford, 2007, 184 e ss.
105
Nel Trattato costituzionale del 2004 (sul quale si veda per tutti CARTABIA, La natura del Trattato costituzionale europeo e i
poteri dei giudici, in Studi parmensi. Europa: il momento costituzionale, 2004, 153 e ss.), l’affermazione della prevalenza del
diritto dell’Unione secondo il principio delle competenze di attribuzione (art. I-6) era affiancata dall’enunciazione del necessario
rispetto da parte delle istituzioni comunitarie dell’«uguaglianza degli Stati membri davanti alla Costituzione» e della loro
«identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e
regionali» (art. I-5) e dal riconoscimento che «i diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea di salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del
diritto dell'Unione in quanto principi generali» (art. I-9).
106
Nel Trattato firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 (sul quale si veda PATRUNO, Addio “costituzione” europea? I nomi:
Trattato, Costituzione; la cosa: il diritto europeo, in www.costituzionalismo.it; NASCIMBENE, LANG, Il Trattato di Lisbona:
L’unione europea a una svolta?, in www.forumcostituzionale.it; PANEBIANCO, L’Unione europea post costituzionale: verso il
reform treaty, in Dir. com. sc. int., 2007, 601 e ss.; ZILLER, Il nuovo Trattato europeo, Bologna, 2007; nonché più recentemente
DE FIORES, Il fallimento della Costituzione europea. Note a margine del Trattato di Lisbona, in www.costituzionalismo.it) si
prevede che «l’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del
7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della
Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono
interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e
applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.
L’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione
non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri,
fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali» (art. 6).
107
RUGGERI, «Tradizioni costituzionali comuni» e «controlimiti», tra teoria delle fonti e teoria dell’interpretazione, cit., ID.,
Trattato costituzionale, europeizzazione dei “controlimiti” e tecniche di risoluzione delle antinomie, in
www.forumcostituzionale.it e poi in AA.VV., Giurisprudenza costituzionale e principî fondamentali. Alla ricerca del nucleo duro
delle Costituzioni, a cura di Staiano, Torino, 2006, 827 e ss., ID., “Trattato costituzionale” e prospettive di riordino del sistema
delle fonti europee e nazionali, al bivio tra separazione ed integrazione, Relazione al convegno su il Trattato che istituisce una
Costituzione per l’Europa, Le costituzioni nazionali e i diritti fondamentali, Cosenza 11-12 aprile 2005, in Dir. Pubbl. compar.
eu., 2005, 642 e ss., ID., Le fonti del diritto europeo ed i loro rapporti con le fonti nazionali, in Lineamenti di diritto
costituzionale dell’Unione europea, a cura di Mezzetti, Costanzo, Ruggeri, Torino, 2006, 289 e ss. e, più recentemente, ID.,
Dinamiche della normazione e valori, nella prospettiva di una ricomposizione “multilivello” del sistema delle fonti, Relazione al
Convegno su Multilevel constitutionalism tra integrazione europea e riforme degli ordinamenti decentrati: “nuove” frontiere per
“nuovi” diritti, Cosenza 19 ottobre 2007, in “Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti, Torino, 2008, 429 e ss.
Si vedano inoltre AZZENA, Il raccordo tra Corti in un sistema multilivello. Le prospettive dei controlimiti, in AA.VV., Ai confini
del “favor rei”. Il falso in bilancio davanti alle Corti costituzionali e di giustizia, a cura di Bin, Brunelli, Pugiotto, Veronesi,
Torino, 2005, 7 e ss., CARDONE, Tutela dei diritti, Costituzione europea e giustizia costituzionale: alcuni spunti ricostruttivi per
un modello integrato, in Dir. Pubbl., 2005, 414 e ss., CELOTTO, Una nuova ottica dei “controlimiti” nel Trattato costituzionale
europeo?, in www.forumcostituzionale.it, CELOTTO, Il primato del diritto europeo nel Progetto di Costituzione, in
www.giustamm.it, CELOTTO, GROPPI, Diritto UE e diritto nazionale: primautè vs. controlimiti, cit., nonché degli stessi autori
Primauté e controlimiti nel progetto di Trattato costituzionale, in Quad, Cost., 2004, 870 e ss., CHESSA, La tutela dei diritti oltre
lo stato. Fra diritto internazionale dei diritti umani e integrazione costituzionale europea, in AA. VV., I diritti costituzionali, a
cura di Nania e Ridola, Torino 2001, 89 e ss., COZZOLINO, Le tradizioni costituzionali comuni nella giurisprudenza della Corte di
Giustizia delle comunità europee, in AA. VV., La Corte costituzionale e le Corti d’Europa, Atti del seminario svoltosi a
Copanello (CZ) il 31 maggio-1 giugno 2002, a cura di Falzea, Spadaro e Ventura, Torino, 2003, 3 e ss., POLLICINO, Tolleranza
costituzionale, controlimiti e codificazione del diritto comunitario, in www.forumcostituzionale.it, RANDAZZO, I controlimiti al
primato del diritto comunitario: un futuro non diverso dal presente?, in www.forumcostituzionale.it.
42
In questa prospettiva la teoria dei “controlimiti” non rappresenta più, secondo un’acuta
dottrina, «il rigido muro di confine fra ordinamenti, ma il punto di snodo, la cerniera dei rapporti
tra UE e Stati membri», con la conseguenza che il binomio “primautè vs controlimiti” andrà
progressivamente sostituito con quello di “primautè e controlimiti” 109 , quale ulteriore strumento
di dialogo fra i diversi livelli di un ordinamento “intercostituzionale”, fondato sul principio di
equilibrio tra le Carte e di cooperazione tra le Corti 110 .
In tal modo, anche la funzione nomofilattica della Corte di giustizia, che, come si è visto
inizialmente, è “indirettamente” garantita dal sempre più frequente rinvio operato dalle Corti
costituzionali nazionali e dal meccanismo della pregiudizialità delle questioni di «comunitarietà»
rispetto a quelle di legittimità costituzionale, risulterebbe, anche nel nostro ordinamento,
consolidata.
6.
Il
problema
dell’efficacia
delle
sentenze
interpretative
−
La
centralità
nell’interpretazione del diritto comunitario attribuita alla Corte di giustizia è infine assicurata
dalle stesse modalità in cui vengono a dispiegarsi gli effetti delle decisioni.
Il tema dell’efficacia delle sentenze interpretative della Corte di giustizia è stato variamente
affrontato dalla dottrina.
Se il vincolo della sentenza sul giudice a quo e sui giudici dei gradi successivi chiamati a
pronunziarsi sulla medesima controversia è pacifico 111 , più problematica è la possibilità di
estenderne gli effetti a casi diversi da quello esaminato.
108
È stato infatti osservato (RUGGERI, Prospettive metodiche di ricostruzione del sistema delle fonti e Carte internazionali dei
diritti, tra teoria delle fonti e teoria dell’interpretazione, in AA.VV., I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza, cit., 217 e ss.,
nonché in termini analoghi, DE SIERVO, La difficile Costituzione europea e le scorciatoie illusorie, in AA.VV., La difficile
Costituzione europea, a cura di De Siervo, Bologna, 2001, 109 e ss.) che, mentre la versione “statica” dei controlimiti impone
una scelta in termini di aut aut tra la norma di dell’uno o dell’altro ordinamento, la versione “dinamica” si basa sull’idea della
circolazione dei valori tra i diversi ordinamenti e postula che la norma che offre “maggior protezione” sia quella che risulta dalla
“comunitarizzazione” di quella nazionale e dalla “costituzionalizzazione”, frutto della “costruzione” di una formulazione comune
e non di una scelta alternativa.
109
Per questa conclusione si veda in particolare CELOTTO, Una nuova ottica dei “controlimiti” nel Trattato costituzionale
europeo?, cit.
110
Così RUGGERI, Le fonti del diritto europeo ed i loro rapporti con le fonti nazionali, in Lineamenti di diritto costituzionale
dell’Unione europea, cit. secondo cui il principio della parità reciproca delle Carte, codificato nel Trattato costituzionale europeo
come “Grundnorm del diritto intercostituzionale”, può costituire la chiave di volta per reimpiantare su nuove basi le relazioni tra
gli ordinamenti ispirata al principio di pari dignità tra le Carte e le Corti, chiamate ad operare in un “circuito virtuoso” delle
interpretazioni-applicazioni degli enunciati espressivi dei principi fondamentali dei due ordinamenti, sollecitando così la
formazione di un diritto costituzionale vivente connotato da una doppia (e circolare) interpretazione conforme (del diritto
nazionale alla luce di quello europeo, e viceversa). Con riferimento al tale reciproca influenza “interpretativa”, si cfr. anche il
contributo di SKOURIS, L’influence du droit National et de la jurisprudence des juridictions des États membres sur
l’interprétation du droit communautaire, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2008, 239 e ss.
111
Si vedano sul punto CAPOTORTI, Processo comunitario, cit., 855; FOGLIA, Il ruolo della Corte di giustizia e il rapporto tra
giudice comunitario e i giudici nazionali nel quadro dell’art. 177 del Trattato (con particolare riferimento alle politiche sociali),
cit., 148; ASTRALDI DE ZORZI, Effetti delle pronunce dei giudici comunitari ed altri aspetti del sistema sanzionatorio
43
Le ricostruzioni proposte cercano appunto di rispondere alla domanda relativa alla
possibilità o meno di riconoscere a tali pronunce effetti erga omnes.
Sul punto è possibile individuare tre posizioni 112 .
La dottrina maggioritaria 113 ritiene che un effetto giuridico di vincolo sia ravvisabile
esclusivamente nei confronti del giudice che ha sollevato la questione.
In particolare, tra i più illustri sostenitori di questa tesi, Ferrari Bravo, muovendo dalla
distinzione tra il momento interpretativo e quello applicativo, e, quindi, dalla ripartizione dei
compiti tra giudice comunitario e giudici nazionali, sottolinea la necessità di non confondere
l’autorità della sentenza ed i suoi effetti giuridici: la sentenza «pur avendo degli effetti giuridici
limitati, si solleva, naturalmente, al di là della specie decisa. E proprio per questa ragione essa ha
un’autorità (ma non degli effetti giuridici) più vasta, investendo tutte le possibili ipotesi in cui la
medesima questione si ripresenti davanti a un giudice interno».
Aderendo a queste argomentazioni, è dunque possibile ammettere che la sentenza
interpretativa produca effetti oltre il giudizio a quo solo in via di fatto: la presenza di una
precedente decisione della Corte che abbia già chiarito il significato di una disposizione che il
giudice nazionale è chiamato ad applicare, può indurlo ad escludere il dubbio di conformità
all’ordinamento comunitario e, conseguentemente, la necessità di rimettere alla Corte una
questione ai sensi dell’art. 234 T.C.E.
Diversa, ed intermedia, è la posizione degli studiosi che, pur senza giungere ad affermare
l’efficacia erga omnes delle sentenze interpretative, non si limita al riconoscimento di
un’incidenza de facto al di là del processo in cui la questione comunitaria è sorta 114 .
Da una parte, infatti, si evidenzia che se la sentenza interpretativa avesse di diritto
un’efficacia extraprocessuale, la Corte di giustizia dovrebbe dichiarare irricevibili le domande di
pronuncia pregiudiziale poste in relazione a casi analoghi a quelli in precedenza risolti, mentre,
in tali occasioni, il giudice comunitario si limita a rinviare alla decisione precedente. Dall’altra,
comunitario, in Riv. Corte conti, 2000, 246, e BRIGUGLIO, Pregiudizialità comunitaria, cit., 11, il quale evidenzia come le
conseguenze della violazione del vincolo endoprocessuale dovrebbero consistere sul versante comunitario nella responsabilità
dello Stato ex artt. 226 e 227 (già 169 e 170) del Trattato e, sul versante interno, in una violazione assimilabile a quella del
“principio di diritto” ex art. 384 c.p.c. (piuttosto che alla vincolatività della cosa giudicata o a quella delle pronunce della Corte
costituzionale), sì da far venire in rilievo non già la violazione della regola processuale impositiva del vincolo (id est, l’art. 177
Trattato), quanto invece la violazione delle disposizioni comunitarie così come interpretate dalla Corte.
112
Per la ricostruzione di questo panorama dottrinario si veda MARTINICO, Le sentenze interpretative della Corte di giustizia
come forme di produzione normativa, in Riv. Dir. Cost., 2004, 251 e ss.
113
FERRARI BRAVO, Problemi interpretativi dell’art. 177 del Trattato CEE, in Comunicazioni e studi, XII, Milano, 1966, 426 e
ss.; PESCATORE, Il rinvio pregiudiziale di cui all’art. 177 del Trattato C.E.E. e la cooperazione tra Corte di Giustizia e giudici
nazionali, in Foro It., IV, 5, 1986, 26-47; POCAR, Diritto dell’Unione e delle Comunità Europee, Milano, 1997, 356 e ss.;
BRIGUGLIO, voce Pregiudiziale comunitaria, in Enc. Giur. Treccani, XXIII, Roma, 1997, 1 e ss.
114
VANDERSANDEN, BARAV, Contentieux communautaire, Bruxelles, 1977, 315 e segg; VANDERSANDEN, De l’autorité de la
chose jugée des arrêts préjudiciels d’interprétations rendues desa Communautés européennes, in Revue critique de
jurisprudence belge, 1972, 508 e ss.
44
si sottolinea tuttavia come la pronuncia della Corte consegni al giudice nazionale
un’interpretazione generale ed astratta: analogamente a quanto avviene per le leggi
interpretative, l’interpretazione della disposizione fa corpo con la disposizione stessa, come una
nuova regola di diritto che ne sgombra l’ambiguità.
Conseguentemente, si afferma che la sentenza interpretativa deve essere rispettata da tutti i
giudici nazionali, a pena di un ricorso per violazione degli obblighi del Trattato da parte dello
Stato membro di cui è organo il giudice. E solo nell’ipotesi in cui l’interpretazione data sia
oscura o insufficiente il giudice potrà discostarsene, rimettendo nuovamente la questione alla
Corte ex art. 234 T.C.E.
Alcuni Autori 115 , infine, sostengono la tesi dell’efficacia erga omnes con argomentazioni
diverse, tra cui, innanzitutto, quella della natura astratta del procedimento di cui all’art. 234
T.C.E.
La Corte ha, infatti, il potere di «determinare l’ampiezza del diritto comunitario e quello
conseguente di circoscrivere l’ampiezza del diritto nazionale»116 : le sue pronunce producono,
quindi, di diritto effetti al di là del giudizio in cui la questione è sorta perché dichiarano il diritto
esistente, riducendo lo spazio interpretativo, già limitato, di cui gode il giudice nazionale.
Anche seguendo quest’impostazione, si ritiene però che l’interpretazione non sia data una
volta per tutte. L’autorità della decisione non ne comporta comunque l’immutabilità 117 : il
giudice nazionale potrà sempre sollecitare una nuova soluzione ermeneutica servendosi
nuovamente dello strumento del rinvio pregiudiziale.
Tra le ricostruzioni proposte, quest’ultima, come si tenterà di esporre nel capitolo seguente,
risulta maggiormente aderente alla ratio ed alla conformazione del rinvio pregiudiziale e pone le
basi per la qualificazione delle sentenze interpretative tra le fonti del diritto ed il prefigurato
riconoscimento della loro attitudine a superare i limiti della cosa giudicata nazionale.
115
TRABUCCHI, L’effet erga omnes des décision préjudicielles rendues par la Cour de justice des Communautés européennes, in
Revue trimestrielle de droit européen, 1974, 56 e ss.; FLORIDIA, Forma giurisdizionale e risultato normativo del procedimento
pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia, in Dir. Com. Scambi Internaz., 1978, 1 e ss.
116
FLORIDIA, Forma giurisdizionale e risultato normativo del procedimento pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia, cit., 34.
117
Così A. TRABUCCHI, L’effet erga omnes des décision préjudicielles rendues par la Cour de justice des Communautés
européennes, cit., 71: «autorité de la décision signifie la cessation officielle de l’incertude et par là même, disparaît également
l’intérêt et parfois l’obligation de saisir la Cour. L’immutabilité signifierait création d’une fixitè contraire à la notino d’intérit
public qui esiste également pour exiger une interprétation exacte, efficace et par conséquent adèguate de tout acte
communautaire».
45
CAPITOLO II
L’EFFICACIA NEL TEMPO DELLE SENTENZE PREGIUDIZIALI
Sommario: 1. Le sentenze interpretative come fonti di produzione normativa - 2. La
«diretta applicabilità» delle sentenze della Corte di giustizia nella giurisprudenza costituzionale 3. Il dovere della Corte di conformarsi alle sue precedenti decisioni - 4. Efficacia retroattiva e
potere della Corte di modulare gli effetti delle proprie decisioni - 4.1. Irretroattività delle
pronunce di annullamento ex art. 231 T.C.E. e salvaguardia dei diritti dei terzi - 4.2. Certezza del
diritto e limitazione degli effetti delle pronunce adottate in sede di rinvio pregiudiziale - 5. Gli
effetti delle pronunce di rinvio pregiudiziale sulla validità e sull’interpretazione.
1. Le sentenze interpretative come fonti di produzione normativa − La risposta al quesito
sugli effetti delle sentenze pregiudiziali ha, come si tenterà di esporre, dei riflessi sulla
qualificazione o meno delle sentenze interpretative in termini di fonti normative 1 .
Come è noto, possono definirsi fonti di produzione del diritto i fatti o gli atti ai quali
l’ordinamento conferisce l’attitudine a produrre norme giuridiche.
Il principio di relatività delle fonti 2 comporta che l’individuazione più o meno ampia delle
fonti del diritto dipende da ciò che il singolo ordinamento positivo, o meglio, le premesse di
teoria generale che in esso si sono accolte designano come norma giuridica.
1
Sul tema, più generale, dell’inquadramento dei precedenti giurisprudenziali tra le fonti del diritto si rinvia alla ricostruzione
offerta da ZACCARIA, La giurisprudenza come fonte del diritto. Un’evoluzione storica e teorica, Napoli, 2007 e alla dottrina ivi
richiamata tra cui, in particolare, ESSER, Richterrecht, Gerichtsgebrauch und Gewohnneitsrecht, in Festschrift für Fritz von
Hippel zum 70. Geburtstag, Tübingen, 1967 (su cui anche ORRÙ, Richterrecht. Il problema della libertà e autorità giudiziale
nella dottrina tedesca contemporanea, Milano, 1988), KRIELE, Il precedente nell’ambito giuridico europeo continentale e
angloamericano, trad it. di Zaccaria, in AA. VV., La sentenza in Europa - Metodo, tecnica e stile, Padova, 1988, GORLA, voce
Precedente giudiziale, in Enc. Giur. Treccani, XXIII, Roma, 1990, 13 e ss. ed, infine, con particolare riguardo all’ordinamento
anglosassone, MATTEI, Common Law, in Trattato diritto comparato, Torino, 1992, MORETTI, La dottrina del precedente
giudiziario nel sistema inglese, in Contratto e impresa, 1990, 680 e ss., DEFLORIAN, Il precedente giudiziario come fonte del
diritto: l’esperienza inglese, in Riv. Dir. Civ., 1993, 133 e ss. e gli autori richiamati, tra cui EVANS, The Stutus of the Rules of
precedent, in Cambridge Law Journal, 1982, 162 e ss., GRAY, Judicial Precedents - A Short Study in Comparative
Jurisprudence, in Harvard Law Review, 9, 1895, 27 e ss., STONE, Precedent and Law – Dynamics of Common Law, Sydney,
1985.
Si cfr.no inoltre recentemente, con particolare riferimento al ruolo creativo del giudice, ALPA, La creatività della giurisprudenza,
in Diritto e processo. Studi in memoria di A. Giuliani, Napoli, 2001, 6 e ss., ID., L’arte del giudicare, Roma-Bari, 1996, 9 e ss. e
CHIARLONI, Ruolo della giurisprudenza e attività creative di nuovo diritto, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2002, 1 e ss.
46
Occorre pertanto verificare quali siano tali premesse nell’ambito dell’ordinamento
comunitario e, conseguentemente, se quest’ultimo riconosca la natura di fonte alla
giurisprudenza della Corte di giustizia.
Una conclusione negativa potrebbe essere data qualora si faccia esclusivo riferimento
all’art. 249 T.C.E. come norma di diritto positivo contenente l’enumerazione delle fonti del
diritto comunitario.
Tuttavia, se così fosse, si dovrebbero escludere dal novero delle fonti le direttive selfexecuting, le consuetudini comunitarie, i principi generali del diritto comunitario relativi ai diritti
fondamentali come individuati a norma dell’art. 6 T.U.E.
L’argomento formalistico risulta privo di consistenza se poi si considera che la maggior
parte dei principi relativi ai diritti fondamentali sono, appunto, frutto dell’elaborazione della
Corte e che il Preambolo della Carta di Nizza si riferisce per la loro individuazione alle tradizioni
costituzionali, alle convenzioni internazionali ed, anche, alla giurisprudenza della Corte di
giustizia e della C.E.D.U. 3 .
Si può quindi affermare che le fonti comunitarie non costituiscono un numero chiuso e,
conseguentemente, accogliere una nozione sostanzialistica di fonte che àncori tale qualifica
all’attitudine a produrre norme imperative, astratte e dotate di efficacia erga omnes.
Tali caratteristiche si rinvengono anche con riferimento alle sentenze adottate nell’ambito
del rinvio pregiudiziale alla luce di una lettura sistematica delle disposizioni del Trattato, dello
Statuto e del Regolamento di procedura della Corte e di un’analisi degli orientamenti
giurisprudenziali della stessa Corte di giustizia 4 .
Un primo argomento a favore dell’efficacia erga omnes delle sentenze pregiudiziali può
essere desunto da una lettura congiunta degli artt. 230 e 234 T.C.E. e, più precisamente,
dall’analogia degli effetti tra le sentenze di annullamento e quelle che dichiarano l’invalidità di
un atto in sede di rinvio pregiudiziale.
2
Si vedano in proposito PIZZORUSSO, Problemi metodologici in tema di studio delle fonti del diritto, in AA. VV., Scritti in onore
di L. Paladin, Napoli, 2004; PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996; CRISAFULLI, voce Fonti del diritto (dir. cost.),
in Enc. Dir., XVII, Milano, 1968.
3
Più specificatamente si legge: «la presente Carta riafferma i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli
obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dal trattato sull’Unione europea e dai Trattati comunitari, dalla Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalle Carte sociali adottate dalla Comunità e dal
Consiglio d’Europa, nonché dai diritti riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e da
quella della Corte europea dei diritti dell’uomo».
4
Gli spunti ricostruttivi in tal senso sono di MARTINICO, Le sentenze interpretative della Corte di giustizia come forme di
produzione normativa, in Riv. Dir. Cost., 2004, 251 e ss.
47
L’efficacia ex tunc ed erga omnes della decisione di annullamento è espressamente sancita
dall’art. 231 T.C.E. che, come si vedrà più dettagliatamente in seguito, riconosce anche alla
Corte il potere di modularne gli effetti.
La medesima efficacia deve essere riconosciuta anche alle sentenze di invalidità
pronunciate in sede di rinvio pregiudiziale, stante l’equiparazione nei fini tra ricorso diretto e
controllo ex 234 T.C.E. 5 .
In proposito, infatti, è consolidato l’orientamento della Corte secondo cui i due controlli
costituiscono le due forme di un unico sindacato di legittimità volto ad eliminare
dall’ordinamento comunitario gli atti con esso contrastanti.
Partendo da questa premessa, esigenze di non discriminazione e di certezza del diritto,
nonché il principio dell’effetto utile, impongono di riconoscere tale efficacia anche alle sentenze
interpretative, con riferimento alle quali, infatti, l’art. 234 T.C.E. non pone alcuna distinzione
rispetto alle sentenze di invalidità.
Ulteriori argomenti che confermano la natura astratta ed autoritativa del procedimento
pregiudiziale possono essere desunti dall’art. 20 dello Statuto della Corte di giustizia e dall’art.
104 paragrafo 3 del Regolamento di procedura.
La prima disposizione 6 , che consente anche a soggetti diversi dalle parti del processo
nazionale di intervenire presentando le proprie osservazioni, risponde all’esigenza che
l’enunciazione dell’interpretazione di una norma comunitaria sia frutto della dialettica di tutti i
soggetti che saranno chiamati alla sua applicazione.
5
Critico nei confronti di tale equiparazione FERRARI BRAVO, Problemi interpretativi dell’art. 177 del Trattato CEE, in
Comunicazioni e studi, XII, Milano, 1966, 426 e ss., secondo cui il carattere meramente dichiarativo della sentenza pronunciata
ex art. 234 non determina effetti analoghi all’annullamento dell’atto ma esclusivamente la sua inapplicabilità nel processo: l’atto
rimarrebbe, dunque, in vigore ma il giudice nazionale dovrebbe decidere tamquam non esset. Alcune perplessità sono manifestate
da BRAGUGLIA, Effetti della dichiarazione d’invalidità degli atti comunitari nell’ambito dell’art. 177 del Trattato CEE, in Dir.
Com. Scambi Internaz., 1978, 667 e ss. e da UBERTAZZI, Effetti della pronuncia di invalidità di un atto comunitario ex art. 177.
In particolare revoca ed adattamento dell’atto invalido da parte dell’istituzione che lo ha emanato, ivi, 1979, 71 e ss. e
BERARDIS, Gli effetti delle pronunce pregiudiziali della Corte di giustizia delle Comunità europee, ivi, 1982, 245 e ss., i quali
però finiscono per riconoscere alle sentenze di invalidità pronunciate in sede pregiudiziale un’efficacia erga omnes de facto.
6
La decisione del giudice nazionale che sospende la procedura «è quindi notificata a cura del cancelliere della Corte alle parti in
causa, agli Stati membri e alla Commissione, nonché al Consiglio o alla Banca centrale europea, quando l'atto di cui si contesta la
validità o l’interpretazione emani da questi ultimi, e al Parlamento europeo e al Consiglio quando l'atto di cui si contesta la
validità o l'interpretazione sia stato emanato congiuntamente da queste due istituzioni. Nel termine di due mesi da tale ultima
notificazione, le parti, gli Stati membri, la Commissione e, quando ne sia il caso, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Banca
centrale europea hanno il diritto di presentare alla Corte memorie ovvero osservazioni scritte. Nei casi contemplati dall’articolo
234 del trattato CE, la decisione del giudice nazionale è inoltre notificata, a cura del cancelliere della Corte, agli Stati parti
contraenti dell’accordo sullo Spazio economico europeo diversi dagli Stati membri nonché all'Autorità di vigilanza AELS
(EFTA) prevista da detto accordo, i quali, entro due mesi dalla notifica, laddove si tratti di uno dei settori di applicazione
dell'accordo,possono presentare alla Corte memorie ovvero osservazioni scritte».
48
La seconda disposizione 7 codifica il principio espresso nella sentenza Cilfit 8 , secondo cui
l’obbligo di rimessione delle questioni comunitarie proposte davanti ad un giudice nazionale di
ultima istanza non è assoluto ed inderogabile.
In quell’occasione la Corte di giustizia ha infatti avuto modo di precisare che i giudici di
ultima istanza «dispongono dello stesso potere di valutazione di tutti gli altri giudici nazionali
nello stabilire se sia necessaria una pronuncia su un punto di diritto comunitario onde consentir
loro di decidere. Tali giudici non sono pertanto tenuti a sottoporre alla Corte una questione di
interpretazione di norme comunitarie sollevata dinanzi ad essi se questa non è pertinente, vale a
dire nel caso in cui la sua soluzione, qualunque essa sia, non possa in alcun modo influire
sull’esito della lite. (…) Ciò si verifica in specie qualora la questione sollevata sia
materialmente identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia
già stata decisa in via pregiudiziale (…) Lo stesso effetto, per quanto riguarda i limiti
dell’obbligo contemplato nell’art. 177 (ora 234), comma 3, può risultare da una giurisprudenza
costante della Corte che, indipendentemente dalla natura dei procedimenti da cui sia stata
prodotta, risolva il punto di diritto litigioso, anche in mancanza di una stretta identità fra le
materie del contendere. (…) Infine, la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi
con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla
questione sollevata».
L’obbligo di rinvio trova dunque una deroga nell’acte clair 9 , ossia nell’ipotesi in cui
manchi un ragionevole dubbio in merito alla soluzione da dare alla questione interpretativa, in
7
Art. 104 § 3 «Qualora una questione pregiudiziale sia identica ad una questione sulla quale la Corte ha già statuito, o qualora la
soluzione di tale questione possa essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza, la Corte, dopo aver sentito l’Avvocato
generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata contenente riferimento alla precedente sentenza o alla
giurisprudenza pertinente. La Corte può altresì statuire con ordinanza motivata, dopo aver informato il giudice del rinvio, dopo
aver sentito le eventuali osservazioni degli interessati di cui all'articolo 23 dello Statuto e dopo aver sentito l'avvocato generale,
qualora la soluzione della questione pregiudiziale non dia adito a dubbi ragionevoli».
8
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 6 ottobre 1982, in causa C-283/81, Cilfit, che sviluppa la precedente sentenza 27
marzo 1963, in cause riunite C-28, 29 e 30/62, Da Costa en Schanke.
Sull’obbligo di rinvio pregiudizale si vedano, più recentemente: Corte di giustizia delle Comunità Europee, 20 novembre 1997, in
causa C-338/95, Wiener; le conclusioni dell’Avv. Generale Tizzano 21 febbraio 2002, in causa C-99/00, Lyckeskog, in Foro It.,
2002, IV, 381 con nota di BARONE, Rinvio pregiudiziale e giudici di ultima istanza; le sentenze Corte di giustizia delle Comunità
Europee, 15 settembre 2005, in causa C-495/03, Intermodal e le relative conclusioni dell’Avv. Generale Stix-Hackl e Id., 6
dicembre 2005, in causa C-461/03, Gaston Shul Douane e le relative conclusioni dell’Avv. Generale Colomer.
Per delle applicazioni dei principi enunciati da parte del giudice italiano, si vedano: Cass. Civ. sez. lav., 25 ottobre 2002 n.
15105; Id., 23 novembre 2001, n. 14880; Id., sez. I, 7 giungo 2000 n. 7699; Id., 18 febbraio 2000, n. 1804; Id., sez. lav., 1
febbraio 2000 n. 1105; Id., sez. I, 9 maggio 1999 n. 4564; Id., 9 giugno 1998 n. 5673 e Cons. Stato Sez., VI, 20 ottobre 2004 n.
6884; Id., Sez. IV, 19 giugno 2003 n. 3475; Id., 31 maggio 2003 n. 3047; Id., Sez. VI, 4 ottobre 2002 n. 5255; Id., 1 aprile 2000
n. 1885; Id., Sez. V, 23 aprile 1998 n. 478.
9
Per un approfondimento sulla teoria dell’atto chiaro si vedano BLANCHET, L’usage de la théorie de l’acte clair en droit
communautaire: une hypothése de mise en jeu de la responsabilità de l’État français du fait de la fonction juridictionelle?, in
Rev. Trim. Droit Européen, 2001, 397 e ss.; D’ALESSANDRO, Intorno alla «Théorie de l’acte clair», in Giust. Civ., 1997, 1113 e
ss.; RASMUSSEN, The EC-Court’s Acte Claire Strategy in CILFIT, in European Law Review, 1984, 242 e ss.; BEBR, The Rambling
Ghost of “Cohn-Bendit”: Acte Clair and the Court of Justice, in Common Market Law Review, 1983, 439 e ss.
49
virtù dell’esistenza di una sentenza della Corte che abbia già deciso la questione o di una
giurisprudenza costante nell’ambito di questioni analoghe.
Questa seconda deroga conferma l’efficacia erga omnes delle sentenze interpretative: tali
sentenze sono infatti in grado di incidere sulla posizione giuridica di qualsiasi giudice di ultima
istanza, il quale deve attenersi all’interpretazione già fornita oppure chiedere un nuovo intervento
del giudice comunitario sul punto, che potrà anche sfociare nel richiamo del precedente.
In conclusione, quindi, l’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia ha un carattere
autoritativo che trascende dal giudizio a quo, stante l’idoneità ad incidere sulla libertà
interpretativa di qualsiasi giudice nazionale.
Una volta messo in luce come la funzione nomofilattica assegnata alla Corte dall’art. 220
T.C.E. debba far propendere per una qualificazione delle sentenze pregiudiziali in termini di
fonti di produzione normativa e, come questa affermazione, possa trovare conferma sia nelle
disposizioni del Trattato e delle norme comunitarie ad esso collegate (Statuto della Corte e
Regolamento di procedura), sia nella giurisprudenza della Corte, occorre infine accennare allo
status di queste fonti.
La maggior parte degli Autori 10 , che annoverano le sentenze della Corte di giustizia tra le
fonti comunitarie, le include nell’ambito delle fonti non codificate assieme ai principi generali.
Sono poi da ricomprendersi, come è in precedenza emerso, tra le fonti “di secondo grado”, che
traggono la loro forza dalle disposizioni interpretate 11 .
Si tratta a questo punto di verificare se la prospettata ricostruzione delle sentenze
interpretative quali fonti normative trovi un riconoscimento nell’ambito del nostro ordinamento
e, a tal fine, si procederà ad esaminare la giurisprudenza costituzionale in argomento, con
qualche accenno alla giurisprudenza di legittimità.
2. La «diretta applicabilità» delle sentenze della Corte di giustizia nella giurisprudenza
costituzionale − La Corte costituzionale, in varie occasioni, ha avuto modo di esprimersi in
merito agli effetti delle sentenze della Corte di giustizia nell’ambito dell’ordinamento nazionale,
riconoscendone la natura di fonti normative.
10
ISAAC, Droit communautaire général, Paris, 1992, 140; KENNEDY, Learning European Law, Sweet and Maxwell, 1998, 129;
SIMON, Le système juridique communautaire, Puf, Paris, 1997, 234.
11
A tale forza, però, non sia accompagna il valore delle disposizioni interpretate, potendo le statuizioni della Corte essere
modificate solo attraverso una nuova sentenza interpretativa vertente sull’atto normativo originario e non potendo essere
dichiarate invalide ai sensi degli art. 230 e 234 T.C.E. come l’atto normativo di cui forniscono l’interpretazione.
50
Nell’ordinanza n. 536 del 1995, precedentemente citata in relazione alla problematica della
«doppia pregiudizialità», la Corte ha fatto riferimento alle sentenze della Corte di giustizia in
termini di «precedenti vincolanti», in base ai quali il giudice a quo può risolvere le questioni
interpretative comunitarie prima di sollevare una questione di legittimità costituzionale.
È tuttavia più ricorrente l’affermazione secondo cui le sentenze del giudice comunitario
hanno una valenza normativa 12 ed, in quanto tali, sono direttamente applicabili al pari dei
regolamenti e delle direttive self-executing 13 .
La Corte, infatti, ha sottolineato come ogni sentenza, che applica o interpreta una norma
comunitaria, ha carattere di sentenza dichiarativa del diritto comunitario, dal momento che la
Corte di giustizia rappresenta l’interprete qualificato di questo diritto e ne precisa con valore
autoritativo il significato, determinandone così le possibilità applicative.
Pertanto, sostiene il giudice costituzionale, quando il giudizio svolto dinanzi alla Corte di
Lussemburgo verte su una norma avente effetti diretti, l’integrazione di significato compiuta non
può non avere la stessa immediata efficacia delle norme interpretate 14 .
Le disposizioni comunitarie come interpretate nella risoluzione di questioni pregiudiziali
vengono peraltro oggi ad assumere rilevanza, in forza del novellato art. 117, 1° comma, Cost.,
anche agli effetti del giudizio di costituzionalità15 .
L’affermazione secondo cui le sentenze interpretative sono fonti, la cui efficacia diretta
nell’ordinamento nazionale dipende dall’efficacia diretta delle disposizioni interpretate, è stata
poi estesa, dalle sentenze pregiudiziali relative a norme comunitarie direttamente applicabili, a
12
Si veda, in particolare, Corte cost. 21 aprile 1989, n. 232 (sulla quale si veda infra) nonché Id., 13 aprile 1985, n. 113, Id., 11
luglio 1989, n. 389, Id., 16 marzo 1990, n. 132, Id., 18 aprile 1991, n. 168, Id., 16 giugno 1993, n. 285, Id., 23 giugno 1999, n.
255, Id., 12 marzo 2003, n. 62.
13
Si veda in particolare Corte cost. 13 aprile 1985, n. 113, secondo cui «la normativa comunitaria (…) entra e permane in vigore,
nel nostro territorio, senza che i suoi effetti siano intaccati dalla legge ordinaria dello Stato; e ciò tutte le volte che essa soddisfa il
requisito dell'immediata applicabilità. Questo principio, si é visto sopra, vale non soltanto per la disciplina prodotta dagli organi
della C.E.E. mediante regolamento, ma anche per le statuizioni risultanti, come nella specie, dalle sentenze interpretative della
Corte di giustizia».
14
Così Corte cost., 11 luglio 1989, n. 389 in cui si precisa che «poiché ai sensi dell’art. 164 del Trattato spetta alla Corte di
giustizia assicurare il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell’applicazione del medesimo Trattato, se ne deve dedurre che
qualsiasi sentenza che applica e/o interpreta una norma comunitaria ha indubbiamente carattere di sentenza dichiarativa del
diritto comunitario, nel senso che la Corte di giustizia, come interprete qualificato di questo diritto, ne precisa autoritariamente il
significato con le proprie sentenze e, per tal via, ne determina, in definitiva, l'ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative.
Quando questo principio viene riferito a una norma comunitaria avente “effetti diretti” - vale a dire a una norma dalla quale i
soggetti operanti all'interno degli ordinamenti degli Stati membri possono trarre situazioni giuridiche direttamente tutelabili in
giudizio - non v’é dubbio che la precisazione o l'integrazione del significato normativo compiute attraverso una sentenza
dichiarativa della Corte di giustizia abbiano la stessa immediata efficacia delle disposizioni interpretate». In ultima analisi,
dunque, una pronuncia della Corte di giustizia avente ad oggetto, come nel caso in esame, una disposizione di diretta
applicazione, “crea” a sua volta una norma self-executing.
15
Così, recentemente, Corte cost., 23 dicembre 2008, n. 439, in cui si sottolinea come appunto sia ormai «pacifico che “la
precisazione o l’indicazione del significato normativo” di disposizioni del Trattato “compiuta attraverso una sentenza dichiarativa
della Corte di giustizia abbiano la stessa immediata efficacia delle disposizioni interpretate”».
51
tutte le statuizioni interpretative rese dalla Corte di giustizia a prescindere dal contesto di
emersione.
I principi enunciati dalla Corte di giustizia nell’interpretare il diritto comunitario sono
considerati come il risultato di un «procedimento di produzione normativa», formalmente
diverso, ma sostanzialmente equivalente quanto agli effetti nel diritto interno, a quello delle
norme comunitarie derivate 16 .
16
In questo senso si veda Corte cost., 11 luglio 1989, n. 389.
La Corte, più recentemente, si è espressa in termini analoghi anche nei confronti dell’interpretazione fornita dalle decisioni della
Corte di Strasburgo, con riferimento alle quali è stata implicitamente ammessa la stessa vincolatività di norme interposte nel
giudizio di costituzionalità ex art. 117, 1° comma, Cost., riconosciuta alle norme C.E.D.U. Il giudice costituzionale ha infatti
affermato che «la CEDU presenta, rispetto agli altri trattati internazionali, la caratteristica peculiare di aver previsto la
competenza di un organo giurisdizionale, la Corte europea per i diritti dell’uomo, cui è affidata la funzione di interpretare le
norme della Convenzione stessa. (…) Poiché le norme giuridiche vivono nell’interpretazione che ne danno gli operatori del
diritto, i giudici in primo luogo, la naturale conseguenza che deriva dall’art. 32, paragrafo 1, della Convenzione è che tra gli
obblighi internazionali assunti dall’Italia con la sottoscrizione e la ratifica della CEDU vi è quello di adeguare la propria
legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse
interpretazione ed applicazione. Non si può parlare quindi di una competenza giurisdizionale che si sovrappone a quella degli
organi giudiziari dello Stato italiano, ma di una funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla
Corte europea, contribuendo con ciò a precisare i loro obblighi internazionali nella specifica materia. Quanto detto sinora non
significa che le norme della CEDU, quali interpretate dalla Corte di Strasburgo, acquistano la forza delle norme costituzionali e
sono perciò immuni dal controllo di legittimità costituzionale di questa Corte. (…) Nell’ipotesi di una norma interposta che risulti
in contrasto con una norma costituzionale, questa Corte ha il dovere di dichiarare l’inidoneità della stessa ad integrare il
parametro, provvedendo, nei modi rituali, ad espungerla dall’ordinamento giuridico italiano. Poiché, come chiarito sopra, le
norme della CEDU vivono nell’interpretazione che delle stesse viene data dalla Corte europea, la verifica di compatibilità
costituzionale deve riguardare la norma come prodotto dell’interpretazione, non la disposizione in sé e per sé considerata»
(sent. n. 348 del 2007, Cons. dir. 4.6- 4.7).
Tra i numerosi commenti alle citate decisioni, si vedano i contributi di: CALVANO, La Corte costituzionale e la CEDU nella
sentenza n. 348/2007: orgoglio e pregiudizio?, in Giur. It., 2008, 573 e ss.; CANNIZZARO, Sentenze della Corte europea dei diritti
dell’uomo e ordinamento italiano in due recenti decisioni della Corte costituzionale, in Riv. Dir. Internaz., 2008, 138 e ss.;
CICCONETTI, Creazione indiretta del diritto e norme interposte, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; CONTI, La Corte
Costituzionale viaggia verso i diritti CEDU: prima fermata verso Strasburgo, in Corriere giuridico, 2008, 205 e ss.; DAL
MONTE, FONTANELLI, The Decisions No. 348 and 349/2007 of the Italian Constitutional Court: the Efficacy of the European
Convention in the Italian Legal System, in German Law Journal, 2008, 889 ss.; DICKMANN, Corte costituzionale e diritto
internazionale nel sindacato delle leggi per contrasto con l’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in
www.federalismi.it; GUAZZAROTTI, COSSIRI, La CEDU nell’ordinamento italiano: la Corte costituzionale fissa le regole, in www.
forumcostituzionale.it; LUCIANI, Alcuni interrogativi sul nuovo corso della giurisprudenza costituzionale in ordine ai rapporti fra
diritto italiano e diritto internazionale, in Corriere giuridico, 2008, 201 e ss.; NAPOLI, Le sentenze della Corte costituzionale nn.
348 e 349 del 2007: la nuova collocazione della CEDU e le conseguenti prospettive di dialogo tra le Corti, in Quad. Cost., 2008,
137 e ss.; PANZERA, Il bello dell’essere diversi. Corte costituzionale e Corti europee ad una svolta, in forumcostituzionale.it;
PIGNATELLO, Le sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007: la dilatazione della tecnica della "interposizione" (e
del giudizio costituzionale), in Quad. Cost., 2008, 140 e ss.; PINELLI, Sul trattamento giurisdizionale della CEDU e delle leggi
con essa confliggenti, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; POLLICINO, The Italian Constitutional Court at the Crossroad
Between Constitutionalism Parochialism and Cooperative Constitutionalism. Case Note on Judgements no. 348 and 349 of 2007,
in European Constitutional Law Review, 2008; RANDAZZO, Costituzione e Cedu: il giudice delle leggi apre una “finestra” su
Strasburgo, in Giorn. Dir. Amm., 2008, 25 e ss.; REPETTO, Diritti fondamentali e sovranità dello stato costituzionale chiuso.
Prime osservazioni critiche sulla sentenza n. 349 del 2007 della Corte costituzionale, in Giur. It., 2008, 309 e ss.; RUGGERI, La
CEDU alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale–astratta e prospettiva assiologico-sostanziale
d’inquadramento sistematico (a prima lettura di Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007), in www.forumcostituzionale.it; SAVINO, Il
cammino internazionale della Corte costituzionale dopo le sentenze n. 348 e 349 del 2007, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2008, 743
e ss.; TEGA, Le sentenze della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 2007: la CEDU da fonte ordinaria a fonte "subcostituzionale" del diritto, in Quad. Cost., 2008, 133 e ss.; VILLANI, Sul valore della Convenzione europea dei diritti dell’uomo
nell’ordinamento italiano, in Studi sull’integrazione europea, 2008, 7 e ss.; ZANGHI’, La Corte costituzionale risolve un primo
contrasto con la Corte europea dei diritti dell’uomo ed interpreta l’art. 117 della Costituzione: le sentenze n. 347 e 348 del 2007,
in www.giurcost.org. Più, in particolare, su un’ipotesi di disapplicazione del diritto nazionale in contrasto con le disposizioni
C.E.D.U., come interpretate dalla Corte di Strasburgo, si veda PACINI, Verso la disapplicazione di disposizioni legislative
contrarie alla Cedu?, in Giorn. Dir. Amm., 2007, 386 e ss.
52
Le conseguenze del riconoscimento del valore normativo delle sentenze pregiudiziali sono
di due tipi.
In primo luogo, la «diretta applicabilità» della decisione della Corte di giustizia, laddove, in
considerazione dell’interpretazione della disposizione comunitaria oggetto del rinvio, emerga
l’incompatibilità della norma interna con il diritto comunitario, può porre la norma interna in uno
stato di inapplicabilità. Infatti, qualora non sia comunque possibile un’interpretazione conforme
al diritto comunitario della norma interna incompatibile 17 , il giudice nazionale sarà tenuto a
disapplicarla.
17
L’obbligo di interpretazione conforme al diritto comunitario è stato esplicitamente affermato dal giudice comunitario a partire
dalla sentenza, 10 aprile 1984, in causa C-14/83, Von Colson, e poi diffusamente nella sentenza 13 novembre 1990, in causa C106/89, Marleasing SA, secondo cui «l’obbligo degli stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da questa
contemplato, come pure l’obbligo, loro imposto dall’art. 5 (ora 10) del Trattato, di adottare tutti i provvedimenti generali o
particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi degli Stati membri, ivi compresi, nell’ambito
della loro competenza, quelli giurisdizionali. Ne consegue che, nell’applicare il diritto nazionale, a prescindere dal fatto che di
tratti di norme precedenti o successive alla direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce
della lettera e dello scopo della direttiva, onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima e conformarsi pertanto all’art.
189 (ora 249), comma 3, del Trattato».
Si cfr., in argomento, CAFARI PANICO, Per un’interpretazione conforme, in Dir. pubbl. Comp. Eu., 1999, 383 e ss.; GAJA,
L’esigenza di interpretare le norme nazionali in conformità con il diritto comunitario, in Le riforme istituzionali e la
partecipazione dell’Italia all’Unione europea, a cura di Panunzio e Sciso, Milano, 2003; PALLOTTA, Interpretazione conforme e
inadempimento dello Stato, in Riv. It. Dir. pubbl. Com., 2005, 253 e ss.; PINELLI, Interpretazione conforme (rispettivamente, a
Costituzione e al diritto comunitario) e giudizio di equivalenza, in Giur. Cost., 2008, 1364 e ss.; RUVOLO, Interpretazione
conforme e situazioni giuridiche soggettive, in Europa e Dir. Priv., 2006, 1407 e ss.
L’importanza del rispetto dell’obbligo di interpretazione conforme da parte dei giudici nazionali è stata inoltre recentemente
ribadita nella sentenza 5 ottobre 2004, in cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer (su cui si vedano da ultimo LENAERTS,
CORTHAUT, Of birds and hedges: the role of primacy in invoking norms of EU law, in European Law Review, 2006, 287 e ss.).
Ove una non sia possibile procedere ad un’interpretazione del diritto interno in conformità al diritto comunitario, il giudice
nazionale ha l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli,
eventualmente disapplicando la disposizione nazionale, la cui applicazione, date le circostanze del caso, condurrebbe ad un
risultato contrario al diritto comunitario (si vedano in proposito Corte di giustizia delle Comunità Europee, 4 febbraio 1988, in
causa C-157/86, Murphy e Id., 28 settembre 1994, in causa C-200/91, Coloroll).
Il giudice comunitario ha inoltre precisato che «nel caso in cui il risultato prescritto dalla direttiva inattuata dal legislatore
nazionale non possa essere conseguito mediante l’interpretazione conforme del giudice nazionale il diritto comunitario impone
agli Stati membri di risarcire il danno da essi causati ai singoli in conseguenza della mancata attuazione della direttiva» (così
Corte giustizia delle Comunità Europee, 14 luglio 1994, in causa C-91/92, Faccini Dori).
Si segnala infine che, con la sentenza 9 dicembre 2003, (pronunciata poco dopo la citata sentenza Köbler), in causa C-129/00,
Commissione/Italia, la Corte di giustizia ha dichiarato che la Repubblica italiana, con l’art. 29 della legge n. 428/1990, così come
interpretato e applicato in sede amministrativa e giudiziaria, consente di applicare alla ripetizione dei tributi percepiti in
violazione delle norme comunitarie, un regime probatorio che rende l’esercizio del diritto al rimborso di tali tributi praticamente
impossibile o eccessivamente difficile per i contribuenti, venendo meno agli obblighi ad essa imposti dal Trattato: in particolare il
giudice comunitario evidenzia la contrarietà dell’art. 29, nella sua interpretazione corrente, con il principio di effettività sancito
dal diritto comunitario, ex art. 10 T.C.E. che impone la leale cooperazione tra comunità e stati membri per assicurare
l’adempimento degli obblighi posti dalle norme comunitarie. Lo Stato italiano è stato dunque condannato per “inadempimento al
diritto comunitario” causato da un’interpretazione dei giudici nazionali non conforme ai principi del diritto comunitario. Per
alcuni approfondimenti sulla decisione si vedano: BIONDI, BALOCCHINI, Corti nazionale sotto processo: ingiusto arricchimento e
principio di effettività del diritto comunitario, in Il diritto dell’Unione Europea, 2004, 619 e ss.; CRESCIMANNO, Brevi
considerazioni sull'inadempimento dello Stato per (interpretazione in) contrasto con il diritto comunitario di legge con esso (in
astratto) compatibile, in Europa e diritto privato, 2005, 221 e ss.; MAGRASSI, Repubblica italiana condannata ai sensi degli art.
226 e 228 TCE per un orientamento della Suprema Corte di cassazione, in Dir. Pubbl. Comp. Eu., 2004, 1003 e ss.; PALLOTTA,
Interpretazione conforme ed inadempimento dello Stato, in Riv. Dir. Pubbl. Com., 2005, 253 e ss.; PEERBUX-BEAUGENDRE,
Première consécration espresse du principe de la responsabilitè de l’Etat membre pour les jurisprudences de ses cours suprêmes
dans le cadre de l’article 226 CE, in Revue trimestrielle de droit européen, 2004, 208 e ss.; RASIA, Il controllo della
Commissione europea sull’interpretazione del diritto comunitario da parte delle corti supreme degli Stati membri, in Riv. Trim.
Dir. Proc. Civ., 2005, 1025 e ss.; ROSSI, DI FEDERICO, Case C-129/00, Commission v. Repubblica Italiana, judgment of 9
December 2003, in Common Market Law Review, 2005, 829 e ss.
53
Sul punto ha avuto modo di pronunciarsi anche la Corte di Cassazione, la quale
inizialmente ha, però, sostenuto come la disapplicazione di una norma interna, a seguito
dell’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia di una norma comunitaria, sia necessaria solo
qualora la pronuncia abbia ad oggetto una disposizione direttamente applicabile 18 .
Questa conclusione sembra superata dalla giurisprudenza costituzionale, alla luce della
rilevata estensione della qualifica di fonti normative ad ogni decisione del giudice comunitario,
indipendentemente dal fatto che abbia o meno ad oggetto norme comunitarie direttamente
applicabili, come emerge in particolare nelle argomentazioni dell’ordinanza n. 255 del 1999 19 .
In quell’occasione la Corte, dovendo pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di una
disposizione, che escludeva i lavoratori aventi diritto all’indennità di mobilità a seguito di
licenziamento collettivo dal novero dei beneficiari del diritto di ottenere dall’Inps il pagamento,
previsto in attuazione di una direttiva comunitaria, di tre mensilità di retribuzione non percepita a
causa dell’insolvenza, rilevato che il divieto di cumulo delle due prestazioni era stato già
dichiarato incompatibile con il diritto comunitario da una sentenza della Corte di giustizia, ha
rimesso gli atti al giudice a quo perchè valutasse la permanenza della questione di legittimità
costituzionale, ribadendo che il principio, secondo cui la normativa comunitaria «entra e
permane in vigore nel nostro territorio senza che i suoi effetti siano intaccati dalla legge ordinaria
dello Stato», vale «anche per le statuizioni (…) risultanti dalle sentenze interpretative della Corte
di giustizia». La sentenza comunitaria è stata dunque equiparata, ai fini della valutazione
sull’ammissibilità della questione di legittimità costituzionale, al ius superveniens.
Muovendo da questa ricostruzione, la disapplicazione della norma interna antinomica non è
disposta in favore della norma comunitaria come interpretata nella sentenza, e quindi solo
laddove questa sia direttamente applicabile, ma in favore della sentenza stessa. In questo senso,
si riconosce alle statuizioni contenute nelle sentenze interpretative, seppur discendenti da norme
comunitarie, una propria autonomia.
18
Si tratta della sentenza 20 novembre 1997, n. 11571 con cui la Corte di Cassazione ha composto il contrasto interpretativo
emerso a seguito della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee, 25 luglio 1991, C-345/89, Stoeckel, che,
nell’ambito di una domanda di interpretazione pregiudiziale proposta da un giudice francese, ha dichiarato la contrarietà del
divieto del lavoro notturno per le sole donne lavoratrici rispetto al principio comunitario di parità tra uomo e donna previsto dalla
direttiva 76/207/CEE. In particolare, il contrasto era sorto sulla questione se il divieto del lavoro notturno previsto dalla
normativa italiana (art. 5 L. n. 903/1977) potesse o meno essere disapplicato dai giudici nelle controversie di lavoro tra privati,
essendosi opposto, all’orientamento di quanti negavano che ciò fosse possibile, in ragione del principio della mancanza di
efficacia diretta delle direttive nei rapporti interprivati, l’indirizzo di quanti facevano valere la diretta applicabilità della sentenza
Stoeckel. e non, come nel caso di specie, un direttiva invocata in un rapporto orizzontale tra privati.
19
Corte cost., 23 giugno 1999, n. 255.
54
In secondo luogo, va evidenziato come la mancata applicazione di una disposizione
comunitaria nella sua interpretazione fornita dalla Corte di giustizia sia fonte della responsabilità
dello Stato per i danni derivanti ai singoli.
Infatti anche la Corte costituzionale è giunta a riconoscere come ciascuna norma
comunitaria rechi in sé la disposizione che obbliga lo Stato a risarcire i danni ai singoli derivanti
dall’inadempimento.
In particolare, nella sentenza n. 285 del 1993 20 , la Corte, chiamata a stabilire se un decreto
legislativo avesse ecceduto dai limiti di oggetto della legge di delega, ha respinto l’eccezione,
ritenendo che, in considerazione del principio del risarcimento del danno da mancata tempestiva
attuazione fissato dalla sentenza Francovich, la sentenza della Corte di giustizia avesse integrato
la direttiva cui la legge delega faceva riferimento, «con una norma, che in caso di inosservanza
dell’obbligo di attuazione (…), costituisce lo Stato membro responsabile per i danni derivato ai
singoli dall’inadempimento».
Conseguentemente, in ragione del parallelismo tra sentenze pregiudiziali e norme
comunitarie, è legittimo concludere che anche le disposizioni comunitarie, quali risultano
dall’interpretazione contenuta in una decisione del giudice comunitario, comportino un’analoga
responsabilità, in caso di mancata attuazione derivante da una non corretto adeguamento degli
interpreti dell’ordinamento nazionale.
Parte della dottrina 21 ha criticato l’equiparazione delle sentenze alle fonti comunitarie
direttamente applicabili: tale visione si porrebbe in antitesi con quanto affermato dalla Corte di
giustizia, che fa riferimento alle proprie sentenze in termini di precedenti, rischiando di
20
Corte cost., 16 giugno 1993, n. 285.
Si veda in particolare, GHERA, Pregiudiziale comunitaria, pregiudiziale costituzionale e valore di precedente delle sentenze
interpretative della Corte di Giustizia, in Giur. Cost., 2000, 1215, secondo cui «il concetto di diretta applicabilità delle sentenze
della Corte di giustizia - a differenza di quello, più appropriato, di precedente - rischia di far trascurare il fatto che l’applicazione
di una sentenza della Corte di giustizia ad un caso successivo deve essere preceduta da un complesso procedimento argomentativi
di tipo «ascendente», diretto a dimostrare la pertinenza nel caso posteriore. In altri termini, l’assimilazione, sottesa al principio di
diretta applicabilità delle sentenze della Corte di giustizia, tra le statuizioni di queste e le norme risultanti dalle fonti del diritto
comunitario strettamente intese, (…) può invece portare a trattare le statuizioni come norme di legge, anche se in hanno in realtà
avutoli ruolo di semplici dicta nella decisione dei casi precedenti, o comunque, anche se costituivano la ratio decidendi, a calarle
a fattispecie nelle quali non sarebbero pertinenti, non avendo in comune con quelle, in relazione alle quali sono state pronunciate,
una somiglianza rilevante. Di qui la possibilità che, per un verso, lo sviluppo dei propri precedenti sfugga al controllo della Corte
di giustizia - contrariamente alla logica del rinvio interpretativo pregiudiziale - e che, per altro verso, il giudice nazionale trascuri
il ruolo che può apportare all’evoluzione della giurisprudenza comunitaria, sollecitandone un adattamento - in senso estensivo o
restrittivo - ovvero un deciso superamento (overruling)».
Si cfr.no, inoltre, in senso parzialmente critico, SCARPA, Effetti delle sentenze interpretative della Corte di giustizia CE, in Giust.
civ., 1981, 1127 e ss., PADOVA, Uniformità interpretativa delle norme comunitarie. L’obbligo imposto al giudice interno dall’art.
177 Trattato C.E.E., in Giur. It., 1983, I, c. 718 ss., CAPOTORTI, Processo comunitario, in Enc. Dir., XXXVI, 1987, 846 e ss.,
GRAPPIOLO, La giurisprudenza della Corte di giustizia sul rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 177 del Trattato CE, in Dir.
Com. Scambi Internaz., 1992, 69 e ss. i quali ritengono preferibile la tesi che inquadra le sentenze nel principio dello stare
decisis, anche se non nella sua forma perfettamente compiuta. Si cfr. inoltre più recentemente PREZIOSO, Riflessioni sugli effetti
delle sentenze interpretative della Corte di Giustizia sul sistema delle garanzie dei diritti fondamentali vigente nel nostro
ordinamento, in Giur. Cost., 2000, 2928 e ss.
21
55
provocare una stasi giurisprudenziale, a fronte di una interpretazione cristallizzata delle norme
comunitarie.
Sul punto, tuttavia, occorre fare una precisazione di tipo terminologico in ordine al
rapporto tra la qualificazione di una decisione in termini di precedente e come fonte di
produzione normativa.
Tale rapporto è spesso letto in chiave di esclusione, nel senso che la maggior parte di
coloro che non riconoscono alle sentenze interpretative un’efficacia normativa parlano di
efficacia di precedente o di efficacia ultra partes per contrapporla all’efficacia erga omnes delle
fonti del diritto.
In realtà la forza normativa può ben costituire un predicato del riconoscimento della
qualificazione di una decisione in termini di precedente: la forza normativa del precedente
consiste nel vincolo gravante sul giudice di applicare il principio enunciato ad un caso
successivo.
L’efficacia erga omnes delle sentenze non comporta, inoltre, che il giudice nazionale, nei
casi di dubbia pertinenza, sia sempre costretto ad applicare le statuizioni già contenute in una
decisione della Corte.
Non a caso, infatti, come è già stato ricordato in predecenza, la Corte di giustizia ha
riconosciuto come il giudice nazionale possa sottrarsi all’obbligo di rinvio «qualora la questione
sollevata sia materialmente identica ad altra questione, sollevata in relazione ad analoga
fattispecie, che sia già stata decisa in via pregiudiziale» 22 ma, allo stesso tempo, ha chiarito che
«l’art. 177 (ora 234) del Trattato permette sempre ai giudici nazionali, ove lo ritengano
opportuno, di deferire nuovamente alla Corte questioni di interpretazione, anche se queste
hanno già costituito oggetto di una pronuncia pregiudiziale in una fattispecie analoga» 23 .
Quindi, laddove occorra procedere all’estensione di una statuizione, contenuta in una
sentenza che fornisce l’interpretazione di una disposizione comunitaria, ad una fattispecie
analoga, l’obbligo di rinvio viene meno solo quando tale operazione non dia adito a dubbi
ragionevoli: insomma, un richiamo alla teoria dell’atto chiaro anche in sede di applicazione delle
sentenze interpretative. È dunque per questa via che il giudice nazionale potrà anche sollecitare
un mutamento della giurisprudenza comunitaria, acquisendo così un ruolo attivo nel processo di
graduale formazione del diritto comunitario 24 .
22
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 27 marzo 1963, in cause riunite C-28, 29 e 30/62, Da Costa en Schanke.
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 3 marzo 1994, in cause riunite C-333/92 e 335/92, Eurico Italia e al.
24
La possibilità di un overruling della Corte di giustizia è sottolineata da BRIGUGLIO, Pregiudiziale comunitaria, in Enc. Giur.
Treccani, Roma, 1997.
23
56
In conclusione, alla luce degli orientamenti della giurisprudenza costituzionale sin qui
esaminati, si può validamente ritenere che la prospettata ricostruzione delle sentenze
interpretative quali fonti normative trovi un riconoscimento nell’ambito del nostro ordinamento e
sia tale da accentuare in maniera decisiva la funzione nomofilattica svolta dalla Corte di giustizia
in ambito comunitario.
3. Il dovere della Corte di conformarsi alle sue precedenti decisioni − Una volta definita
l’ampiezza del vincolo che, a seguito di una pronuncia interpretativa, viene a gravare sui giudici
nazionali, è interessante procedere all’analisi degli effetti vincolanti di una decisione nei
confronti del giudice comunitario che sia successivamente chiamato a decidere analoghe
domande pregiudiziali.
In proposito è stato rilevato come il valore di precedente delle sentenze interpretative della
Corte di giustizia sia insito nella stessa logica dell’istituto del rinvio pregiudiziale 25 .
La possibilità che il giudice nazionale, invece di ricorrere al rinvio, possa applicare
analogicamente ad un nuovo caso principi già enunciati in una precedente pronuncia della Corte
di giustizia presuppone logicamente che la Corte si reputi vincolata ai propri precedenti al fine di
mantenere un sistema unitario di giurisprudenza coerente.
In termini più generali, il rispetto del precedente caratterizza il modo di operare della
giurisprudenza come fonte: è una forma di “autolimitazione sistemica” della “giurisprudenzafonte” rispetto alle altre fonti ed alle altre manifestazioni della medesima fonte 26 .
Non si può tuttavia riconoscere nel sistema della giurisprudenza comunitaria l’operatività
di un assetto a precedente vincolante, nel senso inteso dalla dottrina anglo-americana dello stare
decisis 27 .
25
La conclusione è raggiunta da UBERTAZZI, La Corte di giustizia delle Comunità europee ed il suo dovere di conformarsi alle
sue precedenti decisioni ex art. 177, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1977, 481 e ss., secondo cui il carattere di precedente delle
sentenze interpretative della Corte di giustizia deve ritenersi implicitamente ammesso dalla ratio dell’istituto del rinvio
pregiudiziale ex art 177 Trattato CE: infatti, avendo tale disposizione lo scopo di assicurare uniformità di interpretazione ed
applicazione del diritto comunitario nei diversi Stati membri, sarebbe logicamente contraddittorio ritenere che la Corte di
giustizia non sia vincolata ai propri precedenti.
Secondo SCARPA, Effetti delle sentenze interpretative della Corte di giustizia CE, cit., 1131-1132, le sentenze interpretative della
Corte di giustizia non hanno né efficacia erga omnes, ma soltanto all’interno del potere giurisdizionale, né la forza della res
iudicata, poiché quest’ultima impone i suoi effetti solo inter partes: hanno, invece, carattere di precedente che vincola il solo
giudice del caso simile od analogo a quello già deciso.
26
L’osservazione è di LUPOI, La percezione della funzione del precedente quale flusso giuridico, in AA.VV., Lo Stile delle
sentenze e l’utilizzazione dei precedenti, a cura di Vacca, Torino, 2000, 96.
27
In proposito, si vedano: BEBR, Development of the judicial control of the European Communities, Boston-London, 1981, 9;
MACKENZIE STUART e WARNER, Judicial decisions as a Source of Community law, in Europäische Gerichsbarkeit und nationale
Verfassungsgerichtsbarkeit, a cura di Grewe, Rupp e Schneide, Nomos, Baden Baden, 1981, 276; KOOPMANS, «Stare decisis» in
European Law, in AA. VV., Essays in European Law and Integration, Denver, 1982, 11 e ss.; SLYNN, The Court of Justice of
57
Nell’uso del precedente la Corte di giustizia, modellata sul Conseil d’Etat, pur essendosi
allontanata dal paradigma francese, a fronte dell’innesto di elementi di common law, continua a
comportarsi come un giudice di civil law 28 .
È stato infatti osservato 29 come la Corte costruisca le sentenze citando decisioni
antecedenti, ma “non discuta il precedente” in maniera problematica, limitandosi a richiamarlo e
a seguirlo senza porre in luce in maniera analitica la ratio decidendi e gli obiter dicta 30 . Inoltre,
il mutamento giurisprudenziale non è supportato da alcun distinguishing, sicché il discostamento
dal precedente non viene accompagnato dalle ragioni per le quali un principio, fino ad allora
seguito, viene abbandonato. Non essendoci, infine, spazio per la dissenting opinion, le decisioni
risultano, per lo più, caratterizzate dall’astrattezza argomentativa, sono «succinte e dommatiche
nel tono».
La tendenza implicita del giudice comunitario a rispettare i propri precedenti ha comunque
indotto parte della dottrina a ritenere che vi siano i presupposti per lo sviluppo di una, seppur
peculiare, dottrina del precedente 31 .
Un simile riconoscimento contribuisce ad accrescere l’autorità delle pronunce del giudice
comunitario, ponendo le basi per l’orientamento giurisprudenziale che propone il superamento
del principio dell’autorità del giudicato interno in contrasto con l’interpretazione da esse fornite,
su cui ci si soffermerà nei seguenti capitoli. A questi fini, terminato l’esame sulla portata del
vincolo che, a seguito delle decisioni adottate in sede di rinvio, si determina in capo ai giudici
nazionali ed allo stesso giudice comunitario, si precederà ad analizzare le modalità con cui si
dispiegano, sotto il profilo temporale, gli effetti di tali decisioni.
European Communities, in International and Comparative Law quaterly, 33, 1984, 415 e ss.; TOTH, The Authority of the
judgements of the European Court of Justice: Binding force and legal effects, in Yearbook of European Law, 1984, 2 e ss.
nonché, più recentemente, HUNNINGS, The European Courts, London, 1996, 133 e ss. e BARCELO, Precedent in European
Community Law, in Interpreting precedets, a cura di MacCormick e Summers, 1997, 407 e ss.
28
CAPOTORTI, Le sentenze della Corte di giustizia delle Comunità Europee, in AA. VV. La sentenza in Europa – Metodo,
tecnica e stile, Padova, 1988, 245-246.
29
MAZZAMUTO, Relazione introduttiva al Seminario Aristec – Perugina, 25-26 giugno 1999, in AA.VV., Lo Stile delle sentenze,
cit., 18 e ss.
30
Ciò che secondo la dottrina dello «stare decisis» vincola nei casi successivi è la sola ratio decidendi, ossia l’insieme dei fatti
giuridicamente rilevanti in presenza dei quali il giudice in quel caso ha deciso in un determinato modo: tutto il resto è obiter dicta
non vincolante. Per qualche esemplificazione dei riflessi di tale distinzione, si veda MONATERI, Il precedente in Inghilterra, in
AA.VV., Lo Stile delle sentenze, cit., 103 e ss.
31
MACKENZIE STUART e WARNER, Judicial decisions as a Source of Community law, cit. ed, in particolare, BARCELO, Precedent
in European Community Law, cit., secondo cui le decisioni che operano il richiamo al precedente «are the best evidence for the
proposition that the Community legal system has the concept of stare decisis or at least is developing one. It is certainly clear
that, at its current state of development, Community law does not contain an elaborate system of rules defining the force and
binding character of past decisions, such as exists in England». Si veda inoltre la tesi elaborata da LUNDMARCK nel saggio Soft
stare decisis and armonization, in Richterrecht und Rechtsfortbildung in der Europäischen Rechtsgemeinschaft, 2003, 161 e ss.
58
4. Efficacia retroattiva e potere della Corte di modulare gli effetti delle proprie decisioni
− L’analisi dell’efficacia temporale delle pronunce della Corte di giustizia deve essere svolta alla
luce di alcune disposizioni del Trattato e degli orientamenti del giudice comunitario.
L’art. 230 T.C.E. attribuisce alla Corte di giustizia la competenza ad esercitare il controllo
legittimità degli atti delle Istituzioni comunitarie che abbiano efficacia giuridica nei confronti dei
terzi (i regolamenti, le direttive, le decisioni e tutti gli altri atti che hanno una qualche efficacia
vincolante quali le deliberazioni del Consiglio, le comunicazioni della Commissione, con
esclusione delle raccomandazioni ed i pareri) 32 .
Più precisamente, il sindacato ha ad oggetto i ricorsi per incompetenza, violazione delle
forme sostanziali, violazione del Trattato o delle norme di diritto relative alla sua applicazione,
sviamento di potere, avverso tali atti.
Gli effetti della sentenza della Corte che riconosca la fondatezza del ricorso sono
disciplinati dall’art. 231 T.C.E., 1° comma, secondo cui «se il ricorso è fondato, la Corte di
giustizia dichiara nullo e non avvenuto l’atto impugnato»: l’annullamento comporta
l’eliminazione dell’atto dall’ordinamento comunitario con efficacia retroattiva ed erga omnes.
Il giudizio di annullamento comporta, dunque, il ripristino della situazione preesistente
all’emanazione dell’atto, anche attraverso la revoca degli atti collegati a quello annullato, con
conseguenze giuridiche non solo per le parti in causa, ma nei confronti di tutti i soggetti
dell’ordinamento comunitario.
Un effetto analogo, seppur, come si vedrà, con qualche precisazione, è prodotto dalla
sentenza di invalidità di un atto pronunciata in sede di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234
T.C.E., 1° comma, lett. b): pur costituendo una pronuncia incidentale, la decisione vincola i
giudici, dinanzi ai quali l’atto dovesse essere invocato, a considerarlo invalido ab origine.
Anche le sentenze pronunciate nei procedimenti pregiudiziali d’interpretazione ai sensi
dell’art. 234, 1° comma, lett. a), T.C.E. hanno, di regola, efficacia ex tunc.
Le sentenze interpretative, infatti, secondo la giurisprudenza costante della Corte,
interpretano l’atto di diritto comunitario di cui trattasi e dichiarano in quale senso e con quale
portata tale disposizione, a partire dalla sua entrata in vigore, debba o avrebbe dovuto essere
intesa ed applicata 33 .
32
In argomento si vedano più analiticamente: AA. VV., Il ricorso di annullamento nel trattato istitutivo della Comunità
Europea, a cura di Nascimbene e Daniele, Milano, 1998; LASOK, MILLET, HOWARD, Judicial Contro1 in the EU: procedures and
principles, Richmond, 2004, 62 e ss.; VANDERSANDEN, Art. 174, in Traité instituant la CEE. Commentaire article par article, a
cura di Costantinesco, Jacquér, Kovar, Simon, Paris, 1992, 1055 e ss.
33
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 27 marzo, 1980, in causa C-61/79, Denkavit, punto 16, di recente richiamata da
Corte di giustizia, 10 febbraio 2000, in causa C-50/96, Deutsche Telekom.
59
La sentenza interpretativa vincola il giudice nazionale, che dovrà eventualmente
disapplicare la norma nazionale configgente con la norma comunitaria di diretta applicazione, e
costituisce un precedente interpretativo per gli altri giudici che siano chiamati ad applicare la
medesima disposizione.
Come è stato in precedenza rilevato, in caso di difficoltà di comprensione o di applicazione
dell’interpretazione fornita dalla sentenza, può essere comunque richiesto un nuovo intervento
della Corte: è infatti risalente la precisazione secondo cui «l’efficacia vincolante che le sentenze
pregiudiziali hanno nei confronti dei giudici nazionali non osta a che il giudice nazionale
destinatario di una siffatta sentenza si rivolga nuovamente alla Corte qualora lo ritenga
necessario per la decisione della causa principale. Il nuovo rinvio può essere giustificato qualora
il giudice nazionale si trovi di fronte a difficoltà di comprensione o di applicazione della
sentenza, qualora egli sottoponga alla corte una nuova questione di diritto, oppure qualora egli le
sottoponga nuovi elementi di valutazione che possano indurla a risolvere diversamente una
questione gia sollevata» 34 .
In merito alle conclusioni che ne derivano con riferimento all’efficacia delle sentenze nel
tempo, la Corte, nella sentenza 17 febbraio 2005, Linneweber, ha recentemente ribadito che «la
norma così interpretata può e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e
sviluppatisi prima della sentenza che statuisce sulla domanda d’interpretazione, sempreché,
d’altro canto, sussistano i presupposti per sottoporre al giudice competente una lite relativa
all’applicazione di detta norma» 35 .
Con riferimento alle sentenze pregiudiziali, sia dichiarative dell’invalidità di un atto che
interpretative, è infatti consolidato l’orientamento secondo cui la retroattività degli effetti della
pronuncia incontra il limite dei rapporti esauriti 36 .
Si tratta, come vedremo, principalmente dei rapporti giuridici che sono stati oggetto di una
pronuncia del giudice nazionale passata in giudicato.
Il giudice comunitario ha inoltre precisato che le pronunce pregiudiziali non sono un mero
parere, hanno autorità di cosa giudicata, nel senso di decisione a carattere vincolante, ma non nel
senso di accertamento della situazione sostanziale, né di pronuncia di natura definitiva ed
irreformabile 37 .
34
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 11 giugno 1987, in causa C-14/86, Pretore di Salò, punto 12.
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 17 febbraio 2005, in cause riunite C-453/02 e C-462/02, Linneweber, punto 41.
36
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 27 marzo 1980, in cause C-66, 127-128/79, Salumi I; Id., 13 febbraio 1996, in cause
C-197 e C-252/94, Bautiaa; Id., 2 dicembre 1997, in causa C-188/95, Fantask; Id., 15 settembre 1998, in causa C-231/96, Edis.
37
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 3 febbraio 1987, in causa C-52/76, Benedetti c. Munari.
35
60
Nell’ambito di differenti tipi di procedimento, la Corte di giustizia si è inoltre occupata
della possibilità giuridica di incidere sugli effetti delle sue sentenze nel tempo, muovendo da
problematiche analoghe a quelle che hanno condotto a riconoscere una limitazione alla
retroattività delle pronunce di illegittimità costituzionale 38 .
In tutti i sistemi di giustizia costituzionale di tipo accentrato è infatti contemplata
l’esclusione degli effetti retroattivi della decisione di incostituzionalità, sia sotto il profilo della
normale efficacia ex nunc della sentenza di illegittimità, sia sotto il profilo della esplicita
previsione di poteri del giudice costituzionale di differirne gli effetti.
Il principale sistema che prevede l’efficacia ex nunc della declaratoria d'incostituzionalità è
quello austriaco, che, nella sua attuale configurazione, contempla un potere di deroga
all’ordinaria efficacia temporale della decisione di accoglimento sia per il futuro, attraverso il
differimento degli effetti sino a diciotto mesi, sia per il passato, attraverso la previsione della
facoltà, per il giudice costituzionale, di disporre che la pronuncia abbia effetto, oltre che per il
caso a quo, anche per una serie indefinita di altri procedimenti e rapporti pendenti (art. 140,
commi 5-7, B- VG) .
L’efficacia retroattiva della dichiarazione d’incostituzionalità rappresenta invece la regola
nei sistemi italiano, tedesco, spagnolo, portoghese e belga.
Tuttavia, a fronte della generale efficacia ex tunc della declaratoria d’incostituzionalità - di
norma, con il limite dei rapporti esauriti o, almeno, del giudicato - è attribuito al giudice
costituzionale il potere di modulare gli effetti della decisione per espressa previsione legislativa o
costituzionale ovvero a seguito di riconoscimento giurisprudenziale.
Tra i sistemi di controllo di costituzionalità che, per espressa previsione costituzionale,
prevedono ampi poteri di deroga alla normale efficacia della decisione di incostituzionalità
vanno indicati quello portoghese e belga.
Le disposizioni della Costituzione della Repubblica portoghese del 1976, nel disciplinare il
sistema di controllo di costituzionalità a posteriori, conferiscono al Tribunale costituzionale
incisivi poteri di controllo e graduazione degli effetti nel tempo della decisione
d’incostituzionalità: «secondo il quarto ed ultimo comma dell’art. 282 «quando lo esigano
ragioni di certezza del diritto, di equità o di interesse pubblico di eccezionale importanza, che
devono
essere
motivate,
il
Tribunale
costituzionale
potrà
determinare
gli
effetti
dell’incostituzionalità o della illegittimità con una portata più limitata di quanto previsto nel
38
Per questo parallelismo e la ricostruzione del panorama giurisprudenziale in materia, si veda PARODI, Gli effetti temporali delle
sentenze di annullamento e di invalidità della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in Quaderni regionali, 2007, 319 e ss.
61
primo e nel comma 2», nei quali si prevede appunto l’efficacia generale e retroattiva della
decisione di incostituzionalità.
La legge speciale belga del 6 gennaio 1989 sulla Cour d’arbitrage (ora Cour
constitutionnelle) disciplina gli effetti della sentenza di annullamento, attribuendo alla Corte un
ampio potere di modulazione degli effetti della decisione di annullamento, sia per il futuro che
per il passato: a norma dell’art. 8 «se la Corte lo ritiene necessario, indica, con disposizione
generale, gli effetti delle disposizioni annullate che devono essere considerati come definitivi, o
mantenuti provvisoriamente, per il periodo che essa determina».
Tra le esperienze giurisprudenziali di modulazione degli effetti nel tempo sviluppate per
interpretazione
giurisprudenziale,
va
innanzitutto
richiamata
la
prassi
del
Bundesverfassungsgericht, il quale, nel pronunciare decisioni di nullità (Nichtigerklarung) a
norma del § 78 del BVerfG, esercita ampi poteri di limitazione degli effetti della dichiarazione di
incostituzionalità, anzitutto attraverso la pronuncia - in luogo di una sentenza di nullità - di
decisioni
d’incompatibilità
(Unvereinbarerklarung),
o
di
“(mera)
incostituzionalità”
(Verfassungswidrigerklarung) 39 .
Per quanto riguarda il sistema spagnolo, l’art. 39, 2° comma, della Legge organica sul
Tribunale Costituzionale 3 ottobre 1979, n. 2 (LOTC), stabilisce che, quando la sentenza del
Tribunal dichiara l’incostituzionalità delle disposizioni legislative impugnate, ne dichiara
«igualmente la nulidad».
Tuttavia, a partire dalla sentenza n. 45 del 1989 40 , il Tribunal, rivisitando la sua precedente
giurisprudenza in materia di effetti dell’incostituzionalità della legge, ha teorizzato il potere del
giudice costituzionale di modulare gli effetti nel tempo della pronuncia di nullità, affermando
altresì la possibilità di dichiarare l’incostituzionalità della legge, senza pronunciarne
contestualmente la nullità. Si tratta di sentenze dichiarative dell’incostituzionalità della
disposizione impugnata (e non della sua nullità) o di un’omissione del legislatore.
Venendo, infine all’ordinamento italiano, come è noto, nonostante la diversità di
formulazione tra l’art. 136 Cost. («la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla
pubblicazione della decisione») e la disposizione contenuta nell’art. 30, 3° comma, della L. n.
87del 1953 («le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno
successivo alla pubblicazione della decisione»), la dichiarazione di illegittimità costituzionale di
39
Per un maggiore approfondimento si rinvia a CERRINA FERONI, Giurisdizione costituzionale e legislatore nella repubblica
federale tedesca. Tipologie decisorie e Nachbesserungspflicht nel controllo di costituzionalità, Torino, 2002.
40
Sull’evoluzione della giurisprudenza spagnola, si veda AJA, Las tensione ẽntre e1 Tribunal Constitucional y e1 legislador en la
Europa actual, Barcelona, 1998, 284 e ss.
62
una norma opera dal momento in cui si è determinata l’incostituzionalità e, dunque, travolge tutti
i rapporti medio tempore sorti sulla base della norma successivamente dichiarata
incostituzionale.
Tuttavia, fin dal primo operato della Corte, la dottrina 41 ha espresso alcune perplessità
verso l’automatica retroattività delle sentenze di accoglimento, osservando come la possibilità di
graduare l’efficacia nel tempo delle pronunce non costituisca un depotenziamento del sistema di
giustizia costituzionale ma, anzi, ne rappresenti un perfezionamento. In questa prospettiva, in
attesa di un eventuale intervento legislativo, la stessa Corte ha provveduto, alla fine degli anni
’80, ad adottare decisioni di incostituzionalità determinando il momento di decorrenza degli
effetti della pronuncia 42 . Il contenimento degli effetti retroattivi è stato quindi realizzato
attraverso il ricorso alla categoria dell’“illegittimità sopravvenuta”, evocata sia per l’ipotesi di
sopravvenienza del parametro di costituzionalità 43 sia per l’ipotesi del bilanciamento di valori
contrapposti 44 .
La prassi giurisprudenziale non ha comunque trovato l’atteso seguito legislativo: non è
stata infatti approvata la proposta - approvata dalla Commissione parlamentare per le riforme
costituzionali istituita con la L. cost. n. 1/1997 - di attribuire espressamente al giudice
costituzionale il potere di differire gli effetti della decisione, modificando l’art. 136 Cost. 45
Ispirandosi ai richiamati orientamenti giurisprudenziali nazionali, anche la Corte di
giustizia ha affermato la possibilità, in linea di principio, di modulare l’efficacia temporale delle
41
Sul problema dell’efficacia nel tempo delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale si vedano, tra i più importanti, i
contributi di: ONIDA, Illegittimità costituzionale di leggi limitatrici di diritti e decorso del termine di decadenza, in Giur. Cost.,
1965, 514 e ss. e ID., In tema di interpretazione delle norme sugli effetti delle pronunce di incostituzionalità, ibidem, 1413 e ss.;
SAJA, L’efficacia nel tempo delle pronunce di accoglimento, in Quaderni costituzionali, 1989, 7 e ss.; BARTOLE, L’efficacia
temporale delle sentenze e il bilanciamento dei valori costituzionali, ibidem, 17 e ss.; FOIS, Il problema degli effetti temporali
alla luce delle fonti sul processo costituzionale, ibidem, 27 e ss.; MODUGNO, I criteri della distinzione diacronica tra norme e
disposizioni in sede di giustizia costituzionale, ibidem, 37 e ss.; PACE, La tutela costituzionale del diritto di agire nei rapporti
pendenti, ibidem, 51 e ss.; SILVESTRI, Effetti normativi ed effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale, ibidem, 61 e
ss.; ZAGREBELSKY, Il controllo da parte della Corte costituzionale degli effetti temporali delle sue pronunce, ibidem, 67 e ss.
42
Si vedano, in particolare, la sentenza Corte costituzionale, 16 febbraio, 1989, n. 50, e le ordinanze Id., 18 maggio 1989, n. 266,
Id., 10 novembre 1989, n. 501 del 1989.
43
Riprendendo i principi elaborati, fin dalla prima sentenza n. 1 del 1956, in tema di sopravvenienza del parametro rispetto
all’atto controllato, la Corte ha riconosciuto che una determinata disciplina, conforme alla Costituzione al momento della sua
entrata in vigore, possa diventare incostituzionale successivamente, al sopravvenire di fatti nuovi (quali, ad es., un mutamento
normativo), con conseguente decorrenza degli effetti della pronuncia di illegittimità costituzionale da quel momento.
44
Si tratta delle ipotesi in cui la Corte, rilevato come la dichiarazione di incostituzionalità di un atto normativo, nel tutelare certi
valori possa determinare conseguenze negative su altri valori di uguale rilevanza costituzionale, tempera l’efficacia retroattiva
della pronuncia, indicando un termine dal quale cominciano a decorrere gli effetti dell’illegittimità costituzionale, al fine di
individuare il «punto di minore sofferenza» per entrambi i valori costituzionali in contrapposizione. Si cfr., ad esempio, la
sentenza n. 266 del 1988, il cui la Corte ha ritenuto incostituzionale che i provvedimenti di nomina, trasferimento e conferimento
di funzioni ai magistrati militari, siano ulteriormente adottati con una data procedura, nonché la sentenza n. 50 del 1989, che
giunge alle medesime conclusioni, dal punto di vista della decorrenza temporale, circa il divieto di pubblicità delle udienze delle
Commissioni tributarie.
45
L’art. 136 Cost. avrebbe dovuto disporre che «quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di
un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, salvo che
la Corte non stabilisca un termine diverso, comunque non superiore ad un anno dalla pubblicazione della decisione».
63
proprie decisioni, facendo però riferimento a fondamenti giuridici e presupposti differenti e
limitando, nel caso concreto, gli effetti nel tempo in modo diverso.
Tanto nel caso di ricorsi di annullamento ai sensi dell’art. 230 T.C.E., quanto nell’ambito
di procedimenti pregiudiziali ai sensi dell’art. 234 T.C.E. aventi ad oggetto la validità degli atti
comunitari, la Corte ha riconosciuto che le disposizioni dichiarate nulle o, rispettivamente,
invalide possono continuare a trovare applicazione nel corso di un periodo transitorio: in
proposito, ha richiamato l’art. 231, 2° comma, T.C.E., applicando tale articolo in via analogica in
una serie di fattispecie diverse.
Nell’ambito dei procedimenti pregiudiziali aventi ad oggetto l’interpretazione del diritto
comunitario, la Corte ha invece proceduto con prudenza nella limitazione degli effetti temporali
delle sue sentenze, rinunciando ad un’applicazione in via analogica dell’art. 231, T.C.E. ed alla
discrezionalità riconosciuta in virtù di quell’attribuzione.
E’ utile a questo punto soffermarsi, seppur brevemente, ma con maggiore dettaglio, sui
limiti posti all’efficacia retroattiva delle diverse tipologie di pronunce richiamate.
4.1. Irretroattività delle pronunce di annullamento ex art. 231 T.C.E. e salvaguardia dei
diritti dei terzi − La Corte di giustizia esercita, a norma dell’art. 230 T.C.E., il controllo
legittimità degli atti delle Istituzioni comunitarie che abbiano efficacia giuridica nei confronti dei
terzi.
Come si è già evidenziato, gli effetti della sentenza della Corte che riconosca la fondatezza
del ricorso sono disciplinati dall’art. 231 T.C.E., 1° comma, secondo cui «se il ricorso è fondato,
la Corte di giustizia dichiara nullo e non avvenuto l’atto impugnato».
Secondo l’interpretazione prevalente in dottrina e confermata dalla giurisprudenza
comunitaria, l’esercizio del potere di annullamento comporta l’eliminazione dell’atto
dall’ordinamento comunitario con efficacia retroattiva ed erga omnes 46 .
In deroga al principio generale per cui l’annullamento ha efficacia retroattiva, il 2° comma
dell’art. 231 T.C.E. attribuisce alla Corte la competenza a precisare, nel caso di annullamento di
un regolamento, «gli effetti del regolamento annullato che devono essere considerati come
definitivi».
46
In proposito TIZZANO, in La Corte di giustizia delle Comunità europee, I, Napoli, 1967, 458, osserva come la formulazione
della disposizione citata non sia del tutto corretta: «non si ha, infatti, in questo caso, una mera declaratoria di nullità dell’atto,
come sembrerebbe risultare dall’espressione riferita (il citato primo comma dell’art. 173); l’annullamento procede, invece,
proprio dalla sentenza della Corte, la quale ha natura di sentenza di accertamento costitutivo, in quanto (…) modifica la
situazione di diritto preesistente».
64
Questa disposizione autorizza la Corte a limitare la retroattività delle proprie sentenze di
annullamento ed, eventualmente, a disporre in merito all’ulteriore applicabilità di un
regolamento per un periodo transitorio 47 .
La decisione della Corte relativamente agli effetti può quindi portare ad un annullamento
parziale o al mantenimento in vigore dell’atto fino alla sua sostituzione da parte delle competenti
Istituzioni 48 .
Risulta infatti frequente il richiamo all’art. 231, 2° comma, funzionale alla dilatazione degli
effetti pro futuro della sentenza di annullamento, solitamente differiti sino all’entrata in vigore
della disciplina che si impone come seguito necessario della pronuncia della Corte, con l’obbligo
delle Istituzioni di porre in essere le attività consequenziali alla sentenza di annullamento ex art.
233, 1° comma, T.C.E. 49
La Corte si è avvalsa di quest’ultima facoltà già nella sua sentenza 5 giugno 1973,
Commissione/Consiglio, in cui, facendo riferimento all’art. 231, 2° comma, T.C.E. (allora
art. 174, 2° comma, del Trattato), ha dichiarato che continuava ad applicarsi una normativa in
materia di retribuzione contestualmente annullata 50 . Altri esempi si rinvengono nelle sentenze 6
ottobre 1982, Commissione/Consiglio, e 20 marzo 1985, Timex. Nella prima, la Corte ha stabilito
di lasciare che due regolamenti comunitari, pur essendo stati dichiarati incompatibili con il
diritto comunitario, rimanessero in vigore il tempo necessario perché il Consiglio Europeo
potesse emendarli conformemente alla sentenza 51 . Nella seconda, ha mantenuto in vigore un
dazio antidumping, fissato in un regolamento annullato, fino all’adozione di una nuova
normativa 52 .
47
Per una ricostruzione della prassi giurisprudenziale in materia, si veda PARODI, Gli effetti temporali delle sentenze di
annullamento e di invalidità della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in Quaderni regionali, 2007, 319 e ss.
48
Al riguardi è stato autorevolemente precisato (TIZZANO, La Corte di giustizia delle Comunità europee, cit., 460) che gli effetti
“fatti salvi” dall’art. 231 non discendono dall’atto, ma dalla stessa sentenza della Corte di giustizia: «nel delineare gli effetti
dell’atto da considerare definitivi, la Corte, in realtà, crea essa stessa tali effetti: questi, invero, non procedono dall'atto annullato
che, in quanto illegittimo, non può certo produrre alcun valido effetto, ma derivano, invece, proprio dalla pronuncia
giurisdizionale. Si è, dunque, qui, in presenza di una vera e propria sentenza dispositiva della Corte, la quale viene così ad avere,
com'è stato osservato, “eine rechtsgestaltende Funktion”».
49
Secondo tale disposizione, infatti, «l’istituzione o le istituzioni da cui emana l’atto annullato o la cui astensione si stata
dichiarata contraria al presente trattato sono tenute a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte di
Giustizia comporta».
50
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 5 giugno 1973, in causa C-81/72, Commissione/Consiglio, punto 15.
51
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 6 ottobre 1982, in causa C-59/81, Commissione/Consiglio, punto 39.
52
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 20 marzo 1985, in causa C-264/82, Timex, punto 32, in cui, considerato che la mera
caducazione del regolamento impugnato avrebbe prodotto una situazione di vuoto giuridico ancor più lesiva delle ragioni del
ricorrente, è stato sostenuto che «i1 ricorso mira tuttavia non già alla soppressione della disposizione impugnata bensì alla sua
sostituzione con un provvedimento più rigoroso, che implichi un dazio antidumping maggiore per gli orologi meccanici e, nel
contempo, l’istituzione di un dazio del genere per i movimenti degli orologi stessi. È quindi opportuno tener fermo il dazio
antidumping istituito dalla disposizione annullata fino a che le istituzioni competenti non abbiano adottato i provvedimenti che
l’esecuzione della presente sentenza implica, a norma dell'art. 174, comma 2, del Trattato».
65
Successivamente la Corte è giunta ad applicare in via analogica l’art. 231 T.C.E. ad atti
giuridici diversi dai regolamenti.
Nella sentenza 3 luglio 1987, Consiglio/Parlamento, il giudice comunitario, considerata
nulla la constatazione da parte del Presidente del Parlamento europeo dell’adozione definitiva
del bilancio per l’anno 1986, non essendovi stato previo accordo tra il Consiglio e il Parlamento
in merito all’aumento delle spese non obbligatorie, ha dichiarato l’invalidità dell’intero bilancio,
disponendo, tuttavia, che sarebbe rimasta impregiudicata l’efficacia dei pagamenti effettuati in
esecuzione dello stesso fino alla pronuncia della sentenza, nonché gli impegni assunti a tal
proposito 53 .
L’applicazione analogica della disposizione è stata giustificata dalla Corte con il richiamo
alla necessità di garantire la «continuità del servizio pubblico europeo» ovvero, in termini più
generali, con «gravi motivi di certezza del diritto, analoghi a quelli che si presentano in caso di
annullamento di taluni regolamenti» 54 .
Con analoghe considerazioni, nella sentenza 7 luglio 1992, Parlamento/Consiglio, la Corte
ha esteso questa giurisprudenza anche alle direttive, statuendo che una direttiva annullata sarebbe
rimasta in vigore fintantoché il Consiglio non l’avesse sostituita con una nuova normativa.
Anche in questo caso la Corte, nel motivare l’applicazione in via analogica, si è limitata a
richiamare la formula secondo la quale tale applicazione è giustificata da «preminenti motivi di
certezza del diritto analoghi a quelli che si presentano in caso di annullamento di taluni
regolamenti» 55 . Una decisione simile, in merito al mantenimento in vigore di una direttiva
annullata, si rinviene nella sentenza 5 luglio 1995, Parlamento/Consiglio, in cui la Corte ha
perfino rifiutato di imporre al Consiglio un termine concreto per l’adozione di una nuova
direttiva, limitandosi a dichiarare che ciò avrebbe dovuto avvenire entro un «termine
ragionevole» 56 .
La limitazione dell’efficacia retroattiva della sentenza è stata inoltre adottata anche con
riferimento alle decisioni della Commissione 57 .
In conclusione, nell’ambito dei ricorsi diretti, esiste una giurisprudenza, ormai risalente e
consolidata, orientata a riconoscere al giudice comunitario la possibilità di limitare nel tempo
53
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 3 luglio 1986, in causa C-34/86, Consiglio/Parlamento, punto 46 e seguenti.
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 3 luglio 1986, in causa C-34/86, Consiglio/Parlamento, punto 48; Id., 31 marzo
1992, in causa C-284/90, Consiglio/Parlamento, punto 37; Id., 7 dicembre 1995, in causa C-41/95, Consiglio/Parlamento, punto
44 e seguenti.
55
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 7 luglio 1992, in causa C-295/90, Parlamento/Consiglio, punto 26.
56
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 5 luglio 1995, in causa C-21/94, Parlamento/Consiglio, punto 31 e seguenti.
57
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 12 maggio 1998, in causa C-106/96, Regno Unito/Commissione, punto 40 e
seguenti.
54
66
degli effetti delle sentenze sia ex nunc, sia ex futuro, ovvero a partire da un determinato
momento successivo alla pronuncia di annullamento.
Si tratta di una valutazione che la Corte opera con la più ampia discrezionalità, come si
evince dall’inciso «ove lo reputi necessario» dello stesso art. 231 T.C.E.
Quanto ai presupposti, la prassi giurisprudenziale mostra come, sia la limitazione
dell’efficacia per il passato, sia il differimento ex futuro degli effetti della sentenza di
annullamento, vengano disposti dalla Corte di giustizia in funzione della salvaguardia di interessi
eterogenei, alcuni dei quali tipicamente sottostanti alle tecniche di limitazione degli effetti
temporali note ad un cultore di giustizia costituzionale comparata 58 .
Sono in particolare invocati l’esigenza di tutela dell’affidamento, di limitare le eventuali
conseguenze finanziarie dell’annullamento, di non precludere l’esercizio di diritti garantiti dal
Trattato 59 , di assicurare la “continuation du service public européen” 60 .
All’invocazione di tali interessi si associa il richiamo al principio di certezza del diritto che
costituisce la ratio sottesa alla disposizione che attribuisce alla Corte di giustizia il potere di
modulare gli effetti nel tempo delle sue pronunce di annullamento, nonché, come si vedrà di
seguito, il principale argomento per estendere il meccanismo da essa previsto a casi ulteriori, non
esplicitamente contemplati ed anzi, semmai, esclusi dal suo tenore letterale 61 .
58
Per questa considerazione PARODI, Gli effetti temporali delle sentenze di annullamento e di invalidità della Corte di Giustizia
delle Comunità Europee, cit., 328.
59
Si veda Corte di giustizia delle Comunità Europee, 7 luglio 1992, in causa C-295/90, Parlamento/Consiglio, con la quale la
Corte ha annullato, in quanto priva di “base giuridica”, una direttiva in tema di diritto di soggiorno per motivi di studio e
formazione professionale di cittadini di Stati membri, argomentando che «il puro e semplice annullamento della direttiva
impugnata potrebbe pregiudicare l’esercizio di un diritto garantito dal Trattato, vale a dire il diritto di soggiorno degli studenti al
fine di conseguire una formazione professionale». Tale considerazione, unitamente alle «circostanze del caso» e a «preminenti
motivi di certezza del diritto», comporta che si debbano «mantenere provvisoriamente in vigore tutti gli effetti della direttiva
annullata, fino al momento in cui il Consiglio l’avrà sostituita con una nuova direttiva adottata sul fondamento giuridico
appropriato».
60
Così Corte di giustizia, sentenza 31 marzo 1992, in causa C-284/90, Consiglio/Parlamento, in cui si sottolinea altresì
l’esclusività in capo alla Corte del potere di modulazione degli effetti, precisando che «nel ricorso il Consiglio ha chiesto alla
Corte di indicare che l’annullamento dell’atto del presidente del Parlamento non invalida le operazioni di pagamento o di
impegno né quelle relative al ricorso alle risorse proprie e alla loro riscossione effettuate prima della chiusura dell’esercizio
finanziario 1990. I1 Parlamento ritiene che il Consiglio non possa avere interesse a chiedere contemporaneamente l’annullamento
di quest'atto e il mantenimento integrale della sua efficacia e che pertanto ambedue le domande debbano essere dichiarate
irricevibili. Questa tesi va respinta. Basta sottolineare in proposito che spetta alla Corte pronunciarsi sulle conseguenze di un
annullamento senza essere vincolata dalle proposte formulate in merito dalle parti e che il Consiglio ha comunque interesse ad
ottenere una dichiarazione di illegittimità anche qualora gli effetti dell’atto impugnato vengano integralmente mantenuti».
61
Si cfr.no le sentenze Corte di giustizia delle Comunità Europee, sentenza 26 marzo 1987, in causa C-45/86,
Commissione/Consiglio, e, più recentemente, Id., 13 dicembre 2001, in causa C-93/00, Parlamento/Consiglio, Id., 10 gennaio
2006, in causa C- 178/03, Commissione/Parlamento, Id., 7 settembre 2006, in causa C-310/04, Regno di Spagna c. Consiglio; Id.,
28 novembre 2006, in causa C-414/04, Parlamento/Consiglio.
67
4.2. Certezza del diritto e limitazione degli effetti delle pronunce adottate in sede di rinvio
pregiudiziale − Più controversa in dottrina 62 , ma comunque pacifica nella prassi della Corte di
giustizia, nonostante la presunzione di efficacia ex tunc delle sentenze e la mancanza nel Trattato
di un esplicito fondamento del potere di limitazione temporale degli effetti, simile a quello
previsto dall’art. 231 T.C.E., 1° comma, è l’applicazione analogica del 2° comma del citato
articolo nell’ambito del procedimento pregiudiziale.
Anche nell’ambito delle domande di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 T.C.E.,
esistono numerosi precedenti giurisprudenziali di sentenze con effetti ex nunc, ex futuro e che si
determinano a partire da un determinato momento nel passato 63 .
Con riguardo alla prima tipologia di limitazione degli effetti, la Corte, per la prima volta
nella causa Defrenne, ha derogato al principio di retroattività delle sentenze pronunciate in via
pregiudiziale, richiamando l’esigenza di salvaguardare la certezza del diritto: alla decisione,
relativa all’effetto diretto dell’art. 119 CEE, fu infatti attribuita efficacia ex nunc 64 .
Da allora, sentenze aventi effetti ex nunc sono state pronunciate nell’ambito di
procedimenti pregiudiziali aventi ad oggetto l’effetto diretto 65 , l’interpretazione 66 del diritto
comunitario o la validità di atti comunitari 67 .
Più raramente gli effetti di un sentenza pronunciata in via pregiudiziale sono stati limitati
ex futuro.
Nella sentenza 29 giugno 1988, van Landschoot, ad esempio, la Corte, nel dichiarare
alcune disposizioni di un regolamento relativo all’esenzione da un prelievo agricolo
illegittimamente discriminatorie, ha anche stabilito - in considerazione del fatto che una mera
dichiarazione di invalidità avrebbe aggravato la situazione - che, non solo le competenti autorità
nel frattempo potevano continuare ad applicare l’esenzione che essa stava dichiarando invalida,
62
Si vedano, in particolare, ADINOLFI, L’accertamento in via pregiudiziale della validità di atti comunitari, Milano, 1997, 345 e
ss., ALEXANDER, The Temporal Effects of Preliminary Rulings, in Yearbook of European Law, 1988, 11 e ss., ISAAC, La
modulation par la Cour de Justice des Communautés européennes des effets dans le temps de ses arrets d'invalidité, in Cahiers
de droit européen, 1987, 444 e ss.
63
Per una rassegna degli orientamenti del giudice comunitario, si vedano PARODI, Gli effetti temporali delle sentenze di
annullamento e di invalidità della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, cit., e LABAYLE, La Cour de Justice des
Communautés européennes et la modulation des effects de sa jurisprudence: autres lieux ou autres rneurs?, in Revue Française
de Droit Administratif, 2004, 669 e ss., nonché, limitatamente all’ambito del diritto tributario, KOKOTT, MALFERRARI, La
giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee in materia fiscale: la limitazione degli effetti nel tempo delle
sentenze, in Giur. It., 2006, 1787 e ss.
64
Così Corte di giustizia delle Comunità Europee, 8 aprile 1976, in causa C-43/75, Defrenne. Si cfr.no inoltre Id., 16 luglio 1992,
in causa C-163/90, Legros e Id., 9 settembre 2004, in causa C-72/03, Comune di Carrara.
65
Si veda, ad esempio, Corte di giustizia delle Comunità Europee, 4 maggio 1999, in causa C-262/96, Sürul.
66
Si vedano le sentenze Corte di giustizia delle Comunità Europee, 2 febbraio 1988, in causa C-24/86, Blaizot, Id., 2 febbraio
1988, in causa C-309/85, Barra, Id., 17 maggio 1990, in causa C-262/88, Barber, Id., 28 settembre 1994, in causa C-200/91,
Coloroll, Id., 13 febbraio 1996, in cause riunite C-197/94 e C-252/94, Société Bautiaa.
67
Si vedano le sentenze Corte di giustizia delle Comunità Europee, 15 gennaio 1986, in causa C-41/84, Pinna e Id., 10 marzo
1992, in cause riunite C-38/90 e C-151/90, Lomas.
68
ma anche che potevano estenderne il beneficio agli operatori che erano stati precedentemente
discriminati 68 .
La possibilità di una limitazione temporale ex futuro è stata di recente invocata in molte
cause in materia fiscale con lo scopo di limitare le conseguenze finanziarie della decisione della
Corte: dal governo italiano nella causa C-228/05, Stradasfalti 69 , dall’Avvocato generale Jacobs
nelle conclusioni della causa C-475/03, Banca popolare di Cremona 70 ed, infine, dall’Avvocato
generale Tizzano nelle conclusioni della causa C-292/04, Meilicke 71 .
Quanto alle decisioni aventi effetti a partire da un determinato momento nel passato, può
essere richiamata la sentenza Simitzi 72 relativa all’illegittimità di un’imposta riscossa dalla
Grecia: in quell’occasione è stato rilevato che fino alla pronuncia della sentenza Legros 73 , la
Grecia poteva ragionevolmente ritenere che la suddetta imposta fosse conforme al diritto
comunitario, ma, poiché la Corte aveva limitato nel tempo gli effetti della sentenza Legros, una
limitazione equivalente doveva essere imposta alla sentenza Simitzi, con la conseguenza che le
disposizioni pertinenti del Trattato non potevano essere invocate a sostegno di domande di
rimborso di somme riscosse a titolo del dazio contestato prima del 16 luglio 1992 (limite
temporale, appunto, indicato nella sentenza Legros).
La Corte, inoltre, nell’imporre una limitazione temporale standard ex nunc agli effetti di
una sua sentenza, spesso concede una deroga in favore della parte che abbia proposto il ricorso
dinanzi al giudice nazionale e dei terzi che abbiano intrapreso azioni simili prima della data della
68
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 29 giugno 1988, in causa C-300/86, van Landschoot
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 14 settembre 2006, in causa C-228/05, Stradasfalti s.r.1. c. Agenzia delle entrate, in
materia di limiti alla detrazione dell’i.v.a. assolta a monte, che, nel dichiarare l’incompatibilità con l’ordinamento comunitario
della normativa nazione, ha espressamente disatteso la richiesta del governo affermando «i1 governo italiano ha evocato la
possibilità che la Corte, nel caso in cui dovesse ritenere che le deroghe al diritto a detrazione per gli anni 2000-2004 non siano
state introdotte conformemente all’art. 17, n. 7, della sesta direttiva, limiti nel tempo gli effetti della presente sentenza. A
sostegno di tale domanda, il governo italiano invoca il grave danno per l'erario che può essere causato dalla sentenza della Corte
e la tutela del legittimo affidamento che esso poteva nutrire quanto alla conformità al diritto comunitario della misura in
questione. Esso osserva, a tale riguardo, che la Commissione, nel 1999 e nel 2000, ha emesso un parere favorevole alle misure da
adottare in attesa dell’approvazione della direttiva che doveva disciplinare in via organica la materia e che la Commissione non
ha mai formulato alcuna contestazione alla Repubblica italiana circa il mantenimento della deroga. Si deve rilevare che solo in
via eccezionale la Corte, applicando il principio generale della certezza del diritto inerente all’ordinamento giuridico comunitario,
può essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata onde rimettere in
discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede. Per stabilire se si debba limitare la portata di una sentenza nel tempo, è
necessario tener conto del fatto che, benché le conseguenze pratiche di qualsiasi pronuncia del giudice vadano vagliate
accuratamente, non ci si può tuttavia spingere fino a sminuire l’obiettività del diritto e compromettere la sua applicazione futura a
motivo delle ripercussioni che la pronuncia può avere per il passato». Sulla decisione si veda PICIOCCHI, È detraibile l’Iva pagata
per gli acquisti di autoveicoli e motoveicoli: la Corte di giustizia sancisce l'incompatibilità della normativa italiana, in Dir.
Pubbl. Comp. Eu., 2006, 1966 e ss.
70
Conclusioni del 17 marzo 2005, in causa C-475/03, Banca popolare di Cremona, punto 80 e seguenti.
71
Conclusioni del 10 novembre 2005, in causa C-292/04, Meilicke, punto 45 e seguenti.
72
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 14 settembre 1995, in cause riunite C-485/93 e C-486/93, Simitzi.
73
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 16 luglio 1992, in causa C-163/90, Legros.
69
69
sentenza 74 . Nel caso di una limitazione temporale avente effetto a partire da una determinata data
nel passato, la Corte ha a volte previsto tale deroga per i ricorrenti che abbiano proposto un
valido ricorso prima di tale data 75 .
La richiamata eccezione ad una eventuale decisione di esclusione dell’irretroattività della
pronuncia garantisce pertanto alla parte che ha agito in giudizio di beneficiare delle conseguenze
del suo successo, evitando la frustrazione della pretesa fatta valere, ed, al contempo, consente di
incentivare le azioni che possano potenzialmente incidere sulla legge non conforme
all’ordinamento comunitario.
La Corte però ha sempre precisato che l’esercizio del potere di decidere se concedere o
meno una deroga di questo tipo costituisce oggetto di una sua valutazione discrezionale,
perlomeno in circostanze in cui una dichiarazione applicabile solo al futuro può essere
considerata un rimedio adeguato 76 . A dimostrazione di ciò, non mancano casi in cui una
limitazione temporale della portata di una sentenza non è stata accompagnata da una deroga a
favore delle parti 77 .
A questo proposito, si potrebbe ritenere che la Corte debba essere più propensa a limitare
nel tempo gli effetti delle sentenze pronunciate in via pregiudiziale che riguardino l’invalidità di
un atto comunitario piuttosto che delle sentenze interpretative: in passato è stato infatti proposto,
sia da un Avvocato generale 78 sia in dottrina 79 , che una sentenza di invalidità pronunciata in via
pregiudiziale dovrebbe di regola produrre solo effetti ex nunc.
È vero che considerazioni di certezza del diritto possono incidere in modo particolarmente
rilevante quando un atto comunitario ad efficacia generale, non impugnato entro lo stretto
termine previsto dall’art. 230 T.C.E. per il ricorso diretto, venga dichiarato invalido, in sede di
procedimento di pronuncia pregiudiziale, molti anni dopo la sua adozione.
La Corte ha tuttavia avuto modo di precisare che, anche per le sentenze di invalidità di atti
comunitari, la limitazione nel tempo degli effetti può essere imposta solo eccezionalmente 80 .
74
Si vedano, ad esempio, Corte di giustizia delle Comunità Europee, 10 marzo 1992, in cause riunite C-38/90 e C-151/90,
Lomas, e Id., 9 marzo 2000, in causa C 437/97, EKW.
75
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 14 settembre 1995, in cause riunite C-485/93 e C-486/93, Simitzi.
76
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 27 febbraio 1985, in causa C-112/83, Produits de Maïs, punto 18 e Id., 26 aprile
1994, in causa C-228/92, Roquette Frères, punto 25.
77
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 15 ottobre 1980, in causa C-4/79, Providence Agricole de la Champagne; Id., 15
ottobre 1980, in causa C-109/79, Maïseries de Beauce; Id., 15 ottobre 1980, in causa C-145/79, Moquette.
78
Si tratta delle Conclusioni dell’Avvocato generale Gand nella causa C-16/65, Schwarze.
79
BEBR, Preliminary Rulings of the Court of Justice: their authority and temporal effect, 18 CMLRev 475, 1981, 499 e ss.
80
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 15 gennaio 1986, in causa C-41/84, Pinna, punti 26-28.
70
Non sembra quindi che la disponibilità della Corte ad imporre tali restrizioni temporali sia,
in linea di principio, soggetta ad una distinzione tra sentenze interpretative e sentenze di
invalidità.
Tuttavia, ai soli fini dell’analisi delle condizioni per procedere ad una limitazione degli
effetti delle sentenze pregiudiziali, è opportuno esaminare distintamente le sentenze di rinvio
pregiudiziale sulla validità e quelle interpretative.
5. Gli effetti delle pronunce di rinvio pregiudiziale sulla validità e sull’interpretazione −
L’art. 234 T.C.E., 1° comma, lett. b), attribuisce alla Corte la competenza a pronunciarsi in via
pregiudiziale sulla validità degli atti compiuti dalle istituzioni e dalla B.C.E.
A differenza dell’effetto prodotto da una sentenza su un ricorso diretto ex art. 230 T.C.E.,
con la quale l’atto viene dichiarato nullo e, dunque, eliminato dall’ordinamento giuridico
comunitario, la sentenza resa nell’ambito di un rinvio pregiudiziale è meramente dichiarativa
dell’invalidità, con la conseguenza che l’atto, pur invalido, non viene eliminato
dall’ordinamento, se non a seguito dell’intervento dell’Istituzione competente alla sua adozione.
Ciò non toglie che, oltre ad essere vincolante per il giudice di rinvio, «costituisce per
qualsiasi altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto non valido, ai fini di una
decisione che esso debba emettere» 81 , e, dunque, per disapplicarlo.
Per quanto riguarda gli effetti temporali, vale la regola della retroattività.
Tuttavia, la Corte, ritenendo applicabile in via analogica l’art. 231, 2° comma, T.C.E.
anche a questa tipologia di rinvio, si è ritenuta compente a disporre che una norma reputata
invalida fosse transitoriamente mantenuta in vigore.
L’applicazione in via analogica dell’art. 231, 2° comma, T.C.E. nell’ambito di questo tipo
di procedimenti risulta giustificata alla luce del fatto che, nell’ambito dei ricorsi di annullamento
così come in quello dei rinvii pregiudiziali di validità, si procede ad un sindacato di legittimità,
ossia ad un controllo di conformità alla luce del parametro delle norme di diritto comunitario di
rango superiore.
Nella sentenza 27 febbraio 1985, International Chemical Corporation, la Corte ha infatti
affermato che la possibilità di limitare «nel tempo gli effetti della dichiarazione di invalidità di
un regolamento (…) trova fondamento nell’interpretazione dell’art. 174 (ora 231) del Trattato
alla luce della necessaria coerenza fra il rinvio pregiudiziale e il ricorso d’annullamento (…) i
81
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 13 maggio 1981, in causa C-66/80, International Chemical Corporation, punto 13.
71
quali costituiscono due aspetti del sindacato di legittimità voluto dal Trattato. La facoltà di
limitare nel tempo gli effetti dell’invalidità di un regolamento comunitario, nell’ambito sia
dell’art. 173 (ora 230) sia dell’art. 177 (ora 234), è un potere attribuito alla Corte dal Trattato,
nell’interesse dell’uniforme applicazione del diritto comunitario nell’intera Comunità» 82 .
Nella stessa decisione la Corte ha inoltre dichiarato di avere la facoltà, in forza della
discrezionalità concessale dall’art. 231, 2° comma, T.C.E., di prevedere eccezioni in caso di
limitazione degli effetti temporali di una sentenza fondata su tale norma 83 . Coerentemente, in
sentenze successive, la Corte ha previsto deroghe all’esclusione della retroattività a favore di
coloro che avessero intrapreso atti a tutela dei propri diritti, presentando un ricorso prima della
pronuncia della Corte 84 .
Con la sentenza 29 giugno 1988, van Landschoot, la Corte ha infine dichiarato che una
normativa recante esenzione, riconosciuta invalida, doveva, a determinate condizioni, continuare
ad essere applicata, per «motivi di certezza del diritto», fino all’adozione di una nuova
normativa 85 .
In conclusione, alla luce della richiamata giurisprudenza, nell’ambito dei procedimenti
pregiudiziali in cui un giudice nazionale sollevi una questione di validità di una norma di diritto
comunitario, il giudice comunitario, applicando analogicamente l’art. 231 T.C.E., ha sia escluso
la retroattività delle proprie sentenze sia disposto l’ulteriore applicabilità di disposizioni
dichiarate invalide.
Si può a questo punto prendere in considerazione le decisioni adottate ai sensi dell’altra
competenza esercitata dalla Corte in sede di rinvio pregiudiziale, ossia quella relativa alla
corretta interpretazione delle norme comunitarie prevista dall’art. 234, 1° comma, lett. a), T.C.E.
Si è già enunciato il principio secondo cui anche le sentenze interpretative della Corte
hanno di regola un’efficacia ex tunc.
Tuttavia, anche nell’ambito di questo tipo di procedimenti, la Corte, per la prima volta con
sentenza Defrenne in precedenza citata e, da allora, secondo una giurisprudenza costante, ha
82
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 27 febbraio 1985, in causa C-112/83, Société des Produits de Mais, punto 17.
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 27 febbraio 1985, in causa C-112/83, Société des Produits de Mais, punto 18
nonché, successivamente, Id., 15 gennaio 1986, in causa C-41/84, Pinna, punto 29. Precedentemente a tale pronuncia, la Corte
aveva invece negato l’operatività di un’eccezione all’eccezione alla retroattività: in tre sentenze pronunciate il 15 ottobre 1980, la
Corte, pur attribuendo alla propria decisione efficacia unicamente per il futuro per «considerazioni di certezza del diritto», ha
dichiarato che l’invalidità della fissazione di importi compensativi monetari in una serie di regolamenti «non consente di
rimettere in discussione la riscossione o il versamento degli importi compensativi monetari effettuati dalle autorità nazionali in
base a detti regolamenti, per il periodo anteriore alla data della presente sentenza», senza inoltre che si possa rinvenire alcuna
deroga con riferimento agli operatori economici che avessero proposto ricorso contro gli avvisi di imposizione emessi nei loro
confronti (Corte di giustizia delle Comunità Europee, 15 ottobre 1980, rispettivamente in causa 4/79, Providence Agricole, punto
46, in causa 109/79, Maiseries de Beauce, punto 46, e in causa 45/79, Roquette Frères I, punto 53).
84
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 2 aprile 1994, in causa C-228/92, Roquette Frères II, punto 28 e seguenti.
85
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 29 giugno 1988, in causa C-300/86, van Landschoot, punto 24 e seguenti.
83
72
ammesso limitate deroghe al principio della generale retroattività, richiamando l’esigenza di
salvaguardare la certezza del diritto: è infatti ammesso che il giudice comunitario possa essere
indotto «in base ad un principio generale di certezza del diritto e tenuto conto dei gravi
sconvolgimenti che la sua sentenza potrebbe provocare per il passato nei rapporti giuridici
stabiliti in buona fede, a limitare la possibilità degli interessati di far valere la disposizione così
interpretata per rimettere in questione i rapporti giuridici»86 .
Viene inoltre spesso sottolineato come la Corte possa determinarsi nel senso di imporre
limitazioni temporali «solo in via eccezionale» 87 . È stato però di recente evidenziato
dall’Avvocato generale Tizzano, nella causa C-292/04, Meilicke, come, da quella stessa
giurisprudenza, possa altresì dedursi che la «decisione deve tener conto della necessità di non
appesantire oltre quanto strettamente necessario la situazione degli Stati membri. Le finalità e
gli interessi prioritari dell’ordinamento sono di assicurare e, per quanto possibile, ristabilire il
rispetto del diritto. Quando tali finalità possono essere utilmente perseguite, non vi è alcun
motivo per far giocare criteri interpretativi più severi, che esprimerebbero a quel punto solo
intenti afflittivi, l’intento cioè di “punire” il “reo” per aver osato violare il diritto comunitario
(qualcosa del genere si ritrova nel nuovo art. 228 CE, ma a tutt’altri fini e tutt’altre condizioni).
Ma simili obiettivi, per quanto ciò non sempre appaia evidente nella prassi, sono del tutto
estranei al sistema, laddove è coerente con questo (e con la citata giurisprudenza della Corte)
evitare, ove non sia strettamente necessario, ricadute negative per gli Stati membri. È noto del
resto che questi, in quanto strutture estremamente complesse ed articolate, incontrano
normalmente serie difficoltà a star dietro alla incessante e non sempre limpida normativa
comunitaria; è quindi lodevole lo sforzo che compiono, nella grande maggioranza dei casi con
successo, per conformarsi ad essa. È giusto che, quando così non accade, la Commissione e la
Corte non si facciano condizionare da quelle difficoltà per non perseguire o peggio giustificare
eventuali violazioni; non è giusto però non tenerne conto quando le finalità dell’ordinamento
possono essere perseguite senza che occorra innestarvi implicazioni punitive o comunque
appesantire inutilmente la già non facile situazione dello Stato (e questo si potrebbe dire, per
altro verso, anche a proposito delle infrazioni del tutto formali o comunque di rilievo
estremamente modesto)» 88 .
86
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 8 aprile 1976, in causa C-43/75, Defrenne, punto 71 e seguenti. Si vedano inoltre le
considerazioni svolte nella sentenza Corte di giustizia delle Comunità Europee, 16 luglio 1992, in causa C-163/90, Legros, punto
30.
87
Si veda ad esempio, Corte di giustizia delle Comunità Europee, 15 marzo 2005, in causa C-209/03, Bidar, punto 67.
88
Conclusioni 10 novembre 2005, in causa C-292/04, Meilicke, punto 42.
73
A differenza di quanto avvenuto con riferimento ai ricorsi diretti ed alle ipotesi di rinvio
pregiudiziale di validità, in sede di rinvio pregiudiziale la Corte ha rinunciato a un’applicazione
in via analogica dell’art. 231, 2° comma, T.C.E. ed ha fatto ricorso alla limitazione degli effetti
temporali delle proprie sentenze con una certa prudenza ed in presenza di presupposti specifici.
Innanzitutto, è stato precisato che la decisione sulle restrizioni temporali imposte alle
sentenze relative all’interpretazione del diritto comunitario compete esclusivamente alla Corte,
alla luce l’esigenza fondamentale di un’applicazione generale ed uniforme del diritto
comunitario 89 . L’opzione contraria sarebbe quella secondo cui ciascun giudice nazionale,
convinto dell’erroneità di un’interpretazione del diritto comunitario, prevalsa per molti anni in
uno Stato membro, dovrebbe non solo poterla riconoscere, ma anche prevedere una limitazione
degli effetti retroattivi della sua sentenza per tutelare gli interessi della certezza del diritto: una
limitazione di tale tipo, tuttavia, determinerebbe una disparità nell’applicazione del diritto
comunitario nell’Unione e non sarebbe inoltre soggetta al controllo da parte della Corte (salvo,
probabilmente, nei procedimenti per inadempimento o per risarcimento che potrebbero seguire).
In simili circostanze risulta, quindi, assolutamente necessario proporre una questione
pregiudiziale, tenuto conto che, in quella sede, gli Stati membri e le Istituzioni possono
intervenire e, qualora vi abbiano interesse, chiedere alla Corte una limitazione temporale che,
presumibilmente, avrebbe effetto senza distinzione geografica in tutta l’Unione.
La Corte ha inoltre affermato che una limitazione nel tempo degli effetti di una sentenza
«può essere ammessa (…) solo nella sentenza stessa che statuisce sull’interpretazione
richiesta» 90 . Il “principio della sentenza originaria” è richiamato anche dall’Avvocato generale
Tizzano, nel prosieguo delle citate conclusioni alla causa C-292/04, Meilicke, come un ostacolo
alla concessione di provvedimenti urgenti ex nunc o ex futuro, in circostanze in cui
l’interpretazione del diritto comunitario da cui deriva l’illegittimità abbia origine in una sentenza
precedente che non prevedeva alcuna limitazione temporale 91 .
Si tratta, secondo la dottrina, di «una restrizione inutile» 92 : il principio, soddisfacente come
regola generale, risulta tuttavia sproporzionato, qualora non se ne ammettano deroghe. È stato, in
particolare, sottolineato come le parti che rischiano di subire pesanti ripercussioni in
conseguenza della sentenza originaria non necessariamente compaiono dinanzi alla Corte nella
causa interessata ovvero potrebbero non avere il diritto di intervenire. Può inoltre accadere che
89
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 27 marzo 1980, in causa C-61/79, Denkavit, punto 18.
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 4 maggio 1999, in causa C-262/96, Sürül, punto 108.
91
Conclusioni 10 novembre 2005, in causa C-292/04, Meilicke, punto 47.
92
ALEXANDER, The temporal Effects of Preliminary Rulings, cit., 15 e 24-25.
90
74
gli Stati membri che, in linea di principio sarebbero potuti intervenire nella causa originaria, non
lo abbiano fatto, perché la rilevanza dell’altra causa per la loro situazione forse non era evidente
a quel tempo, ovvero che, pur intervenendo, non abbiano chiesto una limitazione temporale in
quel momento, perché non erano state previste le gravi conseguenze derivanti dall’eventuale
sentenza 93 .
Un’ulteriore condizione enunciata per il legittimo esercizio della potestà di modulare
l’efficacia temporale di una sentenza interpretativa è la presenza una fattispecie caratterizzata
dalla presenza di rapporti giuridici costituiti in passato in buona fede, ossia confidando nella loro
conformità al diritto comunitario: ciò si verifica, ad esempio, qualora sussista una obiettiva e
rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni comunitarie, incertezza alla quale abbiano
eventualmente contribuito gli stessi comportamenti tenuti da altri Stati membri o dalla
Commissione 94 . In particolare, sono stati individuati alcuni comportamenti della Commissione
che possono determinare un’obiettiva incertezza ed, in conclusione, la buona fede di uno Stato
membro, tra cui la mancata proposizione di un ricorso per inadempimento 95 ovvero
l’interruzione di un tale procedimento.
Viceversa si ritiene che la buona fede sia tout court esclusa in presenza di una
giurisprudenza risalente e costante su una determinata norma 96 . In proposito, quanto al profilo
della ripartizione dell’onere probatorio, la Corte sembra partire dal presupposto che la malafede
costituisca la regola e che spetti ai governi degli Stati membri dedurre circostanze idonee a
dimostrare la loro buona fede 97 .
L’altra fattispecie cui far riferimento è quella in cui l’applicazione del diritto comunitario
anche ai rapporti giuridici pregressi comporti il rischio di gravi ripercussioni economiche 98 .
Sul punto, la Corte, pur avendo ripetutamente affermato che generiche conseguenze
finanziarie non possono, di per sé, giustificare una limitazione nel tempo dell’efficacia di una sua
93
Si veda quanto avvenuto a seguito della pronuncia della Corte di giustizia delle Comunità Europee, 13 febbraio 1985, in causa
C-293/83, Gravier: il Belgio non aveva chiesto una limitazione temporale ma, quando gli effetti della sentenza sulla stabilità del
sistema universitario sono diventati evidenti, il Belgio ha richiesto la misura nell’ambito della causa C-309/85, Barra, misura che
gli è stata rifiutata sulla base del principio della sentenza originaria (Corte di giustizia delle Comunità Europee, 2 febbraio 1988,
in causa C-309/85, Barra, punto 14).
94
Sul punto si veda Corte di giustizia delle Comunità Europee,15 marzo 2005, in causa C-209/03, Bidar.
95
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 8 aprile 1976, in causa C-43/75, Defrenne, punti 71-73.
96
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 11 agosto 1995, in cause riunite da C-367/93 a C-377/93, Roders e a., e Id., 23
maggio 2000, in causa C-104/98, Buchner.
97
In tal senso, ad esempio, la Corte, nella sentenza 20 settembre 2001, in causa C-184/99, Grzelczyk, ha precisato quanto segue:
«nella specie, il governo belga non ha invocato, a sostegno della sua domanda di limitazione nel tempo degli effetti della presente
sentenza, alcun elemento idoneo a dimostrare che un’incertezza obiettiva e determinante circa la portata delle disposizioni del
Trattato (…) aveva indotto le autorità nazionali a un comportamento non conforme a tali disposizioni».
98
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 15 marzo 2005, in causa C-209/03, Bidar.
75
sentenza 99 , ha tuttavia ammesso una tale limitazione in presenza di un rischio di gravi
ripercussioni economiche, allorché in passato si sia costituito un elevato numero di rapporti
giuridici, il cui annullamento possa comportare esborsi eccedenti le capacità finanziarie
dell’amministrazione 100 .
La Corte ha, ad esempio, riconosciuto la sussistenza di gravi ripercussioni economiche nei
casi in cui «l’equilibrio finanziario di numerosi regimi pensionistici di deroga convenzionale
rischierebbe di essere retroattivamente sconvolto» 101 , oppure quando la sua pronuncia
«sconvolgerebbe retroattivamente il sistema di finanziamento degli enti territoriali dei DOM
francesi», o, ancora, «perturberebbe retroattivamente il sistema di finanziamento dei comuni
austriaci» 102 .
Al di là di alcuni tentennamenti nella giurisprudenza della Corte stessa, si deve ritenere che
la presenza dei presupposti si qui illustrati debba essere cumulativa 103 .
Occorre, infine, precisare come, nel giungere a una limitazione temporale degli effetti delle
proprie sentenze interpretative, la Corte dispone spesso che nessuno possa invocare la
constatazione contenuta nella sentenza con riguardo a fattispecie concluse anteriormente alla
pronuncia della sentenza stessa, fatta eccezione per i casi in cui l’interessato abbia, prima di tale
data, «agito in giudizio o altrimenti contestato (…) con un’impugnativa equivalente» 104 , oppure,
più in generale, «si sia adoperato in tempo utile per salvaguardare i propri diritti» 105 .
Come è stato già osservato in precedenza, l’introduzione di tale prassi si è resa necessaria a
fronte delle contestazioni di alcune Corti nazionali che hanno sottolineato come l’efficacia ex
nunc che investa anche le parti della causa sia in contrasto con il principio di effettività della
tutela giurisdizionale. Tra queste occorre richiamare anche sentenza della Corte costituzionale n.
232 del 1989 106 che ha chiarito il rapporto tra efficacia temporale delle sentenze della Corte di
giustizia e il “controlimite” dell’art. 24 Cost.
99
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 11 agosto 1995, in cause riunite da C-367/93 a C-377/93, Roders e a.; Id., 13
febbraio 1996, in cause riunite C-197/94 e C-252/94, Société Bautiaa; Id., 23 maggio 2000, in causa C-104/98, Buchner; Id., 17
febbraio 2005, in cause riunite C-453/02 e C-462/02, Linneweber e Akritides; Id., 15 marzo 2005, in causa C-209/03, Bidar.
100
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 20 settembre 2001, in causa C-184/99, Grzelczyk, e Id., 15 marzo 2005, in causa
C-209/03, Bidar.
101
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 17 maggio 1990, in causa C-262/88, Barber.
102
Corte di giustizia delle Comunità Europee,16 luglio 1992, in causa C-163/90, Legros.
103
In proposito, Corte di giustizia delle Comunità Europee, 17 febbraio 2005, in cause riunite C-453/02 e C-462/02, Linneweber
e Akritides, punto 44.
104
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 16 luglio 1992, in causa C-163/90, Legros, punto 35.
105
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 17 maggio 1990, in causa C-262/88, Barber, punto 44, e Id., 15 dicembre 1995, in
causa C-415/93, Bosman, punto 144.
106
Corte costituzionale, 21 aprile 1989, n. 232, in Giur. cost., 1989, 1001 e ss. con osservazioni di CARTABIA, Nuovi sviluppi
nelle «competenze comunitarie» della Corte costituzionale, nonché di DANIELE, Costituzione italiana ed efficacia nel tempo delle
sentenze della Corte di giustizia comunitaria, in Foro It., 1990, 1855 e ss., GAJA, La sentenza della Corte costituzionale n. 232
del 1989 e i «controlimiti» alla superiorità del diritto comunitario, in La Corte costituzionale tra diritto interno e diritto
76
Nella decisione si sottolinea innanzitutto l’importanza del principio affermato dalla Corte
di giustizia che attribuisce efficacia vincolante erga omnes alle statuizioni in esse contenute,
principio che finisce per abilitare il giudice comunitario ad esplicitare fondamentali norme sul
processo comunitario, solo implicite nelle disposizioni del Trattato, anche in materia di effetti
(non solo temporali) delle sentenze da essa pronunciate.
Dopo aver ricostruito i principi in tema di efficacia temporale delle sentenze di invalidità
emesse dalla Corte di giustizia in via pregiudiziale, la Corte costituzionale è quindi giunta a
censurare la prassi di precludere in via assoluta alla sentenza dichiarativa dell’invalidità di
spiegare effetti nel passato, senza eccettuare, da tale limitazione, il giudizio a quo. Tale prassi si
pone, infatti, in contrasto con il “controlimite” rappresentato dal fondamentale diritto alla tutela
giurisdizionale garantito dall’art. 24 Cost., “principio supremo del nostro ordinamento
costituzionale”, e risulta inconciliabile con la natura incidentale del rinvio pregiudiziale del
Trattato.
Più in particolare, il giudice costituzionale ha precisato che «non può non apparire in
contraddizione con la natura stessa di una sentenza pregiudiziale, e con la relazione necessaria
che intercorre fra giudizio incidentale e giudizio principale, l’ipotesi in cui la sentenza emanata
nel giudizio incidentale non possa trovare applicazione nel giudizio incidentato che l’ha
provocata» in quanto «il diritto di ognuno ad avere per qualsiasi controversia un giudice e un
giudizio verrebbe a svuotarsi dei suoi contenuti sostanziali se il giudice, il quale dubiti della
legittimità di una norma che dovrebbe applicare, si veda rispondere dalla autorità giurisdizionale
cui è tenuto a rivolgersi, che effettivamente la norma non è valida, ma che tale invalidità non ha
effetto nella controversia oggetto del giudizio principale, che dovrebbe quindi essere deciso con
l’applicazione di una norma riconosciuta illegittima». La Corte ha altresì escluso che una siffatta
applicazione dell’art. 231, 2° comma, nel procedimento incidentale, lesiva del diritto alla tutela
giurisdizionale, possa trovare giustificazione nelle «esigenze primarie dell'applicazione uniforme
del diritto comunitario e della certezza del diritto».
La sentenza, infine, prospetta la necessità di escludere ogni limitazione degli effetti della
sentenza dichiarativa d’invalidità dell’atto comunitario non solo nel giudizio a quo, ma anche nei
casi “paralleli”, senza che ciò comporti un sacrificio delle richiamate esigenze della certa ed
uniforme applicazione del diritto comunitario: «le esigenze invocate non risulterebbero affatto
compromesse, ove, pur facendo salvi gli effetti pregressi del regolamento invalidato, si lasciasse
comunitario, Milano, 1991, 81 e ss., DONATI, La motivazione nella sent. n. 232 del 1989 ed il «bilanciamento» tra interessi
nazionali ed interessi comunitari nel sindacato sui «controlimiti», in AA.VV, La motivazione delle decisioni della Corte
costituzionale, a cura di Ruggeri, Torino, 1994, 494 e ss.
77
inalterata l’efficacia della pronuncia nella controversia oggetto del giudizio principale ed anche
in tutti quei giudizi già iniziati dinanzi alle giurisdizioni nazionali prima della data di
emanazione della sentenza invalidante».
In conclusione, l’esame sin qui svolto ha permesso di mettere in luce la dinamica degli
effetti temporali delle sentenze pregiudiziali e le problematiche inerenti al potere di modulazione
degli stessi. In particolare, si è visto come uno dei principale limiti alla retroattività degli effetti
sia rappresentato dai rapporti esauriti e, dunque, dalla garanzia della certezza del diritto ad essa
sottesa.
Su
questo
aspetto
si
concentrerà
78
l’analisi
nei
capitoli
seguenti.
CAPITOLO III
L’INCIDENZA DELLE SENTENZE PREGIUDIZIALI SUI RAPPORTI QUESITI
Sommario: 1. Certezza del diritto e intangibilità del giudicato reso in violazione al diritto
comunitario - 2. L’obbligo di riesame di atti amministrativi “anticomunitari” coperti dal
giudicato - 3. Il riesame degli atti divenuti definitivi per decorrenza del termine per impugnare 4. La sussistenza dell’obbligo di riesame se il ricorrente non ha in precedenza fatto valere la
violazione del diritto comunitario - 5. La “presunta” inesistenza dei presupposti di un obbligo di
autotutela nell’ordinamento interno - 6. L’annullamento d’ufficio “doveroso” ed ex lege - 7. La
necessità di revisione del giudicato in violazione delle sentenze C.E.D.U. - 8. Profili
problematici in relazione al “giudicato costituzionale”: la disapplicazione delle disposizioni
“create” dalla Corte - 9. La prevalenza delle sentenze della Corte di giustizia sulle decisioni delle
Corti costituzionali nazionali in materia di diritti fondamentali.
1. Certezza del diritto ed intangibilità del giudicato reso in violazione al diritto
comunitario − Con riferimento alle sentenze pronunciate in sede di rinvio pregiudiziale, si è
visto in precedenza come la retroattività degli effetti incontri un limite nei rapporti quesiti, a
garanzia del principio di certezza del diritto1 .
Al riguardo si cercherà di mettere in luce l’incidenza delle pronunce interpretative su tali
rapporti e, più in particolare, sulle situazioni giuridiche oggetto di una decisione giurisdizionale
passata in giudicato in contrasto con il diritto comunitario e su quelle discendenti da atti
amministrativi «anticomunitari» ormai definitivi, perché coperti dal giudicato ovvero non
impugnati nei termini.
1
In generale sulla certezza del diritto, si vedano: BERTEA, La certezza del diritto nel dibattito teorico-giuridico contemporaneo,
in Materiali per una storia del pensiero giuridico, 2001, 131 e ss.; BOBBIO, La certezza del diritto è un mito?, in Riv. Int. Fil.
Dir., 1951, 146 e ss.; CORSALE, voce Certezza del diritto, I) Profili teorici, in Enc. Giur. Treccani, VI, Roma, 1988; COTTA, La
certezza del diritto. Una questione da chiarire, in Riv. Dir. Civ., 1993, 317 e ss.; DAMIANI, La certezza del diritto come
parametro nei giudizi di costituzionalità. Le esperienze italiana e spagnola a confronto, in Giur. Cost., 1999, 2359 e ss.;
FARALLI, Certezza del diritto o diritto alla certezza?, in Mat. St. Cult. Giur., 1997, 89 e ss.; GIANFORMAGGIO, voce Certezza del
diritto, in Dig. Disc. pubbl., Torino, 1988; GUASTINI, La certezza del diritto come principio di diritto positivo?, in Le Regioni,
1986, 1090 e ss.; LONGO, voce Certezza del diritto, in Nss. Dig. It., Torino, 1966; PIZZORUSSO, voce, Certezza del diritto, II)
Profili applicativi, ibidem; PIZZORUSSO, PASSAGLIA, Constitution et sécurité juridique (Italie), in Annuaire International de
Justice Constitutionnelle, 1999, 199 e ss., ed i riferimenti bibliografici e giurisprudenziali ivi contenuti; ROMANO TASSONE,
Amministrazione pubblica e produzione di «certezza». Problemi attuali e spunti ricostruttivi, in Dir. Amm., 2005, 867 e ss.
79
Quanto al primo aspetto, è necessario innanzitutto esaminare la rilevanza attribuita
nell’ordinamento comunitario al principio di intangibilità del giudicato ed alla sottesa eigenza di
tutela del principio di certezza del diritto.
Il principio dell’intangibilità del giudicato, anche quando ciò permetterebbe di accertare
una violazione del diritto comunitario da parte della decisione, è stato per la prima volta
affermato nella sentenza 1° giugno 1999, in causa C-126/97, Eco Swiss 2 .
Si trattava di una controversia relativa ad un lodo arbitrale interlocutorio, ritenuto nullo per
contrasto con l’art. 81 T.C.E., nell’ambito della quale il giudice aveva rimesso alla Corte di
giustizia la seguente questione pregiudiziale: se in base al diritto comunitario si dovesse
disapplicare la norma di diritto processuale olandese - per cui un lodo arbitrale interlocutorio
acquisisce l’autorità di cosa giudicata e non può, in linea di principio, costituire oggetto di
impugnazione per nullità trascorso il termine di tre mesi dal deposito - qualora ciò sia necessario
per poter esaminare, nell’ambito dell’impugnazione per nullità diretta contro un successivo lodo
arbitrale, se un contratto, la cui validità giuridica è stata stabilita dal lodo interlocutorio rivestito
di autorità di cosa giudicata, sia tuttavia in contrasto con l’art. 81 del Trattato.
La Corte ha negato la sussistenza di tale obbligo di disapplicazione, osservando che
«l’impugnazione per nullità di un lodo arbitrale interlocutorio avente natura di decisione
definitiva può essere proposta nel termine di tre mesi che decorre dal deposito di tale lodo presso
la cancelleria del giudice competente. Un termine siffatto, che non sembra troppo breve in
rapporto a quelli fissati negli ordinamenti giuridici degli altri Stati membri, non è tale da rendere
eccessivamente
difficile
o
praticamente
impossibile
l’esercizio
dei
diritti
conferiti
dall'ordinamento giuridico comunitario. Inoltre si deve sottolineare che, allo spirare di tale
termine, norme di procedura nazionali che limitano la possibilità di impugnare per nullità un
lodo arbitrale successivo che sviluppa un lodo arbitrale interlocutorio avente natura di decisione
definitiva, per il motivo che quest’ultimo è rivestito dell'autorità di cosa giudicata, si giustificano
in virtù dei principi che stanno alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali il principio
della certezza del diritto e quello del rispetto della cosa giudicata che ne costituisce
l’espressione. In tali condizioni, il diritto comunitario non impone a un giudice nazionale di
disapplicare siffatte norme, anche se ciò è necessario per poter esaminare, nell'ambito del
2
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 1° giugno 1999, in causa C-126/97, Eco Swiss, in Corr. Giur., 2000, 32 e ss., con
commento di ONNIBONI, Compatibilità del dritto comunitario con le norme processuali nazionali in tema di passaggio in
giudicato di una decisione arbitrale. Su questa pronuncia e sui problemi dalla stessa sollevati, si cfr.no inoltre: BASTIANON,
L’arbitrabilità delle controversie antitrust tra diritto nazionale e diritto comunitario, in Foro It., 1999, IV, 470 e ss.; PUNZI,
Diritto comunitario e diritto nazionale dell’arbitrato, in Riv. Arb., 2000, 235 e ss.; RADICATI DI BROZOLO, Arbitrato, diritto
della concorrenza. diritto comunitario e regole di procedura nazionali, in Riv. Arb., 1999, 665 e ss. e RIZZO, Giudicato interno e
ordine pubblico comunitario, in Europa e Diritto Privato, 2000, 667 e ss.
80
procedimento d’impugnazione per nullità diretto contro il lodo arbitrale successivo, se un
contratto, la cui validità giuridica è stata stabilita dal lodo arbitrale interlocutorio, sia tuttavia
nullo poiché in contrasto con l’art. 81 CE» 3 .
L’intangibilità delle decisioni “anticomunitarie” è stata di recente ribadita nella sentenza,
16 marzo 2006, in causa C-234/04, Kapferer 4 , con cui la Corte si è pronunciata su una domanda
pregiudiziale proposta nell’ambito di una controversia tra una cittadina austriaca ed una società
di vendita per corrispondenza con riguardo ad un’azione volta a far condannare quest’ultima ad
attribuire un premio a seguito dell’invio nominativo di materiale pubblicitario recante l’annuncio
di presunte vincite.
Il giudice d’appello, nutrendo alcuni dubbi sul fatto che un’ingannevole promessa di
vincita, destinata ad agevolare la conclusione di un contratto e, dunque, preparatoria di
quest’ultimo, presentasse un collegamento sufficientemente stretto con la preventivata
conclusione di un contratto con un consumatore da radicare la competenza del foro del
consumatore in forza degli artt. 15 e 16 del Reg. n. 44/2001, ritenuta sussistente in primo grado
con sentenza non impugnata, aveva ritenuto pregiudiziale stabilire se, in forza dell’art. 10 T.C.E.,
fosse tenuto a riesaminare ed annullare la decisione passata in giudicato sul capo della
competenza internazionale e contraria al diritto comunitario.
La Corte ha espressamente escluso che il diritto comunitario imponga ad un giudice
nazionale di disapplicare le norme processuali interne allo scopo di riesaminare ed annullare una
decisione giurisdizionale passata in giudicato, qualora risulti che questa viola il diritto
comunitario, in ragione dell’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste sia
nell’ordinamento giuridico comunitario che negli ordinamenti nazionali5 . Di conseguenza, il
3
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 1° giugno 1999, in causa C-126/97, Eco Swiss, punti 44-45-46-47.
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 16 marzo 2006, in causa C-234/04, Kapferer c. Schlank & Schick GmbH.
5
Anche nel sistema italiano è un principio indiscusso quello secondo cui il fenomeno del giudicato riveste un’importanza
determinante al fine di conferire stabilità e certezza all’ordinamento giuridico.
Per un inquadramento generale dell’istituto del giudicato, si vedano: PUGLIESE, voce Giudicato civile (storia), in Enc. Dir.,
XVIII, Milano, 1969 e ID., voce Giudicato civile (dir.vig.), ibidem; SEGNI, Della tutela giurisdizionale dei diritti, in
Commentario al codice civile, diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1953. Sul giudicato amministrativo si vedano, in
particolare, CACCIAVILLANI, Giudizio amministrativo e giudicato, Padova, 2005, CALABRÒ, voce Giudicato (diritto processuale
amministrativo), in Enc. Giur. Treccani, Roma, XV, 2002, SAITTA, Valore del precedente giudiziale e certezza del diritto nel
processo amministrativo del terzo millennio, in Dir Amm., 2005, 585 e ss., TRAVI, Il giudicato amministrativo, in Dir. Proc.
Amm., 2006, 912 e ss.
Più in generale sui complessi rapporti tra il principio della certezza del diritto e quello del legittimo affidamento, sotto il profilo
definitorio e della determinazione del fondamento costituzionale della garanzia, si vedano: CARNEVALE, “… Al fuggir di
giovinezza… nel doman s’ha più certezza” (Brevi riflessioni sul processo di valorizzazione del principio di affidamento nella
giurisprudenza costituzionale), in Giur. Cost., 1999, 3643 e ss., ID., Più ombre che luci sul tentativo di rendere maggiormente
affidabile lo scrutinio della legge sotto il profilo della tutela del legittimo affidamento, ivi, 2002, 3666 e ss., ID., I diritti, la legge
e il principio di tutela del legittimo affidamento nell’ordinamento italiano. Piccolo divertissement su alcune questioni di natura
definitoria, Relazione tenuta al Convegno su La Costituzione repubblicana fondamenti, principi e valori, tra attualità e
prospettive, Roma, 13-15 Novembre 2008, LUCIANI, Il dissolvimento della nozione di retroattività. Una questione fondamentale
del diritto intertemporale nella prospettiva delle vicende delle leggi di incentivazione economica, (prima parte), in Giur. It.,
4
81
riesame di una sentenza definitiva potrà avvenire solo nell’ipotesi in cui sia lo stesso diritto
nazionale a prevedere, nel proprio sistema processuale, un meccanismo di revisione dei processi
nell’ipotesi di contrasto con la normativa comunitaria 6 , meccanismo che non è invece imposto
dall’art. 10 T.C.E.
A sostegno di una tale conclusione, viene richiamata la sentenza Köbler nella parte in cui si
afferma che «al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona
amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive
dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per
questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione» 7 .
Con riguardo, invece, ai limiti imposti agli Stati membri in materia processuale si ribadisce
il necessario rispetto del principio di equivalenza e di effettività8 , nel senso che le regole
procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti conferiti ai privati da
norme comunitarie dotate di efficacia diretta non devono essere meno favorevoli di quelle
relative ad analoghi ricorsi di natura interna e non devono essere tali da rendere praticamente
impossibile l’esercizio di tali diritti.
Si può, dunque, affermare che il bilanciamento tra l’interesse all’applicazione del diritto
comunitario e la certezza del diritto assicurata dall’autorità della cosa giudicata si conclude
sempre in favore di quest’ultima.
2007, 1836 e ss., PREDIERI, Certezza e innovazione: la tutela dell’affidamento, in AA.VV., Certezza del diritto. Un valore da
ritrovare, Atti del convegno di Firenze, 2-3 ottobre 1992, Milano, 1993, 36 e ss., RIMOLI, Certezza del diritto e moltiplicazione
delle fonti: spunti per un’analisi, in AA.VV., Sistema e problema. Saggi di teoria dei sistemi giuridici, Torino, 2003.
Con particolare riguardo alle forme di tutela del legittimo affidadamento, anche con riferimento al diritto comunitario, si vedano:
ANTONIAZZI, La tutela del legittimo affidamento del privato nei confronti della pubblica amministrazione, Torino, 2005;
CASTORINA, «Certezza del diritto» e ordinamento europeo: riflessioni intorno ad un principio «comune», in Riv. it. dir. pubbl.
com., 1998, 1177 e ss.; GALETTA, Legittimo affidamento e leggi finanziarie, alla luce dell'esperienza comparata e comunitaria :
riflessioni critiche e proposte per un nuovo approccio in materia di tutela del legittimo affidamento nei confronti dell’attività del
legislatore, Relazione presentata al Convegno nazionale dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo
(AIPDA) su “Il diritto amministrativo alla prova delle leggi finanziarie”, Lecce, 25-26 settembre 2008; GIGANTE, Mutamenti
nella regolazione dei rapporti giuridici e legittimo affidamento, Milano, 2008; IMMORDINO, Revoca degli atti amministrativi e
tutela dell’affidamento, Torino, 1999; ID., Certezza del diritto e amministrazione di risultato, in AA. VV., Principio di legalità e
amministrazione di risultati. Atti del Convegno di Palermo, 27-28 febbraio 2003, a cura di Immordino e Police, Torino, 2005;
LORELLO, La tutela del legittimo affidamento tra diritto interno e diritto comunitario, Torino, 1998; MAFFEI, Il principio della
tutela del legittimo affidamento nell’ordinamento comunitario, in Dir. Pubbl. compar. eu., 2003, 498 e ss.; MERUSI, La
problematica dell’annullamento d’uffıcio, in Buona fede e affıdamento nel diritto pubblico. Dagli anni trenta all’alternanza,
Milano, 2001, 92 e ss. e ID., L’affidamento del cittadino, Milano, 1970. Con specifico riferimento al concetto di «legittimate
expetation» nel diritto europeo si veda SCHONBERG, Legittimate expetation in Administrative Law, Oxford, 2000.
6
Ipotesi questa non contemplata nell’ordinamento austriaco, né dal nostro art. 363 c.p.c., come modificato dal D. Lgs. 2 febbraio
2006 n. 40.
7
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 16 marzo 2006, in causa C-234/04, Kapferer c. Schlank & Schick GmbH, punto 38.
8
Su tali due esigenze GIRERD, Les principes d’équivalence et d’effectivité: encadrement ou désencadrement de l’autonomie
procédurale des Etats membres ?, in Rivista trimestrale diritto europeo, 2002, 75 e ss. nonchè GENTILI, Il principio comunitario
di cooperazione nella giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, in Cons. Stato, 2004, 233. Sui risvolti sostanziali del principio
di equivalenza e sui significati che esso può assumere nei diversi settori di interesse comunitario, si veda TORCHIA, Il governo
delle differenze. Il principio di equivalenza nell’ordinamento europeo, Bologna, 2006.
82
Tuttavia, come è stato già evidenziato in precedenza, l’effettività dell’ordinamento
comunitario riceve in ogni caso una tutela indiretta, stante la configurabilità di una responsabilità
extracontrattuale degli Stati membri per danni causati ai singoli da violazioni del diritto
comunitario imputabili al potere giudiziario.
Nella sentenza Köbler è stato peraltro precisato che tale riconoscimento non è in contrasto
con l’autorità della cosa giudicata: infatti, «un procedimento inteso a far dichiarare la
responsabilità dello Stato non ha lo stesso oggetto e non implica necessariamente le stesse parti
del procedimento che ha dato luogo alla decisione che ha acquisito l'autorità della cosa
definitivamente giudicata. Infatti, il ricorrente in un’azione per responsabilità contro lo Stato
ottiene, in caso di successo, la condanna di quest’ultimo a risarcire il danno subito, ma non
necessariamente che sia rimessa in discussione l’autorità della cosa definitivamente giudicata
della decisione giurisdizionale che ha causato il danno. In ogni caso, il principio della
responsabilità dello Stato inerente all’ordinamento giuridico comunitario richiede un tale
risarcimento, ma non la revisione della decisione giurisdizionale che ha causato il danno. Ne
deriva che il principio dell’autorità della cosa definitivamente giudicata non si oppone al
riconoscimento del principio della responsabilità dello Stato per la decisione di un organo
giurisdizionale di ultimo grado (…) Occorre ancora aggiungere che, se considerazioni collegate
al rispetto del principio dell’autorità della cosa definitivamente giudicata o dell’indipendenza dei
giudici possono avere ispirato ai sistemi giuridici nazionali restrizioni, talvolta severe, alla
possibilità di far dichiarare la responsabilità dello Stato per danni causati da decisioni
giurisdizionali erronee, considerazioni di tale tipo non sono state tali da escludere in maniera
assoluta questa possibilità. Infatti, l'applicazione del principio della responsabilità dello Stato alle
decisioni giurisdizionali è stata ammessa anche se sotto forme diverse dalla maggior parte degli
Stati membri, come l’avvocato generale ha rilevato ai paragrafi 77-82 delle sue conclusioni,
anche se solo a condizioni restrittive ed eterogenee» 9 .
Dalla giurisprudenza sin qui richiamata è in conclusione possibile rilevare come,
nell’ipotesi di violazione del diritto comunitario derivante da una decisione giurisdizionale
nazionale passata in giudicato, il principio di certezza del diritto risulti comunque preminente
rispetto al principio di legalità comunitaria, trovando piena tutela nel contrasto con il giudicato
comunitario 10 .
9
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 16 marzo 2006, in causa C-234/04, Kapferer c. Schlank & Schick GmbH, punti 3940-41.
10
Tale garanzia con riferimento all’ipotesi di contrasto tra giudicato interno e comunitario trova comunque una deroga nel
contrasto con le sentenze C.E.D.U. Sul punto si cfr. il par. 7.
83
2. L’obbligo di riesame di atti amministrativi “anticomunitari” coperti dal giudicato − Si
tratta a questo punto di verificare se la giurisprudenza comunitaria abbia riconosciuto un’analoga
forma di tutela della certezza del diritto anche a fronte di situazioni giuridiche consolidate dalla
presenza di un atto amministrativo divenuto definitivo, a seguito di un giudicato interno che ne
abbia escluso l’illegittimità.
Tale interrogativo nasconde l’ulteriore quesito relativo alla sussistenza o meno di un
obbligo gravate sulle amministrazioni nazionali di procedere, in ossequio al principio di leale
cooperazione, al riesame dell’atto amministrativo che comunque risulti comunitariamente
illegittimo.
Per conoscere l’orientamento del giudice comunitario al riguardo, occorre esaminare la
fattispecie e le argomentazioni della sentenza 13 gennaio 2004, in causa C-453/00, Kühne &
Heitz NV c. Productschap, con cui la Corte di giustizia si è espressa nel senso della
configurabilità di un tale potere di autotutela nei confronti di atti amministrativi
“anticomunitari”, che siano stati oggetto di una sentenza di un giudice nazionale che statuisce in
ultima istanza 11 .
La questione era stata rimessa alla Corte da un giudice olandese d’appello, nell’ambito di
una controversia in merito ad una richiesta di pagamento di restituzioni all’esportazione, di cui
l’autorità doganale, pronunciandosi in sede di reclamo, aveva confermato il rigetto, nonostante
fosse intervenuta una sentenza della Corte di giustizia in materia che avrebbe fatto propendere
per l’accoglimento. In particolare, il giudice remittente aveva chiesto se il diritto comunitario, e
più specificatamente il principio di cooperazione derivante dall’art. 10 T.C.E., comportasse, in
determinate circostanze, che un organo amministrativo sia tenuto a rivedere la decisione,
11
Per una ricostruzione delle argomentazioni sottese a tale decisione si vedano: GALETTA, Autotutela decisoria e diritto
comunitario, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2005, 35 e ss. nonché in Il diritto amministrativo dei paesi europei tra
omogeneizzazione e diversità culturali, a cura di Falcon, Padova, 2005, 45 e ss.; RINALDI, Miracoli dei polli olandesi: la
primauté del diritto comunitario va «oltre» il giudicato nazionale «anticomunitario». E all'Amministrazione spetta il compito di
rimediare, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2005, 651 e ss.; DE PETRIS, «Illegittimità comunitaria» dell’atto amministrativo definitivo,
certezza del diritto e potere di riesame, in Giorn. Dir. Amm., 2004, 723 e ss.; GATTINARA, Il ruolo delle amministrazioni
nazionali alla luce della sentenza Kühne & Heitz, in Dir. Com. Scambi Internaz., 2004, 489 e ss.; MARI, La forza del giudicato
delle decisioni dei giudici nazionali di ultima istanza nella giurisprudenza comunitaria, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2004, 1007
e ss.; PECCHIOLI, La cedevolezza del giudicato di fronte al diritto comunitario incompatibile, in www.giust-amm.it; ANTONUCCI,
Il primato del diritto comunitario, in Cons. Stato, 2004, II, 225 e ss.; GENTILI, Il principio comunitario di cooperazione nella
giurisprudenza della Corte di Giustizia C.E., ibidem, 233 e ss.; TULUMELLO, Dalla Corte di Giustizia un’apertura (per ora
limitata) alla revisione del giudicato amministrativo per «ius superveniens» comunitario, in www.giustamm.it; GRUNER,
L’annullamento d’ufficio in bilico tra i principi di preminenza ed effettività del diritto comunitario, da un lato, ed i principi di
certezza del diritto e dell’autonomia procedurale degli Stati membri dall’altro, in Dir. Proc. Amm., 2007, 240 e ss.; COUTRON,
Cour de justice, 13 janvier 2004, in Revue des affaires européennes, 2003-2004, 417 e ss.; PEERBUX-BEAUGENDRE, Une
adminitration peut invoquer le principe de la force de la chose definitivement jugée pour refuser de réexaminer une décision dont
une interpretation préjudiciel ulteriore a rèvèle la contrariete avec le droit communautaire. Commentaire de l’arrêt de la CJCE
du 13 janvier 2004, in Revue du droit de l’Union Européenne, 2004, 559 e ss. nonché, più in generale, dello stesso autore,
Autorité de la chose jugée et primauté du droit communautaire, in Revue française de droit administratif, 2005, 473 e ss.
84
divenuta definitiva, al fine di assicurare la completa efficacia del diritto comunitario, così come
interpretato a seguito di una successiva domanda di pronuncia pregiudiziale.
Il giudice aveva rilevato in particolare come il riconoscimento della regola secondo cui
decisioni divenute definitive devono essere modificate per conformarsi ad una giurisprudenza
successiva, nel caso specifico comunitaria, avrebbe creato una situazione di confusione
amministrativa, compromettendo gravemente la certezza del diritto. Tuttavia l’opposto principio
- in forza del quale una giurisprudenza successiva ad una decisione amministrativa definitiva non
può di per sé incidere sul carattere definitivo di quest’ultima - aveva comunque trovato una
deroga con riferimento alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo sui procedimenti
penali e, probabilmente, sarebbe potuto essere derogato anche nel caso in esame, stante la
contrarietà della decisione all’ordinamento comunitario e l’esaurimento dei mezzi di tutela a
disposizione del ricorrente.
Nel corso del giudizio innanzi alla Corte, l’Avvocato generale Lèger si è espresso nel senso
della necessità di riconoscere il principio di cedevolezza del giudicato nazionale di fronte al
diritto comunitario incompatibile, sostenendo l’assunto secondo cui l’amministrazione doganale
olandese «non avrebbe dovuto rifiutare di accogliere la domanda della società ricorrente, fondata
sull'interpretazione delle regole rilevanti che la Corte ha dato in tale occasione, per il solo fatto
che il principio del rispetto dell'autorità di cosa giudicata vi si opporrebbe, in quanto tale
domanda tenderebbe a rimettere in discussione una decisione amministrativa precedente
divenuta definitiva in seguito al rigetto del ricorso di annullamento che la riguarda con una
decisione giurisdizionale dotata della detta autorità di cosa giudicata» 12 . Ad avviso
dell’Avvocato generale, infatti, una corretta interpretazione del principio di cooperazione di cui
all’art. 10 T.C.E., nonché dei principi di diretta applicazione e del primato del diritto
comunitario, avrebbe dovuto condurre alla disapplicazione della regola di diritto nazionale
sull’autorità della cosa giudicata, laddove comporti un ostacolo inaccettabile alla corretta ed
effettiva applicazione delle norme comunitarie. A sostegno della propria tesi, oltre ai principi
sanciti nelle sentenze Simmenthal 13 e Factortame 14 , l’Avvocato generale ha richiamato quanto
statuito nella sentenza Larsy 15 , in merito alla questione dell’applicazione della regola
12
Conclusioni dell’Avvocato generale Lèger, 17 giugno 2003, in causa C-453/00, Kühne & Heitz, punto 44.
Corte di giustizia delle Comunità europee, 9 marzo 1978, in causa C-106/77, Simmenthal.
14
Corte di giustizia delle Comunità europee, 19 giugno 1990, in causa C-213/89, Factortame.
15
Si veda Corte di giustizia delle Comunità europee, 28 giugno 2001, in causa C-117/00, Larsy. L’intervento della Corte era stato
sollecitato nell’ambito di una complessa vicenda che aveva preso le mosse dal fatto che il Sig. Larsy, cittadino belga residente in
Belgio, si era visto ridurre dall’Autorità del suo paese, in applicazione di una norma anticumulo comunitaria, una pensione di
vecchiaia in un primo momento accordatagli in misura intera, dal momento che era risultato beneficiario allo stesso titolo di una
pensione francese. Prima che il tribunale belga competente notificasse all’interessato la sentenza con cui aveva respinto il ricorso
13
85
dell’autorità di cosa giudicata da parte dell’amministrazione nazionale, ritenendo che i principi
enunciati dalla Corte in quell’occasione avrebbero potuto essere integralmente trasposti al caso
Kühne & Heitz «anche se la decisione giurisdizionale nazionale a cui si richiamava l’organo
amministrativo coinvolto (nella citata causa Larsy) non era definitiva quando quest’ultimo ha
adottato la decisione controversa, per cui essa era semplicemente dotata dell’autorità di cosa
giudicata, e non della forza di cosa giudicata o dell’autorità della cosa definitivamente giudicata
come avviene nella causa in discussione» 16 .
La Corte, presumibilmente spinta dall’interesse a non incrinare i rapporti con i giudici
nazionali 17 , non ha seguito le argomentazioni prospettate dall’Avvocato generale e, di fronte
all’alternativa tra la necessità di assicurare la supremazia del diritto comunitario o il rispetto del
principio dell’autorità della cosa definitivamente giudicata, ha optato per una terza via, nella
quale l’obbligo di riesame derivante dal diritto comunitario è stato subordinato al previo
riconoscimento in capo all’amministrazione di un potere di tale natura da parte dell’ordinamento
giuridico statale 18 .
Il giudice comunitario, ricordando che «la certezza del diritto è inclusa tra i principi
generali riconosciuti nel diritto comunitario» 19 e che «il carattere definitivo di una decisione
avverso tale provvedimento, la Corte, chiamata ad esprimersi su una questione pregiudiziale proposta nell’ambito di un giudizio
analogo promosso dal fratello del signor Larsy, aveva stabilito che norma anticumulo in questione doveva essere interpretata nel
senso che essa non si applicava qualora una persona avesse lavorato durante lo stesso periodo in due diversi Stati membri e fosse
stata costretta a versare, durante il medesimo periodo contributi di assicurazione di vecchiaia in entrambi detti Stati. Poiché tale
era anche la sua situazione il signor Larsy, aveva proposto appello contro la sentenza pronunciata in primo grado – essendogli
stato opposto nel frattempo dall’amministrazione un diniego alla richiesta, fondata sull’intervenuta sentenza pregiudiziale, di
beneficiare della pensione di vecchiaia completa anche per il periodo in cui il trattamento previdenziale gli era stato ridotto –
mettendo in discussione la responsabilità dello Stato belga per l’asserita violazione del diritto comunitario da parte
dell’amministrazione, al fine di ottenere il risarcimento del danno subito. Nel corso del giudizio di appello, l’amministrazione
aveva giustificato il proprio comportamento con il fatto che una norma nazionale collegata al rispetto dell’autorità di cosa
giudicata, le vietava di modificare, con effetto retroattivo, la decisione amministrativa inizialmente impugnata. Investita della
questione dal giudice procedente, la Corte di giustizia aveva confermato il principio di disapplicabilità delle disposizioni
processuali nazionali quando ciò sia necessario per il pieno riconoscimento dei diritti derivanti dal diritto comunitario.
16
Conclusioni dell’Avvocato generale Lèger, 17 giugno 2003, in causa C-453/00, Kühne & Heitz, punto 66.
17
Per tali considerazioni si veda ROVAGNATI, Fragilità e forza di un sistema giurisdizionale sui generis. I rapporti tra Corte di
Giustizia delle Comunità europee e giudici nazionali alla luce della più recente giurisprudenza comunitaria, in AA. VV., Le
Corti dell’integrazione europea e la Corte costituzionale italiana. Avvicinamenti, dialoghi, dissonanze, a cura di Zanon, collana
«Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica Italiana, Napoli, 2006, 385.
18
Si tratta di un approccio di self-restraint, di cui parte della dottrina (si vedano in particolare COUTRON, Cour de justice, 13
janvier 2004, cit., 425 e ss. e PEERBUX-BEAUGENDRE, Une adminitration peut invoquer le principe de la force de la chose
definitivement jugée pour refuser de réexaminer une décision dont une interpretation préjudiciel ulteriore a rèvèle la contrariete
avec le droit communautaire, cit., 566 e ss.) non ha mancato a mettere in luce l’ambiguità: subordinare l’operatività di tale
obbligo alla circostanza, del tutto contingente, per cui le stesse autorità amministrative nazionali dispongano, secondo il proprio
diritto interno, del potere di tornare sulle proprie decisioni, pone un problema di rispetto del principio di uniforme applicazione
del diritto comunitario, in considerazione del fatto che non sempre le autorità amministrative dei singoli Stati membri dispongono
di un analogo potere di riesame dei propri atti amministrativi illegittimi.
19
Secondo il giudice comunitario il principio di certezza del diritto assieme agli altri principi generali del diritto comunitario,
quali la proporzionalità e l’affidamento, deve guidare il comportamento degli Stati nell’attuazione del diritto comunitario. In
proposito, si veda - in materia di quote latte - la sentenza Corte di giustizia delle Comunità europee, 25 marzo 2004, in cause da
C-480/00 a C-482/00, C-484/00, da C-489/00 a C-491/00 e da C-497/00 a C-499/00, Azienda Agricola Ettore Ribaldi - secondo
cui «conformemente ai principi generali su cui è fondata la Comunità e che disciplinano i rapporti fra quest’ultima e gli Stati
membri, spetta a questi ultimi, in forza dell’art. 5 del Trattato CE (divenuto art. 10 CE), garantire nel loro territorio l’attuazione
86
amministrativa, acquisito alla scadenza di termini ragionevoli di ricorso o in seguito
all’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce a tale certezza» 20 , ha pertanto
escluso che il diritto comunitario esiga che un organo amministrativo sia obbligato a riesaminare
una decisione amministrativa che ha acquisito tale carattere definitivo, se non in presenza di una
serie di condizioni:
-
che l’amministrazione disponga, secondo il diritto nazionale, del potere di ritornare
su tale decisione;
-
che la decisione sia diventata definitiva in seguito ad una sentenza di una giudice
nazionale che statuisce in ultima istanza;
-
che tale sentenza, alla luce di una giurisprudenza della Corte successiva alla
medesima, risulti fondata su un’interpretazione errata del diritto comunitario;
-
che l’interessato, immediatamente dopo essere stato informato di tale
giurisprudenza, sia rivolto all’organo amministrativo, il quale dovrà tener conto
degli interessi di terzi.
Dunque, il diritto europeo non impone, se non in casi eccezionali, il riesame degli atti
“comunitariamente illegittimi”. Si tratta comunque di casi significativi, perché conformano
l’esercizio dei poteri di autotutela in modo diverso da come essi vivono nell’ordinamento interno
della normativa comunitaria. Qualora il diritto comunitario, ivi compresi i principi generali di quest’ultimo, non contenga in
proposito regole comuni, le autorità nazionali procedono, nell’attuazione di tale normativa, applicando i criteri formali e
sostanziali del loro diritto nazionale. Tuttavia, nell’adottare provvedimenti di attuazione di una regolamentazione comunitaria, le
autorità nazionali sono tenute ad esercitare il proprio potere discrezionale nel rispetto dei principi generali del diritto comunitario,
tra i quali si annoverano i principi di proporzionalità, di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento». Sempre in
materia di quote latte, ma con specifico riferimento al problema della retroattività della normativa di attuazione, si cfr. la sentenza
Corte di giustizia delle Comunità europee, 15 luglio 2004, in causa C-459/02, Gerekens e Procola, in cui si precisa che «se il
principio della certezza del diritto osta, come norma generale, a che l’efficacia nel tempo di un atto comunitario decorra da una
data anteriore alla sua pubblicazione, tuttavia una deroga è possibile, in via eccezionale, qualora lo esiga lo scopo da raggiungere
e purché il legittimo affidamento degli interessati sia debitamente rispettato. Parimenti il principio della certezza del diritto non
può essere leso da una regolamentazione nazionale che è applicabile retroattivamente, qualora l’esiga lo scopo da raggiungere e
venga debitamente osservato il legittimo affidamento degli interessati. (…)Quanto all’eventuale violazione del legittimo
affidamento degli interessati, va ricordato che il principio della tutela del legittimo affidamento può essere fatto valere
dall’operatore economico nel quale un’istituzione abbia fatto sorgere fondate aspettative. Il principio della tutela del legittimo
affidamento può essere fatto valere nei confronti di una regolamentazione solo se i pubblici poteri hanno essi stessi
precedentemente determinato una situazione tale da ingenerare un legittimo affidamento. Inoltre, un operatore economico
prudente e accorto, qualora sia in grado di prevedere l’adozione di un provvedimento comunitario idoneo a ledere i suoi interessi,
non può invocare detto principio nel caso in cui il provvedimento venga adottato».
La più recente giurisprudenza riconosce inoltre rilevanza al principio di certezza del diritto anche quando finisca per comportare
di fatto una disapplicazione del diritto vigente, ivi compreso il diritto comunitario: per tali ipotesi si vedano Corte di giustizia
delle Comunità europee, 7 gennaio 2004, in causa C-201/02, Delena Wells; Id., 27 febbraio 2003, in causa C-327/00, Santex; Id.,
29 aprile 1999, in causa C-224/97, Ciola; Id., 20 marzo 1997, in causa C-24/95, Alcan.
20
Corte di giustizia delle Comunità europee, 13 gennaio 2004, in causa C-453/00, Kühne & Heitz NV c. Productschap, punto 24.
87
e danno loro una più forte connotazione nel senso della tutela della legalità 21 , secondo il modello
francese 22 .
Da una parte, viene infatti rivitalizzata la funzione di affermazione e ripristino della legalità
violata che l’autotutela amministrativa ha sempre avuto: l’elemento del ripristino della legalità
risulta evidentemente rafforzato rispetto a quello del perseguimento di un interesse pubblico
specifico. Dall’altra, il diritto europeo impone che l’autotutela decisoria sia utilizzata non solo a
tutela della legalità nazionale, ma anche di quella europea.
E’ stato pertanto osservato come lo strumento non ne risulti snaturato, ma il fine sì 23 : lo
strumento continua a risultare da una ponderazione di interessi, che la Corte di giustizia lascia
alle amministrazioni nazionali; il fine risulta invece da una ponderazione di principi, nella quale
ai principi di certezza del diritto e tutela dell’affidamento si contrappongono quelli dell’effetto
utile, di equivalenza, di effettività e di leale cooperazione, nonché il principio di legalità e quello
del primato del diritto comunitario24 .
In conclusione, nell’ipotesi di violazione del diritto comunitario derivante da una decisione
amministrativa, il principio di certezza del diritto non risulta sempre preminente ma trova una
“salvaguardia relativa” nella precisa enunciazione dei presupposti di esercizio del potere di
riesame.
La Corte, in un sottile esercizio di verifica dell’equilibrio tra il bisogno di affermare il
primato del diritto comunitario e l’esigenza di rispettare le tradizioni giuridiche nazionali, giunge
ad una soluzione che, pur affermando il valore della certezza (legal certainty) del diritto, ne
ammette tuttavia un possibile cedevolezza in presenza di condizioni peculiari 25 .
21
Per questa considerazione, MATTARELLA, Il principio di legalità e l’autotutela amministrativa, Relazione al 53° Convegno di
studi amministrativi, su “Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia” – Varenna, Villa Monastero 20-22
settembre 2007, in www.astrid-online.it, 24.
22
Nella configurazione del potere di riesame degli atti amministrativi propria dell’ordinamento francese riveste un ruolo centrale
l’elemento oggettivo del ripristino della legalità violata. Conseguentemente, viene individuato in termini oggettivi anche il limite
posto a tutela dei soggetti che siano eventualmente incisi dall’esercizio di tale potere. La revoca e l’annullamento d’ufficio
devono infatti rispettare un limite temporale: occorre che il retrait intervenga in un termine ragionevole. Nel modello francese
non vi è dunque un riconoscimento né ponderazione della situazione del privato e la protezione dell’affidamento è incorporata
nella tutela della legalità (per questa considerazione e per un confronto tra il modello francese e quello tedesco, si rinvia, più
dettagliatamente, a GIGANTE, Mutamenti nella regolazione dei rapporti giuridici e legittimo affidamento, Milano, 2008, 105 e
ss.).
23
MATTARELLA, op. ult. cit., sottolinea altresì che la legalità sovranazionale «in base al principio di equivalenza, non può essere
meno forte di quella nazionale. E, in base al principio di effettività, può essere più forte di essa. Se legalità nazionale e legalità
europea sono in contrasto, la prima deve soccombere e i poteri di autotutela devono essere utilizzati dall’amministrazione
nazionale a tutela della seconda».
24
GALETTA, Autotutela decisoria e diritto comunitario, cit., 54.
25
Sul punto cfr. CHITI, Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, 481, secondo cui in tale pronuncia è evidente «l’intento
della Corte di non compromettere la certezza del diritto, che è anche uno dei principi generali riconosciuti nel diritto comunitario
e di non apportare altre significative limitazioni al principio di autonomia procedimentale degli Stati membri». Osserva peraltro
l’autore come per effetto di tale sentenza si determinerebbe la «comunitarizzazione di un importante aspetto dell’autotutela
amministrativa, dato che la fonte del nuovo obbligo di riesame deriva dal diritto comunitario».
88
Una tale conclusione di bilanciamento costituisce lo svolgimento, con riguardo ai
procedimenti di autotutela dell’amministrazione nazionale, dei principi enunciati dalla
giurisprudenza comunitaria in tema di potere di revoca da parte dell’amministrazione
comunitaria 26 .
Fin dalle prime sentenze 27 , infatti, il giudice comunitario, richiamando i diritti nazionali, ha
ritenuto che il potere di ritiro, da parte della amministrazione comunitaria, di un atto
amministrativo favorevole con effetto retroattivo dovesse essere esercitato in un lasso di tempo
ragionevole, riconoscendo, anche in ambito europeo, l’esigenza di tutelare il principio della
certezza del diritto e la tutela dell’affidamento 28 .
Allo stesso tempo però la Corte di giustizia ha avuto modo di evidenziare come lo stesso
valore della certezza fosse a sua volta cedevole 29 : esso infatti può retrocedere per ragioni di
giustizia sostanziale e per salvaguardare i fondamenti stessi dell’ordinamento, ferma restando
l’affermazione della sua valenza di principio indispensabile per il funzionamento del sistema 30 .
26
Per una esaustiva analisi della giurisprudenza comunitaria in materia si veda GALETTA, Autotutela decisoria e diritto
comunitario, cit., 37 e ss.
27
Si veda in primis Corte di giustizia delle Comunità Europee, 12 luglio 1957, in cause riunite C-7/56 e 3-7/57, Algera e a.
28
Con la richiamata decisione il giudice comunitario ha ricostruito, applicando il metodo comparativo tra i sistemi nazionali, gli
elementi essenziali dei principi dell’autotutela decisoria propri degli Stati allora membri dell’Unione. In seguito alla suddetta
analisi, la Corte è giunta alla conclusione che, da un lato, «un act administratif legal creant des droits subjectifs ne peut pas en
principe être rapporté unilateralment» e, dall’altro, che «le retrait d’un act illegal de la nature indiquèe peut en principe
entervenir dans un delai raisonable»: nel diritto degli Stati membri la necessità di tutelare i diritti acquisiti dai destinatari degli
atti amministrativi legittimi e quella di stabilità del rapporto creatosi spesso prevalgono sull’interesse dell’amministrazione a
ritirare la propria decisione e, conseguentemente, ne traggono la regola di diritto comunitario per cui in via di principio è da
escludersi la revoca di atti amministrativi che abbiano determinato un legittimo affidamento qualora essa sia motivata da vizi di
merito o dalla sopravvenuta inopportunità dell’atto. Per quanto concerne, invece, il potere di annullamento d’ufficio e, dunque
relativamente ai casi in cui l’atto amministrativo oggetto di riesame sia illegittimo, i diritti degli Stati membri ammettono,
seppure con diverse condizioni, la possibilità di revocation. In proposito è emerso che, generalmente, i limiti all’eliminazione
dell’atto derivano dal principio di buona fede (treu und glauben), che si oppone ad un ritiro tardivo, che intervenga cioè in data
sensibilmente successiva al momento dell’emanazione dell’atto stesso. A riguardo, la Corte, accogliendo i principi vigenti negli
Stati membri, ha finito per circoscrivere il potere di annullamento d’ufficio entro un termine di tempo ragionevole, qualora si
tratti di provvedimenti «conferant droits subjectifs», cioè qualora il provvedimento sia di tipo costitutivo.
29
Si veda Corte di giustizia delle Comunità Europee, 22 marzo 1961, in cause riunite C-42/59 e 49/59, SNUPAT c. High
Authority of the European Coal and Steel Community, in cui è stato precisato che «poiché l’annullamento ex post dell’atto fosse
legittimo, occorreva individuare un interesse pubblico alla rimozione, che prevalesse sulla tutela dell’affidamento: il
provvedimento di annullamento con effetto retroattivo è ammesso solo quando «tenuto conto delle circostanze, l’interesse
pubblico consistente nel far salvo il principio di legalità prevalga sull’interesse dei beneficiari al mantenimento di una situazione
che essi avevano il diritto di ritenere stabile. (...) La valutazione della rispettiva importanza degli interessi contrapposti e, di
conseguenza, la decisione di revocare o meno con effetto retroattivo il provvedimento viziato spettano in primo luogo all’organo
che ha emanato l’atto». La giurisprudenza comunitaria ha inoltre tenuto distinta l’eliminazione, da un lato, dei provvedimenti di
tipo costitutivo e, dall’altro, dei provvedimenti di tipo dichiarativo. In quest’ultimo caso, infatti, diminuisce il rigore delle
condizioni richieste per legittimare l’annullamento. Quando l’annullamento riguardi un provvedimento amministrativo di tipo
dichiarativo, la revocation è ammissibile (sempre a condizione che vi sia una comparazione tra gli interessi di segno diverso
coinvolti nella situazione reale) anche qualora sia trascorso un lasso di tempo maggiore di quello ragionevole.
30
Si cfr.no Corte di giustizia delle Comunità Europee, sentenza 14 settembre 1999, in causa C-310/97, AssiDomän e Id., 15
luglio 2004, in causa C-459/02, Gerekens e Procola.
89
In conseguenza di ciò, il giudice comunitario ha dunque provveduto in più occasioni ad
annullare atti di ritiro dell’amministrazione comunitaria aventi efficacia retroattiva, proprio per
la violazione del principio di certezza del diritto e di legittimo affidamento 31 .
La Corte ha inoltre riconosciuto analogo valore alla certezza quando questa appariva di
ostacolo alla contestazione, fuori termine, di atti comunitariamente illegittimi: così nel caso
Santex 32 , è stato ribadito il principio della rispondenza al criterio di effettività della previsione
nazionale di un termine breve per l’impugnazione di un atto nazionale contrario al diritto
europeo.
I riflessi nell’ordinamento interno del bilanciamento, operato nella sentenza Kühne &
Heitz, tra effettività del diritto comunitario, certezza e autonomia procedurale non sono da
sottovalutare.
Innanzitutto, alle sentenze della Corte di giustizia risulta riconosciuta una forza retroattiva
superiore a quella delle sentenze di illegittimità costituzionale, per le quali l’intervenuto
giudicato costituisce un limite di efficacia insuperabile, a prescindere dal fatto che la pronuncia
sia stata adottata da un organo giurisdizionale o amministrativo 33 .
Infatti, neppure nell’ipotesi estrema di sopravvenuta carenza assoluta di potere 34 , ossia di
atto amministrativo adottato sulla base di una norma attributiva di un potere poi dichiarata
incostituzionale, la sentenza di accoglimento è in grado di travolgere l’autorità di cosa giudicata
di una decisione amministrativa definitiva. La circostanza che una legge incostituzionale non
possa essere disapplicata da alcun organo dello Stato, essendo riservato solo ai giudici il potere
di sospenderne l’applicazione, sollevando appunto la questione di costituzionalità, comporta che
31
Corte di giustizia delle Comunità europee, 26 febbraio 1987, in causa C-15/85, Consorzio Cooperative D’Abruzzo c.
Commissione; Id., 17 aprile 1997. in causa C-90/95, Henry de Compte c. Parliament; Id., 24 gennaio 2002. in causa C-500/99,
Conserve Italia Soc. coop. c. Commissione.
32
Corte di giustizia delle Comunità europee, 27 febbraio 2003, in causa C-327/00, Santex.
33
In tema di efficacia della sentenza di accoglimento si veda ad esempio Cass., 16 giugno 1965, n. 1251, in Giust. Civ., 1965, I,
2239 in cui si afferma che «la norma dichiarata incostituzionale (…) deve essere disapplicata (…) rispetto a tutti i rapporti per i
quali penda controversia giudiziale, inclusi quelli precostituiti, salvo che rispetto ad essi si siano determinate situazioni giuridiche
ormai esaurite; il che può verificarsi: o per la preclusione nascente dal giudicato; o per effetto di atti amministrativi non più
impugnabili per effetto di prescrizione o decadenza; o in dipendenza di atti negoziali o altri atti o fatti che siano rilevanti sul
piano sostanziale e processuale» nonché Corte cost., 7 maggio 1984, n. 139, in Giur. Cost., 1984, I, 933 secondo cui tale
principio «vale però soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono
regolati dalla legge dichiarata invalida. Per rapporti esauriti debbono certamente intendersi tutti quelli che sul piano processuale
hanno trovato la loro definitività ed irretrattabile conclusione mediante sentenza passata in giudicato, i cui effetti non vengono
intaccati dalla successiva pronuncia di incostituzionalità (salvo quanto previsto per la materia penale…). Secondo l’orientamento
talvolta emerso nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. sent. 58 del 1967) e il prevalente indirizzo dottrinale, vanno considerati
esauriti anche i rapporti rispetto ai quali sia decorso il termine di prescrizione o di decadenza previsto dalla legge per l’esercizio
dei diritti ad essi relativi». In generale, con riguardo agli effetti temporali delle pronunce della Corte costituzionale, si vedano:
AA.VV., Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale anche con riferimento alle esperienze straniere: atti del
seminario di studi tenuto al Palazzo della Consulta il 23 e 24 novembre 1988, Milano, 1989; D'AMICO, Giudizio sulle leggi ed
efficacia temporale delle decisioni di incostituzionalità, Milano, 1993; POLITI, Gli effetti nel tempo delle sentenze di
accoglimento della Corte costituzionale: contributo ad una teoria dell'invalidità costituzionale della legge, Padova, 1997;
RUOTOLO, La dimensione temporale dell'invalidità della legge, Padova, 2000.
34
Per una più precisa ricostruzione di tale ipotesi CERRI, Corso di giustizia costituzionale, Milano, 2002, 228 e ss.
90
l’atto posto in essere nell’esercizio di poteri fondati sulla legge incostituzionale non sia
inesistente, ma annullabile 35 solo ove l’atto sia impugnato nei termini, sia pure per altri motivi, e
sia stata sollevata, anche d’ufficio, la questione.
Nel nostro ordinamento quindi l’intangibilità del giudicato riguarda in via generale, tanto le
sentenze, quanto le decisioni amministrative divenute definitive.
In secondo luogo va rilevato come, diversamente da quanto avviene nel bilanciamento di
interessi operato dal legislatore in ordine all’efficacia delle decisioni di accoglimento della Corte
costituzionale - in cui l’eccezione alla intangibilità del giudicato riguarda una tipologia
particolare di sentenze, quelle irrevocabili di condanna (art. 30 L. n. 87 del 1953) - con
riferimento alle pronunce del giudice comunitario, si venga a configurare un’eccezionalità
“invertita”: il principio di piena efficacia del diritto comunitario e, dunque, la necessità di
eliminare gli effetti di un atto viziato risulta prevalere su quello di certezza del diritto nell’ambito
delle decisioni amministrative rispetto alle quali ricorrano le condizioni enunciate nella sentenza
Kühne & Heitz, e non di quelle particolarmente rilevanti adottate da organi giurisdizionali.
La sentenza suscita infine una serie di considerazioni in ordine all’incidenza delle
enunciazioni sulla disciplina nazionale del potere di autotutela di cui si tratterà in seguito. In
astratto sembrano infatti prospettabili tre soluzioni: che le competenti autorità amministrative
nazionali siano tenute, in ogni caso, all’annullamento di ufficio degli atti amministrativi in
contrasto con il diritto comunitario; che siano soltanto tenute ad avviare i relativi procedimenti di
riesame, il cui esito resterebbe rimesso ad una valutazione discrezionale delle medesime; che il
diritto comunitario sostanzialmente non produca alcuna influenza sui presupposti dell’istituto
nazionale dell’annullamento di ufficio.
3. Il riesame degli atti divenuti definitivi per decorrenza del termine per impugnare −
Con la sentenza Kühne & Heitz è stato affrontato il problema dell’incidenza delle pronunce
interpretative sugli atti amministrativi «anticomunitari» ormai definitivi, perché coperti dal
giudicato di un giudice nazionale che ha statuito in ultima istanza. Si tratta ora di esaminare il
successivo orientamento della giurisprudenza comunitaria in merito agli atti amministrativi che
invece siano divenuti definitivi, a seguito della decorrenza del termine di impugnazione.
35
In questo senso ad esempio Cons. Stato, Ad. Plen., 12 marzo 1963, n. 9.
91
Come il principio di intangibilità del giudicato, anche la previsione di un termine per
contestare la legittimità degli atti amministrativi è posta a garanzia del principio di certezza del
diritto, principio che pertanto risulta esposto ad analogo bilanciamento.
La Corte di giustizia ha avuto modo di esprimersi sulla questione con la sentenza 19
settembre 2006, in cause riunite C-392/04 e C-422/04, i-21 Germany GmbH 36 .
Il giudice comunitario si è pronunciato sulla domanda pregiudiziale proposta nell’ambito di
due controversie tra i-21 Germany GmbH e Arcor AG & Co. KG, da un lato, e la Repubblica
federale di Germania, dall’altro, in merito ai diritti pagati per ottenere una licenza di
telecomunicazioni.
In particolare, le due società avevano reclamato il rimborso delle somme corrisposte sulla
base di una disciplina regolamentare dichiarata illegittima dal Bundesverwaltungsgericht. A
seguito del mancato accoglimento del reclamo, avevano presentato un ricorso al
Verwaltungsgericht. Questo tribunale si era però pronunciato nel senso del rigetto in quanto gli
avvisi di liquidazione erano divenuti definitivi e non sussistevano ragioni per superare il rifiuto
dell’Amministrazione di ritirarli. Ritenendo che il Verwaltungsgericht fosse incorso in un errore
non solo di diritto nazionale, ma anche di diritto comunitario, i-21 e Arcor avevano presentato
domanda di «Revision» al Bundesverwaltungsgericht.
La Corte tedesca, nutrendo alcuni dubbi sulla compatibilità della disciplina interna in
materia di telecomunicazioni con il diritto comunitario, ed in particolare con l’art. 11 della
direttiva 97/13, aveva ritenuto pregiudiziale stabilire se quest’ultima disposizione dovesse essere
interpretata come ostativa alla riscossione di un diritto per licenze come quelle previste
dall’ordinamento tedesco - nel cui calcolo era stata operata una riscossione anticipata dei costi
per spese amministrative generali di un’autorità nazionale di regolamentazione per un periodo di
30 anni - ed, in caso di soluzione affermativa, se l’art. 10 T.C.E. e l’art. 11 della direttiva citata
dovessero essere interpretati nel senso che obbligano ad annullare un avviso di liquidazione, che
non è stato oggetto di impugnazione, pur permessa dalla normativa nazionale, qualora il diritto
nazionale consenta l’annullamento, ma non lo imponga.
Prima di entrare nel merito della decisione adottata dal giudice comunitario, è interessante
soffermarsi sulle conclusioni depositate dall’Avvocato generale Colomer in quanto offrono
36
La decisione è pubblicata su Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2006, 895 e ss. con commento di MARCHETTI, Sul potere di
annullamento d’ufficio, la Corte ribadisce l’autonomia procedurale degli Stati membri, ma si sbilancia un po’, ibidem, 1132 e ss.
nonché di SALTARI, La legalità comunitaria prevale sulla certezza (nazionale) del diritto, in Giorn. Dir. Amm., 2007, 477 e ss.
In senso decisamente critico con riguardo alle conclusioni della pronuncia, GRUNER, L’annullamento d’ufficio in bilico tra i
principi di preminenza ed effettività del diritto comunitario, da un lato, ed i principi di certezza del diritto e dell’autonomia
procedurale degli Stati membri dall’altro, in Dir. Proc. Amm., 2007, 240 e ss.
92
un’argomentata ricostruzione dei limiti posti al principio della certezza del diritto connessa
all’intangibilità degli atti amministrativi definitivi a seguito della scadenza dei termini di
impugnazione ovvero all’esaurimento dei mezzi di ricorso 37 .
Ad avviso dell’Avvocato generale, «il diritto aborre il disordine e per questo si è dotato di
strumenti per lottare contro la sua principale causa: l’instabilità»: tuttavia il principio di certezza
del diritto «può diventare un ostacolo per l’uniforme e corretta applicazione del diritto
comunitario, motivo per il quale la giurisprudenza gli nega valore assoluto e primazia in
qualunque caso». L’esigenza di certezza del diritto va quindi ritenuta suscettibile di
bilanciamento con altri valori: «primo di tali valori che definiscono la certezza del diritto è
l’equità (…) Il carattere definitivo di una decisione non deve costituire un ostacolo ad un
riesame del suo contenuto se il suo persistere provoca una situazione di ingiustizia intollerabile.
La maggior parte degli Stati membri, per non dire tutti, considera come un impedimento
l’inoppugnabilità delle decisioni amministrative scaduti i termini del ricorso. Il sistema tedesco
ne offre un buon esempio. Come indicato nelle decisioni di rinvio, la giurisprudenza ha
circoscritto il potere discrezionale che l’art. 48 del VwVfG attribuisce all’Amministrazione
riconoscendo al cittadino il diritto di sollecitare la revoca della decisione quando mantenerla in
vigore appare “semplicemente insopportabile”. Questo limite alla certezza del diritto assume,
così, una connotazione spiccatamente soggettiva. Si vogliono eliminare le turbative che
ripugnano al più elementare senso di giustizia rifiutando le discriminazioni e ogni altra offesa
all’equanimità. L’altro limite (…) è più oggettivo e si sostanzia nella “preminenza della legge”,
intendendosi per tale non soltanto i fondamenti che articolano l’ordinamento e danno linfa alle
altre norme, ma anche l’orientamento scelto. Quando mantenere un atto definitivo mina
l’essenza del sistema o lo conduce ad un punto morto, la sua espulsione diventa inevitabile. In
realtà i due limiti in parte «si sovrappongono», giacché molti dei valori che sostanziano l’equità
rappresentano principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri e alcuni sono
recepiti nei più alti gradi dell’ordinamento positivo, come i diritti fondamentali della persona. In
definitiva, si deve rifuggire da soluzioni che, per ovviare a una mancanza di protezione, ne
generano una anche maggiore, poiché non c’è insicurezza più grande di quella originata
dall’ingiustizia o dall’illegittimità manifesta».
L’Avvocato generale è così giunto alla conclusione che, nell’ordinamento giuridico
comunitario, «la certezza del diritto resta, in via eccezionale, inoperante, permettendo di
riconsiderare decisioni non impugnabili, con il limite, sempre insormontabile, dei diritti dei terzi:
37
Si tratta delle Conclusioni presentate il 16 marzo 2006.
93
quando essi risultano lesi, la stabilità, ancorché ingiusta, deve prevalere, venendo incontro al
danneggiato in altri modi, un po’ più tortuosi, come la responsabilità dello Stato per
inadempimento del diritto comunitario».
Venendo al contenuto della decisione, con riguardo alla prima questione la Corte di
giustizia ha affermato come l’art. 11 della direttiva osti all’applicazione, a titolo di licenze
individuali, di un diritto calcolato in funzione delle spese amministrative generali dell’autorità di
regolamentazione per la concessione delle licenze su un periodo di trent’anni. Sul punto il
giudice comunitario ha richiamato i principi enunciati in materia nella sentenza 18 settembre
2003, in cause riunite C-392/01 e 393/01, Albacom e Infostrada c. Ministero del Tesoro,
ricordando che «l’inaffidabilità della previsione e i suoi effetti sul calcolo del canone si
ripercuotono sulla compatibilità di quest’ultimo con gli imperativi di proporzionalità, di
trasparenza e di non discriminazione» 38 . Ha però al contempo precisato come, nel caso
all’esame, il calcolo delle spese generali su un periodo di trent’anni implicava un’estrapolazione
delle spese future, le quali, per definizione, sono altro dalle spese realmente sostenute, con la
conseguenza che, in mancanza di un meccanismo di revisione del suo importo, il diritto applicato
non può essere strettamente proporzionato al lavoro richiesto, come invece prescrive l’art. 11
della direttiva.
Nell’affrontare la seconda questione la Corte ha fornito alcune precisazioni con riguardo al
riferimento, operato da una delle società e dalla Commissione, ai principi della sentenza Kühne
& Heitz.
Il giudice comunitario ha ribadito, in linea con quanto già stabilito nella sentenza Kühne &
Heitz, come il principio della certezza del diritto conduca ad negare che il diritto comunitario
imponga un obbligo del genere alle competenti autorità amministrative nazionali.
Tuttavia, nel richiamare le particolari ipotesi di riesame previste dalla decisione, il giudice
comunitario ha escluso che possano avere alcun rilievo in fattispecie come quella all’esame, alla
luce del fatto che, mentre l’impresa Kühne & Heitz aveva esaurito tutti i mezzi di tutela
giurisdizionale a sua disposizione, i-21 e Arcor non si erano avvalse del diritto di introdurre un
ricorso contro gli avvisi d’imposta loro indirizzati.
La Corte ha invece richiamato, a sostegno della decisione, la propria giurisprudenza in
materia di disciplina processuale, secondo cui la piena competenza degli Stati (c.d. autonomia
38
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 19 settembre 2006, in cause riunite C-392/04 e C-422/04, i-21 Germany GmbH,
punto 38.
94
processuale) trova il limite del rispetto del principio di equivalenza e di effettività 39 : in
particolare, le regole procedurali dei ricorsi giurisdizionali, intesi a garantire la tutela dei diritti
conferiti ai privati da norme comunitarie dotate di efficacia diretta, non devono essere meno
favorevoli di quelle relative ad analoghi ricorsi di natura interna e non devono essere tali da
rendere praticamente impossibile l’esercizio di tali diritti 40 .
La Corte ha preso infine in considerazione la circostanza che, secondo la giurisprudenza
tedesca, la legge sul procedimento attribuisce piena discrezionalità nel disporre il ritiro di un atto
amministrativo illegittimo 41 , discrezionalità che viene meno nell’ipotesi in cui l’atto in questione
appaia “semplicemente insopportabile” per ragioni di ordine pubblico, di buona fede, di equità, i
parità di trattamento o d’illegittimità manifesta. Ha quindi sottolineato che «se le norme di
ricorso obbligano a ritirare l’atto amministrativo illegittimo per contrarietà al diritto interno,
pur se ormai atto definitivo, allorché il suo mantenimento è “semplicemente insopportabile”,
39
Sull’autonomia procedurale degli Stati membri si vedano le pronunce: Corte di giustizia delle Comunità europee, 16 dicembre
1976, in causa C-33/76, Rewe; Id., 16 dicembre 1976, in causa C-45/76, Comet; Id., 9 novembre 1983, in causa C-199/82, San
Giorgio; Id., 25 febbraio 1988, in cause riunite C-331/85, 376/85 e 378/85, Bianco e Girare; Id., 24 marzo 1988, in causa C104/86, Commissione/Italia; Id., 14 luglio 1988, in cause riunite C-123/87 e 330/87, Jeunehomme e a.; Id., 9 giugno 1992, in
causa C-96/91, Commissione/Spagna; Id., 14 dicembre 1995, in causa C-312/93, Peterbroek e a.
Si tratta di una giurisprudenza secondo cui, in assenza di misure di armonizzazione diretta delle procedure, spetta agli Stati
membri indicare organi e procedure per la tutela delle posizioni protette dal diritto comunitario, sebbene tale autonomia sia
appunto condizionata dal rispetto di due requisiti: tali regole e procedure non devono essere meno favorevoli di quelle previste
per le analoghe situazioni giuridiche soggettive protette dal diritto interno (principio di equivalenza); secondariamente tali
procedure non devono essere tali da renderne impossibile o eccessivamente difficile la tutela (principio di effettività).
Per una ricostruzione dei confini del principio si veda RODRIGUEZ IGLESIAS, Sui limiti dell’autonomia procedimentale e
processuale degli Stati membri, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2001, 5 e ss.
Il necessario rispetto del principio dell’autonomia procedurare degli Stati membri è stato peraltro ribadito nella «seconda»
direttiva ricorsi (direttiva 2007166lCE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2007, che modifica le direttive
89/665/CEE e 92/13 CEE) in materia di appalti pubblici: nel considerando n. 34 si precisa, infatti, che «poiché l’obbiettivo della
presente direttiva, vale a dire migliorare l’efficacia delle procedure di ricorso concernenti l’aggiudicazione di appalti pubblici che
rientrano nell’ambito di applicazione delle direttive 2004/17 e 2004/18/CE, non può essere realizzato in misura sufficiente dagli
Stati membri e può dunque essere realizzato meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire in base al principio di
sussidiarietà sancito dall’art. 5 del Trattato. La presente direttiva si limita a quanto necessario per conseguire tale obbiettivo,
rispettando in particolare il principio dell’autonomia procedurale degli Stati membri, in ottemperanza al principio di
proporzionalità enunciato nello stesso articolo».
40
In tal senso si veda Corte di giustizia delle Comunità europee, 7 gennaio 2004, in causa C-201/02, Delena Wells, secondo cui
va riconosciuta «l’autonomia procedurale degli Stati membri, purché, tuttavia,, esse non siano meno favorevoli di quelle che
riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) e non rendano praticamente impossibile o eccessivamente
difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario». In precedenza, in senso conforme, Id., 16
maggio 2000, in causa C-78/98, Preston e a.
41
§ 48 della legge tedesca sul procedimento amministrativo - Ritiro di un atto amministrativo illegittimo: (1) Un atto
amministrativo illegittimo può essere ritirato, totalmente o parzialmente, con efficacia ex nunc o ex tunc, anche dopo che sia
divenuto inoppugnabile. Un atto amministrativo che abbia costituito o confermato un diritto o un vantaggio giuridicamente
rilevante può essere ritirato solo entro i limiti stabiliti dai commi 2 e 4. (2) Un atto amministrativo illegittimo, che accordi una
prestazione pecuniaria una tantum o continuativa o una prestazione in natura divisibile o che ne costituisca il presupposto, non
può essere ritirato ove il beneficiario abbia fatto affidamento sull’esistenza dell’atto amministrativo e il suo affidamento, previa
ponderazione dell’interesse pubblico al ritiro, risulti degno di tutela. L’affidamento, di regola, è degno di tutela ove il beneficiario
abbia consumato le prestazioni accordate o abbia adottato una disposizione riguardante il suo patrimonio, che non può più
annullare o solo a prezzo di svantaggi inaccettabili. Il beneficiario non si può appellare all’affidamento qualora egli: 1. abbia
ottenuto l’atto amministrativo mediante dolo, minaccia o corruzione; 2. abbia ottenuto l’atto amministrativo mediante
dichiarazioni sostanzialmente erronee od incomplete; 3. fosse a conoscenza dell’illegittimità dell’atto o non ne fosse a
conoscenza per colpa grave. Omissis. (4) Ove l’autorità venga a conoscenza di fatti, che giustificano il ritiro di un atto
amministrativo illegittimo, il ritiro è consentito solo entro un anno dal momento in cui ne ha avuto conoscenza. Questo non vale
nell’ipotesi di cui al comma 2, alinea 3, n. 1. Omissis. Per il testo integrale di tale legge, si cfr. La legge tedesca sul procedimento
amministrativo (Verwaltungsverfahrensgesetz), Trad. con testo a fronte e commento introduttivo a cura di Galetta, Milano, 2002.
95
identico obbligo deve sussistere a parità di condizioni in presenza di un atto amministrativo non
conforme al diritto comunitario» 42 .
In relazione a ciò è affermato il principio secondo cui quando «in applicazione di norme di
diritto nazionale, l’amministrazione è tenuta a ritirare una propria decisione divenuta definitiva
che risulti manifestamente incompatibile con il diritto interno, identico obbligo deve sussistere
ove la manifesta incompatibilità sia con il diritto comunitario», con la conseguenza che «l’art. 10
CE (…) fa obbligo al giudice nazionale di valutare se una regolamentazione chiaramente
incompatibile con il diritto comunitario (…) sia manifestamente illegittima ai sensi del proprio
diritto. Se tale si rivelerà il caso, il detto giudice ne dovrà trarre tutte le conseguenze di diritto
nazionale circa il ritiro» 43 .
La Corte sembra quindi operare una distinzione in tema di riesame di atti amministrativi in
contrasto con il diritto comunitario tra: a) quelli divenuti definitivi a seguito di una sentenza di
un giudice nazionale che statuisce in ultima istanza; b) e quelli inoppugnabili per decorso dei
termini decadenziali 44 .
Nel primo caso, l’esercizio dell’autotutela è subordinato alla sussistenza delle condizioni
enunciate nella citata sentenza Kühne & Heitz: la sua obbligatorietà non deriva, solo e
direttamente, da una previsione dal parte dell’ordinamento nazionale, nel quale è sufficiente sia
contemplata la possibilità del riesame, ma si impone in ragione del principio di piena efficacia
delle fonti comunitarie così come interpretate dalla Corte di giustizia.
Nel secondo caso, invece, è l’obbligatorietà del riesame prevista espressamente da una
disposizione di diritto interno, ovvero, come nel caso tedesco, da una interpretazione
giurisprudenziale, a determinare, secondo il principio di equivalenza, identico obbligo
nell’ipotesi di contrasto con il diritto comunitario.
In proposito è stato evidenziato 45 come una differente conclusione nel senso dell’esistenza
in capo alla p.a. di un obbligo di annullamento di un atto comunitariamente illegittimo non
42
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 19 settembre 2006, in cause riunite C-392/04 e C-422/04, i-21 Germany GmbH,
punto 63.
43
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 19 settembre 2006, in cause riunite C-392/04 e C-422/04, i-21 Germany GmbH,
punti 69 e 72.
44
Si cfr.no, in senso contrario sul punto, le conclusioni dell’Avvocato generale Léger alla citata sentenza Kühne & Heitz secondo
cui «il principio del primato del diritto comunitario si impone con la stessa forza all’amministrazione, sia in presenza di una
decisione dotata dell’autorità di cosa giudicata o di una decisione dotata dell’autorità di cosa definitivamente giudicata. Tale
principio del primato osta a che una amministrazione nazionale rifiuti di accogliere una domanda di un singolo fondata sul diritto
comunitario per il fatto che tale domanda sarebbe volta a rimettere in discussione una decisione amministrativa precedente che
non sarebbe stata censurata da una decisione giurisdizionale, a prescindere dal fatto che essa sia dotata dell’autorità di cosa
giudicata».
45
MARCHETTI, Sul potere di annullamento d’ufficio, la Corte ribadisce l’autonomia procedurale degli Stati membri, cit., 1138 in
cui si sottolinea anche come la Corte abbia voluto evitare di prospettare una disciplina speciale del potere di annullamento in
96
tempestivamente impugnato dalle parti - anche a fronte di una mancata previsione ad opera della
disciplina nazionale che lo negasse - avrebbe invece comportato una diversa rilevanza della
certezza del diritto a seconda che la difformità dell’atto amministrativo sia riferita ad una norma
interna o ad una comunitaria.
Di fronte a questa possibilità il giudice comunitario, nel rispetto per le tradizioni giuridiche
degli Stati, ha quindi indicato la via dell’«equivalenza procedurale»46 .
Al contempo, il principio di equivalenza finisce per assicurare comunque il concreto
prevalere dell’interesse comunitario, con la conseguenza che lo stesso istituto nazionale del
riesame risulta trasformato dalla «funzionalizzazione» rispetto al fine sovranazionale operata dal
giudice comunitario 47 .
La soluzione risulta in ultima analisi intimamente connessa e conforme ai principi enunciati
dalla giurisprudenza comunitaria con riguardo al regime di invalidità degli atti amministrativi
nazionali affetti da illegittimità comunitaria48 .
In proposito, va infatti ricordato come la Corte di giustizia, nella sentenza 29 aprile 1999,
in causa C-224/97, Ciola, abbia inizialmente affermato in via generale l’obbligo per i giudici
nazionali di disapplicare gli atti amministrativi nazionali in contrasto con il diritto comunitario,
ragione della illegittimità comunitaria dell’atto amministrativo ed abbia viceversa inteso verificare la tenuta della soluzione
nazionale rispetto ad un sistema di fonti nazionale integrato dalle norme comunitarie di riferimento.
46
Contra GRUNER, L’annullamento d’ufficio in bilico tra i principi di preminenza ed effettività del diritto comunitario, cit., 258 e
ss. secondo cui «la delicata questione affrontata dalla sentenza in esame implica un prudente contemperamento di diversi ed
opposti principi, tutti di rilevanza comunitaria: da un lato il principio di leale cooperazione ed i principi di preminenza e di
effettività del diritto comunitario sembrerebbero imporre alle autorità amministrative nazionali un vero e proprio obbligo
generalizzato di annullamento degli atti amministrativi nazionali in contrasto con il diritto comunitario; dall’altro lato il principio
della certezza del diritto ed il principio del legittimo affidamento sembrerebbero escludere in radice non soltanto un obbligo del
genere, ma ancor prima un obbligo di mero riesame degli atti amministrativi medesimi» con la conseguenza che «la soluzione la
soluzione di totale laissez-juire nei confronti dei singoli ordinamenti nazionali, adottata con la sentenza in epigrafe, conduce
necessariamente ad una applicazione non uniforme del diritto comunitario; non si concilia con i principi elaborati dalla stessa
giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di contrasto tra atti normativi nazionali e diritto comunitario; segna, tanto più
se letta alla luce della nostra giurisprudenza nazionale, una significativa battuta di arresto del processo di integrazione europea».
47
Su simili trasformazioni si vedano i rilievi di CASSESE, L’Unione europea come organizzazione pubblica composita, in Riv. It.
Dir. Pubbl. Com., 2000, 987 e ss. nonchè in La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002, 72, «l’Unione non è (solo) un piano superiore
della costruzione giuridica, che si sovrappone agli Stati. Essa li condiziona, interferendo a tutti i livelli e trasformando, quindi, in
profondità gli ordini nazionali. Ma ciò accade (…) senza che l’Unione si sostituisca agli Stati».
48
In argomento, si vedano: CHITI, La peculiarità dell’invalidità amministrativa per anticomunitarietà, in Riv. It. Dir. Pubbl.
Com., 2008, 477 e ss.; CERULLI IRELLI, Trasformazioni del sistema di tutela giurisdizionale nelle controversie di diritto pubblico
per effetto della giurisprudenza europea, ibidem, 433 e ss.; CONTALDI, Atti amministrativi contrastanti con il diritto comunitario,
in Diritto dell’Unione Europea, 2007, 747 e ss.; GRECO, Fonti comunitarie e atti amministrativi italiani, in Riv. it. dir. pubbl.
com., 1991, 31 e ss. e ID., L’incidenza del diritto comunitario sugli atti amministrativi nazionali, in Trattato di diritto
amministrativo europeo, diretto da Chiti e Greco, coordinato da Cartei e Galetta, Milano, 2007, 933 e ss., NOGUELLOU, Le régime
de l’acte administratif de mise en oeuvre du droit communautaire, in Droit administratif européen,, a cura di Auby e Duthbil de
la Rochére, Bruxelles, 2007, 669 e ss., STICCHI DAMIANI, L’atto amministrativo nell’ordinamento comunitario, Torino, 2006,
nonché le ricostruzioni di COCCO, Le liaisons dangereuses tra norme comunitarie, norme interne e atti amministrativi, in Riv. It.
Dir. Pubbl. Com., 1995, 667 e ss. e MURRA, Contrasto tra norma nazionale e norma comunitaria: nullità assoluta degli atti
amministrativi di applicazione della norma nazionale?, in Riv. Dir. Proc. Amm., 1990, 284 e ss.
Per una disamina delle varie tesi proposte dalla dottrina, CHIOLA, Considerazioni sulla legalità comunitaria dell’atto
amministrativo, Roma, 2008 e GIOVAGNOLI, L’atto amministrativo in contrasto con il diritto comunitario: i1 regime giuridico e
il problema dell’autotutela decisoria, in Giust. Amm., 2004, 93 e ss. Per un inquadramento della problematica nell’ambito del più
vasto tema dell’integrazione tra sistemi normativi, si cfr., infine, CARDONE, La qualità della normazione nella prospettiva
costituzionale europea, in www.osservatoriosullefonti.it, specif. 34 e ss.
97
in base alla considerazione per cui «non è in alcun modo possibile sostenere che la tutela
giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi efficacia
diretta e che è compito dei giudici nazionali garantire debba negarsi agli stessi singoli nel caso in
cui la controversia abbia ad oggetto la validità di un atto amministrativo. L’esistenza di una
siffatta tutela non può dipendere dalla natura della disposizione di diritto interno contrastante con
il diritto comunitario» 49 .
Successivamente, il giudice comunitario, nella sentenza 27 febbraio 2003, in causa C327/00, Santex, proprio in ossequio al principio di autonomia procedurale degli Stati membri, ma
soprattutto al principio della certezza del diritto, ha ritenuto pienamente compatibile con il diritto
comunitario la disciplina dei termini di decadenza previsti dalle normative nazionali per
l’impugnazione degli atti amministrativi affetti da invalidità comunitaria, purché siano fatti salvi
nei singoli casi concreti il principio di equivalenza ed il principio di effettività50 : ciò da cui è
stato desunto che l’invalidità degli atti amministrativi in questione debba ricondursi - non
soltanto sotto il profilo processuale ma anche sotto il profilo sostanziale - alle categorie proprie
degli ordinamenti nazionali, senza possibilità di procedere alla loro disapplicazione nei termini di
cui alla sentenza Ciola.
Tale ricostruzione ha peraltro trovato una conferma nella giurisprudenza del nostro
Consiglio di Stato che, a partire dalla sentenza n. 35 del 2003, ha espressamente riconosciuto nel
diritto comunitario, soprattutto nei casi in cui sia recepito da atti normativi nazionali, un diretto
49
Corte di giustizia delle Comunità europee, 29 aprile 1999, in causa C-224/97, Ciola, con nota di BARBIERI, Ancora sulla
disapplicazione di provvedimenti amministrativi contrastanti con il diritto comunitario, in Riv. It. dir. pubbl. com., 2000, 149 e
ss. Più in particolare, il giudice comunitario, partendo dalla disapplicabilità delle leggi nazionali contrastanti con la disciplina
comunitaria, ha ritenuto che non vi siano ragioni per riconoscere la stessa disapplicabilità in casi in cui il contrasto con la
normativa comunitaria avente efficacia diretta riguardi un provvedimento amministrativo, affermano in conclusione che «un
divieto emanato anteriormente all’adesione di uno Stato membro all’Unione europea non attraverso una norma generale ed
astratta, bensì attraverso un provvedimento amministrativo individuale e concreto divenuto definitivo, che sia in contrasto con la
libera prestazione dei servizi, va disapplicato nella valutazione della legittimità di un’ammenda irrogata per l’inosservanza di tale
divieto dopo la data di adesione».
Sui riflessi della decisione nel nostro ordinamento si veda l’approfondita analisi svolta da ANTONIOLI, Inoppugnabilità e
disapplicabilità degli atti amministrativi, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1999, 1362 e ss. Si cfr., inoltre, STIGLIANI, Atti
amministrativi nazionali e norme comunitarie, ibidem, 1413 e ss.
La tesi della disapplicazione ha trovato alcuni riscontri nella giurisprudenza dei giudici amministrativi di primo grado (si vedano,
ad esempio, T.a.r., Lombardia, 31 maggio 2000, n. 3831, Id., ordinanza 31 agosto 2000, n. 234 e, da ultimo, T.a.r., Sardegna, 27
marzo 2007, n. 549 che, nel respingere un ricorso disapplicando un precedente atto dell’Amministrazione non impugnato, la cui
applicazione avrebbe comportato l’accoglimento del ricorso - cd. eccezione disapplicatoria - ha precisato che l’atto «sul quale il
ricorrente fonda la propria pretesa può esplicare i propri effetti solo laddove sia conforme al diritto comunitario, non potendo, in
caso contrario, costituire fonte di legittima aspettativa del privato» ma, contra, recentemente, Cons. Stato, V sez., 8 settembre
2008, n. 4263, che ha altresì precisato come un provvedimento amministrativo in contrasto con il diritto comunitario non possa
essere disapplicato ma solo rimosso nell’esercizio dei poteri di autotutela di cui l’amministrazione dispone) e nella riflessione di
una autorevole dottrina minoritaria (CHITI, Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, 473 e ss. contra MORBIDELLI, La
disapplicazione dei regolamenti nella giurisdizione amministrativa, in Dir. Proc. Amm., 1997, 704 e ss.)
50
Corte di giustizia delle Comunità europee, 27 febbraio 2003, in causa C-327/00, Santex, con nota di LEONE, Disapplicabilità
dell’atto amministrativo in contrasto con il diritto comunitario? Finalmente una parola chiara da parte della Corte di giustizia,
in Riv. It. dir. pubbl. com., 2003, 888 e ss. Si cfr., inoltre, in senso critico CHITI, L’invalidità degli atti amministrativi per
violazione di disposizioni comunitarie ed il relativo regime processuale, in Dir. Amm., 2003, 687 e ss.
98
parametro di validità degli atti amministrativi nazionali, con la conseguenza che ogni sua
violazione implica un vizio di mera illegittimità-annullabilità: muovendo dalla ricostruzione del
rapporto tra ordinamento nazione e comunitario in termini di integrazione, il giudice
amministrativo ha infatti ribadito come costituisca «principio acquisito che la violazione di una
disposizione comunitaria implica un vizio di illegittimità-annullabilità dell’atto amministrativo
interno con essa contrastante, mentre la diversa forma patologica della nullità (della inesistenza)
risulta configurabile nella sola ipotesi in cui il provvedimento nazionale sia stato adottato sulla
base di una norma interna (attributiva di potere) incompatibile (e, quindi, disapplicabile) con il
diritto comunitario. Pertanto, al di fuori del caso da ultimo descritto, l’inosservanza di una
disposizione direttamente applicabile comporta l’annullabilità del provvedimento viziato,
nonché, sul piano processuale, l’onere della sua impugnazione dinanzi al giudice amministrativo
entro il temine di decadenza, pena la sua inoppugnabilità» 51 .
In conclusione, le argomentazioni proposte nella sentenza i-21 confermano il carattere
cedevole del principio di certezza del diritto, ancorché siano diversi i presupposti in presenza dei
quali è ammesso il riesame dell’atto amministrativo definitivo.
51
Così, appunto, Cons. Stato, Sez. V., 10 gennaio 2003, n. 35, in Urb. e appalti, 2003, 422 e ss. con nota di GALLO,
Impugnazione, disapplicazione ed integrazione del bando di gara nei contratti della pubblica amministrazione: una pronuncia di
assestamento).
Successivamente, in adesione all’orientamento orientamento maggioritario, secondo cui il vizio che caratterizza l’atto
amministrativo conforme ad una norma nazionale a propria volta in contrasto con il diritto comunitario sia quello tipico
dell’annullabilità per violazione di legge, in quanto tale deducibile in sede giurisdizionale nell’ordinario termine di decadenza, si
veda Cons. Stato, Sez. IV, 21 febbraio 2005, n. 579, con nota di VALAGUZZA, Sulla impossibilità di disapplicare provvedimenti
amministrativi per contrasto col diritto europeo o incompatibilità comunitaria tra violazione di legge ed eccesso di potere, in
Dir. Proc. Amm., 2005, 1107 e ss., secondo cui «la violazione di una disposizione comunitaria implica un vizio di illegittimitàannullabilità dell’atto amministrativo con essa contrastante mentre la nullità (o l’inesistenza) è configurabile nella sola ipotesi in
cui il provvedimento nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna (attributiva del potere) incompatibile con il
diritto comunitario (e, quindi, disapplicabile); pertanto, al di fuori di quest’ultimo caso, l’inosservanza di una disposizione
comunitaria direttamente applicabile comporta l’annullabilità del provvedimento viziato e, sul piano processuale, l’onere della
sua impugnazione dinanzi al giudice amministrativo entro il prescritto termine di decadenza, pena la sua inoppugnabilità». Più
recentemente nello stesso senso, Cons. Stato, VI Sez., 22 novembre 2006, n. 6831 e Id., Sez. VI, 23 luglio 2008, n. 3621.
Un’eccezione prospettata nell’ambito della riferita tesi ricostruttiva è rappresentata dalle ipotesi di “violazione indiretta”, ossia
dagli atti amministrativi nazionali conformi ad una norma interna che fonda il potere di cui essi sono espressione, ma che è a sua
volta in contrasto con il diritto comunitario: in tale circostanza, che non concerne propriamente un contrasto diretto tra atti
amministrativi nazionali e diritto comunitario, si ritiene pacificamente che gli atti amministrativi in questione siano nulli per
carenza di potere. Più specificatamente sul punto si veda CARANTA, Inesistenza (o nullità) del provvedimento amministrativo
adottato in forza di norma nazionale contrastante con il diritto comunitario, in Giur. It., 1989, 149 e ss. Occorre in ogni caso
precisare come, perché il provvedimento interno sia affetto da nullità per carenza di potere, è necessario che la norma interna in
contrasto con il diritto comunitario da disapplicare sia l’unica a radicare il potere amministrativo (si veda, ad esempio, il caso di
una legge che preveda restrizioni quantitative all’importazione, o misure ad effetti equivalenti, da adottare con successivi
provvedimenti amministrativi). Risulta tuttavia assai più frequente che la legge interna, nella parte incompatibile, si limiti a
prevedere la disciplina del potere amministrativo senza radicarlo: in tal caso, trattandosi di disposizioni sul modo di esercizio del
potere, la disapplicazione non si ripercuote in termini di carenza di potere-nullità sull’atto amministrativo, ma solo in termini di
illegittimità-annullabilità.
99
4. La sussistenza dell’obbligo di riesame se il ricorrente non ha in precedenza fatto
valere la violazione del diritto comunitario − Occorre a questo punto soffermarsi su un ulteriore
aspetto evidenziato dalla Corte di giustizia con riferimento alla problematica affermazione
dell’obbligo di riesame dell’atto amministrativo “anticomunitario”: il rapporto tra vincolatività di
tale annullamento e onere di allegazione del vizio di illegittimità comunitaria.
La Corte di giustizia è infatti tornata a esprimersi sui limiti entro i quali una sentenza
interpretativa adottata in sede di rinvio pregiudiziale possa incidere su un provvedimento
amministrativo, divenuto definitivo a seguito di una decisione passata in giudicato del giudice
nazionale, richiedendone il riesame, offrendo alcune precisazioni sulle condizioni enunciate nella
sentenza Kühne & Heitz. Si tratta della sentenza 12 febbraio 2008, in causa C-2/06 52 , Kempter,
con cui il giudice comunitario si è pronunciato su una domanda pregiudiziale proposta
nell’ambito di una controversia tra una società tedesca, di esportazione di bovini in Paesi
extracomunitari, la Willy Kempter KG, e la dogana centrale, Hauptzollamt,
a proposito
dell’applicazione degli articoli della legge tedesca sul procedimento amministrativo
(Verwaltungsverfahrensgesetz) relativi al riesame degli atti amministrativi definitivi.
In particolare, la società aveva ottenuto la restituzione alle esportazioni prevista dal
regolamento comunitario n. 3665/87. Successivamente però la Direzione regionale delle finanze
di Friburgo aveva accertato che alcuni animali erano morti ed aveva quindi richiesto all’azienda
la restituzione dei rimborsi percepiti. Avverso la richiesta di rimborso la società aveva proposto
un ricorso, senza richiamare il diritto comunitario. Tale ricorso era stato respinto e la decisone di
rimborso era divenuta definitiva il 10 agosto 1995. Tuttavia, essendo sul punto intervenuta la
sentenza della Corte di giustizia del 14 dicembre 2000, in causa C-110/99, Emsland-Stärke, con
la quale era stato precisato che il rimborso poteva essere opposto al beneficiario solo prima della
concessione delle somme, la società aveva chiesto all’Amministrazione finanziaria il riesame del
provvedimento interno divenuto definitivo.
Con decisione 5 novembre 2002, l’Amministrazione finanziaria aveva respinto la richiesta
della Kempter, sottolineando come la modifica della giurisprudenza intervenuta nella fattispecie
non comportasse un cambiamento della situazione giuridica tale da giustificare, di per sé, la
riapertura del procedimento ai sensi della legge sul procedimento amministrativo.
52
La decisione è pubblicata sulla Riv. Dir. Internaz., 2008, 524 e ss. Per un commento si vedano si vedano, specificatamente,
CORTESE, Il riesame delle decisioni amministrative definitive tra obbligo di cooperazione e certezza del diritto, in Riv. It. Dir.
Pubbl. Com., 2008, 1527 e ss., LOMBARDO, Il principio di cooperazione e l’obbligo di riesame di una decisione amministrativa
definitiva in una recente pronuncia della Corte di giustizia, in www.europeanrights.eu, ROMITO, Il giudicato amministrativo
contrario al diritto comunitario, la certezza del diritto e il principio di leale cooperazione, in www.sudeineuropa.net nonché
CHITI, La peculiarità dell’invalidità amministrativa per anticomunitarietà, cit., e CERULLI IRELLI, Trasformazioni del sistema di
tutela giurisdizionale nelle controversie di diritto pubblico per effetto della giurisprudenza europea, cit.
100
La società aveva quindi adito il giudice tributario, sostenendo che le condizioni che
consentono il riesame di una decisione amministrativa definitiva, enunciate dalla Corte nella
sentenza Kühne & Heitz, erano soddisfatte e che, pertanto, la decisione di recupero dello
Hauptzollamt doveva essere ritirata.
Il giudice tedesco, pur riconoscendo come l’Amministrazione finanziaria disponesse, ai
sensi dell’art. 48 della legge sul procedimento amministrativo, del potere di ritornare sulla
decisione di rimborso e come tale decisione fosse divenuta definitiva a seguito di una pronuncia
giurisdizionale di un giudice nazionale che statuisce in ultima istanza, aveva comunque ritenuto
opportuno adire la Corte di giustizia per ottenere alcune precisazioni in merito alla terza e quarta
condizione del rinvio.
Più precisamente, con riferimento alla terza condizione, in virtù della quale la sentenza
pronunciata da un giudice nazionale che statuisce in ultima istanza deve, alla luce di una
sopravvenuta pronuncia della Corte di giustizia, essere fondata su un’interpretazione errata del
diritto comunitario adottata senza che la Corte sia stata adita in via pregiudiziale, il giudice di
rinvio ha sottolineato come, laddove tale condizione dovesse essere interpretata nel senso che la
parte ricorrente deve aver impugnato l’atto amministrativo in sede giudiziale basandosi sul
diritto comunitario ed il giudice nazionale deve averla respinta, senza adire la Corte in via
pregiudiziale, un ricorso analogo a quello formulato dalla Kempter - che non aveva in
precedenza invocato un’interpretazione errata dell’art. 5, n. 1, del regolamento n. 3665/87 risulterebbe comunque infondato. Nell’ordinanza di rinvio il giudice tributario ha pertanto
sostenuto la tesi secondo cui non dovrebbe essere fatta pesare sul ricorrente leso la circostanza
che al giudice nazionale sia sfuggito di rilevare una questione di diritto comunitario.
Con riferimento alla quarta condizione posta dalla Corte nella citata sentenza Kühne &
Heitz, secondo cui l’interessato deve essersi rivolto all’organo amministrativo immediatamente
dopo essere stato informato della giurisprudenza della Corte, il giudice di rinvio ha affermato
come il termine per richiedere la revisione di una decisione amministrativa definitiva dovrebbe
essere legato alla conoscenza effettiva, da parte dell’interessato, della giurisprudenza della Corte,
prospettando pertanto un’interpretazione dell’avverbio «immediatamente» che gli attribuisca il
significato di «subito» cioè «senza colpevole ritardo». In quest’ottica, secondo il giudice di
rinvio, sarebbe opportuno ritenere che una richiesta di riesame presentata tre mesi dopo l’essere
stati informati dell’interpretazione della Corte soddisfi la quarta condizione (la Kempter aveva
infatti chiesto allo Hauptzollamt il ritiro della decisione di recupero con lettera 16 settembre
101
2002, vale a dire 19 mesi dopo la citata sentenza Emsland-Stärke, pronunciata dalla Corte il 14
dicembre 2000, ma solo 3 mesi dopo esserne venuta a conoscenza).
Il giudice del rinvio si è quindi domandato, in termini ancora più generali, se la possibilità
di far correggere una decisione amministrativa, efficace ma in contrasto con il diritto
comunitario, sia limitata nel tempo per motivi di certezza del diritto o se, al contrario, non
conosca vincoli temporali.
La Corte di giustizia, nel rispondere ai quesiti proposti, ha precisato che, tenuto conto del
carattere non costitutivo delle sentenze rese in sede di rinvio pregiudiziale «bensì puramente
dichiarativo, con la conseguenza che gli effetti risalgono alla data di entrata in vigore della
norma interpretata», non è possibile imporre ai privati interessati condizioni restrittive per
l’applicazione dell’interpretazione del Trattato fornita dal giudice comunitario.
Le autorità amministrative e giurisdizionali nazionali sono quindi tenute ad applicare i
principi enunciati nelle sentenze interpretative «anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima
del momento in cui è sopravvenuta la sentenza in cui la Corte si pronuncia sulla richiesta di
interpretazione» e il ricorrente interessato può avvalersi del dispositivo della pronuncia del
giudice comunitario per chiedere il riesame dell’atto amministrativo definitivo che lo riguarda,
anche quando non abbia richiamato l’applicazione del diritto comunitario nel procedimento
interno. Ma in ogni caso, rientra nell’autonomia procedurale degli Stati membri, la potestà di
fissare un termine di prescrizione per il deposito dell’istanza, nel rispetto dei principi di
equivalenza e di effettività.
La decisione riprende quindi le argomentazioni della sentenza Kühne, ribadendo che la
violazione dell’obbligo di adire la Corte di giustizia in via pregiudiziale costituisce il
presupposto della sussistenza di un obbligo di riesame del provvedimento amministrativo
“anticomunitario” e, al contempo, chiarisce come tale omissione non possa essere correlata al
mancato rispetto dell’onere di allegazione delle parti, giacchè il rinvio ex art. 234 T.C.E. è uno
strumento di cooperazione diretta tra i soli giudici.
Tale argomentazione coinvolge il delicato problema di conciliare la necessaria sussistenza
di un onere di rilievo d’ufficio di una questione interpretativa del diritto comunitario con il
rispetto del principio dispositivo, cui i diritti nazionali appaiono tutti convergere, in particolare
102
con riferimento all’onere di specifica articolazione dei motivi di illegittimità, previsto a pena di
decadenza, nei giudizi impugnatori 53 .
Al riguardo, l’Avvocato Generale ha sottolineato come il riconoscimento di un obbligo di
riesame «non significa che un giudice nazionale le cui decisioni non possono essere oggetto di
un ricorso giurisdizionale secondo il diritto interno sarebbe, in virtù del diritto comunitario,
obbligato a rilevare ex officio un motivo fondato su tale diritto. Essa comporta semplicemente
che, in una situazione in cui le parti nella causa principale non hanno invocato il diritto
comunitario, se tale giudice dispone, in virtù del proprio diritto nazionale, del potere di
esaminare ex officio la legittimità di un atto amministrativo con riferimento al diritto
comunitario e ritiene che l’applicazione del detto diritto sia necessaria per decidere, è tenuto, in
linea di principio, a investire la Corte di una domanda di interpretazione in via pregiudiziale»54 .
La Corte approfondisce la riflessione sul punto e, richiamando due precedenti conformi 55 ,
precisa come «sebbene il diritto comunitario non imponga ai giudici nazionali di sollevare
d’ufficio un motivo vertente sulla violazione di disposizioni comunitarie se l’esame di tale
motivo li obbligherebbe ad esorbitare dai limiti della controversia come è stata circoscritta dalle
parti, tali giudici sono tenuti a sollevare d’ufficio i motivi di diritto relativi ad una norma
comunitaria vincolante quando, in virtù del diritto nazionale, essi hanno l’obbligo o la facoltà di
farlo con riferimento ad una norma interna di natura vincolante» 56 .
La valorizzazione, anche in questo caso 57 , del principio dell’«equivalenza procedurale»
permette di preservare l’autonomia degli Stati membri nella definizione dell’ambito della
cognizione del giudice e del conseguente vizio di ultrapetizione.
Il potere officioso di rilievo del vizio di legittimità comunitaria è soggetto agli stessi limiti
cui è soggetto il potere di rilievo d’ufficio dei vizi di legittimità, in forza del principio dello iura
53
Sul punto si veda più approfonditamente CORTESE, Il riesame delle decisioni amministrative definitive tra obbligo di
cooperazione e certezza del diritto, cit., 1531.
54
Conclusioni dell’Avvocato generale Yves Bot, 24 aprile 2007, in causa C-2/06 Kempter, punto 106.
55
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 14 dicembre 1995, in cause riunite C-430/93 e C-431/93, secondo cui «il principio
di diritto nazionale secondo il quale l'iniziativa di un processo civile spetta alle parti, e il giudice può agire d’ufficio solo in casi
eccezionali in cui il pubblico interesse esige il suo impulso, attua concezioni condivise dalla maggior parte degli Stati membri
quanto ai rapporti fra lo Stato e il singolo, tutela i diritti della difesa e garantirce il regolare svolgimento del procedimento, in
particolare preservandolo dai ritardi dovuti alla valutazione dei motivi nuovi» e Corte di giustizia delle Comunità Europee, 24
ottobre 1996, in causa C-72/95, nella quale è ancora più specificatamente evidenziato come «quando, in forza del diritto
nazionalenazionale, i giudici devono sollevare d’ufficio i motivi di diritto basati su una norma interna di natura vincolante che
non siano stati addotti dalle parti, siffatto obbligo si impone anche qualora si tratti di norme comunitarie vincolanti» e come la
stessa soluzione «vale se il diritto nazionale conferisce al giudice la facoltà di applicare d'ufficio la norma di diritto vincolante»
poiché «è compito dei giudici nazionali, secondo il principio di collaborazione (...), garantire la tutela giurisdizionale spettante ai
singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto». Si cfr. in argomento i commenti di CHITI, I1 potere del
giudice nazionale di sollevare d'uffìcio le questioni di diritto comunitario, in Giorn. Dir. Amm., 1997, 633 e ss., nonché
CARANTA, Impulso di parte e iniziativa del giudice nell'applicazione del diritto comunitario, in Giur. It., 1996, 1289 e ss.
56
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 12 febbraio 2008, in causa C-2/06 Kempter, punto 45.
57
Si cfr. supra par. 3.
103
novit curia, previsto dal diritto interno. In assenza dei richiamati limiti si giungerebbe a
riconoscere, in ragione del obbligo di disapplicazione del diritto interno in contrasto con il diritto
comunitario, un inammissibile superamento del principio dispositivo 58 .
La soluzione in conclusione è frutto di un bilanciamento tra il primato del diritto
comunitario ed il principio di certezza del diritto: infatti, se da una parte, gli Stati membri sono
tenuti, in forza dell’art. 10 T.C.E., ad adottare misure di carattere generale idonee ad assicurare
l’esecuzione degli obblighi derivanti dal Trattato e dagli atti di diritto comunitario derivato,
incluso il riesame degli atti amministrativi definitivi, dall’altra, il principio di certezza del diritto
trova una sua forma di garanzia nel riconoscimento del principio dell’autonomia procedurale che
consente agli Stati la fissazione di termini di ricorso ragionevoli per far valere, a pena di
decadenza, una sentenza pregiudiziale della Corte di giustizia.
5. La “presunta” inesistenza dei presupposti di un obbligo di autotutela
nell’ordinamento interno − Dopo aver individuato gli orientamenti della Corte di giustizia in
tema di intangibilità del giudicato e di obbligo di riesame degli atti amministrativi
“anticomunitari”, occorre esaminarne i riflessi sull’ordinamento nazionale. Si tratta, più in
particolare, di valutare la compatibilità della ricostruzione dell’esercizio del potere di
annullamento d’ufficio per il ripristino della legalità comunitaria in termini di “doverosità” con
la tradizionale configurazione dell’istituto dell’autotutela.
Come è noto, nel nostro ordinamento, il riesame degli atti amministrativi in autotutela 59 si
esplica nelle forme della revoca e dell’annullamento d’ufficio, oggi legislativamente disciplinate
dalla legge sul procedimento 60 .
58
In tal senso si veda CORTESE, Il riesame delle decisioni amministrative definitive tra obbligo di cooperazione e certezza del
diritto, cit., 1535 e ss. il quale, nell’ipotizzare l’ambito applicativo del potere officioso del giudice, anche alla luce della
qualificazione del vizio cui è affetto un atto amministrativo “anticomunitario” (nullità-disapplicazione-annullabilità), ne ha
sottolineato la marginalità affermando come «ciò si verificherebbe nella sola ipotesi in cui si possa affermare, anche
nell'ordinamento processuale amministrativo italiano, che il principio dispositivo sia rispettato laddove il ricorrente, nell’atto
introduttivo del giudizio e nella rappresentazione dei vizi di impugnazione, non prenda ad esplicito riferimento il parametro
comunitario ma illustri comunque la sostanza dell’illegittimità commessa come astrattamente riconducibile al diritto comunitario
concretamente applicabile».
59
Per una definizione di carattere generale dell’autotutela ed una ricostruzione sistematica delle varie forme di manifestazione di
questo genere di poteri amministrativi (autotutela decisoria, autotutela esecutiva, autotutela su atti o provvedimenti) si veda
BENVENUTI, voce Autotutela (dir. amm.,), in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, 539 e ss., il quale definiva l’autotutela amministrativa
come «quella parte di attività amministrativa con la quale la stessa pubblica amministrazione provvede a risolvere i conflitti,
potenziali o attuali, insorgenti con gli altri soggetti, in relazione ai suoi provvedimenti o alle sue pretese», includendovi, in una
visione unitaria, oltre alle forme di autotutela decisoria ed esecutiva, anche i controlli e le sanzioni amministrative.
In senso contrario, GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1988 il quale limitava il campo dell’autotutela alle sole ipotesi di
esecuzione forzata amministrativa, ritenendo che «l’autotutela è il nome di una potestà a se stante, che è attribuita
all’amministrazione per realizzare l’interesse pubblico così come reso concreto nel provvedimento, e che si esercita per atto
volontario, se e in quanto l’amministrazione ritenga di doverla esercitare;l’amministrazione, in altre parole, sapendo che il
104
In entrambe le ipotesi si tratta di una facoltà riconosciuta all’Amministrazione, a fronte
della non esauribilità dei poteri attribuiti: la dottrina prevalente ha così sottolineato come
l’autotutela concreti il principale privilegio rimasto all’amministrazione, dopo il passaggio dallo
provvedimento imperativo ha comunque prodotto il suo effetto, può fermarsi qui attendendo gli eventi, ma può decidere di
andare oltre, esercitando la potestà di autotutela e ponendo il provvedimento in esecuzione».
Si vedano inoltre ALESSI, La revoca degli atti amministrativi, Milano, 1936, ID., voce Revoca (diritto amministrativo), in Nss.
Dig. It., Torino, 1968, CONTIERI, Il riesame del provvedimento amministrativo tra annullamento e revoca, Roma, 1991,
CORAGGIO, voce Annullamento d’ufficio degli atti amministrativi, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988 e ID., voce Autotutela (dir.
amm.), in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1991, CORPACI, voce Ritiro e rimozione del provvedimento amministrativo, in Dig. Disc.
Pubbl., XII, Torino, 1996, CORSO, voce Autotutela (dir. amm.), in Dizionario di Diritto Pubblico, a cura di Cassese, Milano,
2006, D’ALÌ, Osservazioni sull’annullamento d’ufficio degli atti amministrativi, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1966, 527 e ss., ID.,
Annullamento d’ufficio, analogo procedimento e principi costituzionali, in Foro Amm., 1966, 152 e ss., GHETTI, Annullamento
d’ufficio dell’atto amministrativo, in Dig. Disc. Pubbl., 1987, 267 e ss., IMMORDINO, Revoca degli atti amministrativi e tutela
dell’affidamento, Torino, 1999, IMMORDINO, CAVALLARO, voce Revoca del provvedimento amministrativo, in Dizionario di
Diritto Pubblico, a cura di Cassese, Milano, 2006, RESTA, La revoca degli atti amministrativi, Milano, 1936, PAPARELLA, voce
Revoca (dir. amm.), in Enc. Dir., Milano, 1989, SALVATORE, voce Revoca degli atti, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1991,
STAMMATI, La revoca degli atti amministrativi. Struttura e limiti: linee dell’evoluzione, con una parentesi sull’annullamento
d’ufficio, in Studi in onore di V. Bachelet, Milano, 1987.
Per inquadramento della tematica, con particolare riguardo al fondamento giuridico di tale potere della p.a., si vedano: con
riferimento all’ordinamento italiano, RAGNISCO, Revoca ed annullamento di atti amministrativi, in Foro It., 1907, III, 303 e ss.;
ROMANELLI, L’annullamento degli atti amministrativi, Padova, 1939; CODACCI PISANELLI, L’annullamento degli atti
amministrativi, Milano, 1939; MIELE, In tema di annullamento d’uffıcio degli atti amministrativi illegittimi, in Giur. compl. Cass.
civ., XXVI, 1947, 1132 e ss.; BALDI PAPINI, L’annullamento d’uffıcio degli atti amministrativi invalidi, Firenze, 1956; SANTI
ROMANO, voce Annullamento (Teoria del) nel diritto amministrativo, in Nss. Dig. It., Torino, 1957 e ID., Osservazioni sulla
invalidità successiva degli atti amministrativi, in Scritti in onore di G. Vacchelli, Milano, 1938; CANNADA BARTOLI, voce
Annullabilità e annullamento, in Enc. Dir., II, Milano, 1958, 484 e ss.; MODUGNO, voce Annullabilità ed annullamento, I),
Diritto Pubblico, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988; nonché, più recentemente, BASSI, Principio di legalità e poteri
amministrativi impliciti, Milano, 2001, 362 e ss.; LIGUGNANA, Profili evolutivi dell’autotutela amministrativa, Padova 2004,
MATTARELLA, Il principio di legalità e l’autotutela amministrativa, Relazione al 53° Convegno di studi amministrativi, su “Il
principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia” – Varenna, Villa Monastero 20-22 settembre 2007, in www.astridonline.it; RAGAZZO, L’autotutela amministrativa, Milano, 2006, SINISI, Il «potere» di revoca, in Dir. Amm., 2007, 625 e ss.;
TRIMARCHI BANFI, L'annullamento d'ufficio e l'affidamento del cittadino, in Dir. Amm., 2005, 843 e ss.; con riferimento, infine, al
sistema nazionale, in comparazione con quello francese e tedesco, MERUSI, La problematica dell’annullamento d’uffıcio, in
Buona fede e affıdamento nel diritto pubblico. Dagli anni trenta all’alternanza, Milano, 2001, 92 e ss.; inoltre, più in generale,
con riferimento ai diversi Stati membri, SCHWARZE, European administrative law, Londra, 1992, 258 e ss.
60
Si tratta degli artt. 21-quinquies e 21-nonies che, codificando gli orientamenti giurisprudenziali in materia, prevedono
rispettivamente che «per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di
nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato
da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del
provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente
interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo. Le controversie in materia di determinazione e
corresponsione dell’indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo» e «il provvedimento
amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile,
sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole». Si cfr.no sul punto, in particolare, GALETTA, I
procedimenti di riesame, in La disciplina generale dell’azione amministrativa, a cura di Cerulli Irelli, Napoli, 2006, 393 e ss., DI
FIORE, Il riesame del provvedimento, in La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la riforma della legge sul
procedimento, a cura di Clemente di S. Luca, Torino, 2005, 229 e ss. e TARULLO, Il riesercizio del potere amministrativo nella l.
n. 15 del 2005: profili problematici, ibidem, 237 e ss.
Sull’esercizio dell’autotutela come potere riconducibile, prima dell’intervento del legislatore, nella consuetudine del diritto
amministrativo italiano, si vedano RAGNISCO, Revoca ed annullamento di atti amministrativi, cit., 303; ROMANELLI,
L’annullamento degli atti amministrativi, cit.; CODACCI PISANELLI, L’annullamento degli atti amministrativi, cit.; MIELE, In tema
di annullamento d’uffıcio degli atti amministrativi illegittimi, cit.; BENVENUTI, Appunti di diritto amministrativo, Padova, 1955 e
ID., voce Autotutela (dir. amm.), cit.; BALDI PAPINI, L’annullamento d’uffıcio degli atti amministrativi invalidi, cit.; SANTI
ROMANO, voce Annullamento (Teoria del) nel diritto amministrativo, cit.; CANNADA BARTOLI, Annullabilità e annullamento, cit.;
GIANNINI, L’attività amministrativa, Roma, 1962; NIGRO, Decisione amministrativa, in Enc. Dir., XI, Milano, 1962, 819 e ss.;
SANDULLI, Funzioni pubbliche neutrali e giurisdizione, in Riv. Dir. Proc., 1964, 200 e ss.; CASSESE, I beni pubblici. Circolazione
e tutela, Milano, 1969; CORAGGIO, voce Autotutela (dir. amm.), cit.
105
Stato di polizia assolutistico allo Stato di diritto ottocentesco, ed esprima un fenomeno di
attrazione di funzioni materialmente giurisdizionali da parte della pubblica amministrazione.
Alla luce della genesi e degli scopi dell’autotutela, finalizzata a consentire, nella
mutevolezza delle circostanze concrete, il perseguimento di un interesse pubblico specifico,
l’esercizio dei poteri di riesame degli atti è considerato espressione di un’attività discrezionale
dell’amministrazione 61 , limitata, appunto, dall’esigenza di perseguire l’interesse pubblico
sussistente nel caso di specie.
Ciò risulta ancora più evidente con riferimento all’annullamento d’ufficio 62 che
presuppone, in aggiunta all’accertamento dell’invalidità dell’atto per la sussistenza di uno dei
vizi di legittimità, un interesse pubblico concreto ed attuale, diverso da quello originario, che
prevalga sull’interesse del destinatario alla conservazione dell’atto63 . Ed in proposito, la
giurisprudenza amministrativa è ormai concorde nel ritenere necessaria, a giustificazione di un
annullamento d’ufficio, la presenza di un interesse pubblico specifico, ulteriore rispetto al mero
ripristino della legalità violata 64 .
61
Il carattere discrezionale è peraltro una qualità riconosciuta in tutti gli ordinamenti con riferimento ai diversi istituti di riesame
degli atti. Per un’approfondita analisi comparata, si veda CASSATELLA, L’annullamento d’ufficio, Modelli in comparazione, in
Diritto e Formazione, 2004, 66 e ss. Si cfr. MATTARELLA, Provvedimento, in Trattato di diritto amministrativo, Parte generale, a
cura di Cassese, Milano, ried. 2003.
62
Con particolare riferimento all’annullamento d’ufficio si vedano, più recentemente, i contributi di COEN, Annullamento
d’uffıcio, in Studium iuris, 2003, 387 e ss., GRASSANO, L’annullamento di un atto amministrativo illegittimo. Da attività
discrezionale ad attività imposta, in Nuova Rass. leg. dottr. giur., 2002, 385 e ss. e MERUSI, La problematica dell’annullamento
d’uffıcio, in Buone fede e affıdamento nel diritto pubblico, cit., 92 e ss.
63
Sul problema dell’individuazione dell’interesse pubblico specifico soddisfatto dall’atto di autotutela si veda più recentemente
VALAGUZZA, La concretizzazione dell’interesse pubblico nella recente giurisprudenza amministrativa in tema di annullamento
d’ufficio, in Dir. Proc. Amm., 2004, 1245 e ss.
64
Si cfr.no, ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6113; Id., Sez. IV, 7 novembre 2002, n. 61; Id, Sez. IV, 12
luglio 2001, n. 3900; Id., Ad. Plen., 14 dicembre 2001, n. 9; Id., Sez. V, 24 febbraio 1995, n. 243; T.a.r. Lombardia, Milano, Sez.
I, 15 novembre 2002, n. 4425; T.a.r. Liguria, Sez. II, 29 agosto 2001, n. 899; T.a.r. Piemonte, Sez, II, 13 novembre 1999, n. 556.
Con particolare riferimento all’art. 21-nonies, si veda più recentemente T.a.r. Lazio, Sez. II bis, 20 giugno 2008, n. 6978 in cui si
precisa che, non essendo specificate nella citata disposizione le ragioni di pubblico interesse sottese all’esercizio del potere di
autotutela, «si richiede, quindi, alla p.a. una comparazione tra l’interesse pubblico e gli interessi dei destinatari e dei
controinteressati. Ciò significa che l’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio è il risultato di una scelta discrezionale
dell’amministrazione operata in assenza di precisi parametri normativi, poiché il legislatore si è astenuto dall'identificare le
situazioni che costituiscono un interesse pubblico rilevante ai fini della rimozione dell’atto. Tuttavia, un limite all’esercizio del
potere di annullamento consiste nella certezza delle situazioni giuridiche originate dal provvedimento annullabile in via di
autotutela. Infatti, se il provvedimento ha prodotto effetti favorevoli ed è trascorso un apprezzabile lasso di tempo, sufficiente ad
ingenerare un legittimo affidamento nell’interessato, si deve ritenere che la stabilità della situazione venutasi a creare costituisca
un limite all’autoannullamento. Le svolte considerazioni evidentemente si pongono in contrasto con l’aspirazione alla costante
legittimità dell'azione amministrativa, ma le esigenze di certezza del diritto e di affidamento ingenerato dalla stessa p.a. attraverso
l’emanazione dell’atto illegittimo ed l’omesso tempestivo ritiro, inducono a preferire una soluzione che contemperi la necessità
del ripristino della legittimità e gli altri interessi concorrenti. Infatti, come costantemente affermato dalla giurisprudenza, la p.a.
che agisce in via di autotutela deve evidenziare la concretezza e l’attualità del pubblico interesse che sostiene la scelta di
annullare il provvedimento anche a distanza di tempo dalla sua adozione (Cfr. Cons. St., sez. IV, 7.11.02, n. 6113; TAR Lazio,
Latina, 12.1.01, n. 81). Circa la valutazione del lasso di tempo intercorrente tra l’emanazione dell’atto da ritirare ed il
provvedimento di annullamento assunto in via di autotutela, il potere di esercitare l’autotutela non soffre limiti temporali, ma il
decorso del tempo può consolidare situazioni di fatto sorrette dall’apparenza di uno stato di diritto basato sull’atto da ritirare. In
sostanza, rileva ai fini della decisione sull’annullamento l’affidamento ingenerato dall’atto nell’interessato in merito alla
legittimità del provvedimento».
106
Con riguardo all’annullamento d’ufficio si tratta peraltro dell’unico presupposto-limite,
attesa la non emersione, dall’atto oggetto di riesame, di alcun diritto soggettivo 65 .
La doverosità dell’esercizio del potere di autotutela è altresì esclusa nell’ipotesi di atto
amministrativo divenuto definitivo per mancata impugnazione. In questa circostanza è infatti
consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, a fronte di provvedimenti autoritativi
divenuti inoppugnabili per scadenza dei termini, non sussiste nessun obbligo per l’autorità
emanante pronunciare sull’istanza di riesame avanzata dall’interessato: non essendo
l’annullamento un atto dovuto, non può conseguentemente configurarsi un rifiuto impugnabile in
relazione ad una istanza del privato, che non avendo, a suo tempo, impugnato in sede
giurisdizionale o amministrativa un atto lesivo divenuto inoppugnabile per decorso del termine
intenda raggiungere il medesimo obiettivo della eliminazione dell’atto, presentando istanza
diretta a lasciar promuovere il potere di annullamento da parte dell’Amministrazione 66 .
Viceversa, secondo quanto emerso in precedenza, il diritto comunitario sembrerebbe di
imporre il riconoscimento del carattere doveroso dell’esercizio del potere di autotutela ossia la
necessaria, e sostanzialmente vincolata, attivazione di tale procedimento, seppur “condizionata”
alla sussistenza degli elementi individuati nella sentenza Kühne, primo fra tutti la presenza di una
disposizione nazionale che imponga in talune ipotesi l’esercizio del potere di riesame.
In caso di rilevata violazione del diritto comunitario, originaria, sopravvenuta o comunque
emersa a seguito dell’intervento nomofilattico del giudice comunitario, la Corte di giustizia è
infatti giunta ad operare l’equazione «ripristino della legalità comunitaria violata-doverosità del
ritiro dell’atto da parte dell’amministrazione nazionale».
Sull’esistenza, nel nostro ordinamento, di un obbligo in capo all’amministrazione di
procedere all’annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo anticomunitario, in
quanto conforme a norme nazionali adottate in contrasto con il diritto dell’Unione, il giudice
amministrativo ha avuto modo di esprimersi ancor prima della pronuncia del giudice comunitario
nel caso Kühne & Heitz.
65
In proposito, all’affermazione ricorrente in giurisprudenza, secondo cui dall’atto originariamente illegittimo non possono
validamente nascere diritti soggettivi tali da costituire presupposto negativo del potere di annullamento d’ufficio, si contrappone
quella secondo cui la potestà di revoca di un atto per motivi di opportunità non può essere esercitata se siano sorti in dipendenza
dell’atto stessa diritti soggettivi “perfetti” o “quesiti”. Tale tesi, che risale a Cammeo, è stata ripresa dalla dottrina successiva, tra
cui SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 724 e ss. Contra CORPACI, voce Ritiro e rimozione del
provvedimento amministrativo, cit., 3 e ss. e CORSO, L’efficacia del provvedimento amministrativo, Milano, 1969, 208 e ss.
66
Cons. Stato, Sez. VI, 23 settembre 1998, n. 1276; Cons. Stato, Sez. V, 15 settembre 1997, n. 980; Cons. Stato, Sez. VI, 10
giugno 1991, n. 356; contra Cons. Stato, Sez. VI, 16 ottobre 1995, n. 1127 e, con particolare riferimento all’impugnativa del
diniego sull’istanza di autotutela presentata dal contribuente all’Amministrazione finanziaria, si cfr. infra nota 87. Sul punto si
veda inoltre la ricostruzione offerta da IMMORDINO, Revoca degli atti amministrativi e tutela dell’affidamento, Torino, 1999, 174
e ss.
107
Secondo un orientamento giurisprudenziale affermatosi a partire dal 1996 67 , l’interesse
pubblico alla rimozione dell’atto sarebbe tout court sussistente ogni qual volta esso sia il
prodotto di una violazione indiretta dell’ordinamento comunitario 68 : conseguentemente, qualora
l’amministrazione accerti che il provvedimento riesaminato anticomunitario, non deve aver
luogo alcun contemperamento tra l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto e l’interesse del
privato alla conservazione del medesimo.
Muovendo da questa impostazione, la violazione del diritto comunitario viene così ad
assumere una rilevanza superiore alla stessa violazione della legge nazionale, tanto da implicare,
in re ipsa, la prevalenza del ripristino della legalità comunitaria sulle situazioni di legittimo
affidamento dei destinatari in buona fede del provvedimento riesaminato.
Successivamente però il Consiglio di Stato ha preso di nuovo posizione sull’argomento
nell’ambito di una controversia avente ad oggetto la richiesta di ritiro di un provvedimento
adottato a seguito di una conferenza di servizi, con una decisione, la sentenza 3 marzo 2006, n.
1023, sulla quale appare opportuno soffermarsi brevemente 69 .
La questione concerneva un’autorizzazione per la realizzazione di un rigassificatore - in
contrasto con il diritto comunitario perché non preceduta dalla necessaria valutazione di impatto
ambientale - rilasciata dal Ministero delle attività produttive di concerto con il Ministero
dell’Ambiente, all’esito di una conferenza di servizi alla quale aveva partecipato, esprimendo
parere favorevole, la Provincia competente. Quest’ultima, tuttavia, rilevando l’invalidità
comunitaria del provvedimento autorizzatorio, aveva presentato, in ragione della sua competenza
istituzionale in materia di tutela dell’ambiente e della sicurezza nell’ambito del proprio territorio,
un’istanza motivata ai due Ministeri perché provvedessero all’annullamento di ufficio del
provvedimento autorizzatorio in questione. A fronte dell’inerzia manifestata dalle due
amministrazioni statali in ordine alla richiesta di riesame, la Provincia aveva proposto un ricorso
67
Si vedano Cons. St., Sez. IV, 18 gennaio 1996, n. 54, in Foro It., 1996, III, 442, con nota di FRACCHIA in cui si precisa che «di
fronte alla necessità di adempiere agli obblighi comunitari può recedere ogni altro interesse pubblico o privato», Cons. St., Sez.
V, 18 aprile 1996, 447, ivi, 186, secondo cui «l’interesse pubblico prevalente è quello di evitare l’irrogazione di sanzioni a carico
dello Stato da parte delle istituzioni comunitarie per violazione del diritto comunitario» nonché Cons. St., Sez. IV, 5 giugno 1998,
n. 918, in Urb. e app., 1998, 1343 con commento di GAROFOLI.
68
La problematica delle “violazioni indirette” del diritto comunitario, sussistenti appunto nell’ipotesi in cui il contrasto tra il
provvedimento amministrativo nazionale ed il diritto comunitario non comporta una violazione immediata della normativa di
fonte sopranazionale, ma si determina per il tramite di una legislazione interna contrastante col diritto dell’Unione, si inquadra
come nel più ampio tema della qualificazione dell’invalidità degli atti amministrativi nazionali in violazione del diritto
comunitario: sul punto si veda supra par. 3.
69
Cons. Stato, Sez. VI, 3 marzo 2006, n. 1023, in Urb. e app., 2006, 695 e ss. con commento di RAGAZZO, poi richiamata da
Cons. Stato, VI Sez., 21 novembre 2006, n. 6831.
108
al T.a.r. ai sensi dell’art. 21-bis della legge n. 1034 del 1971, che veniva accolto dal giudice
amministrativo adito 70 .
La pronuncia favorevole alla Provincia è stata quindi impugnata dai due Ministeri e dalla
società di commercializzazione dell’energia elettrica interessata alla realizzazione del
gassificatore, i quali ne hanno ottenuto l’annullamento da parte del Consiglio di Stato che, in
riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto non sussistesse alcun obbligo per la p.a. di
pronunciarsi su una istanza volta a ottenere il ritiro di un provvedimento amministrativo divenuto
inoppugnabile, avanzata da una amministrazione partecipante alla conferenza di servizi indetta
per l’adozione di detto provvedimento.
Il giudice amministrativo di appello, infatti, disattendendo il precedente orientamento
giurisprudenziale, ha ritenuto che la circostanza per cui la invalidità di un provvedimento
amministrativo nazionale consista nella sua contrarietà al diritto comunitario non incide in alcun
modo sulla disciplina nazionale dell’annullamento d’ufficio, come attualmente regolato dall’art.
21-nonies, 1° comma, della legge n. 241 del 1990, sostenendo come «anche con la recente
sentenza Kühne & Heitz il giudice comunitario, pur affermando che il giudicato formatosi su una
interpretazione ritenuta poi non conforme al diritto comunitario dalla stessa Corte di giustizia
non costituisce un limite all’esercizio dei poteri di autotutela ha ribadito che il diritto
comunitario non esige, in linea di principio, che un organo amministrativo sia obbligato a
riesaminare una decisione amministrativa che ha acquistato carattere definitivo, in quanto, la
certezza del diritto è inclusa tra i principi generali riconosciuti nel diritto comunitario e il
carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza dei termini
ragionevoli di ricorso o in seguito all’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale,
contribuisce a tale certezza (Corte di giustizia, 14 gennaio 2004, C-453/00). Dalla
giurisprudenza comunitaria si ricava, quindi, che l’esercizio dei poteri di autotutela non può
essere configurato in termini di doverosità con la conseguenza che il vizio della violazione del
diritto comunitario non comporta il necessario, e sostanzialmente vincolato, esercizio dei poteri
di autotutela da parte dell’amministrazione (tesi prospettata da Cons. Stato, IV, 5 giugno 1998,
70
Il T.a.r., pur aderendo al tradizionale orientamento per cui non sussiste alcun obbligo di riesaminare provvedimenti divenuti
inoppugnabili, aveva evidenziato che il suesposto principio non può operare quando la richiesta di autotutela proviene da un
soggetto titolare di interessi pubblici che sia intervenuto nel procedimento di primo grado e che si faccia successivamente
portatore, anche in tale sede, dei medesimi interessi: e ciò soprattutto nel caso in cui si sia svolta una conferenza di servizi
decisoria, ipotesi in cui, per il principio di leale collaborazione, deve ritenersi ammissibile che una delle amministrazioni
partecipanti alla conferenza possa far valere il proprio ripensamento su un eventuale assenso precedentemente prestato, non
potendo assumere autonomamente una decisione capace di produrre gli effetti del ritiro del provvedimento di primo grado, alla
cui adozione ha partecipato in sede di conferenza.
109
n. 918, che comporterebbe però la totale svalutazione degli elementi dell’affidamento del privato
e del decorso del tempo valorizzati proprio dalla Corte di giustizia)».
Il Consiglio di Stato ha quindi precisato, da un lato, che «la valutazione se attivare o meno i
poteri di autotutela resta di carattere discrezionale e non è giustiziabile perché altrimenti si
determinerebbe l’effetto di consentire la riapertura del contenzioso, precluso a seguito
dell’inoppugnabilità del provvedimento e in violazione di quel principio di certezza del diritto
valorizzato anche dal giudice comunitario» e, dall’altro, che, laddove tali procedimenti
dovessero in concreto essere attivati, il loro esito rimarrebbe, anch’esso, soggetto a valutazioni
discrezionali riservate alle competenti autorità amministrative, in ordine alle ragioni di pubblico
interesse coinvolte da un eventuale annullamento, al termine ragionevole entro cui esso può
essere disposto, agli interessi dei destinatari e dei controinteressati: infatti «la non doverosità
dell’attivazione del procedimento di autotutela, che preclude la giustiziabilità del silenzio
dell’amministrazione sulle istanze dirette a stimolare tale potere, costituisca principio che non
viene derogato quando il vizio dedotto è costituito dalla violazione del diritto comunitario (vizio
che comporta l’annullabilità e non la nullità del provvedimento amministrativo). Tale vizio deve
essere adeguatamente ponderato dall’amministrazione procedente anche alla luce del principio di
leale collaborazione previsto dall’art. 10 del Trattato UE».
La stessa conclusione è stata recentemente ribadita nella sentenza 8 settembre 2008, n.
4263, nell’ambito di una controversia relativa all’annullamento di un bando di gara, a seguito
della disapplicazione di un provvedimento di affidamento di un servizio in house su convenzione
perché ritenuto in contrasto con il diritto comunitario.
Si tratta di una decisione in cui il Consiglio di Stato ha chiarito i rapporti tra
disapplicazione e riesame di un provvedimento amministrativo “anticomunitario”, ponendo
l’accento sul necessario rispetto delle garanzie procedimentali. Ad avviso del giudice
amministrativo, infatti, un provvedimento, il cui contenuto sia in contrasto con norme o principi
comunitari, non può essere disapplicato dall’Amministrazione che lo ha adottato, sic et
simpliciter, ma deve essere rimosso con il ricorso ai poteri di autotutela, il cui esercizio deve
ritenersi soggetto, anche in questi casi, ai principi che sono a fondamento della legittimità dei
relativi provvedimenti, rappresentati dalla contemporanea presenza di preminenti ragioni di
interesse pubblico alla rimozione dell’atto, se si tratta di situazioni consolidate o di atti che
abbiano determinato un legittimo affidamento in coloro che sono interessati, e dalla osservanza
delle garanzie che l’ordinamento appresta per i soggetti incisi dall’atto di autotutela, prima fra
tutte quella di consentire ai soggetti interessati di partecipare al relativo procedimento.
110
Le argomentazioni poste alla base del primo orientamento incline a riconoscere l’obbligo di
riesaminare gli atti amministrativi affetti da illegittimità comunitaria sono state invece
valorizzate nella recente giurisprudenza del T.a.r. Palermo.
Nella sentenza 28 settembre 2007, n. 2049, il Tribunale amministrativo siciliano,
pronunciandosi in materia di revoca di un finanziamento concesso dall’assessorato regionale
siciliano per la cooperazione, commercio, artigianato e pesca, risultato poi illegittimo con
riferimento alle prescrizioni comunitarie ad esso relative, ha ritenuto, in conformità ai
presupposti enunciati nella sentenza Kühne & Heitz, che l’atto di annullamento in autotutela
fosse doveroso alla stregua del principio di leale cooperazione dell’art. 10 T.C.E. 71
In particolare, il giudice amministrativo ha affermato che la portata dell’obbligo di riesame
si estende sino al punto di «esigere dall’amministrazione l’annullamento in autotutela di
provvedimenti amministrativi contrastanti con lo ius superveniens comunitario, come accertato
dal giudice nazionale con sentenza passata in giudicato» e che ciò vale, a maggior ragione, nel
caso in cui l’amministrazione rimuova in autotutela provvedimenti comunitari ab origine
illegittimi.
Inoltre, muovendo dal presupposto che l’accertata illegittimità del provvedimento non è
comunque sufficiente a giustificare l’esercizio dell’autotutela, il T.a.r. ha sottolineato che «in
punto di peculiarità dell’esercizio del potere di autotutela in presenza della c.d. illegittimità
comunitaria del provvedimento, l’interesse pubblico specifico si connota anche in relazione
all’esigenza di evitare che l’azione amministrativa produca effetti economici pregiudizievoli per
la collettività territoriale di riferimento, in conseguenza del possibile esercizio dell’azione di
rivalsa da parte dello Stato, responsabile sul piano internazionale dell’inadempimento regionale
degli obblighi comunitari» 72 .
Per prendere posizione sulla riferita querelle giurisprudenziale, occorre sottolineare che,
proprio alla luce delle statuizioni della Corte di giustizia, non è possibile rispondere in termini
71
T.a.r. Palermo, II Sez., 28 settembre 2007, n. 2049, in Foro Amm. Tar, 2007, 3263, con nota di SINISI, La «doverosità»
dell’esercizio del potere di autotutela in presenza di un atto amministrativo contrastante con i regolamenti comunitari, secondo
cui la decisione ha trovato «il punto di equilibrio tra l’affidamento ingenerato e il rispetto del principio di legittimità degli atti nel
riferimento alla doverosità dell’azione amministrativa». Si cfr. inoltre la richiamata sentenza della stessa sezione n. 2702/2006.
72
La tesi della doverosità dell’annullamento in autotutela, oltre che nel vizio di violazione della normativa comunitaria, trova ad
avviso del T.a.r. un suo fondamento anche nella disciplina di diritto nazionale: l’assessorato regionale, nell’annullare il decreto di
concessione del finanziamento non poteva prescindere dalle prescrizioni normative nel frattempo introdotte dalla L. 27 dicembre
2006, n. 296 (Legge finanziaria per il 2007). In particolare, l’art. 1, 1213° comma, della legge in questione stabilisce che, al fine
di prevenire l’instaurazione delle procedure d’infrazione di cui agli art. 226 e seguenti del Trattato o per porre termine alle stesse,
le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati adottano
ogni misura necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi degli Stati nazionali
derivanti dalla normativa comunitaria. Essi sono in ogni caso tenuto a dare pronta esecuzione agli obblighi derivanti dalle
sentenze rese dalla Corte di giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell’art. 228 del Trattato. Il quadro normativo è
ulteriormente rafforzato dalle previsioni dei successivi commi 1215 e 1216 che attribuiscono allo Stato il diritto di rivalsa nei
confronti dei soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi di cui al comma 1213.
111
generali ed astratti al quesito relativo alla sussistenza o meno di un obbligo di autotutela nei
confronti degli atti anticomunitari.
Risulta invece necessario valutare se, nel nostro ordinamento, sussistano delle ipotesi di
autotutela obbligatoria che possano essere utilizzate, sulla base del principio dell’«equivalenza
procedurale», per ritenere, in quell’ambito, ammissibile il doveroso ripristino della legalità
comunitaria.
6. L’annullamento d’ufficio “doveroso” ed ex lege − La generica affermazione secondo
cui, nel nostro sistema amministrativo, il potere di revoca e annullamento d’ufficio è pienamente
discrezionale non tiene conto della casistica giurisprudenziale relativa alle ipotesi di
annullamento
“doveroso”
né
delle
disposizioni
di
legge ad hoc che impongano
all’amministrazione l’adozione di un provvedimento di riesame.
Per annullamento “doveroso” s’intende appunto quel tipo di annullamento d’ufficio la cui
validità è, secondo il giudice amministrativo, esclusivamente legata al riscontro dell’illegittimità
del provvedimento esaminato 73 .
La giurisprudenza ha infatti riconosciuto che, in determinate condizioni, il mero riscontro
dell’illegittimità dell’atto possa giustificarne l’annullamento, così introducendo un’eccezione alla
richiamata regola della necessaria valutazione di un interesse pubblico ulteriore rispetto al mero
ripristino della legalità, a sostegno dell’esercizio del potere di riesame: in tali situazioni il
provvedimento dell’amministrazione, volto a rimuovere dall’ordinamento una situazione
altrimenti permanentemente antigiuridica, comporta in re ipsa la soddisfazione di un interesse
pubblico di natura indisponibile, consistente, appunto, nel ripristino della legalità violata.
Il giudice amministrativo ha innanzitutto recepito le ipotesi di annullamento “doveroso”
prospettate dalla manualistica 74 : l’annullamento in ottemperanza ad una decisione del giudice
ordinario passata in giudicato in cui un atto amministrativo sia stato ritenuto illegittimo;
l’annullamento di una decisione negativa di un’autorità di controllo cui non competa
73
Per la ricostruzione di tale giurisprudenza si veda VALAGUZZA, La concretizzazione dell’interesse pubblico nella recente
giurisprudenza amministrativa in tema di annullamento d’ufficio, cit., 1245 e ss. Più in generale sul principio di doverosità si
vedano recentemente CIOFFI, Dovere di provvedere e pubblica amministrazione, Milano, 2005 e GOGGIAMANI, La doverosità
della pubblica amministrazione, Torino, 2005.
74
Si vedano, per tutti, le ricostruzioni delle ipotesi tradizionali di annullamento “doveroso” di SANDULLI, Manuale di diritto
amministrativo, cit., 151 e ss. e 494 e ss., VILLATA, L’atto amministrativo, in AA.VV., Diritto amministrativo, a cura di
Mazzarolli, Pericu, Romano, Roversi Monaco e Scoca, Bologna, 1998, 1581, CASETTA, Manuale di diritto amministrativo,
Milano, 2002, 488 e ss., CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 2002, 609.
112
direttamente il potere di annullamento; l’annullamento di un atto dipendente, come necessaria
conseguenza dell’annullamento (giurisdizionale o amministrativo) dell’atto presupposto.
Anche con riferimento ai beni pubblici, con riguardo ai quali il potere di autotutela sia
espressamente attribuito con legge, la giurisprudenza ha chiaramente affermato che
l’amministrazione ha il potere-dovere di esercitare l’autotutela decisoria e che tale potere-dovere
è irrinunciabile. Infatti, la circostanza che l’ente pubblico sia gestore necessario di beni della
collettività, incide sull’an dell’autotutela, rendendo da discrezionale doverosa l’iniziativa
dell’autotutela decisoria 75 .
Accanto alle ipotesi tradizionali, la giurisprudenza ne ha individuate altre valorizzando il
principio di conservazione degli atti giuridici: quest’ultimo, imporrebbe la prevalenza della
conservazione dello status quo, sfavorendo l’annullamento d’ufficio, qualora sia trascorso un
lasso
temporale
consistente
dall’emanazione
dell’atto;
al
contrario,
non
osterebbe
all’eliminazione del provvedimento riesaminato, qualora avvenga in un momento vicino a quello
della sua emanazione.
La regola, secondo cui occorre che l’annullamento d’ufficio di un provvedimento sia
sorretto da autonome ed attuali ragioni di interesse pubblico, varrebbe dunque solo gli effetti del
provvedimento di autotutela vadano ad incidere su interessi che risultino consolidati in capo ai
privati per il tempo trascorso dall’emanazione del provvedimento oggetto di riesame, con
conseguente affidamento sulla sua legittimità ingenerato nei destinatari 76 .
Muovendo da questa impostazione, il giudice amministrativo ha ritenuto legittimo
l’annullamento “doveroso”, motivato solo in relazione all’illegittimità del provvedimento
riesaminato, qualora esso esplichi un effetto abrogativo nei confronti di provvedimenti non
ancora efficaci o dotati di stabilità provvisoria. Ad esempio, con riferimento all’annullamento
75
In argomento CASSESE, I beni pubblici. Circolazione e tutela, Milano, 1969, 237 e ss., ed, in particolare, 239, secondo cui:
«l’autotutela di cui si parla è un mezzo di difesa “possessorio” attribuito all’ente pubblico in quanto gestore di beni della
collettività. Nei casi nei quali tale mezzo è concesso dalle leggi, l’ente non agisce per la cura di interessi attinenti alla propria
organizzazione ma per la cura di interessi di collettività. Vale per l’ente, quindi, il principio di necessaria difesa, per cui
l’iniziativa dl procedimento di tutela è doverosa».
76
L’affidamento dei destinatari di un atto oggetto di riesame viene infatti a configurarsi nei sui tre elementi caratterizzanti: il
primo e il secondo, gli elementi oggettivo e soggettivo, consistenti in un vantaggio chiaro ed univoco, non proveniente da un atto
omissivo ma da un provvedimento espresso ed efficace, e in un affidamento connotato dalla buona fede, non risultando
meritevoli di protezione le aspirazioni alla intangibilità del vantaggio scaturito da comportamenti dolosi o inficiati da una
condizione di colpa apprezzabile; il terzo, quello cronologico, basato sulla considerazione che lo scorrere del tempo rafforza la
convinzione della spettanza del bene e, conseguentemente, rende sempre più intangibile il diritto conseguito nei confronti
dell’esercizio demolitorio del potere pubblico (per una esauriente sintesi sul punto si veda CARINGELLA, Affidamento e
autotutela: la strana coppia, Relazione al convengo tenuto a Palazzo Spada il 24 ottobre 2007 in occasione della presentazione
del Trattato di diritto amministrativo europeo, a cura di Chiti e Greco.
Sul principio di affidamento, con particolare riferimento all’esercizio di poteri di autotutela, si vedano in dottrina IMMORDINO,
Revoca degli atti amministrativi e tutela dell’affidamento, cit.; MERUSI, La problematica dell’annullamento d’uffıcio, in Buona
fede e affıdamento nel diritto pubblico, cit., e ID., L’affidamento del cittadino, cit. nonché, per una ricostruzione della
giurisprudenza comunitaria in materia, ARDITO, Autotutela, affidamento e concorrenza nella giurisprudenza comunitaria, in
Diritto Amministrativo, 2008, 631 e ss.
113
d’ufficio di un’aggiudicazione provvisoria è stato affermato che «il principio secondo cui
l’annullamento d’uffıcio necessita di specifica motivazione in ordine all’attualità del pubblico
interesse alla rimozione dell’atto illegittimo, trova applicazione soltanto qualora, a causa del
tempo trascorso tra l’adozione del provvedimento e il suo annullamento, si siano determinate
situazioni giuridiche soggettive consolidate in capo agli interessati, non invece quando, come
nella specie, la rimozione dell’atto avvenga nel corso del procedimento e prima della sua
conclusione» 77 .
Altre decisioni escludono la necessità di una motivazione in punto di interesse pubblico
ulteriore al ripristino della legalità violata, facendo riferimento alla situazione soggettiva del
destinatario dell’atto: qualora il rilascio del provvedimento di riesame sia appunto conseguito ad
un’inesatta rappresentazione della realtà da parte del richiedente in mala fede, è sufficiente, ai
fini dell’annullamento d’ufficio, che l’esercizio del riesame si fondi su un’accertata
illegittimità 78 .
Analogamente, in caso di illegittime attribuzioni di status ai dipendenti pubblici che
implicano illegittimo esborso di denaro pubblico, l’economicità nella gestione delle risorse
pubbliche è sempre ritenuta prevalente sulle esigenze di tutela della buona fede del privato:
l’interesse pubblico, tale da giustificare l’annullamento in via di autotutela, è infatti considerato
sussistente in re ipsa, con conseguente sacrificio dell’affidamento del privato 79 .
77
T.a.r. Lombardia, Sez. III, 11 marzo 2003, n. 435, in Foro Amm. Tar, 2003, 839. Si cfr. inoltre Cons. Stato, Sez. IV, 7
novembre 2002, n. 6113, in Foro Amm. Cds, 2002, 2825.
Sempre in materia di appalti, ma con riferimento all’annullamento dell’aggiudicazione per difformità rispetto alla lettera-invito si
veda Cons. Stato, Sez. V, 13 maggio 1995, n. 761, in Foro Amm. Cds, 1995, 959 e ss. secondo cui «quando l'amministrazione
annulla una precedente aggiudicazione di un appalto pubblico a causa della difformità del progetto delle prescrizioni della letterainvito e della presenza di numerose lacune che non consentono la realizzazione dell’opera, l’interesse pubblico ed attuale
all’autotutela ben può rinvenirsi nella considerazione di dover aggiudicare l’appalto ad altra impresa partecipante che possieda
tutti i requisiti indicati dalla lettera-invito stessa, segnatamente nel caso in cui il contratto d'appalto non sia stato ancora stipulato,
in quanto l’autotutela, nella specie, mira a proteggere e a ristabilire la “par condicio” delle imprese partecipanti vulnerata
dall’illegittima ammissione di un’impresa priva dei requisiti o dall'illegittima valutazione di un’offerta incongrua, senza che ciò
implichi una diffusa motivazione sul punto, diversa dal ripristino della legalità violata e della predetta “par condicio”».
78
Cons. Stato, Sez. V, 9 maggio 2000, n. 2648; T.a.r. Lombardia, Milano, Sez. I, 15 novembre 2002, n. 4425; T.a.r. Emilia
Romagna, Bologna, Sez. II, 10 giugno 2002, n. 854; T.a.r. Lombardia, Milano, Sez. I, 15 novembre 2002, n. 4425.
79
Cons. Stato, Sez. V, 16 gennaio 2002, n. 213; Id., Sez. VI, 12 agosto 2002, n. 4159, Id., Sez. VI, 38 ottobre 2002, n. 5893,
secondo cui «la motivazione del provvedimento adottato in sede di autotutela è data in re ipsa, sul piano dell’interesse pubblico,
dalla necessità di evitare le conseguenze finanziarie negative derivanti dalla determinazione originaria, senza che assuma rilievo
in senso contrario la determinazione del tempo» ed, in particolare, Cons. Stato, Sez. V, 24 febbraio 1996, n. 232, secondo cui la
P.a. «ha, invece, in materia, il potere-dovere di emanare l’atto di annullamento, pur potendo valutare (qualora sia trascorso un più
o meno lungo periodo di tempo dalla data di adozione dell’atto illegittimo) se sia opportuno esercitare il potere di annullamento
ovvero se sia inopportuno un mero ripristino della legalità, in quanto l’atto di autotutela non consentirebbe la soddisfazione di
alcun interesse pubblico. L’Amministrazione deve tener conto dell’esigenza di evitare che si consolidino «le situazioni di fatto
illegalmente costituitasi» (Corte cost., 9 gennaio 1996, n. 1; 24 gennaio 1992, n. 16). Ciò comporta che il giudice amministrativo,
quando è impugnato un atto amministrativo di annullamento di un precedente atto illegittimo, può verificare de l’atto di
autotutela abbia voluto salvaguardare un interesse pubblico effettivamente sussistente, ovvero se, in assenza di sufficienti ragioni,
si sia inteso ripristinare la mera legalità formale», allo stesso tempo «non è necessaria una diffusa motivazione sulla sussistenza
del c.d. interesse pubblico attuale a disporre dell’annullamento (in quanto sussiste in re ipsa) né rileva il tempo decorso dalla sua
emanazione, quando l’atto illegittimo abbia conseguenze permanenti o perduranti e comporti l’esborso di denaro pubblico senza
titolo (…) In atri termini, quando vi è una situazione attualmente contra ius, può senz’altro essere emanato il provvedimento che
114
Infine, anche parte della giurisprudenza in materia di riesame dei provvedimenti di
concessione edilizia, ascrive tali fattispecie all’annullamento “doveroso”, evidenziando la
prevalenza quasi automatica del c.d. interesse urbanistico, ossia dell’interesse della collettività a
tutelare il rispetto della normativa urbanistica, correlato alla disciplina paesaggistica vigente
nonché a profili di tutela dell’ambiente e degli interessi storico-architettonici.
Occorre a questo punto analizzare le ipotesi in cui sia lo stesso legislatore ad imporre
all’amministrazione il ritiro degli atti adottati.
In proposito, la Corte costituzionale si è espressa nel senso della piena compatibilità
dell’annullamento d’ufficio imposto ex lege con il dettato costituzionale ed, in particolare, con
l’art. 97 Cost. 80
Il giudice costituzionale ha infatti affermato che «in via di principio, il momento
discrezionale del potere della pubblica amministrazione di annullare i propri provvedimenti non
gode in sé di copertura costituzionale», precisando inoltre, con specifico riferimento alla norma
oggetto del giudizio, che «la previsione d’un potere-dovere di annullamento dei provvedimenti
che avevano disposto gli inquadramenti illegittimi (…) si configura (…) quale elemento
fondante dell’azione amministrativa (in quanto corollario del principio di legalità), tra i cui fini
deve intendersi compreso quello di evitare il consolidarsi di situazioni costituitesi contra legem».
Come è stato acutamente osservato in dottrina 81 , secondo l’interpretazione proposta dalla
Corte, non vi sono impedimenti a che «l’annullamento d’ufficio possa cessare di essere, secondo
il suo tiponomo consolidatosi per l’opera congiunta di dottrina e giurisprudenza, un
procedimento discrezionale, teso a soddisfare un interesse dell’Amministrazione che sia valutato
sussistente al momento in cui il provvedimento viene adottato, e possa essere riproposto, almeno
nei casi in cui la legge lo preveda in questi termini, come atto totalmente vincolato». Non è
quindi necessario, quoad validatem dell’atto di annullamento, che l’Amministrazione debba
tener presente - rendendolo ostensibile attraverso la motivazione - l’interesse pubblico concreto
ed attuale alla rimozione, diverso da quello del ripristino della legalità, bastando, al proposito, la
mera illegittimità dell’atto da rimuovere.
ripristina la legalità (…): tale principio si applica anche quando, in materia di pubblico impiego, l’originario atto illegittimo
costituisce la fonte di perdurante turbamento dell’ordine amministrativo, avendo modificato illegittimamente lo status del
dipendente e previsto l’attribuzione di una somma maggiore rispetto a quella effettivamente spettante».
80
Si tratta Corte cost., 22 marzo 2000, n. 75 con cui è stata dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale, sollevata con riferimento agli artt. 3, 5, 24, 97 e 128 Cost., dell’art. 6, 17° comma, della L. n. 127/1997 nella parte
in cui prevede che gli enti locali «sono tenuti ad annullare i provvedimenti di inquadramento del personale adottati in modo
difforme dalle disposizioni del D.P.R. 25 giugno 1983 n. 347 e successive modificazioni ed integrazioni, e a bandire
contestualmente i concorsi per la copertura dei posti resisi disponibili per effetto dell’annullamento».
81
SCOCA, Una ipotesi di autotutela amministrativa impropria, in Giur. Cost., 2000, 824 e ss.
115
In tal modo, l’annullamento in autotutela «si caratterizza soltanto per la restaurazione della
legalità precedentemente infranta» 82 .
Va però precisato 83 come la ricostruzione operata dalla Corte non valga comunque ad
eliminare la nozione tradizionale di autotutela, contrassegnata dal carattere della discrezionalità:
ciò è reso evidente dall’affermazione contenuta nella sentenza della Corte circa la mancanza di
copertura costituzionale del “momento discrezionale” dell’annullamento d’ufficio venendo,
affermazione dalla quale discende che l’annullamento di ufficio possa, secondo Costituzione,
essere tanto discrezionale quanto vincolato.
L’uso vincolato del potere di autotutela, annullamento d’ufficio o c.d. revoca impropria 84 ,
risulta in ultima analisi giustificato dall’esigenza di ripristino della legalità violata, a garanzia
dell’interesse pubblico generale che trascende sicuramente l’interesse dell’Ente da cui promana
l’atto da rimuovere.
Venendo alle ipotesi attuali di autotutela legislativamente obbligatoria, un caso può essere
rintracciato nell’ambito della disciplina in materia di ritiro degli atti da parte degli organi
dell’Amministrazione finanziaria 85 .
In proposito la Circolare 5 agosto 1998, n. 198, relativa all’applicazione delle disposizioni
del D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, sottolinea come «se è vero, a stretto rigore, che l’ufficio ha il
potere ma non il dovere giuridico di ritirare l’atto viziato (mentre è certo che il contribuente, a
sua volta, non ha un diritto soggettivo a che l’ufficio eserciti tale potere), è tuttavia indubbio che
l’ufficio stesso non possiede una potestà discrezionale di decidere a suo piacimento se
correggere o no i propri errori. Infatti da un lato il mancato esercizio dell’autotutela nei
confronti di un atto patentemente illegittimo, nel caso sia ancora aperto o comunque esperibile il
giudizio, può portare alla condanna alle spese dell’amministrazione con conseguente danno
erariale (la cui responsabilità potrebbe essere fatta ricadere sul dirigente responsabile del
mancato annullamento dell’atto); dall’altro, essendo previsto che in caso di “grave inerzia”
82
SCOCA, op.ult. cit., il quale condivide l’assunto che il potere di annullamento d’ufficio possa essere, secondo Costituzione,
tanto discrezionale quanto vincolato, ma sottolinea che «l’autoannullamento doveroso (o obbligatorio) non può essere inquadrato
a pieno titolo tra i provvedimenti di autotutela c.d. spontanea: si tratterebbe di un’autotutela imposta, somigliante più ad un’eterotutela anziché all’auto-tutela. Rappresenta in definitiva una ipotesi impropria di autotutela o una ipotesi di pseudo-autotutela.
Sotto questo profilo la sentenza appare di dubbia correttezza teorica, perché riferisce comunque (almeno così sembra) il “poteredovere” di autoannullamento alla categoria dell’autotutela, considerandolo anzi uno “strumento dell’autotutela”».
83
Per questa considerazione si veda GRASSANO, L’annullamento di un atto amministrativo illegittimo. Da attività discrezionale
ad attività imposta, cit., 387.
84
Nel genus della revoca impropria la dottrina riconduce appunto quelle ipotesi in cui il provvedimento di “rimozione” del
precedente atto è legittimato dal fatto che sono venuti meno quei presupposti o quelle condizioni richieste per la costituzione o la
continuazione del rapporto: con la conseguenza che la rimozione dell’atto, in questi casi, non opera ex nunc, come per la revoca
per sopravvenuta valutazione di inopportunità, quindi di revoca in senso proprio, ma retroattivamente, a partire dalla data del
verificarsi della carenza delle condizioni cui è subordinata per legge la continuazione del rapporto.
85
In generale sul tema si veda MUSCARÀ, voce Autotutela. IV) Diritto tributario, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988 e ID.,
Riesame e rinnovazione degli atti nel diritto tributario, Milano, 1992.
116
dell’ufficio che ha emanato l’atto può intervenire in via sostitutiva l’organo sovraordinato, è
evidente
che
l’esercizio
corretto
e
tempestivo
dell’autotutela
viene
considerato
dall’amministrazione non certo come una specie di “optional” che si può attuare o non attuare a
propria discrezione ma come una componente del corretto comportamento dei dirigenti degli
uffici e, quindi, come un elemento di valutazione della loro attività dal punto di vista disciplinare
e professionale».
Ancora, l’art. 8 del Regolamento approvato con decreto del Ministro delle Finanze 3 agosto
1998, n. 311 prevede la revoca dei benefici fiscali a seguito di riscontrate violazioni di
disposizioni normative 86 .
Non a caso, in capo al contribuete che abbia presentato un’istanza di autotutela respinta
dall’Amministrazione finanziaria, è riconosciuta una situazione giuridica tutelabile in sede
giurisdizionale, mediante la proposizione di un ricorso avverso il provvedimento di diniego 87 .
Muovendoci in altri ambiti materiali di competenza, l’art. 14 del D. Lgs. 29 maggio 1991,
n. 178 prevede la revoca all’immissione in commercio di specialità medicinali per mancata
conformità ai presupposti di legge 88 .
Inoltre, l’autorizzazione all’esportazione dei beni a duplice uso è revocata nel caso in cui
non risulti più conforme alle condizioni previste dalla normativa ovvero siano venuti a mancare i
requisiti o non siano state rispettate le prescrizioni previste dalla normativa stessa 89 .
86
Ai sensi del citato articolo «il Centro di servizio delle imposte dirette e indirette (…) procede alla revoca totale o parziale del
credito d'imposta, anche sulla base delle segnalazioni effettuate a seguito dei controlli di cui all’articolo 7, quando non ricorrono
i presupposti previsti dalla legge e, in particolare, quando: a) sono state definitivamente accertate le violazioni di cui all’articolo
4, comma 7, della legge 27 dicembre 1997, n. 449; b) la richiesta proviene da imprese che operano nei settori esclusi di cui
alla comunicazione della commissione delle Comunità europee 96/C 68/06 e cioè nei settori disciplinati dal Trattato Ceca,
ovvero nel settore delle costruzioni navali, dei trasporti, dell'agricoltura e della pesca; c) non sono osservati nei confronti dei
lavoratori dipendenti le norme sul lavoro e i contratti collettivi di lavoro; d) non sono rispettate le condizioni di cui ai commi
5, 8, e in caso di incremento del credito d'imposta quelle di cui al comma 9 dell’articolo 4 della predetta legge n. 449 del 1997;
e) è superato il limite massimo di credito d’imposta riconoscibile, previsto dal comma 1 dell’articolo 1 del presente regolamento
anche per effetto di cumulo con altre agevolazioni eventualmente concesse ai sensi della comunicazione della commissione delle
Comunità europee 96/C 68/06».
87 La cognizione del giudice tributario su tali incontroversie è tuttavia soggetta ai generali limiti del sindacato sul corretto
esercizio del potere discrezionale da parte della p.a. nonché al rispetto del principio del ne bis in idem: sul punto si veda la
recente pronuncia con cui la Cassazione (S.U. 6 febbraio 2009, n. 2870 ha dichiarato inammissibile un ricorso avverso il
provvedimento di rifiuto dell'istanza di autotutela promossa dal un contribuente per ottenere l'annullamento di un atto impositivo
di accertamento divenuto definitivo.
88 In particolare la revoca è disposta quando «è disposta quando: a) le informazioni fornite a norma del precedente art. 8 sono
erronee; b) la specialità medicinale risulta nociva nelle normali condizioni di impiego; c) la specialità non consente di ottenere
l’effetto terapeutico; d) la specialità non ha la composizione qualitativa e quantitativa dichiarata; e) non sono stati eseguiti
controlli sul prodotto finito, o sui componenti, o su prodotti intermedi di fabbricazione, o il titolare dell’autorizzazione non prova
l'avvenuta esecuzione dei controlli stessi ai sensi dell'art. 3, o omette di apportare al metodo di analisi le modifiche necessarie per
un controllo più sicuro della specialità medicinale, alla luce dell’aggiornamento tecnico e del progresso scientifico».
89 Si tratta dell’art. 4 del D. Lgs. 24 febbraio 1997, n. 89 (“Attuazione del Regolamento CE n. 3381/94 e della decisione n.
94/942 sull’esportazione di beni a duplice uso”) secondo cui «l’ autorizzazione è negata quando l’esportazione non è conforme
alle condizioni di cui all’allegato III della decisione. Salvo quanto previsto dall’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento,
l’efficacia dell’autorizzazione può, in, casi particolari, essere subordinata al successivo rilascio di una dichiarazione sull’effettivo
arrivo dei beni nel Paese di destinazione da parte dell’importatore o di una dichiarazione equipollente sottoscritta dal legale
rappresentante dell’impresa esportatrice, ovvero alla presentazione della documentazione prescritta dal decreto di cui all’articolo
117
Giunti a questo punto appare evidente come nel nostro ordinamento sussistano delle ipotesi
di autotutela obbligatoria che possono essere utilizzate, sulla base del principio di equivalenza,
per il ripristino della legalità comunitaria.
Tra le opposte tesi dell’assenza di un obbligo di riesame dell’atto amministrativo
comunitario, fatta propria dal Consiglio di Stato, e della sussistenza in ogni caso di un esercizio
“doveroso” del potere di autotutela, risulta maggiormente aderente ai principi enunciati dal
giurisprudenza della Corte di giustizia l’opzione intermedia, secondo cui un simile obbligo in
presenza di accertate violazioni del diritto comunitario è ravvisabile nelle materie in cui è lo
stesso ordinamento nazionale a riconoscere un limite alla discrezionalità del potere di riesame.
Si può dunque pervenire alla conclusione che, in materia di appalti, edilizia, tributaria (nei
confronti, ad esempio, di atti emessi in violazione della normativa IVA, la cui fonte è quasi
esclusivamente comunitaria - Dir. 77/388/CEE), ed in ogni altra ipotesi in cui è lo stesso diritto
nazionale a prevedere l’obbligatorietà dell’autotutela, secondo il principio dell’«equivalenza
procedurale», sussista identico obbligo di esercitare tale potere nei confronti di atti
amministrativi “anticomunitari”.
Il fondamento dell’annullamento d’ufficio “doveroso” va quindi rintracciato nell’art. 21nonies, letto alla luce dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990, secondo cui «l’attività
amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed é retta da criteri di economicità, di
efficacia, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle
altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento
comunitario», tra cui, appunto, quello di leale cooperazione che incombe ex art. 10 T.C.E. su
tutti gli Stati membri.
Quanto alla legittimazione all’adozione del provvedimento di secondo grado, qualora l’atto
amministrativo “anticomunitario” sia stato adottato da un ente pubblico o amministrazione
diversa da quelle di Regioni e Province autonome, potrà essere ipotizzato anche l’esercizio
dell’annullamento straordinario da parte del Governo previsto dall’art. 2, 3° comma, lettera p)
della legge n. 400 del 1988 90 .
9, comma 2. L’autorizzazione è annullata, revocata, sospesa o modificata, nel caso in cui l’esportazione autorizzata non risulti più
conforme alle condizioni di cui all’allegato III della decisione, ovvero nel caso in cui vengono a mancare i requisiti o non sono
rispettate le condizioni di cui al comma 2 e all’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento. Nelle ipotesi di cui al presente comma il
Ministero del commercio con l’estero procede al ritiro dell'originale dell’autorizzazione in precedenza rilasciata. Il Ministero del
commercio con l’estero può negare l’autorizzazione all’esportazione o sospendere la pronuncia sulla relativa domanda nel caso in
cui l’esportatore non rispetti le condizioni previste da precedenti autorizzazioni».
90
La disposizione, secondo cui sono sottoposte alla determinazione del Consiglio dei ministri «le determinazioni concernenti
l’annullamento straordinario, a tutela dell'unità dell’ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi, previo parere del Consiglio
di Stato e, nei soli casi di annullamento di atti amministrativi delle regioni e delle province autonome, anche della Commissione
parlamentare per le questioni regionali», è stata oggetto di una pronuncia della Corte costituzionale (sentenza 21 aprile 1989, n.
118
Inoltre, qualora l’atto di annullare in autotutela per violazione del diritto comunitario sia
imputabile ad un’amministrazione regionale, l’annullamento d’ufficio potrà comunque essere
adottato nell’ambito dei poteri sostitutivi che il nuovo art. 120, 2° comma, Cost. attribuisce allo
Stato anche «nel caso di mancato rispetto (…) della normativa comunitaria»91 . In proposito è
stato infatti sottolineato 92 che la Costituzione conferisce allo Stato un potere di sostituzione
molto ampio, tale da ricomprendere tutele misure necessarie «al fine di porre rimedio alla
violazione della norma comunitaria», e quindi anche il potere di annullamento d’ufficio degli atti
amministrativi posti in essere in violazione del diritto comunitario emanati da un’autorità
amministrativa regionale.
Si tratta in ogni caso di un’autotutela “obbligatoria” e non “vincolata”: le autorità
amministrative, in caso di violazione originaria o sopravvenuta del diritto comunitario, sono
infatti, tenute ad avviare un procedimento di riesame dell’atto amministrativo contrastante, il cui
esito resta comunque rimesso alla valutazione delle medesime.
L’affermazione del Consiglio di Stato, contenuta nella richiamata sentenza n. 1023 del
2006, secondo cui «l’esercizio dei poteri di autotutela non può essere configurato in termini di
doverosità con la conseguenza che il vizio della violazione del diritto comunitario non comporta
il necessario, e sostanzialmente vincolato, esercizio dei poteri di autotutela da parte
229), che ne ha dichiarato l’illegittimità nella parte relativa all’annullamento straordinario degli atti amministrativi illegittimi
delle Regioni e delle Province autonome.
91
Sul potere sostitutivo dello Stato nei confronti di Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni ai sensi dell’art. 120 Cost.,
si veda in dottrina ANZON, I poteri delle regioni nella transizione dal modello originario al nuovo assetto costituzionale, Torino,
2003, 119 e ss.; BARTOLE, BIN, FALCON, TOSI, Diritto regionale. Dopo le riforme, Bologna, 2003, 215 e ss.; BEDINI, Il potere
sostitutivo del governo, AA.VV., Alla ricerca dell’Italia federale, a cura di Volpe, Pisa, 2003, 185 e ss.; BIANCHI, Il sistema dei
controlli amministrativi, in AA.VV., La revisione costituzionale del titolo V tra nuovo regionalismo e federalismo. Problemi
applicativi e linee evolutive, a cura di Ferrari e Parodi Padova, 2003, 300 e ss.; GIANFRANCESCO, Il potere sostitutivo, in AA.VV.,
La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V, a cura di Groppi e Olivetti, Torino, 2003, 235 e ss.;
CAVALIERI, Diritto regionale, Padova, 2003, 261 e ss.; ID., Il potere sostitutivo sui Comuni e sulle Province, in Regioni, 2003,
846 e ss.; CARAVITA, La costituzione dopo la riforma del titolo V, Torino, 2002, 136 e ss.; MARTINES, RUGGERI, SALAZAR,
Lineamenti di diritto regionale, Milano, 2002, 110 e ss.; DICKMANN, Sussidiarietà e potere sostitutivo. Osservazioni in occasione
di una recente pronuncia del Consiglio di Stato (ad. Gen. n. 2 del 2002), in Foro amm. Cons. St., 2002, II, 849 e ss.; VERONESI, Il
regime dei poteri sostitutivi alla luce del nuovo art. 120, comma 2, della Costituzione, in Le istituzioni del federalismo, 2002, 733
e ss.; CARETTI, Rapporti fra Stato e Regioni: funzioni di indirizzo e coordinamento e poteri sostitutivi, in Regioni, 2002, 1325 e
ss.; MAINARDIS, I poteri sostitutivi statali: una riforma costituzionale con (poche) luci e (molte) ombre, in Regioni, 2001, 1358 e
ss.; VERONESI, Poteri sostitutivi: recenti orientamenti, in Regioni, 2001, 13 e ss. In ordine alla disciplina del potere sostitutivo di
cui all’art. 8 della legge n. 131 del 2003, MAINARDIS, Il potere sostitutivo, in AA.VV., Stato, regioni ed enti locali nella legge 5
giugno 2003, n. 131, a cura di Falcon, Bologna, 2003, 157 e ss.; BARDUSCO, Art. 8, in AA.VV., L’attuazione del nuovo titolo V,
parte seconda, della Costituzione. Commento alla legge «La Loggia», a cura di Cavalieri e Lamarque, Torino, 2004, 209 e ss.;
GIUFFRÈ, Note minime sui poteri sostitutivi e unità della Repubblica alla luce della recente legge 131 del 2003 (c.d. legge«La
Loggia»), in www.mulino.it/htlm/riviste/quaderni_costituzionali; SCACCIA, Il potere di sostituzione in via normativa della legge
n. 131 del 2003. Prime note, in www.associazionedeicostituzionalisti.it. Per la giurisprudenza più recente in materia cfr. Corte
cost., 27 gennaio 2004, n. 43, in Giur. Cost., 2004, I, 594 e ss.; Id., 2 marzo 2004, n. 69, ibidem, 893 e ss.; Id., 2 marzo 2004, n.
70, ibidem, 899 e ss.; Id., 2 marzo 2004, n. 71, ibidem, 910 e ss.; Id., 2 marzo 2004, n. 72, ibidem, 917 e ss.; Id., 2 marzo 2004,
n. 73, ibidem, 925 e ss.; Id., 6 aprile 2004, n. 112, ibidem, 1160 e ss.; Id., 14 maggio 2004, n. 140, ibidem, 1513 e ss.; Id., 11
giugno 2004, n. 172, ibidem, 1774 e ss.; Id., 15 giugno 2004, n. 173, ibidem, 1787 e ss.; Id., 16 luglio 2004, n. 227, ibidem,
2386 e ss.
92
GRECO, L’incidenza del diritto comunitario sugli atti amministrativi nazionali, in AA.VV., Trattato di diritto amministrativo
europeo, cit., 983-984.
119
dell’amministrazione», va quindi temperata nel senso di escludere l’esercizio vincolato del
riesame in presenza di una semplice constatazione della violazione del diritto comunitario, ma
non l’obbligatorietà “condizionata” ad una valutazione della sussistenza degli elementi
individuati nella sentenza Kühne e ad una ponderazione di altri principi, del pari rilevanti a
livello comunitario, come la tutela del legittimo affidamento.
L’imperiosa necessità del riesame di un atto amministrativo “anticomunitario” risulta così
ridimensionata: non solo in ragione dell’“equivalenza”, con l’applicazione dei principi stabiliti
dalle norme di diritto interno - i richiamati artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del
1990 - ma anche in ragione dell’“effettività”, commisurata agli standards di garanzia previsti per
la revoca e l’annullamento d’ufficio a livello comunitario 93 .
Come è stato in precedenza evidenziato94 , infatti, l’autotutela esercitata dalle Istituzioni
comunitarie (ad es. avverso le decisioni della Commissione) risulta priva di automatismi,
dovendo viceversa costituire il risultato di un bilanciamento, soprattutto per quel che concerne
l’efficacia ex tunc o ex nunc dell’atto di secondo grado: ed, in quest’ambito, criteri, quali quello
del termine ragionevole e della sussistenza, in capo al destinatario, di una situazione giuridica
consolidata, assumono rilevanza non secondaria.
Più in particolare, dagli orientamenti del giudice comunitario in materia di autotutela
avverso gli atti comunitari emerge, innanzitutto, la distinzione tra revoca di atti legittimi,
generalmente non ammessa, e annullamento di atti illegittimi, generalmente consentito, in quanto
rispondente alla logica del principio di legalità, che impone la conformità dell’azione
amministrativa alla legge.
In secondo luogo, il diritto comunitario riconosce adeguata rilevanza agli interessi dei
privati che abbiano posto il loro affidamento nella certezza del rapporto istauratosi in seguito
all’adozione del provvedimento amministrativo.
93
In tal senso, GRECO, L’incidenza del diritto comunitario sugli atti amministrativi nazionali, cit., 986.
Si veda la giurisprudenza comunitaria nel par. 2 ed, in particolare, Corte di giustizia delle Comunità europee, 12 luglio 1957, in
cause riunite C-7/56 e 3-7/57, Algera e a., Id., 22 marzo 1961, in cause riunite C-42/59 e 49/59, SNUPAT, Id., 12 luglio 1962, in
causa C-14/61, Hoogovens c. Alta Autorità, Id., 13 luglio 1965, in causa C-111/63, Lemmerz-Werke c. Alta Autorità.
Per una dettagliata analisi della materia si vedano inoltre GALETTA, Autotutela decisoria e diritto comunitario, cit., 37 e ss. e
VALAGUZZA, La concretizzazione dell’interesse pubblico nella recente giurisprudenza amministrativa in tema di annullamento
d’ufficio, cit., 1261 e ss. nonché, in precedenza, BARBIERI, Diritto comunitario ed istituti generali del diritto amministrativo, in
Riv. It. Dir.Pubbl. Com., 1994, 3 e ss. Si riferisce in termini decisamente critici all’equiparazione, sotto il profilo
dell’annullamento di ufficio, del regime degli atti amministrativi nazionali in contrasto con il diritto comunitario al regime degli
atti amministrativi illegittimi delle Istituzioni comunitarie GRUNER, L’annullamento d’ufficio in bilico tra i principi di
preminenza ed effettività del diritto comunitario,cit., 249, secondo cui tale approccio «non convince non solo e non tanto perché
il regime dell’annullamento di ufficio è ben diverso presso gli ordinamenti dei singoli Stati membri, ma anche e soprattutto
perché esso sembra eccessivamente temperare - sino ad annichilire del tutto – il principio della preminenza del diritto
comunitario sui diritti nazionali: principio, quest’ultimo, che non viene in alcun modo in considerazione con riferimento al
regime di annullamento di ufficio degli atti amministrativi illegittimi delle Istituzioni comunitarie e che invece riveste una
importanza decisiva per il processo di integrazione europea».
94
120
L’approccio interpretativo della giurisprudenza comunitaria si fonda principalmente sulla
considerazione delle circostanze del caso oggetto del giudizio: al fine di valutare la legittimità di
una decisione di annullamento di un precedente atto illegittimo, deve essere dato rilievo agli
interessi privati delle parti coinvolte, al carattere del provvedimento amministrativo oggetto del
riesame in relazione al suo contenuto, alle ragioni che spingono all’eliminazione dell’atto e
all’obiettivo che s’intende raggiungere con la sua abrogazione ex tunc. Non basta cioè
un’adeguata motivazione in ordine all’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo: il
punto nodale delle decisioni in ordine alla legittimità dell’esercizio dell’autotutela è costituito
dalla ragionevolezza dell’iter argomentativo sotteso al bilanciamento dell’interesse pubblico con
la tutela del legittimo affidamento del privato.
Sebbene quindi, in via generale, l’interesse alla legalità degli atti amministrativi sia
preminente, costituiscono un’eccezione a tale regola i casi in cui ciò comporterebbe un ingiusto
sacrificio della sfera giuridica del privato.
Analogamente, in ambito nazionale, l’interesse comunitario non dovrà sempre prevalere 95 ,
anche se, certamente, presenterà un peso ed una valenza determinanti ai fini della decisione di
autotutela.
Una tale acquisizione comporta il riconoscimento alla P.A. nazionale di una posizione di
«garante della legalità» di un ordinamento integrato, la cui effettività non può essere messa in
discussione da un esercizio pienamente discrezionale dell’autotutela.
Il principio di «buona amministrazione», finora attuato nell’ordinamento sovranazionale
semplicemente attraverso l’osservanza di una serie di obblighi finalizzati a rendere effettive
determinate garanzie procedurali nei confronti dei cittadini, diventa (alle condizioni stabilite
nella sentenza) dovere per la P.A. di garantire la “legalità comunitaria”, anche a dispetto di un
95
Peraltro, se tale parallelismo non fosse rispettato, in adesione ad una rigida interpretazione della giurisprudenza comunitaria
sull’annullamento d’ufficio di atti amministrativi nazionali “anticomunitari” prospettata dal T.a.r. Sicilia ed, adombrata, seppur al
fine di negarne l’operatività, dal Consiglio di Stato, si verrebbe a determinare una situazione di disparità di trattamento in senso
inverso: per tale osservazione, VALAGUZZA, La concretizzazione dell’interesse pubblico nella recente giurisprudenza
amministrativa in tema di annullamento d’ufficio, cit., 1266-1267 secondo cui «così riassunti gli elementi fondamentali della
disciplina comunitaria dell’autotutela, si capisce che la presa di posizione della nostra giurisprudenza finisce per punire più
gravemente di quanto non accada nell’ambito giurisprudenziale europeo la violazione del diritto comunitario, senza che ciò sia
necessitato da esigenze di provenienza europea. In conclusione, l’orientamento dei giudici italiani pare criticabile in quanto
realizza un risultato opposto a quello cui mirano le sentenze della Corte di Giustizia: esso implica un ingiustificato ed
incontrastabile sacrificio delle istanze legittime di affidamento del privato e perciò solo dovrebbe essere disatteso. Ciò vale a
maggior ragione se si considera che, giudicando della legittimità o meno di una decisione amministrativa di autotutela che
procuri il ripristino della legalità comunitaria violata, il giudice italiano svolge, in parte qua, una funzione giurisdizionale
collaborativi coi giudici comunitari che hanno il compito, in via primaria, di sanzionare la violazione del diritto comunitario. Con
ciò s’intende dire che il giudice italiano, riferendosi a situazioni che non riguardano esclusivamente lo stato del diritto interno,
dovrebbe attenersi al canone interpretativo adottato dai giudici comunitari, pena una mancanza di uniformità sul territorio
europeo. In concreto questo implicherebbe che la logica del primato del legittimo affidamento che, come si è visto, ispira la
giurisprudenza comunitaria, dovrebbe essere trasposta nelle situazioni che concernono l’eliminazione di un provvedimento per
contrasto con il diritto dell’Unione».
121
provvedimento definitivo a seguito del passaggio in giudicato di una decisione del giudice
amministrativo 96 .
È dalla rielaborazione in chiave comunitaria degli istituti del diritto nazionale che
discendono, in conclusione, gli strumenti più preziosi a garanzia dell’effettività dell’ordinamento
sopranazionale e la circostanza che gli istituti nazionali perdano, in nome della
“funzionalizzazione comunitaria”, alcune delle caratteristiche tradizionali appare, tuttavia, il
prezzo da pagare all’implementazione degli stessi nel sistema.
7. La necessità di revisione del giudicato in violazione delle sentenze C.E.D.U. − Prima di
affrontare la questione più problematica, relativa all’eventuale contrasto tra una sopravvenuta
pronuncia interpretativa del giudice comunitario e quella resa dalla Corte costituzionale sulle
medesime disposizioni, va evidenziato come il riconoscimento di una piena tutela del principio
di intangibilità dei rapporti quesiti trovi una deroga non solo in presenza di un atto
amministrativo “anticomunitario” divenuto definitivo, ma anche, e soprattutto, laddove il
giudicato nazionale sia frutto di una violazione della C.E.D.U. accertata dalla Corte di
Strasburgo.
Come è stato in precedenza accennato, nel caso i-21, il giudice tedesco, a sostegno della
possibilità di una deroga al principio della intangibilità delle decisioni in contrasto con il diritto
comunitario, aveva portato l’esempio della necessaria prevalenza delle sentenze della Corte
europea dei diritti dell’uomo in materia penale 97 .
Una tale deroga trova applicazione anche nel nostro ordinamento, sicché risulta opportuna anche in funzione di quanto si dirà nel capitolo seguente quando si cercherà di delineare il valore
attribuito nel nostro ordinamento alla certezza del diritto nascente dal giudicato - una breve
digressione sul tema dell’efficacia di queste decisioni, in ragione di un ipotetico parallelismo con
le sentenze della Corte di giustizia che si esprimano in materia di diritti.
96
RINALDI, Miracoli dei polli olandesi: la primauté del diritto comunitario va “oltre” il giudicato nazionale «anticomunitario».
E all’Amministrazione spetta il compito di rimediare..., cit., 651 e ss.
97
La giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell’uomo è infatti consolidata nel senso di ritenere che l’autorità del
giudicato non possa precludere la possibilità di far valere palesi violazioni di diritti comunitari fondamentali. Per un
inquadramento dell’argomento, si veda STILE, Il problema del giudicato interno in contrasto con l’ordinamento comunitario, in
Dir. Com. Scambi Internaz., 2007, 237 e ss. nonché i contributi del volume AA.VV., All’incrocio tra Costituzione e CEDU. Il
rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle norme di Strasburgo, (e-book), Giappichelli, Torino, 2007. Quali
leading cases si vedano le sentenze 16 aprile 2002, in causa S.A. Dangeville c. Francia e 22 luglio 2003, in causa SA Cabinet
Diot et SA Gras Savoye c. Francia (sulle quali MARIN, La Corte di Strasburgo garante del diritto comunitario, in Quad. Cost.,
2003, 856 e ss.).
122
La “forza vincolante” delle sentenze della Corte Europea dei diritti dell’uomo è
espressamente stabilita nell’art. 46 della Convenzione, ratificata in Italia con la legge n. 848 del
1955, secondo cui «le Alte parti contraenti s’impegnano a conformarsi alle sentenze definitive
della Corte nelle controversie nelle quali sono Parti». Al fine di garantire l’adempimento di tale
obbligo giuridico da parte degli Stati contraenti, l’art. 46 dispone altresì che «la sentenza
definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione» 98 .
Nell’ambito dei poteri inerenti a tale controllo, il Comitato dei Ministri, con la
raccomandazione del 19 gennaio 2000 99 , ha invitato gli Stati membri del Consiglio d’Europa che
sono parti della Convenzione europea ad introdurre nel proprio ordinamento interno la
possibilità, per la parte che sia stata vittima di una violazione dei diritti ad essa tutelati, di
ottenere la restituito in integrum a seguito alla sentenza della Corte di Strasburgo. La
raccomandazione subordina il superamento del vincolo di irretrattabilità derivante dalla res
iudicata all’esistenza cumulativa di due condizioni: da una parte, occorre che il giudizio interno
continui a produrre per l’individuo conseguenze pregiudizievoli non altrimenti eliminabili («very
serious negative consequences because of the outcome of the domestic decision at issue, which
are not adequately remedied by the just satisfaction and cannot be rectified except by reexamination or reopening»), dall’altra, che l’inosservanza delle garanzie previste dalla
Convenzione, per la sua intrinseca natura o per le circostanze concrete in cui ha avuto luogo,
appaia idonea a compromettere la credibilità oggettiva dell’accertamento compiuto dai giudici
nazionali («of such gravity that serious doubt is cast on the outcome of the domestic proceedings
complained of»).
Alla luce delle soluzioni prospettate nella riferita raccomandazione, l’eliminazione della
violazione della Convenzione può implicare misure che vanno dal riesame a livello
amministrativo fino alla riapertura di un procedimento giurisdizionale: gli Stati contraenti sono,
comunque, invitati ad individuare le situazioni eccezionali nelle quali l’obiettivo di garantire i
diritti dell’individuo e la messa in opera effettiva delle sentenze della Corte prevalga sulle
valutazioni sottese al principio della cosa giudicata, in particolare quelle relative alla certezza
giuridica.
98
Sull’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo si veda la completa analisi di SACCUCCI, Obblighi di
riparazione e revisione dei processi nella convenzione europea dei diritti dell'uomo, in Riv. Dir. Int., 2002, 618 e ss.
99
La raccomandazione è pubblicata in Dir. Pen. e Proc., 2000, 391 e ss.
123
Allo stato attuale alcuni paesi sono dotati di una disposizione ad hoc per regolare la
revisione quale misura riparatoria in esecuzione di una sentenza della Corte europea 100 . Altri
Stati, invece, ammettono solo in via giurisprudenziale la possibilità di presentare un’istanza per
la riapertura del processo.
Con riferimento alle ipotesi con cui il diritto interno non consenta espressamente di
rimettere in discussione il giudicato nazionale in seguito ad una decisione della Corte europea
attraverso il ricorso ai mezzi straordinari di impugnazione, la prassi del Comitato dei Ministri è
orientata nel senso di adottare una risoluzione interinale con cui si chiede allo Stato l’adozione di
misure che rendano comunque possibile la riparazione in forma specifica.
Un tale provvedimento è stato emesso anche nei confronti dello Stato italiano, stante
l’interpretazione restrittiva inizialmente accolta dalla giurisprudenza con riferimento all’ambito
di applicazione della revisione e della revocazione. Si tratta della risoluzione 19 febbraio 2002,
nella quale, oltre a ribadire che l’obbligo degli Stati di conformarsi alle sentenze della Corte
implica l’adozione di tutte le misure di carattere individuale volte a mettere fine alle violazioni
riscontrate e a rimuovere per quanto possibile le conseguenze pregiudizievoli in capo alla
vittima, è stato sottolineato come, nell’ipotesi di processi penali celebrati in violazione delle
garanzie difensive previste dall’art. 6 della C.E.D.U. 101 , l’assenza di una norma procedurale che
100
Ci si riferisce, ad esempio, all’art. 363 del codice di procedura penale austriaco secondo cui se «la Corte europea dei diritti
umani, in una sentenza, accerta la violazione della Convenzione o di uno dei suoi Protocolli, causata da una decisione di un
tribunale penale, la procedura in questione deve essere rinnovata, allorché non si possa escludere che la violazione riscontrata
possa aver avuto un’incidenza negativa sulla decisione assunta dal tribunale penale per la persona interessata», all’art. 359 del
codice di procedura penale tedesco, che contempla la possibilità di richiedere la revisione del processo nel caso in cui «la Corte
europea dei diritti umani ha riscontrato una violazione della Convenzione e dei suoi Protocolli e la sentenza nazionale si basa su
tale violazione», all’art. 626 del codice di procedura penale francese che ha previsto il riesame, previa attività di filtro da parte di
commissione istituita presso la Corte di Cassazione, di una decisione penale definitiva quando da una pronuncia della Corte
europea risulti che la condanna sia stata pronunciata in violazione della CEDU, qualora per natura e gravità la violazione stessa
comporti per il condannato conseguenze dannose alle quali l’equa equiparazione concessa sulla base dell’art. 41 CEDU non
possa porre rimedio.
101
La risoluzione fa specifico riferimento a due provvedimenti: la sentenza 28 agosto 1991, F.C.B. c. Italia, in cui la Corte ha
constatato la violazione dell’art. 6 della Convenzione perché il processo a carico del ricorrente si era svolto in absentia, e la
risoluzione 15 aprile 1999, Dorigo c. Italia, con cui il Comitato dei Ministri ha riscontrato una violazione dell’art. 6 per essersi la
condanna del ricorrente basata in misura determinante sulle dichiarazioni rese da coimputati avvalsosi nel dibattimento della
facoltà di non rispondere.
Sul caso Dorigo (Corte europea dei diritti dell’uomo e del cittadino, 9 settembre 1998 e Cassazione, I Sez. Pen., 1 dicembre 2006
- 25 gennaio 2007) si vedano, tra i numerosi contributi dottrinari, quelli di: BALSAMO, La Cassazione e il caso Dorigo: nuovi
orizzonti della giurisdizione penale nella tutela dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea, in Riv. Dir. Proc.,
2007, 1073 e ss.; CONTI, La Corte dei diritti dell'uomo e la Convenzione europea prevalgono sul giudicato - e sul diritto –
nazionale, in Corr. Giur., 2007, 689 e ss.; DE MATTEIS, Le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo ed il giudicato
penale: osservazioni intorno al caso "Dorigo", in Cassazione penale, 2007, 1441 e ss.; GUAZZAROTTI, Il "caso Dorigo": una
piccola rivoluzione nei rapporti tra Cedu e ordinamento interno?, in www.forumcostituzionale.it; LUPO, La vincolatività delle
sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo per il giudice interno e la svolta recente della Cassazione civile e penale, in
Cassazione penale, 2007, 2247 e ss.; MAZZA, L'esecuzione può attendere: il caso Dorigo e la condanna ineseguibile per
accertata violazione della CEDU, in Giur. It., 2007, 2637 e ss.; PALOMBINO, Sulla idoneità del giudicato di Strasburgo a rendere
inefficace il giudicato nazionale, in Giur. It., 2007, 2281 e ss.; PLASTINA, Caso Dorigo: la Cassazione ritorna sui rapporti tra
giudicato penale interno e sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, in Diritti dell’Uomo, 2007, 41 e ss.; PUGIOTTO,
Verso la revisione del giudicato penale in caso di violazione della CEDU accertata dalla Corte di Strasburgo, in Studium iuris,
2007, 1075 e ss.
124
permetta la revisione degli stessi comporti l’impossibilità di porre rimedio alle serie e perduranti
conseguenze delle violazioni accertate («the absence of means to reopen the impugned
proceedings has made it impossibile fully to rectify the serious and continuing consequences of
the violations found»).
Nonostante gli auspici formulati in quell’occasione dal Comitato dei Ministri, e ribaditi in
successive risoluzioni indirizzate al governo italiano 102 , i disegni di legge in materia di revisione
del processo a seguito di una sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, non sono ancora
stati posti in votazione 103 .
Sempre sul tema dell’efficacia delle sentenze è inoltre intervenuto il Protocollo n. 14 alla
Convenzione, firmato a Strasburgo il 13 maggio 2004, integrando l’art. 46 nella parte relativa
all’esecuzione 104 .
In particolare si attribuisce al Comitato dei Ministri, nell’ipotesi in cui il controllo
dell’esecuzione di una sentenza definitiva «sia ostacolato da una difficoltà d’interpretazione di
tale sentenza», la facoltà di adire la Corte affinché essa si pronunci su tale questione
d’interpretazione.
Inoltre, qualora uno Stato contraente rifiuti di conformarsi a una sentenza definitiva
pronunciata in una controversia che lo riguardi, il suddetto Comitato può, a seguito di
ammonizione, deferire la “questione di inadempimento” alla Corte, la quale, accertata la
violazione dell’obbligo, rinvia al Comitato «affinché esamini le misure da adottare». La
102
Si tratta delle risoluzioni del Comitato dei Ministri (2004)13, (2005)85 e (2007)83. Allo stesso modo, l’Assemblea
parlamentare del Consiglio d’Europa nella Risoluzione n. 1516 (2006) – adottata il 2 ottobre 2006, in materia di attuazione delle
sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo – ha deplorato la circostanza che «in Italia, e, in una certa misura, in Turchia, la
legge non prevede ancora la riapertura dei processi penali per i quali la Corte abbia constatato violazioni alla CEDU e questi due
Stati non hanno adottato altre misure per ripristinare il diritto dei ricorrenti ad un equo processo malgrado le domande pressanti e
ripetute del Comitato dei Ministri e dell’Assemblea (tra numerosi altri casi Dorigo c. Italia e Hulki Gunes c. Turchia)».
103
Si vedano i progetti di legge n. 1447 del 31 luglio 2001 e n. 1992 del 20 novembre 2002 (con cui si propone di aggiungere, tra
i motivi di revisione di cui al 1° comma dell’art. 630 c.p.p., una lettera d-bis) «se è stata accertata con sentenza della Corte dei
diritti dell’uomo la violazione dell’art. 6, paragrafo 3, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848») , nonché, più recentemente,
il disegno di legge n. 1797 del 18 settembre 2007 in cui si propone l’introduzione di un nuovo titolo IV-bis, nel libro IX del
codice di procedura penale, destinato a disciplinare una ipotesi di revisione “speciale” delle sentenze di condanna, «quando la
Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato con sentenza definitiva la violazione di taluna delle disposizioni di cui
all’articolo 6, paragrafo 3, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai
sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848» con lo scopo, da un lato, di «confermare la natura straordinaria del rimedio» e, dall’altro,
di «tenere distinto l’istituto in esame da quello della revisione della sentenza di cui agli articoli 629 e seguenti del codice di
procedura penale. E ciò per una serie di ragioni, la prima delle quali risiede nella non automaticità della rinnovazione dell’intero
processo (come precisato nel successivo articolo 647-septies), quando vi sia stata una pronuncia della Corte di Strasburgo che
abbia riconosciuto la cosiddetta iniquità del processo celebrato in Italia; automatismo che rimane, invece, connotato essenziale
della revisione dell’attuale sistema processuale». In argomento, si cfr. SACCUCCI, Revisione dei processi in ottemperanza alle
sentenze della Corte europea: riflessioni de jure condendo, in Dir. Pen. e Proc., 2002, 247 e ss.
104
In proposito SAVARESE, Il protocollo n. 14 alla convenzione europea dei diritti dell'uomo (commento al protocollo n. 14 alla
convenzione europea dei diritti dell'uomo), in Riv. Dir. Int., 2004, 714 e ss.
125
procedura d’infrazione descritta non è però ancora entrata in vigore, mancando l’adesione al
Protocollo di quattro dei 46 Stati della Convenzione 105 .
Ad ogni modo, l’esistenza della lacuna normativa in tema di restituito in integrum è stata
oggetto di una recente decisione di monito da parte del giudice delle leggi.
Con la sentenza 30 aprile 2008, n. 129 106 , la Corte costituzionale si è pronunciata nel senso
dell’infondatezza dellla questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Corte di appello di
Bologna, investita dell’istanza di revisione della sentenza di condanna resa in accertata
violazione della C.E.D.U. 107 , nei confronti dell’art. 630, 1° comma, lettera a), c.p.p. «nella parte
in cui esclude, dai casi di revisione, l’impossibilità che i fatti stabiliti a fondamento della
sentenza o del decreto di condanna si concilino con la sentenza della Corte europea che abbia
accertato l’assenza di equità del processo, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo», con riferimento agli artt. 3, 10 e 27 Cost. 108
Più in particolare, la Corte, nell’escludere ogni contrasto con l’art. 10 Cost., richiamando la
propria
giurisprudenza
in
tema
di
inapplicabilità
della
disposizione
costituzionale
sull’“adattamento automatico” alle norme di derivazione pattizia, come la C.E.D.U.,
giurisprudenza da ultimo ribadita nelle sentenze nn. 348 e 349 del 2007 109 , rilevando come la
105
Il legislatore italiano, al contrario, si è spinto anche al di là della mera ratifica operata con la L. n. 280 del 2005 (Ratifica ed
esecuzione del Protocollo n. 14 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali emendante
il sistema di controlli della Convenzione, fatto a Strasburgo il 13 maggio 2004): la L. n. 12 del 2006 ha infatti inserito nell’art. 5,
3° comma, della L. 400/88, relativo alle attribuzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri, la disposizione secondo cui il
Presidente del Consiglio «promuove gli adempimenti di competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte europea
dei diritti dell’uomo emanate nei confronti dello Stato italiano; comunica tempestivamente alle Camere le medesime pronunce ai
fini dell’esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti e presenta annualmente al Parlamento una
relazione sullo stato di esecuzione delle suddette pronunce». Per un commento alla legge ed al relativo disegno di legge n. 5872
del 25 maggio 2005 si veda RAIMONDI, Nuove disposizioni in materia di esecuzione delle sentenze della Corte europea: una
buona legge, in I diritti dell’Uomo, 2006, 75 e ss. e ROCCO, Esecuzione rapida delle sentenze di condanna della Corte europea
dei diritti dell'uomo, in Cons. Stato, 2005,1663 e ss.
106
Sulla quale si vedano i commenti di CAMPANELLI, La sentenza 129/2008 della Corte costituzionale e il valore delle decisioni
della Corte Edu: dalla ragionevole durata alla ragionevole revisione del processo, in www.giurcost.org, CIUFFETTI, Prime
osservazioni sulla sentenza della Corte costituzionale n. 129 del 2008, in www.federalismi.it, SCIARABBA, Il problema
dell’intangibilità del giudicato tra Corte di Strasburgo, giudici comuni, Corte costituzionale e…legislatore?, in
www.forumcostituzionale.it.
107
In particolare la condanna del ricorrente era stata fondata su dichiarazioni rese prima del processo da tre coimputati “pentiti”
senza che il ricorrente avesse potuto ottenerne l’interrogatorio.
108
In particolare, ad avviso del giudice remittente la disposizione censurata, nell’ammettere la revisione per l’ipotesi di contrasto
tra i fatti stabiliti nella pronuncia di condanna del giudice penale e quelli posti a fondamento di altra sentenza penale irrevocabile
del giudice ordinario o di un giudice speciale, ma non anche per l’ipotesi in cui il contrasto si verifichi rispetto alla sentenza della
Corte di Strasburgo, avrebbe determinato una ingiustificata discriminazione tra casi simili. Una tale esclusione dalle ipotesi di
revisione era stata ritenuta in contrasto anche con l’art. 10 Cost. sulla base ragionamento secondo cui le disposizioni della
C.E.D.U. appartengono al diritto internazionale generalmente riconosciuto cui l’ordinamento nazionale si conforma, in quanto
riproduttive di norme consuetudinarie, tra le quali rientra anche la presunzione di innocenza, che comporterebbe il diritto alla
revisione del processo ove questo si sia svolto con lesione del diritto ad un equo processo e si sia concluso con condanna. Il
giudice a quo aveva infine denunciato la violazione dell’art. 27 Cost., in considerazione del fatto che «nessun condannato potrà
sentire il dovere di rieducarsi e di riadattarsi alle regole sociali, se queste regole lo hanno condannato secondo un processo privo
di equità; correlativamente, lo Stato non potrà pretendere dal condannato la rieducazione e il reinserimento nella società, se lo ha
giudicato secondo regole inique».
109
Corte costituzionale, 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349. Per dei riferimenti dottrinari sulle pronunce, si cfr. la relativa nota al cap.
2, par. 2. Nel respingere la medesima censura, il giudice costituzionale ha inoltre ritenuto inconferente il riferimento alla
126
materia dei rimedi revocatori non si presti ad un intervento additivo in sede di pronuncia di
illegittimità costituzionale parziale della denunciata lacuna normativa, essendo suscettibile di
essere disciplinata sulla base di diverse e molteplici opzioni, ha però rivolto un monito al
legislatore affinché adotti «i provvedimenti ritenuti più idonei, per consentire all’ordinamento di
adeguarsi alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo che abbiano riscontrato, nei
processi penali, violazioni ai principi sanciti dall’art. 6 della CEDU».
In attesa dell’auspicato intervento legislativo, il principio convenzionale della restitutio in
integrum ha comunque trovato un progressivo riconoscimento in sede giurisprudenziale 110 .
In particolare, la Cassazione si è occupata dell’efficacia delle sentenze C.E.D.U.,
soffermandosi più specificatamente sul problema dei limiti temporali, con una decisione, la
sentenza 3 ottobre 2006, n. 32678, sulla quale appare opportuno soffermarsi.
Il Collegio, nell’affrontare la questione 111 , ha ribadito l’efficacia precettiva delle norme
della Convenzione europea, ricordando che sul punto ha avuto modo di esprimersi anche il
giudice costituzionale 112 113 . Ad avviso della Corte di Cassazione «la ratifica senza riserve da
presunzione di innocenza, quale norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta, così delineando i rapporti tra il
suddetto principio e lo strumento processuale della revisione del processo: «il principio di presunzione di non colpevolezza non si
pone in contrasto con la esigenza di salvaguardare il valore del giudicato, la cui ineludibile funzione è stata più volte affermata da
questa Corte (si vedano, al riguardo, le sentenze n. 74 del 1980; n. 294 del 1995; n. 413 del 1999 e le ordinanze nn. 14 e 501 del
2000). La presunzione di non colpevolezza accompagna lo status del “processando” ed impedisce sfavorevoli “anticipazioni” del
giudizio di responsabilità; ma essa si dissolve necessariamente (sul piano sintattico, ancor prima che giuridico) allorché il
processo è giunto al proprio epilogo, trasformando la posizione di chi vi è sottoposto da imputato – presunto non colpevole – in
condannato, con una statuizione di responsabilità irrevocabile. La revisione mira a riparare un (ipotetico) errore di giudizio, alla
luce di “fatti” nuovi; non a rifare un processo (in ipotesi) iniquo. La presunzione di innocenza, in sé e per sé, non ha dunque nulla
a che vedere con i rimedi straordinari destinati a purgare gli eventuali errores, in procedendo o in iudicando che siano».
110
Si veda, in particolare, Cass., 26 gennaio 2004, n. 1338, nella quale la Corte ha avuto modo di precisare che «poiché il fatto
costitutivo del diritto attribuito dalla legge 89/2001 consiste in una determinata violazione della C.E.D.U., spetta al Giudice della
C.E.D.U. individuare tutti gli clementi di tale fatto giuridico, che pertanto finisce con l’essere “conformato” dalla Corte di
Strasburgo, la cui giurisprudenza si impone, per quanto attiene all’applicazione della legge 89/2001, ai giudici italiani (…)
L’opposta tesi, diretta a consentire una sostanziale diversità tra l’applicazione che la legge 89/2001 riceve nell’ordinamento
nazionale e l’interpretazione data dalla Corte di Strasburgo al diritto alla ragionevole durata del processo, renderebbe priva di
giustificazione la detta legge 89/2001 e comporterebbe per lo Stato italiano la violazione dell’articolo 1 della C.E.D.U., secondo
cui “le Parti Contraenti riconoscono ad ogni persona soggetta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà definiti al titolo primo
della presente Convenzione” (in cui è compreso il citato articolo 6, che prevede il diritto alla definizione del processo entro un
termine ragionevole)». Si esprimono in termini identici Cass., 26 gennaio 2004, nn. 1339, 1340 e 1341 e Id., 23 dicembre 2005,
n. 28507.
111
La Corte era stata chiamata a pronunciarsi su un ricorso avverso un’ordinanza con cui la Corte d’appello di Bologna aveva
dichiarato inammissibile l’istanza di restituzione in termini per proporre impugnazione contro la sentenza di condanna
pronunciata dal Tribunale di Rimini in un procedimento contumaciale, considerato dalla Corte di Strasburgo in violazione
dell’art. 6 C.E.D.U., con una decisione del 18 maggio 2004.
In precedenza la difesa del condannato aveva chiesto il riesame del processo al fine di ottenere la restitutio in integrum
conseguente all’accertata violazione da parte della Corte Europea: la Corte d’appello di Ancona aveva però dichiarato
inammissibile l’istanza di revisione, argomentando come in realtà il rimedio idoneo, ai fini prospettati dal ricorrente, fosse non
già l’istituto della revisione, bensì proprio quello della remissione in termini di cui al 2° comma dell’art. 175 c.p.p.
112
Si tratta di Corte cost., 19 gennaio 1993, n. 10 (in Giur. Cost., 1993, 52 e ss. con nota di LUPO, Il diritto dell’imputato
straniero dell’assistenza dell’interprete tra codici e convenzioni internazionali. Sui rapporti tra norme interne e della
Convenzione si vedano GUAZZAROTTI, I giudici comuni e la Cedu alla luce del nuovo art. 117 della Costituzione, in Quad. Cost.,
2003, 25 e ss.; RANDAZZO, Giudici comuni e Corte europea dei diritti, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2002, 1303 e ss.; SANTOLI, La
disapplicazione di leggi ordinarie in contrasto con la Cedu in Italia e in Francia (Osservazione a ord. App. Roma sez. lav. 11
aprile 2002 Corte di Cassazione 4 settembre 2001, n. 5302 Francia), in Giur. Cost., 2002, 2227 e ss.), nella quale la Corte
costituzionale ha infatti affermato che, trattandosi di «norme derivanti da una fonte riconducibile a una competenza atipica»,
127
parte dell’Italia di una norma pattizia di tale portata è chiaramente indicativa di una precisa
volontà del legislatore di questo Paese di accettare incondizionatamente la forza vincolante
delle sentenze della Corte di Strasburgo. La qual cosa non può che confortare l’indirizzo
giurisprudenziale che sta facendosi strada, nel senso di un preciso obbligo giuridico del giudice
nazionale italiano, in materia di diritti dell’uomo, a conformarsi alla giurisprudenza di quella
Corte» e ciò anche nell’ipotesi in cui comporti «la necessità di mettere in discussione, attraverso
il riesame o la riapertura dei procedimenti penali, l’intangibilità del giudicato».
Le argomentazioni della sentenza n. 32678 sono state poi riprese nella sentenza 25 gennaio
2007 n. 2800, con cui la Cassazione si è occupata dei profili inerenti l’esecuzione della sentenza
di condanna pronunciata in accertata violazione della C.E.D.U. 114
In particolare, partendo dalla premessa che «gli effetti della sentenza della Corte [EDU]
hanno una incidenza non limitata alla sfera sovranazionale, ma sono costitutivi di diritti e di
obblighi operanti anche all'interno dell'ordinamento nazionale, è consequenziale riconoscere che
il diritto alla rinnovazione del giudizio, sorto per effetto di quella sentenza, è concettualmente
incompatibile con la persistente efficacia del giudicato, che resta, dunque, neutralizzato sino a
quando non si forma un'altra decisione irrevocabile a conclusione del nuovo processo», è stato
affermato che «il giudice italiano è tenuto a conformarsi alle sentenze pronunciate dalla Corte
[EDU] e, per conseguenza, deve riconoscere il diritto al nuovo processo, anche se ciò comporta
la necessità di mettere in discussione, attraverso il riesame o la riapertura del procedimento
penale, l'intangibilità del giudicato» ed, in particolare, che «il giudice dell’esecuzione deve
dichiarare, a norma dell’art. 670 del codice di procedura penale, l’ineseguibilità del giudicato
quando la Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
abbia accertato che la condanna è stata pronunciata per effetto della violazione delle regole sul
processo equo sancite dall’art. 6 della Convenzione europea e abbia riconosciuto il diritto del
condannato alla rinnovazione del giudizio, anche se il legislatore abbia omesso di introdurre
nell’ordinamento il mezzo idoneo ad instaurare il nuovo processo» 115 .
introdotte nell’ordinamento italiano «con la forza di legge propria degli atti contenenti i relativi ordini di esecuzione», esse sono
«insuscettibili di abrogazione o di modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria».
113
Corte cost., 19 gennaio 1993, n. 10, in Giur. Cost., 1993, 52 e ss. con nota di LUPO, Il diritto dell’imputato straniero
dell’assistenza dell’interprete tra codici e convenzioni internazionali. Sui rapporti tra norme interne e della Convenzione si
vedano GUAZZAROTTI, I giudici comuni e la Cedu alla luce del nuovo art. 117 della Costituzione, in Quad. Cost., 2003, 25 e ss.;
RANDAZZO, Giudici comuni e Corte europea dei diritti, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2002, 1303 e ss.; SANTOLI, La
disapplicazione di leggi ordinarie in contrasto con la Cedu in Italia e in Francia (Osservazione a ord. App. Roma sez. lav. 11
aprile 2002 Corte di Cassazione 4 settembre 2001, n. 5302 Francia), in Giur. Cost., 2002, 2227 e ss.
114
A. GUAZZAROTTI, Il caso Dorigo: una piccola rivoluzione nei rapporti tra CEDU e ordinamento interno?, cit.
115
In termini parzialmente diversi si veda, invece, Cassazione 2 febbraio 2007, n. 4395 secondo cui in caso di condanna
pronunciata all’esito di un giudizio contumaciale giudicato non equo dalla Corte europea per i diritti dell’uomo, il condannato,
onde ottenere la rinnovazione del giudizio, può avvalersi unicamente dell’istituto della rimessione in termini per la proposizione
128
Alle sentenze della C.E.D.U. viene dunque ad essere riconosciuta, seppur solo in via
giurisprudenziale, non solo un’efficacia vincolante ma anche l’idoneità a superare il principio
dell’intangibilità del giudicato.
8. Profili problematici in relazione al “giudicato costituzionale”: la disapplicazione delle
norme “create” dalla Corte − Occorre a questo punto domandarsi se una deroga al principio
dell’intangibilità del giudicato possa trovare applicazione in presenza di un contrasto tra una
decisione interpretativa del giudice comunitario ed un giudicato costituzionale che si sia
pronunciato su una disposizione di diritto interno posta a tutela di un diritto riconosciuto anche
dall’ordinamento comunitario e, quindi, in ultima analisi, se una sentenza della Corte
costituzionale possa essere disapplicata qualora risulti incompatibile con una successiva
pronuncia della Corte di giustizia avente il medesimo oggetto.
La questione rimane sullo sfondo di una discussa pronuncia del Consiglio di Stato dell’8
giugno 2005 nella causa Admenta 116 , la cui vicenda processuale vale la pena ricordare ai fini di
un migliore inquadramento della problematica.
Con ricorso al T.a.r. Lombardia, la società Federfarma aveva impugnato gli atti di un
procedimento con cui il Comune di Milano era pervenuto all’affidamento del controllo della
società che gestisce le farmacie comunali alla società Admenta Italia. Tra le varie censure,
veniva, in particolare, prospettata una questione di legittimità costituzionale, per contrasto con
gli artt. 3 e 32 Cost., dell’art. 8 della legge n. 362 del 1991 che dispone, con esclusivo riguardo
alla partecipazione a società di persone ed a società cooperative a responsabilità limitata che
dell’impugnazione, come disciplinato dall’art. 175, commi 2 e 2-bis c.p.p., rimanendo escluso che lo stesso condannato possa
ottenere la declaratoria di non eseguibilità della condanna, semplicemente proponendo incidente di esecuzione ai sensi dell'art.
670 cod. proc. pen., senza nel contempo avanzare, come tra l'altro previsto dal comma terzo dello stesso art. 670, anche richiesta
di restituzione in termini.
116
Si tratta di Cons. Stato, V Sez., 8 agosto, 2005, n. 4207 commentata da ADINOLFI, Rapporti tra norme comunitarie e norme
interne integrate da pronunce additive della Corte costituzionale: un orientamento (…«sperimentale») del Consiglio di Stato, in
Riv. Dir. Internaz., 2006, 139 e ss.; BARONE, A proposito della sentenza Federfarma: fra tutela del consumatore e tutela
costituzionale dei diritti fondamentali il Consiglio di stato smarrisce la retta via?, in Dir. Unione europea, 2006, 201 ss.;
CAPUANO, Norme fondamentali del Trattato CE private dell’effetto diretto, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2006, 241; CELOTTO, I
controlimiti “presi sul serio”, nota a margine della sentenza del Cons. St., sez. V, n. 4207 del 2005, in www.giustamm.it;
DANIELE, La protection des droits fondamentaux peut-elle limiter la primauté du droit communitaire et l’obligation de renvoi
prejudiciel?, in Cahiers de droit européen, 2006, 67 ss.; DOLSO, AMADEO, Il Consiglio di Stato tra Corte costituzionale e Corte
di giustizia, in Giur. Cost., 2006, 785 e ss.; LIGNANI, Giudicato della Corte costituzionale e questione di pregiudizialità alla
Corte di Giustizia: Limiti e controlimiti, in Foro Amm. Cons. Stato, 2005, 2652 e ss.; MORBIDELLI, Controlimiti o contro la
pregiudiziale comunitaria, in Giur. Cost., 2005, 3404 e ss.; PISTORIO, A questionable decision of the Italian Council of State:
«Much odo about nothing»?, in corso di pubblicazione su Europ. Const. Law Rev., 2006; POLLICINO, Il difficile riconoscimento
delle implicazioni della supremazia del diritto europeo: una discutibile pronuncia del Consiglio di Stato, in Riv. It. Dir. Pubbl.
Com., 2006, I, 1939 e ss.; RUGGERI, Le pronunzie della Corte costituzionale come “controlimiti” alle cessioni di sovranità a
favore dell’ordinamento comunitario?, nota a margine di Cons. St., sez. V, n. 4207 del 2005, in www.forumcostituzionale.it;
SCHILLACI, Un (discutibile) caso di applicazione dei «controlimiti», in Giur. It., 2006, 2026 e ss.
129
siano titolari dell’esercizio di una farmacia privata, l’incompatibilità «con qualsiasi altra attività
esplicata nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione scientifica
del farmaco». Il T.a.r., ritenendo la questione rilevante e non manifestatamene infondata, aveva
investito la Corte costituzionale, la quale, con la sentenza n. 275 del 2003, aveva accolto la
questione, dichiarando l’illegittimità costituzionale del suddetto articolo nella parte in cui «non
prevede che la partecipazione a società di gestione di farmacie comunali è incompatibile con
qualsiasi altra attività nel settore della produzione, distribuzione, intermediazione e informazione
scientifica del farmaco». Conseguentemente il T.a.r., con sentenza 29 settembre 2004 n. 4195, si
pronunciava per l’illegittimità del bando, nella parte in cui consentiva la partecipazione della
Admenta alla gara per la scelta del socio della società che avrebbe gestito le farmacie comunali,
e di tutti gli atti conseguenti, compresa la aggiudicazione.
La società che aveva così visto annullata l’aggiudicazione in suo favore e
l’Amministrazione proponevano allora appello avverso la decisione, denunciando il contrasto
della disposizione, nel testo modificato dalla pronuncia della Corte costituzionale, con i principi
del diritto comunitario di cui agli artt. 12, 43, 56 T.C.E. (precisamente con principio di non
discriminazione, libertà di stabilimento e libera circolazione dei capitali) e chiedendo,
alternativamente, la disapplicazione della norma nazionale o la rimessione della questione alla
Corte di giustizia ai sensi dell’art. 234 T.C.E.
Il Consiglio di Stato, dopo avere rilevato l’impossibilità di procedere alla disapplicazione
«per difetto di una disciplina comunitaria direttamente applicabile», ovvero di addivenire ad
un’interpretazione conforme al diritto comunitario 117 , ha altresì escluso un proprio obbligo di
rimessione della questione alla Corte di giustizia, in ragione della sua qualificazione di giudice di
ultima istanza, per irrilevanza della stessa ai fini della decisione della causa.
Più precisamente, secondo i giudici di Palazzo Spada «occorre richiamare l’attenzione sulla
circostanza che la norma, della quale sarebbe dubbia la compatibilità con alcuni principi del
Trattato CE, non scaturisce dalla attività del potere legislativo, ma è il frutto di un giudizio di
legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 134 della Costituzione (…) La Corte infatti è
intervenuta in un’area riservata alla sua giurisdizione che non è stata intaccata dal trasferimento a
favore della Corte di giustizia delle competenze interpretative sul Trattato CEE, e pertanto
117
Ad avviso del Consiglio di Stato, infatti, tale soluzione «può ammettersi quando la lettura conforme al Trattato sia tra quelle
possibili, cioè sia compatibile con il testo della disposizione e non da questo manifestamente impedita (…) la norma inserita
nell’art. 8, comma 1, lett. a) della legge n. 362 del 1991, non può che essere interpretata nel senso della incompatibilità del
contemporaneo svolgimento delle due attività considerate, e la pretesa disapplicazione del detto precetto non rientrerebbe nel
fenomeno della preferenza per la norma comunitaria, che non esiste, ma equivarrebbe ad una vera e propria abrogazione da parte
del giudice, con disapplicazione della sentenza della Corte costituzionale».
130
rimane insensibile al paventato contrasto della modifica introdotta con principi comunitari.
Potrebbe obiettarsi che la Corte costituzionale non ha preso in esame il problema del possibile
conflitto tra la modifica introdotta e il Trattato, e che, pertanto, il quesito proposto dagli
appellanti attende ancora la soluzione da parte dall’Autorità comunitaria competente, e ad essa
deve essere rimesso. A tale riguardo il Collegio non ha motivo di pronunciarsi sulla possibilità
che si svolga nel futuro, anche prossimo, un giudizio della Corte di giustizia sulla compatibilità
della norma italiana con il Trattato, a seguito dell’esercizio delle competenze proprie degli
organi comunitari. Ritiene invece non consentito che il giudice nazionale in presenza di una
statuizione della Corte costituzionale che lo vincola alla applicazione della norma
appositamente modificata in funzione della tutela di un diritto fondamentale, possa prospettare
alla Corte del Lussemburgo un quesito pregiudiziale della cui soluzione non potrà comunque
tenere conto, perché assorbita dalla decisione della Corte italiana, incidente nell’area della
tutela dei diritti ad essa riservata».
Varie sono le prospettive di analisi critica cui si prestano le argomentazioni della
pronuncia. Tuttavia, al fine di individuare una possibile risposta al quesito che ci si è posti
inizialmente, occorre soffermarsi su quelle relative al diniego di disapplicazione della norma
interna.
L’impossibilità di procedere alla disapplicazione è infatti dedotta dalla ritenuta carenza
della diretta applicabilità della disciplina comunitaria coinvolta nell’antinomia (i principi
generali del Trattato) 118 ed,
implicitamente, dalla derivazione della norma interna da una
pronuncia additiva della Corte costituzionale.
Quanto al profilo dell’assenza di un disciplina comunitaria direttamente applicabile, va
sottolineato che la giurisprudenza comunitaria riconosce effetto diretto ai principi del Trattato119 .
Conseguentemente, non sembra che sussistesse il rilevato ostacolo alla disapplicazione.
118
In particolare, il Consiglio di Stato ha affermato che l’attività di interpretazione di un principio generale enunciato dal
Trattato, e di verifica della compatibilità della norma interna con il principio medesimo, dovrebbe essere devoluta alla Corte di
giustizia, in quanto, in caso contrario, «il giudice nazionale, anziché risolvere il caso secondo la disciplina comunitaria adottata
dagli organi competenti, finirebbe per creare esso stesso la norma mancante, con inammissibile stravolgimento della distinzione e
della separazione tra le fondamentali potestà di creazione e applicazione del diritto».
119
Sull’efficacia diretta si veda l’orientamento inaugurato da Corte di giustizia della comunità Europee, 5 febbraio 1963, causa
26/62, Van Gend en Loos. In dottrina, tra i molti contributi, si vedano PESCATORE, The Docrine of «Direct Effect»: an Infant
Disease of Community Law, in European Law Review, 1983, 155 e ss.; CRAIG, Direct effect, indirect effect and the construction
of national legislation, in European Law Review, 1997, 519 e ss.; AA.VV., Direct effect: Rethinking a classic of EC Legal
Doctrine, a cura di Prinssen, Groningen, 2002. Con particolare riguardo ai principi desumibili dal Trattato, si veda la recente
sentenza Corte di giustizia delle Comunità Europee, 22 novembre 2005, C-144/04, Mangold, commentata da MASSA PINTO, La
Corte di Giustizia ricorda (involontariamente) alla Corte costituzionale lo strumento per riappropriarsi, almeno in parte, della
competenza a giudicare in ordine alla conformità delle fonti statali all’ordinamento comunitario?, in www.costituzionalismo.it,
CALVANO, Il caso “Mangold”: la Corte di giustizia afferma (senza dirlo) l’efficacia orizzontale di una direttiva comunitaria non
scaduta?, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, e PATERNITI, La Corte di Giustizia apre al «sindacato diffuso di legittimità
comunitaria»?, in www.forumcostituzionale.it in cui si ribadisce che la garanzia dell’effetto utile impone al giudice interno la
131
Risulta, invece, più problematico valutare se tale ostacolo potesse derivare dal fatto che la
norma interna antinomica fosse coperta dal giudicato costituzionale, per essere frutto di una
interpretazione additiva, il che equivarrebbe ad attribuire alle sentenze della Corte la funzione di
“controlimiti” alla primazia del diritto comunitario.
Come ha fatto notare la più acuta dottrina 120 , la soluzione affermativa accolta dal Consiglio
Stato - che ha attribuito “rilievo decisivo” alla provenienza della norma dal dictum della Corte finisce per riconoscere alle norme forgiate dalla Corte un valore “supercostituzionale”, stante la
loro resistenza, analoga ai principi fondamentali dell’ordinamento, alle deroghe imposte dal
diritto comunitario.
Tuttavia, si tratta di chiarire se tale riconoscimento spetti a qualsiasi norma «per il solo
fatto che il giudizio di costituzionalità è, in sé e per sé, garanzia indefettibile della legalità
costituzionale, strumento di tutela dei principi fondanti l’ordinamento e, per ciò pure, principio
esso stesso», ovvero, se debba essere limitato alle sole ipotesi in cui la norma oggetto
dell’intervento additivo del giudice delle leggi sia espressione di diritti fondamentali, come nel
caso della norma sub iudice. Occorre, quindi, stabilire se l’irretrattabilità degli effetti della
decisione della Corte che accolga una questione di legittimità costituzionale, ricavabile dagli artt.
136 e 137 Cost., costituisca di per sé un “controlimite” alla applicazione del diritto comunitario,
ovvero, se le sentenze del giudice costituzionale attingano tale qualifica dalla materia oggetto del
giudicato.
Una risposta positiva nel senso della prima delle due alternative consentirebbe di
concludere che il giudicato costituzionale, pur “anticomunitario”, non possa più essere messo in
discussione, tanto nell’ipotesi di non conformità ab origine con uno dei principi del Trattato,
come nel caso sub iudice, quanto a maggior ragione nell’ipotesi di ius superveniens comunitario
discendente da una pronuncia della Corte di giustizia 121 .
La questione può essere affrontata cercando di determinare quale sia il grado resistenza
delle norme introdotte da una sentenza additiva o manipolativa e, per farlo, occorre delineare il
significato del divieto di impugnazione delle pronunce del giudice costituzionale e l’intensità del
vincolo discendente sul legislatore dagli effetti di una decisione di accoglimento.
Con riguardo alla prima questione, parte della dottrina ritiene che la disposizione dell’art.
137 Cost., sancendo il divieto di contestare la decisione della Corte davanti alla Corte stessa o ad
disapplicazione della norma interna incompatibile, in presenza di contrasto con un principio generale, nel caso di specie quello di
non discriminazione.
120
RUGGERI, Le pronunzie della Corte costituzionale come “controlimiti” alle cessioni di sovranità, cit.
121
Si è infatti in precedenza evidenziato come le sentenze della Corte di giustizia vanno assimilate, per quanto attiene al loro
rilievo giuridico nell’ambito del diritto interno, agli atti normativi dell’Unione.
132
altri giudici, determini la formazione del giudicato «formale» 122 : conseguentemente, la norma
«esclude che le decisioni della Corte costituzionale possano essere sottoposte al controllo di
qualsiasi altra autorità, ma non comporta alcuna rigida preclusione alla possibilità che alla Corte
sia consentito in misura maggiore o minore di ritornare sui propri provvedimenti» 123 .
La ratio della disposizione sul divieto di impugnazione risponde quindi all’esigenza di
tutelare l’autonomia ed indipendenza del giudice costituzionale ed, in definitiva, di salvaguardare
la natura accentrata del sindacato di costituzionalità 124 . Da questo punto di vista, il giudicato
costituzionale non risulta assistito da una garanzia di immutabilità assoluta, in quanto dovrebbe
ammettersi la possibilità di correzione delle sentenze ovvero di una loro revisione ad opera della
stessa Corte 125 .
Vi è poi un’interpretazione estensiva secondo cui la disposizione dell’art. 137 Cost. sarebbe
idonea a garantire l’“irreversibilità” degli effetti delle pronunce costituzionali 126 .
Secondo tale impostazione, la norma è volta a tutelare non solo l’autonomia e
l’indipendenza della Corte, ma anche la stabilità delle decisioni, il cui contenuto non sarebbe
disponibile neppure dallo stesso giudice costituzionale, dovendosi riconoscere il divieto, per
«ogni soggetto dell’ordinamento, compresa la stessa Corte, di tornare - nel senso di “riproporla”,
“riprodurla” ovvero di “pronunciarsi nuovamente” - su una questione già decisa» 127 .
122
Parla di giudicato formale, in riferimento all’art. 137, 3° comma, COSTANZO, Il dibattito sul giudicato costituzionale nelle
pagine di Giurisprudenza costituzionale (note sparse su un tema di perdurante attualità), in Corte costituzionale e processo
costituzionale, a cura di Pace, Milano, 2006, 218.
123
PIZZORUSSO, Garanzie costituzionali (artt. 134-137), in Commentario alla Costituzione, a cura di Branca, Bologna Roma,
1981, 695, nonché, più recentemente, COMOGLIO, Inoppugnabilità e limiti di correzione delle pronunce costituzionali, in Giur.
Cost., 1991, 1530 e PACE, Impugnazione (inammissibile) delle sentenze interpretative di accoglimento o, piuttosto,
“riconsiderazione” del decisum?, in Giur. Cost., 2001, 715 e ss.
124
Si cfr. GRASSI, Correzione o interpretazione autentica delle pronunce della Corte costituzionale?, in Giur. Cost., 1973, 1781 e
ss.
125
PIZZORUSSO, Garanzie costituzionali (artt. 134-137), cit., 695, per il quale l’art. 137, 3° comma, non esclude neppure la
possibilità di applicare al processo costituzionale l’istituto della revocazione di cui all’art. 395 c.p.c. e MORELLI, Art. 137, in
Commentario breve della Costituzione, a cura di Crisafulli e Paladin, Padova, 1990, 808.
126
RUGGERI, Storia di un “falso”, L’efficacia inter partes delle sentenze di rigetto della Corte costituzionale, Milano, 1990, 77,
che pone l’interpretazione a fondamento della, più discutibile, tesi secondo cui anche le sentenze di rigetto hanno un’efficacia
generale.
127
Così DAL CANTO, voce Giudicato costituzionale, in Enc. Dir., V aggiornamento, Milano, 2001, 434. Nello stesso senso,
MANFRELLOTTI, Effetti del giudicato costituzionale reso in sede di conflitto intersoggettivo e validità degli atti amministrativi, in
Giur. cost., 2006, 169.
Più problematica è l’applicazione del giudicato alle decisioni sui conflitti: parlano espressamente di «giudicato», con riferimento
alle decisioni dei conflitti di attribuzioni tra Stato e Regioni, MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1976, 1447;
PIZZORUSSO, voce Conflitto, in Novissimo Digesto italiano, Appendice, vol. II, Torino, 1981, 382; ZAGREBELSKY, La giustizia
costituzionale, Bologna, 1988, 360 e ss.; CERRI, Corso di giustizia costituzionale, Milano, 2004, 341 e ss.; RUGGERI, SPADARO,
Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino, 2004, 268 e ss.; VOLPE, Art. 137 – IV – La disciplina del procedimento nel
conflitto tra enti, in Commentario alla Costituzione, a cura di Branca, Bologna-Roma, 1981, 421; BIANCHI, Il conflitto di
attribuzioni tra Stato e Regioni, in Aggiornamenti in tema di processo costituzionale, a cura di Romboli, Torino, 1996, 324;
MANNELLI, Il conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni, in Aggiornamenti in tema di processo costituzionale, a cura di
Romboli, Torino, 1999, 319 e ss.; CHIARELLI, I conflitti di attribuzione, in La giustizia costituzionale, a cura di Maranini, Firenze,
1966, 60 e 67; sull’efficacia di giudicato delle sentenze emesse sui conflitti tra poteri si vedano PISANESCHI, I conflitti di
attribuzione tra i poteri dello Stato, Milano, 1992, 403 e ss.; MAZZIOTTI, I conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato, Milano,
1972, 61 e ss. e 187 e ss.; MAZZAROLLI, Sull’efficacia delle decisioni della Corte costituzionale sui conflitti di attribuzione tra
133
Anche alle sentenze della Corte, dunque, si applicherebbe l’istituto del giudicato
«sostanziale», espressione del principio generale della certezza delle situazioni giuridiche (oltre
che del ne bis in idem) 128 , risultando immutabili, nei confronti di chiunque, gli effetti che
l’ordinamento riconosce alle diverse tipologie di pronunce del giudice delle leggi.
In questo senso sembrerebbe esprimersi la stessa Corte, secondo cui «l’espressa esclusione
di qualsiasi impugnazione, in coerenza con la natura della Corte costituzionale e con il carattere
delle sue pronunce, pone una regola generale, priva di eccezioni, che non si limita ad interdire
gravami devoluti ad altri giudici, giacché non è configurabile un giudizio superiore rispetto a
quello dell’unico organo di giurisdizione costituzionale, ma impedisce anche il ricorso alla stessa
Corte contro le decisioni che essa ha emesso»: ad avviso del giudice costituzionale l’art. 137, 3°
comma, Cost. vieta dunque «qualsiasi tipo di impugnazione, qualunque sia lo strumento con il
quale è richiesto il sindacato sulle decisioni della Corte cost. …[risultando]… così inibita ogni
domanda diretta ad incidere su di una sentenza pronunciata dalla Corte e proposta per ottenerne
l’annullamento o la riforma, anche solo nella motivazione, ovvero ad eliderne gli effetti» 129 .
Un ulteriore elemento nel senso dell’applicazione dell’istituto del giudicato sostanziale alle
sentenze della Corte emergerebbe, inoltre, dall’art. 22, 1° comma, legge n. 87/1953, in base al
quale «nel procedimento davanti alla Corte costituzionale, salvo che per i giudizi sulle accuse di
cui agli artt. 43 e seguenti, si osservano, in quanto applicabili, anche le norme del regolamento
per la procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale». Questa disposizione,
come noto, rinvia in generale alle norme riguardanti il processo amministrativo, nell’ambito del
quale non si dubita dell’applicabilità dell’art. 2909 c.c., in virtù anche degli specifici appigli
normativi forniti dall’art. 37 legge n. 1034/1971 e dall’art. 28 t.u. Consiglio di Stato.
potere legislativo e autorità giurisdizionale e sui riflessi delle stesse sulla posizione delle parti processuali e sulle successive
determinazioni del giudice, in AA.VV., Scritti in onore di Livio Paladin, Napoli, 2004, III, 1318.
128
Secondo SANDULLI, Natura, funzione ed effetti delle pronunce della Corte costituzionale sulla legittimità delle leggi, in AA.
VV., Studi in onore di Emilio Betti, Milano, 1962, e ripubblicato in AA. VV., 1956-2006 – Cinquant'anni di Corte costituzionale,
I, Roma, 2006, 460, il giudicato sostanziale «è proprio di tutte le pronunce giurisdizionali inoppugnabili intervenute in processi di
cognizione autonomi»; in relazione ai conflitti tra poteri, PERINI, Il seguito e l’efficacia delle decisioni costituzionali nei conflitti
fra poteri dello Stato, Milano, 2003, 192 e ss., afferma che l’estensione del giudicato alle sentenze della Corte si giustifica per la
«concordanza di scopo» tra i due istituti, in quanto essi servono a «stabilizzare una data fattispecie in modo da evitare future
controversie».
129
Corte costituzionale, 26 febbraio 1998, n. 29, con nota di ROMBOLI, È ammissibile un conflitto contro la Corte
costituzionale?, in Foro It., 1998, I, 1364 e ss. Si cfr. inoltre PADULA, Conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni, giudicato
costituzionale e vincolo nei confronti dell’attività amministrativa e dei giudizi amministrativi e ordinari (intervento programmato
svolto al convegno di Modena su “Le zone d’ombra della giustizia costituzionale - I conflitti di attribuzioni” e destinato alla
pubblicazione nei relativi atti a cura di R. Pinardi per Giappichelli, Torino), secondo cui la sentenza n. 29 del 1998 sembra invece
escludere ricorsi volti ad incidere sul giudicato formale più che presupporre l’intangibilità degli effetti sostanziali della sentenza.
134
In conclusione, alla luce di tale orientamento, l’autorità del giudicato costituzionale si
sostanzia nel fatto che «le sentenze costituzionali costituiscono il punto di non ritorno e di
chiusura dell’ordinamento» 130 .
Tralasciando le ricostruzioni sulla portata del giudicato costituzionale, in relazione
all’oggetto dello stesso, ai soggetti che ne sono riguardati 131 , la seconda questione - relativa al
vincolo determinato dalla sussistenza di una pronuncia di illegittimità sulla futura attività del
legislatore - è affrontata principalmente sotto il profilo relativo alla possibilità di riproposizione
della norma dichiarata incostituzionale.
In proposito la dottrina è approdata ad opposte conclusioni.
La posizione di coloro che escludono la sussistenza di un vincolo giuridico opponibile al
legislatore si fonda su un’interpretazione dell’art. 136 Cost. alla luce del principio della
separazione dei poteri. È stato sostenuto che «dall’art. 136 Cost., il quale attiene al momento
dell’applicazione e non a quello della produzione delle norme», non «sia possibile trarre una
disposizione che vieti al legislatore di riprodurre una norma già dichiarata incostituzionale (…) e
che si ponga, quindi, a fondamento del vizio di violazione di legge costituzionale»: anzi, la
riproduzione della normativa caducata, anche con efficacia retroattiva, costituisce una soluzione
idonea ad evitare la «cristallizzazione della giurisprudenza» 132 . Alla legge riproduttiva è quindi
attribuita una «nuova efficacia normativa» che può essere rimossa solo da una nuova pronuncia
caducatoria della Corte 133 .
Secondo una impostazione intermedia, autorevolmente proposta 134 , occorre distinguere il
caso di una legge di “conferma” - che si limiti a richiamare o comunque a presupporre la
vigenza delle precedenti norme dichiarate incostituzionali ovvero, ancora, a convalidare atti
amministrativi emessi in esercizio di una disposizione attributiva del potere illegittima - da
quello della legge meramente “riproduttiva”. Solo la legge di “conferma”, stante la mancanza di
autonomia rispetto alla disciplina caducata, violerebbe il giudicato costituzionale.
130
Così RUGGERI, Fonti, norme, criteri ordinatori, Lezioni, Torino, 2001, 57.
Per una dettagliata ricostruzione della problematica si veda DAL CANTO, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi,
Torino, 2002 nonché PERINI, Il seguito e l’efficacia delle decisioni costituzionali, cit., 160 e ss.
132
In tal senso BARBERA, Giudicato costituzionale e poteri del giudice, in Giur. Cost., 1963, 612 e ss.
133
Così FALZEA, Aspetti problematici del seguito legislativo alle sentenze della Corte costituzionale, in AA. VV. Corte
costituzionale e Parlamento. Profili problematici e ricostruttivi, Milano, 2000, 169 e ss.
134
CRISAFULLI, “Riproduzione” o “conferma” di norme dichiarate incostituzionali, in Giur. Cost., 1966, 1109 e ss.
131
135
L’orientamento dottrinario prevalente 135 giunge, invece, a sostenere l’operatività del
vincolo derivante dal giudicato costituzionale nei confronti del legislatore valorizzando il
principio di rigidità costituzionale e, dunque, la ratio del sistema di controllo di costituzionalità
delle leggi. Secondo questa ricostruzione, il principio di divieto di riproduzione delle norme
dichiarate incostituzionali costituisce la necessaria conseguenza dell’essenza della natura di
«controllo sulla funzione legislativa» 136 attribuita al giudizio sulle leggi: sarebbe infatti
contradditorio ritenere legittima la possibilità che il Parlamento si sottragga all’esito del
controllo operato dalla Corte 137 .
Partendo dal presupposto della sussistenza di un obbligo giuridico gravante sull’esercizio
della funzione legislativa in forza dell’art. 136, la stessa dottrina ha però ricavato margini di
libertà, e dunque di legittimità, nell’adozione di disposizioni riproduttive.
Secondo un’impostazione emersa in sede di Assemblea costituente 138 , l’art. 136, 2°
comma, nel disporre che «la decisione della Corte è pubblicata e comunicata alle Camere e ai
Consigli regionali interessati, affinché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme
costituzionali», consentirebbe la riproduzione normativa ad opera di una legge costituzionale. Se
il legislatore, in coerenza con il principio di superiorità della Costituzione, riproducesse una
disciplina incostituzionale mediante il procedimento aggravato dell’art. 138, verrebbe di fatto ad
incidere sul parametro, eliminando la ragione di illegittimità, dovendo la Corte prendere atto di
tale mutamento 139 .
135
L’esistenza di un vincolo giuridico gravante sul legislatore in forza dell’art. 136 Cost. è prospettata da: ESPOSITO, Il controllo
giurisdizionale sulla costituzionalità delle leggi in Italia, in Saggi sulla Costituzione italiana, Padova, 1954, 269; ABBAMONTE, Il
processo costituzionale italiano, Napoli, 1957, 244; CHELI, Legge retroattiva di sanatoria e giudicato costituzionale, in Giur.
Cost., 1963, 599; RESCIGNO, Sanatoria ope legis di atti invalidi – Reiterabilità di disposizioni dichiarate incostituzionali, in Giur.
Cost., 1963, 1247; D’ORAZIO, Riproduzione di legge dichiarata incostituzionale e poteri presidenziali in sede di promulgazione
(spunti critici e ricostruttivi), Roma, 1968, 3; TREVES, Il valore del precedente nella giustizia costituzionale italiana, in La
dottrina del precedente nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Torino, 1971, 3 e ss.; PIZZORUSSO, Garanzie
costituzionali (artt. 134-137), in Commentario alla Costituzione, a cura di Branca, Bologna Roma, 1981, 192 e ID., Effetto di
“giudicato” ed effetto di “precedente” delle sentenze della Corte costituzionale, in Giur. Cost., 1966, 1991; MODUGNO, Corte
costituzionale e potere legislativo, in AA.VV., Corte costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, Bologna, 1982,
50; ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, Bologna, 1988, 327; ANZON, Autorità di precedente ed efficacia di “giudicato”
delle sentenze di accoglimento nei giudizi sulle leggi, in AA. VV., Strumenti e tecniche del giudizio della Corte costituzionale,
Milano, 1988, 284 e ID., Il valore del precedente nel giudizio sulle leggi, Roma, 1985; RUGGERI, Le attività “conseguenziali” nei
rapporti fra la Corte costituzionale e il legislatore (Premesse metodico-dogmatiche ad una teoria giuridica), Milano 1988, 37;
SPADARO, Limiti del giudizio costituzionale in via incidentale e ruolo dei giudici, Napoli, 1990, 219; ROMBOLI, ROSSI, voce
Giudizio di legittimità costituzionale, in Enc. Dir., V Agg., Milano, 2001.
136
Così MODUGNO, Ancora sui controversi rapporti tra Corte costituzionale e potere legislativo, in Giur. Cost., 1988, 19.
137
Sul punto ROMBOLI, ROSSI, Voce Giudizio, cit., 515.
138
Si veda in proposito l’intervento dell’On. Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione, in La Costituzione nei
lavori preparatori dell’Assemblea costituente, Roma, 1976, 4293 e ss.
139
In tal senso, si veda DAL CANTO, Il giudicato costituzionale, cit., 228 nonché ZANON, La Corte, il legislatore ordinario e
quello di revisione, ovvero del diritto all’ “ultima parola” al cospetto delle decisioni di incostituzionalità, in Giur. Cost., 1998,
3179 il quale peraltro sottolinea che la possibilità per il Parlamento di rivestire della forma costituzionale il contenuto di
disposizioni legislative dichiarate illegittime è una «condizione essenziale che consente a pieno titolo l’innesto degli istituti della
giustizia costituzionale nella democrazia contemporanea».
136
Un ulteriore margine di libertà per il legislatore risulta ricavabile valorizzando la
distinzione tra riproduzione pro praeterito e riproduzione pro futuro 140 .
Secondo l’opinione maggiormente diffusa in dottrina 141 , una legge riproduttiva di un’altra
dichiarata incostituzionale, la cui efficacia è proiettata per il futuro, non viola il giudicato
costituzionale, ma si pone semplicemente in contrasto con un precedente: conseguentemente,
potrà essere dichiarata illegittima per gli stessi motivi sui quali si basava la precedente decisione
della Corte relativa alla legge riprodotta. Qualora, invece, il legislatore pretenda di ripristinare
retroattivamente la normativa caducata, con riferimento alla fattispecie del giudizio a quo o
comunque con riferimento al periodo anteriore alla pubblicazione della sentenza, novandone la
fonte di validità, la nuova legge risulterebbe lesiva del giudicato costituzionale e, pertanto,
viziata da eccesso di potere legislativo 142 .
Alle medesime conclusioni sembra essere giunta la Corte costituzionale, quando è stata
chiamata a giudicare della legittimità di interventi legislativi in contrasto con l’art. 136 Cost. 143 .
La maggior parte delle pronunce, in adesione alla distinzione tra riproduzione pro praeterito e
pro futuro, mostrano approccio alla questione di tipo sostanzialistico 144 : perché si realizzi un
contrasto con il giudicato, non è ritenuta sufficiente la sola riproduzione, ma occorre verificare la
persistenza del vizio originario.
Ovviamente l’utilizzo dello strumento di revisione non sottrarrebbe comunque il legislatore ad un controllo del giudice delle
leggi: è ben noto infatti che anche le leggi costituzionali possono essere oggetto del sindacato della Corte qualora violino i
principi supremi dell’ordinamento costituzionale (si vedano, a riguardo, le vicende relative all’art. 513 c.p.p. ed in particolare,
Corte cost., 2 novembre 1998, n. 361, in Giur. Cost., 1998, 3083 e ss. con nota di ZANON, La Corte, il legislatore ordinario e
quello di revisione, cit. nonché in argomento CABIDDU, Ancora su Corte costituzionale e legislatore: tra l’art. 513 c.p.p. e il
“nuovo” art. 111 Cost., in Giur. Cost., 2001, 247)
139
Sulla distinzione si veda ZAGREBELSKY, La giustizia, cit., 327.
140
Sulla distinzione si veda ZAGREBELSKY, La giustizia, cit., 327.
141
Cfr. PIZZORUSSO, Garanzie, cit., 192, CRISAFULLI, Giustizia costituzionale e potere legislativo, in Dir. e soc., 1978, 67,
ANZON, Autorità di precedente, cit., 284.
142
Parte della dottrina ricostruisce, infatti, l’eccesso di potere legislativo non solo come vizio funzionale della legge inteso a
punire lo “sviamento” della stessa dagli scopi costituzionalmente prefissati, ma anche come “straripamento” della funzione
legislativa in ambiti riservati ad altri poteri: secondo tale ricostruzione, che ha come presupposto il principio di separazione tra i
poteri dello Stato, lo “straripamento” della funzione legislativa allude alle interferenze della stessa nell’esercizio delle potestà
amministrativa e giurisdizionale. Peraltro secondo alcuni i vulnera alla funzione amministrativa o giurisdizionale, acquisiscono
rilievo autonomo come fraudes constitutioni (ZANGARA, Limiti alla funzione legislativa nell’ordinamento italiano, in Scritti in
memoria di V. E. Orlando, II, Padova, 1957, 609 e ss.; MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, IX ediz., Padova, 1976, 993.
Contra: PALADIN, Legittimità e merito delle leggi nel processo costituzionale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1664, 314 e ss. Per
un’approfondita analisi dettagliata dell’ “eccesso di potere legislativo” nelle sue varie accezioni si veda SCACCIA,Gli "strumenti"
della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Milano, 2000, 143 e ss.
Peraltro, qualora non fosse sollevata la questione di legittimità, la Corte potrebbe ritenersi legittimata a sollevare conflitto di
attribuzioni nei confronti del legislatore (sul riconoscimento della soggettività nel conflitto in capo alla stessa Corte
costituzionale cfr. Corte cost. 26 maggio, 1981, n. 77 e Id., 26 febbraio 1998, n. 29 in www.giurcost.org).
143
Per una rassegna della giurisprudenza in materia si rinvia a DAL CANTO, op. cit., 245 e ss.
144
In proposito il Presidente Granata, nella tradizionale conferenza annuale (La giustizia costituzionale nel 1997, in Foro It.,
1998, V, 2922) ha affermato che «il divieto di riproduzione, per il passato, della norma dichiarata illegittima (…) non va confuso
con la possibilità da parte del legislatore di riprodurre per il futuro norma di analogo contenuto precettivo, che, in ipotesi, sarà
inficiata nel merito dagli stessi vizi da cui era affetta la norma precedente, ma che tuttavia non lede l’art. 136».
137
Così delineati il significato del divieto di impugnazione delle pronunce del giudice
costituzionale e l’intensità del vincolo gravante sul legislatore a seguito di una decisione di
accoglimento, è possibile rispondere all’interrogativo iniziale sul grado resistenza delle norme
introdotte da una sentenza additiva o manipolativa, per poi affrontare l’ulteriore quesito relativo
alla eventualità che una sentenza della Corte costituzionale sia disapplicata qualora risulti
incompatibile con una successiva pronuncia della Corte di giustizia avente il medesimo oggetto.
Quanto al primo profilo si può, a questo punto, rilevare come il giudicato costituzionale
goda di un’“intangibilità relativa”, risultando salvo solo «ogni qual volta le indicazioni di valore
racchiuse nella pronunzia della Corte diventino oggetto di sostanziale aggiramento da parte del
legislatore» 145 .
Inoltre, alla luce delle considerazioni svolte con generale riferimento alle pronunce di
accoglimento, non può riconoscersi una particolare e differente resistenza giuridica alle
disposizioni introdotte da sentenze additive o manipolative. Le norme introdotte da tali sentenze
avranno la stessa natura della fonte in cui si inseriscono: potranno, quindi, essere modificate o
addirittura abrogate con reviviscenza della norma dichiarata incostituzionale, con gli stessi limiti
relativi alla fraudolenta riproduzione di norme dichiarate incostituzionali.
Conseguentemente, partendo dal presupposto che «ciò che si rende disponibile per il
legislatore comune ad uguale (ed, anzi, ad ancora maggior) titolo lo è per il legislatore
comunitario», in quanto le norme da esso prodotte sono «abilitate persino a derogare al quadro
costituzionale, col solo limite di ordine generale del rispetto dei “controlimiti”» 146 , non vi sono
motivi per pensare che le norme coperte dal giudicato costituzionale siano dotate di una
resistenza più forte in ambito comunitario.
Il giudicato costituzionale - pur essendo posto a garanzia di principi quali la certezza del
diritto costituzionale, l’indipendenza del giudice delle leggi, la separazione tra i poteri - non
sembra costituire in sé un “controlimite”, dovendo ammettersi un suo superamento per mano
delle istituzioni comunitarie, tra cui, appunto, la stessa Corte di giustizia.
In conclusione, appare più convincente la seconda delle alternative prospettate, ossia quella
secondo cui, solo qualora l’addizione operata dal giudice delle leggi si ponga in funzione
servente di un diritto fondamentale, la sentenza della Corte partecipi della natura di
“controlimite” alle cessioni di sovranità.
145
Sul punto, in senso concorde, RUGGERI, Le pronunzie della Corte costituzionale come “controlimiti” alle cessioni di
sovranità, cit.
146
RUGGERI, Le pronunzie della Corte costituzionale come “controlimiti” alle cessioni di sovranità, cit.
138
Ne consegue che le norme forgiate dall’interpretazione della Corte costituzionale non
hanno un valore “supercostituzionale”, che conferisce loro tout court resistenza ad un’eventuale
deroga imposta dal diritto comunitario. Il giudicato costituzionale può quindi essere superato
qualora risulti incompatibile con una successiva pronuncia della Corte di giustizia avente il
medesimo oggetto, laddove risulti sacrificato nel «bilanciamento» tra interessi nazionali ed
interessi comunitari operato nell’ambito del sindacato sui «controlimiti».
9. La prevalenza delle sentenze della Corte di giustizia sulle decisioni delle Corti
costituzionali nazionali in materia di diritti fondamentali − Si è visto in precedenza come
l’interpretazione di una disposizione di diritto interno, attuativa del diritto comunitario, possa
costituire oggetto di una pronuncia interpretativa della Corte di giustizia, anche in grado di
superare una precedente decisione della Corte costituzionale, espressasi in termini non
coincidenti e soccombente nel «bilanciamento» tra interessi nazionali ed interessi comunitari
operato nell’ambito del sindacato sui «controlimiti».
Una simile conclusione può oggi concretizzarsi con maggiore probabilità se si considera
che la Corte di giustizia, nella sua giurisprudenza, fa sempre più spesso applicazione dei diritti
fondamentali, richiamati quali principi generali del diritto comunitario.
Tuttavia, in tale evenienza, qualora la questione di diritto comunitario venga a coincidere
con una questione sollevata dinanzi al giudice costituzionale nazionale su una legge interna,
attuativa, non già di norme comunitarie specifiche, ma di principi generali del diritto comunitario
che sono anche principi costituzionali nazionali, si pone il problema del criterio di prevalenza da
adottare per risolvere il relativo contrasto.
In questa prospettiva il giudice comunitario nella sentenza 7 settembre 2006, nella causa C81/05, Cordero Alonso, ha incidentalmente affermato la prevalenza delle sentenze pregiudiziali
su quelle delle Corti costituzionali nazionali, che siano state chiamate a pronunciarsi su principi
generali analoghi a quelli comunitari, come il principio di eguaglianza e non discriminazione.
Si trattava di un rinvio pregiudiziale relativo all’interpretazione della stessa direttiva
oggetto della storica sentenza Francovich, ossia la direttiva 80/987/CEE, concernente il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati
in caso di insolvenza del datore di lavoro.
Più in particolare, i quesiti ex art. 234 T.C.E. erano stati sollevati dal Tribunal Superior de
Justicia de Castilla y León nel contesto di una controversia tra il sig. Cordero Alonso e il Fondo
139
de Garantía Salarial (Fondo di garanzia salariale - Fogasa) in merito al rifiuto di quest’ultimo di
versare all’interessato, a titolo di responsabilità sussidiaria, un’indennità per lo scioglimento del
contratto di lavoro. Tale controversia era sorta a seguito del mancato adempimento da parte del
datore di lavoro di un accordo di conciliazione con il sig. Cordero, raggiunto in sede giudiziale di
impugnazione del licenziamento intimato per motivi relativi alla situazione economica
dell’impresa. Il sig. Cordero aveva così adito lo Juzgado de lo Social de Palencia (giudice di
primo grado competente in materia di sicurezza sociale), per ottenere il pagamento dell’indennità
di licenziamento convenuta nell’atto di conciliazione giudiziaria. Tale giudice aveva però
respinto la domanda rilevando come il Fogasa fosse obbligato ad accollarsi le indennità per
scioglimento del rapporto di lavoro soltanto quando tali indennità fossero state riconosciute in
una decisione giudiziaria o amministrativa (art. 33, n. 2, dello Statuto dei lavoratori, attuativo
della dir. 80/987/CEE), ma non nel caso in cui esse risultassero convenute tra le parti in un atto
di conciliazione. La decisione era quindi stata impugnata dinanzi al Tribunal Superior de Justicia
de Castilla y León.
Il giudice di secondo grado osservava preliminarmente che nella sentenza 25 ottobre 1993,
n. 306/1993, il Tribunal Constitucional spagnolo aveva già avuto modo di esprimersi sulla
compatibilità dell’art. 33, n. 2, dello Statuto dei lavoratori con il divieto di discriminazioni
imposto dall’art. 14 della Costituzione spagnola: più specificatamente, il giudice costituzionale
nazionale aveva escluso che la distinzione tra indennità riconosciute da una decisione giudiziaria
o amministrativa e indennità frutto di un accordo conciliativo determinasse una violazione del
principio di uguaglianza dinanzi alla legge dal momento che non si era in presenza di un
trattamento differenziato di situazioni identiche.
Per risolvere la controversia occorreva, dunque, che la Corte di giustizia rispondesse, tra gli
altri, ai seguenti quesiti: se l’obbligo imposto agli Stati membri di adottare tutte le misure di
carattere generale e particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal
Trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni della Comunità (art. 10 CE), nonché il
principio di preminenza del diritto comunitario rispetto al diritto nazionale, comportino, di per sé
e senza necessità di disposizioni esplicite di diritto interno, l’attribuzione agli organi
giurisdizionali nazionali del potere di disapplicare qualsiasi tipo di norma di diritto interno che
sia contraria al diritto comunitario, indipendentemente dal rango di tale norma nella gerarchia
delle fonti (regolamento, legge o addirittura Costituzione) e, conseguentemente, se le Istituzioni
amministrative e giudiziarie spagnole, nell’applicare la direttiva 80/987/CEE e le norme di diritto
interno di attuazione delle disposizioni di detta direttiva, siano vincolate dal principio
140
dell’uguaglianza dinanzi alla legge e dal divieto di discriminazione risultante dal diritto
comunitario, con la portata precisata dall’interpretazione fornitane dalla Corte (…), benché essa
non coincida con l’interpretazione dell’analogo diritto fondamentale riconosciuto dalla
costituzione spagnola quale fornita dalla giurisprudenza del Tribunal constitucional español
(Corte costituzionale spagnola).
La Corte di giustizia, nel pronunciarsi sulla questione, ha ribadito che il principio generale
di uguaglianza e di non discriminazione è un principio del diritto comunitario e che gli Stati
membri sono vincolati da tale principio quale interpretato dalla Corte.
Il giudice comunitario è quindi giunto alla conclusione che le istituzioni amministrative e
giurisdizionali spagnole, nell’applicare la normativa comunitaria in materia di tutela dei
lavoratori subordinati in materia di insolvenza, sono vincolate dal principio dell’eguaglianza
dinanzi alla legge e dal divieto di discriminazione «risultante dal diritto comunitario, nella
portata dell’interpretazione fornitane dalla Corte», precisando altresì che ciò vale anche
«quando la normativa nazionale di cui trattasi, secondo la giurisprudenza costituzionale dello
Stato membro interessato, è conforme a un diritto fondamentale analogo riconosciuto
dall’ordinamento giuridico nazionale» 147 .
L’implicita conseguenza insita nell’accoglimento di una simile argomentazione, ossia la
prevalenza delle sentenze pregiudiziali su quelle delle Corti costituzionali nazionali, che siano
state chiamate a pronunciarsi su principi generali analoghi a quelli comunitari, deve condurre a
riflettere sul rischio, già prospettato da un’attenta dottrina 148 , che la tutela dei diritti fondamentali
nella giurisprudenza della Corte di giustizia determini una progressiva estromissione delle Corti
costituzionali degli Stati membri dal ruolo di Corti dei diritti che tradizionalmente compete loro.
Con particolare riferimento alla pronuncia esaminata, è stato osservato 149 che non sembra
comunque emergere un definitivo ridimensionamento del diritto interno a favore di quello
comunitario: infatti, come anche rilevato dall’Avvocato generale nelle sue conclusioni, le
normative nazionali che possono essere sindacate in base ai principi generali del diritto
147
Si cfr. appunto Corte di giustizia delle Comunità Europee, 7 settembre 2006, relativa alla causa C-81/05, Anacleto Cordero
Alonso v. Fondo de Garancìa Salarial, punto 41.
148
CALVANO, La Corte costituzionale e il nuovo orizzonte della tutela multilivello dei diritti fondamentali alla luce della
riflessione di S. Panunzio, in AA.VV., Sergio Panunzio, profilo intellettuale di un giurista, a cura di Cerrone e Volpi, Napoli,
2007. Per ulteriori riferimenti si veda supra cap. 1 par. 5.
149
Così CUOMO, I diritti fondamentali tra Corte di Giustizia e Corti costituzionali, in www.forumcostituzionale.it. Si cfr. inoltre
CARTABIA, La Costituzione italiana e l’universalità dei diritti umani, Relazione al Convegno su La Costituzione sessant’anni
dopo, Accademia dei Lincei, 28-29 febbraio 2008, in www.astrid-online.it e BARBERA, Il ruolo del principio d’eguaglianza nei
sistemi multilevel: riflettendo su alcune recenti sentenze della Corte di Giustizia, Intervento al Convegno internazionale The
Protection of Constitutional Rights in Modern Democracies: A Comparative Perspective, tenutosi all’Università G. D’Annunzio
di Pescara l’11-12 dicembre 2007.
141
comunitario sono “soltanto” quelle che rientrano nella sfera di applicazione del diritto
comunitario 150 .
Più in generale, un tale rischio conferma la necessità, già in precedenza evidenziata 151 , di
un sempre più frequente dialogo fra i diversi livelli di un ordinamento “intercostituzionale”,
fondato sulla cooperazione tra le Corti.
150
Si cfr.no le conclusioni depositate dall’Avvocato generale Tizzano nella causa in esame il 27 aprile 2006, nella parte in cui, al
paragrafo 18, si richiamano i principi enunciati in precedenza dalla Corte di giustizia nella sentenza 12 dicembre 2002, in causa
C-442/00, Rodríguez Caballero.
151
Si veda supra cap. 1, par. 5.
142
CAPITOLO IV
VERSO LA DISAPPLICAZIONE DELL’ART. 2909 c.c.
Sommario: 1. Un’ipotesi di assoluta prevalenza del principio di piena efficacia del diritto
comunitario sulla certezza del diritto: il recupero degli aiuti di Stato - 2. La revoca “fuori
termine” dell’atto di concessione dell’aiuto - 3. La revoca dell’atto di concessione dell’aiuto
coperto da giudicato nazionale - 4. La vis espansiva del principio di cedevolezza del giudicato
nazionale - 5. L’autorità della cosa giudicata nei principali ordinamenti giuridici europei - 5.1.
L’ordinamento tedesco - 5.2. L’ordinamento francese - 5.3. L’ordinamento spagnolo - 5.4.
L’ordinamento inglese - 6. La «tutela debole» del giudicato nell’ordinamento costituzionale
italiano - 7. La certezza del diritto quale “controlimite”: la Corte costituzionale come
Revisioninstanz - 8. Conclusioni.
1. Un’ipotesi di assoluta prevalenza del principio di piena efficacia del diritto
comunitario sulla certezza del diritto: il recupero degli aiuti di Stato − L’analisi della
giurisprudenza svolta nel capitoli precedenti ha mostrato come il principio di certezza del diritto
e la conseguente intangibilità dei rapporti quesiti connessi all’autorità del giudicato formatosi
nell’ambito nazionale siano riconosciuti in ambito comunitario in termini non assoluti.
Occorre però osservare che, nelle decisioni prese in considerazione, ad essere
compromessa era l’applicazione in ambito nazionale del diritto comunitario, non correttamente
interpretato dal giudice nazionale, ed il passaggio in giudicato della decisione, derivante
dall’esaurimento dei mezzi di impugnazione, ovvero dalla decorrenza dei termini per impugnare,
non metteva in discussione l’esercizio di una competenza comunitaria.
Diversamente, vi sono delle ipotesi in cui il giudicato nazionale coinvolge ambiti materiali
di disciplina che l’ordinamento europeo “riserva” alla competenza delle Istituzioni comunitarie,
ed, in particolare, della Corte di giustizia, con conseguente prevalenza del principio di piena
efficacia del diritto comunitario sulla “certezza” discendente dalla stabilità di rapporti giuridici
ormai esauriti.
143
Tra le discipline del Trattato che, sotto questo profilo, hanno ricevuto la maggiore
attenzione nella giurisprudenza comunitaria e che, quindi, hanno costituito l’occasione per
affermare principi di rilevante problematicità per gli ordinamenti costituzionali nazionali vi è
quella degli aiuti di Stato.
In questa materia, infatti, il giudicato interno non ha solo conseguenze per i rapporti
giuridici di diritto nazionale tra il beneficiario dell’aiuto e lo Stato membro, ma viene ad incidere
sulla “competenza esclusiva” della Corte di giustizia di valutare la compatibilità con il diritto
comunitario dell’aiuto controverso.
Per delineare i confini di tale incidenza, è necessario richiamare, seppur brevemente, gli
obiettivi sottesi alla disciplina comunitaria in tema di concessione e controllo degli aiuti di Stato
ed analizzare le norme presenti nel Trattato e nel diritto comunitario derivato per il
perseguimento di tali finalità 1 .
Come è noto, la creazione di un mercato unico europeo ha richiesto l’introduzione di un
regime che garantisca la libera concorrenza fra le imprese dei vari Stati membri. Ogni distorsione
della concorrenza si traduce, infatti, nella creazione di barriere economiche alla libera
circolazione delle merci e dei servizi. Distorsioni di questo genere possono essere determinate
1
La materia è oggetto di numerosi approfondimenti dottrinari, tra cui si vedano: AA.VV., Concorrenza e aiuti di Stato. Un
osservatorio sulla prassi comunitaria, Torino, 2006; AA.VV., Aiuti di Stato in materia fiscale, a cura di Salvini, Padova, 2007,
ed, in particolare, il contributo di CIAMPOLILLO, Incompatibilità e recupero degli aiuti; AA.VV., Gli aiuti di Stato alle imprese
nel diritto comunitario, a cura di Bariatti, Milano, 1998; AA.VV., State Aids: Community Law and a Policy, a cura di Harden,
Koln, 1993; AA.VV., The law of State aid in the European Union, a cura di Biondi, Eeckhout, Flynn, Oxford 2004, ed, in
particolare, il contributo di FLYNN, The role of national courts; CAPELLI, Portata ed efficacia delle decisione della Commissione
Cee adottate in materia di aiuti, in Dir. Com. Scambi Internaz., 1989, 691 ss.; BALLARINO, BELLODI, Gli aiuti di Stato alle
imprese nel diritto comunitario, Milano, 1998; CURTI GIALDINO, Aiuti di Stato, in Il Trattato di Maastricht dell’Unione Europea,
Roma, 1993, 97 e ss.; DELLA CANANEA, Il ruolo della Commissione nell’attuazione del diritto comunitario: il controllo sugli
aiuti statali alle imprese, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 1993, 399 e ss.; DEL FEDERICO, Agevolazioni fiscali nazionali ed aiuti di
Stato, tra principi costituzionali ed ordinamento comunitario, in Riv. Dir. Trib. Internaz., 2006, 32 e ss.; EVANS, European
Community Law of State Aid, London, 1995; FRIGNAN, WAELBROECK, Disciplina della concorrenza nella CE, Torino, 1996;
HANCHER, OTTERVANGER, SLOT, E.C. State Aids, Londra, 1993; MALINCONICO, Aiuti di Stato, in AA.VV., Trattato di diritto
amministrativo europeo, diretto da Chiti e Greco, coordinato da Cartei e Galetta, Milano, 2007, parte speciale, 65 e ss.; LAROMA
JEZZI, Principi comunitari e controllo sopranazionale sugli aiuti fiscali, in Rass. Trib., 2003, 1074 e ss.; ORLANDI, Gli aiuti di
Stato nel diritto comunitario, Napoli, 1995; PINOTTI, Gli aiuti di Stato alle imprese nel diritto comunitario della concorrenza,
Padova, 2000; PIZZONIA, Aiuti di Stato mediante benefici fiscali ed efficacia nell’ordinamento interno delle decisioni negative
della Commissione UE. Rapporti tra precetto comunitario e procedure fiscali nazionali, in Riv. Dir. Fin., 2005, 380 e ss.;
ROBERTI, Gli aiuti di Stato nel diritto comunitario, Padova, 1997; STROZZI, Diritto dell’Unione europea. Parte speciale, Torino,
2005, 382 e ss.; TESAURO, Processo tributario e aiuti di Stato, in Corr. Trib., 2007, 3665 e ss.; TONETTI, I poteri amministrativi
comunitari in materia di aiuti di Stato, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2007, 443 e ss.; TRIGGIANGI, Gli aiuti statali alle imprese nel
diritto internazionale e comunitario, Bari, 1989; VAN BAEL, BELLE, Il diritto della concorrenza nella Comunità europea, Torino,
1995.
Con specifico riguardo al recupero si cfr.no: ADAM, In capo a chi il recupero degli aiuti illegittimi? L'ultima puntata dei casi IRIAlfa Romeo e Eni-Lanerossi, in Il Diritto dell’Unione Europea, 1996, 255 e ss.; BONOMO, Aiuti di Stato alle imprese pubbliche e
obbligo di recupero, in Giur. It., 1995, 1777 e ss.; CAFARI PANICO, Il recupero degli aiuti illegittimamente concessi, in Riv. Dir.
Eur., 1995, 47 e ss.; FROMONT, La récupération des aides versées en violation du droit communautaire, in AA.VV., State Aids:
Community Law and a Policy, cit., 104 e ss.; GALLO, L’inosservanza delle norme comunitarie sugli aiuti di Stato e sue
conseguenze sull’ordinamento fiscale interno, in Rass. Trib., 2003, 2282 e ss.; KARPENSCHIP, La récuperation des aides
nationales versées en violation du droit communautaire à l’aune du règlement n. 659/1999: du mythe à la réalité, in Revue
trimestrielle de droit européen, 2001, 551 e ss.; SOTTILI, Revoca di aiuti di Stato e tutela dell’affidamento, in Dir. Un. Eu., 1998,
169 e ss.; TERRASI, Aiuti di Stato: la questione del recupero degli aiuti illegalmente concessi, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2002,
1081 e ss.
144
non soltanto dagli accordi di cartello e dagli abusi di posizione dominante, ma anche dagli aiuti
di Stato alle imprese.
La concessione di incentivi, infatti, comportando la riduzione dei costi di produzione,
conferisce una posizione di vantaggio alle imprese nazionali in quanto permette loro di
determinare, per gli stessi prodotti e servizi, prezzi più bassi di quelli praticati dalle imprese
straniere, le quali, pur presentando una analoga struttura dei costi, non beneficiano di incentivi.
Tale posizione di vantaggio falsa la concorrenza in quanto può, da un lato, impedire la
penetrazione delle imprese straniere sul mercato nazionale e, dall’altro, agevolare la penetrazione
delle imprese nazionali sul mercato straniero.
Per evitare le richiamate conseguenze discorsive è stato, perciò, introdotto nel Trattato un
generale divieto di concessione di aiuti. In particolare, secondo l’art. 87, 1° comma, T.C.E. sono
considerati «incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra
gli Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati ovvero mediante risorse statali sotto qualsiasi
forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la
concorrenza» 2 .
Non sempre però gli effetti che scaturiscono dall’erogazione di tali aiuti a beneficio
soltanto di talune imprese sono pregiudizievoli per il funzionamento del mercato comune.
Attraverso la concessione di contributi a fondo perduto, esenzioni fiscali ed altri vantaggi, gli
Stati membri possono favorire lo sviluppo economico delle Regioni svantaggiate o
sottosviluppate, agevolare il rilancio dei settori in difficoltà od in crisi, promuovere le attività di
particolare interesse industriale etc.
Pertanto, il principio d’incompatibilità degli aiuti di Stato con il mercato comune è stato
sottoposto ad alcune rilevanti deroghe, alcune de iure, altre discrezionali, previste dal 2° e 3°
comma dell’art. 87 T.C.E.
La procedura di verifica della compatibilità degli aiuti - di competenza della Commissione
- è invece disciplinata dal successivo art. 88 del Trattato 3 , nonché dalle disposizioni del
regolamento CE n. 659 del 22 marzo 1999 4 .
2
BLASI, MUNARI, Art. 87 del Trattato CE, in AA.VV., Trattati dell’Unione europea e della Comunità europea, a cura di Tizzano,
Milano, 2004, 592 e ss.
3
BLASI, MUNARI, Art. 88 del Trattato CE, in AA.VV., Trattati dell’Unione europea e della Comunità europea, a cura di Tizzano,
Milano, 2004, 608 e ss.
4
Recante modalità di applicazione dell’art. 93 del Trattato Ce. Si vadano per un’analisi della normativa, BELLODI, GRESPAN, La
procedura in materia di aiuti, in AA.VV., Il nuovo diritto della concorrenza. Aspetti procedurali, a cura di Tosato e Bellodi,
Milano, 2004, 339 e ss.; WINTER, Re(de)fining the notion of State aids in article 87 of the EC Treaty, in Common Market Law
Review, 2004, 475 e ss.; ANTONUCCI, Gli aiuti di Stato ed il regolamento Cons. Ce 22 marzo 1999, n. 659, in Cons. St., 2003, 826
e ss.; CREMONA, State Aid Control: Substance and Procedures in the Europe Agreements and the Stabilization and Association
Agreeements, in European Law Journal, 2003, 265 e ss.; PORCHIA, Il procedimento di controllo degli aiuti pubblici alle imprese.
145
Detta verifica è differenziata a seconda che gli aiuti siano configurabili come “aiuti
esistenti”, perché istituiti prima della data di entrata in vigore del Trattato (ovvero prima
dell’adesione dello Stato membro all’UE), o come “aiuti nuovi”, perché istituiti successivamente
alla predetta data (ovvero successivamente all’adesione dello Stato membro all’UE).
Per “gli aiuti esistenti” la verifica di compatibilità è operata a posteriori. Lo Stato membro
che li abbia istituiti può continuare ad erogarli senza alcun obbligo di comunicazione o,
tantomeno, di sospensione. Tali aiuti rimangono comunque soggetti all’esame permanente della
Commissione, la quale può in ogni momento dichiararli illegittimi ed ordinarne la cessazione.
Per gli “aiuti nuovi” la verifica di compatibilità è svolta in via preventiva. Lo Stato membro
che intenda istituire una nuova misura deve notificare il relativo progetto alla Commissione e
sospenderne l’erogazione fino a che essa non lo abbia autorizzato (c.d. clausola di standstill) 5 .
Qualora la Commissione dichiari in via definitiva l’incompatibilità comunitaria dell’aiuto,
il beneficiario dovrà corrispondere le somme percepite o l’importo del tributo a suo tempo non
versato. Qualora non si adoperi in tal senso, sarà assoggettato all’azione di recupero dello Stato,
obbligato a porre in essere, sia in via amministrativa che legislativa, tutte le condizioni perché il
recupero avvenga e la legge che disponeva l’erogazione dell’aiuto incompatibile sia rimossa
dall’ordinamento interno.
In particolare, l’intervento esecutivo dello Stato dovrà avvenire mediante l’adozione di atti
legislativi che definiscono i limiti oggettivi e soggettivi dell’azione di recupero e ne individuano
le procedure. Nell’emanazione di tale disciplina, il legislatore nazionale risulta tuttavia privo di
discrezionalità, essendo mero esecutore di una pronuncia vincolante della Commissione, il più
delle volte comfermata da una sentenza di condanna per inadempimento della Corte di giustizia 6 .
Tra ordinamento comunitario e ordinamento europeo, Napoli, 2001; PINOTTI, Gli aiuti di Stato alle imprese nel diritto
comunitario della concorrenza, cit., 182 e ss.; BELLOTTI, Il nuovo regolamento comunitario di procedura, in Dir. Com. Scambi
internaz., 1999, 535 e ss.; BESTAGNO, Il controllo comunitario degli aiuti di Stato nel recente regolamento di procedura, in Dir.
Comm. internaz, 1999, 339 e ss.; PAGLIARETTA, Il regolamento (Ce) n. 659/1999 del Consiglio sulle modalità di applicazione
dell'art. 88 del Trattato Ce, in Dir. Ue, 1999, 392 e ss.; SINNAEVE, SLOT, The new regulation on state aid procedures, in Common
Market Law Review, 1999, 1153 e ss.
5
Gli “aiuti nuovi” sono a loro volta qualificabili come “legali” ovvero come “illegali”, a seconda che, prima della loro
istituzione, siano stati o meno notificati alla Commissione in ottemperanza al richiamato adempimento dell’art. 88. Per quanto
attiene agli “aiuti legali”, la notifica instaura automaticamente una procedura di verifica informale e preliminare della loro
compatibilità con il mercato comune. Per quanto attiene, invece, agli “aiuti illegali”, occorre innanzitutto sottolineare come
l’illegalità di un aiuto non comporti la sua incompatibilità con il mercato comune (e, quindi, il divieto di erogarlo), ma soltanto
l’applicazione di diverse regole procedurali per la verifica della sua compatibilità. Pertanto, la Commissione potrà dichiarare
compatibili con il mercato comune anche “aiuti illegali”, ove ritenga applicabile una delle fattispecie di deroga de iure o
discrezionale. Differentemente dagli “aiuti legali”, per gli “aiuti illegali”, in mancanza della previa notifica della misura adottata
dallo Stato membro, la procedura informale di verifica della sua compatibilità con il mercato comune è instaurata d’ufficio dalla
Commissione.
6
Si tratta della tesi prospettata dalla difesa erariale nell’ambito di un recente giudizio sulla legittimità costituzionale della legge
comunitaria per il 2004 - nella parte in cui ha previsto il recupero delle esenzioni di imposta IRPEG concesse alle società, a
prevalente capitale pubblico, che forniscono pubblici servizi in ottemperanza alla decisione della Corte di giustizia delle
Comunità Europee, 1° giugno 2006, in causa C-207/05 - ed implicitamente accolta nella decisione di manifesta infondatezza
146
Come è stato inoltre ribadito in numerose decisioni della Commissione, tutta l’attività di
recupero è di competenza dello Stato interessato ed è disciplinata dal diritto interno. È, in ogni
caso, fatto salvo il potere della Commissione di decidere se le misure poste in essere dallo Stato
siano tali da garantire effettivamente l’esecuzione e sanare le distorsioni della concorrenza
ingenerate dagli aiuti illegittimi: infatti, anche se deve essere applicata la disciplina prevista dal
diritto interno, è stato più volte affermato che tale applicazione non può comunque essere
invocata per sottrarsi all’obbligo di procedere al recupero e che lo Stato non possa prevedere
procedure tali da rendere praticamente impossibile il recupero stesso ovvero tali da renderlo
concretamente inefficace.
La logica ripristinatoria, sottesa al provvedimento di recupero, deve infine essere letta in
coerenza con un altro principio fondamentale dell’ordinamento comunitario: il principio di
proporzionalità.
La Corte di giustizia ha infatti affermato al riguardo che il recupero di un aiuto illegale non
può in linea di principio rivelarsi un provvedimento sproporzionato rispetto alle finalità
ripristinatorie poste dal Trattato in materia di aiuti di Stato. La proporzionalità deve, in
particolare, in essere rispettata nel rapporto tra il quantum di cui viene preteso il recupero, da una
parte, ed il vantaggio economico concretamente goduto dall’impresa beneficiaria, dall’altra.
A tale proposito, una volta emanati gli atti con i quali lo Stato procede concretamente al
recupero, si può aprire dinanzi al giudice nazionale, in caso di opposizione dei beneficiari, un
processo nel quale possono essere fatti valere solo motivi fondati sul diritto interno, attinenti al
rapporto tra lo Stato e il soggetto passivo 7 . Motivi che, dunque, si pongono su un piano del tutto
pronunciata dalla Corte costituzionale (sentenza 26 gennaio 2009, n. 36) secondo cui, in particolare, «la denunciata efficacia
retroattiva delle norme censurate trova giustificazione sia nell’art. 117, primo comma, Cost., in conseguenza dell’obbligo
imposto dall’ordinamento comunitario al legislatore italiano di procedere al recupero delle somme corrispondenti alle
agevolazioni fiscali non compatibili con la normativa comunitaria; sia nell’art. 3 Cost., data l’esigenza di ricondurre ad
uguaglianza la posizione dei contribuenti, eliminando sin dall’origine gli effetti economici illegittimamente accordati ad alcuni di
essi, i quali, come si è visto, non possono invocare, di regola, alcun legittimo affidamento nel godere di aiuti di Stato non
compatibili con l’ordinamento comunitario».
7
Nell’ambito dei giudizi instaurati davanti alla giurisdizione civile o tributaria al fine di contestare la decisione di recupero, è
stata inoltre di recente introdotta la possibilità di richiedere, in via cautelare, la sospensione dell’efficacia del titolo di pagamento
conseguente alla decisione. Si tratta degli art. 1 e 2 della L. 6 giugno 2008, n. 101 “Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, recante disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e l’esecuzione di sentenze
della Corte di giustizia delle Comunità europee” che subordinano la concessione della sospensione alla presenza cumulativa delle
seguenti condizioni: a) gravi motivi di illegittimità della decisione di recupero, ovvero evidente errore nella individuazione del
soggetto tenuto alla restituzione dell’aiuto di Stato o evidente errore nel calcolo della somma da recuperare e nei limiti di tale
errore; b) pericolo di un pregiudizio imminente e irreparabile. Si prevede inoltre uno strumento di raccordo con il giudice
comunitario e la sussidiarietà della sospensione: infatti, qualora la sospensione si fondi su motivi attinenti all’illegittimità della
decisione di recupero il giudice provvede alla sospensione del giudizio e all’immediato rinvio pregiudiziale della questione alla
Corte di giustizia, con richiesta di trattazione d’urgenza, se ad essa non sia stata già deferita la questione di validità dell’atto
comunitario contestato; l’istanza di sospensione dell’atto impugnato per motivi attinenti alla legittimità della decisione di
recupero non può, in ogni caso, essere accolta quando la parte istante, pur avendone facoltà perchè individuata o chiaramente
individuabile, non abbia proposto impugnazione avverso la decisione di recupero ai sensi dell’art. 230 T.C.E., ovvero quando,
147
diverso da quello riguardante l’applicazione delle norme comunitarie ed il rapporto Stato,
Commissione, destinatario del provvedimento di recupero.
Secondo una giurisprudenza costante 8 , infatti, la valutazione della compatibilità con il
mercato comune di un regime di aiuti rientra nella competenza esclusiva della Commissione, che
opera sotto il controllo del giudice comunitario.
Pur non essendo escluso che i giudici nazionali possano essere chiamati ad interpretare e ad
applicare la nozione di aiuto di cui all’art. 87 T.C.E., al fine di valutare se un provvedimento
statale, adottato senza seguire il procedimento di controllo preventivo di cui all’art. 88, debba o
meno esservi soggetto, tuttavia gli stessi non risultano comunque competenti a pronunciarsi sulla
compatibilità di un aiuto di Stato con il mercato comune.
Peraltro, come in ogni procedimento amministrativo composto9 , anche in materia di aiuti di
Stato, la giurisprudenza comunitaria ha tentato di ridurre al minimo il rischio di un conflitto di
giudicati, indicando la strada della concentrazione della tutela innanzi ad un unico giudice.
La Corte di giustizia ha pertanto ritenuto non sussistente il sindacato del giudice nazionale
sulla legittimità comunitaria della decisione della Commissione, affermando che «esigenze di
certezza del diritto inducono ad escludere che il beneficiario di un aiuto oggetto di una decisione
della Commissione adottata in forza dell’art. 93 del Trattato, che avrebbe potuto impugnare tale
decisione e che ha lasciato decorrere il termine imperativo all’uopo prescritto dall' art. 173, terzo
avendo proposto l’impugnazione, non abbia richiesto la sospensione della decisione di recupero ai sensi dell’art. 242 T.C.E.
ovvero l’abbia richiesta e la sospensione non sia stata concessa.
8
Si vedano, in primis, Corte di giustizia delle Comunità Europee, 22 marzo 1977, in causa C-78/76, Steinike & Weinlig, punto
14, e Id., 21 novembre 1991, causa C-354/90, Fédération nationale du commercie, punto 10. Analogamente, al fine di poter
determinare se una misura statale attuata senza tener conto della procedura di esame preliminare prevista dall’art. 6 del terzo
codice sugli aiuti dovesse esservi o meno assoggettata, il giudice nazionale può essere indotto a interpretare la nozione di aiuto di
cui all’art. 4, lett. c), del Trattato CECA e all’art. 1 del terzo codice (Corte di giustizia delle Comunità Europee, 20 settembre
2001, in causa C-390/98, Banks, punto 71).
9
Sui procedimenti composti, in generale, si veda CHITI, I procedimenti composti nel diritto comunitario e nel diritto interno, in
Attività amministrativa e tutela degli interessati. L’influenza del diritto comunitario, Torino, 1997, 55 e ss. nonché AA.VV., Il
procedimento amministrativo nel diritto europeo, a cura di Bignami e Cassese, Quaderno n. 1 della Riv. Trim. Dir. Pubbl.,
Milano, 2004, ed, in particolare, il contributo di DELLA CANANEA, I procedimenti amministrativi composti dell’Unione europea,
307 e ss., AA.VV., I procedimenti amministrativi dell’Unione europea. Un’indagine, a cura di della Cananea e Gnes, Torino,
2004, AA.VV., Diritto amministrativo applicato, a cura di Sandulli, Milano, 2005, 167 e ss., FRANCHINI, Amministrazione
italiana e amministrazione comunitaria, Padova, 1992.
Più in particolare, sui problemi legati alla tutela giurisdizionale dei singoli, si vedano FALCON, Separazione e coordinamento tra
giurisdizioni europee e giurisdizioni nazionali nella tutela attraverso gli atti lesivi di situazioni soggettive europee, in Riv. It. Dir.
Pubbl. Com., 2004, 1115 e ss., FRANCHINI, Nuovi modelli di azione comunitaria e tutela giurisdizionale, in Dir. Amm., 2000, 81 e
ss. e VERONELLI, Procedimenti composti e problemi di tutela giurisdizionale, in AA.VV., I procedimenti amministrativi europei.
Un’indagine, cit.
Si cfr. inoltre il leading case in materia rappresentato dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, 3 dicembre
1992, in causa C-97/91, Oleificio Borelli, in cui il giudice comunitario - chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione di una
decisione di diniego da parte della Commissione di un contributo per un progetto di miglioramento delle condizioni di
trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli in assenza del parere favorevole dell’autorità nazionale richiesto dal
regolamento del Consiglio 15 febbraio 1977 n. 355 - ha ritenuto di non avere alcuna giurisdizione sugli atti nazionali, nei quali
risiedeva il presunto vizio, affermando che è viceversa compito del giudice nazionale sindacare la legittimità degli atti nazionali
(nel caso di specie, il parere) che si inseriscano, con carattere vincolante, in un procedimento destinato a sfociare in una decisione
della Commissione.
148
comma, del Trattato, possa contestare la legittimità della medesima dinanzi ai giudici nazionali
nell’ambito di un ricorso proposto avverso i provvedimenti presi dalle autorità nazionali in
esecuzione di questa decisione. Infatti, ammettere che in circostanze del genere l’interessato
possa, dinanzi al giudice nazionale, opporsi all’esecuzione della decisione eccependo
l’illegittimità di quest’ultima equivarrebbe a riconoscergli la possibilità di eludere il carattere
definitivo della decisione nei suoi confronti dopo la scadenza dei termini di ricorso» 10 .
Nel merito, quale esimente dall’obbligo di restituzione degli aiuti, il beneficiario può
opporre lo stato d’incolpevole affidamento nella legittimità dell’erogazione degli aiuti stessi
avvenuta in base alle norme interne 11 .
In proposito, l’art. 14, par. 1 del regolamento CE n. 659 del 1999, nel ribadire che «nel
caso di decisioni negative (…) la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo
Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l’aiuto dal
beneficiario», dispone espressamente che la Commissione stessa «non impone il recupero
dell’aiuto qualora ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario». E, per
costante riconoscimento della giurisprudenza della Corte di giustizia, costituisce “principio
generale del diritto comunitario”, ai sensi di tale ultima disposizione, il principio di tutela del
legittimo affidamento, e cioè il principio in base al quale non può essere tenuto alla restituzione
il cittadino comunitario che abbia confidato nella compatibilità comunitaria della misura di aiuto
a causa del comportamento della Commissione.
La Corte ha però fatto applicazione di tale principio molto raramente e solo nell’ipotesi in
cui lo Stato membro abbia ottemperato al dovere di notificazione sancito dall’art. 88, 3° comma,
del Trattato. In particolare, fin dalla sua prima giurisprudenza 12 , il giudice comunitario,
sintetizzando in maniera efficace il suo pensiero in materia, ha in via generale affermato che, ai
fini del riconoscimento del legittimo affidamento, i singoli debbono dimostrare: che possono
vantare un diritto quesito od un interesse degno di tutela; che le operazioni commerciali per le
10
Così Corte di giustizia delle Comunità Europee, 9 marzo 1994, in causa C-188/92, Textilwerke (in Foro It., 1995, 113 e ss., con
nota di DANIELE, nonché di BARATTA, Un nuovo limite al controllo giurisdizionale degli atti comunitari incidenti sulla sfera
giuridica dei singoli, in Giust. Civ., 1995, 629 e ss.), pronunciata nell’ambito di una controversia su una decisione della
Commissione che imponeva allo Stato tedesco il recupero di un aiuto, notificata dall’amministrazione ad un’impresa, che invece
di impugnarla aveva contestato la legittimità del successivo atto dell’amministrazione nazionale che imponeva la restituzione,
facendo valere l’illegittimità della decisione comunitaria. Diversamente, in mancanza della notifica, il ricorrente è stato ritenuto
legittimato a far valere vizi della decisione comunitaria, in sede di impugnazione dell’atto dell’amministrazione nazionale dinanzi
al giudice nazionale (si cfr. Corte di giustizia delle Comunità Europee, 21 novembre 1991, in causa C-269/90, Technische
Universität).
11
Sul principio di affidamento si veda, in generale, MERUSI, L’affidamento del cittadino, Milano, 1970 e ID., Buona fede e
affıdamento nel diritto pubblico. Dagli anni trenta all’alternanza, Milano, 2001. Con specifico riferimento alla materia degli
aiuti si veda GRECO, Sovvenzioni e tutela dell’affidamento, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2000, 375 e ss. nonché ARDITO, Autotutela,
affidamento e concorrenza nella giurisprudenza comunitaria, in Diritto Amministrativo, 2008, 631 e ss.
12
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 20 settembre 1990, in causa C-5/89, Commissione c. Repubblica federale di
Germania.
149
quali essi fanno valere tale diritto o tali interessi sono oggetto d’impegni irrevocabili; che la
lesione di tale diritto o di tali interessi è stata imprevedibile (imprevedibilità che potrebbe
derivare proprio dall’atteggiamento inerte della Commissione nei confronti delle agevolazioni
accordate dalla norma interna); che la lesione è intervenuta senza preavviso e con effetto
immediato, senza alcun provvedimento transitorio atto a consentire ad un prudente operatore di
evitare detta perdita e d’essere risarcito; ed, infine, che nessun inderogabile interesse pubblico
osti alla presa in considerazione di tali interessi privati.
La rilevanza “circostanziata” dell’affidamento dell’aiuto emerge anche nel riconoscimento,
da parte della nostra giurisprudenza amministrativa, di un interesse in re ipsa all’annullamento
dell’atto di erogazione 13 .
In materia di aiuti di Stato, dunque, la necessità di assicurare il rispetto del diritto
comunitario risulta così stringente da consentire di derogare al principio di affidamento ed alla
“certezza” connessa all’intangibilità dell’autorità di cosa giudicata di una decisione del giudice
nazionale. Una deroga ulteriore rispetto a quelle già evidenziate nel capitolo precedente e
dall’incidenza dirompente sull’ordinamento nazionale.
Nei paragrafi successivi verranno quindi analizzate due tra le più note e problematiche
pronunce della Corte di giustizia, le sentenze Alcan e Lucchini, in cui il giudice comunitario ha
avuto modo di affermare: a) l’obbligo in capo alle autorità amministrative nazionali competente
di revocare la decisione di concessione di un aiuto attribuito illegittimamente, anche quando
abbiano lasciato scadere il termine per la revoca previsto dal diritto nazionale a tutela della
certezza del diritto; b) la necessità di disapplicare le disposizioni del diritto nazionale che
sanciscono il principio dell’autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l’applicazione di tali
disposizioni impedisca il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto
comunitario e la cui incompatibilità con il mercato comune è stata dichiarata con decisione della
Commissione divenuta definitiva.
13
Si tratta di un principio di recente ribadito dal T.a.r. Lazio (sentenza 11 gennaio 2005, n. 167) nell’ambito di una controversia
relativa al recupero di aiuti erogati dal Ministeri delle Politiche agricole, in cui l’impresa beneficiaria lamentava che l’atto di
annullamento era intervenuto con notevole distanza di tempo dal provvedimento di erogazione, violando la regola che, come si è
visto in precedenza, impone all’amministrazione di ponderare l’interesse pubblico all’annullamento con gli altri interessi
coinvolti, compreso quello di chi abbia fatto affidamento sugli effetti del provvedimento, che viene rafforzato dal decorso del
tempo. Ad avviso del giudice amministrativo, infatti, il provvedimento impugnato non era stato «adottato nell’esercizio degli
ordinari poteri di autotutela» ma rappresentava «la mera esecuzione, nell’ordinamento interno, di una decisione della
Commissione europea», con la conseguenza che «lo Stato italiano (e per esso il Ministero delle politiche agricole), non aveva
quindi alcuna possibilità di operare una valutazione difforme da quella operata in sede comunitaria poiché l’interesse da
“bilanciare” con le aspettative delle imprese destinatarie degli aiuti, ha carattere sovranazionale e riguarda l’attuazione di vincoli
di matrice comunitaria».
150
2. La revoca “fuori termine” dell’atto di concessione dell’aiuto − Con la sentenza 20
marzo 1997, in causa C-24/95, Alcan 14 , la Corte di giustizia delle Comunità Europee si è
espressa sulle domande pregiudiziali, proposte dal Bundesverwaltungsgericht in una causa tra il
Land Renania-Palatinato e la società Alcan Deutschland GmbH, sull’interpretazione degli artt.
92 e 93, n. 3, del Trattato CE (oggi artt. 87-88 T.C.E.), ed, in particolare, sull’obbligo delle
autorità nazionali di recuperare un aiuto di Stato illegittimo in presenza di difficoltà derivanti da
una normativa nazionale che tutela il beneficiario dell’aiuto.
La controversia era sorta a seguito della revoca del provvedimento con il quale il Land
tedesco aveva concesso all’impresa Alcan, produttrice di alluminio, degli aiuti per compensare le
difficoltà economiche derivati da rilevanti aumenti del prezzo dell’elettricità ed alla conseguente
ingiunzione ai fini della ripetizione delle somme erogate.
La Alcan si opponeva alla richiesta di restituzione invocando l’art. 48 della legge nazionale
sul procedimento amministrativo (Verwaltungsverfahrensgesetz) 15 ed, in particolare, le
disposizioni secondo cui «l’atto amministrativo invalido che concede una prestazione pecuniaria
sotto forma di capitale o di rendita o una prestazione in natura divisibile, o che costituisce il
presupposto di tali prestazioni, non può essere revocato qualora il beneficiario abbia fatto
affidamento nell’efficacia dell'atto amministrativo e, tenuto conto dell’interesse pubblico alla
revoca, il suo affidamento sia meritevole di tutela. (...) Quando l’autorità amministrativa è a
conoscenza di circostanze che giustifichino la revoca di un atto amministrativo invalido, la
revoca deve avvenire entro un anno dal momento in cui tali circostanze sono venute a
conoscenza dell’amministrazione. (...)».
Il giudice di rinvio, riconoscendo che la revoca dell’aiuto, imposta dal diritto comunitario,
risultava esclusa alla luce del diritto nazionale, ha quindi chiesto alla Corte se l’amministrazione
fosse tenuta, in forza del principio secondo cui il diritto nazionale deve essere applicato in modo
“da non rendere praticamente impossibile la ripetizione prescritta dal diritto comunitario e
tenendo ben presente l’interesse della Comunità”, a revocare, conformemente ad una decisione
definitiva con la quale la Commissione impone il recupero di un aiuto erogato, la corrispondente
decisione di concessione dell’aiuto, anche quando abbia lasciato scadere il termine previsto a tal
fine dal diritto nazionale a tutela della certezza del diritto, e ciò anche quando l’illegittimità sia
imputabile all’autorità nazionale in una misura tale che la revoca apparirebbe, nei confronti del
beneficiario dell’aiuto, contraria al principio di buona fede.
14
La sentenza è pubblicata sulla Riv. Dir. Pubbl. Com., 1998, 493 e ss. ed in Europerecht, 148 e ss.
Per il testo integrale della legge si cfr. La legge tedesca sul procedimento amministrativo (Verwaltungsverfahrensgesetz), Trad.
con testo a fronte e commento introduttivo a cura di Galetta, Milano, 2002.
15
151
Il giudice comunitario, nell’affrontare la questione, ha richiamato la consolidata
giurisprudenza 16 secondo cui, in materia di ripetizione di aiuti indebitamente versati, il recupero
deve avvenire, in linea di principio, nel rispetto delle pertinenti norme del diritto nazionale, a
patto però che dette norme vengano applicate in modo da non rendere praticamente impossibile
il recupero prescritto dal diritto comunitario. Ha conseguentemente affermato che, sebbene una
legislazione nazionale, posta a garanzia del legittimo affidamento e della certezza del diritto in
materia di ripetizione, non contrasti con l’ordinamento giuridico comunitario, le imprese
beneficiarie di un aiuto possono fare legittimo affidamento sulla regolarità dell’aiuto solamente
qualora quest’ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista dal Trattato.
La Corte ha però avuto modo di precisare che, in materia di aiuti di Stato dichiarati
incompatibili, il compito delle autorità nazionali consiste solo nel dare esecuzione alle decisioni
della Commissione, senza che possano disporre di alcun potere discrezionale quanto alla revoca
di una decisione di concessione.
Muovendo dalla constatazione dell’assenza di potere discrezionale dell’autorità nazionale,
il giudice comunitario ha quindi sottolineato come il principio della certezza del diritto non possa
precludere la restituzione dell’aiuto per il fatto che le autorità nazionali si sono conformate con
ritardo alla decisione che impone tale restituzione: il beneficiario dell’aiuto illegittimamente
attribuito cessa infatti di trovarsi nell’incertezza non appena la Commissione adotta una
decisione che dichiari l’incompatibilità dell’aiuto e ne ordini il recupero.
La prima questione è così risolta nel senso che l’autorità nazionale competente è tenuta, in
forza del diritto comunitario, a revocare la decisione di concessione di un aiuto attribuito
illegittimamente, anche quando abbia lasciato scadere il termine a tal fine previsto dal diritto
nazionale a tutela della certezza del diritto.
Quanto alla seconda questione, la Corte ha affermato l’obbligo in capo al beneficiario
dell’aiuto di accertarsi che la procedura di verifica di compatibilità prevista dal Trattato sia stata
rispettata. Il giudice comunitario, inoltre, ha precisato come la sussistenza di un simile obbligo di
diligenza non possa essere subordinata al comportamento dell’autorità statale, anche se
l’illegittimità della decisione di concessione sia imputabile a quest’ultima e la relativa revoca
appaia contraria al principio di buona fede: la mancata revoca della decisione di concessione
dell’aiuto, anche in presenza di tali circostanze, lederebbe comunque gravemente l’interesse
comunitario, rendendo praticamente impossibile il recupero.
16
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 21 settembre 1983, in cause riunite C-205/82-215/82, Deutsche Milchkontor c.
Germania.
152
Il riconoscimento della “responsabilità del destinatario” dell’aiuto, quale elemento che
impedisce il consolidarsi di una posizione di legittimo affidamento, costituisce uno sviluppo dei
principi in precedenza enunciati dalla Corte nella sentenza SFEI 17 .
In quell’occasione, infatti, il giudice comunitario, nel definire l’efficacia diretta dell’art. 93
(oggi 88) T.C.E., aveva affermato, seppur non esplicitamente, il potere-dovere del cittadino
comunitario che beneficia dell’aiuto di accertare se sia avvenuta o meno la notifica della norma
agevolativa da parte dello Stato, di verificare se detta norma sia compatibile con le disposizioni
comunitarie ed, eventualmente, di disapplicarla, nella misura in cui egli sia chiamato in qualche
modo dalla legge ad “applicarla” autonomamente, senza la mediazione dell’amministrazione. La
Corte, inoltre, aveva sottolineato come un’indebita applicazione, da parte del beneficiario, della
norma interna disapplicabile possa anche determinare a suo carico responsabilità
extracontrattuali di diritto interno, ove previste, in forza del principio comunitario di non
discriminazione: «il sistema di controllo e di esame degli aiuti di Stato istituito dall’art. 93 del
Trattato non impone al beneficiario dell’aiuto alcun obbligo specifico. In primo luogo, l’obbligo
di notifica e il divieto di attuazione immediata dei progetti di aiuto previsti dall’art. 93, n. 3,
hanno come destinatario lo Stato membro. In secondo luogo, è sempre quest’ultimo cui è diretta
la decisione con la quale la Commissione dichiara un aiuto incompatibile e invita a sopprimerlo
entro un dato termine. Stando così le cose, il diritto comunitario non offre una base giuridica
sufficiente per far sorgere la responsabilità del beneficiario che non ha verificato se l’aiuto
ricevuto sia stato debitamente notificato alla Commissione. Ciò non impedisce tuttavia
l’eventuale applicazione del diritto nazionale in materia di responsabilità extracontrattuale. Se,
alla luce dei suoi principi, l’operatore economico che accetta un sostegno illegittimo idoneo a
provocare un danno ad altri operatori economici può, in talune circostanze, essere considerato
civilmente responsabile, il principio di non discriminazione può indurre il giudice nazionale ad
affermare la responsabilità del beneficiario di un aiuto di Stato corrisposto in violazione dell’art.
93, n. 3, del Trattato».
Alla luce di questa rigorosa impostazione, confermata dalla sentenza Alcan, il legittimo
affidamento deve dunque essere fondato su un comportamento imputabile alla Commissione.
Risulta pertanto necessario dimostrare l’esistenza di una specifica ed oggettiva ragione che
consenta di ritenere che la Commissione nulla possa eccepire contro la misura dell’aiuto: a tal
17
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 7 novembre 1996, in causa C-39/94, Syndacat Français de l’Express international
- SFEI, in Dir. Com. Scambi internaz., 1996, 709 e ss. con nota di ADOTTI, Il ruolo del giudice nazionale nell'applicazione
dell'art. 93.3 del Trattato CE in materia di aiuti statali alle imprese con riferimento alla recente giurisprudenza della Corte di
giustizia.
153
fine, solo l’eccessivo ritardo da parte degli organi comunitari nella procedura d’esame di un aiuto
di Stato notificato può costituire una idonea presunzione di legittimità dell’aiuto.
In conclusione, nella riferita decisione, la legalità comunitaria - e più specificatamente,
l’interesse comunitario all’effettivo rispetto delle norme a tutela della concorrenza - è ritenuta
prevalente sia sull’applicazione della normativa nazionale che preveda un termine per il recupero
e, dunque, sul principio di certezza del diritto, insito nella previsione del detto termine, sia sul
principio di affidamento.
3. La revoca dell’atto di concessione dell’aiuto coperto da giudicato nazionale − Con la
sentenza, 18 luglio 2007, in causa C-119/05, Lucchini, la Corte di giustizia delle Comunità
Europee si è pronunciata su una domanda pregiudiziale proposta nell’ambito di un giudizio di
impugnazione di un decreto di recupero di aiuti erogati in contrasto con il diritto comunitario 18 .
La vicenda, piuttosto complessa, può essere così riassunta.
L’impresa Lucchini, al fine di investire nell’ammodernamento di alcuni impianti aveva
richiesto un mutuo a tasso agevolato, nonché un finanziamento statale. Le competenti autorità
italiane avevano pertanto notificato alla Commissione l’intenzione di erogare un aiuto. In
proposito, la Commissione aveva richiesto ulteriori informazioni relative alla natura degli
investimenti sovvenzionati ed alle condizioni precise dei mutui richiesti (percentuale, durata),
senza ottenere risposta.
18
Per un commento alla decisione si vedano: BIAVATI, La sentenza Lucchini: il giudicato nazionale cede al diritto comunitario,
in Rass. Trib., 2007, 1579 e ss.; BRÌZA, Lucchini Spa, Is There Anything Left of Res Judicata Principle?, in Civil justice
quarterly, 2008, 40 e ss.; CONSOLO, La sentenza Lucchini della Corte di Giustizia: quale possibile adattamento degli ordinamenti
processuali interni e in specie del nostro?, in Riv. Dir. Proc., 2008, 225 e ss.; ID., Il primato del diritto comunitario può spingersi
fino ad intaccare la “ferrea” forza del giudicato sostanziale?, in Corr. Giur., 2007, 1189; FONTANA, Qualche osservazione in
margine al caso Lucchini. Un tentativo di spiegazione, in Dir. Comm. Internaz., 2008, 193; KREMER, Gemeinschaftsrechtliche
Grenzen der Rechtskraft, in EuRecht, 2007, 479 e ss.; LAJOLO, DI COSSANO, L’Europa abbatte un mito: il giudicato, in Dir.
Comm. Internaz., 2007, 724 e ss.; NEBBIA, Do the rules on State aids have a life of their own? National procedural autonomy
and effectiveness in the Lucchini case, in European Law Review, 2008, 427; NEGRELLI, I1 primato del diritto comunitario e il
giudicato nazionale: un confronto che si poteva evitare o risolvere altrimenti. (Brevi riflessioni a margine alla sentenza della
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 18 luglio 2007, in causa C-119/05), in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2008, 1217 e ss.;
NORI, La cosa giudicata nazionale nel diritto comunitario, in Rass. Avvocatura Stato, 2007, I, 289 e ss.; OREFICE, Sulla
intangibilità del giudicato: un caso sugli aiuti di stato. La sentenza della Corte di giustizia UE del 18 luglio 2007 nella causa n.
C-119-05, in www.ratioiuris.it; PICARDI, Eventuali conflitti fra principio del giudicato e principio della superiorità del diritto
comunitario, in Giust. civ., 2008, 559 e ss.; SIMON, Autorité de la chose jugée de l’arret d’une jurisdiction nationnel devenu
définitif, in Juris Classeur Europe, 2007, 235 e ss.; SCODITTI, Giudicato nazionale e diritto comunitario, in Foro It., 2007, 533 e
ss.; STILE, La sentenza Lucchini sui limiti del giudicato: un traguardo inaspettato?, in Dir. Com. Scambi Internaz., 2007, 733 e
ss.; ZUFFI, Il caso Lucchini infrange l’autorità del giudicato nazionale nel campo degli aiuti statali, in Giur. It., 2008, 382. Si
veda, inoltre, in argomento in precedenza CONTESSA, Fin dove arriva il diritto comunitario? (Gli incerti confini del giudicato
interno), in Corriere merito, 2006, 785, CONTI, Autorità di cosa giudicato, diritto interno e primato del diritto comunitario, in
Nuove autonomie, 2005, 373 e ss. e STILE, Il problema del giudicato interno in contrasto con l’ordinamento comunitario, in Dir.
Com. Scambi Internaz., 2007, 237 e ss.
154
Il 13 gennaio 1989 la Commissione, non essendo in grado di valutare la compatibilità
dell’aiuto complessivo, in assenza di adeguati chiarimenti, aveva avviato la procedura per la
dichiarazione di incompatibilità.
Nel frattempo la Lucchini, non avendo ancora ricevuto l’aiuto, aveva convenuto
l’AGENSUD dinanzi al giudice civile per sentir accertare il proprio diritto alla somma di
finanziamento.
Il 20 giugno 1990 la Commissione, con decisione n. 90/555/CECA, aveva definitivamente
dichiarato che l’aiuto era incompatibile con il mercato comune.
Nonostante ciò la Lucchini aveva ottenuto dal giudice italiano una sentenza favorevole, poi
confermata e sulla quale si era formato il giudicato. Conseguentemente, posto che le somme
concesse non erano ancora state erogate, la Lucchini aveva chiesto ed ottenuto un decreto
ingiuntivo con cui intimava il pagamento, in esecuzione del quale il Ministero aveva adottato un
decreto di erogazione.
Successivamente la Commissione, nel rilevare la sentenza della Corte d’Appello e il
decreto erano in contrasto con il diritto comunitario, aveva invitato il governo italiano a
presentare osservazioni. Il Ministero dell’Industria aveva allora adottato un nuovo decreto con
cui revocava l’aiuto concesso e ne intimava la restituzione.
Il suddetto decreto era stato quindi impugnato dinanzi al T.a.r. Lazio dalla Lucchini,
deducendo tra l’altro l’intangibilità del diritto all’aiuto, grazie al passaggio in giudicato della
sentenza della Corte d’Appello. Il giudice amministrativo aveva accolto il ricorso e l’Avvocatura
dello Stato aveva impugnato la sentenza dinanzi al Consiglio di Stato.
Con l’ordinanza di rinvio pregiudiziale 22 ottobre 2004, il Consiglio di Stato aveva così
sottoposto alla Corte le seguenti questioni: 1) se, in forza del principio del primato del diritto
comunitario immediatamente applicabile, sia giuridicamente possibile e doveroso il recupero
dell’aiuto da parte dell’amministrazione interna nei confronti di un privato beneficiario,
nonostante la formazione di un giudicato civile affermativo dell’obbligo incondizionato di
pagamento dell’aiuto medesimo; 2) ovvero se - stante il pacifico principio secondo il quale la
decisione sul recupero dell’aiuto è regolata dal diritto comunitario, ma la sua attuazione ed il
relativo procedimento di recupero, in assenza di disposizioni comunitarie in materia, è retta dal
diritto nazionale - il procedimento di recupero non divenga giuridicamente impossibile in forza
155
di una concreta decisione giudiziaria, passata in cosa giudicata (art. 2909 cod. civ.) che fa stato
fra privato e amministrazione ed obbliga l’amministrazione a conformarvisi 19 .
Nel giudizio dinanzi alla Corte, la Lucchini, sostenuta dal governo della Repubblica ceca,
ha prospettato la tesi secondo cui una decisione giudiziaria passata in giudicato deve prevalere
sull’interesse della Comunità a recuperare un aiuto erogato in contrasto con il diritto
comunitario, richiamando sul punto la giurisprudenza nelle cause Eco Swiss, Köbler, Kühne &
Heitz e Kapferer. Il governo ceco ha inoltre invocato l’art. 14, n. 1, del regolamento (CE) n.
659/1999, in cui è stabilito che la Commissione non impone la restituzione dell’aiuto qualora ciò
sia in contrasto con un principio generale di diritto comunitario: tale situazione si configurerebbe
in presenza di una res iudicata.
Il governo italiano, quello olandese e la Commissione, invece, pur riconoscendo
l’importanza del principio dell’autorità del giudicato, come espresso nella citata giurisprudenza,
hanno sostenuto che non fosse applicabile nella fattispecie in esame o, comunque, che potesse
essere derogato.
In particolare, a giudizio del governo italiano, il principio dell’autorità del giudicato non
poteva trovare applicazione, in quanto esso presuppone una sentenza che abbia acquisito effetti
vincolanti tra le stesse parti, che abbia il medesimo oggetto e che sia basata sul medesimo
fondamento giuridico. Questa terza condizione non sarebbe soddisfatta in considerazione, da un
lato, delle differenze tra il procedimento di diritto civile risultante nella sentenza della Corte
d’Appello e la procedura amministrativa pendente dinanzi all’organo giurisdizionale del rinvio,
e, d’altro lato, del fatto che la sentenza della Corte d’Appello non aveva preso in considerazione
la decisione della Commissione n. 90/555/CECA.
Il governo italiano ha inoltre osservato come la Lucchini non potesse invocare neppure la
tutela del legittimo affidamento, quale motivo ostativo alla restituzione dell’aiuto: un’impresa,
infatti, è consapevole che un diritto al pagamento di un aiuto può configurarsi solo in presenza di
una decisione di approvazione a livello sia nazionale sia europeo, conseguentemente, anche se a
livello nazionale esiste una sentenza passata in giudicato, occorre prima attendere la decisione
della Commissione, che peraltro non è affatto vincolata dalla sentenza del giudice nazionale. La
Lucchini, pertanto, avrebbe potuto presentare ricorso avverso la decisione della Commissione.
19
Per un commento a margine di tale ordinanza di rinvio pregiudiziale si veda MALINCONICO, Il recupero degli aiuti di Stato tra
preclusioni processuali nazionali e limiti alla proposizione d'ufficio del ricorso pregiudiziale alla Corte di giustizia, in Dir. Proc.
Amm., 2005, 805 e ss. In senso critico si cfr. LUISO, La responsabilità civile del magistrato, in www.judicium.it, secondo cui il
Consiglio di Stato avrebbe sbagliato nell’individuazione della questione da sottoporre alla Corte, sostenendo che «il giudicato
non c’entrava affatto in quanto lo Stato italiano agiva per il recupero dei contributi (...) adempiendo ad un preciso dovere
comunitario, e dunque esercitando, come longa manus della Comunità (...) un diritto che questa vantava nei confronti della
Lucchini».
156
Diversamente, il governo olandese ha sottolineato che la particolarità della materia in
esame consentirebbe, in via eccezionale, di derogare ai principi dell’efficacia del giudicato e
dell’autonomia processuale nazionale. A sostegno della propria posizione, infatti, questo governo
ha richiamato i principi enunciati nella sentenza Kapferer, secondo cui in linea di principio, una
decisione giudiziaria divenuta irrevocabile può essere impugnata per incompatibilità con il diritto
comunitario solo se le regole procedurali nazionali lo consentono.
Analoga linea è stata seguita dalla Commissione, ritenendo che l’intangibilità del giudicato
non sia assoluta. In particolare, ad avviso della Commissione occorreva fare una distinzione tra
l’autorità conferita a sentenze in cui vengono accertati diritti delle parti di cui esse possono
liberamente disporre, nel contesto di procedimenti in contraddittorio, e l’autorità di sentenze di
organi giurisdizionali nazionali nel settore degli aiuti statali, in cui gli interessi delle autorità
nazionali e quelli dei beneficiari spesso sono paralleli ed in cui la questione, fondamentale per
entrambe le parti, relativa alla legittimità dell’aiuto è retta da disposizioni comunitarie vincolanti.
La Commissione ha altresì ribadito la sussistenza di un obbligo di
comunicazione
preventiva dell’aiuto, sottolineando che tale obbligo vale per lo Stato membro in quanto tale,
qualunque sia l’organo che concede l’aiuto, e, quindi, anche per gli organi giurisdizionali:
pertanto, il fatto che l’aiuto venga erogato in forza di un’apposita sentenza di un giudice
nazionale non esime lo Stato membro dall’obbligo di comunicare in precedenza l’aiuto e di non
erogarlo prima che la Commissione abbia dato la sua approvazione.
Inoltre, la presunzione che una sentenza di un giudice civile possa ostacolare il recupero di
un aiuto, a giudizio della Commissione, determinerebbe una confusione tra due livelli diversi:
quello della procedura nazionale (segnatamente gli effetti di una sentenza di un giudice civile
relativi ai poteri della pubblica amministrazione) e quello della procedura che sfocia nella
concessione di un aiuto, che non presuppone soltanto il perfezionamento della procedura
nazionale ma, sino a che la Commissione non abbia dato la sua approvazione all’aiuto notificato,
anche l’adempimento degli obblighi imposti dal diritto comunitario.
La Commissione ha quindi prospettato due ipotesi, una in cui l’aiuto concesso coincide con
l’aiuto valutato dalla Commissione, ed una in cui l’aiuto sia invece diverso da quello notificato e
valutato: nel primo caso, il giudice è vincolato dalla decisione in cui l’aiuto è dichiarato
incompatibile con il mercato comune e deve trarne le debite conseguenze; nel secondo caso,
deve applicarsi la regola dello standstill e, qualora il giudice si pronunci, l’autorità del giudicato
della sentenza riguarda solo la fase nazionale, senza avere alcun impatto a livello comunitario.
157
La Commissione ha infine richiamato la giurisprudenza secondo cui le disposizioni
nazionali devono essere applicate in modo tale da non rendere praticamente impossibile la
ripetizione dell’aiuto, sottolineando come il primato del diritto comunitario talvolta comporti una
relativizzazione della certezza del diritto: se tale primato può comportare che ogni atto nazionale
di natura amministrativa o anche legislativa sia disapplicato, ciò dovrebbe necessariamente
valere analogamente nel caso in cui una sentenza contraria al diritto comunitario abbia acquisito
efficacia di giudicato.
Anche, l’Avvocato generale Geelhoed, nelle conclusioni depositate il 14 settembre 2006, si
è espresso nel senso della deroga al principio dell’intangibilità di un giudicato, qualora la sua
applicazione comporti gravi conseguenze per la ripartizione delle competenze tra la Comunità e
gli Stati membri e sia tale da rendere impossibile l’esercizio dei poteri attribuiti alla
Commissione.
L’Avvocato generale ha in primo luogo sottolineato come l’autorità del giudicato, al di là
dei celebri brocardi, non sia assoluta neppure nella tradizione degli Stati membri, in cui è sempre
prevista la possibilità, diversamente regolata in ciascuno di essi, di rimedi revocatori. Ha poi
rammentato come anche la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia riconosciuto che la
violazione dei diritti fondamentali dell’uomo possa essere sanzionata “in via straordinaria” anche
in spregio all’autorità del giudicato.
Quanto all’applicabilità dei principi enunciati nelle sentenze Eco Swiss, Köbler, Kühne &
Heitz e Kapferer, l’Avvocato generale ha evidenziato come «in nessuna di queste sentenze era in
discussione l’esercizio di una facoltà comunitaria in quanto tale». Ad avviso dell’Avvocato
generale, dall’analisi delle questioni portate all’attenzione della Corte di giustizia in quelle
occasioni emerge infatti che - anche nel caso più affine, Eco Swiss, relativo al campo degli
accordi fra imprese restrittivi della concorrenza - non vi era stata alcuna violazione di una facoltà
comunitaria così specifica ed esclusiva come quella di disporre la restituzione degli aiuti indebiti.
Inoltre, nei quattro casi citati, le stesse parti erano incorse in una responsabilità per non aver fatto
valere i diritti, conferiti dall’ordinamento comunitario, di cui disponevano liberamente, lasciando
scadere termini d’impugnazione o comunque compiendo atti di acquiescenza. Nel caso Lucchini,
invece, la sentenza della Corte passata in giudicato, nel sancire l’obbligazione di versare
all’impresa l’importo del contributo, non aveva solo conseguenze per i rapporti tra lo Stato
italiano ed il beneficiario dell’aiuto ma veniva a vanificare il controllo della Commissione
europea, finendo con l’attribuire agli organi giurisdizionali nazionali un potere indiretto di
158
pronunciarsi sulla questione della stessa compatibilità comunitaria dell’aiuto che invece spetta in
via esclusiva alla Commissione.
L’Avvocato è giunto così alla conclusione che «il giudice nazionale, nell’interpretazione
del diritto interno, non può emettere sentenze che non tengono conto della fondamentale
ripartizione di poteri tra la Comunità e gli Stati membri, sancita dai trattati. Ciò vale anche se
siffatte sentenze hanno ottenuto autorità di cosa giudicata. E ciò resta valido segnatamente nel
caso di disposizioni dei trattati e della loro applicazione che esprimono principi fondamentali del
diritto comunitario sostanziale, come nella fattispecie in esame gli artt. 87 e (88) CE. Questo vale
ancora più in particolare nei casi in cui l’obbligo giuridico per il giudice nazionale è contenuto
inequivocabilmente nello stesso Trattato e nella giurisprudenza derivatane, come avviene, in altri
termini, nell’art. 88, n. 3, CE e nella giurisprudenza della Corte in precedenza citata. In tali casi
l’autorità di cosa giudicata di una sentenza che si fonda esclusivamente sull’interpretazione del
diritto nazionale, e in cui il rilevante diritto comunitario è manifestamente disapplicato, non può
costituire un ostacolo all’esercizio dei poteri conferiti alla Commissione dalle disposizioni
rilevanti del diritto comunitario» 20 . Ed, in proposito, ha richiamato per analogia le
argomentazioni della sentenza Masterfoods, in cui la Corte aveva già precisato come, mentre la
Commissione, nello svolgimento del compito ad essa attribuito dal Trattato, non è vincolata da
una sentenza resa da un giudice nazionale e può rendere in ogni momento una decisione con essa
contrastante, gli organi giurisdizionali nazionali, che statuiscano su contratti o comportamenti su
cui la Commissione ha già preso una decisione, non possono emettere una sentenza in contrasto
con siffatta decisione, anche se questa fosse a sua volta in contrasto con una decisione di un
giudice nazionale di primo grado 21 .
Così ricostruite le posizioni delle varie parti in causa, occorre analizzare la decisione del
giudice comunitario.
La Corte di giustizia, innanzitutto, nell’affermare la propria competenza a pronunciarsi
sulla questione proposta, ha richiamato la propria giurisprudenza relativa alla competenza della
20
Conclusioni dell’Avvocato generale Geelhoed, 14 settembre 2006, in causa C-119/05, Lucchini, punti 72-74.
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 14 dicembre 2000, causa C-344/98, Masterfoods, in Foro It., 2001, IV, 209 e ss.,
con nota di MIRANDA-RITTER, Concorrenza, autorità comunitarie, giudici nazionali. Più in generale, in argomento si veda
NEGRI, Giurisdizione e amministrazione nella tutela della concorrenza, Torino, 2006.
L’orientamento giurisprudenziale è stato poi codificato nell’art. 16 del regolamento (CE) n. 1/2003 secondo cui «quando le
giurisdizioni nazionali si pronunciano su accordi, decisioni e pratiche ai sensi dell’articolo 81 o 82 del trattato che sono già
oggetto di una decisione della Commissione, non possono prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata
dalla Commissione. Esse devono inoltre evitare decisioni in contrasto con una decisione contemplata dalla Commissione in
procedimenti da essa avviati. A tal fine le giurisdizioni nazionali possono valutare se sia necessario o meno sospendere i
procedimenti da esse avviati. Tale obbligo lascia impregiudicati i diritti e gli obblighi di cui all'articolo 234 del trattato». Sul
punto si vedano le critiche di ZANON, Fonti comunitarie, indipendenza funzionale del giudice italiano e “controlimiti”, in
www.forumcostituzionale.it.
21
159
Commissione a valutare la compatibilità con il mercato comune di un regime di aiuti, ribadendo
che tale competenza è esclusiva ed è esercitata sotto il controllo del giudice comunitario.
Conseguentemente, nel caso in esame, i giudici nazionali non erano competenti a pronunciarsi
sulla compatibilità degli aiuti di Stato richiesti dalla Lucchini e né avrebbero potuto constatare
l’invalidità della decisione 90/555, che aveva dichiarato tali aiuti incompatibili.
La Corte ha così risolto le questioni sollevate nel senso che il diritto comunitario osta
all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale - come l’art. 2909 del codice civile
italiano - volta a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l’applicazione
di una tale disposizione impedisca il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il
diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato comune è stata dichiarata con
decisione della Commissione divenuta definitiva. Spetta infatti ai giudici nazionali interpretare le
disposizioni del diritto nazionale in modo da consentirne un’applicazione che garantisca la piena
efficacia del diritto comunitario e, all’occorrenza, disapplicarle.
La portata dell’exceptio rei giudicatae risulta dunque ridimensionata: il giudicato non è
opponibile tra le parti qualora comporti una lesione delle norme attinenti alla struttura e
all’articolazione dei poteri dell’Unione.
In conclusione, la prevalenza del diritto comunitario nelle materie di spettanza europea
sembra passare attraverso il sacrificio dell’intangibilità del giudicato e dei sottesi principi
dell’indipendenza funzionale del giudice e, soprattutto, della certezza del diritto. Analogamente a
quanto evidenziato nel paragrafo precedente con riferimento alla sentenza Alcan, il principio di
legalità comunitaria e, più specificatamente, l’interesse comunitario all’effettivo rispetto delle
norme a tutela della concorrenza, viene ritenuto preminente nel bilanciamento con interessi
nazionali, cui è stata comunque riconosciuta rilevanza comunitaria.
Si assiste, quindi, ad una sempre più incisiva europeizzazione della disciplina
dell’annullamento d’ufficio, europeizzazione che, come fa notare la più acuta dottrina 22 , non
agisce a posteriori attraverso una delimitazione della rilevanza della tutela dell’affidamento e
della certezza, ma opera in un momento antecedente, assicurando anticipatamente la prevalenza
dell’interesse comunitario, a prescindere dal test di equivalenza ed effettività 23 .
22
Si veda per tutti, GIGANTE, Mutamenti nella regolazione dei rapporti giuridici e legittimo affidamento, Milano, 2008, 130.
Si veda sul punto NEGRELLI, I1 primato del diritto comunitario e il giudicato nazionale: un confronto che si poteva evitare o
risolvere altrimenti, cit., 1234, secondo cui il mancato riferimento ai principi di equivalenza ed effettività costituisce una
deliberata scelta argomentativa della Corte di giustizia al fine giustificare il revirement rispetto alle statuizioni contenute nella
sentenza Kapferer (si cfr. supra cap. 3 par. 1). Una tale conclusione è sostenuta in relazione alla duplice funzione, attribuita
dall’Autore, ai criteri di equivalenza ed effettività, di «correttivi utili al dune di riportare il diritto nazionale entro i binari del
rispetto del diritto comunitario» e di «parametri-limite per il vaglio operato dalla Corte in relazione alle regole processuali».
23
160
4. La vis espansiva del principio di cedevolezza del giudicato nazionale − Occorre a
questo punto domandarsi se il principio della cedevolezza del giudicato nazionale di fronte al
primato del diritto comunitario enunciato nella sentenza Lucchini possa godere di una vis
espansiva anche al di là dell’applicazione all’ambito materiale degli aiuti di Stato.
Ad una risposta negativa giunge quella parte della dottrina 24 secondo cui le argomentazioni
della Corte di giustizia non costituiscono un revirement giurisprudenziale, ma solo una
“necessaria e giustificata precisazione” in considerazione della peculiare natura della
controversia interna, che doveva essere in prima istanza risolta al livello comunitario, trattandosi,
come incisivamente rappresentato anche dall’Avvocato generale, dell’esercizio di poteri in una
materia, gli aiuti di Stato, riservata alla competenza esclusiva dell’autorità comunitaria. Di qui
l’esigenza di consentire, senza limiti temporali, il superamento del giudicato formatosi in
contrasto con la ripartizione dei poteri tra ordinamento comunitario e nazionale ed, in particolare,
delle competenze della Commissione e dei giudici degli Stati membri.
Una tale ricostruzione sembrerebbe in linea di principio corretta se si considera come il
rispetto delle competenze attribuite abbia una rilevanza pregnante, tale da consentire il
superamento di un giudicato, anche nel nostro ordinamento: l’art. 362 c.p.c., infatti, nel
disciplinare la materia dei conflitti di giurisdizione e di attribuzione dispone che «possono essere
denunciati in ogni tempo 25 con ricorso per cassazione: 1) i conflitti positivi o negativi di
giurisdizione tra giudici speciali, o tra questi e i giudici ordinari; 2) i conflitti negativi di
attribuzione tra la pubblica amministrazione e il giudice ordinario» 26 .
Secondo altra parte della dottrina 27 , la sentenza Lucchini è espressione di una generale
tendenza al superamento dell’autorità della cosa giudicata che, dalla materia degli aiuti di Stato,
24
FONTANA, Qualche osservazione in margine al caso Lucchini, cit., 211.
Sul punto Cass., S.U., 7 maggio 1993, n. 5257 secondo cui «nel consentire "in ogni tempo" la denuncia dei conflitti negativi di
giurisdizione, sottrae la proponibilità dell'azione dai limiti temporali fissati per le impugnazioni e, di conseguenza, legittima la
proposizione del relativo ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione anche nel caso in cui l’una o l’altra delle pronunce
in conflitto sia formalmente passata in giudicato (Cass. civ., S.U., 13 aprile 1992, n. 4481), ritiene la Corte, nel risolvere il
conflitto negativo come sopra denunciato, che vada dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della
controversia».
26
Su tale ricorso si vedano, più diffusamente, MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, Torino, 2006, 491 e ss.
27
Si veda, in particolare, CONSOLO, La sentenza Lucchini della Corte di Giustizia: quale possibile adattamento degli ordinamenti
processuali interni e in specie del nostro?, cit., 233, secondo cui la sentenza «verrà ricordata come uno dei milestones, forse il
più emblematico, del doppiaggio dei valori giuridici nazionali - fra cui quello della forza di «acciaio» (è il caso qui proprio di
dire) del giudicato primeggia, anche se certo il giudicato non è l’unica forma di tutela effettiva - ad opera di quelli
dell’ordinamento dinamico giustiziale comunitario e dei suoi valori e nuovi modelli «fluidi»: le autorità giurisdizionali
municipali godono ormai di una funzione protettiva dei diritti a sovranità (larghissima, ma) limitata allorché quella tutela eroda le
prerogative riservate in via esclusiva alla Comunità e di norma rivolte agli interessi degli omnes sia pure soprattutto nel campo
suo tradizionale dell'assicurazione del libero agone economico».
25
161
ben presto coinvolgerà anche l’adiacente e più vasto campo del diritto della concorrenza e
successivamente ogni materia “comunitarizzata” 28 .
Tale evoluzione culminerà nella disapplicazione dell’art. 2909 c.c. non solo quando sia in
gioco la ripartizione delle competenze fra la Comunità e gli Stati membri, ma anche quando
siano in questione diritti attribuiti ai singoli dall’ordinamento comunitario, ferma in ogni caso la
possibilità di ottenere la tutela risarcitoria laddove la tutela in forma specifica non raggiunga il
suo risultato 29 .
Una conferma in questo senso sembra emergere dal dubbio interpretativo, di recente
sollevato dalla Corte di Cassazione, sull’incidenza delle statuizioni contenute nella sentenza
Lucchini nell’ambito delle liti tributarie in materia di i.v.a. 30
Il giudice di legittimità, con l’ordinanza 21 dicembre 2007 n. 26996, ha infatti sottoposto
alla Corte di giustizia la questione della compatibilità con il diritto comunitario dell’art. 2909
c.c., nell’ambito di una controversia avente ad oggetto l’ammissibilità dell’eccezione di
giudicato esterno, relativo a diverse annualità di imposta, formatosi su contestazioni in materia di
avvisi di rettifica i.v.a. adottati nei confronti della società Olimpiclub.
In particolare, la Corte ha preliminarmente ribadito che, in materia tributaria, il tradizionale
principio della «frammentazione dei giudicati» - in base al quale ogni annualità fiscale comporta
la costituzione, tra contribuente e fisco, di un rapporto giuridico distinto rispetto a quelli relativi
alle annualità precedenti, con la conseguenza, qualora le controversie relative a diverse annualità
d’imposta del medesimo tributo, concernenti questioni in tutto o in parte analoghe, siano
separatamente decise con più sentenze, ciascun giudizio mantiene la sua autonomia e la
decisione ad esso relativa non è suscettibile di costituire cosa giudicata rispetto ai giudizi relativi
alle altre annualità - va superato in favore dell’impostazione secondo cui il giudicato esterno può
essere utilmente invocato anche laddove formatosi in relazione ad un periodo d’imposta diverso
da quello oggetto del giudizio.
28
Si esprime in senso critico nei confronti di tale conclusione CERULLI IRELLI, Trasformazioni del sistema di tutela
giurisdizionale nelle controversie di diritto pubblico per effetto della giurisprudenza europea, in Riv. It. Dir. Pubbl. Com., 2008,
473 secondo cui un superamento dell’istituto del giudicato nelle sole materie “comunitarizzate” non sarebbe comunque
ipotizzabile, in quanto comporterebbe comunque la violazione dell’art. 24 Cost. «visto che la norma non consente tutele
differenziate, rispettivamente dei diritti e degli interessi legittimi, a chiunque spettanti, da parte della giurisdizione nazionale nelle
sue diverse articolazioni (chiamate a tutelare anche le situazioni protette dal diritto comunitario). Ed è superfluo ricordare che la
violazione di questa norma, considerata tra le fondamentali di tutto l’ordinamento costituzionale e il cui rispetto resta affidato,
secondo la dottrina dei «controlimiti », alla giurisdizione della Corte costituzionale, sarebbe intollerabile in punto di compatibilità
tra ordinamento interno e ordinamento europeo».
29
Così SCODITTI, Giudicato nazionale e diritto comunitario, cit., 535.
30
Si tratta della domanda pregiudiziale iscritta al ruolo della Corte di giustizia delle Comunità Europee, C-2/08, recentemente
oggetto di discussione all’udienza del 22 gennaio 2009, con relativo deposito delle conclusioni dell’Avvocato generale previsto
per il 24 marzo 2009.
162
La Cassazione ha tuttavia rilevato come, nel caso in esame, l’accoglimento dell’eccezione
della sussistenza di un giudicato di accertamento sulla liceità dell’operazione posta alla base
dell’atto impositivo oggetto della controversia impedirebbe l’applicazione del divieto di abuso
del diritto in materia fiscale, di recente affermato anche dalla giurisprudenza comunitaria 31 ,
domandandosi a questo punto se il giudicato esterno possa assumere uguale efficacia vincolante
qualora comporti il mancato rispetto di un principio di diritto comunitario e, quindi, se l’art.
2909 c.c. - che esclude non solo la possibilità di dedurre nuovamente, in una seconda
controversia, motivi sui quali un organo giurisdizionale si sia già pronunciato esplicitamente in
via definitiva, ma anche la disamina di questioni che avrebbero potuto essere sollevate
nell’ambito di una controversia precedente senza che ciò sia però avvenuto - debba essere
disapplicato alla luce delle argomentazioni contenute nella sentenza Lucchini.
La Suprema Corte, non ritenendo di poter applicare analogicamente alla materia dell’i.v.a.,
l’interpretazione fornita dal giudice comunitario con riferimento al settore degli aiuti di Stato, ha
così richiesto alla Corte di giustizia di pronunciarsi in via pregiudiziale formulando il seguente
quesito: «se il diritto comunitario osti all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale,
come quella di cui all’art. 2909 c.c., tesa a sancire il principio dell'autorità di cosa giudicata,
quando tale applicazione venga a consacrare un risultato contrastante con il diritto comunitario,
frustrandone l’applicazione, anche in settori diversi da quello degli aiuti di Stato (per cui, v.
C.G. 18.7.2007 in causa C-119/05, Lucchini s.p.a.) e, segnatamente, in materia di i.v.a. e di
abuso di diritto posto in essere per conseguire indebiti risparmi d’imposta, avuto, in particolare,
riguardo anche al criterio di diritto nazionale, così come interpretato dalla giurisprudenza di
questa corte, secondo cui, nelle controversie tributarie, il giudicato esterno, qualora
l’accertamento consacrato concerna un punto fondamentale comune ad altre cause, esplica,
rispetto a questo, efficacia vincolante anche se formatosi in relazione ad un diverso periodo
d’imposta».
Di rilevante interesse sono le considerazioni fornite dalla Corte in merito alla serietà del
dubbio interpretativo.
Si osserva infatti che la sentenza Lucchini «sembra iscriversi in una più generale tendenza
della giurisprudenza della Corte di giustizia orientata a relativizzare il valore del giudicato
nazionale e a distinguere, le controversie di diritto comunitario aventi esclusivamente ad oggetto
diritti disponibili delle parti, per le quali sono pienamente operanti gli strumenti processuali
31
Corte di giustizia delle Comunità Europee, 21 febbraio 2006, in causa C-255/02, Halifax, sulla quale si vedano i commenti di
SALVINI, L’elusione IVA nella giurisprudenza nazionale e comunitaria, in Corr. Trib., 2006, 3097 e ss. e TIRELLI, L’abuso del
diritto, in Rass. Avvocatura Stato, 2006, IV, 63 e ss.
163
apprestati dall’ordinamento nazionale (con i soli limiti dei principi di equivalenza e di
effettività), dalle controversie che coinvolgono il rispetto da parte dello Stato membro di norme
comunitarie imperative, per le quali il primato del diritto comunitario, esplicandosi in modo ben
più pregnante, comporta il disconoscimento del carattere vincolante del giudicato nazionale» e
che «le controversie in materia di i.v.a. appaiono connaturalmente annoverabili tra le
controversie, coinvolgenti il rispetto da parte dello Stato membro di norme comunitarie
imperative, per le quali, nell’ottica del richiamato orientamento, il primato del diritto
comunitario tende ad affermarsi anche attraverso il disconoscimento del carattere vincolante del
giudicato nazionale. A tale conclusione inducono il ruolo centrale che l’i.v.a. assume ai fini della
costituzione delle risorse proprie della Comunità nonché la molteplicità di obblighi che il diritto
comunitario imperativamente impone, in materia, agli Stati membri, proprio in funzione della
vitale importanza che il gettito di tale imposta riveste per la Comunità».
Sulla base di tale adombrata distinzione sembrerebbe quindi che al principio
dell’intangibilità del giudicato debba essere data una diversa rilevanza in sede di bilanciamento a
seconda che si sia in presenza di norme comunitarie che attribuiscono diritti, la cui necessaria
applicazione sia nella disponibilità della parte che li faccia valere - magari in sede di
impugnazione di una sentenza che ne abbia dato una non corretta interpretazione - ovvero si sia
in presenza di norme comunitarie che impongano obblighi allo Stato, la cui imperatività va in
ogni caso salvaguardata.
Occorre infine sottolineare che l’eventuale indicazione della Corte di giustizia nel senso
della disapplicazione dell’art. 2909 c.c. nell’ambito delle controversie tributarie comporterebbe
la riespansione del potere di autotutela dell’amministrazione finanziaria. Tale potere infatti
conosce un limite, fissato dall’art. 68 del D.P.R. n. 287 del 1992, che vieta di ricorrere
all’autotutela in presenza di un giudicato che abbia definito la questione oggetto di eventuale
riesame. Analogamente l’art. 2, 2° comma, del D. M. n. 37 del 1997 vieta l’esercizio del potere
di annullamento «per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole
all’Amministrazione».
In attesa di una decisione del giudice comunitario in merito all’eventuale forza espansiva
della primauté sul giudicato nazionale al di là dell’ambito materiale degli aiuti di Stato, la
dottrina si è interrogata sullo strumento procedurale utilizzabile per comporre l’eventuale
contrasto tra il giudicato interno ed il diritto comunitario, con particolare riguardo a quello che
risulti da una sopravvenuta pronuncia interpretativa della Corte di giustizia.
164
In primo luogo è stato proposto, nel quadro di una riforma degli istituti della revisione e
della revocazione delle sentenze passate in giudicato, di associare il giudicato nazionale contrario
al diritto comunitario a quello censurato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo tra i motivi di
revisione o di revocazione di una sentenza definitiva 32 . E, nell’inerzia del legislatore, c’è chi ha
indicato la via della proposizione di una questione di legittimità costituzionale, per violazione
dell’art. 117, 1° comma, Cost., dell’art. 395, nn. 1, 2, 3 e 6, nella parte in cui non prevede, quale
ulteriore ipotesi di revocazione straordinaria, la violazione di norme europee inderogabili 33 .
Tuttavia, un tale accostamento tra le sentenze adottate in violazione del diritto comunitario
e quelle in contrasto con la C.E.D.U. non sembra però condivisibile a fronte della diversità
esistente tra i due sistemi normativi di riferimento. Diversità che, come si è visto, è stata di
recente ribadita dalla Corte costituzionale nelle già richiamate sentenze nn. 348 e 349 del 2007:
mentre, infatti, le antinomie con il diritto comunitario si risolvono nel senso della prevalenza del
diritto costituzionale solo con riguardo ai principi supremi, il contrasto tra diritto interno e norme
C.E.D.U. si risolve alla luce della necessaria conformità di queste ultime a tutto il diritto
costituzionale e non ai soli controlimiti 34 .
C’è chi ha invece prospettato il ricorso all’opposizione di terzo revocatoria di cui all’art.
404, 2° comma, c.p.c., che, come è noto, permette di caducare il giudicato reso ai danni degli
aventi causa e dei creditori per effetto di dolo o collusione fra le parti, sostenendo come, qualora
emergesse «un’intesa tra la Lucchini e il Ministero (almeno nel senso di risolvere i problemi a
Roma, lasciando Bruxelles fuori dalla porta) e collocassimo la Commissione europea, custode
del bilancio comunitario e delle regole di concorrenza, nel ruolo del creditore frodato, avremmo
sostanzialmente ricostruito la fattispecie applicativa della norma italiana citata» 35 .
Si tratterebbe però di provare una situazione la cui difficoltà di accertamento induce a
ritenere di fatto impraticabile la soluzione.
Di conseguenza è stata sottolineata la necessità che venga delineata, in via legislativa o
giurisprudenziale, un’“azione speciale” per far valere il diritto comunitario, richiamando peraltro
la previsione dell’art. 19 del Trattato di Lisbona che obbliga gli Stati membri a «stabilire i rimedi
giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati
dal diritto dell’Unione» 36 .
32
Si cfr. in proposito cap. 3, par. 7.
Così PICARDI, Eventuali conflitti fra principio del giudicato e principio della superiorità del diritto comunitario, cit., 561.
34
Corte costituzionale, 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349. Per i relativi commenti si rinvia a cap. 2, par. 2, nota 13.
35
BIAVATI, La sentenza Lucchini: il giudicato nazionale cede al diritto comunitario, cit, 1602.
36
FONTANA, Qualche osservazione in margine al caso Lucchini. Un tentativo di spiegazione, cit., 219.
33
165
Entrando più specificatamente nel merito, c’è chi 37 ha sostenuto come la via più graduale e
rispettosa della pienezza e compiutezza della funzione giurisdizionale nei paesi dell’Unione sia
la doverosa introduzione di un’impugnazione straordinaria ad hoc, sottolineando che
l’imposizione di un tale rimedio avrebbe ben potuto costituire la soluzione della questione
pregiudiziale sollevata nel caso Lucchini.
I singoli ordinamenti dovrebbero pertanto ritenersi obbligati a contemplare un motivo
formale di rescissione di quel giudicato che, «per disavventura (ed anche senza improbabili vere
collusioni dei tanto moltiplicatisi Stati-membri), abbia eroso prerogative esclusive della
Commissione nel fare valere norme europee inderogabili»: l’adattamento «potrà avvenire cosi in
modi anche alquanto diversi e sarà un significativo osservatorio sistemologico comparato e forse
una importante pagina di storia del diritto osservare via via, le proposte in tal senso che si
faranno strada nei vari Stati» 38 .
Con particolare riguardo all’ordinamento italiano, si tratterebbe di dare maggiore risalto al
mezzo della revocazione straordinaria la cui tipica vocazione è proprio quella di destreggiarsi tra
le “due rive” della “certezza già acquisita” e della “giustizia inappagata” 39 .
5. L’autorità della cosa giudicata nei principali ordinamenti giuridici europei − A fronte
di queste ipotesi di adattamento dei rimedi di diritto interno nella prospettiva di un’eventuale
affermazione, nel caso Olimpiclub, di una generale soggezione del principio dell’intangibilità
della res judicata al primato del diritto comunitario, occorre valutare se una tale ossimorica
“assoluta relativizzazione” sia in armonia con il valore assegnato, negli ordinamenti giuridici
europei, alla certezza nella stabilità dei rapporti ormai definiti con una sentenza non più soggetta
a gravame.
A tal fine risulta utile introdurre sinteticamente gli elementi di maggior rilievo che
emergono da un’analisi di tipo comparatistico, per poi soffermarsi più analiticamente sulle
37
CONSOLO, La sentenza Lucchini della Corte di Giustizia: quale possibile adattamento degli ordinamenti processuali interni e
in specie del nostro?, cit., 235. In senso analogo con riferimento all’ordinamento tedesco, si cfr. KREMER,
Gemeinschaftsrechtliche Grenzen der Rechtskraft, cit., il quale si esprime nel senso dell’opportunità di introdurre un nuovo
motivo di revocazione sulla falsariga del § 580, n. 8 ZPO, dettato per il caso in cui la Corte di Strasburgo accerti una violazione
della C.E.D.U.
38
CONSOLO, op. ult. cit., 236-237.
39
CONSOLO, op. ult. cit., 237, il quale, con riferimento al profilo della legittimazione all’azione, aggiunge che il nuovo motivo di
revocazione dovrebbe essere esperibile «sia dalle parti sia dal p.m. (e quest’ultimo organo, attivabile anche dalla Commissione,
onde evitare ad essa di rendersi necessariamente parte) entro un acconcio termine decorrente: per il p.m., all’uopo sollecitato
dalla Commissione, dal momento in cui quest’ultima sia venuta a conoscenza del giudicato civile che mette a repentaglio la
preminenza di una decisione vincolante della Commissione ed il cui vigore esporrebbe così lo Stato italiano a inadempimento di
propri obblighi radicati nell’art. 11 Cost.; e per le parti (ove sia concretamente ravvisabile un interesse alla revocazione) dalla
notizia della incompatibile decisione della Commissione, sia questa o meno successiva alla chiusura del processo».
166
discipline dei paesi che rappresentano i principali modelli costituzionali di riferimento
(Germania, Francia, Spagna, Inghilterra, Italia).
Tutti gli ordinamenti giuridici nazionali degli Stati membri riconoscono il principio
dell’autorità della cosa giudicata e ne sottolineano l’importanza.
La garanzia della stabilità delle situazioni giuridiche, la tutela dell’indipendenza del giudice
e della separazione tra i poteri, la certezza dell’effettività della tutela giurisdizionale ed, in ultima
analisi, la certezza del diritto, elemento fondante dello Stato di diritto, costituiscono, in tutti gli
Stati membri, la ratio del principio.
L’irreversibilità di una decisione giurisdizionale, che si manifesta, da un lato, nella sua
forza obbligatoria per le parti e per i giudici (effetto positivo della forza della cosa giudicata) e,
dall’altro, nella preclusione per le parti a rimettere in discussione le statuizioni adottate in
maniera definitiva nella risoluzione di una medesima controversia (ne bis in idem o effetto
negativo della cosa giudicata), rappresenta la modalità pratica attraverso cui si realizzano i
richiamati principi fondamentali.
Da un esame comparato emerge tuttavia che, nonostante la grande rilevanza attribuita
all’autorità della cosa giudicata, la stessa non gode di uno grado di tutela “assoluta”.
Nella maggior parte degli ordinamenti giuridici degli Stati membri si rinvengono delle
disposizioni che permettono - in caso di violazione, a fronte di un comportamento doloso delle
parti, di principi procedurali fondamentali relativi al contraddittorio ed ai poteri cognitori del
giudice - il superamento dell’autorità della cosa giudicata attraverso la proposizione ad opera
della parte che è stata vittima di tali vicende di un ricorso straordinario, per i motivi enumerati
dalla legge e secondo condizioni restrittive: si tratta del “ricorso in restituzione”
(Restitutionsklage nel diritto tedesco, requệte civile nel diritto belga e lussemburghese), della
“riapertura del procedimento” (perùjitas e wznowienie postępowania rispettivamente nei diritti
ungherese e polacco), della “revocazione” (herroeping nel diritto olandese), della “ripresa del
processo” (obnova konania e obnova řìzenì rispettivamente nel diritto slovacco e ceco) ed,
infine, del “ricorso per la revocazione” (diritto austriaco, spagnolo, estone, finlandese, francese,
greco, italiano, portoghese, sloveno e svedese).
A seguito di questi ricorsi la decisione, pur essendo già divenuta definitiva, viene annullata
e la controversia è nuovamente oggetto di giudizio, generalmente davanti allo stesso giudice che
ha adottato la sentenza oggetto di revisione.
Tra i motivi di revisione conosciuti nei vari diritti nazionali vi sono, in particolare, la falsità
di documenti o altre prove (diritto tedesco, austriaco, belga, spagnolo, estone, finlandese,
167
francese, greco, italiano, lussemburghese, olandese, polacco, portoghese, e slovacco), l’esistenza
di elementi ritenuti invece inesistenti, che però può non essere fatta valere se non si prova
l’assenza di colpa delle parti o la forza maggiore (diritto tedesco, austriaco, belga, danese,
spagnolo, francese, greco, italiano, olandese, portoghese, polacco, slovacco, sloveno, svedese, e
ceco), la scoperta di elementi nuovi che possono avere una incidenza essenziale nella soluzione
della controversia (diritto austriaco, estone, finlandese, greco, polacco, sloveno e svedese), una
colpa grave o un errore manifesto nell’applicazione delle norme di procedura, come anche la
violazione del diritto comunitario (diritto finlandese e svedese) ed, infine, l’adozione di una
decisione che abbia violato i diritti fondamentali o di libertà (diritto finlandese, olandese,
slovacco e svedese).
Nei vari ordinamenti sono inoltre prese in considerazione le conseguenze di un conflitto tra
due decisioni che abbiano entrambe acquisito la forza della cosa giudicata, nonché tra una
decisione che abbia acquisito l’autorità della cosa giudicata ed una decisione amministrativa
divenuta definitiva in ragione della scadenza del termine entro cui sarebbe potuta essere
impugnata.
Quanto alla prima ipotesi, viene innanzitutto contemplata la possibilità di proporre
un’exceptio rei judicatae. Prima che emerga la sussistenza di un conflitto tra due decisioni
entrambe passate in giudicato, è infatti diffusamente riconosciuto come l’esistenza di una
decisione definitiva possa essere invocata o presa in considerazione d’ufficio dal giudice - in
virtù dell’effetto positivo della forza di giudicato scaturente da un primo giudizio - nel
procedimento giurisdizionale che si concluderà con una seconda decisione destinata ad acquisire
l’autorità della cosa giudicata (diritto tedesco, belga, danese, francese, greco, italiano,
lussemburghese, polacco, slovacco, svedese e ceco).
Il rigetto dell’exceptio rei judicatae costituisce anche, in certi diritti nazionali, un motivo di
impugnazione della seconda decisione (diritto tedesco, belga, greco e polacco). Con riferimento
ai procedimenti giurisdizionali in cui una tale impugnazione è comunque stata rigettata, con la
conseguenza di dar luogo a due decisioni definitive, in molti ordinamenti si prevede inoltre,
come ultimo strumento per risolvere il conflitto, l’introduzione di un ricorso per la revisione
(diritto tedesco, austriaco, belga, danese, finlandese, greco, ungherese, lussemburghese, polacco,
portoghese e sloveno) ovvero di revocazione (diritto italiano) o di ricorso in cassazione (diritto
francese, lussemburghese, slovacco e svedese) ovvero ancora la proposizione di una richiesta di
correzione della sentenza per errore (diritto ceco). All’esito di tali ricorsi, i diritti nazionali fanno
in generale prevalere la prima sentenza sulla seconda (diritto tedesco, austriaco, francese, greco,
168
ungherese, lussemburghese, sloveno e ceco): i ricorsi sono infatti diretti contro la seconda
decisione che ha violato l’autorità della cosa giudicata connessa alla prima ed il riconoscimento
della loro fondatezza ha come effetto l’annullamento della seconda decisione.
Per quel che concerne, invece, i conflitti tra una decisione giurisdizionale rivestita
dell’autorità di cosa giudicata ed una decisione amministrativa divenuta definitiva, alcuni diritti
nazionali partono dal presupposto di una differente natura giuridica delle decisioni: una
decisione amministrativa non può essere investita dell’autorità della cosa giudicata, prerogativa
riferibile esclusivamente alle decisioni giurisdizionali.
In tali ordinamenti non è possibile configurare una contrapposizione tra una sentenza dotata
della forza di giudicato ed una decisione amministrativa, che per sua natura non la possiede: in
altre parole, non è possibile neppure far sorgere una controversia sul conflitto, con conseguente
primazia dell’una sull’altra.
In questa medesima prospettiva, il potere, generalmente riconosciuto al giudice ordinario,
di procedere al sindacato incidentale della legittimità degli atti amministrativi (diritto estone,
greco, italiano, lussemburghese, slovacco, sloveno, ceco, e belga) può essere esercitato anche
nei confronti degli atti divenuti definitivi che, pertanto, non possono più essere direttamente
impugnati in ragione della decorrenza del termine di decadenza a ciò previsto.
Ciò comporta che nei riferiti ordinamenti, in virtù del principio di legalità e della
ripartizione delle competenze, la sentenza adottata in violazione di una decisione amministrativa
acquisisce comunque l’autorità della cosa giudicata, salvo essere impugnata con un ricorso
ordinario o straordinario, mentre l’atto amministrativo adottato in violazione di una sentenza
passata in giudicato è affetto da nullità.
A questa logica sembra essere sfuggito il diritto inglese che riconosce la res judicata come
un attributo tanto delle decisioni giurisdizionali quanto di alcune decisioni amministrative, per le
quali la decorrenza del termine di impugnazione preclude l’esercizio del potere di controllo
incidentale di validità. Ad ogni modo tale intangibilità può essere invocata al solo fine di
escludere l’annullabilità della decisione definitiva, senza che possa costituire un ostacolo per un
giudice di adottare una decisione contrastante suscettibile di passare in giudicato.
In conclusione, dall’analisi comparatistica, è emerso come tutti gli Stati membri
riconoscano il principio dell’intangibilità del giudicato, esaltando l’esigenza di certezza del
diritto ad esso sottesa, ma allo stesso tempo contemplino ipotesi derogatorie.
169
Al fine di delineare più nel dettaglio tali ipotesi, ci si soffermerà più analiticamente sulle
discipline dei paesi che rappresentano i principali modelli costituzionali di riferimento
(Germania, Francia, Spagna, Inghilterra, Italia).
5.1. L’ordinamento tedesco – Nel diritto tedesco la nozione di res judicata è individuata
alla luce della distinzione tra la forza della cosa giudicata in senso formale (formelle Rechtskraft)
e la forza della cosa giudicata in senso materiale (materielle Rechtskraft): la prima si acquisisce
nel momento in cui la decisione non può più costituire oggetto di un ricorso ordinario, in ragione
dell’avvenuta decorrenza dei termini di decadenza o dell’avvenuto esaurimento delle vie di
ricorso ordinario; la seconda comporta che le parti della controversia e il giudice adito siano
soggetti al giudicato e si sostanzia nella preclusione a proporre nuovamente una domanda
giurisdizionale avente ad oggetto la stessa res litigiosa (ne bis in idem) 40 .
L’affermazione del principio dell’autorità della cosa giudicata in senso materiale trova il
suo fondamento nella necessità di salvaguardare la certezza del diritto e la “pace giuridica” tra le
parti di una controversia (Ansehen der Gerichte, Rechtssicherheit und Rechtsfrieden): con la
pronuncia sulla controversia lo Stato definisce in maniera duratura i rapporti tra cittadini,
ottemperando così al suo dovere di rendere giustizia.
Il principio dell’autorità della cosa giudicata in senso materiale si applica anche alle
decisioni erronee od intervenute nell’ambito di una procedura viziata, essendo gli obiettivi sottesi
al tale principio prioritari rispetto alle esigenze di equità sostanziale. Solo eccezionalmente tali
sentenze possono essere dichiarate invalide: il fatto che le parti di una controversia non abbiano
intenzionalmente sottoposto tutti gli elementi di fatto o di diritto alla cognizione del giudice
investito della controversia non influenza in via di principio gli effetti della forza del giudicato,
sicché una deroga all’autorità della cosa giudicata non può intervenire che nel quadro dei ricorsi
straordinari.
L’annullamento di una decisione passata in giudicato può innanzitutto essere pronunciato
nell’ambito di un ricorso in “restituzione” (Restitutionsklage) 41 .
40
Si vedano MUSIELAK, Kommentar zur Zivilprozebordnung, Verlag Franz Vahlen, München, 2005, §322 e SCHOCH, SHMIDT,
ABMANN, PIETZNER, Verwaltungsgerichtsordnung, Verlag C. H. Beck, München, 2005, §121, nonché MEYER-LADEWIG,
Sozialgerichtsgesetz, Verlag C. H. Beck, München, 2005, §144.
41
Questo ricorso esiste nella procedura civile (art. 580 Zivilprozessordnung, di seguito ZPO), ma anche nel contenzioso
amministrativo (art. 153 della legge sulla giurisdizione amministrativa Verwaltungsgerichtsordung, VwGO), nel contenzioso
fiscale (art. 134 del codice della giurisdizione tributaria, Finanzgerichtsordnung, FGO), nel contenzioso sociale (art. 179 della
legge sulla giurisdizione del contenzioso sociale, Sozialgerichtsgesetz, SGG) e nel contenzioso del lavoro al cui ricorso si
applicano per analogia le disposizioni del ZPO (art. 79 della legge sulla giurisdizione del lavoro, Arbeitsgerichtsgesetz, ArbGG).
170
Un tale ricorso può essere esercitato nell’ambito di quei giudizi fondati su un falso
documento (art. 580, n. 2, del ZPO), su una falsa testimonianza, una falsa perizia (art. 580, n. 3,
del ZPO) o la cui decisione è stata ottenuta mediante la commissione di un illecito avente
rilevanza penale ad opera della parte o di un suo rappresentante (art. 580, n. 4, del ZPO).
La straordinarietà del mezzo di impugnazione è legata alla sua residualità: la ricevibilità del
ricorso presuppone, infatti, che il ricorrente non fosse in grado di far valere il motivo della
restituzione nell’ambito di un’impugnazione antecedente all’acquisizione della forza della cosa
giudicata, e che questa impossibilità non sia ad esso imputabile 42 . Il ricorso diviene comunque
irricevibile decorsi cinque anni dalla data del passaggio in giudicato 43 .
Il ricorso “in restituzione” può essere introdotto anche quando due sentenze abbiano ad
oggetto la medesima res litigiosa o quando una sentenza entri in conflitto con un’altra in
rapporto di pregiudizialità (art. 580, n. 7, del ZPO). In tali ipotesi, secondo la giurisprudenza del
Bundesgerichtshof e la dottrina dominante, il conflitto è risolto nel senso della prevalenza della
decisione pronunciata per prima 44 .
Infine, l’art. 580, n. 8, del ZPO sancisce la possibilità di revisione del giudicato per il caso
in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo accerti una violazione della Convenzione.
Una deroga alla forza della cosa giudicata può inoltre essere ottenuta per effetto di un
ricorso costituzionale diretto al Bundesverfassungsgericht 45 .
Questo ricorso (Verfassungsbeschwerde) può essere presentato dagli individui che siano
stati lesi da un atto legislativo, amministrativo o da una decisione giurisdizionale in uno dei loro
diritti fondamentali o in uno dei diritti contenuti negli artt. 20 (alinea 4) 46 , 33 47 , 38 48 , 101 49 ,
103 50 e 104 51 della legge fondamentale.
42
Art. 582 ZPO.
Art. 586 ZPO.
44
ROSEMBERG, SCHWAB, GOTTWALD, Zivilprozebrecht, Verlag C. H. Beck, 1993, 570.
45
Su tale ricorso, si veda, più diffusamente, AA. VV., La giustizia costituzionale in Europa, a cura di Groppi e Olivetti, Milano,
2004.
46
Articolo 20 [Fondamenti dell’ordinamento statale, diritto di resistenza]: (1) La Repubblica Federale di Germania è uno Stato
federale democratico e sociale; (2) Tutto il potere statale emana dal popolo. Esso è esercitato dal popolo per mezzo di elezioni e
di votazioni e per mezzo di organi speciali investiti di poteri legislativo, esecutivo e giudiziario; (3) La legislazione è soggetta
all’ordinamento costituzionale, il potere esecutivo e la giurisdizione sono soggetti alla legge e al diritto; (4) Tutti i tedeschi hanno
diritto di resistere a chiunque tenti di rovesciare questo ordinamento, qualora non via altro rimedio possibile.
47
Articolo 33 [Uguaglianza dei diritti politici dei Tedeschi]: (1) Ogni tedesco ha, in qualsiasi Land, gli stessi diritti e doveri
civici; (2) Ogni tedesco ha, secondo le proprie attitudini, qualificazioni e specializzazione professionali, parità di accesso agli
uffici pubblici; (3) Il godimento dei diritti civili e politici, l’ammissione ai pubblici uffici, così come i diritti acquisiti nella
funzione pubblica sono indipendenti dalla confessione religiosa. Nessuno può essere discriminato a causa dalla sua appartenenza
o non appartenenza ad una confessione o ad una ideologia; (4) L'esercizio delle competenze statali deve essere normalmente
affidato, come compito permanente, agli appartenenti al pubblico impiego, che si trovano in un rapporto di servizio e di fedeltà di
diritto pubblico; (5) Le norme relative al pubblico impiego devono essere formulate tenendo conto dei principi tradizionali della
categoria dei pubblici funzionari.
48
Articolo 38 [Elezioni]: (1) I deputati del Bundestag sono eletti a suffragio universale, diretto, libero, uguale e segreto. Essi
sono i rappresentanti di tutto il popolo, non sono vincolati da mandati né da direttive e sono soggetti soltanto alla loro coscienza;
43
171
Il ricorso è in generale ricevibile che dopo il ricorrente, direttamente leso dall’atto che
costituisce espressione dei pubblici poteri 52 , abbia esaurito le vie del ricorso giudiziario 53 .
Nella procedura del ricorso costituzionale, il Bundesverfassungsgericht deve limitarsi a
valutare se l’atto impugnato violi i diritti fondamentali senza che il ricorrente possa ottenere il
riesame della controversia. L’interpretazione del diritto ordinario, ossia delle prescrizioni
giuridiche subordinate alla Costituzione, e la loro applicazione a casi particolari, così come la
constatazione e l’apprezzamento dello stato di fatto, rientrano nell’ambito di cognizione
esclusivamente riservato agli organi giurisdizionali ordinari e non possono essere esaminati dalla
Corte costituzionale federale se non ai fini di constatare la violazione del diritto costituzionale.
Qualora il Bundesverfassungsgericht decida per l’accoglimento del ricorso, l’atto
impugnato è annullato nella misura in cui sussiste una tale violazione 54 . Se l’oggetto
dell’annullamento è una sentenza passata in giudicato, l’autorità della cosa giudicata è
revocata 55 .
5.2. L’ordinamento francese − Anche nell’ordinamento francese la nozione di res judicata
si delinea attraverso due concetti: l’autorità e la forza di cosa giudicata.
L’autorità della cosa giudicata è connessa alla presunzione, legale e non superabile, di
verità della decisione giudiziaria (res judicata pro veritate habetur).
(2) Ha diritto al voto chi ha compiuto il diciottesimo anno di età; è eleggibile chi ha raggiunto la maggiore età; (3) I particolari
sono stabiliti da una legge federale.
49
Articolo 101 [Divieto di tribunali straordinari]: (1) Non sono ammessi tribunali straordinari. Nessuno può essere sottratto al
giudice assegnatogli dalla legge; (2) Tribunali per materie speciali possono essere istituiti solo per legge.
50
Articolo 103 [Diritti fondamentali degli imputati]: (1) Dinanzi al tribunale ognuno ha il diritto di essere ascoltato nei modi
stabiliti dalla legge; (2) Un'azione è punibile solo se la pena è stata stabilita per legge prima che l'azione fosse commessa; (3) Per
la medesima azione nessuno può essere punito più di una volta in base alle leggi penali di carattere generale.
51
Articolo 104 [Garanzie per la restrizione della libertà]: (1) La libertà personale può essere limitata solo in base ad una legge
formale e solo con l'osservanza delle forme ivi prescritte. Le persone arrestate non possono essere sottoposte né a maltrattamenti
morali, né a maltrattamenti fisici; (2) Sull’ammissibilità e sulla durata della privazione della libertà deve decidere soltanto il
giudice. In ogni caso di privazione della libertà non ordinata dall'autorità giudiziaria, deve essere immediatamente sollecitata una
decisione giudiziaria. La polizia di propria autorità non può tenere nessuno in sua custodia oltre la fine del giorno successivo
all’rresto. I particolari sono stabiliti dalla legge; (3) Qualunque persona arrestata provvisoriamente perché sospettata di un'azione
penalmente perseguibile deve essere, al più tardi nel giorno successivo all'arresto, portata davanti al giudice, che le deve
comunicare i motivi dell'arresto, ascoltarla o darle modo di esporre le sue obiezioni. Il giudice deve immediatamente o emanare
un mandato di cattura scritto e motivato, oppure ordinare il rilascio: (4) Di ogni decisione giudiziaria relativa all’ordine o alla
durata della privazione della libertà deve essere immediatamente informato un familiare dell’arrestato o una persona di sua
fiducia.
52
UMBACH, CLEMENS, DOLLINGER, Bundesverfassungsgerichtsgesetz, Müller Verlag, Heidelberg, 2005, §90.
53
Art. 90, al. 1, della legge sulla Corte costituzionale federale (Bundesverfassungsgerichtsgesetz, BverfGG).
54
Art. 95, al. 2, BverfGG.
55
UMBACH, CLEMENS, DOLLINGER, Bundesverfassungsgerichtsgesetz, cit., §95.
172
La forza della cosa giudicata identifica invece l’efficacia di una decisione giurisdizionale,
quando non sia più suscettibile di ricorso e divenga esecutiva 56 .
L’applicazione del binomio autorità/forza di giudicato costituisce un corollario del
principio della separazione dei poteri.
L’art. 480 del nuovo codice di procedura civile (NCPC) precisa che tutte le sentenze hanno,
una volta pronunciate, l’autorità della cosa giudicata relativamente alla controversia trattata 57 .
Anche l’art. 1351 del codice civile contiene una disposizione analoga, prevedendo che
«l’autorità della cosa giudicata si riferisce a ciò che ha costituito l’oggetto del giudizio. A tal fine
occorre che l’oggetto della domanda sia il medesimo; che la domanda sia fondata sulla
medesima causa; che la domanda riguardi le medesime parti e che la decisione si sia formata, a
loro favore o contro, nella medesima qualità». Nel delineare i confini dell’autorità della cosa
giudicata la disposizione enuncia dunque la regola della triplice identità con riguardo all’oggetto,
alla causa petendi ed alle parti.
Perché una parte possa quindi opporre, in presenza di una nuova domanda, l’exceptio rei
judicatae, occorre la coincidenza di tutti e tre gli elementi richiamati: se uno solo non risulta
corrispondente, la domanda potrà infatti costituire nuovamente oggetto di giudizio. Ad ogni
modo, spetta unicamente al giudice adito con la seconda domanda valutare l’identità della causa
per ammettere o rigettare l’eccezione di inammissibilità e la sua decisione è eventualmente
suscettibile di cassazione per violazione di legge.
Il giudicato è in via di principio irretrattabile ma può eccezionalmente essere rimesso in
discussione attraverso lo strumento del ricorso di revisione.
Si tratta di un mezzo di ricorso straordinario che è proponibile limitatamente nei casi
previsti dalla legge (artt. 593-603 NCPC), ossia:
a) se, dopo la sentenza, si scopre che la decisione è stata adottata per effetto della frode
della parte nel cui favore è stata adottata;
b) se dopo il giudizio, si scoprono documenti decisivi per la soluzione della controversia che
siano stati occultati ad opera della parte vittoriosa e non per colpa del ricorrente;
c) se è stato giudicato sulla base di documenti riconosciuti o giudizialmente dichiarati falsi
dopo la sentenza;
d) se è stato giudicato sulla base di dichiarazioni, testimonianze o giuramenti dichiarati falsi
dopo la sentenza.
56
57
CORNU, Vocabulaire juridique, 1998, 88-89.
GUINCHARD, Droit et pratique de la procédure civile, Dalloz, 1999, 918.
173
Il ricorso è ricevibile nella misura in cui colui che lo propone non sia stato in grado, in
assenza di colpa, di far valere il motivo di doglianza nell’ambito di un’impugnazione ordinaria,
va proposto dinanzi al giudice che ha reso la decisione impugnata ed, in caso di accoglimento,
conduce all’annullamento della decisione
Analogo ricorso è previsto espressamente anche nel sistema processuale amministrativo. In
particolare, è regolato dall’art. R 834 da 1 a 4 del codice di giustizia amministrativa (CJA), il
quale dispone che: «il ricorso di revisione contro una decisione contraddittoria del Consiglio di
Stato può essere presentato in tre casi: 1. se è stata resa sulla base di documenti falsi, 2. se una
parte è stata condannata per non aver prodotto un documento decisivo che è stato tenuto nascosto
da parte dell’avversario, 3. se la decisione è intervenuta senza che siano state osservate le
disposizioni del presente codice relative alla composizione della Corte giudicante, allo
svolgimento delle udienze, alla forma in cui sono rese le pronunce».
Il ricorso in revisione può così avere ad oggetto le sentenze del Consiglio di Stato che non
siano più suscettibili di un ricorso in Cassazione, le decisioni della Corte dei conti, delle Camere
regionali dei conti e della Corte della disciplina di budget e finanza.
Anche nell’ordinamento francese è infine disciplinata l’ipotesi dell’eventuale contrasto tra
due decisioni che abbiano entrambe acquisito l’autorità del giudicato.
Il conflitto è risolto mediante la proposizione del relativo motivo nell’ambito
dell’impugnazione in Cassazione (artt. 617 e 618 del NCPC) 58 .
In particolare, l’art. 617 del NCPC presuppone che esista un contrasto tra due decisioni,
adottate dallo stesso tribunale o da tribunali differenti, incompatibili e che la parte ricorrente in
Cassazione abbia eccepito, senza esito, l’eccezione di inammissibilità derivante dall’esistenza
della cosa giudicata.
Perché il motivo possa essere accolto dalla Corte di cassazione occorre inoltre che la prima
decisione sia in via di principio suscettibile di passare in giudicato 59 e che la stessa abbia, in
rapporto alla seconda, le caratteristiche previste dall’art. 1351 del codice civile, ossia l’identità di
oggetto, causa petendi e di parti che agiscano nella medesima qualità. L’impugnativa è diretta
nei confronti della decisione più recente che, accertato il contrasto, viene cassata senza rinvio.
L’art. 618 del NCPC presuppone, invece, che due decisioni siano inconciliabili, che la loro
esecuzione simultanea sia impossibile, che né l’una né l’altra siano suscettibili di un ricorso
ordinario, ma non richiede che le parti siano rigorosamente identiche.
58
59
VINCENT, GUINCHARD, Procédure civile, Précis Dalloz, 2003, 234.
Cosa che, ad esempio, non avviene, per le ordinanze cautelari, le sentenze provvisorie, etc.
174
Il ricorso è diretto contro le due decisioni. Se la Corte di cassazione rivela l’esistenza di un
contrasto tra di essere, ne può annullare una ovvero entrambe.
5.3. L’ordinamento spagnolo − Nell’ordinamento spagnolo la stabilità dei rapporti
giuridici costituisce un valore espressamente riconosciuto dalla Costituzione: l’art. 9, 3° comma,
della Carta costituzionale spagnola, infatti, tutela - accanto ai principi di legalità, di gerarchia
normativa, di pubblicità delle norme, di irretroattività delle disposizioni favorevoli al reo o
restrittive di diritti individuali, di responsabilità e di divieto di arbitrio nell’azione pubblica - il
principio di seguridad jurìdica 60 .
Il parametro costituzionale della certezza si sostanzia non solo nell’esigenza di chiarezza
del dato normativo ma anche nel riconoscimento della stabilità dei rapporti esauriti e, tra di essi,
di quelli passati in giudicato.
Nel diritto spagnolo, analogamente a quanto emerso nell’analisi dell’ordinamento tedesco e
francese, la nozione di giudicato ha una natura composita 61 .
Da una parte, l’art. 207 della legge sulla procedura civile 62 considera la “cosa giudicata
formale” come un effetto interno delle decisioni giurisdizionali, in virtù del quale il giudice e i
tribunali sono vincolati alle proprie decisioni.
Dall’altra, a norma dell’art. 222 della medesima legge, la “cosa giudicata materiale”
impedisce l’apertura di una nuova procedura il cui oggetto sia identico a quello della decisione
divenuta definitiva.
La cosa giudicata, garantendo la permanenza nel tempo della sentenza, costituisce un
importante meccanismo al fine del raggiungimento della certezza del diritto: in particolare, la
Corte costituzionale spagnola ha qualificato la cosa giudicata come un principio essenziale della
procedura, intimamente connesso con il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva previsto
dall’art. 24 della Costituzione 63 .
Solo a titolo eccezionale la legge permette la revisione delle decisioni definitive 64 .
60
Sul principio di seguridad jurìdica, si veda, specificatamente, GARRIDO FALLA, Comentarios a la Constitucìon, Madrid, 1985,
169 e ss. e PÉREZ LUÑO, La seguridad jurìdica, Barcellona, 1994.
61
Per un inquadramento della materia si veda NIEVA FENOLL, La cosa juzgada, Atelier, Barcelona, 2006, 118 e ss., nonché
CORTÉS DOMÌNGUEZ e MORENO CATENA, Derecho Procesal Civil. Parte general, Tirant lo Blanch, Valencia, 2004, 330 e ss.
62
Legge del 7 gennaio 2001, n. 1 sulla procedura civile.
63
Tibunal Constitucional, 15 novembre 1990, n. 185. Si veda altresì in dottrina RUBIO GARRIDO, Cosa juzgada y tutela judicial
efectiva, in Derecho Privado y Constituciòn, n. 16, 2002, 264.
64
Si veda l’art. 509 e ss. della Legge del 7 gennaio 2001, n. 1 sulla procedura civile, l’art. 954 della Legge 22 maggio 1985, n. 5
sulla procedura penale, l’art. 102 della Legge 13 luglio 1998, n. 29 sulla giurisdizione del contenzioso amministrativo ed infine
l’art. 234 del Decreto legislativo 7 aprile 1995, n. 2 sul processo del lavoro.
175
La revisione deve essere fondata sull’esistenza di circostanze che autorizzino a supporre
che la sentenza in questione sia ingiusta o erronea ed, in particolare, ricorre quando:
a)
una parte è rimasta soccombente a seguito della valutazione di documenti decisivi
alterati, o per il caso di forza maggiore o per colpa dell’avversario;
b)
una decisione è stata presa sulla base di documenti riconosciuti o dichiarati falsi
dopo il giudizio;
c)
viene emessa, dopo il giudizio, una condanna per falsa testimonianza relativa alle
affermazioni sulle quali si è fondata la decisione;
d)
la decisione è stata ingiustamente adottata in favore di una parte, a seguito di
corruzione, violenza o macchinazione fraudolenta.
Si tratta di motivi di ricorso tassativamente enumerati ed interpretati in termini restrittivi
dalla giurisprudenza: conseguentemente, qualora una decisione definitiva risulti erronea in
ragione di altre circostanze, come un errore di interpretazione commesso dalla giurisdizione
competente, la parte lesa dalla decisione non potrà proporre alcuna istanza di revisione.
La domanda di revisione deve essere formulata nel rispetto di due termini 65 : cinque anni
dopo la pubblicazione della decisione oggetto del ricorso o tre a decorrere dalla scoperta ad
opera delle parti della frode o della dichiarazione di falsità. Decorsi tali termini, il rispetto del
principio della certezza giuridica impedisce che la sentenza in questione possa successivamente
essere modificata.
Nel diritto spagnolo, analogamente a quello tedesco, il giudicato può inoltre essere
superato mediante un ricorso al giudice costituzionale: quando una decisione è resa in violazione
dei diritti fondamentali, la parte lesa, esaurita ogni altra possibilità di tutela giurisdizionale 66 , può
introdurre un ricorso “de amparo” davanti al Tribunal Constitucional 67 .
65
Art. 512 della legge del 7 gennaio 2001, n. 1 sulla procedura civile.
Art. 44 della Legge organica del 3 ottobre 1979, n. 2, sul Tribunal Constitucional.
67
Ai sensi degli artt. 161 e 162 della Costituzione spagnola: «Il Tribunale Costituzionale ha giurisdizione su tutto il territorio
spagnolo ed è competente a giudicare: A) del ricorso d'incostituzionalità contro leggi e disposizioni normative aventi forza di
legge. La dichiarazione d'incostituzionalità di una norma giuridica con forza di legge, interpretata dalla giurisprudenza, avrà
effetto su questa, ma la sentenza o le sentenze non più appellabili non perderanno il valore di cosa giudicata; B) del ricorso di
tutela (amparo) per la violazione dei diritti e delle libertà di cui all’art. 53,2 di questa Costituzione, nei casi e nelle forme
stabiliti dalla legge; C) dei conflitti di competenza fra lo Stato e le Comunità autonome, e dei conflitti fra queste ultime; D) delle
altre materie che gli attribuiranno la Costruzione o le leggi organiche. Il Governo potrà impugnare davanti al Tribunale
Costituzionale le disposizioni e le decisioni adottate dagli organi delle Comunità autonome. L'impugnazione produrrà la
sospensione della disposizione o della decisione impugnata, ma il Tribunale, da parte sua, dovrà ratificarla o annullarla entro un
periodo non superiore a cinque mesi» e «Sono legittimati: A) a presentare il ricorso d'incostituzionalità: il Presidente del
Governo, il Difensore del popolo, cinquanta deputati, cinquanta senatori, gli organi collegiali ed esecutivi delle Comunità
autonome e, nel caso, le Assemblee delle stesse; B) a presentare il ricorso di tutela: qualsiasi persona fisica o giuridica che
invochi un interesse legittimo, nonché il Difensore del popolo e il Pubblico ministero. Negli altri casi, una legge organica
stabilirà le persone e gli organi legittimati».
Sul recurso d’amparo si vedano AA. VV., La giustizia costituzionale in Europa, cit., e più specificatamente, PÉREZ-TREMPS, El
Recurso de amparo, Tirant lo Blanch, Valencia, 2004.
66
176
Il ricorso per la violazione dei diritti fondamentali non è un mezzo d’impugnazione
giurisdizionale “stricto sensu”, ma “un’azione costituzionale”: in proposito, la Corte
costituzionale spagnola ha infatti avuto modo di sottolineare la peculiare natura di tale ricorso,
affermando che «non si tratta di un istanza di ricorso di diritto applicato alle giurisdizioni e
nemmeno ha la natura di un’impugnazione» 68 .
A norma dell’art. 44 della Legge organica sulla Corte costituzionale, il termine per
introdurre il ricorso è di 20 giorni dalla notificazione della decisione giurisdizionale, decorso il
quale tutte le domande sono dichiarate irricevibili. Se il ricorso è accolto, la sentenza impugnata
può essere annullata al fine di assicurare la protezione dei diritti fondamentali 69 .
Con riferimento infine all’ipotesi di contrasto di giudicati, la disciplina risulta abbastanza
carente. Solo nell’ambito del contenzioso amministrativo, la legge prevede due ricorsi volti a
risolvere conflitti tra decisioni contraddittorie: si tratta del ricorso per l’unificazione della
dottrina, nonché del ricorso nell’interesse della legge 70 .
5.4. L’ordinamento inglese − Nell’ordinamento inglese, il principio dell’autorità della cosa
giudicata si sostanzia nella preclusione per le parti di contestare la correttezza in punto di fatto o
di diritto di una questione precedentemente risolta con una sentenza definitiva (estoppel per rem
judicatam).
Il riconoscimento di tale principio è stato fondato su due teorie 71 .
La prima teoria riposa sull’esigenza di tutela dell’ordine pubblico e trova la sua espressione
nella brocardo «interest reipublicae ut sit finis litium»: rappresenta un interesse generale il fatto
che le azioni giudiziarie, una volta intraprese, si concludano con un provvedimento
giurisdizionale che rivesta carattere definitivo.
La seconda teoria si ricollega al ruolo della giustizia nella regolazione dei comportamenti
privati e si riflette nella massima «nemo debet bis vexari pro una et eadem causa» ed, in
rapporto alle controversie in materia penale, «nemo debet bis velari pro uno et eodem delicto»: si
ritiene appunto che i singoli abbiano diritto di essere tutelati a fronte di azioni pretestuose o che
68
Ordinanza, 26 novembre 1980, n. 106.
Art. 51 della Legge organica del 3 ottobre 1979, n. 2, sul Tribunal Constitucional.
70
Artt. 96 e 100 della Legge 13 luglio 1998, n. 29 sulla giurisdizione del contenzioso amministrativo.
71
SPENCER-BOWER e TURNER, The doctrine of Res Judicata, Butterworths, London, 1969, 10-11. Si veda più recentemente
CONEY BARRETT, Stare decisis and Due process, in Colorado Law Review, 2003, 1011 e ss. Per dei riferimenti all’esperienza
statunitense, modulata sulla giurisprudenza inglese, si veda MARTINEZ, Towards an International Judicial System, in Standford
Law Review, 2003, 452 e ss.
69
177
comunque possano rimettere in discussione ciò che è stato riconosciuto da una decisione
giudiziaria definitiva.
La giurisprudenza ha quindi proceduto ad individuare gli elementi costitutivi dell’istituto e
delimitarne restrittivamente la portata e gli effetti.
A questo proposito nella causa Henderson c/ Henderson 72 è stato affermato che «quando
una questione diviene l’oggetto di una controversia davanti ad un tribunale competente, la Corte
esige che le parti di questa controversia facciano valere l’insieme degli elementi in causa e non
permetterà loro (a meno che non sussistano circostanze eccezionali) di ritornare sul medesimo
oggetto in un’altra controversia relativa alle questioni che avrebbero potuto essere sollevate nel
quadro della prima controversia ma che non so sono state unicamente perché le parti, hanno, per
negligenza, per errore o, ugualmente, in ragione di un caso fortuito, omesso di far valere certi
elementi. Il principio della cosa giudicata si applica, salvo casi eccezionali, non solamente agli
elementi sui quali le parti abbiano espressamente domandato alla Corte di pronunciarsi, ma
anche a ciascuno degli elementi che facciano logicamente parte dell’oggetto della controversia e
che le parti avrebbero potuto sollevare all’epoca se avessero dato prova di una ragionevole
diligenza».
A partire da questo precedente sono state enunciate tre regole 73 : non è possibile proporre
un’azione che abbia il medesimo oggetto di una decisione definitiva (cause of action estoppel);
non è possibile, anche nell’ambito di un’azione dall’oggetto differente, ritornare su una
questione definitivamente decisa nell’ambito di un’istanza anteriore (issue estoppel); l’eventuale
decisione della Corte su una nuova istanza sulle medesime questioni costituirà un abuso di
procedura (abuse of process).
La parte che eccepisca l’estoppel per rem judicatam dovrà quindi dimostrare: che la
decisione giudiziaria sulla quale fonda la preclusione allegata sia una decisione definitiva
sull’oggetto della controversia; che questa decisione sia stata resa da una giurisdizione
competente ratione materiae e ratione personae; che questa decisione abbia effettivamente ad
oggetto la medesima questione che l’altra parte cerca di riproporre con una nuova istanza; che le
parti di questa decisione siano le medesime che prendono parte alla nuova controversia ovvero si
sia in presenza anche altri soggetti con i quali esiste comunque una connessione d’interessi.
72
[1843-60] All Er Rep 378, 381-382.
Le tre regole sono frutto di un’evoluzione giurisprudenziale: si vedano in particolare le sentenze della House of Lords nelle
cause Arnold c/ National Westminster Bank [1991] 2 AC 93, e Johnson c/ Gore Wood & Co. [2002] 2 AC 1.
73
178
Anche nel diritto inglese il principio della res judicata ha un valore relativo e può essere
derogato in presenza di decisioni rese in violazione delle norme di giustizia naturale (natural
justice).
Esistono due principi, la cui inosservanza può, secondo le circostanze, determinare la
nullità di decisioni divenute definitive: il principio del contraddittorio, che si sostanzia nel diritto
di essere ascoltato (audi alteram partem), ed il principio di imparzialità dell’organo giudicante,
secondo cui nessuno può ricoprire l’ufficio di giudice in una causa che lo riguardi (nemo judex in
causa propria).
Con riferimento al primo principio, qualora una parte non abbia ricevuto una notificazione
di un atto, può fare opposizione contro la decisione resa dal giudice adito senza che la
controparte possa eccepire la preclusione derivante dalla res judicata 74 .
Per quel che concerne il secondo principio, la House of Lords ha affermato che un giudice
debba astenersi dal giudicare le controversie qualora si presenti un “reale pericolo” di non essere
imparziale. In caso contrario, il giudicato potrà essere annullato al fine di ripristinare
l’imparzialità assoluta dell’organo giudicante 75 .
La giurisprudenza ha infine enunciato alcune regole anche con riferimento alle eventuali
conseguenze di un conflitto tra due decisioni che abbiano entrambe acquisito la forza della cosa
giudicata ovvero di un conflitto tra una sentenza che abbia acquisito la forza della cosa giudicata
ed una decisione amministrativa divenuta definitiva in ragione del decorso del termine entro il
quale può essere impugnata.
Nell’affrontare la prima questione la giurisprudenza ha enfatizzato la distinzione tra
giudicato in personam e giudicato in rem. Il diritto inglese distingue infatti due tipi di decisioni
giudiziarie: le une - abitualmente denominate giudicati in personam (o sentenze inter partes) sono volte a determinare i diritti e le obbligazioni rispettive delle parti, senza effetti nei riguardi
dei terzi, mentre le altre - generalmente chiamate giudicati in rem - hanno come scopo principale
di fissare lo statuto giuridico di una persona o di una cosa, con efficacia erga omnes 76 .
Secondo una giurisprudenza costante un giudicato in personam non può mai dar luogo ad
un conflitto con un altro giudicato in personam, perché, o le due decisioni sono state rese sul
medesimo oggetto, ed in quel caso la sentenza anteriore ha acquisito l’autorità della cosa
giudicata risultando prevalente, o non hanno il medesimo oggetto, ed in quel caso non sussiste
74
Rudd c/ Rudd [1924] P. 72-77.
R c/ Bow Street Metropolitan Stipendiay Magistrate, ex parte Pinochet Ugarte (No. 2) [1999] 2 W.L.R. 272.
76
MARTIN, L’estoppel en droit international public, Editions Pedone, Paris, 1979, 56-57.
75
179
alcuna res judicata 77 . Diversamente, un conflitto tra due giudicati in rem può produrre un «cross
estoppel», nel senso che ad una parte, nei cui confronti è eccepita la preclusione derivante dalla
presenza di una res judicata formatasi su una precedente decisione, può a sua volta far valere la
preclusione nei confronti della parte avversa, la cui pretesa a sua volta ha costituito oggetto di
un’altra sentenza 78 : in tale circostanza, il giudice sarà chiamato a decidere nuovamente in
maniera definitiva sulla controversia.
In termini analoghi si risolve anche il conflitto tra una sentenza che abbia acquisito la forza
della cosa giudicata ed una decisione amministrativa divenuta definitiva in ragione del decorso
del termine entro il quale può essere impugnata.
6. La «tutela debole» del giudicato nell’ordinamento costituzionale italiano − Anche nel
nostro ordinamento il legislatore ha preso in considerazione il giudicato avuto riguardo a due
differenti profili: l’individuazione del momento del passaggio in giudicato (giudicato in senso
formale) e la definizione degli effetti connessi all’autorità di giudicato (giudicato in senso
sostanziale).
Come è noto, con riferimento al primo dei profili descritti, a norma dell’art. 324 c.p.c., una
decisione passa in giudicato quando non è più suscettibile di ricorso ordinario, ossia di
regolamento di competenza, appello, ricorso in Cassazione o revisione ordinaria. La previsione
di mezzi di ricorso straordinario (revisione straordinaria e opposizione di terzo), invece, non
impedisce il passaggio in giudicato di una decisione. Questa regola è applicabile mutatis
mutandis alle decisioni del giudice amministrativo, che passano in giudicato quando il termine
per proporre un ricorso ordinario è spirato.
Quanto all’autorità della cosa giudicata, secondo l’art. 2909 c.c., la sentenza passata in
giudicato vincola le parti, gli eredi e gli aventi causa 79 .
Il vincolo di giudicato è limitato alla causa oggetto di statuizione definitiva, da identificarsi
alla luce di tre elementi essenziali: parti, petitum e causa petendi.
77
Si veda la sentenza nella causa Poulton c/ Adjustable Cover and Boiler Block Co. [1908] 25 RPC 529, 534 (High Court); 661,
664 (CA) nonchè, più recentemente, Coflexip c/ Stolt (Court of Appeal) [2004] FSR 34.
78
R. c/ Hutchings [1881] 6 Q.B.D. 300, 303.
79
Si veda in proposito PUGLIESE, voce Giudicato civile (dir. vig.), in Enc. Dir., Milano, 1969, 800 e ss. nonché CHIZZINI, Art.
2909, in Commentario breve al codice civile, a cura di Cian e Trabucchi (a cura di), Padova, 2004, 3230; MANDRIOLI, Diritto
processuale civile, I, Torino, 2005, 146 e ss.; LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile - Principi, Milano, 2002, 265 e ss.
180
Oltre a tali limiti soggettivi ed oggettivi, il giudicato sostanziale incontra anche limiti
cronologici, nel senso che esso vincola con riferimento alla situazione di fatto e di diritto
esistente al momento della sua formazione (c.d. principio del dedotto e deducibile) 80 .
Il giudicato nel fissare il principio di diritto applicabile nel caso concreto si ritiene partecipi
della natura normativa dei comandi giuridici, con applicazione dei medesimi criteri interpretativi
e con l’ulteriore conseguenza che la sua erronea interpretazione data dal giudice di merito può
essere denunciata in sede di legittimità sotto il profilo della violazione di norme di diritto 81 .
La previsione della res judicata ha essenzialmente due obiettivi. Da una parte, il passaggio
in giudicato di una sentenza stabilisce un limite alla possibilità di mettere in discussione le
decisioni giurisdizionali, impedendo la proposizione di ulteriori motivi di ricorso ordinario.
D’altra parte, l’autorità della cosa giudicata connessa ad una sentenza conferisce stabilità alla
decisione del giudice sulla controversia, in modo da rendere irrilevante ogni pretesa contraria
alla decisione in ordine alla medesima questione o a questioni pregiudiziali 82 .
L’importanza peculiare attribuita dal legislatore alla stabilità delle decisioni passate in
giudicato è confermata dal fatto che l’autorità della cosa giudicata di un giudizio non può essere
superata se non attraverso la proposizione di un ricorso straordinario (revisione straordinaria e
l’opposizione di terzo 83 ) per i motivi tassativamente individuati dalla legge.
In particolare, la revisione straordinaria può essere domandata:
- se la sentenza è l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra (art. 395, n. 1
c.p.c.);
- se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la
sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali
prima della sentenza (art. 395, n. 2 c.p.c.);
- se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva
potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario (art. 395, n. 3
c.p.c.);
- se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa
(art. 395, n. 4 c.p.c.);
80
Per un approfondimento sui confini del giudicato con riferimento alla causa così definita si vedano PUGLIESE, op. ult. cit., 862 e
ss. e CHIZZINI, op. ult. cit., 3232 e ss.
81
In tal senso si cfr. Cass., Sez. Lav., 3 agosto 2007, n. 17078.
82
MONTESANO, ARIETA, Trattato di diritto processuale civile, Padova, 2001, 2030.
83
Sulla revisione, si vedano, più diffusamente, MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, Torino, 2006, 548 e ss.
Sull’opposizione di terzo, si rinvia a MANDRIOLI, ibidem, 562 e ss.
181
- se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata,
purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione (art. 395, n. 5 c.p.c.);
- se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato
(art. 395, n. 6 c.p.c.).
Invece, secondo l’art. 404 c.p.c., tutti i terzi possono introdurre una domanda di
opposizione contro una decisione che causi pregiudizi ai propri interessi. Inoltre la stessa
disposizione stabilisce che gli aventi causa e gli eredi delle parti possono introdurre un ricorso in
opposizione quando la sentenza sia l’effetto del dolo o della collusione tra le parti.
Anche nel nostro ordinamento è presa in considerazione l’ipotesi del conflitto tra due
decisioni passate in giudicato. Devono a questo proposito essere prese in considerazione due
situazioni differenti. In proposito, infatti, la dottrina è solita distinguere il conflitto logico dal
conflitto pratico di giudicati.
Il conflitto logico tra giudicati si verifica quando interviene un secondo giudizio su una
situazione giuridica dipendente da quella che ha costituito oggetto di un primo giudizio 84 . In
questo caso, poiché le due sentenze riguardano due situazioni giuridiche differenti, ciascuna
continuerà a produrre i propri effetti 85 .
Si ha invece conflitto pratico tra giudicato quando due sentenze riguardano la medesima
questione ed offrono nel merito due soluzioni differenti. In questo caso, secondo la dottrina 86 e la
giurisprudenza 87 , la decisione successiva dovrà prevale sulla precedente. In effetti, l’adozione di
una sentenza contraria ad una decisione che abbia acquisito l’autorità della cosa giudicata è un
vizio del giudizio che, ai sensi dell’art. 395, n. 5 c.p.c., può essere eliminato introducendo un
ricorso in revocazione ordinaria. Qualora questo vizio non sia fatto valere prima del passaggio in
giudicato della decisione, lo stesso sarà assorbito dal passaggio in giudicato della seconda
sentenza. Il contrasto sarà allora risolto applicando la regola generale sulla successione nel
tempo degli atti giuridici di cui all’art. 15 preleggi: la seconda sentenza prevarrà quindi sulla
prima.
Nel nostro ordinamento non è invece contemplata l’ipotesi di revocazione delle sentenze di
legittimità per contrasto con precedente giudicato tra le stesse parti ex art. 395 n. 5 c.p.c. 88
84
MENCHINI, Il giudicato civile, Utet, Torino, 2003, 64 e ss.
Per la precisazione secondo cui il precedente giudicato non deve vertere esclusivamente su un antecedente logico, si vedano
Cass., 11 dicembre 1999, n. 13870 e Id., 7 ottobre 1996, n. 8761.
86
Si vedano MENCHINI, op. ult. cit., 68 e MONTESANO e ARIETA, Trattato di diritto processuale, cit., 2035.
87
Cass., 26 febbraio 1998, in Foro It., 1999, I, col. 2348.
88
Si cfr. da ultimo Cass., Sez. Un., 30 aprile 2008, n. 10867.
85
182
Ai sensi dell’art. 391 bis, infatti, l’impugnazione per revocazione delle sentenze della
Corte di cassazione è ammessa limitatamente al caso di errore di fatto previsto dall’art. 395
c.p.c., n. 4.
In proposito, la questione della legittimità costituzionale di una tale limitazione
all’esperibilità del rimedio della revocazione contro le sentenze di legittimità è stata più volte
ritenuta manifestamente infondata, sulla base del duplice rilievo che, da un lato, né il diritto di
difesa né altri diritti costituzionalmente garantiti risultano violati dalla disciplina delle condizioni
e dei limiti entro i quali può essere fatto valere il giudicato e che, dall’altro lato, l’estensione
della revocazione delle sentenze della Corte di cassazione può essere operata solo dal legislatore,
nell’ambito delle valutazioni discrezionali di sua competenza, alle quali certamente non rimane
estranea l’esigenza di evitare che i giudizi si protraggano all’infinito 89 .
L’esclusione del rimedio della revocazione per le sentenze di legittimità è dunque una
scelta discrezionale del legislatore che non appare in contrasto con i principi costituzionali.
Peraltro, come è stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, l’impugnazione ex art.
395 c.p.c., n. 5 contro le sentenze della Corte di cassazione, che non contengano anche decisioni
di merito, è logicamente e giuridicamente incompatibile con la loro natura: infatti, sulle decisioni
di mera legittimità, al momento del deposito, si forma solo il giudicato in senso formale, ma non
anche quello sostanziale ex art. 2909 c.c., essendo estraneo all’oggetto di tali sentenze
l’accertamento della situazione giuridica, che invece è contenuto nelle pronunce di merito. Un
eventuale contrasto tra giudicati potrebbe insorgere solo in sede di giudizio di rinvio conseguente
alla sentenza di Cassazione ma, in tal caso, opererebbero comunque gli strumenti preventivi
(eccezione di giudicato o impugnazione per revocazione) o successivi (prevalenza del secondo
giudicato) previsti dall’ordinamento.
Il carattere cedevole del giudicato fin qui emerso nell’analisi della disciplina positiva
rispecchia invero la «debolezza» della sua tutela in sede di costituzionale.
L’art. 104 del Progetto della Costituzione prevedeva che «le sentenze non più soggette ad
impugnazione di qualsiasi specie non possono essere annullate o modificate neppure per atto
legislativo, salvo i casi di legge penale abrogativa o di amnistia, grazia e indulto». In Assemblea
Costituente prevalse, invece, l’orientamento contrario alla costituzionalizzazione del principio
dell’intangibilità del giudicato 90 .
89
Cassazione, sentenze nn. 2969 del 2001, 3753 del 2000, 2721 del 1993, 5851 del 1987.
Si cfr., sul punto, CALAMANDREI, Opere giuridiche, Napoli 1968, 111, 217; GROTTANELLI DE’ SANTI, Profili costituzionali
della irretroattività delle leggi, Milano 1970, 61; PIZZORUSSO, Riproposizione di decreto legge non convertito, in Giust. civ.,
1984, I, 2581; TARCHI, Le leggi di sanatoria nella teoria del diritto intertemporale, Milano, 1990, 434; CAPONI, L’efficacia del
90
183
Di fronte a tale lacuna costituzionale, la dottrina, nell’affrontare il tema dei limiti connessi
alla retroattività delle leggi di interpretazione autentica91 , ha assunto essenzialmente due diverse
posizioni 92 .
Secondo alcuni, malgrado la scelta dei Costituenti, nulla osta alla proclamazione di un
principio di intangibilità del giudicato, il quale può implicitamente essere ricavato dalla forma di
Stato.
giudicato civile nel tempo, Milano 1991, 868; TARZIA, Leggi interpretative e garanzia della giurisdizione, in Riv. Dir. Pubbl.,
1998, 243. In sede di Assemblea costituente venne altresì respinto l’emendamento all’art. 73, proposto dall’On. Codacci
Pisanelli, secondo cui «le leggi non potranno avere effetto retroattivo»: in proposito l’On. Tosato, a nome della Commissione,
sottolineò l’inopportunità di una norma costituzionale che sancisse l’irretroattività delle leggi, giacché la sua rigidità poteva dar
luogo ad inconvenienti, come, per esempio, la difficoltà di assegnare efficacia retroattiva ad aumenti stipendiali. Non venne del
pari accolto l’emendamento all’art. 24, proposto dall’On. Dominedò, che opponeva alla retroattività degli atti normativi il limite
dei diritti quesiti.
91
Una legge di interpretazione autentica può, infatti, essere irregolarmente utilizzata per dotare di efficacia retroattiva
disposizioni in realtà innovative al fine di realizzare sanatorie ed, appunto, di vanificare il giudicato. Sotto tale profilo, anche a
voler ritenere le leggi interpretative una categoria dotata di una propria autonomia concettuale, i limiti che esse incontrano sono
quindi gli stessi che si impongono al legislatore retroattivo. Si cfr., in proposito, TARCHI, Le leggi di sanatoria nella teoria del
diritto intertemporale, cit., 429, CELOTTO, Il controllo sulle leggi di sanatoria: «schemi» di giudizio di uno scrutinio
particolarmente rigoroso, in Giur. Cost., 1999, 127 e ss., nonché, in precedenza, RESCIGNO, Leggi di interpretazione autentica e
leggi retroattive non penali incostituzionali, in Giur. Cost., 1964, 770 e ss. secondo cui «le leggi di interpretazione (…) sono
leggi naturalmente retroattive, a differenza delle altre leggi che sono naturalmente irretroattive. Laddove una legge che voglia
essere retroattiva deve dichiararlo espressamente o porre disposizioni tali che non siano interpretabili altrimenti che come norme
retroattive, una legge di interpretazione per ciò solo è retroattiva, e se vuole essere irretroattiva deve dichiararlo».
Sui limiti alla retroattività di leggi interpretative che determinino una reformatio in peius di discipline previgenti, che prevedano
posizioni giuridiche di favore consolidate, si veda Corte cost., 4 novembre 1999, n. 416 con nota di CARNEVALE, “… Al fuggir di
giovinezza… nel doman s’ha più certezza” (Brevi riflessioni sul processo di valorizzazione del principio di affidamento nella
giurisprudenza costituzionale), in Giur. cost., 1999, 3643 e ss., il quale evidenzia come, dalla giurisprudenza della Corte,
emergano, in tale circostanza, due elementi ostativi alla formazione del legittimo affidamento: da una parte, «il giudice
costituzionale ha negato che una pretesa di salvaguardia possa riposare sopra un’interpretazione della legislazione che appaia
successivamente frustrata dal legislatore a mezzo di interpretazione autentica, ogniqualvolta quest’ultimo intervenga per dirimere
un contrasto esegetico effettivamente esistente fra gli organi della giurisdizione. Ciò in quanto – spiega la Corte – nessun
“legittimo affidamento poteva infatti sorgere sulla base di un’interpretazione della norma tutt’altro che pacifica e consolidata ed
anzi fortemente contrastata dalla giurisprudenza di merito” (sent. 229 del 1999)»; dall’altra, «analoga funzione interdittiva della
nascita di un legittimo affidamento è attribuita al vizio di legittimità costituzionale della norma fondante la pretesa, poiché non è
possibile “fondare un’aspettativa legittima sopra una norma costituzionalmente illegittima” (cfr. sent. n. 421 del 1995). In
sostanza, secondo la Corte, la legittimità dell’affidamento sopra un determinato trattamento giuridico non può che richiedere la
legittimità della norma che lo prevede (o, quantomeno, il verificarsi del vizio posteriormente al suo insorgere), risolvendosi
altrimenti l’affermazione della sussistenza dell’affidamento in una vera e propria contradictio in terminis. Quasi, anche qui, ad
invocare una sorta di incompatibilità tra consolidamento della pretesa e precarietà esistenziale della legge viziata di illegittimità.
Se ne ricava, pertanto, che se la tutela dell’affidamento del cittadino può assumere a limite l’efficacia retroattiva della legge, di
contro essa non è in grado di spiegare verun effetto di limitazione nei confronti della c.d. retroattività delle decisioni di
incostituzionalità (cfr., ancora, sent. n. 421, cit.)». Si cfr., inoltre, dello stesso Autore con riferimento alla successiva Corte cost.
n. 525 del 2000, Legge di interpretazione autentica, tutela dell’affidamento e vincolo rispetto alla giurisdizione, ovvero del
“tributo” pagato dal legislatore-interprete “in materia tributaria” al principio di salvaguardia dell’interpretazione
“plausibile”, in Giur. It., 2001, 2415 e ss.
In giurisprudenza, si veda da ultimo la recente Corte cost., 30 gennaio 2009, n. 29 - in tema di proroga di efficacia dei verbali di
accordo sull’indennità espropriativa dovuta per la realizzazione di interventi in zone terremotate - nella quale, richiamando il
consolidato orientamento in tema di limiti alla retroattività, si ribadisce che «l’intervento legislativo diretto a regolare situazioni
pregresse è legittimo a condizione che vengano rispettati i canoni costituzionali di ragionevolezza e i principi generali di tutela
del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche (sentenze n. 74 del 2008 e n. 376 del 1995), anche al fine di
assegnare a determinate disposizioni un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (sentenze n.
234 del 2007 e n. 224 del 2006). La norma successiva non può, però, tradire l’affidamento del privato sull’avvenuto
consolidamento di situazioni sostanziali (sentenze n. 156 del 2007 e n. 416 del 1999), pur se dettata dalla necessità di riduzione
del contenzioso o di contenimento della spesa pubblica (sentenza n. 374 del 2002) o per far fronte ad evenienze eccezionali
(sentenza n. 419 del 2000)».
92
La ricostruzione delle riferite posizioni dottrinarie è di LIBONE, Corte costituzionale e tutela della res iudicata tra illusione e
realtà, in Giur. Cost., 2000, 4387.
184
L’impossibilità per il legislatore interprete di incidere sulle statuizioni contenute in
sentenze definitive è stata quindi sostenuta invocando il principio della separazione dei poteri 93 ,
che postula l’indipendenza del potere giudiziario, e la “riserva di sentenza” 94 .
Assai frequente anche il richiamo alla certezza del diritto: canone fondamentale dello Stato
di diritto e principio «cardine di un’ordinata convivenza» 95 , la garanzia della certezza dei
rapporti giuridici e, correlativamente, la pienezza e l’effettività della tutela giurisdizionale ex artt.
24 e 113 Cost. “incorporerebbero” per alcuni anche il diritto ad una stabile definizione delle
controversie ed alla salvaguardia dei diritti quesiti 96 , certamente oggetto di violazione
nell’ipotesi in cui il legislatore oltrepassi le «colonne d’Ercole» della cosa giudicata97 .
Diversamente da quanti conferiscono al giudicato una peculiare forza passiva, che non può
essere superata senza per ciò solo vulnerare l’indipendenza della magistratura, o la certezza del
diritto o il diritto di difesa, la dottrina maggioritaria propende per una «tutela debole» delle
sentenze definitive.
Tra gli argomenti invocati a sostegno di tale posizione vi è innanzitutto quello testuale,
relativo, appunto, alla mancanza di una disposizione costituzionale espressa che contempli
l’intangibilità delle sentenze definitive.
Molti autori ritengono che, nel silenzio della Costituzione, il rispetto della cosa giudicata si
collochi sul piano delle valutazioni di opportunità, costituendo un mero obbligo politico:
riposando su disposizioni di legge ordinaria, la resistenza del giudicato allo ius superveniens può
essere sempre vinta con un espresso intervento derogatorio del legislatore 98 .
93
Si tratta, in particolare, della posizione espressa da AZZARITI, Il principio di irretroattività della legge e i suoi riflessi di
carattere costituzionale, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1955, 622, secondo cui qualora una disposizione retroattiva dovesse
spingersi fino a travolgere le sentenze dei giudici, essa potrebbe ritenersi illegittima, per violazione di quel principio di divisione
dei poteri che, sebbene inespresso, può ritenersi fondamentale nel nostro ordinamento costituzionale.
Si cfr., in proposito, anche TARCHI, Le leggi interpretative come strumento di dialogo (o di bisticcio?) fra parlamento e giudici,
in Foro It., 1988, I, 1343.
94
Così SILVESTRI, voce Poteri dello Stato, in Enc. Dir., Milano, 1983, 706. Si cfr.no, altresì, BARTOLE, A proposito della riserva
della funzione giurisdizionale, in Studium iuris, 1995, 163 e SORRENTINO, Le fonti del diritto, Genova, 1992, 59.
95
Si cfr., sul punto, LENER, in Foro It. 1982, I , 1662 ss., che ha definito il principio dell’intangibilità del giudicato un
«fondamentale canone dello Stato di diritto», al punto che la sua rimozione ad opera del legislatore determinerebbe un’indebita
confusione fra poteri.
96
Si veda BENVENUTI, voce Giudicato (dir. amm.), in Enc. Dir., Milano, 1969, XVIII, secondo cui «il giudice è garante della
conservazione rispetto al mutamento perenne della società e dei fatti giuridici che si verificano nell’ambito dell’ordinamento, e
punto id equilibrio in cui si racchiude il significato profondo del giudicato è proprio quello che coglie stabilità e movimento,
conservazione e progresso, così da conciliare le due forze e garantire l’effettività dell’ordinamento». Si cfr., inoltre, CAPONI,
L’efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991, 367, il quale sottolinea altresì come il richiamo alla certezza del diritto
come definitiva composizione delle liti è tipico dell’esperienza giuridica tedesca ed, in particolare, della giurisprudenza del
Bundesverfassungsgericht.
97
L’espressione è di LA FARINA. Il giudicato: atto di sovranità o «chiffon de papier»?, in Foro It., 1990, V, 35 e ss., il quale
evidenzia come, laddove la cosa giudicata venga ridotta dal legislatore a mero «chiffon de papier», si determina una pericolosa
regressione verso la barbarie giuridica. Si veda, in proposito, anche PUGIOTTO, Il legislatore interprete e le «colonne d’Ercole»
del giudicato, in Giur. Cost., 2000, 2667.
98
CAPONI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, cit., 271 secondo cui «l’intangibilità del giudicato (…) vale come regola: è
sempre possibile che eccezionalmente la legge retroattiva intenda cancellare l’efficacia delle sentenze passate in giudicato sotto il
185
Secondo questa impostazione, l’invocato principio della separazione dei poteri non
costituisce un idoneo supporto sul quale costruire il principio di intangibilità della res judicata: il
legislatore, nell’introdurre una norma dotata di efficacia retroattiva che travolga le sentenze
irrevocabilmente decise, si muove infatti su di un piano diverso da quello del giudice,
immettendo nell’ordinamento un quid novi che questi è poi chiamato ad applicare 99 . In questa
prospettiva, dunque, lo ius superveniens non vulnera la potestas iudicandi, incidendo sul modello
di decisione cui l’esercizio di detta potestà dovrà attenersi.
È stato, infine, osservato come anche l’individuazione del fondamento dell’intangibilità del
giudicato nel principio costituzionale non scritto della certezza del diritto non consenta di
attribuirle carattere di assolutezza ma anzi, al fronte di un’eventuale legge retroattiva, la espone
al bilanciamento del valori.
Questa conclusione è condivisa dalla giurisprudenza costituzionale fin dalle prime
pronunce in materia di interpretazione autentica 100 .
vigore del diritto precedente; questa cancellazione non potrebbe conseguire ad una previsione genericamente retroattiva; occorre
invece una disposizione che preveda espressamente la cancellazione degli effetti dei giudicati verificatisi sotto il vigore della
legge precedente». Si cfr.no inoltre AMORTH, Leggi interpretative e leggi di sanatoria nei rapporti tra potere legislativo e potere
giudiziario, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1958, 80; GROTTANELLI DE SANTI, Profili costituzionali della irretroattività delle leggi,
cit., 61; PALADIN, Appunti sul principio di irretroattività, in Foro Amm., 1959, I, 950; TARCHI, Le leggi di sanatoria nella teoria
del diritto intertemporale, cit., 146.
99
In proposito si veda SANDULLI, Il principio di irretroattività delle leggi e la costituzione, in Foro Amm., 1947, II, 73 e ss., ad
avviso del quale un atto legislativo che caduchi gli effetti di un giudicato non può ritenersi lesivo del principio di divisione dei
poteri, giacché le disposizioni legislative operano su un piano diverso, parallelo rispetto a quello delle decisioni giudiziali. Si cfr.,
sul punto, anche PALADIN, Appunti sul principio di irretroattività, cit., 948, il quale, dopo aver confutato l’affermazione in base
alla quale l’irretroattività delle leggi sarebbe la regola dell’ordinamento e la retroattività l’eccezione, sottolinea altresì come una
legge che, direttamente e specificamente, mirasse a modificare una qualche sentenza, anche non passata in giudicato, risulterebbe
illegittima in forza del divieto di leggi personali, desumibile dall’art. 3 Cost, e non da un astratto principio di divisione dei poteri.
In senso conforme, ZAGREBELSKY, Il sistema delle fonti del diritto, Torino, 1984, 45 nonché, in precedenza, ID., Sulla
interpretazione autentica (a proposito della legge di Assisi), in Giur. Cost., 1874, 3482 e ss.
100
Per un’analisi problematica di tale giurisprudenza, si vedano: ANTONINI, Nella «Torre di Babele» della giurisprudenza
costituzionale sulle leggi di interpretazione autentica, un caso particolare in materia elettorale, in Le Regioni, 1997, 924 e ss.;
COCOZZA, Sulla legittimità costituzionale delle leggi di interpretazione autentica, in Dir. Giur., 1986, 529; GARDINO CARLI, Il
legislatore interprete. Problemi attuali in tema di interpretazione autentica della legge, Milano 1997; ID., La (in)coerenza delle
motivazioni della Corte costituzionale in tema di legge interpretativa, in La motivazione delle decisioni della Corte
costituzionale, a cura di Ruggeri, Torino, 1994, 517 e ss.; ID., Ancora due sentenze nel variegato percorso giurisprudenziale in
tema di natura e limiti delle leggi interpretative, in Giur. Cost., 1995, 2426 e ss.; GELMETTI, Osservazioni sulla recente
giurisprudenza costituzionale in tema di interpretazione autentica e retroattività delle leggi, in Giur. It., 1994, 71 e ss; MANETTI,
Abuso del potere interpretativo da parte del giudice e del legislatore, in Giur. Cost., 1984, 2326 e ID., Retroattività ed
interpretazione autentica: un brusco risveglio per il legislatore, ivi, 1990, 963 e ss.; PUGIOTTO, La labirintica giurisprudenza
costituzionale in tema di leggi di interpretazione autentica, in Studium Iuris, 1997, 73 e ss., ID., L’irresistibile retroattività della
legge interpretata autenticamente, in Giur. Cost., 1998, 1194 e ss. e ID., La Corte costituzionale tra natura e struttura
dell’interpretazione autentica: il caso della sent. n. 321 del 1998, ibidem, 3874 e ss.; SOANA, Leggi di interpretazione autentica e
principio di affidamento, in Giur. Cost., 1991, 1812 e ss.; VERDE, L’ambito normativo della disposizione interpretata come limite
al legislatore interprete? Considerazioni sulla sent. n. 321 del 1998, in Nuove autonomie, 1998, 811 e ss.; ed, infine, con
particolare riguardo al parametro del controllo di legittimità costituzionale, si cfr.no CARNEVALE, CELOTTO, Il parametro
«eventuale», Torino, 1998, 57 e ss.
Sull’interpretazione autentica in generale, si vedano: BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici: teoria generale e
dogmatica, Milano, 1949, 93 e ss.; CAMMEO, L’interpretazione autentica, in Giur. It., 1907, IV, 305; CERRI, Leggi retroattive e
Costituzione, Spunti critici e ricostruttivi, in Giur. Cost., 1975, 1; CRISCI, Irretroattività della legge e legge interpretativa, in
Studi in onore di F. Piga, Milano, 1992, 301; D’ANTINO, Retroattività della legge: principi costituzionali ed interesse pubblico,
in Foro Amm., 1974, 682 e ss.; DONATI, Il contenuto del principio di irretroattività della legge, in Scritti di diritto pubblico,
Padova, 1966, 279; GALLONI, L’interpretazione della legge con particolare riguardo al rapporto fra interpretazione autentica ed
186
Ad avviso della Corte, l’emanazione di una disposizione interpretativa non rappresenta, di
per sé solo, un’interferenza nella sfera che la Costituzione riserva al potere giudiziario ed, in ogni
caso, «non può considerarsi lesiva di tale sfera una legge interpretativa che rispetti i giudicati (...)
e non appaia mossa dall’intento di interferire nei giudizi in corso» 101 .
Pur nella riconosciuta essenzialità del giudicato a garanzia della certezza del diritto102 , al
legislatore non quindi è precluso di interferire su processi in corso né di incidere sugli effetti del
giudicato: tuttavia, qualora l’intento esclusivo della legge sia l’incidenza su concrete fattispecie
sub iudice o l’elusione del giudicato, la funzione legislativa vulnera la funzione giurisdizionale,
sì da essere considerata come abusivamente esercitata 103 .
L’assenza di un principio di “prevalenza a priori” del giudicato impone, quindi, al giudice
della leggi di svolgere il sindacato sull’“eccesso di potere legislativo” 104 , utilizzando la tecnica
del bilanciamento dei valori ed il parametro della ragionevolezza 105 .
Ciò posto, la Corte costituzionale, nel delimitare il rapporto intercorrente tra funzione
giurisdizionale e funzione legislativa di interpretazione autentica, ha precisato come, in linea
generale, sia «da escludere (…) che possa integrare una violazione delle attribuzioni spettanti al
potere giudiziario una disposizione di legge che appare finalizzata ad imporre all’interprete un
interpretazione giudiziale, Milano, 1955; GARDINO CARLI, Il legislatore interprete, cit.; GIANNINI, L’interpretazione dell’atto
amministrativo e la teoria generale dell’interpretazione, Milano, 1939, 93 e ss.; LAVAGNA, L’interpretazione autentica nei
contributi della dottrina giuridica italiana, in Nomos, 1996, 23 e ss.; PERGOLESI, Appunti in tema di leggi interpretative, in Giur.
Cost., 1957, 805; RESCIGNO, Leggi di interpretazione autentica e leggi retroattive non penali incostituzionali, cit., 770 e ss.;
SANTI ROMANO, Osservazioni preliminari per una teoria dei limiti della funzione legislativa, ora in Scritti minori, 190; TARCHI,
La difficile collocazione delle leggi di interpretazione autentica, in Foro It.,, 1990, I, 3072; TARELLO, L’interpretazione della
legge, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu, Messineo e Mengoni, Milano, 1980, I, 2, 270 e ss.; VERDE,
L’interpretazione autentica della legge, Torino 1997 e ID., Leggi interpretative e bilanciamento di interessi, in Giur. Cost., 1995,
2095 e ss.; ZINGALES, Ancora in tema di interpretazioni autentiche, in Foro Amm., 1982, 172 e ID., Note in tema
d’interpretazioni autentiche, in Nuovi Studi Pol., 1979, 67.
101
Così Corte cost., 8 luglio 1957, n. 118. Successivamente, la sentenza n. 77 del 1964 (con nota di G. U. RESCIGNO, Leggi di
interpretazione autentica e leggi retroattive non penali incostituzionali, cit., 770 e ss.) ha invece considerato legittima una legge
retroattiva non in materia penale che incida sui procedimenti penali in corso, ammettendo, in obiter dicta, effetti anche per i
procedimenti già definiti. Anche la sentenza n. 19 del 1970 (poi richiamata dalle sentenze nn. 122 del 1980, 185 del 1981, 131
del 1986, 385 del 1994, 397 del 1994, 462 del 1994) ha ritenuto legittima la retroattività tale da incidere sui rapporti esauriti.
102
Si vedano, al riguardo, Corte cost., 5 luglio 1995, n. 294; Id., 29 ottobre 1999, n. 413; Id., 3 luglio 1996, n. 224; Id., 12
dicembre 1998, n. 406, Id., 17 novembre 2000, n. 501. Si cfr., inoltre, Id., 22 novembre 2000, n. 525.
103
Secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, il carattere fittiziamente interpretativo di una legge costituisce, in
determinate circostanze, «sintomo» di sviamento della funzione: si veda, a titolo esemplificativo, quanto statuito nella sentenza n.
123 del 1987, dichiarativa di illegittimità di una legge che, travolgendo il giudicato ed eliminando il diritto al risarcimento del
danno, violava il diritto di azione.
104
Sull’invocabilità di tale vizio, di incerta qualificazione dogmatica, si vedano: MORTATI, Sull’ eccesso di potere legislativo, in
Giur. It., 1949, I , 1, 459 e ss.; PALADIN, Osservazioni sulla discrezionalità e sull’eccesso di potere del legislatore ordinario, in
Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1956, 993 e ss.; MODUGNO, Ancora sulla mancata determinazione del thema decidendum e sull’eccesso di
potere legislativo, in Giur. Cost., 1982, I, 2072 e ss., e, ID., Eccesso di potere, in Enc. Giur. Treccani, Roma; CARBONE,
Un’occasione perduta: il mancato riconoscimento del cd. eccesso di potere legislativo, in Corr. Giur., 1987, 498 e ss. Contro la
possibilità di costruire un autonomo vizio di eccesso di potere legislativo, si cfr.no PIZZORUSSO, Il controllo della Corte
costituzionale sull’uso della discrezionalità legislativa, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1986, 800 e ss. e ZAGREBELSKY, La giustizia
costituzionale, Bologna, 1988, 130.
105
Sul punto, si cfr.no, in particolare, KURKDJAN, Il principio di ragionevolezza come strumento di contropotere nei confronti del
legislatore, in Dir. Soc., 1991, 247 e ss. e CASTORINA, Irragionevolezza della legge pseudo interpretativa o irragionevolezza
degli effetti retroattivi stessi?, in Le Regioni, 1991, 1393 e ss.
187
determinato significato normativo, in quanto la stessa, operando sul piano delle fonti, non tocca
la potestà di giudicare, ma precisa solo la regola astratta ed il modello di decisione cui l’esercizio
della potestà di giudicare deve attenersi» 106 .
Viceversa, risultano costituzionalmente illegittime quelle disposizioni retroattive dal
contenuto provvedimentale che, oltre a creare una regola astratta, prendano espressamente in
considerazione le sentenze passate in giudicato, sulle quali vengano ad incidere in maniera
diretta ed esplicita 107 .
Analogo orientamento è rintracciabile nella giurisprudenza amministrativa: il Consiglio di
Stato ha avuto modo di affermare che «il contenuto precettivo del giudicato amministrativo
(come anche quello civile)» costituisce un dato irreversibile della realtà giuridica ed un «sicuro
limite» alla retroattività legislativa 108 . La necessità di tutelare, seppur in termini relativi,
l’intangibilità del giudicato è desunta dalla garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale dei
diritti ed interessi legittimi, che comprenderebbe anche «il diritto di ottenere dal giudice una
statuizione definitiva ed immutabile», e dal principio «che riserva alla magistratura una sfera di
azione autonoma e indipendente da ogni altro potere» 109 : se, infatti, il giudicato dovesse sempre
cedere di fronte ad una sopravvenuta legge retroattiva, «sarebbe consentito al legislatore
vanificare in ogni momento la funzione propria della Magistratura (titolo IV Cost.), rendendo
aleatoria, sia pure attraverso lo strumento dell’interpretazione autentica, quella tutela
giurisdizionale che costituisce un fondamentale diritto assicurato al singolo dalla Costituzione,
tutela che non può dirsi tale se non è completa (artt. 24 e 113 Cost.) e indipendente
dall’ingerenza di ogni altro potere (artt. 101 e 104 Cost.)».
In conclusione, l’analisi della disciplina positiva delle ipotesi derogatorie del principio di
intangibilità del giudicato nonché la ricostruzione della giurisprudenza costituzionale in tema di
vincoli derivanti dalle decisioni giurisdizionali ormai definitive ha mostrato come la certezza del
106
Così Corte cost., 23 novembre 1994, n. 397, in Giur. Cost., 1994, 3529 e ss.
Corte cost., 27 luglio 2000, n. 374, in Giur. Cost., 2000, 2656 e ss., secondo cui, in applicazione del principio, vengono
distinte nella fattispecie in esame due ipotesi: quella in cui il trattamento stipendiale, riconosciuto con sentenza definitiva e non
dovuto a norma della legge interpretativa, sia stato corrisposto e sia destinato in base alla disposizione sopravvenuta ad essere
riassorbito dai successivi incrementi retributivi, e quella in cui non si fa luogo alla corresponsione del trattamento riconosciuto
con sentenza passata in giudicato non ancora portata ad esecuzione al momento dell’entrata in vigore della legge. Solo la seconda
soluzione, impedendo l’esecuzione del giudicato, viene ritenuta illegittima, costituendo «correzione concreta dell’attività
giurisdizionale».
108
Cons. Stato, Ad. Plen., 21 febbraio 1994, n. 4, in Foro It., 1994, III, 313 e ss. nonché in Riv. Trim. Dir. Proc. Amm., 1995, 255
e ss. con nota di COLONNA, Giudicato e ius superveniens retroattivo: un’armonizzazione difficile e FRANCARIO, Osservazioni in
tema di giudicato amministrativo e legge interpretativa. In senso conforme si vedano Cons. Stato, Sez. IV, 17 settembre 1995, n.
692, in Foro Amm., 1995, 1841 e ss.; Id., Sez. IV, 6 maggio 1996, n. 564, in Giur. It., 1996, III, 687 e ss.; Id., Sez. IV, 29
settembre 1997, n. 1032, in Foro Amm., 1997, 2297 e ss.
109
Più in particolare, ad avviso del giudice amministrativo, nel quadro della divisione dei poteri dello Stato «emerge che, come la
magistratura non può sovrapporsi al Parlamento abrogando o modificando erga omnes le norme da esso poste, ugualmente il
Parlamento non può sovrapporsi alla magistratura modificando ex post singole situazioni già definite dal giudice e coperte
dall’autorità di giudicato».
107
188
diritto, anche nell’ordinamento italiano, risulti compatibile con una «tutela debole» del giudicato,
passibile di cedevolezza dinanzi a contrapposti principi costituzionali 110 .
7. La certezza del diritto quale “controlimite”: la Corte costituzionale come
Revisioninstanz − I risultati dell’analisi comparatistica in precedenza presentati consentono di
rispondere negativamente al quesito di partenza circa la compatibilità del riconoscimento della
“generale cedevolezza” del principio dell’intangibilità del giudicato da parte del giudice
comunitario con il valore ad esso assegnato nei principali ordinamenti giuridici europei.
Secondo quanto è emerso nei paragrafi precedenti, alla certezza del diritto connessa alla
stabilità dei rapporti oggetto di una decisione definitiva è attribuito un valore “relativo”: la sua
tutela ovvero il suo superamento costituiscono sempre il punto di equilibrio di un bilanciamento
con altri principi di pari rilevanza costituzionale.
Tale “relativizzazione” non può, dunque, essere “assoluta” a vantaggio della primauté del
diritto comunitario.
Pertanto, nell’ipotesi in cui la Corte di giustizia dovesse orientarsi in questo senso, è
possibile ipotizzare l’operatività della dottrina dei “controlimiti”, quale strumento di garanzia del
diritto “intercostituzionale” 111 .
Nel primo capitolo, infatti, è stato già messo in luce come l’art. 53 della Carta di Nizza,
successivamente recepito nel Trattato costituzionale, costituisca una “clausola di legittimazione”
della dottrina dei controlimiti - visti non più in chiave statica, quali strumenti di estrema difesa
dell’ordinamento nazionale, quanto piuttosto in chiave dinamica, finalizzati ad una tutela
multilivello dei diritti - e come la problematica della prevalenza del diritto comunitario assuma
oggi un’impostazione del tutto diversa, tenuto conto che l’origine contrastiva dei termini
“primautè vs controlimiti” si va evolvendo nel senso del loro inscindibilità “primautè e
controlimiti” 112 .
In quest’ottica si potrebbe ritenere che il superamento del principio dell’intangibilità del
giudicato ad opera di una successiva pronuncia interpretativa della Corte di giustizia non passi,
110
Sul punto si veda LIBONE, Corte costituzionale e tutela della res iudicata tra illusione e realtà, in Giur. Cost., 2000, 4393.
L’espressione è di RUGGERI, Sovranità dello Stato e sovranità sovranazionale, attraverso i diritti umani, e le prospettive di un
diritto europeo “intercostituzionale”, in Dir. Pubbl. Comp. ed Eur., 2001, 544 e ss.
112
Per tale lettura “evolutiva” dei controlimiti si veda CELOTTO, Una nuova ottica dei “controlimiti” nel Trattato costituzionale
europeo?, in www.forumcostituzionale.it nonché, per un’approfondita analisi sul riparto di competenza tra le Corti in caso di
violazione dell’art. I-5, RUGGERI, Trattato costituzionale, europeizzazione dei “controlimiti” e tecniche di risoluzione delle
antinomie, ivi e poi in AA.VV., Giurisprudenza costituzionale e principî fondamentali. Alla ricerca del nucleo duro delle
Costituzioni, a cura di Staiano, Torino, 2006, 827 e ss. Per ulteriori riferimenti si cfr. supra cap. 1 par. 5.
111
189
sempre ed inevitabilmente, per lo strumento della disapplicazione della norma interna sulla res
iudicata, ma possa costituire il frutto di un’opera di bilanciamento di valori.
Tale bilanciamento non sembra debba essere operato a priori dal legislatore ed affidato al
supremo giudice di legittimità, soluzione che, come è stato in precedenza riferito, è stata
prospettata dalla dottrina all’indomani della sentenza Lucchini 113 .
Una simile scelta risulta giustificata per le sentenze della Corte Europea dei diritti
dell’Uomo, rispetto alla cui sopravvenienza si intende affidare alla Corte di Cassazione il potere
di revisione delle sentenze penali contrastanti 114 . In quel caso, infatti, il giudicato si troverebbe a
cedere, per espressa disposizione di legge, di fronte ad una sentenza che abbia accertato la
violazione del diritto fondamentale ad un equo processo riconosciuto dall’art. 6 della C.E.D.U.
Diverso sarebbe l’altro termine del bilanciamento, eventualmente definito dal legislatore, a
fronte di un’istanza di revisione del giudicato interno a seguito della sopravvenienza di una
sentenza della Corte di giustizia nelle materie di competenza dell’Unione: in tale ipotesi si
tratterebbe, infatti, di assicurare la prevalenza di principi nella maggior parte dei casi
riconducibili allo scopo primo dell’Unione, la creazione di un libero mercato.
Sembra pertanto opportuno che la funzione di armonizzare il dictum del giudice
comunitario e giudicato nazionale sia affidata al giudice costituzionale.
Alla luce dell’analisi si qui condotta, quello che si vuole sostenere è la necessità che si
riconosca alle Corti costituzionali nazionali il compito di Revisionistanz, ossia di organo che, per
espressa disposizione costituzionale, sia tenuto a risolvere l’eventuale contrasto tra giudicato
interno e comunitario.
Una simile soluzione, calata nel nostro ordinamento costituzionale, comporterebbe
l’adozione di una legge di revisione costituzionale con cui si introduca la competenza della Corte
a giudicare «sul contrasto tra una sentenza del giudice italiano non più soggetta a gravame, che
abbia definito una controversia applicando disposizioni di diritto comunitario ovvero
disposizioni interne adottate in conformità allo stesso, ed una decisione della Corte di giustizia
delle Comunità Europee, che interpreti tali disposizioni».
Quanto al profilo della legittimazione ad adire la Corte nell’esercizio di tale competenza, se
ne dovrà prevedere la più ampia diffusione: il giudizio, infatti, dovrebbe poter essere instaurato
113
Si cfr. supra par. 4.
Si vedano i disegni di legge – n. 1447 del 31 luglio 2001 e n. 1992 del 20 novembre 2002 - con cui si propone di aggiungere,
tra i motivi di revisione di cui al 1° comma dell’art. 630 c.p.p., una lettera d-bis) («se è stata accertata con sentenza della Corte
dei diritti dell’uomo la violazione dell’art. 6, paragrafo 3, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848») ed, in proposito, si
cfr. il precedente capitolo.
114
190
tanto dallo Stato - responsabile nel conformare l’ordinamento italiano a quello comunitario, sia
nei confronti delle Istituzioni della Comunità, dinanzi alle quali può essere convenuto per
inadempimento, sia nei confronti dei cittadini, dai quali può essere chiamato a rispondere in via
extracontrattuale 115 - tanto dai singoli che, venuti a conoscenza dei chiarimenti forniti dalla Corte
di giustizia, si vedano pregiudicati da un giudicato reso in violazione del diritto comunitario.
Nell’esercizio di tale competenza la Corte costituzionale potrebbe servirsi dei principi
enunciati in materia di interpretazione autentica, che, come si è visto, sono ormai oggetto di
giurisprudenza ormai consolidata 116 .
D’altra parte, il parallelismo tra l’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia e le leggi
interpretative è stato spesso invocato dalla dottrina per ricostruire l’efficacia sentenze
pregiudiziali.
Già agli albori del processo di integrazione europea, è stato infatti notato che «la decisione
interpretativa della Corte di giustizia, svincolata dalla fattispecie che occasionalmente la
determina, attribuisce alla norma un significato autentico di ordine generale, acquistando valore
direttivo» 117 .
Alla luce della giurisprudenza costituzionale già analizzata - secondo cui la precisazione o
l’integrazione del significato normativo delle disposizioni comunitarie compiute dalla Corte di
giustizia hanno la stessa efficacia diretta delle disposizioni interpretate118 - si può ancor meglio
cogliere l’analogia tra la funzione svolta dalle statuizioni delle sentenze del giudice comunitario
e quelle contenute una legge che fornisca l’interpretazione autentica di una norma dall’incerto
significato.
L’interpretazione giudiziale autentica 119 fornita dal giudice comunitario si comporta,
dunque, alla stregua di ius superveniens retroattivo e, come tale, deve essere soggetta agli stessi
limiti sotto il profilo dell’incidenza sul giudicato.
Quanto alle modalità di svolgimento del giudizio, la Corte costituzionale dovrà
necessariamente servirsi della tecnica del bilanciamento.
Con riferimento ai limiti di legittimità nell’adozione di una legge di interpretazione
autentica che possa vulnerare la funzione giurisdizionale è, infatti, emerso come il giudicato
possa cedere dinanzi a contrapposti interessi costituzionali prevalenti.
115
Sul tema della responsabilità extracontrattuale degli Stati membri si veda cap. 1 par. 2.
Si cfr. supra par. 6 ed, in particolare, nota 80.
117
ZUCCALÀ, Di una forma di interpretazione giurisprudenziale autentica delle leggi, in Giur. It., IV, 1959, 144 e ss.
118
Per la quale si rinvia al cap. 2, par. 2.
119
Sul punto si veda la ricostruzione teorica di TEDESCHI, Su alcune forme di interpretazione autoritativa della legge, in Riv. Dir.
Civ., 1957, 136 e ss., poi ripresa, da ZUCCALÀ, Di una forma di interpretazione giurisprudenziale, cit.
116
191
Analogo bilanciamento dovrà essere svolto nei confronti dell’interpretazione autentica
fornita dalla Corte di giustizia, dovendo il giudice costituzionale valutare se debba prevalere il
giudicato interno, «atto di sovranità» del giudice nazionale, e, dunque, il diritto alla “certezza”
del rapporti giuridici, alla pienezza ed all’effettività della tutela giurisdizionale garantiti dagli
artt. 24 e 111 Cost., ovvero la sentenza del giudice comunitario e, con essa, il principio del
primato del diritto comunitario, che egualmente gode di una copertura costituzionale in forza del
1° comma dell’art. 117 Cost.
Si tratterà di una valutazione da compiere caso per caso, senza poter prevedere a priori la
prevalenza dell’uno o dell’altro termine del bilanciamento.
Tale impossibilità, d’altra parte, risiede nella stessa logica del bilanciamento come è stato
evidenziato, anni or sono, da uno dei più autorevoli maestri di teoria dell’interpretazione120 nel
rispondere al difficile interrogativo su quale dovesse essere l’atteggiamento del giurista nel caso
in cui norme ed istituti giuridici siano in contrasto tra loro ed in essi si annidi un conflitto tra
principi di diritto eterogenei.
L’operatività di un simile bilanciamento risulterebbe peraltro in linea con l’inquadramento
dei rapporti interordinamentali, in senso “assiologico-sostanziale”, prospettato dalla Corte con
riferimento al diritto internazionale pattizio121 , laddove è stato riconosciuto come l’osservanza
degli obblighi internazionali da parte delle leggi non sia del tutto incondizionata, dovendo essa
pure soggiacere ad un «ragionevole equilibrio» con la «tutela degli interessi costituzionalmente
protetti contenuta in altri articoli della Costituzione» 122 .
Anzi, nel progressivo consolidarsi di questa tendenza a rileggere la questione delle
antinomie tra ordinamento nazionale ed europeo dal punto di vista della teoria
dell’interpretazione piuttosto che da quello di una teoria delle fonti d’ispirazione formaleastratta, la posizione della Corte costituzionale, nella ormai sempre più necessaria ottica del
dialogo con la Corte di giustizia, ne uscirebbe rafforzata.
In questa prospettiva si compirebbe anche quell’evoluzione, auspicata dalla più attenta
dottrina 123 , della nozione certezza del diritto «naturalmente portata a sdoppiarsi e a convertirsi in
certezze di un diritto non più solo costituzionale, come pure non più solo comunitario o europeo,
120
ENGISH, Introduzione al pensiero giuridico, Milano, 1970.
Per questa ricostruzione si veda RUGGERI, La CEDU alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale-astratta e
prospettiva assiologico-sostanziale d’inquadramento sistematico (a prima lettura di Corte cost. nn. 348 e 349 del 2007), in
www.forumcostituzionale.it nonché in Itinerari di una ricerca sul sistema delle fonti, Torino, 2008, 493 e ss.
122
Così Corte costituzionale, 24 ottobre 2007, n. 348, punto 4.7 Cons. dir. Per dei riferimenti dottrinari alla pronuncia, si rinvia
alla relativa nota al cap. 2, par. 2.
123
RUGGERI, La certezza del diritto al crocevia tra dinamiche della normazione ed esperienze di giustizia costituzionale, in AA.
VV., Le fonti del diritto oggi, Giornate di studio in onore di A. Pizzorusso, Pisa 3-4 marzo 2005, Pisa, 2006, 129 e ss.
121
192
distinto seppur “coordinato” rispetto al primo, bensì, ad un tempo, costituzional-europeo,
conseguente ad un’integrazione ormai optimo iure compiuta, nel segno non della sopraffazione
dell’uno sull’altro ordinamento ma della loro congiunta, armonica affermazione».
In conclusione, la definizione del punto di equilibrio tra certezza e primauté del diritto
comunitario costituirà la nuova «frontiera» sulla quale la giustizia costituzionale sarà chiamata
nel prossimo futuro a svolgere ancora una volta quel ruolo di istituzione di «confine» che le è
proprio 124 .
8. Conclusioni − Si è così giunti alla conclusione del presente lavoro con cui è stata
proposta l’analisi degli strumenti di garanzia della funzione interpretativa svolta dalla Corte di
giustizia, strumenti elaborati dalla giurisprudenza comunitaria a tutela primauté del diritto
comunitario e recepiti dalla giurisprudenza costituzionale nazionale in tema di diretta
applicazione del diritto europeo e di efficacia delle decisioni pregiudiziali.
In particolare, è stato evidenziato come, seppure la retroattività degli effetti delle pronunce
interpretative incontri il limite dei rapporti quesiti a tutela del principio di certezza del diritto,
tale limite sembra essere, sempre più frequentemente, esposto dal giudice comunitario ad
un’“assoluta relativizzazione”, così da imporre una rimeditazione sui caratteri di alcuni istituti
del diritto nazionale.
Infatti, dopo aver analizzato la giurisprudenza comunitaria sul principio di intangibilità del
giudicato, si è visto come la tradizionale discrezionalità dell’annullamento d’ufficio di un atto
amministrativo ormai definitivo ed il bilanciamento di interessi ad essa sotteso subiscano una
deroga nel senso dell’“obbligatorietà” del riesame per il ripristino della “legalità comunitaria”,
deroga compatibile con il sistema dell’autotutela delineatosi nel nostro ordinamento, laddove sia
circoscritta alla luce del principio di «equivalenza procedurale».
È stato poi messo in luce come il riconoscimento, operato dalla Corte di giustizia e dai
giudici nazionali, della necessità di revisione del giudicato interno in contrasto con le pronunce
C.E.D.U. possa condurre ad ipotizzare un analogo superamento del principio di intangibilità del
giudicato “anticomunitario” in presenza di un contrasto tra le pronunce della Corte di giustizia e
quelle delle Corti costituzionali nazionali in materia di diritti fondamentali. A tal fine, è stato
124
Su tale ruolo si cfr. più dettagliatamente ONIDA, Una nuova frontiera per la Corte costituzionale: istituzione di «confine» fra
diritto nazionale e sovranazionale, in AA. VV., Le Corti dell’integrazione europea e la Corte costituzionale italiana.
Avvicinamenti, dialoghi, dissonanze, a cura di Zanon, collana «Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica
Italiana, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2006.
193
prioritariamente esaminato un caso di contrasto tra una decisione interpretativa del giudice
comunitario ed una precedente sentenza della Corte costituzionale, affrontando incidentalmente
il tema dell’efficacia di giudicato delle pronunce di incostituzionalità e proponendo, a riguardo,
la ricostruzione secondo cui il giudicato costituzionale, pur essendo posto a garanzia di principi
quali la certezza del diritto costituzionale, l’indipendenza del giudice delle leggi, la separazione
tra i poteri, non costituisce di per sé un “controlimite”, con la conseguenza che le disposizioni
“create” dalla Corte non possono godere a priori di una resistenza particolare alla
disapplicazione.
È stato quindi esaminato il recente orientamento, inaugurato con la sentenza Lucchini, nel
senso di una assoluta deroga al principio dell’intangibilità del giudicato, laddove questo sia stato
reso in violazione delle competenze comunitarie “riservate”: infatti, in ipotesi, come quella delle
pronunce di incompatibilità degli aiuti di Stato, in cui il giudicato nazionale coinvolga ambiti
materiali di disciplina che l’ordinamento europeo “riserva” alla competenza delle Istituzioni
comunitarie ed, in particolare, della Corte di giustizia, viene affermata la prevalenza del
principio di piena efficacia del diritto comunitario sulla “certezza” discendente dalla stabilità di
rapporti giuridici ormai esauriti.
Al riguardo, è stata prospettata l’ipotesi che un tale orientamento possa risultare
prodromico ad una “generale” tendenza al superamento dell’autorità della cosa giudicato in ogni
materia “comunitarizzata” e, successivamente, anche quando siano in questione diritti attribuiti
ai singoli dall’ordinamento comunitario, fino all’affermazione dell’opposto principio della
cedevolezza del giudicato nazionale a fronte della primauté del diritto comunitario.
Ci si è infine domandati se tale “assoluta relativizzazione” sia in armonia con il valore
assegnato, negli ordinamenti giuridici europei, alla certezza nella stabilità dei rapporti definiti
con una sentenza non più soggetta a gravame.
In proposito, i risultati di un’analisi comparatistica delle discipline positive degli Stati
membri che rappresentano i principali modelli costituzionali di riferimento (Germania, Francia,
Spagna, Inghilterra, Italia) hanno mostrato come la tutela od il superamento della “certezza”
connessa alla stabilità dei rapporti oggetto di una decisione definitiva costituiscono sempre il
punto di equilibrio del bilanciamento con altri principi di pari rilevanza costituzionale, sicché la
“relativizzazione” del principio dell’intangibilità del giudicato non può essere “assoluta” a
vantaggio della primauté del diritto comunitario.
Pertanto, nell’ipotesi in cui la Corte di giustizia dovesse orientarsi in questo senso nel
risolvere le ulteriori questioni interpretative promosse a chiarimento dei principi enunciati nella
194
sentenza Lucchini, sarà possibile ipotizzare l’operatività della dottrina dei “controlimiti” e,
conseguentemente, ritenere che il superamento del principio dell’intangibilità del giudicato ad
opera di una successiva pronuncia interpretativa della Corte di giustizia non passi sempre ed
inevitabilmente per lo strumento della disapplicazione della norma interna sulla res iudicata, ma
possa costituire il frutto di un’opera di bilanciamento di valori.
A tal fine è stato quindi proposto che alle Corti costituzionali nazionali sia affidato il
compito di Revisionistanz, ossia di organo che, per espressa disposizione costituzionale, sia
tenuto a risolvere l’eventuale contrasto tra giudicato interno e comunitario.
In conclusione, per ritornare alla considerazione di teoria dell’interpretazione da cui ha
preso spunto il presente lavoro 125 , la posizione di “privilegio ermeneutico” assegnata al giudice
comunitario nell’interpretazione del diritto europeo si va sempre più rafforzando tanto da esigere
dal giudice nazionale e da ogni interprete un’“interpretazione conforme” alle sentenze
pregiudiziali.
Tale esigenza va supportata con l’abbandono della visione “dualistica” dei rapporti tra
ordinamento nazionale ed europeo ed un maggior “dialogo” tra le Corti, affinché la certezza
(nazionale) del diritto sia adeguatamente sostituita dalla certezza del diritto “costituzionaleuropeo” 126 .
In quest’ottica è dunque necessario riformulare i rapporti tra certezza del diritto e
completezza della decisione giurisdizionale o amministrativa alla luce del diritto comunitario: se
è vero che «la completezza e la razionalità della giustificazione giuridica costituisce uno
strumento che rende possibile l’assicurazione della certezza e della affidabilità del diritto» 127 ,
una decisione incompleta perché “trascura” il diritto comunitario non può essere produttiva di
certezza.
125
Il riferimento è all’affermazione di GALGANO, L’interpretazione del precedente giudiziario, in Contratto ed impresa, 1985,
701 riportata nell’Introduzione.
126
Per tale espressione RUGGERI, La certezza del diritto al crocevia tra dinamiche della normazione ed esperienze di giustizia
costituzionale, in AA. VV., Le fonti del diritto oggi, Giornate di studio in onore di A. Pizzorusso, Pisa 3-4 marzo 2005, Pisa,
2006, 129 e ss.
127
ALEXY, Legal Expert Systems and Legal Theory, in AA.VV., Expert Systems in Law, Tubingen, 1988, 69.
195
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