Gli idrati
di metano
di Claudio Boccalatte
Una nuova fonte
di energia
dagli oceani
o una minaccia
ambientale?
S
u queste pagine
ci siamo già occupati di alcune
fonti d’energia rinnovabile marine che possono aiutarci a ridurre
la dipendenza dell’economia mondiale dai
combustibili fossili e
quindi la produzione
dei “gas serra” i quali,
secondo gli autorevoli studi dell’IPCC (International Panel on Climate Change, organizzazione dell’ONU per lo studio dei cambiamenti climatici)
portano una serie di fenomeni indesiderabili: nel
numero di agosto 2009 abbiamo trattato dell’energia delle correnti, a settembre 2010 dei gradienti termici marini ed a novembre dello stesso
anno dell’energia eolica off-shore.
Vogliamo ora occuparci di una sorgente d’energia
di tipo diverso, non rinnovabile, ma talmente diffusa sul fondo degli oceani da poter cambiare sostanzialmente il quadro delle attuali previsioni
sull’esaurimento, nel breve o medio termine, delle
riserve mondiali di combustibili fossili; allo stesso
tempo però, secondo alcuni, il suo sfruttamento
potrebbe dare origine a disastri ambientali: parliamo degli idrati di metano.
Un idrato é un composto formato da acqua in
una molecola ospite; gli idrati di metano sono
composti solidi cristallini di acqua e metano, simili al ghiaccio, che si formano a bassa temperatura, ad alta pressione e in presenza di un’alta
concentrazione di gas, derivato soprattutto dalla
putrefazione di piccoli organismi che morendo si
depositano sul fondo dei mari. Queste condizioni
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s’incontrano soprattutto nelle prime centinaia di metri al di sotto
dei fondali marini, e
nel permafrost (regione
della terraferma o del
fondale marino caratterizzata dalla presenza
di uno strato di terreno
permanentemente congelato, che può raggiungere la profondità di diverse centinaia di metri) delle regioni circumpolari. Sono particolarmente indicati alla formazione di idrati di metano
i margini oceanici, laddove cioè i continenti degradano negli oceani. È questa un’area, infatti,
dove si ha la maggiore sedimentazione di materiale organico e inorganico.
Se la temperatura aumenta e/o la pressione diminuisce, passano rapidamente dallo stato solido allo stato gassoso, liberando gas metano ed acqua.
Gli idrati di metano sono composti di circa 85%
di peso di acqua e dal 15% di gas. Un volume di
idrato di metano contiene circa 170 volumi di
metano. La loro densità è leggermente inferiore
a quella dell’acqua (913 kg/m³), il peso molecolare è 17,71 kg/kmol e la formula chimica è la seguente:
CH4 . 6H2O
Le proprietà e i fenomeni di formazione e dissociazione degli idrati di metano sono stati studiati a
partire dalla seconda metà del 900, a seguito dell’ostruzione di alcune condotte dei gasdotti siberiani. Fu così accertato che le aree siberiane possiedono le condizioni ambientali ideali per la forma-
Distribuzione mondiale dei giacimenti di idrato di metano: in viola quelli accertati, in rosso quelli presunti; in apertura, rocce del
fondale contenenti idrato di metano
zione di un materiale solido simile al ghiaccio e
contenente al suo interno le molecole di metano.
Negli Anni Settanta del XX secolo venne identificato e recuperato il primo campione d’idrato di
metano naturale, del peso di circa 50 chilogrammi, che giaceva in prossimità di una frattura sul
fondo dell’Oceano Atlantico.
Lo sfruttamento degli idrati è molto difficile in
quanto, sebbene si trovino relativamente vicino
alla superficie, quando vengono portati all’aria
aperta iniziano a decomporsi molto rapidamente
rendendo per il momento antieconomico il loro
utilizzo.
Le stime attuali parlano di milioni di miliardi di
metri cubi di gas metano presente negli idrati delle aree continentali (polari e sub-polari) e marine,
e ciò corrisponde, in termini di carbonio, ad un
multiplo delle riserve contenute in tutti gli altri
giacimenti di combustibili fossili (carbone, petro-
lio e gas naturale) sinora scoperti sulla Terra.
Sono distribuiti lungo i margini di tutti gli oceani
del globo, nei fondali da circa 500 fino a 4.000 m
ed oltre degli abissi. Occupano gli spazi porosi dei
sedimenti per uno spessore di qualche centinaio
di metri dal fondo del mare. Più in profondità
l’aumento della temperatura della terra causa la
loro dissociazione in acqua e metano, gassoso o
disciolto, come quello che viene estratto dai comuni giacimenti.
Negli Stati Uniti d’America in questi ultimi anni
sono state scoperte almeno quattro regioni atlantiche tra il New Jersey e la Georgia che potrebbero
stivare altre quantità considerevoli di metano.
Inoltre, situazioni molto interessanti sono state
messe in luce in molte regioni artiche, in prossimità del delta del fiume MacKenzie e dell’Alaska.
Fin dal 1998 sono in corso attività di ricerca e di
estrazione sperimentale nella zona di Mallik (nei
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Profondità in metri
Metano gassoso
con acqua
e ghiaccio
Metano gassoso
con acqua
Idrato di
metano
con acqua
e ghiaccio
Idrato di
metano
nuendo la temperatura locale, il che tende a riportare una parte del materiale allo stato solido di
idrato. USA, Giappone, Corea ed altri Stati asiatici
hanno finanziato importanti progetti pluriennali
volti alla valutazione della fattibilità dell’estrazione e dello sfruttamento degli idrati del metano.
Le tecnologie per l’estrazione sono attualmente in
fase di studio o di primissima applicazione in
quanto l’estrazione del metano dagli idrati presenta pericoli di destabilizzazione dei campi; gli idrati,
infatti, diventano instabili anche solo con moderate diminuzioni di pressione o moderati aumenti
di temperatura, e l’eruzione di metano dai fondali
marini può generare scivolamenti spesso catastrofici di strati di sedimento lungo i pendii dei margini continentali. Tali scivolamenti hanno generato,
in un lontano passato, onde di maremoto alte decine di metri, le cui tracce i geologi rinvengono
tuttora lungo le coste. Un fenomeno di questo tipo, noto come frana sottomarina di Storegga, ha
Temperatura in gradi centigradi
Il diagramma di stabilità dell’idrato di metano; in giallo la zona in cui l’idrato è stabile allo stato solido, in azzurro la zona
in cui si dissocia in acqua e gas
territori di Nord-Ovest canadesi) e nello sterro di
Nankai al largo del Giappone.
Secondo le previsioni del NETL (National Energy
Technology Laboratory, parte del Ministero dell’Energia degli Stati Uniti d’America), lo sfruttamento
commerciale degli idrati di metano potrà iniziare
nel 2015 con alcuni progetti pilota in Alaska.
Gli idrati di metano sono oggi individuabili tramite le normali tecniche di esplorazione geofisica
del fondale marino, in particolare con la metodologia sismica a riflessione, utilizzata da navi da ricerca scientifica e navi per la ricerca petrolifera. La
nave emette impulsi acustici, la cui riflessione da
parte degli strati del fondale marino permette di
ottenere una specie di “ecografia” degli strati rocciosi. Gli strati d’idrato, infatti, costituiscono corpi più compatti rispetto agli altri sedimenti, dove
le onde acustiche viaggiano ad una velocità superiore a quella degli altri strati.
I metodi estrattivi oggi ipotizzati e in via di sperimentazione sono basati sulla creazione di fori che
provocano una diminuzione locale della pressione, e quindi la dissociazione degli idrati in acqua
e metano gassoso. Il processo è complicato dal
fatto che la dissociazione assorbe calore, dimi-
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Ancora delle campionature di idrato di metano prelevate dal
fondo del mare dell’isola di trivellamento presso Vancouver
interessato le coste della Norvegia e Scozia nell’Olocene, circa 8.000 anni or sono.
Una delle ipotesi fatte circa le cause dell’incendio,
esplosione e affondamento, nel mese di aprile
2010, della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, è che una brusca fuoriuscita di metano dal pozzo o dai suoi margini, destabilizzati dall’attività estrattiva, abbia provocato,
oltre all’incendio, anche l’affondamento della
piattaforma galleggiante, non più sostenuta dall’acqua mescolatasi con la schiuma di gas affiorante. Anche il primo tentativo di tappare la bocca
sottomarina del pozzo con una pesante calotta di
Esempio di idrato di metano nodulare con sedimenti a grana fine
cemento sarebbe fallito proprio perché si era formata una cupola d’idrati fragile che avrebbe impedito il corretto posizionamento del manufatto.
Tra le varie speculazioni sull’origine dell’affondamento di navi nel cosiddetto “triangolo delle Bermuda”, vi è quella della dissociazione d’idrati di
metano dal fondale marino. La zona del Triangolo
coincide con una delle aree di maggior accumulo
d’idrati del pianeta. Se il metano fosse rilasciato in
grandi quantità dal fondo del mare a causa di attività sismica o termica locale, una nave di passaggio verrebbe affondata dalla mancanza di spinta al
galleggiamento. Anche per gli aerei scomparsi nella zona del triangolo qualcuno ha ipotizzato che la
causa siano le bolle di metano, meno dense dell’aria, che avrebbero compromesso la portanza dei
velivoli. Queste ipotesi non sono, però, ancora state provate o accettate dalla comunità scientifica.
Una tecnologia, che stanno sperimentando i giapponesi, prevede lo scavo di un pozzo a gomito
che consenta di raggiungere lateralmente la massa
di sedimenti nei cui pori sono contenenti gli idrati: in questo modo le piattaforme d’estrazione
non insisterebbero sulla verticale principale del
giacimento e verrebbero evitate massicce fuoriuscite improvvise di gas.
Come abbiamo già visto, gli idrati di metano sono
molto sensibili a variazioni di temperatura e pressione al fondo degli oceani; un innalzamento di
temperatura dell’acqua marina può quindi innescare la dissociazione degli idrati e la loro liberazione nell’acqua marina prima, e nell’atmosfera poi.
Il metano ha un potenziale di “effetto serra” almeno dieci volte superiore all’anidride carbonica.
L’aspetto decisamente invernale di Mallik, la località nei territori canadesi del Nord-Ovest nella quale è in corso un esperimento di estrazione di metano da un giacimento di idrati
Alcune delle attuali teorie sul riscaldamento globale del pianeta ipotizzano che il riscaldamento
delle acque oceaniche, in particolare alle latitudini elevate, generi un rilascio di metano, il quale,
anche a prescindere da eventuali conseguenze catastrofiche sulle zone costiere e sulla navigazione,
genererebbe a sua volta, per effetto serra, un ulteriore aumento di temperatura, con un effetto a catena il cui risultato sarebbe una notevole accelerazione del riscaldamento globale. Secondo alcuni
modelli un riscaldamento globale di 3 °C genererebbe un rilascio di metano tale da produrre un
ulteriore riscaldamento di mezzo grado.
In conclusione, le teorie sulle possibilità e sui pericoli che potrebbe offrire lo sfruttamento dei giacimenti sottomarini di idrati di metano sono varie e in alcuni casi suggestive; di sicuro confermano che nel futuro l’umanità sarà sempre più dipendente dal mare e dalle sue risorse, e che la conoscenza che oggi abbiamo di questo “universo
sommerso” è insufficiente e occorre investire di
più in questo settore.
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