1 Gellindo Ghiandedoro e il segreto di Fata Mandrolina fiaba di Mauro Neri Ormai lo sanno tutti che moltissimi anni fa i pastori e i pastorelli di Ziano e dintorni, quand’erano al pascolo con le loro greggi sul monte Polse, trascorrevano il tempo a disegnare e a scrivere sulle rocce e sui grossi sassi usando come colore l’ocra rossa del bol de bessa. Perché lo facessero è ancora difficile da stabilire, fatto sta che ancora oggi, se salite su per la Val Boneta dalla frazione Zanon e raggiungete i fianchi rocciosi del monte Polse, vi si aprirà uno stupendo libro a cielo aperto, pieno di lettere, disegni, cifre, date e invocazioni al Signore Iddio e alla Madonna. I più fortunati e curiosi di voi, però, potranno imbattersi anche in un autentico mistero: alcuni lastroni di sasso che scendono ripidi verso valle sono interamente ricoperti... ...da lettere, da iniziali di nomi e cognomi e da parole? No! ...da numeri e da cifre?? Noo!! ...da preghiere e da disegni di croci e stelline??? Nooo!!! Troveranno solo un enorme e ingarbugliato disegno, cento e cento ghirigori senza senso, un vero labirinto di linee color rosso ocra che a volte sembrano disegnare foglioline d’albero, altre volte pesciolini di mare e altre volte ancora serpentelli malandrini! Pare proprio che il povero pastorello autore di quel guazzabuglio indecifrabile non sapesse proprio scrivere! Ma noi, cari miei, conosciamo la verità. Volete che ve la raccontiamo? Allora mettetevi seduti tranquilli e state ad ascoltare! Gellindo Ghiandedoro, lo scoiattolo risparmioso della Valle di Risparmiolandia, stava dormicchiando ai piedi del tronco della quercia in cui abita quando uno strillo acuto lo svegliò distraendolo dai suoi sogni. – Gellindo, c’è posta! Ho qui una lettera con su il tuo nome!! A urlare era Franco Bollo, lo spaventapasseri portalettere del Villaggio degli Spauracchi. – Cosa c’è da gridare a quel modo, Bollo? – sbadigliò Ghiandedoro stiracchiandosi per benino e sospirando ancora mezzo addormentato. – Ops, stai forse dormendo? – Stavo dormendo, a dire il vero! Adesso non dormo più: dimmi, dov’è questa lettera? – Eccola qua! – esclamò il postino, tirando fuori dal borsone a tracolla una busta gialla che aveva l’indirizzo scritto con l’inchiostro rosso. – Chi mi scrive deve aver perso la penna con l’inchiostro blu o nero: gli era rimasta solo quella con l’inchiostro rosso – borbottò Gellindo aprendo la busta. – Allora, vediamo un po’... Caro Gellindo Ghiandedoro, mi chiamo Tonio e sono il sacrestano della chiesa di Ziano, un bel paesino di pastori, boscaioli e contadini nel cuore della Val di Fiemme. Il nostro, è bene che tu lo sappia subito, è chiamato il paese delle rocce dipinte: i nostri pastori infatti passano il loro tempo al pascolo scrivendo e disegnando sulle rocce con l’ocra rossa, che qui viene chiamata bol de bessa. Ti scrivo perché mio figlio Cialdo, un bravo pastorello che porta le nostre caprette al pascolo sul monte Polse, proprio sopra il paese, ha scoperto un enorme sasso liscio su cui ci sono disegni e parole, e fin qui nulla di strano: il fatto è che quei disegni e quelle scritte sono misteriosi, perché nessuno è riuscito a interpretarli, a dar loro un senso. Corre voce, qui a Ziano, che quelle strane scritte altro non siano che l’annuncio di un prossimo terribile terremoto che dovrebbe distruggere la valle intera. Noi tutti sappiamo che tu sei uno scoiattolo intelligente e sempre pronto ad aiutare chi è in pericolo. Bene: noi di Ziano ci sentiamo in pericolo e vorremmo che qualcuno riuscisse a scoprire il segreto di quelle strane scritte! Se hai tempo e voglia, potresti venire qui a Ziano a darci una mano? Spero proprio che tu possa esaudire questa mia richiesta. Tonio, il sacrestano di Ziano – Franco, corri a chiamare Abbecedario: se bisogna risolvere un mistero di parole e disegni che sembrano senza senso, l’aiuto del nostro bravo maestro spauracchio sarà indispensabile! – E posso venire anch’io, a Ziano? Gellindo ci penso su un po’ e poi: – Perché no? Anche tu hai a che fare con le parole scritte, no? D’accordo: corri a dire ad Abbecedario che partiamo subito e poi va’ a prepararti! – Ma scusa, Tonio, e perché quelle parole strane dovrebbero preannunciare proprio un terremoto? Il sacrestano se ne stava nella sua cucina seduto a capotavola, con un bicchiere di latte davanti e un pezzo di pane in mano. Aveva lo sguardo di chi è così preoccupato da aver paura addirittura della propria ombra. Tonio si girò a guardare i tre amici seduti allo stesso tavolo: Gellindo Ghiandedoro, il maestro Abbecedario e il portalettere Franco Bollo. “Son qui a parlare con uno scoiattolino e due spaventapasseri”, pensò l’uomo: “Se entra qualcuno del paese mi prende per matto!” – Devi sapere che noi di Ziano abbiamo un conto aperto coi terremoti. No, non abbiamo mai sentito la terra tremare, ma c’è una vecchia leggenda che parla proprio di terremoti. Nelle fenditure del monte Polse, raccontavano i nostri bisnonni, proprio là dove il mio piccolo Cialdo ha scoperto quelle scritte misteriose, è nascosta la “scatola dei terremoti”: dovrebbe essere un grosso baule che racchiude al suo interno il potere immenso di far scatenare le forze profonde della Terra! – Proprio a Ziano? – domando Abbecedario. – Proprio qui da voi sarebbe nascosto il segreto che fa scoppiare i terremoti in tutto il mondo? Tonio rimase alcuni istanti in silenzio, poi si strinse nelle spalle: – La leggenda dice così, io non so che farci! – Ciao, papà! Proprio in quel momento la porta della casupola di Tonio il sacrestano si aprì ed entrò un bel bimbo dai capelli castani e dagli occhi chiari: avrà avuto nove, forse dieci anni, ed era vestito come di solito si veste un pastorello. Scarpe pesanti, pantaloni lunghi fino alle ginocchia, una camicia di flanella, un cappello a larghe falde per difendersi dal sole e un bastone da viaggio in mano. Al collo Cialdo aveva un fischietto appeso a una funicella. – Ecco Cialdino – esclamò Tonio balzando in piedi sorridendo felice. Il sacrestano fece le presentazioni e Abbecedario, nello stringere la mano del ragazzo, notò subito che le dita erano tutte sporche di colore rosso: lo stesso color ocra con cui era stata scritta la lettera di aiuto! Gellindo si fece spiegare dal bimbo come aveva fatto quella strana scoperta. – È stato un caso – rispose Cialdo riempiendosi un bicchiere di latte. – Me ne stavo con le caprette proprio ai piedi dei lastroni di sasso del monte Polse e m’ero messo a scrivere su una pietra una preghiera alla Madonna, visto che il giorno dopo sarebbe cominciato il mese di maggio, quando Bellina, la capretta più giovane del gregge, saltò un cespuglio e sparì nel folto di un boschetto. Siccome da quella parte prati non ce ne sono, l’ho subito rincorsa e quando l’ho raggiunta ho visto quel liscione grigio tutto coperto da strani disegni... se volete vi accompagno lassù, anche subito! In un’ora siamo al bosco! Quello che Cialdo aveva chiamato “liscione” in realtà era una parete di roccia alta almeno cinque metri, coperta dai piedi alla cima da un intrico aggrovigliato di linee, tutte inequivocabilmente color rosso ocra. Gellindo con la zampetta arricciò preoccupato la punta della sua coda... – Ma come ha fatto, il misterioso autore di tutti questi disegni, a raggiungere la cima della roccia? Cialdo sorrise: – Oh, se è per quello anche noi pastori andiamo fin lassù a disegnare. È semplice, sai? Prendi il tronco di un albero senza rami, lo appoggi fin lassù e ti arrampichi col bol de bessa in un barattolo stretto fra i denti. Poi, arrivato fin lassù, scrivi quel che devi scrivere... – E tu, Cialdo, di solito cosa disegni? – domandò Maestro Abbecedario. – Ma, tante cose... Se papà Tonio compra una nuova capretta, allora segno la data dell’acquisto e con una serie di crocette metto il numero delle capre del mio gregge. Quand’è la festa patronale della Madonna di Loreto, anche se è il 10 di dicembre, tutti i pastorelli di Ziano salgono fin quassù a scrivere le iniziali dei loro nomi e l’invocazione dell’Ave Maria: è un modo per essere sicuri che l’anno successivo sarà ricco d’erba buona per le capre e le pecore... – Ho capito – lo interruppe Gellindo, – e secondo te questo groviglio di segni che vuol dire? Cialdo guardò l’enorme misterioso disegno e si strinse le spalle: – I vecchi tirano fuori antiche leggende e dicono che qua ci sia scritta la data di un violento terremoto che distruggerà l’intera valle. Io però non ci credo: qua vedo solo pesciolini e serpentelli e tante, tantissime foglioline... Mentre il ragazzo stava ancora parlando, Franco Bollo aveva allungato una mano per accarezzare pian piano uno di quei disegni. – Ehi, ma questo colore è fresco! – esclamò il portalettere, guardandosi un dito sporco di rosso. – Sembra che questo disegno sia stato fatto da poche ore! Lo scoiattolo, il bimbo e i due spauracchi si guardarono in giro, scrutando tra gli alberi del boschetto. Non videro nessuno. – Secondo me l’autore di questi disegni è ancora qua attorno – sussurrò Gellindo. – Facciamo finta di nulla e andiamocene fischiettando e parlando del più e del meno. Dopo la prima curva, però, ci fermiamo, va bene? – E adesso che si fa? – domandò Cialdo a voce bassa. – Adesso tu torni a casa, altrimenti papà Tonio si preoccupa – sussurrò Gellindo. – Noi tre, invece, ci nascondiamo dietro a quel sasso e vediamo quel che succede! Franco Bollo, Abbecedario e lo scoiattolo trascorsero tre lunghe ore nel più assoluto silenzio: giunsero il tramonto e poi la sera e infine calò una notte fonda. Sarà stato quasi mezzanotte, quando una luce gialla e fioca si fece strada nella notte tra gli alberi e i cespugli. Gellindo fu il primo a vederla e con una gomitata svegliò i due amici – Ssshhh! – disse in silenzio con un dito sulla bocca. – Sta arrivando qualcuno! Dal buio emerse la figura alta, sottile, trasparente e vestita di bianco d’una fata dei boschi. Aveva lunghi capelli color rosso ocra, trattenuti da una piccola coroncina che brillava alla luce della candela che la fatina teneva in mano. Giunta ai piedi della parete rocciosa tutta disegnata, la fata alzò la mano destra, si carezzò i lunghi capelli rossi e poi con le dita cominciò a disegnare sulla pietra liscia. Altri pesciolini, altri serpentelli, altre foglioline andarono a riempire i pochi spazi ancora vuoti, mentre la fatina cantava sottovoce una nenia dolce e struggente: Oh, vi prego miei Zuanèri, mantenete questo bosco: è un dono di Mandrolina, che del Polse è la fatina – Ciao, io mi chiamo Gellindo Ghiandedoro – sussurrò lo scoiattolo parlando sottovoce per non spaventare la fata canterina, mentre alle sue spalle maestro Abbecedario e Franco Bollo erano fermi immobili come due statue. La fata tacque, si girò lentamentre, vide lo scoiattolino appollaiato in cima a un grande sasso e scorse anche i due spaventapasseri nella penombra di quella notte di luna piena. – E io sono Mandrolina, la fata nata nelle acque del Rio Bianco e che abita in vetta al monte Polse. Che cosa state cercando? – Cerchiamo l’autore delle scritte su quella grande parete di roccia – rispose Gellindo, – perché solo lui... o lei... potrà dirci che cosa significano. Fata Mandrolina accarezzò i pesciolini, le foglie e i serpentelli che aveva appena dipinto: – Questo è l’alfabeto di noi fate: parole, pensieri e ricordi che grazie al bol de bessa resteranno per sempre su queste rocce, malgrado le piogge, i temporali e le nevicate... – E cosa hai scritto? – domandò Abbecedario riprendendo l’uso della parola, dopo quei brevi attimi di smarrimento. Mandrolina si girò a guardare il groviglio di segni alle sue spalle e riprese a parlare con voce vellutata come il muschio e limpida come l’oro: – Nel cuore di questa montagna sono racchiusi gli spiriti dei terremoti... – Allora Tonio il sacrestano aveva visto giusto! – esclamò Franco Bollo. – ...ma quelle potenze malvage e devastatrici rimarranno tranquille nel buio del monte, finché gli abitanti di Ziano avranno cura di non rovinare i boschi e i pascoli! – La fata tacque, prese un pezzo di stoffa, se lo attorcigliò al dito, lo intinse nel liquido rosso del barattolo ai suoi piedi e disegnò una stella a dieci punte contornata da venti minuscole fiammelle. – Ecco: stanotte ho terminato di scrivere e questo è il mio sigillo. Ditelo, a quelli di Ziano: a loro spetta un compito pesante ma indispensabile. Salvaguardare i fiori, proteggere gli animali, tener pulita l’acqua dei torrenti, usare il bosco per la propria sopravvivenza e per il benessere delle proprie famiglie... Avete capito? Dal buio venne fuori un ragazzo: era Cialdo, e dietro di lui camminavano suo padre Tonio, che aveva al fianco molti uomini e ancora donne e bambini: tutta la gente di Ziano era salita al boschetto delle scritte misteriose e dal buio della notte avevano ascoltato il solenne ammonimento di fata Mandrolina. – Papà – disse Cialdo a suo padre, ma rivolgendosi in realtà a tutta la comunità di Ziano, – pensi che possiamo prenderlo, questo impegno? Tonio rimase in silenzio alcuni istanti, poi si girò a guardare i suoi amici. Tutti, uno dopo l’altro, fecero cenno di sì col capo. – Siamo d’accordo, fata Mandrolina. Tu tieni ben chiusi nel monte gli spiriti dei terremoti e noi ci impegneremo a non rovinare l’ambiente nel quale siamo nati! Parola di “Zuanèri”! Mandrolina sorrise, Abbecedario e Franco Bollo si commossero, Tonio abbracciò Gellindo e tutti si strinsero in un grande cerchio, al centro del quale la fata cominciò a cantare: Oh, vi prego miei Zuanèri, mantenete questo bosco: è un dono di Mandrolina, che del Polse è la fatina Poi chinò il capo e piano piano, come quando il sole corre a nascondersi dietro al crinale dei monti a occidente, sparì nel buio. A quel punto le misteriose scritte rosso ocra della parete rocciosa sfavillarono e sembrarono incendiarsi nella notte. La gente di Ziano aveva fatto la cosa giusta, si disse Gellindo avviandosi lungo il sentiero che riportava a valle. Nota dell’Autore. In un antico libro di leggende trentine ho trovato queste tre righe: «A Ziano si dice che in certe fenditure aperte nelle rocce della montagna che sovrasta il paese sia nascosta la “scatola dei terremoti”, in cui è rinchiuso il tremendo potere di far scatenare le forze diaboliche della Terra».