torino magazine coverstory L di GUIDO BAROSIO e ALESSIA BELLI foto GIOVANNI GASTEL e LUCIANO ROMANO Danza e arte © Giovanni Gastel per il riscatto dell’Italia: parola di Roberto Bolle a bellezza ci salverà. Il concetto – molto più concreto che astratto – diventa emozione attraverso le parole di un simbolo nazionale riconosciuto in tutto il mondo. Piemontese di anagrafe e di famiglia, talento unico e ambasciatore dell’Unicef, Roberto Bolle va oltre il suo ruolo di star. Ci racconta del suo Piemonte e di una Torino che ama, di quell’indimenticabile serata olimpica del 2006, di come la cultura possa dare inizio a una svolta nella percezione del nostro paese e nella sua affermazione globale. Nato a Casale Monferrato, è cresciuto a Trino Vercellese: qui ha mosso i primi passi nell’universo della danza, quand’era ancora piccolissimo. Dopo esser entrato all’Accademia di Danza di Vercelli, all’età di undici anni partecipa all’audizione dell’Accademia del Teatro alla Scala di Milano. La grande svolta arriva nel 2004, quando diventa Étoile della più prestigiosa compagnia nazionale. Inizia così la sua vita di protagonista assoluto: un percorso di crescita e dedizione che lo porterà a danzare con le più prestigiose formazioni estere, come l’American Ballet Theatre – di cui è Principal Dancer dal 2009 – il Balletto dell’Opéra di Parigi, il Balletto del Bol’soj ˇ del Mariinskij-Kirov e il Royal Ballet. Si è inoltre esibito nei più importanti teatri del globo e in luoghi mai raggiunti prima dalla danza, come il sagrato del Duomo di Milano e piazza del Plebiscito a Napoli, o in cornici estremamente suggestive quali il Colosseo e le Terme di Caracalla a Roma, la Valle dei Templi ad Agrigento, il Giardino di Boboli a Firenze e piazza San Marco a Venezia, solo per citare alcuni esempi, portando ovunque in scena, dal 2008, il suo gala ‘Roberto Bolle and Friends’. Ha danzato a Buckingham Palace per il Golden Jubilee della Regina Elisabetta e, nel 2004, al cospetto di Papa Giovanni Paolo II sul sagrato di piazza San Pietro a Roma, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù. È lui che Peter Greenaway chiama per interpretare il simbolo dell’arte italiana nell’installazione ‘Italy of Cities’, per l’Expo di Shanghai nel 2010, ed è sempre a lui che Bob Wilson dedica uno dei suoi ‘Voom Portraits’, intitolato ‘Perchance to Dream’, installazione multimediale inaugurata a New York quattro anni fa. Roberto Bolle non è solo acclamato dal pubblico, ma la costanza e la formidabile capacità di comunicare attraverso la sua arte vengono riconosciuti anche dal mondo della cultura e delle istituzioni. Insignito del titolo di ‘Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana’, dal 1999 è Goodwill Ambassador per l'Unicef; inoltre collabora con il Fai (Fondo per l’Ambiente Italiano), ed è stato nominato Young Global Leader dal World Economic Forum di Davos. Grazie alla danza e al costante impegno nel sociale, Roberto Bolle non si è solamente affermato a livello internazionale come ballerino e artista, ma è diventato anche un simbolo tout court della cultura italiana nel mondo. «L’idea era portare la grande danza a contatto con la gente: creare nuove formule per dare la possibilità a un pubblico sempre più vasto di avvicinarsi al grande balletto, con proposte di respiro internazionale» © Luciano Romano Il 29 dicembre torna al Teatro Regio di Torino la più acclamata étoile italiana. Un appuntamento di prestigio che ci riconsegna un simbolo di grazia e successo, di stile e generosità. Roberto Bolle si racconta ai lettori di Torino Magazine: la carriera e la fatica delle prove, la gioia di esibirsi nella meraviglia di scenari unici, l’Italia che può rilanciarsi attraverso arte e cultura con progetti innovativi migliaia di persone rimasta a guardare lo spettacolo sotto la pioggia in piazza Duomo, a Milano, il calore del pubblico di piazza del Plebiscito a Napoli e molte altre serate magiche. La formula si fonda su un cast di altissimo livello internazionale, su un repertorio vario e raffinato, in grado di affascinare chi la danza la segue da tempo ma anche i neofiti del genere, e sulla voglia di creare abbinamenti inusuali, che tuttavia offrano una sorta di compendio di quanto di meglio si sta muovendo nel panorama della danza mondiale». Come seleziona i suoi ballerini? «I cast sono frutto del punto di vista privilegiato che consente la mia carriera internazionale. Visto che, da circa vent’anni, l’American Ballet di New York non viene in Italia, mi piace molto invitare alcune stelle dell’Abt come Julie Kent, appunto, e Simkin, per offrire al pubblico italiano uno spaccato autentico di una delle realtà in assoluto più importanti nella danza. Il principio è lo stesso, anche per i grandi talenti europei. Molto spesso i miei Friends sono anche dei cari amici, il che rende il tutto più divertente e l’armonia sul palco tangibile». Con il 'Roberto Bolle and Friends' ha danzato nei maggiori teatri italiani e internazionali, ma anche in luoghi 'non convenzionali' per il balletto... «Mi piace pensare che la forza attrattiva della danza non abbia confini o gabbie. L’entusiasmo del pubblico dimostra, da anni, che il balletto non può essere considerato un’arte di nicchia». Ci può raccontare qualche aneddoto, per lei indimenticabile, legato ai suoi tour? «Di aneddoti ce ne sono tantissimi, ma ciò che mi viene più facile ricordare sono lo stupore e la meraviglia dei miei 'Friends' quando siamo entrati in luoghi unici al mondo per bellezza, come il Colosseo a Roma o il Tempio della Concordia ad Agrigento. Per non parlare di quando ci siamo esibiti in piazza Duomo a Milano: ci sentivamo tutti degli artisti pop, anziché dei ballerini classici. Davvero una sensazione esaltante». E il suo incontro con Nureyev? «Ero molto giovane, avevo quindici anni. Mi vide ballare alla Scala e mi volle per il ruolo di Tadzio (in ‘Morte a Venezia’, ndr), ma la Scala non mi diede il permesso. Inizialmente mi disperai, temendo di aver perso la mia grande occasione. Ora so che fu meglio così: ero troppo acerbo, rischiavo di bruciarmi. Ho comunque avuto altre opportunità, che mi hanno portato dove sono adesso. Certo, l’incontro con Nureyev e il suo apprezzamento furono fondamentali, perché mi fecero capire che la strada che stavo percorrendo era quella giusta». Com'è la sua giornata tipo? «Ogni giorno inizio con un'ora e mezza di lezione seguita da quattro o cinque ore di prove. Poi ci sono gli altri impegni: servizi fotografici o interviste, le iniziative per l’Unicef, la direzione artistica dei miei gala. Giornate molto intense, che lasciano ben poco spazio alla vita privata». Energia, passione, grandi soddisfazioni, ma anche tanto sacrificio... «Il sacrificio e il dolore fanno parte della vita quotidiana del ballerino, sono il rovescio della medaglia del suo successo. Ma le soddisfazioni sono state sicuramente di più». Quali sono i ruoli a cui è rimasto più affezionato e quali quelli che vorrebbe interpretare in futuro? «Di certo sono molto legato al ruolo di Romeo, che da poco ho riportato in scena alla Scala. Ho debuttato nei panni dell’eroe shakespeariano a vent’anni, e ancora mi regala emozioni intense e sempre nuove. Oggi mi piace reinterpretare ruoli di tale intensità, potendo aggiungere maggiore maturità artistica e sensibilità umana». Lei è un punto di riferimento mondiale per la danza e la cultura. Lo è per gli appassionati, ma anche e soprattutto per tanti giovani che vedono un esempio da seguire. Questo cosa comporta? «È una grande responsabilità, ma anche motivo di orgoglio. So che quello che faccio è importante per molti, e questa è una ragione in più per cercare di dare sempre il massimo. Sono anche consapevole di essere un testimonial dell’Italia all’estero. Oggi il mondo non soltanto ci schernisce, ma ci stima ancora: per il nostro gusto, per l’arte, per la moda, per le nostre eccellenze che si fanno valere e apprezzare a livello globale. Bisogna ripartire da questo. Ritrovare serietà e orgoglio». È Étoile al Teatro alla Scala di Milano e Principal Dancer all'American Ballet Theatre di New York. Quali sono le principali differenze tra l’Italia e gli Stati Uniti? «Sono due realtà diversissime tra loro, come tipo di lavoro, come storia, come organizzazione. In America, per il balletto, ci sono due stagioni all’anno di due mesi l’una, con otto spettacoli la settimana. Ad animarle vengono chiamati i migliori ballerini del mondo. Il ritmo è for- Roberto Bolle e Hee Seo - ‘Romeo and Juliet’ © Luciano Romano «Oggi il mondo ci stima ancora: per il nostro gusto, per l’arte, per la moda, per le nostre eccellenze che si fanno valere e apprezzare a livello globale. Bisogna ripartire da questo. Ritrovare serietà e orgoglio». Quali ricordi ha della sua infanzia in Piemonte? «Ricordi bellissimi di un’infanzia normale, in una famiglia numerosa e molto unita. La passione per il balletto è arrivata quando avevo sei anni e chiesi per la prima volta a mia madre d’iscrivermi a una scuola di danza. Mi disse: per quest’anno continuiamo con la piscina, se poi l’anno prossimo sei ancora convinto ti porto a danza. L’anno dopo ero alla scuola di Trino, poi a Vercelli e, a undici anni, mi sono trasferito a Milano all’Accademia della Scala. I tempi trascorsi in seno alla famiglia, a Trino, mi mancavano moltissimo; ma l’amore che avevo ricevuto mi dava la forza per continuare su quella che sentivo essere la mia strada». Nel 2006 si è esibito a Torino per le Olimpiadi, come ricorda quella serata? «È stata un’esperienza fortissima: mi esibivo in mondovisione, in uno spazio immenso come quello di uno stadio, con un pavimento poco adatto al balletto e con un freddo che irrigidiva tutti i muscoli! Condizioni estreme, al limite delle capacità umane: per usare un eufemismo, posso dire che ero molto nervoso. Per fortuna tutto andò meravigliosamente bene. Quell’esibizione resta tuttora una delle emozioni più intense della mia carriera». Cosa prova quando torna a ballare in Piemonte? Presto sarà a Torino al Teatro Regio… «Non posso che esserne molto felice, e così i miei famigliari, che mi seguono ovunque vada. Sono convinto che, quando mi vedono ballare nella nostra terra, provino un’emozione davvero speciale». Quali sono i luoghi che preferisce in città? «Uno dei primi che mi viene in mente è piazzetta Carignano, con il ristorante Del Cambio, restaurato in maniera eccelsa da pochi mesi». Il 'Roberto Bolle and Friends', in scena a dicembre, cosa proporrà? «Sto studiando un programma raffinato e insieme accattivante per appassionati e neofiti della danza; un binomio che ha fatto, credo, il successo del mio gala in tutt’Italia e che, da qualche anno, mi ha garantito importanti riscontri anche a New York, Shanghai, Parigi… Il cast, come sempre, si fregia della presenza di alcuni dei maggiori talenti del panorama internazionale, come i Principal Dancer dell’American Ballet di New York, Julie Kent, mia partner abituale in America, Daniil Simkin e Cory Stearns. Insieme riproporremo alcuni pezzi tratti dal repertorio vastissimo e celeberrimo dell’Abt». Ci racconta come sono nati i suoi gala? «L’idea era portare la grande danza a contatto con la gente: creare nuove occasioni e nuove formule, per dare la possibilità a un pubblico sempre più vasto di avvicinarsi al grande balletto, con proposte di respiro internazionale. Un’operazione innanzitutto culturale, che ci ha dato importanti soddisfazioni perché è stata accolta ovunque con entusiasmo insperato. Mi vengono in mente alcuni appuntamenti indimenticabili: la folla di © Luciano Romano © Luciano Romano Roberto Bolle e Julie Kent - ‘Sinatra Suite’ torino magazine coverstory cover story torino magazine © Luciano Romano «La danza è di certo un veicolo emotivo molto potente. Emozionando, arrivando a smuovere i sentimenti, comporta necessariamente un cambiamento» sennato, ma la passione tanta. Non esistono sovvenzioni statali, ma una politica organica d’incentivazione dei contributi privati, con defiscalizzazioni e altre azioni a sostegno di quegli interventi. Io credo che, in un momento di così grave difficoltà per l’Italia, il modello americano potrebbe essere d’ispirazione per una riforma che mantenga la presenza dello Stato, ma convogli nell’arte e nella cultura nuova linfa proveniente dai privati». È stato anche scelto come Goodwill Ambassador per l'Unicef. Ci può raccontare qualcosa delle sue visite in Sudan e, successivamente, nella Repubblica Centrafricana? «Sono state esperienze fortissime, che mi hanno cambiato molto come uomo. Entrare in contatto diretto con realtà come quella sudanese, incontrare bambini soldato, capire quanto una vaccinazione possa cambiare la prospettiva di vita riassetta il tuo sistema di valori, pone tutto sotto una luce diversa. Si aiutano gli altri ma si aiuta anche se stessi». Roberto Bolle - ‘Passage’ © Luciano Romano La danza può davvero essere un veicolo di conoscenza, cultura e cambiamento? «La danza è di certo un veicolo emotivo molto potente. Emozionando, arrivando a smuovere i sentimenti, comporta necessariamente un cambiamento: un’evoluzione sicuramente positiva e più che mai necessaria in una società come quella contemporanea, che ormai tende a veicolare le emozioni soltanto attraverso lo schermo di un tablet o di un telefonino». In un momento storico così delicato, la cultura, l’arte, la danza possono anche contribuire a migliorare l'immagine del nostro paese? «Certo, e non solo l’immagine. Penso che una gestione più oculata e programmatica del nostro immenso patrimonio culturale e artistico potrebbe favorire in maniera decisiva il risollevamento dell’Italia». I © Luciano Romano