L’assistenza sanitaria all’estero: un’analisi economico-giuridica George France, Dirigente di ricerca dell’Istituto di Studi sulle Regioni, CNR, Roma Irene Silvestri 1. Introduzione (1) I cittadini italiani possono accedere in determinate circostanze all’assistenza sanitaria in strutture all’estero con costo finanziario totalmente o parzialmente a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Inoltre, le normative comunitarie permettono ai cittadini di uno Stato membro di accedere alle strutture sanitarie di un altro Stato membro. Queste normative tendono a salvaguardare la necessità di assistenza sanitaria di quei cittadini che temporaneamente esercitino attività lavorative o si trovino in vacanza in un altro paese dell’Unione Europea (assistenza denominata rispettivamente E106 ed E111 dal nome dei formulari standard da compilare per accedervi). In questo caso, l’obiettivo consiste nel promuovere la mobilità del lavoro e nel favorire il turismo all’interno dell’U.E. Una terza possibilità permette ai cittadini dell’Unione di viaggiare in altri Stati membri con l’esplicito scopo di accedere all’assistenza sanitaria. Le procedure per questa tipologia di assistenza, denominata E112, hanno come obiettivo la promozione del commercio intracomunitario per servizi specifici (in questo caso l’assistenza sanitaria), anche se si può ritenere che lo scopo ultimo sia più di natura sociale che commerciale. Se in origine si poteva certamente affermare che “la politica sociale si è sviluppata all’ombra delle politiche economiche” (Collins, 1994), probabilmente nella situazione attuale ciò non corrisponde più alla situazione reale. L’assistenza E112 assume particolare rilevanza nel caso dell’Italia, che conta il maggiore flusso di pazienti all’interno dell’Unione Europea per questa tipologia di assistenza sanitaria. Inoltre, il SSN, in determinate circostanze, consente ai pazienti di accedere alle strutture sanitarie di Stati non comunitari. Per semplicità, nel nostro studio l’assistenza ottenuta all’estero verrà considerata come assistenza E112. Il presente studio esamina alcune delle problematiche che si pongono per lo Stato italiano data la possibilità per i cittadini di recarsi all’estero per l’assistenza E112. Partiremo da una descrizione della portata e delle caratteristiche chiave del ricorso all’assistenza E112 da parte dei pazienti italiani, dopodichè ci chiederemo cosa spinga i pazienti a viaggiare all’estero per ragioni sanitarie. Passeremo quindi ad esaminare come si sono evolute le politiche relative all’assistenza E112 e in che misura siano diventate sempre più restrittive con il passare del tempo. Concluderemo quindi con un’analisi delle modalità secondo le quali il sistema giuridico di un paese come l’Italia, che ha fatto della libertà di scelta per il paziente quasi una religione, abbia reagito ai tentativi da parte del SSN di limitare l’accesso all’assistenza sanitaria in altri paesi. 2.2. Le dimensioni e le caratteristiche chiave dell’assistenza E112 2.1 Alcuni dati generali Nel 1996, sono state concesse poco più di 16.000 autorizzazioni per l’assistenza sanitaria all’estero, la maggior parte riguardanti Paesi membri dell’Unione Europea e Paesi con apposite convenzioni. Nel 1994 sono stati spesi circa 516 miliardi per l’assistenza E112. Il Ministero della sanità ha compiuto una analisi sulla base di 10.000 moduli di autorizzazioni delle 16.000 complessivamente concesse nel 1996 (Ministero della Sanità, 1997). Da tale studio si evidenzia che poco meno del 40% delle autorizzazioni riguardavano trapianti d’organo da cadavere e prestazioni collegate, 28% oncologia, ematologia e neuroriabilitazione, 5,5% cardiochirurgia, chirurgia vascolare e diagnostica connessa, 5,4 % ortopedia, 0,9% prestazioni in ambito oculistico e a seguito di ustioni e 9,2% prestazioni varie. La maggior parte delle autorizzazioni (87,6%) era per assistenza erogata all’interno dell’Unione Europea; 6,8% assistenza fornita in altri Paesi europei con cui l’Italia ha specifiche convenzioni e infine 5,6% assistenza ottenuta negli Stati Uniti, in Svizzera e in altri Paesi non convenzionati. Il 63,8% delle autorizzazioni riguardavano la Francia, 14,6% il Belgio, 4,4% la Germania, 2,9% il Regno Unito, 1,5% l’Austria e 6,5% il Principato di Monaco. 2.2 Uno studio approfondito di quattro regioni L’indagine è stata condotta attraverso l’elaborazione delle autorizzazioni al trasferimento per cure presso centri esteri di altissima specializzazione (modello E112) inviate dalle Aziende Usl delle varie regioni al Ministero della sanità. Per vari motivi i dati riferiti alle 10.000 autorizzazioni sopra menzionati non possono considerarsi un campione statisticamente significativo a livello nazionale. Un caso-studio è stato effettuato sui dati relativi a quattro regioni (Lombardia, Emilia Romagna, Sardegna e Umbria) per l’anno 1995, per le quali era disponibile il 100% dei modelli di autorizzazione. Tale studio permette una maggiore conoscenza di alcuni importanti aspetti del fenomeno dei flussi di ricovero all’estero dei pazienti italiani. Tuttavia, come si vedrà in seguito, i dati utilizzati, pur essendo stati parzialmente corretti, presentano ancora delle carenze attribuibili ad imprecisioni compiute all’atto della compilazione dei relativi modelli da parte dell Usl. 2.2.1 Un quadro generale delle quattro regioni È interessante in primo luogo considerare il fenomeno nelle quattro regioni cominciando da alcune informazioni di carattere generale. Dalla tabella 1 si può notare che, in base ai valori assoluti, la Lombardia e l’Emilia Romagna sono le regioni con il maggior numero di autorizzazioni richieste e concesse. Riportando, invece, il dato alla popolazione residente, risultano quelle in cui il fenomeno è presente con il minor peso. Se si esaminano le singole Usl che hanno trasmesso i dati, si può osservare che è presente una elevata variabilità nella distribuzione delle autorizzazioni richieste sia in termini assoluti che riportando il dato alla popolazione. Nel caso della Lombardia tenendo in considerazione che in 136 casi (14% circa) il dato concernente la Usl di provenienza è mancante, per quanto riguarda il numero assoluto delle autorizzazioni richieste per singola Usl si oscilla da un minimo di 2 ad un massimo di 259. Riportando invece il dato alla popolazione, si va da un minimo di 1,4 ad un massimo di 25 per 100.000 abitanti. Anche la distribuzione della percentuale di autorizzazioni negate presenta una certa variabilità: mentre in una Usl sono state negate tutte le autorizzazioni richieste (8 casi), sono presenti anche situazioni in cui tutte le autorizzazioni sono state concesse. Per quanto riguarda gli ospedali di destinazione, si nota che in una Usl più del 70% delle autorizzazioni concesse era per il S. Luc di Bruxelles. Nel caso dell’Emilia Romagna, si nota una variabilità elevata nella distribuzione delle autorizzazioni richieste per Usl in termini assoluti (minimo=8, massimo=131) e, escludendo situazioni in cui i casi poco numerosi e quindi poco significativi, una distribuzione della percentuale di autorizzazioni negate poco variabile. Due delle tredici Usl concentrano il 38% delle autorizzazioni richieste (23% e 15% rispettivamente); e inoltre è interessante notare che una delle due è pressochè l’unica a concedere le autorizzazioni per l’ospedale S. Charles di Lyon. Il fornitoreproduttore (nel caso specifico una equipe medica del S. Charles) si sposta presso il consumatore per promuovere la propria attività e procurarsi pazienti (si tratta di protesizzazione al ginocchio). Nel caso della Sardegna, si nota un’alta variabilità della distribuzione delle autorizzazioni richieste e della percentuale di autorizzazioni negate sia considerando i dati assoluti che riportandoli alla popolazione. Delle otto Usl, una riceve più del 50% delle richieste di autorizzazioni, circostanza non legata alla densità di popolazione. Per questa Usl, gli ospedali di destinazione che pesano maggiormente (come per l’intera regione) sono il Brousse e il Roussy, ambedue di Parigi. Per quanto riguarda le autorizzazioni negate, si nota una Usl che non concede quasi il 45% delle autorizzazioni che le vengono richieste. Infine, nel caso dell’Umbria è presente una certa variabilità nella distribuzione delle autorizzazioni richieste tra le Usl; ciò si attenua, soprattutto escludendo una Usl (alla quale vengono richieste soltanto due autorizzazioni), se si riportano i dati alla popolazione. La percentuale delle autorizzazioni negate è generalmente bassa (in 2 delle 5 Usl vengono concesse tutte), mentre in una sola Usl viene rifiutato il 23% delle autorizzazioni richieste. Nell’analisi seguente saranno prese in considerazione esclusivamente le autorizzazioni concesse. Tabella 1 - Autorizzazioni-dati complessivi Lombardia Autorizzazi oni richieste Autorizzazi oni concesse Autorizzazi oni negate % Popolazione residente (al 31/12/93) 990 776 22% 8.417.000 Autorizzazi oni richieste ogni 100.000 ab. 11,8 Autorizzazi oni concesse ogni 100.000 ab. 9,2 Emilia Romagna Sardegna Umbria 581 468 19% 3.924.348 14,9 11,9 430 150 340 137 21% 9% 1.657.375 819.172 25,9 18,3 20,5 16,7 Tabella 2 - Autorizzazioni concesse per sesso e classi di età SESSO F N. LOMBARDIA EMILIA ROMAGNA SARDEGNA UMBRIA LOMBARDIA EMILIA ROMAGNA SARDEGNA UMBRIA 30 23 29 10 N. 191 168 65 44 N. LOMBARDIA EMILIA ROMAGNA SARDEGNA UMBRIA 47 53 4 5 N. LOMBARDIA EMILIA ROMAGNA SARDEGNA UMBRIA LOMBARDIA EMILIA ROMAGNA SARDEGNA UMBRIA 3 2 TOTALE M Non specificato classe di età da 0 a 13 anni % N. % N. % 4% 60 8% 17 2% 5% 31 7% - N. 107 54 % 14% 12% - 36 16 11% 12% % 10% - N. 534 300 % 69% 64% - 160 106 47% 77% % 3% - N. 121 109 % 16% 23% - - 30 15 9% 11% 3 - % 0% - 14 5 % 1% 1% - - 114 - 33% - N. 122 - % 16% - N. 776 468 % 100% 100% - - 340 137 100% 100% 8% 7 2% 8% 6 4% classe di età da 14 a 59 anni % N. % N. 25% 264 34% 79 36% 132 28% 19% 95 28% 32% 62 45% classe di età da 60 anni in poi % N. % N. 6% 51 7% 23 11% 56 12% 1% 4% 26 8% 10 7% età non specificata % N. % 0% 8 1% 0% 3 1% 53 - 16% - N. 271 246 % 35% 53% 151 59 44% 44% 61 18% totale N. % 383 49% 222 47% 189 78 56% 56% N. N. 2.2.2 Autorizzazioni concesse per sesso e classi di età La distribuzione delle autorizzazioni concesse per sesso mette in evidenza per l’Emilia Romagna la significativa, anche se lieve, preminenza femminile; nelle altre tre regioni, infatti, sono i maschi ad avere un peso maggiore, dato riscontrabile anche per l’Italia complessivamente considerata (tab.2). È interessante inoltre sottolineare che in Lombardia l’informazione relativa al sesso è mancante nel 16% dei casi. La distribuzione per classi di età presenta in tutti e quattro i casi il suo massimo in corrispondenza della classe intermedia (dai 14 ai 59 anni). Tuttavia, suddividendo tale raggruppamento in 3 sottoclassi (dai 14 ai 30 anni, dai 31 ai 45 anni, dai 46 ai 59 anni), si notano dei comportamenti differenziati tra le regioni. Infatti, mentre in Lombardia e in Emilia Romagna il massimo della distribuzione si ha in corrispondenza della classe dai 46 ai 59 anni, in Sardegna si ha in corrispondenza di quella tra i 31 e i 45 e in Umbria sono presenti 2 massimi relativi sia tra i 15 e 30 anni sia tra i 46 e i 59 anni. Infine, si nota come la distribuzione per classi di età è differenziata tra i due sessi in tutte e quattro le regioni, fatto riscontrabile già dall’analisi delle 3 grandi classi, ma che si coglie maggiormente considerando la suddivisione in sottoclassi. Per concludere si sottolinea che in Sardegna il 33% dei dati relativi all’età è mancante. 2.2.3 Il fenomeno delle autorizzazioni ripetute Finora si è parlato di autorizzazioni e non di pazienti, ma in realtà è possibile che ad una stessa persona vengano concesse più autorizzazioni per curarsi all’estero. Si è quindi in presenza di un fenomeno di concessioni ripetute. In Lombardia (tab.3) le 776 autorizzazioni sono state concesse a 567 assistiti, dei quali 143 hanno ricevuto più di una autorizzazione; a loro sono state concesse in complesso 352 autorizzazioni di cui 209 oltre la prima; il numero di persone che si recano all’estero per curarsi è 6,7 ogni 100.000 abitanti. In Emilia Romagna le 468 autorizzazioni sono state concesse a 335 assistiti, dei quali 86 hanno ricevuto più di una autorizzazione; a loro sono state concesse in complesso 219 autorizzazioni di cui 133 oltre la prima; il numero di persone che si recano all’estero per curarsi è 8,5 ogni 100.000 abitanti. In Sardegna le 340 autorizzazioni sono state concesse a 208 assistiti, dei quali 79 hanno ricevuto più di una autorizzazione; a loro sono state concesse in complesso 201 autorizzazioni di cui 133 oltre la prima; il numero di persone che si recano all’estero per curarsi è 12,5 ogni 100.000 abitanti. In Umbria le 137 autorizzazioni sono state concesse a 93 assistiti, dei quali 25 hanno ricevuto più di una autorizzazione; a loro sono state concesse complessivamente 69 autorizzazioni di cui 44 oltre la prima; il numero 2 di persone che si recano all’estero per curarsi è 11,3 ogni 100.000 abitanti. Il fenomeno delle concessioni ripetute presenta nelle quattro regioni una scarsa differenziazione: il numero medio di autorizzazioni concesse ad ogni persona è 1,4 in Lombardia e in Emilia Romagna, 1,5 in Umbria e 1,6 in Sardegna; vi è quindi un peso leggermente inferiore tra le prime due regioni e le restanti due. Tabella 3 - Le autorizzazioni ripetute LOMBARDIA N. autorizzazioni concesse alla stessa persona Numero persone 1 2 3 4 5 6 7 9 12 Persona non identificata Totale complessivo 422 115 14 6 3 1 2 1 1 2 567 EMILIAROMAGNA N. autorizzazioni concesse alla stessa persona 1 2 3 4 5 7 9 Numero persone 249 63 12 6 2 2 1 Totale complessivo 335 SARDEGNA N. autorizzazioni concesse alla stessa persona Numero persone 1 2 3 4 5 6 8 10 Persona non identificata Totale complessivo 136 42 12 7 3 2 2 1 3 208 UMBRIA N. autorizzazioni concesse alla stessa persona Numero persone 1 2 3 4 12 Totale complessivo 68 17 5 2 1 93 2.2.4 Paesi di destinazione dei pazienti Una interessante considerazione riguarda i luoghi meta degli spostamenti dei pazienti delle quattro regioni considerate (tab.4). Occorre, a tale proposito, distinguere tra le autorizzazioni concesse per assistenza denominata “diretta” dal Ministero della sanità (paesi membri della Unione Europea e “convenzionati” ovvero quei paesi extracomunitari con i quali l’Italia ha stipulato accordi bilaterali fondati sulla reciprocità di trattamento riservato agli Stati contraenti) e quelle invece per assistenza “indiretta” (paesi non membri dell’ Unione Europea e non convenzionati). Scendendo in maggior dettaglio, si può osservare la distribuzione per i singoli paesi di destinazione (tab.5). Si nota che la Francia è sempre il paese di maggior richiamo, pur essendo presente una certa variabilità nelle percentuali delle quattro regioni. Il Belgio, la Germania e la Svizzera comprendono la maggior parte delle residue autorizzazioni; per quanto riguarda questi tre Paesi, si può notare come, mentre in Lombardia, Emilia Romagna e Sardegna il peso del Belgio è maggiore di quello della Germania, in Umbria c’è un ribaltamento della situazione. Tabella 4 - Autorizzazioni per assistenza diretta e indiretta LOMBARDIA Assistenza diretta: - Paesi U.E. - Paesi convenzionati Assistenza indiretta Non indicata TOTALE EMILIA ROMAGNA N° % 397 85% (381) (16) N° 677 (671) (5) % 87% 94 12% 70 5 776 1% 100% 1 468 SARDEGNA UMBRIA N° 300 (300) (0) % 86% N° 122 (121) (1) % 89% 15% 40 14% 15 11% 0% 100% 340 100% 137 100% Tabella 5 - Autorizzazioni per paese di destinazione* LOMBARDIA EMILIA ROMAGNA N° % 265 57% 66 14% 51 11% 16 4% 11 2% SARDEGNA UMBRIA N° % N° % N° % Francia 430 55% 229 67% 83 60% Belgio 100 13% 48 14% 11 8% Svizzera 72 9% 24 7% 7 5% Germania 68 9% 6 2% 20 15% Gran 55 7% 7 2% 3 2% Bretagna Stati Uniti 15 2% 14 3% 14 4% 7 5% Austria 12 2% 19 4% 6 2% 4 3% Israele 6 1% 2 1% 1 1% San Marino 3 0% 12 3% Paesi Bassi 3 0% 1 0% Slovenia 2 0% Spagna 2 0% 1 0% 3 1% Svezia 1 0% 2 0% 1 0% Danimarca 1 0% Cuba 1 0% Monte Carlo 4 1% 1 1% Giappone 3 1% Canada 2 0% * A seguito dell’approssimazione utilizzata, con 0% si indicheranno le percentuali tra lo 0,1 e lo 0,5 2.2.5 Ospedali di destinazione Aumentando il dettaglio dell’informazione, si riporta di seguito per ciascuna regione i principali ospedali di destinazione (tab.6). Come si può notare, è presente un comportamento differente della Lombardia e dell’Emilia Romagna rispetto a quello della Sardegna e dell’Umbria. Nelle prime due regioni, la distribuzione non risulta particolarmente concentrata, tanto che l’ospedale più frequentato è il Saint Luc di Bruxelles che assorbe intorno al 10% delle autorizzazioni. Nelle altre due regioni, invece, il grado di concentrazione è maggiore: meta principale è il Roussy di Parigi con un 25% circa delle autorizzazioni concesse. Questo fatto può essere legato al maggior numero dei centri di riferimento in Lombardia e in Emilia Romagna rispetto alla Sardegna e all’Umbria. Tali centri (di cui si parlerà più approfonditamente in seguito) possono indirizzare i pazienti nei vari ospedali esteri a seconda della patologia. Si può ipotizzare, quindi, che maggiore sarà il numero di centri, più diversificata saranno le indicazioni sull’ospedale a cui rivolgersi. È infine interessante notare il diverso peso degli ospedali non identificati nelle quattro regioni. Tabella 6 - Ospedali di destinazione LOMBARDIA OSPEDALE Saint Luc (Bruxelles) Bonjean (Lyon) N. 7 4 4 0 Hautepier 3 (Strasbourg) 8 Gonin 3 (Lausanne) 7 King’s College 2 (London) 1 Virchow 1 (Berlin) 8 % 10 % 5 % 5 % 5 % 3 % 2 % EMILIA ROMAGNA OSPEDALE N. % Saint Luc 4 9 (Bruxelles) 0 % Saint Charles 3 8 (Lyon) 7 % Roussy (Paris) 2 5 4 % Herriot (Lyon) 2 5 2 % Gonin 2 4 (Lausanne) 1 % Erasme 1 3 (Bruxelles) 6 % SARDEGNA OSPEDALE Roussy (Paris) N. 8 9 Brousse (Paris) 5 4 Erasme 2 (Bruxelles) 1 Saint Luc 1 (Bruxelles) 7 Herriot (Lyon) 1 2 Universitat 8 (Zurich) % 26 % 16 % 6 % 5 % 4 % 2 % UMBRIA OSPEDALE Roussy (Paris) Saint Roch (Nice) Hotel Dieu (Lyon) Saint Luc (Bruxelles) Universit (Heidelberg) Herriot (Lyon) N. 3 2 9 4 4 4 4 % 23 % 7 % 3 % 3 % 3 % 3 % Roussy (Paris) 1 7 Lannelongue 1 (Paris) 7 Brousse (Paris) 1 7 Herriot (Lyon) 1 6 La Timone 1 (Marseille) 6 Necker (Paris) 1 5 Royal Free 1 (London) 0 Helio Marin 9 (Hyres) Non 1 identificato: 0 3 - Paris (1 2) - Lyon - Strasbourg - Bruxelles - Lausanne - London - Altre città (1 0) (1 0) (6 ) (4 ) (4 ) (5 7) 2 % 2 % 2 % 2 % 2 % 2 % 1 % 1 % 13 % Univers. 1 (Innsbruck) 5 Bonjean (Lyon) 1 4 Di Stato 1 (S.Marino) 2 Broussais 1 (Paris) 1 Lariboisiere 1 (Paris) 1 Juge 1 (Marseille) 0 Brousse (Paris) 1 0 Saint Antoine 1 (Paris) 0 Saint Julien 9 (Nancy) 3 % 3 % 3 % 2 % 2 % 2 % 2 % 2 % 2 % Achievement (Philadelphia) Val d’Aurel (Montpellier) Gonin (Lausanne) La Timone (Marseille) Necker (Paris) 7 1 % La Timone(Marsei lle) Non identificato: - Lausanne - Lyon - Gent - Grenoble - Bruxelles - Cambridge Altri ospedali 3 2 8 43 - altre città % Altri ospedali 3 7 2 % (3 ) (3 ) (3 ) (3 ) (2 ) (2 ) (1 6) 1 6 7 8 2 % 2 % 2 % 2 % 1 % 1 % 1 % 1 % 1 % Gonin (Lausanne) Medical Center (NYC) Hotel Dieu (Nice) Curie (Paris) 4 Erasme (Bruxelles) Lariboisiere (Paris) St Bruno (Marseille) Cantonal (Geneve) Cochin (Paris) 3 Du Parc (Lyon) 3 1 % La Timone (Marseille) 2 1 % Non identificato: - Bruxelles 5 % Rumelsber (Nurnberg) Non identificato: - Lyon 2 1 % 1 % 8 7 7 5 Pitié Salpetriere 4 (Paris) Valens 4 (Valens) Bonjean (Lyon) 3 Barraquer (Barcellona) - Gent - Wien - Compiegne - altre città Altri ospedali 3 1 6 (4 ) (2 ) (2 ) (2 ) (6 ) 7 1 - Koln Altri ospedali 4 3 3 3 3 2 2 2 3 % 3 % 2 % 2 % 2 % 2 % 2 % 1 % 1 % (1 ) (1 ) 4 34 7 % 22 % 37 % 2.2.6 Le patologie Il Ministero della Sanità ha raggruppato le patologie per cui la cura all’estero può essere autorizzata in otto categorie (tab.7). Osservando la tabella 7, si nota l’interessante diversificazione tra le due regioni del nord Italia e le restanti due. Mentre in Lombardia e in Emilia Romagna è la categoria relativa ai trapianti di organi da cadavere ad avere il maggior peso, in Sardegna e Umbria è quella relativa all’oncologia che riveste il ruolo dominante. Per quanto riguarda i trapianti di organo da cadavere e terapie connesse, gli organi oggetto di intervento sono il fegato, il rene, il polmone, il cuore e con intervento contemporaneo quelli di rene/ pancreas e di cuore/polmone. Il trapianto di fegato è la voce principale in Lombardia (con il 53% delle autorizzazioni nella categoria) ed è la seconda in Sardegna. Rilevante è anche la proporzione (37%) di autorizzazioni in Emilia Romagna. È interessante notare a questo riguardo che in quest’ultima regione i trapianti di fegato sono resi necessari da carcinomi, mentre in Lombardia la patologia prevalente è la cirrosi. Nella regione Emilia Romagna il 43% delle autorizzazioni concesse per trapianto è relativa al rene, mentre l’11% riguarda trapianti rene/pancreas. In Sardegna invece, è quest’ultimo tipo di trapianto combinato la patologia più importante della categoria, assorbendo il 43% delle autorizzazioni; i trapianti di rene spiegano un ulteriore 10%. Infine, in Lombardia, il trapianto di rene assume una certa rilevanza (35% delle autorizzazioni). È interessante sottolineare che in questa regione circa la metà delle autorizzazioni per il trapianto di rene viene rilasciata per spedizione di campioni biologici (l’autorizzazione in questo caso non comporta lo spostamento del paziente). Il trapianto di polmone nelle quattro regioni ha scarsa importanza. L’oncologia ematologia e radioterapia rappresenta la categoria di maggior peso in Sardegna e in Umbria dove assorbe rispettivamente il 45% e il 40% delle autorizzazioni. In Emilia Romagna e Lombardia invece, il peso si riduce di circa la metà. All’interno della categoria, va sottolineato il peso che la diagnostica oncologica ha in Sardegna (49% delle autorizzazioni), molto più elevato rispetto alle altre regioni. Per la radioterapia e la chemioterapia si nota un comportamento simile tra la Lombardia e l’Emilia Romagna e tra la Sardegna e l’Umbria: nelle prime due regioni ha un peso maggiore la radioterapia mentre nelle altre due la chemioterapia. È infine interessante sottolineare che i pazienti lombardi ed emiliani si rivolgono principalmente al J. Gonin di Lausanne, mentre quelli sardi ed umbri al Roussy di Parigi. Nel caso della neurologia - neurochirurgia - neuroriabilitazione si nota il comportamento differente della Sardegna dove questa categoria racchiude soltanto il 6% delle autorizzazioni concesse, la metà di quelle registrate nelle altre tre regioni. All’interno della categoria sono le terapie neurochirurgiche e la neuroriabilitazione le voci di maggior peso. È presente una certa variabilità della percentuale di autorizzazioni concesse per la categoria ortopedia: 21% in Emilia Romagna, 11% in Lombardia, 7% in Umbria e soltanto 3% in Sardegna. Le patologie di maggior peso sono le protesizzazioni e la scoliosi. Le categoria cardiologia - chirurgia vascolare e prestazioni in ambito oculistico hanno una scarsa importanza in tutte le regioni. Per quanto riguarda la prima, si evidenzia tuttavia che l’Emilia Romagna assorbe una percentuale leggermente superiore di casi la maggior parte dei quali è relativa alla cardiochirurgia. Per ciò che attiene le prestazioni in ambito oculistico invece, va sottolineato che i pochi casi presenti sono riferiti principalmente alla patologia malformativa e tumorale dell’orbita. Le ultime due categorie sono casi particolari e codici errati o mancanti. La prima include tutte le autorizzazioni concesse per interventi di alta specialità non individuabili nell’elenco delle patologie/terapie indicate nei decreti ministeriali. È interessante notare il peso che esso ricopre in Lombardia: osservando per tale categoria la distribuzione per ospedale, si nota che non è presente una particolare concentrazione; probabilmente non è quindi una sola patologia ad essere inclusa in questa classe. Come si può notare dalla tabella 7, il peso dei casi di codici errati o mancanti è differenziato nelle quattro regioni, variando da un minimo dell’1% in Emilia Romagna ad un massimo del 18% in Sardegna, dove rappresenta la seconda categoria per numerosità di autorizzazioni. Per concludere, può essere interessante riportare per ciascuna delle quattro regioni le patologie più frequenti classificate per gli ospedali di maggiore rilievo (tab.8). Tabella 7 - Autorizzazioni per categorie di patologie LOMBARDIA Categoria trapianti di organi da cadavere oncologia ematologia radioterapia neurologia neurochirurgia neuroriabilitazione ortopedia cardiologia chirurgia vascolare prestazioni in ambito oculistico casi particolari codici errati o mancanti totale EMILIA ROMAGNA N° % 134 29% N° 231 % 30% 129 17% 96 95 12% 87 23 SARDEGNA N° 60 % 18% 21% 152 53 11% 11% 3% 96 32 18 2% 138 55 776 UMBRIA N° 14 % 10% 45% 55 40% 19 6% 21 15% 21% 7% 9 2 3% 1% 10 5 7% 4% 18 4% 6 2% 5 4% 18% 7% 34 5 7% 1% 28 64 8% 18% 16 11 12% 8% 100% 468 100% 340 100% 137 100% Tabella 8 - Ospedali di maggior rilievo e relative patologie più frequenti LOMBARDIA Ospedale Principale patologia Saint Luc trap. di rene e di fegato Bonjean ortopedia Hautepier Gonin King’s College Virchow EMILIA ROMAGNA Ospedale Principale patologia Saint Luc trap. di fegato e di rene Saint protesi al Charles ginocchio Roussy oncologia trap. di fegato e di rene oncologia Herriot trap. di fegato trap. di fegato Gonin trap. di rene oncologia SARDEGNA Ospeda Principale le patologia Roussy oncologia UMBRIA Ospedal Principale e patologia Roussy oncologia Brousse oncologia e Saint trap. di fegato Roch Erasme trap. di rene/pancreas Saint Luc Herriot trap. di fegato trap. di fegato e di rene trap. di rene/pancreas Erasme trap. di rene Bonjean ortopedia Lariboisier embolizza e zione 3. I perchè dell’assistenza sanitaria all’estero Cosa spinge un paziente ad usufruire dell’assistenza sanitaria all’estero? Vale la pena di esaminare questo fenomeno in termini di commercio internazionale nei servizi. Data la natura di intangibilità dei servizi, contrariamente alle merci, un problema potrebbe essere quello dell’asimmetria nell’informazione: rispetto agli utenti, la struttura che eroga il servizio dispone di maggiori informazioni sui servizi oggetto della transazione. La qualità della maggior parte delle merci commercializzate sul mercato può essere accertata prima dell’acquisto. Numerosi servizi sono al contrario “beni di esperienza” (experience goods), la cui qualità può essere valutata a consumo avvenuto. Altri servizi sono chiamati “fiduciari” (credence goods) perchè la loro qualità non può mai essere valutata in termini generali ed attendibili, nemmeno dopo il consumo. Per aggirare l’ostacolo dell’asimmetria informativa, il consumatore può fare affidamento sulla reputazione dei fornitori, i quali la evidenziano proprio al fine di segnalare la qualità dei servizi offerti. Gli utenti sviluppano con le strutture sanitarie un rapporto basato sulla fiducia. Diversamente dai beni tangibili, i servizi sono “non immagazzinabili”, dato che la loro produzione e il loro consumo tende a svolgersi nello stesso luogo e nel medesimo tempo. Il concetto di “non immagazzinabilità” può costituire la base di una classificazione delle transazioni nei servizi a livello internazionale composta di due categorie: i servizi che richiedono la prossimità fisica e quelli che non la richiedono. Nella matrice qui presentata (tab.9) vengono identificate quattro tipologie di transazioni internazionali nelle prestazioni sanitarie sulla base del lavoro di Sapir e Winter (1994, 274); 1) immobilità di pazienti ed erogatori di prestazioni sanitarie; 2) mobilità da pazienti ad erogatori; 3) mobilità da erogatori a pazienti; 4) le strutture sanitarie costituiscono filiali nel paese dei pazienti. Tabella 9 - Tipologia di transazioni internazionali in prestazioni sanitarie Erogatore non si sposta Erogatore si sposta Paziente non si sposta Paziente si sposta Tipo - 1 (esempio: la telemedicina) Tipo - 3 (esempio: medici specialisti fanno i “pendolari” fra il loro ospedale e quello nel Paese del paziente) Tipo - 2 (esempio: l’assistenza E112) Tipo - 4 (esempio: filiale di un ospedale straniero si apre nel Paese del paziente) La matrice ci fornisce un esempio delle quattro tipologie di transazione per il settore sanitario. La transazione di tipo 1 è attualmente rara, sebbene la situazione possa modificarsi sulla base degli sviluppi della telemedicina; ad esempio, per il futuro si prevede uno sviluppo della microchirurgia a distanza, mentre la diagnosi a distanza è già una realtà tecnologicamente fattibile. Con le transazioni di tipo 3, i professionisti del settore sanitario, scollegati dalla struttura sanitaria del loro paese, portano le proprie capacità in altri paesi, sfruttando temporaneamente strutture sanitarie locali. Le transazioni di tipo 4 si verificano quando investitori esteri creano strutture mediche in un paese, magari al fine di trarre vantaggio dalla reputazione di una struttura madre situata in un altro paese. Infine, le transazioni di tipo 2 sono meglio esemplificate dall’assistenza E112, in cui i pazienti scelgono di rivolgersi ad una struttura in un altro paese dell’Unione piuttosto che rivolgersi ad una struttura locale. L’assistenza di tipo 2 rappresenta la tipologia di transazione maggiormente diffusa nel campo dei servizi sanitari. Ciò riflette il fatto che, come altri servizi, l’assistenza sanitaria viene prodotta e consumata simultaneamente e in generale richiede un contatto diretto tra utente e fornitore. La necessità che il paziente si rechi fisicamente presso il punto di erogazione probabilmente spiega il volume limitato anche delle transazioni di tipo 2 nel campo dell’assistenza sanitaria. Sedicimila autorizzazioni a recarsi all’estero per il 1996 potrebbero sembrare molte, ma in realtà si tratta di una percentuale minima rispetto ai milioni di prestazioni ottenute dai pazienti ed erogate dal SSN in Italia nello stesso anno. 3.1 Il calcolo alla base delle transazioni di tipo 2 Se il costo della cura medica viene sostenuto direttamente dal paziente, la scelta da parte del paziente (e del medico) tra strutture in diverse sedi geografiche si baserà sulla qualità percepita (efficacia clinica, tempestività di erogazione di cure adeguate, modalità di erogazione della cura) e sul costo totale [somma dei costi diretti per l’acquisto delle prestazioni mediche e dei costi di transazione, ovvero costi non direttamente imputabili alla terapia medica (costi di viaggio e di alloggio, costi in termini di tempo e costi psicologici associati al viaggio e al trovarsi in un contesto straniero)]. Non sembra esservi ragione alcuna per ritenere aprioristicamente che, nel caso in cui la qualità e i costi siano in generale simili per strutture in località differenti, il paziente non preferisca la sede più vicina. Si può cioè ritenere che, a parità di qualità, i pazienti mostreranno un’avversione alla distanza, dato che probabilmente i costi di transazione e la distanza sono direttamente correlati. Eccezion fatta per le aree confinanti caratterizzate da omogeneità etnica e linguistica, si può ragionevolmente prevedere che i costi psicologici aumentino a dismisura nel caso di un viaggio all’estero. In altri termini, a parità di qualità medica, i pazienti tenderanno a preferire una struttura più distante rispetto ad una più prossima solamente qualora essi stessi (e il loro medico) ritengano di potervi ottenere un’assistenza sanitaria di qualità più elevata. Sempre con l’esclusione delle aree confinanti, le transazioni mediche a livello internazionale nel campo dell’assistenza sanitaria probabilmente comportano prestazioni che richiedono una partecipazione medica di livello relativamente elevato. I pazienti presentano differenze nella loro propensione a recarsi all’estero per l’assistenza sanitaria e, di conseguenza, nella loro propensione ad avviare transazioni mediche a livello internazionale. Ciò dipenderà dalla ricchezza e dal reddito familiare, dalla capacità di ottenere e di elaborare informazioni sulle possibilità disponibili, dall’importanza assegnata alle condizioni di salute e dalla disponibilità a sostenere i costi associati con il mantenimento o con il miglioramento di dette condizioni. L’età e le condizioni generali di salute dei pazienti (criterio rilevante per la capacità di viaggiare), oltre alla disponibilità di accompagnatori, costituiscono fattori ulteriori. Abbiamo fino ad ora supposto che le decisioni sulla scelta della struttura siano di esclusiva pertinenza del paziente e del medico. Ciò è una conseguenza diretta del presupposto che il costo totale dell’assistenza sanitaria sia a carico del paziente. In realtà, le spese mediche vengono sostenute in larga misura -quando non interamente- da un terzo pagante: nel caso dell’Italia, il SSN. Un servizio sanitario nazionale potrebbe essere incline ad imporre vincoli sulla scelta del paziente e, di conseguenza, sulla mobilità, al fine di garantire l’utilizzo efficiente della capacità (ad esempio, raggiungere l’equilibrio tra i servizi erogabili e le necessità di cura a seconda delle aree geografiche). In tal caso, la distanza coperta non potrà essere lasciata alla totale discrezione del paziente (e del medico), ma dipenderà (forse in misura determinante) dalle decisioni prese dalle autorità sanitarie sulla base dei criteri di pianificazione e di bilancio. Un servizio sanitario nazionale potrebbe scoraggiare il ricorso a strutture estere laddove queste siano più costose rispetto alle strutture nazionali (magari anche indipendentemente da una loro maggiore qualità) o se, per ragioni di razionamento o pianificazione sanitaria, non si intenda rendere disponibile la prestazione in questione ai pazienti del servizio sanitario nazionale. È tuttavia possibile immaginare situazioni in cui un servizio sanitario nazionale permetta o addirittura incoraggi le transazioni internazionali in determinate prestazioni sanitarie. Il servizio sceglie volontariamente di affidarsi a strutture estere per soddisfare in tutto o in parte le proprie necessità, magari soprattutto in zone di confine. Un buon esempio di questa situazione è rappresentato dal caso del Lussemburgo. In tale contesto, è ragionevole che i costi di viaggio e tutti gli altri costi collegati vengano rimborsati. Per riassumere quanto fino ad ora sostenuto, si ipotizza che i pazienti effettuino un calcolo nel quale i miglioramenti auspicati nella qualità della cura vengono contrapposti ai costi pecuniari e non pecuniari da sostenere per ottenerli. Data l’asimmetria informativa e al fine di ridurre i costi dell’informazione, i pazienti tenderanno a basarsi sulla reputazione delle strutture invece della qualità. Ciò equivale ad affermare che l’assistenza sanitaria è una merce “fiduciaria”. Tuttavia, la libertà con la quale i pazienti possono effettivamente applicare il calcolo dipenderà in misura determinante dalle modalità di finanziamento dell’assistenza sanitaria e dal tipo di pianificazione sanitaria esistente. 3.2 Il calcolo applicato al movimento interregionale dei pazienti Nel 1995 per l’insieme del SSN sono state registrate poco più di 590.000 transazioni di tipo 2 per l’assistenza ospedaliera con spostamenti tra regioni diverse, pari a circa il 6% di tutti i ricoveri ospedalieri in Italia per lo stesso anno. L’esame di questi flussi può rivelarsi utile per meglio comprendere le motivazioni che spingono i pazienti italiani a recarsi all’estero. Abbiamo asserito che le cure sanitarie siano una merce “fiduciaria”. Le informazioni disponibili sulle motivazioni che spingono alla mobilità interregionale in Italia sembrano chiaramente confermare questa ipotesi. La motivazione principale fornita dai pazienti meridionali per spiegare la decisione di spostarsi di distanze considerevoli sta nella insoddisfazione rispetto alla qualità delle cure ottenibili nella propria località di residenza o in regioni limitrofe. Ad esempio, nel caso della pediatria genitori si sono dichiarati insoddisfatti dei servizi sanitari locali, lamentando la mancanza di strutture ben attrezzate o specializzate, esprimendo insoddisfazione rispetto alle terapie già ricevute e sostenendo che era stato loro consigliato di rivolgersi a strutture di altre regioni (D’Andrea, 1992). Si tratta grosso modo delle stesse motivazioni fornite per i pazienti che scelgono di spostarsi per sottoporsi a cure oncologiche. Nel caso delle prestazioni pediatriche, i bambini che si sono spostati verso il nord del paese erano spesso bambini sani o affetti da problemi non gravi, che non necessitavano di cure in strutture complesse e che potevano essere facilmente trattati nella propria regione a livello ambulatoriale. Questa mobilità per patologie non gravi (Greco, Capozzi, 1989) dimostra chiaramente a qual punto sia cattiva la reputazione degli ospedali di quelle regioni. Tra le transazioni che implicavano uno spostamento, numerose erano “spontanee”; i bambini arrivavano privi di qualsivoglia documentazione, ovvero senza avere contattato il servizio sanitario della regione di residenza (D’Andrea, 1993), ciò che costituisce un commento ancora più duro sulla reputazione di quel servizio. I pazienti meridionali (oltre a medici e parenti) sembravano basarsi su un parametro di qualità della cura che andava oltre la pura definizione medica, considerando cioè le modalità in cui in generale il loro caso veniva gestito da parte del servizio sanitario [informazioni sulle possibilità di cura e sulle terapie seguite, rapporto tra medico e paziente (e tra medico e parenti), qualità del supporto infermieristico, rispetto generale dei diritti del paziente, ecc.]. Le ricerche indicano che i “diritti” del paziente sono meno rispettati nelle regioni meridionali che altrove (CERFE, 1992). Il fatto che i genitori meridionali preferiscano viaggiare anche per lunghe distanze per la cura dei propri figli affetti da problemi mentali è stato interpretato come una dimostrazione dell’insoddisfazione del modo in cui i servizi sanitari locali gestiscono questi casi, in cui la competenza medica può essere meno importante della capacità di trattare i pazienti e i genitori umanamente e con comprensione (D’Andrea, 1993). La cattiva reputazione (a giudizio dei pazienti) dei servizi sanitari locali può certamente essere in parte attribuita alla cattiva opinione dei servizi nel meridione dimostrata sia dai medici locali, sia dai medici delle regioni del nord e del centro che trattano pazienti meridionali (con i primi che incoraggiano i loro pazienti a spostarsi e con i secondi che dopo il trattamento non rinviano questi pazienti ai rispettivi servizi locali) (D’Andrea, 1993). Tuttavia, la “reputazione” non è sempre un buon surrogato per la qualità, senza contare che la cattiva reputazione dei servizi sanitari meridionali non è sempre del tutto giustificata. La capacità delle strutture delle regioni di residenza di formulare diagnosi accurate è stata sottolineata dal fatto che la seconda diagnosi effettuata da un ospedale di altra regione nella maggior parte dei casi confermava la diagnosi originale effettuata dall’ospedale della regione di residenza del paziente (D’Andrea, 1992). Inoltre, la capacità delle strutture delle regioni meridionali appariva adeguata alla richiesta espressa per numerosi servizi (D’Andrea, 1992; Cacciari et al., 1993). Al contrario, lo spostamento sud-nord per le cure oncologiche può considerarsi maggiormente giustificato, data la scarsità di strutture radioterapiche al sud, oltre al fatto che quelle esistenti sono peggio equipaggiate, meno organizzate e presentano liste d’attesa più lunghe (Vitale, Scarsi, 1992). In generale, i servizi sanitari nelle regioni meridionali hanno mostrato la tendenza ad essere peggio strutturati ed organizzati rispetto a quelli di altre parti del paese (cfr., ad esempio, France, Veronesi, 1993). Tuttavia, il volume dei flussi interregionali riflette non soltanto l’importanza che i genitori italiani attribuiscono alla “reputazione”, ma anche il fatto, che tratteremo di seguito, che il SSN li ha lasciati relativamente liberi nella loro ricerca di “reputazione”. 3.3 Il calcolo applicato alle transazioni internazionali Nella matrice, i sedicimila casi di assistenza con previa autorizzazione registrati nel 1996 debbono essere classificati come transazioni di tipo 2. Non si tratta di uno scambio del tutto unilaterale, dato che pazienti di altri paesi si sono rivolti a centri italiani di fama internazionale (a titolo di esempio citiamo l’Istituto Oftalmologico dell’Università di Parma, l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna e il Montecatone Rehabilitation Institute di Imola). Tuttavia, la “bilancia commerciale” italiana in questo settore è pesantemente deficitaria. Le altre tre tipologie di transazioni internazionali sono attualmente di importanza marginale per l’Italia. Transazioni di tipo 1 probabilmente si verificano soltanto sotto forma di consultazioni telefoniche tra specialisti italiani e stranieri per pazienti specifici; altro esempio è la spedizione, come precedentemente rilevato, di campioni biologici per il trapianto di rene ed altri organi. Le transazioni di tipo 3, in cui sono gli specialisti a spostarsi verso i propri pazienti, si verificano ad esempio nel caso sopra citato degli oncologi francesi che vengono in Italia per consultare i propri pazienti, i quali quindi si recano in Francia presso le strutture di quel paese per la cura. L’investimento diretto estero in beni capitali (transazioni di tipo 4), di entità ignota, si verifica nel settore dell’assistenza sanitaria privata, ad esempio per l’American Hospital di Roma. Gli studi su pazienti oncologici italiani che accedono all’Istituto Gustave Roussy e all’Ospedale Paul Brousse in Francia (Santi et al., 1991) hanno messo in luce che la scelta dei pazienti era stata influenzata negativamente dalla presunta scarsa qualità del servizio italiano, dai lunghi tempi di attesa, dal supporto infermieristico inadeguato, dai difficili rapporti con i medici e dai problemi per ottenere le informazioni sulle possibilità di assistenza nel proprio territorio e sull’assistenza ricevuta (diagnosi e terapia). I pazienti sono stati influenzati positivamente sia dalla reputazione clinica dei centri francesi e del relativo personale medico, sia dalle attenzioni per il paziente. Fattori simili sono stati rilevati in uno studio sui pazienti del Piemonte che si sono recati in Francia per usufruire di cure sanitarie (Beccarelli, Zanoni, 1993). Gli ospedali francesi hanno cercato di ridurre i problemi psicologici associati allo spostamento all’estero assumendo personale che parla italiano, fornendo brochure informative e moduli amministrativi in italiano ed offrendo alloggio per i pazienti e per gli accompagnatori a tariffe speciali. A tale proposito, gli istituti francesi hanno fatto di meglio dei centri oncologici del nord Italia, che in generale tendono ad offrire scarsa assistenza a pazienti e parenti nella soluzione di problemi non medici associati con l’effettuazione di una terapia lontano da casa. In generale, l’Italia presenta attrezzature radioterapiche inferiori in termini di megavolt rispetto ad altri grandi paesi europei, in particolare la Francia (Groot, 1988), con una posizione relativamente migliore delle regioni settentrionali e centrali rispetto a quelle meridionali (Pronzato et al., 1992). In Italia le liste di attesa possono essere lunghe e i tempi di trattamento disponibili per ciascun paziente sono assai limitati. Inoltre, come già accennato, i centri meridionali mostrano la tendenza ad offrire un’assistenza non del tutto soddisfacente a causa di problemi di attrezzature vecchie, insufficienza di personale e problemi organizzativi (Vitali, Scarsi, 1992). Tuttavia l’Italia è considerato un paese che può vantare oncologi altamente qualificati. Per una serie di ragioni, compresa la scarsità di organi e problemi organizzativi e di coordinamento, il numero di trapianti effettuati negli ospedali italiani è inferiore rispetto alla maggior parte degli altri paesi europei [ad esempio, i trapianti di fegato nel 1996 sono stati 7,4 per milione di abitanti, rispetto a 10,5 nel Regno Unito, 10,6 in Francia e 18,2 in Spagna (Newsletter Transplant, 1997)]. Il numero di pazienti in attesa di trapianto risulta quindi considerevole. Per il solo NITp, nel 1996 oltre 3300 pazienti erano in attesa di trapianto, di cui il 72% di rene, l’11% di fegato e il 10,4% di cuore. Negli ultimi anni si è registrata la tendenza ad un aumento nel numero di trapianti effettuati e nella lunghezza delle liste di attesa per i trapianti (NITp-Nord Italia Transplant, 1997). È difficile affermare se i pazienti avrebbero potuto ottenere in Italia un’assistenza comparabile a quella fornita all’estero, data la scarsità di informazioni contenute nella documentazione trasmessa alle regioni da strutture estere riguardo alle cure erogate e ai risultati clinici (Beccarelli, Zanoni, 1993). I pazienti viaggiano all’estero da regioni che presentano una dotazione relativamente buona dal punto di vista medico e tecnologico, ad esempio la Lombardia, il Piemonte e la Liguria, anche quando vivono nelle vicinanze o all’interno di grandi centri urbani sede di importanti ospedali. Tuttavia, i pazienti delle regioni settentrionali e centrali tendono a fare ricorso a strutture estere soprattutto per l’effettuazione di visite mediche dopo la terapia in Italia, mentre i pazienti meridionali tendono a spostarsi all’estero per la terapia subito dopo la diagnosi (Crocetti, 1993). Ciò potrebbe essere una risultante indiretta delle differenze di “reputazione” tra ospedali settentrionali e meridionali come percepita dai pazienti locali. Come nel caso della mobilità interregionale, la “reputazione” può non sempre costituire un parametro di qualità accurato. I pazienti italiani sembrano presentare aspettative sopravvalutate in termini di quanto sia lecito attendersi da strutture sanitarie estere, ostentando al contrario un pessimismo eccessivo sulle capacità terapeutiche delle strutture italiane. Uno studio ha rilevato che il 53% dei pazienti oncologici italiani intervistati considerava la terapia francese come unica ed eccezionale (Santi et al., 1991). Gli spostamenti da parte di pazienti oncologici terminali sono stati descritti come “i viaggi della speranza” (Crotti, 1992). Fare un viaggio all’estero potrebbe essere interpretato come la voglia di “fare qualcosa” per combattere attivamente la malattia (Crotti, 1993). L’atto del viaggio in questo caso non viene visto con connotati negativi, ma positivi. Nella misura in cui ciò risponda a verità, l’ipotesi utilizzata nella nostra analisi -che i pazienti presentino avversione alla distanza- viene messa in dubbio per talune categorie di soggetti. Il pesante ricorso all’assistenza sanitaria all’estero è un caso specifico dell’Italia. Nel 1993 in Italia sono state concesse quasi 19.000 autorizzazioni per cure all’estero, in Francia solo 279, nel Regno Unito 539, in Grecia 1239 ed in Lussemburgo 5873 (quest’ultimo persegue una politica d ricorso alle strutture ospedaliere estere piuttosto che fornire le cure nel Ducato). Le motivazioni per cui in Italia si ricorra così di frequente all’assistenza all’estero rappresentano una questione complessa, non potendo trattarsi semplicemente di differenze qualitative. Ad esempio, verso la fine degli anni ’80 il Regno Unito presentava una situazione solo marginalmente migliore dell’Italia in termini di apparecchiature megavolt per radioterapia (Groot, 1988, 13), sebbene quelle disponibili fossero probabilmente meglio utilizzate. Per quale ragione non si è avuta una migrazione di pazienti oncologici britannici verso la Francia al fine di ricevere un’assistenza più rapida e forse migliore? È possibile che i medici britannici, considerati più parsimoniosi degli omologhi di altri paesi nelle prescrizioni, fossero meno inclini a prescrivere cure oncologiche all’estero rispetto ai medici italiani e/o che fossero meno informati sulle possibilità di cura all’estero. I medici italiani sembrano svolgere un ruolo attivo nelle decisioni di scelta di una struttura estera. Uno studio ha rilevato che nel 18% dei casi il medico dei pazienti intervistati aveva specificato sia la struttura estera, sia il nome dello specialista estero da contattare (Santi et al., 1991). Un altro studio (Crotti, 1992) ha messo in luce come i medici costituiscano una delle principali fonti di informazione per i pazienti sulle possibilità di cura all’estero. Si è rilevato (Beccarelli, Zanoni, 1993) che il 62% dei medici generici riteneva che le condizioni del SSN giustificavano il ricorso alle cure all’estero. Le differenze di “reputazione” (come percepite da pazienti e medici) tra il sistema sanitario britannico e quelli di altri paesi erano insufficienti ad indurre i pazienti britannici alla mobilità? Uno studio svolto in più paesi nel 1990 sui livelli di soddisfazione dei cittadini nei confronti dei rispettivi sistemi sanitari ha mostrato come gli italiani e i britannici siano tra i meno soddisfatti (Blendon et al., 1990). Anche in studi successivi (Ferrera, 1993 e Mossialos, 1997) gli italiani stazionano in queste posizioni, mentre i britannici presentano livelli di soddisfazione più elevati. Gli italiani sembrano mostrare una propensione particolare a viaggiare per ottenere cure mediche, come evidenziato anche dal considerevole flusso di pazienti tra regioni. Si potrebbe ipotizzare che i pazienti britannici presentino una maggiore avversione alla distanza. Uno studio svolto a Sheffield ha evidenziato che il 74% dei pazienti era del tutto impreparato a viaggiare per ragioni di cura, oppure era disponibile a farlo per distanze non superiori ai 16 chilometri (Pike, 1992). Tuttavia, una ragione importante che spiega le grandi variabilità nel ricorso alle cure all’estero tra l’Italia ed altri paesi sembra risiedere nelle modalità di regolamentazione delle prestazioni che necessitano di previa autorizzazione. Come esamineremo nella sezione successiva, in questo campo l’Italia ha seguito una politica relativamente liberale. 4. Politiche di regolamentazione dell’accesso alle cure all’estero Per un servizio sanitario nazionale “aperto” come il SSN italiano, i problemi possono essere molteplici. Innanzitutto, il controllo di spesa risulta più complesso. In secondo luogo, questa apertura può rendere più difficile la pianificazione e la possibilità di fissare le priorità relativamente alla tipologia e al volume di prestazioni da fornire. In terzo luogo, può creare problemi di equità. Più un servizio sanitario nazionale è aperto al resto del mondo, più ciò che è a disposizione del paziente viene determinato non tanto dalle decisioni degli estensori delle politiche, quanto dalla sommatoria delle decisioni prese nell’Unione Europea e nel resto del mondo. A questo proposito è importante osservare che le autorizzazioni per la cura all’estero costituiscono una percentuale irrisoria dei dieci milioni di ricoveri e degli svariati milioni di prestazioni ambulatoriali forniti direttamente o indirettamente dal SSN sul territorio nazionale; per il SSN il costo delle cure all’estero rappresenta una percentuale minima della spesa pubblica sanitaria totale. Tuttavia, i costi indiretti per il SSN possono rivelarsi notevoli. Innanzitutto, nel tentativo di contenere il ricorso all’assistenza all’estero, il SSN può sentirsi costretto a fornire prestazioni in quantità maggiori di quanto non avrebbe altrimenti scelto di fare. Un esempio di questa situazione è rappresentato dall’impianto cocleare, una terapia efficace ma costosa per la sordità profonda. Una ragione addotta dal Consiglio Superiore di Sanità per giustificare l’estensione della fornitura di questa prestazione stava proprio nel tentativo di evitare le richieste di autorizzazione di effettuazione dell’intervento all’estero (Gruppo di Lavoro sugli Impianti Cocleari in Italia, 1996). Un altro costo indiretto sta nel sottoutilizzo della capacità nazionale, ad esempio nel campo dei trapianti e dell’oncologia. Un ulteriore costo indiretto è rappresentato dal disincentivo che un facile accesso all’assistenza all’estero potrebbe comportare per le regioni relativamente al miglioramento o all’espansione delle strutture locali. Vi sono inoltre costi, pecuniari o meno, sostenuti dai pazienti e dai loro parenti in ragione del viaggio all’estero per ricevere l’assistenza sanitaria. Infine, c’è un problema di equità, dato che il SSN non copre tutti i costi associati alle cure all’estero. Ad esempio, solo circa il 50% dei pazienti nel 1996 ha ricevuto l’autorizzazione a giovarsi di accompagnatori (Ministero della Sanità, 1997), mentre i costi di viaggio e di alloggio sono coperti fino ad un massimo dell’80%, sebbene sia possibile concedere sussidi ulteriori. Tutto ciò va a scapito delle famiglie a più basso reddito. Laddove le cure sono finanziate in forma indiretta, si solleva anche un problema di equità, dato che le famiglie con scarsa liquidità potrebbero non essere in grado di anticipare le spese, peraltro assai elevate, in attesa del rimborso. Una ragione importante che ha spinto a concedere un gran numero di autorizzazioni alla cura all’estero stava nel fatto che i costi diretti venivano principalmente finanziati dal bilancio del Ministero della Sanità. La USL era responsabile del pagamento delle cure al di fuori della Unione Europea e dei costi di viaggio e di alloggio, ma probabilmente questo ha avuto una scarsa influenza sul loro comportamento, data la prodigalità che negli anni ’80 ha in generale caratterizzato l’atteggiamento nei confronti dei tetti di spesa. La generosità nella concessione delle procedure di autorizzazione, unita alla cattiva reputazione del SSN, ha comportato una situazione in cui nel 1987 l’Italia concedeva quasi 26000 autorizzazioni, mentre nello stesso anno la Francia ne concedeva solamente 303. Il 1989 ha visto un cambiamento significativo in queste politiche grazie al Decreto Ministeriale 3 novembre 1989 e al Decreto Ministeriale 24 gennaio 1990. Il primo provvedimento, secondo l’articolo 3 della legge 595 del 1995, ha fissato i “criteri per la fruizione di prestazioni assistenziali presso centri di altissima specializzazione che non sono ottenibili nel nostro Paese tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico”. In particolare, le regioni avrebbero proceduto all’istituzione di “centri di riferimento” (commissioni composte da medici di qualifica apicale) per branche specialistiche. Questi centri sono responsabili dell’esame delle richieste presentate dai pazienti per l’autorizzazione alle cure all’estero. I centri devono decidere se il paziente possa ottenere la cura necessaria entro un tempo “ragionevole” da una struttura nazionale. In caso contrario, sta al centro stabilire dove il paziente possa ottenere le cure in questione all’estero. Tramite questo meccanismo, la reputazione di una struttura continua ad essere utilizzata come criterio indiretto di qualità, ma la valutazione di “reputazione” da parte di un gruppo di medici specialisti dovrebbe presumibilmente rivelarsi meglio fondata di quanto non sia quella lasciata ai pazienti e al loro medico. Il secondo Decreto Ministeriale stabiliva un elenco di venti classi di patologie e di circa ottanta servizi diagnostici e terapeutici per i quali l’autorizzazione al ricorso a centri esteri riconosciuti come di altissimo livello può essere concessa qualora tali servizi non siano disponibili in Italia entro limiti temporali specificati (che vanno da 10 giorni a un anno). A partire dal 1990 l’elenco è oggetto di revisione periodica. La Circolare n° 33, emanata dal Ministero della Sanità nel 1989, sottolineava che la politica ufficiale consisteva nel razionalizzare l’accesso alle cure, e non nel limitarle “ingiustificatamente”. Questo impegno era accompagnato da una considerazione che vale la pena citare per intero: “Si è consapevoli infatti che, fino a quando non saranno riorganizzati i servizi ospedalieri nazionali e gli stessi non garantiranno per alcune specialità prestazioni tempestive e standard assistenziali comparabili con quelli degli altri paesi della Comunità, lo strumento eccezionale del trasferimento per cure all’estero non può essere soggetto, nei casi in cui è imposto da carenze obiettive del sistema ospedaliero nazionale, a limitazioni”. Va rilevato a tale proposito che, laddove venga concessa l’autorizzazione, i centri di riferimento devono fornire ai pazienti le informazioni sugli aspetti non medici delle cure all’estero. Inoltre il Ministero della Sanità, in collegamento con i consolati italiani nei paesi di destinazione, deve impegnarsi al fine di assistere i pazienti una volta arrivati sul posto. Va da sè che entrambe queste ultime iniziative, nella misura in cui vengano attuate, possono comportare un aumento della domanda di cure all’estero, dato che avrebbero l’effetto di ridurre i costi non pecuniari da sostenere. Sono inoltre stati introdotti alcuni cambiamenti nelle modalità di finanziamento dell’assistenza all’estero pre-autorizzata. La legge di riordino del SSN, decreto legislativo n° 517 del 1993, prevede (art. 18, comma 7) che a partire dal 1° gennaio 1995 il Ministero copra i costi dell’assistenza all’estero, ma che deduca le relative spese dai trasferimenti del Fondo Sanitario Nazionale stanziati per le singole regioni. Per una serie di motivazioni, alcune delle quali di natura tecnica, questa norma fino ad ora non è stata attuata. Tuttavia, i maggiori vincoli di bilancio esistenti a livello regionale potrebbero averle incoraggiate a ridurre i livelli di quella spesa per l’assistenza all’estero della quale sono responsabili. Le regioni hanno attuato le nuove procedure di autorizzazione con molta lentezza. Effettivamente negli anni immediatamente successivi al 1989 il numero di autorizzazioni ha continuato ad aumentare, toccando le 30.000 nel 1991. Da allora, esse si sono in pratica dimezzate e sembra debbano continuare a ridursi. Uno studio riguardante il Centro di riferimento per l’oncologia in Piemonte ha rilevato che nel 1992 il 40% dei pazienti che hanno richiesto l’autorizzazione a recarsi all’estero veniva inviato a strutture italiane o si vedeva opporre un rifiuto (Beccarelli, Zenoni, 1993). Date le condizioni finanziarie del SSN e delle singole regioni, è plausibile attendersi che vi sarà un ulteriore irrigidimento delle politiche relative alle cure all’estero. Ciò viene peraltro auspicato dal Consiglio Superiore di Sanità in un parere del maggio 1995: branche specialistiche con flussi sostenuti di pazienti verso l’estero devono essere rafforzate in termini di personale, attrezzature ed organizzazione; l’obiettivo deve essere quello di limitare le autorizzazioni ad un numero molto ristretto di servizi per i quali vi sia una carenza in termini di capacità professionali e/o di strutture che impedisca la soddisfazione delle necessità; qualunque riferimento ai tempi di attesa massimi trascorsi i quali i pazienti possono recarsi all’estero per le cure deve essere rimosso dai regolamenti che governano le autorizzazioni (Consiglio Superiore di Sanità, 1995). 5. Cure previa autorizzazione e questioni legali L’Italia non è certamente isolata nel suo tentativo di limitare l’accesso a specifiche prestazioni sanitarie. Al contrario, molti altri paesi si muovono lungo le stesse linee o stanno esaminando la possibilità di farlo. Per definire questo processo si utilizzano formule differenti, come ad esempio “fissare le priorità”, “razionare”, o “operare delle scelte”. È diffusa la preoccupazione per le conseguenze in termini di costo dell’impegno di fornire tutte le prestazioni resesi disponibili in conseguenza del rapido progresso tecnologico. Si tratta ovunque di una questione estremamente delicata dal punto di vista etico e politico nonchè, in taluni paesi come l’Italia e l’Olanda, dal punto di vista giuridico. In generale, vi sono tre correnti di pensiero: la prima afferma che è meglio “non svegliare il cane che dorme” e fingere che il problema non esista; la seconda sostiene che, date le considerevoli diseconomie ed inefficienze che affliggono tutti i sistemi sanitari, è possibile ritardare la resa dei conti liberando risorse tramite un miglioramento delle prestazioni; la terza asserisce che dobbiamo realisticamente accettare che i tentativi di fissare priorità, di razionare o di operare produrranno risultati solo molto lentamente, per cui il migliore suggerimento è affrontare il problema immediatamente. Almeno dalla fine degli anni ’70, si è intensificata l’attività nel campo della valutazione scientifica dell’efficacia clinica degli atti medici. È stata adottata la definizione “la medicina delle prove di efficacia”, un approccio che è oggetto di attenzione crescente anche in Italia a livello di governo centrale (si veda il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000), di alcune regioni, delle organizzazioni mediche e di singoli medici, ma che ha ancora molta strada da fare. “La medicina delle prove di efficacia” viene attivamente promossa, ad esempio, dal Centro Cochrane italiano insieme all’Associazione per la ricerca sull’efficacia dell’assistenza sanitaria (A.R.E.A.S.). Limitare l’accesso alle cure all’estero significa infrangere un vero e proprio tabù della politica sanitaria italiana, ovvero la libertà del paziente di scegliere dove curarsi. Ciò ha inevitabilmente portato l’intera questione dell’autorizzazione alle cure nell’arena giuridica [proprio come è accaduto in Olanda (Hermans, 1997)]. I pazienti hanno messo in dubbio il potere del SSN di limitare l’accesso alle cure all’estero sulla base del fatto che le cure per le quali viene richiesta l’autorizzazione possono essere ottenute in Italia o sono di efficacia non dimostrata. Alcuni casi giuridici riguardano il rifiuto da parte del SSN di autorizzare cure all’estero sulla base della disponibilità delle stesse in Italia. Un caso di questo genere ha riguardato il rifiuto da parte di una USL di rimborsare una terapia non autorizzata presso un centro cardiotoracico di Monaco. Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Toscana (Sentenza 508, 1992) sostenne che il paziente non aveva comprovato l’impossibilità di ottenere cure adeguate in Italia entro il tempo necessario. Una sentenza simile fu proclamata dal TAR del Piemonte (Sentenza 264, 1994). Va sottolineato come entrambi i TAR abbiano conferito particolare rilevanza al fatto che le decisioni erano state prese da comitati di medici specialisti (cioè, i centri di riferimento) e non dalla regione o dalla USL. Il TAR della Sicilia (Sentenza 1803, 1994) dichiarò che il SSN non era tenuto a finanziare terapie seguite all’estero non previste nel sopra citato elenco delle patologie autorizzabili redatto dal Ministero della Sanità. Tuttavia, su questo punto i tribunali non sembrano disposti a concedere poteri illimitati al centro di riferimento. Ad esempio, il TAR della Toscana (Sentenza 11, 1993) dichiarò illegittima una decisione di un centro di riferimento che aveva rovesciato la decisione di un medico della USL, il quale aveva dichiarato che il caso del suo paziente avesse i requisiti di urgenza sufficienti da giustificare il ricorso ad una struttura estera. In diverse sentenze i TAR hanno dichiarato l’illegittimità del rifiuto dell’autorizzazione di recarsi all’estero per le cure qualora il centro di riferimento non specifichi in che destinazione italiana il paziente possa ottenere la cura richiesta nei tempi necessari. Diversi casi hanno riguardato esplicitamente la questione dell’efficacia clinica. Ad esempio, il TAR della Toscana (Sentenza 376, 1994) ha sancito la legittimità del rifiuto di concedere l’autorizzazione ad una donna di recarsi presso un ospedale di Parigi per chemioterapia intensiva con trapianto di midollo osseo dopo intervento di mastectomia radicale, dato che l’efficacia clinica della terapia non era stata comprovata. La terapia standard in Italia e altrove, ivi compresa la Francia, era la radioterapia. Il TAR in questione rifiutò espressamente di entrare nel merito della valutazione clinico-scientifica che esso affermò essere di competenza della professione medica. Il TAR si limitò ad osservare che il SSN non può finanziare prestazioni la cui efficacia clinica non sia stata dimostrata. Al contrario, altri TAR hanno ritenuto di entrare in questioni di merito. A tale proposito, è interessante il caso di un paziente affetto da grave stenosi aortica con insufficienza su aorta bicuspide. Il paziente chiese l’autorizzazione ad un intervento di sostituzione valvolare secondo la tecnica “Ross” (che i medici del paziente avevano sostenuto essere più efficace dal punto di vista clinico rispetto alle metodiche standard). Questa terapia non era disponibile in Italia, mentre era possibile eseguirla a Monaco. Al paziente fu negata l’autorizzazione alla cura all’estero con la giustificazione che era possibile effettuare in Italia un impianto di valvola aortica entro i tempi necessari. Il TAR della Toscana (Sentenza 370, 1995) dichiarò l’illegittimità di questo rifiuto: il paziente aveva il diritto al trattamento giudicato come più efficace dal punto di vista clinico. In un altro caso, un TAR non volle nemmeno accettare a scatola chiusa le decisioni dei centri di riferimento che si dichiaravano essere prese sulla base delle prove di comprovata efficacia clinica. Una bambina affetta da danni cerebrali dalla nascita era stata sottoposta ad una serie di terapie presso diversi ospedali italiani senza riportare miglioramenti nelle sue condizioni. I genitori portarono quindi la bambina negli Stati Uniti al fine di sottoporla ad una terapia secondo il “metodo Doman”. Secondo i medici americani, nonchè secondo un medico della USL, il risultato fu un miglioramento delle sue condizioni. I genitori richiesero il rimborso delle spese passate e future per l’effettuazione del trattamento. La USL negò la richiesta con la giustificazione che la Regione Toscana aveva espressamente dichiarato l’inefficacia clinica del metodo Doman ed aveva ordinato alle proprie USL di non fornire questa terapia, nè di finanziarne l’erogazione da parte di altri fornitori. Il TAR della Toscana (Sentenza 368, 1994) riconobbe la legittimità della decisione di non rimborsare le spese pregresse, dato che non era stata richiesta l’autorizzazione di recarsi all’estero, ma dichiarò che ogni spesa futura avrebbe dovuto essere rimborsata, oppure, in alternativa, il SSN avrebbe dovuto rendere disponibile la terapia. Il TAR criticò il fatto che il giudizio di inefficacia clinica, derivato da una sola fonte (la Società italiana di neuropsichiatria infantile), fosse stato pronunciato sulla base delle prove cliniche disponibili nel 1990, ovvero diversi anni prima della decisione di rifiutare il rimborso. Inoltre, il Consiglio Sanitario Nazionale non aveva formalmente approvato il dato di inefficacia clinica. Il TAR affermò che era inaccettabile ignorare i progressi compiuti dalla paziente; in casi di questo genere le decisioni dovevano essere prese paziente per paziente. Infine il TAR di Trento (Sentenza 104, 1997) asserì che, nella misura in cui permettano l’autorizzazione a terapie non disponibili in Italia, le normative che governano l’autorizzazione per l’assistenza all’estero non escludono specificamente le terapie sperimentali (nel caso in questione la chemioterapia con trapianto di midollo osseo, che, a detta dei legali del paziente, aveva prodotto risultati apprezzabili). 6. Conclusioni L’analisi della giurisprudenza sull’assistenza E112 rivela che i tribunali sono tutt’altro che unanimi sulle modalità di interpretazione del diritto alla salute in termini delle sue conseguenze sul diritto all’assistenza sanitaria. Alcuni TAR concludono che la decisione se un paziente debba o meno accedere ad una specifica prestazione medica deve essere di esclusiva pertinenza delle autorità sanitarie. Il SSN ha l’obbligo di garantire solamente quelle prestazioni che consideri necessarie e di comprovata efficacia clinica. Al contrario, altri TAR non accettano nè il primato del criterio di efficacia clinica, nè l’autorità del SSN nel decidere in ultima istanza quali siano le cure da fornire. In questo caso, i TAR sembrerebbero sposare il concetto di efficacia clinica e di necessità ad personam. Parte del problema potrebbe essere dovuto al fatto che i tribunali, come è naturale attendersi, hanno una qualche difficoltà nel comprendere il significato del concetto di “comprovata efficacia clinica”, come chiaramente dimostrato dal caso Di Bella. Alcune delle riserve dei tribunali nel riconoscere la validità delle decisioni a livello centrale e regionale sull’efficacia dei singoli servizi possono anche essere dovute al fatto che gli stessi medici, e in una percentuale non trascurabile, hanno delle difficoltà a questo proposito. “La medicina delle prove di efficacia” deve compiere ancora una strada lunga e tortuosa, sia in Italia che altrove. Tuttavia, è probabile che su questo punto le autorità sanitarie nazionali e regionali avrebbero potuto fornire maggiore aiuto ai tribunali. Nei casi in cui appare evidente che le USL hanno ben informato i loro legali sui criteri tecnici alla base della loro decisione di rifiutare le autorizzazioni, i TAR sembrano essere stati inclini a prestare orecchio agli appelli ai criteri di efficacia clinica. Tuttavia, non tutti i TAR finiscono con il decidere in favore del SSN, ciò che in parte potrebbe riflettere il fatto che i legali sembrano presentare tesi sempre più sofisticate da un punto di vista tecnico nell’argomentare il caso del proprio paziente. Il compito di contenere il desiderio dei cittadini italiani di recarsi all’estero per riceverne assistenza medica potrebbe rivelarsi anche più complesso in futuro come risultato di due pronunce della Corte di Giustizia delle Comunità Europee (nn. C-120/95 e C-158/96) pubblicate il 28 aprile 1998. La Corte ha dichiarato che i pazienti non necessitano di previa autorizzazione del rispettivo servizio sanitario o della loro mutua o societa’ assicurativa per usufruire di cure mediche all’estero. Secondo la Corte, la richiesta di un’autorizzazione preventiva si scontra con le norme dell’Unione Europea miranti alla rimozione delle barriere al commercio tra Stati membri. Per uno dei servizi medici in questione (fornitura di occhiali, ovvero un servizio con spese relativamente limitate) la Corte ha affermato che il rifiuto di procedere al rimborso viola le normative comunitarie sulla libera circolazione delle merci. Nel secondo caso (assistenza dentaria, una cura potenzialmente molto più onerosa), la Corte ha determinato che il trattamento costituiva un servizio e che il rifiuto di procedere al rimborso costituiva una ingiusta barriera al diritto del dentista di fornire servizi. Tuttavia, la Corte ha aggiunto una condizione importante: i pazienti che si recano all’estero per sottoporsi a cure mediche possono essere rimborsati solamente a concorrenza delle tariffe per i servizi in questione vigenti nel proprio paese di residenza. Sembra che siano numerosi i governi preoccupati dalle possibili conseguenze finanziarie della sentenza della Corte (Watson, 1998). I governi di Regno Unito, Lussemburgo (il paese di residenza di entrambi i pazienti), Francia, Belgio, Germania, Spagna e Paesi Bassi hanno esposto il proprio caso contro il paziente con relazioni scritte o orali alla Corte. È a dir poco interessante rilevare l’assenza da questo elenco del governo italiano, benchè la posta in gioco sia di gran lunga più alta per l’Italia che per altri paesi. (1#) Questo studio è stato svolto nell’ambito dell’Azione concertata dell’Unione europea “Il finanziamento dell’assistenza sanitaria e il Mercato unico europeo” (SEM Project), contratto BMH1-CT92-0740, finanziato tramite il Programma BIOMED 1 della Direzione Generale XII. Una prima versione di questo articolo è stata pubblicata in “Panorama della sanità”. George France ha curato i paragrafi 1,3,4,5 e 6. Irene Silvestri ha curato il paragrafo 2. Si vuole ringraziare il Dipartimento delle professioni sanitarie (già Ufficio attuazione SSN) del Ministero della sanità per i dati gentilmente forniti. 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