ARCHEOLOGIA GemmaBechini Gli Etruschi a tavola il banchetto aristocratico attraverso lo studio della cultura materiale La luce calda delle fiaccole, il gioco di luci e ombre sulle pareti decorate e adorne di ghirlande fiorite, il suono dolce della musica in sottofondo, lo scoppiettio del fuoco, il profumo delle carni arrostite, le voci squillanti dei commensali, l’aroma inebriante del vino, i colori delle vesti leggere e svolazzanti delle danzatrici: ecco l’atmosfera perfetta che si svela ai nostri occhi dall’osservazione attenta degli affreschi tarquiniesi e delle splendide ceramiche dipinte recuperate da contesti funerari. Proprio come si procede in una ricetta che preveda una giusta dose di ingredienti sapientemente miscelati, anche in questo caso, ritengo che un briciolo di immedesimazione ed un pizzico di fantasia siano gli elementi principali per calarsi all’interno del vivace mondo etrusco riunito a banchetto, per poter rivivere le atmosfere di ricordi persi nel tempo. Nell’intento, quindi, di coinvolgere il lettore all’interno di uno scenario tanto straordinario, ricco di fascino e di cultura, si riporteranno alla mente i reperti della cultura materiale più celebri e più noti che hanno permesso agli studiosi di poter inquadrare i banchetti e i simposi in qualità di pratiche rituali e cerimoniali, raffinate ed anche estrose, non mancando di accendere la curiosità sulla dieta mediterranea e sui prodotti della splendida terra d’Etruria. Non vi siete mai chiesti che cosa mangiassero gli antichi? Non vi siete mai chiesti come preparavano i pasti? Quali fossero le ricette antiche? Quali gli ingredienti? E soprattutto, non vi siete mai chiesti quali tra le tante forme vascolari fossero realmente adibite al consumo di cibo e di vino in occasioni ufficiali? Il primo passo da compiere nella ricostruzione degli scenari conviviali e nello studio della paleonutrizione è sicuramente la lettura delle fonti scritte; a questo proposito, il mondo etrusco rappresenta un caso davvero particolare, in quanto le fonti di cui disponiamo sono molto tarde: come vedremo, scrittori di II e I sec. a.C., del calibro di Posidonio e Catullo, non si sono certamente sprecati in osservazioni che oserei definire “pungenti” meritatamente agli stili di vita etrusca ma soprattutto riguardo alle abitudini alimentari dei “tirreni” che, secondo Posidonio, sarebbero state addirittura causa della loro decadenza. Lo scrittore infatti, si sofferma sul fatto che gli Etruschi “sembravano” (e sottolineo “sembravano”) inclini a passare la vita a mangiare e a bere, non curandosi di altro ma dedicandosi esclusivamente alla “mollezza” e al lusso ostentato. Grottesco è il commento di Catullo che paragona l’etrusco obesus, grasso, con l’umbro parcus, magro e dunque morigerato ed equilibrato. Ma per quale motivo buona parte della letteratura antica si è schierata contro gli Etruschi? La risposta è molto semplice, basta infatti pensare al mos maiorum: un’esistenza improntata su rigore, conservatorismo, austerità di comportamento ed equilibrio tra doveri e piaceri. Non si farà quindi fatica a capire il vero motivo per cui scrittori conservatori abbiano assunto una posizione critica nei confronti di uno stile e di una filosofia di vita tanto diversa dal proprio. Se vogliamo poi essere ancora più precisi, già dal III sec. a.C. circolavano voci malevole sul conto degli Etruschi, tanto che lo stesso Teopompo viene definito dai suoi contemporanei “omnium maledicentissumus”; ecco che, sull’onda di tanta avversione, scrittori che vivono in prima persona l’espansione romana e che vedono la nascita delle prime province, non hanno potuto fare altro che andare incontro alle fonti precedenti, ma questa ostinazione nell’esaltare le virtù romane in contrapposizione agli stili etruschi, ha reso incapaci, volontariamente o no, di notare quanto il mondo etrusco fosse in realtà culturalmente legato alla Grecia. E quando, a questa presa di posizione, si aggiunge una forte volontà propagandistica nonché di esaltazione di valori che hanno portato al successo, al potere e alla gloria, ecco che anche la mente più illuminata avrebbe sofferto di cecità! 1 1 G. Camporeale 2004, pp. 177 ss. 73