Università di Pisa Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di Laurea Triennale in Fisica Anno Accademico 2007/2008 Elaborato Finale Accelerazione di particelle nei plasmi guidata da laser e possibili applicazioni biomediche Candidato: Francesco Michienzi Relatore: Prof. Danilo Giulietti Tutor: Dr. Antonio Giulietti Indice 1 Introduzione 2 2 Impiego di fasci di particelle in medicina 2.1 Radioterapia . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Adro-terapia . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Terapia a neutroni catturati da boro . . 2.4 Tomografia ad emissione di positroni . . 3 Acceleratori per uso medicale 3.1 Acceleratore Cockcroft-Walton 3.2 Acceleratore Van de Graaff . . 3.3 Acceleratore lineare (linac) . 3.4 Ciclotrone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . nucleare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 4 6 6 8 . . . . 11 11 11 13 14 4 Accelerazione indotta da impulsi laser nei plasmi 17 4.1 Accelerazione di elettroni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 4.2 Accelerazione di protoni e ioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 5 Prospettive di impiego in ambito medico 21 Bibliografia 24 1 1 Introduzione Nell’ambito della fisica delle particelle si utilizzano macchine acceleratrici per fornire energia cinetica a particelle cariche che, collidendo con bersagli opporuni, producono reazioni nucleari e subnucleari. Lo sviluppo tecnologico ha portato alla creazione di acceleratori in grado di fornire sempre maggiore energia, ma anche di dimensioni sempre maggiori. Il Large Hadron Collider (lhc) del cern è un anello lungo 27km in grado di accelerare due fasci di protoni fino a 14TeV nel sistema del centro di massa. Parallelamente è nata la possibilità di applicare queste tecniche a settori come la medicina per i quali sono spesso sufficienti minori energie cinetiche. Acceleratori di particelle sono spesso utilizzati in ambito medico per la cura di tumori e per attivare traccianti per diagnosi mediche accurate (pet). Nel capitolo 3 saranno sommariamente descritti i principali tra tali acceleratori, basati su tecniche “convenzionali”. Nel 1979 T. Tajima e J. Dawson per primi proposero il concetto di accelerazione nei plasmi guidata da laser [1]. Questa nuova tecnica consiste nel far incidere un impulso laser su un plasma per accelerare particelle (tipicamente elettroni e protoni). I vantaggi di questa tecnica sono la brevità del cammino di accelerazione (≈ 100µm) e di conseguenza anche la limitatezza della radiazione emessa dalle particelle accelerate. Tuttavia le energie più alte che si riescono ad ottenere attualmente sono del GeV per gli elettroni [2]. Queste tecniche basate sui laser non sono attualmente in grado di competere con quelle convenzionali di accelerazione nell’ambito della ricerca in fisica delle interazioni fondamentali. Si cercherà di valutare se tuttavia possano trovare sin da ora applicazione in ambito medico. Infatti, limitandoci agli elettroni, la medicina nucleare richiede energie fino a qualche decina di MeV con caratteristiche di fascio non estreme in termini di monocromaticità, divergenza e stabilità di puntamento. Questo lavoro di tesi consiste quindi nell’analizzare le prospettive di impiego in ambito medico dell’accelerazione guidata da laser nei plasmi. In particolare, dopo un’introduzione sulle principali tecniche utilizzate in medicina nucleare, saranno descritti i tipi di acceleratori attualmente utilizzati in questo campo. Di seguito una breve introduzione all’accelerazione nei plasmi 2 ed infine le possibilità di impiego di questa tecnica in ambito medico. 3 2 Impiego di fasci di particelle in medicina nucleare In medicina nucleare si utilizzano fasci di fotoni e particelle cariche per irraggiare la zona affetta da neoplasia. Lo scopo è di creare variazioni nella struttura del dna in modo da bloccare il processo di riproduzione incontrollata tipico delle neoplasie o indurre la morte della cellula che verrà quindi espulsa dai normali processi biologici. Una caratteristica fondamentale è che il processo deve preservare il più possibile le cellule sane. Le principali tecniche di terapia sono: • radioterapia con elettroni e fotoni e radioterapia intra-operatoria (iort); • adro-terapia; • terapia a neutroni catturati da boro (Boron Neutron Capture Therapy bnct). Fasci di particelle sono usati anche per diagnosi o per produrre traccianti radioattivi utili per diagnosi. Le principali tecniche diagnostiche sono: • radiografia; • tomografia ad emissione di positroni (Positron Emission Tomography, pet); 2.1 Radioterapia Nella radioterapia si utilizzano fotoni o elettroni di alta energia per irraggiare la zona del corpo affetta da neoplasia. La radioterapia è molto diffusa per la “semplicità” con cui si possono produrre e focalizzare fasci di elettroni, e fotoni con le caratteristiche adatte. Gli elettroni sono generalmente prodotti da un acceleratore lineare, mentre i fotoni si ottengono per bremsstrahlung degli elettroni stessi o dal decadimento radioattivo di isotopi come il 60 Co (cobalto-terapia). L’irraggiamento delle zone non malate è limitato superficialmente da maschere assorbenti ed in profondità irraggiando la zona malata, contemporaneamente o in diverse sedute da direzioni diverse. In questo modo la dose 4 Figura 1: dose rilasciata da elettroni con energie comprese fra 4.5MeV e 21MeV in funzione dello spessore di acqua attraversato e confrontata con la curva di assorbimento di fotoni [3]. depositata nella zona affetta è data dalla somma delle dosi dei singoli raggi nel punto, mentre nelle altre zone la dose è data solo dal raggio che la ha attraversata. La curva caratteristica di assorbimento di fotoni è I(x) = I0 e−x/λ (1) in cui I0 è il flusso entrante, I(x) è il flusso dopo uno spessore x e λ è la lunghezza tipica di assorbimento del tessuto (in generale prossima a quella dell’acqua) che varia con l’energia hν del fotone. Questa caratteristica permette ai fotoni di penetrare in profondità nei tessuti e quindi la radioterapia può essere usata per il trattamento di tumori interni. Lo svantaggio è che la maggior parte della dose è comunque rilasciata nei primi strati ed è presente una coda oltre la zona di interesse. Non è quindi possibile applicare la radioterapia se il tumore si trova in prossimità di organi vitali come il cuore. Le curve caratteristiche di assorbimento di elettroni di diversa energia sono mostrate in figura 1, e confrontate con quella di fotoni. Si nota che, a 5 differenza dei fotoni, gli elettroni rilasciano la maggior parte della dose nello strato superficiale, quindi gli elettroni sono usati per il trattamento di tumori superficiali. La radioterapia intraoperatoria consiste nel depositare la dose direttamente sul letto tumorale reso accessibile tramite operazione chirurgica. Questo permette di irraggiare direttamente la zona interessata minimizzando i tempi di esposizione ed evitando trattamenti successivi [4] [5]. Inoltre i tessuti sani possono essere protetti semplicemente spostandoli dal cammino del fascio o tramite placche di piombo inserite in buste sterili e poste dietro le zone da trattare. I fasci usati sono di elettroni con energie comprese fra 4MeV e 12MeV [6]. 2.2 Adro-terapia Nei processi di trattamento di neoplasie è fondamentale preservare il più possibile dalle radiazioni le cellule sane. La radioterapia convenzionale, che fa uso di fotoni ed elettroni, non soddisfa pienamente questa condizione perché una frazione rilevante di dose è depositata sia prima sia dopo la zona di interesse. I fasci di adroni monocromatici hanno la caratteristica di depositare la maggior parte della dose in un ristretto spessore denominato “picco di Bragg”. La figura 2 mostra la dose relativa rilasciata da protoni di 135MeV e ioni di carbonio di 254MeV e 300MeV, in funzione dello spessore di acqua attraversato e confrontata con la dose rilasciata da fotoni di 18MeV. Variando opportunamente le caratteristiche del fascio incidente (energia, tipo di particelle) è possibile trattare la zona alla profondità interessata preservando i tessuti anteriori e posteriori. L’utilizzo di fasci di protoni per il trattamento di neoplasie fu proposto da R. R. Wilson nel 1946 [7]. 2.3 Terapia a neutroni catturati da boro La Terapia a neutroni catturati da boro (Boron Neutron Capture Therapy, bnct) è basata sulla reazione 10 B(n, α)7 Li che può rilasciare una dose molto alta, dovuta all’emissione di particelle α, nelle cellule tumorali. 6 Figura 2: l’immagine rappresenta la dose rilasciate da protoni con energia di 135MeV e ioni di carbonio con energia di 254MeV e 300MeV, in funzione dello spessore di acqua attraversato e confrontata con la curva di assorbimento di fotoni [3]. La bnct è usata per il trattamento di tumori al cervello come il glioblastoma o il melanoma maligno che per la caratteristica di essere abbastanza estesi rendono difficile la possibilità di intervenire chirurgicamente o con terapie convenzionali. Il principio di funzionamento è il seguente. Si concentra il boro nelle zone in cui si vuol far avvenire la reazione e si irraggia con neutroni termici. È noto che il boro è circa 4000 volte più efficace nella cattura di neutroni termici rispetto agli altri elementi che si trovano nei tessuti biologici [8]. Esistono sostanzialmente due composti per concentrare il boro nei tessuti biologici: bsh (sulfidril borano) e bpa (p-borofenilalanina). Il bsh diffonde passivamente dal sangue al tumore dal momento che i tumori al cervello distruggono la barriera per il sangue. La barriera per il sangue (Blood Brain Barrier, bbb) limita gli scambi fra i neuroni e la circolazione sanguigna impedendo l’ingresso di sostanze che altererebbero il corretto funzionamento dei neuroni stessi. Le cellule sane hanno la barriera per il sangue ancora intatta e quindi in queste la concentrazione di boro risulta molto minore. Il bpa, invece, è preso 7 attivamente dalle cellule perché queste, duplicandosi rapidamente, necessitano di più sostanze per la riproduzione e per la crescita. In particolare il bpa è un derivato della fenilalanina, un amminoacido richiesto per la biosintesi della melanina. Spesso le due tecniche sono usate contemporaneamente per ottenere in totale una maggiore concentrazione [9]. Il fascio di neutroni deve avere delle precise caratteristiche [10]: • i neutroni devono essere termici o epitermici ovvero con energie di 0.025eV ÷ 1eV. In particolari casi sono ammesse impurezze nel fascio dovute a neutroni veloci (E > 1eV) e raggi gamma; • il flusso deve essere sufficientemente alto (109 n cm−2 ) per limitare il tempo di esposizione Tmax ≈ 30min.; • il fascio deve essere sufficientemente collimato per irraggiare solo la zona di interesse. Attualmente la produzione di fasci di neutroni per bnct avviene in reattori nucleari tramite il processo di fissione dell’uranio oppure per attivazione di materiali che decadono emettendo neutroni. Il progetto phones dell’infn si propone di costruire una sorgente di neutroni per bnct, partendo da acceleratori lineari che sono già presenti in molti ospedali. L’idea è di produrre fotoni energetici (E ≥ 8 ÷ 10MeV) per bremsstrahlung di elettroni. I neutroni sono quindi ottenuti per fotoproduzione, cioè per reazioni nucleari indotte dai fotoni su bersagli opportuni [3]. In particolare, quando un fotone di tale energia passa nelle vicinanze di un nucleo, interagisce con i protoni spostandoli dalla posizione di equilibrio. Si crea così un’oscillazione dei nucleoni e, quando il sistema torna a riposo, l’energia in eccesso è emessa sotto forma di fotoni o neutroni. Questo processo è noto come risonanza di dipolo gigante (Giant Dipole Resonance, gdr). 2.4 Tomografia ad emissione di positroni La tomografia ad emissione di positroni è una tecnica di diagnosi medica che richiede la produzione di isotopi che emettono positroni con una piccola vita media (tipicamente 2min ÷ 2h) [11]. Il paziente riceve un farmaco, 8 Figura 3: immagine di un cervello ottenuta con pet che mette in evidenza la zona tumorale. Si nota che la pet permette di ottenere immagini ben definite ed è quindi più efficace per la pianificazione di un intervento chirurgico e della la successiva terapia. contenente l’isotopo radioattivo, che si accumula maggiormente nelle zone del corpo affette da patologia. L’immagine è creata rivelando i due fotoni a 511keV prodotti dall’annichilazione del positrone emesso con un elettrone. In figura 3 è mostrato un esempio di immagine ottenuta con pet. Si nota che la pet permette di ottenere immagini ben definite ed è quindi più efficace per la pianificazione di un intervento chirurgico e per la successiva terapia. I principali isotopi utilizzati sono 11 C, 13 N, 15 O e 18 F. Nella tabella 1 sono riportate le caratteristiche degli isotopi indicando la reazione di formazione, il tempo di dimezzamento, il Q-valore e la sezione d’urto della reazione [12]. Data la loro breve vita media, tali isotopi vengono generalmente prodotti in ambito ospedaliero con l’impiego di acceleratori come il ciclotrone (sezione 3.4). 9 Reazione di formazione 11 B(p, n)11 C 14 N(p, α)11 C 16 O(p, α)13 N 15 N(p, n)15 O 18 O(p, n)18 F Tempo di dimezzamento 20.34min 20.34min 9.96min 123sec 109.7min Q-valore (MeV) 2.76 2.92 5.22 3.53 2.44 sezione d’urto (mb) 430 250 140 200 700 Tabella 1: reazione di formazione dei principali isotopi radioattivi utilizzati nella pet. Sono riportati il tempo di dimezzamento dell’isotopo, il Q-valore e la sezione d’urto della reazione [12]. 10 3 Acceleratori per uso medicale In medicina nucleare si utilizzano particelle, principalmente fotoni, elettroni e protoni, per terapia e diagnosi di tumori. Nel primo caso i fasci sono inviati direttamente sul paziente nella zona interessata; nel secondo caso sono utilizzati per attivare materiali. Il metodo più diretto per accelerare particelle è applicare un campo elettrico in prossimità di una sorgente di ioni. Questo è il metodo utilizzato in acceleratori tipo Cockcroft-Walton, Van de Graaf, Van de Graaf Tandem, linac. I primi fanno parte della categoria di acceleratori elettrostatici perché il potenziale acceleratore è mantenuto costante, mentre l’ultimo utilizza un potenziale variabile a radiofrequenza. Un metodo più conveniente è utilizzare acceleratori circolari in cui le particelle attraversano più volte la stessa differenza di potenziale. Acceleratori di questo tipo sono il ciclotrone, sincro-ciclotrone ed il sincrotrone. Esiste anche un altro tipo di acceleratore circolare usato solo per elettroni, il betatrone. Il limite di questi acceleratori è imposto dal massimo valore di campo elettrico applicabile che deve essere sotto la soglia di breakdown (Emax ' 104 V/cm). 3.1 Acceleratore Cockcroft-Walton Il sistema Cockcroft-Walton consiste nel creare una differenza di potenziale alta (≈ 800kV) con un sistema di diodi e condensatori come mostrato in figura 4(a). Quando il sistema è carico ai capi di ogni condensatore è presente una differenza di potenziale pari a V0 e quindi la differenza totale è VT = nV0 , in cui n è il numero di condensatori presenti nell’apparato. Con questo sistema si raggiungono energie per unità di carica di K = 800keV/q e correnti dell’ordine del mA [13]. 3.2 Acceleratore Van de Graaff In un acceleratore del tipo Van de Graaff il potenziale di accelerazione è generato dall’accumulo di carica su una sfera metallica. Le cariche sono generate con scariche elettriche che ionizzano l’aria e depositano gli ioni po11 (a) (b) Figura 4: schema per la generazione del potenziale di accelerazione con l’apparato di Cockcroft-Walton, figura (a) e Van de Graaff, figura (b). sitivi su una cinghia posta inizialmente a potenziale nullo. La cinghia, mossa da un motore, trasporta le cariche positive all’interno della sfera conduttrice. La figura 4(b) mostra lo schema dell’apparato. Il potenziale generato è quindi V = Q , in cui C è la capacità della sfera C e Q la carica depositata. Con un acceleratore di questo tipo si possono raggiungere energie per unità di carica nell’ordine di K = 10MeV/q e correnti del µA. L’energia può essere ulteriormente incrementata utilizzando il sistema tandem, in cui il potenziale di accelerazione è utilizzato due volte. Nella prima metà si accelerano ioni negativi come nel caso singolo. A metà percorso una targhetta (ad esempio di grafite) toglie alcuni elettroni fino ad invertire il segno della carica delle particelle incidenti, per cui il fascio oltrepassando la sfera sente un’ulteriore spinta. Questo procedimento è particolarmente vantaggioso per gli ioni pesanti perché possono perdere molti elettroni e quindi avere un’efficienza maggiore [13]. 12 3.3 Acceleratore lineare (linac) In un acceleratore lineare (linac) le particelle ricevono più accelerazioni tramite una tensione alternata lungo un cammino rettilineo. Il fascio attraversa una serie di elettrodi cilindrici detti drift-tube e ricevono la spinta nella zona di separazione fra due tubi consecutivi. L’interno dei tubi è una zona libera da campo, quindi le particelle procedono di moto rettilineo uniforme. È in questa zona che il potenziale alternato cambia segno in modo che le particelle sentano una ulteriore accelerazione al gap successivo. La lunghezza dei drift-tube è variabile e dipende dalla frequenza del potenziale di accelerazione e dalla velocità delle particelle. In generale la lunghezza dell’n-esimo tubo è data da vn (2) Ln = 2f in cui vn è la velocità nell’n-esimo tubo e f è la frequenza di oscillazione del potenziale. In approssimazione non relativistica l’energia cinetica di una particella con carica q all’n-esimo tubo è 1 2 mv = nqV0 2 n da cui si ottiene la lunghezza del tubo r 1 nqV0 Ln = f 2m 1 (3) (4) che come si nota deve aumentare come n 2 . Per particelle relativistiche, invece, la lunghezza è approssimativamente costante, dal momento che v ∼ c. Un aspetto importante che si deve considerare in un linac è la stabilità di fase. La stabilità di fase si ottiene quando il pacchetto di particelle arriva al gap in un instante in cui il potenziale sta aumentando. Una particella, all’interno del pacchetto, che arriva in anticipo sente un potenziale leggermente minore. Al contrario una particella che arriva in ritardo sente un potenziale maggiore. Questo meccanismo fa si che il pacchetto tenda a comprimersi lungo la direzione di propagazione. Si produce anche un lieve defocheggiamento dovuto agli effetti di bordo del campo elettrico che può essere corretto con dei quadrupoli magnetici [13]. La lunghezza tipica del tubo principale di un linac è di 0.5÷1.5m per uno ospedaliero, decine di metri se utilizzato come iniettore per acceleratori più 13 grandi e qualche chilometro se usato come acceleratore principale nell’ambito della fisica delle particelle. Un esempio di linac ospedaliero è il liac costruto dalla ditta italiana Info& Tech che lavora in un intervallo di energie di 4 ÷ 10MeV o 4 ÷ 12MeV a seconda del modello, frequenza di ripetizione di 5÷20Hz e correnti di 0.02µA misurata a 10Hz [14]. 3.4 Ciclotrone In un ciclotrone le particelle cariche percorrono orbite a spirale dal centro verso l’esterno. Un campo magnetico ortogonale al piano dell’orbita genera la forza centripeta che obbliga le particelle a seguire un orbita circolare. Un potenziale elettrico oscillante, applicato fra le due armature, genera la forza acceleratrice. Lo schema del ciclotrone è mostrato in figura 5 [15]. Nello spazio fra le due armature la particella sente un potenziale acceleratore, quindi dopo n cicli l’energia cinetica acquisita è K = 2nqV (5) All’interno dell’armatura la particella subisce la forza di Lorentz F = qvB = mv 2 r (6) da cui si ottiene la velocità massima delle particelle uscenti in approssimazione non relativistica qBR vmax = = ωc R (7) m essendo ωc = qB la frequenza di ciclotrone e R il raggio dell’orbita più esterna. m L’energia massima è 1 Kmax = mωc2 R2 (8) 2 Nel caso in cui una particella raggiunga energie relativistiche si deve correggere la frequenza del potenziale acceleratore tramite il fattore di Lorentz: ω= ωc γ (9) Si nota che per mantenere il sincronismo fra il passaggio dei pacchetti di particelle fra le armature e l’inversione di polarità, la frequenza del potenziale 14 acceleratore deve partire dal valore iniziale ωc e diminuire progressivamente. L’energia cinetica massima in questo caso è data da q (10) Kmax = M 2 c4 + (qBRc)2 − M c2 La correzione relativistica è fondamentale per l’accelerazione non solo degli elettroni, ma anche per gli ioni leggeri. Ad esempio un protone con energia 40MeV ha un fattore di Lorentz di γ = 1.04. Pur non essendo relativistico, un protone con queste caratteristiche necessita delle correzioni imposte dalla relatività per poter essere accelerato con un ciclotrone. Un ciclotrone che lavora ad energie relativistiche è chiamato sincro-ciclotrone. Il raggio tipico di un ciclotrone va da 12.5cm del primo ciclotrone costruito da Lawrence e Livingston nel 1932 [15], fino a 9m del ciclotrone Triumf situato a Vancouver, Canada. Le dimensioni di questo tipo di acceleratore sono ovviamente limitate dalla presenza dei magneti. Un esempio di ciclotrone utilizzato in ambito medico è quello dell’istituto di fisiologia clinica (ifc) presso la sezione di Pisa del cnr. Questo ciclotrone accelera ioni H− . Gli ioni prodotti incidono su un bersaglio di grafite che estrae i due elettroni per ottenere un fascio di protoni con energia nell’ordine del MeV. Il raggio di estrazione è 40cm. Il fascio di protoni è utilizzato per attivare materiali per la pet. 15 Figura 5: l’immagine rappresenta lo schema del ciclotrone progettato e costruito da Lawrence e Livingston nel 1932 [15]. Alle due placche metalliche semicircolari è applicato il potenziale variabile di accelerazione. La linea tratteggiata rappresenta la traiettoria di una particella carica all’interno del ciclotrone. 16 4 Accelerazione indotta da impulsi laser nei plasmi L’utilizzo di plasmi come mezzo per accelerare particelle ha come vantaggio la possibilità di ottenere campi di accelerazione molto intensi, oltre quattro ordini di grandezza superiori agli acceleratori a radiofrequenza (decine di MV/m) poiché non c’è il limite imposto dal breakdown. Tuttavia le massime lunghezze di accelerazione praticabili sono oggi dell’ordine del centimetro e non permettono di raggiungere le energie tipiche di un grande acceleratore a radiofrequenza. Inoltre i pacchetti di particelle uscenti sono meno monocromatici, meno collimati e meno stabili nei parametri fondamentali. Queste ultime caratteristiche, importanti in un acceleratore per lo studio delle interazioni fondamentali, non sono strettamente richieste in ambito medico. Ad esempio le principali applicazioni mediche non richiedono energie superiori a qualche decina di MeV né fasci molto collimati e monocromatici. Da queste considerazioni si deduce che l’accelerazione laser nei plasmi può trovare, in linea di principio, applicazione in ambito medico. 4.1 Accelerazione di elettroni Un plasma è un gas ionizzato composto da elettroni liberi e ioni, complessivamente neutro. Gli elettroni liberi possono oscillare con una frequenza caratteristica detta frequenza di plasma (eq. 11) e l’onda longitudinale associata è detta onda elettronica di plasma 1 4πne e2 2 ωp = (11) me Il campo elettrico associato ad un’onda di plasma si può dedurre dall’equazione di Poisson → − ∇ E = −4πe δn (12) considerando una perturbazione di densità [16] da cui si ricava δn = δne sin(kp z − ωp t) (13) 4πe δne → − cos(kp z − ωp t)ẑ E = kp (14) 17 in cui ne è la densità del plasma, e ed me sono la carica e la massa dell’elettrone [17]. Si deduce che il campo elettrico associato all’onda di plasma è longitudinale, quindi l’eventuale accelerazione di elettroni avverrà prevalentemente nella direzione di propagazione dell’onda elettronica che, a sua volta coincide con quella dell’impulso laser. Il meccanismo di base per accelerare elettroni consiste nell’iniettare un breve pacchetto di elettroni nell’onda di plasma nella direzione di propagazione, in modo tale che le particelle sentano il campo accelerante finché restano nel plasma e in fase con l’onda. Un altro aspetto importante riguarda il meccanismo di eccitazione dell’onda di plasma. Un laser con impulso con sufficiente intensità è in grado di eccitare l’onda di plasma attraverso la forza ponderomotrice. Si considerino i tre regimi per eccitare un’onda di plasma attraverso impulsi laser: • metodo dei battimenti laser (Laser Beat Wave Acceleration, lbwa) • metodo della scia laser (Laser Wakefield Acceleration, lwfa) • metodo della scia laser automodulata (Self Modulated Laser Wakefield Acceleration, smlwfa) Il metodo dei battimenti laser sfrutta due impulsi laser coerenti tra loro le cui frequenze ω1 e ω2 rispettano la condizione |ω1 − ω2 | = ωp + ∆ω (15) con ∆ω ≈ 10−2 ωp . Quando i due impulsi si propagano nel plasma eccitano un’onda (plasmone) con frequenza di battimento ωp [18]. Questa tecnica ha subito un progressivo abbandono dovuto alla difficoltà di controllo della densità del plasma da cui dipende la frequenza dell’onda [17]: essa deve essere estremamente uniforme e stabile. Il metodo di accelerazione per scia laser si basa sul principio per cui nella coda di un impulso laser che si propaga in un plasma si eccitano onde elettroniche di grande ampiezza, a condizione che la durata dell’impulso sia paragonabile al periodo dell’onda elettronica risonante alla densità del plasma (eq. 16). Gli elettroni possono essere iniettati dall’esterno o “catturati” tra gli elettroni liberi del plasma aventi la velocità e posizione giusta rispetto 18 alla fase dell’onda. Questo processo è tanto più efficiente quanto maggiore è l’oscillazione longitudinale degli elettroni attorno alla posizione di equilibrio. In particolare gli elettroni subiscono una spinta in avanti nella parte iniziale dell’impulso, corrispondente al fronte di salita; nella parte finale dell’impulso, sul fronte di discesa, la spinta è opposta. L’oscillazione sarà massima se il passaggio del fronte di discesa avviene quando l’elettrone si trova a passare dalla posizione di equilibrio, ovvero se è verificata la condizione LL = λp 2 (16) in cui LL è la lunghezza dell’impulso laser e λp è la lunghezza dell’onda di plasma. Con questa tecnica l’accelerazione è limitata, in condizioni lineari di propagazione (bassa densità), dalla lunghezza di Rayleigh, ovvero la lunghezza lungo la quale il laser resta focalizzato. Per aumentare il percorso di accelerazione è necessario quindi fare si che l’onda di plasma si propaghi in condizioni forzate o non lineari per lunghezze molto maggiori di quelle di Rayleigh [17]. Lo sviluppo della tecnica di amplificazione di impulsi laser nota come Chirped Pulse Amplification cpa ha permesso di ottenere impulsi ai picosecondi con potenza di qualche TW. Un impulso con queste caratteristiche non è in grado di eccitare un’onda per scia laser perché è troppo lungo e quindi non soddisfa l’equazione 16. Tuttavia l’elevata potenza è in grado di eccitare un’onda elettronica di plasma che si propaga relativisticamente attraverso un’instabilità dovuta a scattering Raman [19]. Questo metodo di accelerazione è noto come scia laser automodulata (Self Modulated Laser WakeField Acceleration, smlwfa) [19]. Fra le varie tecniche di accelerazione di elettroni in plasmi guidati da laser, il lwfa e smlwfa sono quelle che hanno ottenuto i maggiori risultati. Nel laboratorio per l’irraggiamento con laser intensi (Intense Laser Irradiation Laboratory, ilil) appartenente all’Istituto dei Processi Chimico Fisici (ipcf) del cnr di Pisa si svolgono attualmente esperimenti di accelerazione di elettroni inviando un impulso laser della durata di & 65fs e con potenza di ≈ 2TW su un gas di He o N con una pressione di decine di bar. Sono stati ottenuti pacchetti di elettroni con energia di qualche MeV. 19 Figura 6: schema per l’accelerazione di protoni e ioni tramite interazione laser con un bersaglio solido. Il laser focalizzato sul bersaglio accelera elettroni che attraversano lo spessore e, ionizzando gli atomi sulla faccia opposta, producono un campo elettrico intenso, sufficiente ad accelerare ioni e protoni fino a qualche decina di MeV [22]. 4.2 Accelerazione di protoni e ioni È possibile accelerare anche protoni e ioni focalizzando un impulso laser ai femtosecondi con intensità I > 1018 W/cm2 su un bersaglio solido [20]. In queste condizioni l’impulso laser genera un plasma denso nel quale gli elettroni sono accelerati verso il lato opposto del bersaglio e ionizzano gli atomi presenti su questo lato. Si crea quindi un’intenso campo elettrico (≈ 1012 V/m) la cui direzione dipende dalla distribuzione degli elettroni, ma che al centro del pacchetto risulta abbastanza omogeneo e ortogonale alla superfice del bersaglio. Questo campo è in grado di accelerare protoni e ioni su una distanza nell’ordine del µm fino ad energie di decine di MeV [21]. Questa tecnica di accelerazione è nota come Target Normal Sheath Acceleration (tnsa). 20 5 Prospettive di impiego in ambito medico Si è visto (sezione 2) quali sono le caratteristiche dei fasci di particelle attualmente usati nell’ambito del trattamento di neoplasie e per diagnosi. Tali fasci di particelle sono ottenuti con acceleratori che utilizzano campi elettrostatici o a radiofrequenza (sezione 3). Un metodo alternativo per accelerare pacchetti di elettroni e protoni consiste nel far interagire un impulso laser con un plasma (sezione 4). Si vuole quindi capire se questo nuovo metodo possa essere applicato sin da ora in ambito medico o quali caratteristiche necessitano di ulteriore sviluppo prima che ciò possa avvenire. Si consideri per iniziare la radioterapia intra-operatoria per la quale le caratteristiche dei fasci di particelle necessarie non sono particolarmente estreme. In tabella 2 sono riportate le principali caratteristiche dei fasci di elettroni utilizzati per radioterapia intra-operatoria e confrontate con quelle ottenute in un recente esperimento svolto presso il cea di Saclay (Francia) dal gruppo ilil del cnr di Pisa nell’ambito di una collaborazione europea. In questo esperimento è stato utilizzato un impulso laser della durata di 65fs con una potenza di 10TW e un’intensità di ≈ 9 · 1018 W/cm2 , focalizzato su un getto di elio supersonico. Si nota che i pacchetti di elettroni ottenuti con il processo di accelerazione in plasma risultano compatibili con quelli già in uso, in particolare per quanto riguarda la frequenza di ripetizione, la carica dei pacchetti e la corrente media. L’intervallo di energia degli elettroni è superiore a quello necessario, ma si può facilmente selezionare il valore opportuno applicando dei filtri. Lo spread energetico (≈ 5MeV) risulta accettabile, perché un fascio non monocromatico è richiesto per irraggiare a vari spessori ed ottenere un trattamento completo. Anche se gli acceleratori attualmente in uso lavorano a determinate energie, all’usicta del tubo acceleratore sono presenti dei filtri che allargano lo spettro degli elettroni uscenti. Un ulteriore allargamento è dovuto all’aria presente fra l’uscita del tubo ed il paziente. Per questi motivo anche la divergenza del pacchetto (. 30mrad) e la stabilità di puntamento (. 100mrad) possono essere considerati già accettabili. La corrente di picco risulta sei ordini di grandezza superiore a quelle attualmente in uso a causa 21 della estrema brevità dei pacchetti di elettroni uscenti. Attualmente non è ancora noto se tale caratteristica possa essere positiva, negativa o indifferente. Sono necessarie quindi ulteriori ricerche per capire gli effetti che tale corrente ha sui tessuti biologici. Un’ulteriore caratteristica da notare è la seguente. Attualmente si utilizzano acceleratori lineari per produrre gli elettroni con le caratteristiche necessarie al trattamento intra-operatorio. Tali macchinari hanno un tubo di accelerazione le cui dimensioni sono tipicamente 1m÷1.5m, a cui bisogna aggiungere una “protesi”, di lunghezza variabile, per indirizzare il fascio nella giusta direzione. Questa caratteristica limita l’angolo di inclinazione del braccio e quindi la possibilità di disporre il macchinario nella posizione migliore per l’irraggiamento. Nel meccanismo di accelerazione in plasma guidata da impulso laser la lunghezza di accelerazione è nell’ordine del mm quindi le dimensioni della parte finale dipendono solo alla lunghezza focale dello specchio parabolico fuori asse che focalizza l’impulso laser sul getto di gas e che può essere 10 ÷ 50cm. Infine si nota che, a differenza di un acceleratore convenzionale, l’unica zona che deve essere protetta dall’emissione di radiazioni è la parte finale a partire dal punto in cui avviene l’interazione fra il laser e il plasma. La parte principale, il laser, è invece libera da radiazioni. L’energia degli elettroni è sufficiente anche per produrre fotoni per radioterapia, per i quali è richesta un’energia nell’intervallo 1MeV ÷ 10MeV a seconda del trattamento specifico. A loro volta i fotoni così ottenuti si trovano nell’intervallo di energia della risonanza di dipolo gigante e possono, in linea di principio, essere utilizzati per la produzione di neutroni per bnct. In questi ultimi due casi si deve tenere conto della bassa efficienza di questi processi, ad esempio la bremsstrahlung ha uno spettro predominante a basse energie e quindi al di fuori dell’intervallo utile. Fasci di protoni sono stati ottenuti con il laser Vulcan situato al Rutherford Appleton Laboratory (ral). L’impulso di durata 750fs, energia compresa fra 220J e 300J e intensità ≈ 6 · 1020 W/cm2 è stato fatto incidere su sottili fogli di vari materiali (alluminio, oro e mylar). I protoni accelerati sono stati utilizzati per produrre gli isotopi radioattivi 11 C e 18 F con ottimi risultati, soprattutto per il 11 C, in termini di attività iniziale [23]. L’attività iniziale è un parametro di importanza fondamentale e deve essere almeno 22 Energia Carica pacchetto Rate Corrente media Corrente Durata pacchetto NOVAC7 (HITESYS SpA) 3 ÷ 9MeV 6nC LIAC (Info & Tech Srl) 4 ÷ 12MeV 1.8nC CEA Saclay 10 ÷ 45MeV 1.6nC 5Hz 30nA a 5Hz 1.5mA 4µs 5 ÷ 20Hz 18nA a 10Hz 1.5mA 1.2µs 10Hz 16nA a 10Hz > 1.6kA 1ps Tabella 2: confronto fra i parametri dei pacchetti di elettroni ottenuti con due acceleratori standard per ospedali (NOVAC7 e LIAC) e quelli ottenuti al cea di Saclay. 800MBq. Dopo l’attivazione, infatti, l’isotopo radioattivo deve prima essere separato da altri isotopi e successivamente legato ad opportune molecole prima di poter essere iniettato nel corpo umano. Al momento dell’iniezione l’attività richiesta è di 200MBq. 23 Bibliografia [1] T. Tajima and J. M. Dawson. Laser electron accelerator. Physical Review Letters, 43:267, July 1979. [2] W. P. Leemans et al. Gev electron beams from a centimetre-scale accelerator. 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