La pratica meditativa Vedanta di autosservazione in

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La pratica meditativa Vedanta di autosservazione
in psicoterapia Transpersonale: un approccio integrale
di Laura Boggio Gilot
Se la nostra scienza della salute mentale deve diventare più efficace, gli psicoterapeuti dovranno
bilanciare le loro conoscenze di concetti e tecniche psicologiche con la consapevolezza
contemplativa.
Medardo Boss
Nel corso del suo sviluppo storico, la psicologia transpersonale si è orientata secondo due
fondamentali modelli: il modello esperienziale, delineato da Stan Grof, centrato su pratiche di
espansione temporanea della coscienza, con finalità di trattamento psicoterapico, e il modello
integrale, delineato da Ken Wilber che, come lui stesso scrive 1, integra il nucleo centrale delle
verità esoteriche, in particolare della tradizione non-dualista, che riguardano la relazione tra
l’anima e lo Spirito considerato l’essenza indivisibile della realtà universale e individuale.
In questo contesto, la dimensione spirituale si riferisce al cuore della persona umana – il Sé
– e la sua realizzazione, oltre tutte le forme dell’egocentrismo e del pensiero dualistico,
rappresenta l’apice delle linee evolutive (cognitive, affettive, morali...), e la mèta della crescita
dell’identità e della coscienza 2.
Caratteristica della psicologia integrale è quella di accostare nella prospettiva evolutiva e
psicoterapica, le conoscenze della psicologia con quelle della tradizione sapienziale e meditativa,
riconoscendo la stretta relazione tra guarigione, esperienza spirituale e superamento delle
identificazioni egoiche ordinarie.
Per lo psicoterapeuta integrale l’accesso alla pratica meditativa è una condizione sine qua
non, non solo per il raggiungimento di uno stabile stadio di coscienza transpersonale, ma come
mezzo di ricerca e di scoperta del ruolo terapeutico della pratica spirituale e del suo possibile uso
in psicoterapia.
Centrale nella tradizione meditativa è l’assunto che lo stato ordinario di coscienza è
illusorio, limitato e distorto; esistono stati di coscienza più lucidi e complessi, associati a qualità
ottimali di salute mentale, il più alto dei quali raggiunge la coscienza non-dualistica, ovvero
1
2
K. Wilber, Prefazione al libro Il Tempo dell’Anima, curato da Laura Boggio Gilot, Edizioni Psiche, Torino 2001.
K. Wilber, Integral Psychology, Shambhala Publication Inc. Boston&London 2000.
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l’illuminazione sulla verità dello sfondo sacro della realtà e del proprio stesso Sé, a cui segue la
liberazione dalla sofferenza.
Nelle tradizioni meditative è sottolineato come il percorso dallo stato dell’io ordinario,
legato all’ignoranza e alla sofferenza, sino allo stato di Illuminazione ed alla liberazione dalla
sofferenza, è possibile attraverso l’esercizio di dottrine e pratiche meditative di consapevolezza e
trasformazione. Queste compongono delle vere e proprie discipline della coscienza che, non
diversamente dalla platonica metànoia, essenziano una spiritualità che trasforma e che si applica a
tutti gli aspetti della vita individuale (corpo, emozioni, pensieri, comportamenti). Alcune discipline
rappresentano degli interfaccia tra la psicoterapia e la spiritualità, e il loro ruolo nella soluzione
della sofferenza psicologica, appare ai ricercatori del campo di grande rilevanza3.
Nelle pagine che seguono, saranno delineati alcuni elementi della pratica meditativa
Vedanta 4di autosservazione che è praticata e insegnata nei corsi dell’Associazione Italiana di
Psicologia Transpersonale e, nelle sue forme più elementari, applicata nella psicoterapia integrale
proposta dalla scrivente.
•
Autosservazione e disidentificazione
La pratica meditativa vedanta di autosservazione parte da un’assunzione di base, comune
alle tradizioni meditative asiatiche, che la coscienza è distinta dalla mente: diversamente da come
si pensa nell’occidente scientifico, la coscienza non è un prodotto dell’attività mentale e non si
identifica con il pensiero, ma al contrario ne è la base e contesto.
Nello stato della consapevolezza ordinario, coscienza e mente sono fusi, ovvero esiste uno
stadio di identificazione che modella il processo percettivo.
Nella tradizione meditativa il concetto di identificazione è diverso da quello conosciuto in
psicologia. Nella psicologia l'identificazione è considerata come un processo inconscio, attraverso
cui ci si sente o si diventa un'altra persona o cosa: paradigmatica è l'identificazione del bambino
con il genitore, sottolineata dalla letteratura psicoanalitica, o l'identificazione con i modelli, le
assunzioni e le credenze culturali che creano il fenomeno del condizionamento sociale, sottolineato
dall’approccio cognitivo.
La tradizione meditativa asiatica, pur riconoscendo l'identificazione con gli oggetti esterni,
considera più importante quella con gli oggetti interni, in particolare con la mente e i suoi fattori
costitutivi.
3
L. Boggio Gilot, Il Sé Transpersonale, Edizioni Asram Vidya, Roma 1992.
3
Quando la coscienza si identifica con gli oggetti mentali, essa diviene limitata e colorata dai
suoi contenuti che le si sovrappongono come bende su una lampada: gli oggetti mentali oscurano e
modificano la coscienza, come le bende di stoffa oscurano e modificano la luce di una lampada.
Come sottolinea Vaughan 5, nello stato di identificazione tra coscienza e mente c’è fusione tra
contesto e contenuto della conoscenza: la coscienza, che è la facoltà del conoscere e il contesto di
ogni conoscenza, non si differenzia dalla mente, che è il contenuto della conoscenza. A causa di
questa fusione, il contenuto, che è l'oggetto della conoscenza, acquista il ruolo di contesto dalla cui
prospettiva è investigata e giudicata la realtà. Quando la coscienza si identifica con i contenuti
mentali, questi diventano filtri percettivi che distorcono e limitano la realtà fino ad un livello
inimmaginabile.
La tradizione meditativa afferma che la distinzione tra coscienza e contenuti mentali, ovvero
il processo di disidentificazione, è fondamentale per avere accesso a più espansi livelli di
consapevolezza sino all’Illuminazione 6.
Rompere l'identificazione che porta la coscienza nella prigionia del pensiero, è anche il
passaggio per una più profonda penetrazione dei processi mentali e per una revisione di
atteggiamenti e di azioni distruttive, che non sono riconoscibili nello stato di identificazione.
Nella tradizione Vedanta, il processo di disidentificazione della coscienza dai contenuti
mentali, è realizzato attraverso la pratica di autosservazione che è chiamata “la coscienza
osservante”.
•
La coscienza osservante
L’insegnamento praticato dalla scrivente 7consiste di tre fasi progressive:
Prima fase: osservazione e disidentificazione dal flusso mentale.
Nella prima fase ci si allena a osservare in maniera sistematica il flusso mentale, ovvero,
sensazioni, emozioni e pensieri che scorrono nel campo della coscienza nel qui e ora.
La pratica opera in uno spazio interiore in cui i contenuti mentali sono presi quali oggetti di
percezione.
L'osservatore si concentra sul flusso mentale in una posizione acritica, come un osservatore
osserva uno spettacolo, con un atteggiamento attento e inclusivo senza interferire.
Realizzare questa posizione di osservazione neutrale richiede un lungo training, in cui il
meditante apprende l'arte di assumere le proprie esperienze come oggetti di consapevolezza,
4
Sankara, Vivekakudamani, traduzione e commento di Raphael, Edizioni Asram Vidya, Roma 1981.
F. Vaughan, Paths Beyond Ego, The Putnam Publishing Group, USA 1993.
6
Patanjali, La Via Regale dell’Autorealizzazione, Traduzione e commento di Raphael, Edizioni Asram Vidya, Roma 1992 .
5
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rimanendone distaccato. Nella posizione della coscienza osservante, l'esperienza mentale è vista
scorrere nel suo divenire, senza che avvenga alcuna modificazione degli oggetti percepiti:
atteggiamenti corporei, sensazioni muscolari, emozioni e pensieri sono riconosciuti nelle loro
relazioni, da un vedente che si riconosce distinto da essi. Questa posizione meditativa, pone il
meditante a contatto con un mondo interiore ricco di avvenimenti, che non sono patrimonio
dell'ordinaria consapevolezza. Per esempio, quando il meditante diventa capace di osservare con
sufficiente neutralità il flusso dei propri contenuti, si rende possibile l'esperienza del disordine in
cui versa la mente.
La supposta integrità mentale dell'io appare frammentarsi in un caleidoscopio confuso, ove
emozioni e pensieri si accavallano e si contraddicono, e dove gli impulsi giocano ruoli diversi e
seguono scopi opposti in un divenire che svanisce non diversamente da un sogno, e che non
riguarda il soggetto che osserva, testimone silenzioso di uno spettacolo e quasi esterno ad esso.
Ad un attento osservatore dell’impermanente flusso della mente, il bene e il male si rivelano
allora come stati transitori della mente, che possono cambiare o addirittura scomparire se si
frappone spazio tra l’occhio che vede e la cosa vista.
In questo stato di disidentificazione, il senso della propria sofferenza perde quella
drammaticità che esiste nello stato di identificazione: la tristezza e la paura osservati come oggetti
distinti dall’osservatore mutano il loro significato, ed il pathos della vita non appare altro che un
gioco energetico, da cui si può essere equidistanti e indipendenti.
Approfondendo l’osservazione del flusso mentale appaiono le relazioni tra pensieri,
emozioni e sensazioni: emerge che il pensiero non è mai neutrale, ma crea sempre emozioni e
sensazioni corrispondenti.
Questa fase della pratica è quella più utilizzabile in psicoterapia, e si pone di valido aiuto al
processo introspettivo e di revisione cognitiva del pensiero negativo.
Seconda fase: osservazione e disidentificazione dal soggetto osservatore
Nella seconda fase l'osservazione passa dall’attenzione rivolta al flusso mentale
all’attenzione rivolta al soggetto osservatore 8. Se osservare il flusso mentale da osservatore svela
un livello superficiale della mente, osservare l’osservatore significa arretrare ad un livello di
fenomenologia mentale più profonda, che riguarda l'atteggiamento con cui giudichiamo i nostri
stati mentali, ovvero le strutture soggettive che organizzano la percezione. L’osservazione
dell’osservatore raggiunge il livello preconscio della mente, che svela le identificazioni e con esse
i bisogni, le aspettative e le motivazioni che sottendono il pensiero cosciente. A questo livello di
7
L. Boggio Gilot, Crescere Oltre l’io, Cittadella Editrice, Assisi1997.
5
osservazione si svelano anche i fattori del carattere innato e le assunzioni precostituite, che
costruiscono i valori e i principi organizzatori del comportamento.
In altre parole, promuovendo la disidentificazione non solo dal flusso mentale composto
dagli oggetti semplici (emozioni, sentimenti e pensieri), ma anche dal soggetto osservatore che li
percepisce, la pratica della coscienza osservante offre la possibilità di rendere oggettive quelle
strutture inconsce con cui l'io narrante è identificato e fissato, e di riconoscere, attraverso tale
oggettivazione, i filtri percettivi che colorano e distorcono la percezione della realtà.
Quando attraverso l’osservazione e la disidentificazione dall’osservatore, le strutture con cui
il soggetto è identificato appaiono oggettive, si svelano i meccanismi di difesa che sono usati per
respingere, negare e manipolare le esperienze non desiderate. Inoltre, questa fase di
autosservazione consente anche di conoscere le relazioni tra i fattori egocentrici e non-etici del
carattere come l’orgoglio e l’avidità, e le strutture mentali.
Per esempio, si può riconoscere come l’orgoglio costruisca un atteggiamento di intolleranza
verso i propri limiti e le proprie debolezze e così strutturi un sentimento di inferiorità, da cui
deriva la bassa immagine di sé e la crisi dell’autostima ecc.. In questa fase il meditante scopre la
natura dell'ignoranza e dell'illusione, riconoscendo come la sua percezione non sia realistica, ma
sia in realtà una costruzione arbitraria e fittizia.
La consapevolezza dell’illusorietà delle assunzioni mentali produce reazioni diverse che
vanno dalla sorpresa, alla vergogna, alla paura sino all’umiltà di riconoscere la propria ignoranza,
alla gioia della scoperta di sé ed alla compassione per se stessi e per il genere umano.
E' bene sottolineare che esperienze così profonde non si realizzano facilmente, e spesso si
incontrano grandi ostacoli e difficoltà che possono anche paralizzare il processo meditativo.
Pertanto questa fase della meditazione va seguita da un esperto istruttore che l’abbia a lungo
praticata e compresa. La valutazione del suo uso in psicoterapia, dipenderà dalla conoscenza della
struttura mentale del paziente e dalla sua realistica possibilità di incontrare una zona di ombra così
profonda.
Terza fase: l'osservazione della coscienza senza contenuti
Nella terza fase della pratica di autosservazione si passa, dall'osservazione del flusso
mentale e del soggetto osservatore, a quello della coscienza in sé, quale contesto della relazione
che coinvolge osservatore e osservato.
8
A. Deikmann, The Observing Self, Beacon Press, Boston 1982.
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Per questo più profondo livello di osservazione e disidentificazione, è richiesta una capacità
di arretramento dell’attenzione dalla periferia al centro, che si sviluppa con la pratica approfondita
e portata anche a livello informale nel corso della giornata.
La pura coscienza può essere sperimentata quale spazio aperto e incondizionato, pacifico e
silenzioso, oppure come la base da cui ogni fenomeno mentale emerge così come dal mare
emergono le onde.
L'esperienza della pura coscienza (che è considerata nella tradizione meditativa la sola
condizione attraverso cui si può accedere alle esperienze trascendenti), produce un vissuto di
centralità e di libertà dai costrutti mentali, ed ha rilevanti implicazioni nel processo della
conoscenza e dell'elaborazione dei contenuti mentali, quindi nel lavoro interiore di trasformazione
e di purificazione necessario al cammino transpersonale.
Sperimentarsi come pura coscienza, distinta dagli oggetti mentali e saper permanere in
questo centro vuoto e silenzioso, vuol dire perdere il senso di chiusura ed isolamento nella propria
storia personale e percepirsi come qualcosa di più grande, connesso e relazionato a tutto: con
questo vissuto coscienziale, ha luogo un significativo cambiamento nel senso dell’identità, e si
maturano diverse esperienze interiori e scelte consapevoli nella vita esteriore.
•
Alcune esperienze transpersonali
Il raggiungimento dello stato di disidentificazione della coscienza dai contenuti mentali, e la
possibilità di sostare nella pura coscienza senza essere disturbati dal flusso del pensiero, ha
implicazioni nello stato mentale, nella conoscenza di se stessi e nell'esperienza transpersonale.
Quando nella pratica di autosservazione, l'attenzione, piuttosto che essere dirottata dai
pensieri, rimane nel suo centro e il meditante si stabilizza in una posizione di pura coscienza,
comincia a sperimentare la calma mentale e la libertà dai molteplici stati mentali.
Quando la coscienza non è più travolta dai contenuti mentali si risveglia alle sue
intrinseche funzioni, che sono quelle della volontà e della sintesi, diventando un elemento
integrativo che può operare sui contenuti mentali, selezionando in maniera autoregolata e
finalizzata le diverse funzioni della mente, come il pensiero, l'immaginazione e l’emozionesentimento.
Quando si realizza quell'essere taoistico che è una pura e inclusiva coscienza, capace di
percepire con il cuore e senza interferire con ciò che osserva, si apre la capacità di vedere da vicino
i movimenti mentali differenziati nelle loro reazioni, e si possono riconoscere le relazioni tra i
contenuti della mente generalmente sottratti alla consapevolezza.
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Quando la paura e l'angoscia della personalità sono percepite come oggetti da un centro
coscienza, che si riconosce loro testimone, esse tendono a perdere la loro perniciosità.
Quando non si è più dominati dal pensiero, si può scegliere cosa pensare e come
indirizzare il pensiero in senso positivo, oppure dimorare nella tranquillità della pura coscienza e
scoprire la possibilità di diventare recettivi agli archetipi del Sé.
Nella posizione di silenziosa recettività, si matura l’accesso all’intuizione supercosciente,
che si manifesta con simboli, idee illuminanti, pensieri sapienti e risposte immediate a problemi,
che apparivano oscuri o insolubili nello stato ordinario di coscienza.
Nel silenzio dello stabile permanere nella pura coscienza (non più attenti al flusso della
percezione, ma solo al suo contesto senza qualità, moto e divenire), si matura l'esperienza di realtà
non ordinaria. Esistendo con piena consapevolezza fuori dal caos e dalla molteplicità mentale, si
può percepire la realtà da una prospettiva non più limitata dal tempo, dallo spazio e dalla causalità,
avendo accesso alla percezione di eventi che accadono in altri contesti spazio-temporali, sino a
varcare i limiti della materia.
Scollata dai meccanismi difensivi e dalle barriere identificatorie del soggetto percipiente,
la pura coscienza si vede restituita la sua libertà e il suo essere vuota e pura, diventando un campo
atto a ricevere le verità dai diversi livelli dell'inconscio umano comprendenti sia gli aspetti
inferiori rimossi, sia quelli superiori transpersonali sino alla natura spirituale del Sé.
È importante sottolineare come un simile cambiamento della percezione e dello stato
mentale non sia né veloce né facile, richiede anni di pratica associata alla purificazione mentale e a
ritmi di vita spirituale. Inoltre, il successo della pratica meditativa dipende non solo dal grado di
buona volontà del meditante, ma anche dalla sua strutturazione mentale di base. Per esempio, nei
casi di strutturazione borderline, in cui i processi di differenziazione sé – oggetto sono critici, la
pratica non è realizzabile e, addirittura, può essere causa di sconfinamenti psicopatologici.
•
Autosservazione meditativa e introspezione psicoterapica
E’ interessante notare la differenza tra la metodologia introspettiva praticata nella
psicoterapia e la pratica meditativa vedanta di autosservazione. Mentre le pratiche introspettive
della psicoterapia (che non distingue tra mente e coscienza), sono attuate da un soggetto narrante,
che osserva e investiga i suoi contenuti interiori a partire dalle sue identificazioni e difese, nella
pratica di autosservazione l'osservazione è diretta proprio a queste strutture del soggetto narrante,
riconosciute sovrapposte alla coscienza e perciò percepibili come oggetti.
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Mentre nella psicoterapia si è avvezzi ad un'elaborazione interpretativa, che parte dalle
premesse di un soggetto sovrastrutturato dal pensiero, nella meditazione questo soggetto è
esplorato nelle sue identificazioni, fattori del carattere e pregiudizi; e l’elaborazione non più
interpretativa ma investigata nel qui ed ora, può riconoscere il ruolo del soggetto nel costruire il
proprio stato mentale, perciò l’autoformazione della sofferenza o della pace, della libertà o della
schiavitù
Rispetto
alle
ordinarie
pratiche
introspettive
della
psicoterapia
tradizionale,
l’autosservazione, promuovendo la disidentificazione della coscienza dai contenuti mentali,
permette di operare sulla mente non rimanendo dentro la mente, ma trascendendo il suo piano e
potendo agire sulle sue identificazioni. Nello stato ordinario di coscienza in cui si è identificati con
gli oggetti mentali, si è abituati a percepire la realtà attraverso filtri percettivi (assunzioni,
pregiudizi, aspettative, emozioni, ecc.), che si frappongono come uno schermo tra verità e
interpretazioni: questa illusorietà ha un ruolo potente nel determinare il senso della vita e il
comportamento. Per esempio, se si osserva la realtà attraverso il filtro percettivo della paura, il
mondo percepito sembrerà gravido di minacciosità, e la reazione gestita da questo filtro percettivo
produrrà facilmente difensività e aggressività.
Nello stato di coscienza modificato che è quello della disidentificazione, il meditante,
piuttosto che osservare il mondo attraverso la paura, si allena ad osservare la paura da una
posizione arretrata che la riconosce come semplice oggetto distinto dall’osservatore. Quando la
paura è riconosciuta come un oggetto, essa diventa meno minacciosa e potrà essere esplorata ed
elaborata.
Un contributo importante dell'autosservazione in psicoterapia, riguarda la possibilità di
conoscere e ristrutturare il super-io maligno. Secondo la psicoanalisi, il super-io è una struttura
derivata dall'interiorizzazione del modello morale del genitore, o di chi ne fa le veci: il super-io,
influenza l’io nella sua attività regolatrice tra il mondo degli impulsi – l’es – e la realtà. In una
accezione più vasta, il super-io è una subpersonalità erede dei principi familiari, ma anche dei
modelli sociali, culturali e religiosi e costruisce un personaggio interno genitoriale, che stabilisce il
fato dell'io. Riconoscere le caratteristiche del genitore interno, è il principio della revisione del
pensiero, che da questa subpersonalità può essere diretto e condizionato.
La pratica dell'autosservazione mette rapidamente il meditante in contatto con il super-io: se
è maligno, il praticante si riconoscerà dominato da un pensiero critico, che respinge
drammaticamente ciò che appare negativo, mentre si mantiene attaccato a ciò che gli appare
positivo.
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Questa tendenza attrattiva o repulsiva, determinata dalla caratteristica superegoica di
rifiutare il male e attaccarsi al bene, è uno dei fattori che produce la rimozione dei contenuti
indesiderati, ed il conseguente blocco delle energie emotive, da cui poi deriva la rigidità della
corazza corporea. In presenza di un super-io rigido, una nuvola difensiva vela il processo mentale,
e il male inaccettato viene rimosso nell’inconscio e/o proiettato nel mondo esteriore: nella
coscienza controllata da un super-io disfunzionale, esiste una lotta tra rifiutante e rifiutato, che
crea separazione e dolore.
Nell’autosservazione più si è attaccati a una immagine perfetta di sé, ovvero più si è
narcisisti, più si reagisce con ansietà agli aspetti di sé che possono minacciare l’immagine buona di
se stessi.
Quando la pratica meditativa è attuata da un meditante che ha un super-io mal strutturato, le
difese intervengono per evitare l’ansietà dell'incontro con gli aspetti di se stesso che incutono
paura e vergogna, e per proteggere l'illusione narcisistica, volta a garantire un'immagine ottimale di
se stessi, che meriti l’approvazione degli altri. Quando le tendenze nevrotiche impediscono
l'accettazione dei contenuti mentali, ed i meccanismi di difesa si oppongono alla pratica
dell'autosservazione, lo psicoterapeuta può far riconoscere al paziente meditante “chi è colui che
rifiuta”, e quindi, progressivamente, portarlo a riconoscere quella subpersonalità che opera come
un genitore interno e che incarna il super-io disfunzionale.
Progressivamente, nella pratica, così come si è detto prima a proposito della paura, si passa
dalla percezione attraverso il super-io alla percezione del super-io, che ne svela la strutturazione e
dà accesso alla sua trasformazione. Quando, attraverso la pratica meditativa, si riesce a riconoscere
il filtro percettivo superegoico ed a differenziare la coscienza da esso, il meditante può allenarsi a
sostituire le sue aspettative ed i suoi comportamenti condizionati con modalità più libere e
consapevoli.
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Il valore del pensiero etico
Nella posizione di disidentificazione, prodotta dall’autosservazione, il meditante può
scoprire il potere del pensiero ostile nel determinare gli stati mentali dolorosi, e la forza
trasformatoria del pensiero etico e positivo 9. La potenza del pensiero, è ben conosciuta nella
tradizione meditativa, che considera la modificazione del modo di pensare, come una condizione
essenziale per la pace interiore e la realizzazione delle potenzialità interiori. Il riconoscimento di
9
R. Walsh, Essential Spirituality, John Wiley & Sons Inc, New York 1999.
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come la natura incontrollata e aggressiva del pensiero, sia complice della propria sofferenza,
conduce a un processo di trasformazione verso il pensiero positivo, che incarna amore e saggezza
rimanendo fattore di risanamento.
Se le prime trasformazioni del pensiero, vedono fiorire la gemma dell'accettazione dei propri
limiti, che permette il superamento del sistema difensivo e la comprensione della propria
debolezza, successivamente lo sviluppo di qualità etiche come la tolleranza, il perdono, la
comprensione, consente di strutturare stati positivi della mente e di alleviare le tensioni
interpersonali. Progressivamente, il controllo e l’eticità del pensiero si dimostrano essere il
fondamento della retta percezione, della calma mentale e dell'armonia con la vita. Il meditante
apprende con dolcezza, che per sviluppare gli stati positivi della mente, occorre pratica, silenzio e
solitudine: l'attività e l'esteriorizzazione nuocciono al lavoro interiore, perché incrementano il
ritmo meccanico della mente e rendono difficile l'attenzione.
Per colui che pratica una psicoterapia integrale, ove accanto alle tecniche di psicoterapia, la
meditazione è considerata prassi di trasformazione e risanamento, il concetto di guarigione non si
lega più alla soluzione del sintomo, ma alla trasformazione dell’intero essere nel mondo del
paziente, che vedrà fiorire le gemme della consapevolezza e dell’amore, mutando il suo rapporto
con se stesso e la vita.
La spiritualità allora diventa emblema, segno e direzione di una guarigione che risana l’io
aprendolo all’influsso spirituale, e rendendo il progresso verso la salute mentale, una evoluzione
verso i valori e le qualità del vero, del bello e del buono.
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