vedi PDF - Giordano Mazzi

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IL SOUND DEI BEATLES: LA CHITARRA • FABRIZIO BARALE • USARE I VIRTUAL INSTRUMENT • API 527 • WAVES CLA
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Il sound dei
!
Beatles
la chitarra acustica
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€ 5,90 • MARZO 2010
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MARZO 2010
02
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ed elettrica
Fabrizio Barale
Chitarra
e Project Studio
Lo stato dell’arte: API 527
usare i Virtual
Il compressore
Instrument
che mancava
FXPANSION DCAM: SYNTH SQUAD MAGIX SAMPLITUDE 11 PRO XLN AUDIO ADDICTIVE DRUMS 1.5 ADRENALINE NATIVE INSTRUMENTS
GUITAR RIG 4 WAVES CLA SOLID STATE LOGIC MX4 UNIVERSAL AUDIO 2192 ADAM S1X VESTAX VCM-600 ZOOM H4N
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771825 662001
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.
INCHIESTA
LO STATO DELL’ARTE
di Francesca Bortot
USARE GLI STRUMENTI VIRTUALI
REALTÀ A CONFRONTO
Una percentuale
altissima della
musica che
ascoltiamo è stata
prodotta utilizzando
strumenti virtuali.
Abbiamo indagato
sugli strumenti più
apprezzati, sulla
ricerca dei suoni e
come questi debbano
essere usati per
sembrare il più
possibile reali.
32 MARZO 2010
Lo strumento musicale non è un semplice oggetto che produce suono: è uno strumento la cui progettazione e il cui
design si è affinato nel tempo per produrre un certo tipo di
sonorità. Non è quindi solo un mezzo, ma un sistema complesso in cui diversi elementi interagiscono tra loro e con
l’essere umano. La musica è il frutto di questa interazione
in un’infinita catena di variabili. Ogni strumento musicale ha
originato tecniche diverse, e i modi del suonare, l’esecuzione musicale e la sua espressività, sono determinanti nel valutare la musica stessa.
Nella continua ricerca creativa nei secoli si è sviluppato un
rapporto tra musicisti e costruttori di strumenti, tra evoluzione della strumentazione musicale ed evoluzione del pensiero musicale. Il ventesimo secolo poi, oltre ad aver vissuto l’affermazione di una nuova tipologia di strumenti elettromeccanici, elettroacustici ed elettronici, ha visto svilupparsi anche una nuova professionalità con una diversa frui-
zione della musica. È divenuto possibile registrare le esecuzioni musicali, riprenderne e trasmetterne il suono, riascoltare la musica in un altro luogo da quello in cui è stata
creata, in un altro momento. Allo scopo sono state progettate macchine e studiati mezzi diversi. Registratori, microfoni, supporti, riproduttori. E tecnica, esperienza, gusto artistico, macchine a disposizione di tecnici e fonici sono impiegate per poter riprendere la musica e l’esecuzione di uno o
più strumenti musicali (in un determinato momento e ambiente, da un certo strumentista) ai fini di poterla riascoltare successivamente.
LA RIVOLUZIONE DEL VIRTUALE
Un virtual instrument (VI) o una libreria di suoni, deve condensare gli elementi sopra descritti e fornire al musicista o al
programmatore uno strumento, sicuramente non reale, ma
quantomeno realistico.
[COMPUTER MUSIC & PROJECT STUDIO ]
Fino a non più di qualche anno fa, il computer aveva come compito principale quello di registrare e riprodurre suoni prodotti esternamente, ora è possibile generare musica
esclusivamente via software, virtualmente.
I VI sono software musicali che assolvono il compito di produrre suoni ricreando virtualmente tutte le possibili interazioni che uno strumento, un musicista e un fonico creano
nella realtà. Si è dovuto affiancare lo studio delle caratteristiche intrinseche dei suoni degli strumenti a quello delle caratteristiche fisico-acustiche, si sono analizzati i meccanismi di produzione del suono e le proprietà del suono stesso.
Sono state considerate le diverse modalità con cui lo strumentista suona, gli ambienti possibili, le tecniche di microfonazione. Nondimeno, i VI rappresentano una vera e propria
rivoluzione perché a un costo relativamente contenuto, ed
essendo facilmente integrabili nel proprio sistema di produzione, possono offrire al musicista e compositore un’intera
orchestra o band virtuale con cui sperimentare e creare.
La varietà di VI oggi disponibili è impressionante, da quelli che emulano i classici synth hardware a quelli che utilizzano la sintesi per riprodurre strumenti reali, da software
che riproducono campioni creati dall’accurata ripresa dello strumento in ambienti differenti a workstation che gestiscono librerie sonore multiple in formati disparati. I VI lavorano su diversi livelli. Parametri di modellazione e articolazioni, risposta dinamica, qualità e quantità di eventuali campioni utilizzati.
Riproduzione di armoniche e risonanze, microfoni e ambienti di ripresa tra cui scegliere, effetti dinamici o di riverberazione. Una lunga lista di controlli, diversi anche per ti-
Una buona programmazione e tanta emulazione nell’esecuzione
Giordano Mazzi è musicista e arrangiatore, ottimo tastierista ha poi continuato la carriera anche come produttore e
programmatore, intervenendo e collaborando a molti progetti di rilievo del panorama della musica pop italiana. È un
estimatore di Apple Logic Pro, sia dal punto di vista musicale che creativo, e ha iniziato a usare i VI sin dai primi presenti in Logic, fino agli odierni Omnisphere, Stylus, Trillian di Spectrasonics. “Per produrre un brano di musica pop
con un virtual synth parto da un preset, scelto in base al tipo di timbro che mi interessa, dopodiché vado ad aggiustare quelli che sono i parametri canonici della sintesi. Sono convinto che si possa ingannare l’orecchio con i VI tenendo però ben presenti tutti i fattori inerenti all’esecuzione. Il VI può dare tanto ma c’è bisogno di programmarlo
bene, con un po’ di tempo e qualche accorgimento si può ottenere un grande risultato. Devi immaginare di essere il
musicista emulandone l’esecuzione. Faccio un esempio: in una linea di basso, il bassista suona alcune note, altre
le crea (le famose ghost note) con i tocchi ritmici della mano destra che picchiano sulla corda, oppure fa i glissati, suona note su corde diverse ecc. Alcuni noti VI di basso di ultima generazione utilizzano i tasti funzione (uno per
il glissato, uno per le ghost, uno per far suonare una nota sulla corda MI invece che LA, ecc) così durante l’esecuzione, sfruttando per bene i Key Switch con la mano sinistra, lo strumento cambierà il suo setup e darà esattamente quel suono che vuoi emulare eseguendo la tua parte con la mano destra. Il virtual deve essere abbastanza preciso sul campionamento delle varie note per ricreare questa umanità. La dinamica rimane comunque la
cosa più importante che rende credibile l’imitazione della realtà. Qualsiasi strumento si emuli, la caratteristica principale è proprio la riproduzione degli accenti e delle dinamiche che si fanno suonando la master keyboard. Nello
step successivo potrai sempre andare a modificare nella sequenza creata le velocity, così come andrai a ritoccare più o meno alcune note. Anche questi parametri sono importanti, ad esempio, una quantizzazione esagerata rende l’esecuzione troppo finta, non deve sembrare fatta da una macchina. Oppure si può
usare qualche trucchetto. Mi è capitato ad esempio di programmare una sequenza di vari drum loop, farne poi una copia e fare passare quest’ultima attraverso un
filtro che ne limitasse l’attacco, ottenendo così un effetto ambiente da sommare alla prima traccia. Una volta che la parte è a posto, se è possibile, mi piace passare in audio (su Pro Tools prima del mix) ogni parte creata dai virtual attraverso un Tubetech o comunque un apparecchio valvolare che dia più corpo. Non essendo più
un ragazzino, sono stato abituato al suono delle tastiere sentite attraverso banchi analogici.”.
azzi
Giordano M
www. giordanomazzi.com
www.myspace.com/giordanomazzi
[COMPUTER MUSIC & PROJECT STUDIO ]
MARZO 2010 33
INCHIESTA
LO STATO DELL’ARTE
pologia di VI, che permette la generazione di un certo tipo di
suono e l’emulazione del suonare. È un compito complesso
e difficile, e ancora di più è fare in modo che risulti semplice
usufruirne. Proprio a causa di questa difficoltà la tecnologia
è ancora in evoluzione.
Si è passati dai campionatori hardware a quelli virtuali, che
oggi gestiscono librerie di campioni sempre più grandi, da simulazioni di sintesi, con virtuali blocchi fisici e matrici di modulazione, allo sviluppo di strumenti che impiegano la sintesi
a modelli fisici, per la descrizione e creazione sonora.
LE INTERVISTE
I professionisti che abbiamo intervistato sono musicisti
esperti, tecnici, programmatori e compositori. Hanno vissuto in modo diverso il passaggio all’uso degli strumenti virtuali. Abbiamo chiesto loro se, perché e come impieghino gli
strumenti virtuali nel loro processo creativo. Traspare dalle
loro spiegazioni che i Virtual Instrument sono oggi una realtà con la quale non si può fare a meno di confrontarsi, in taluni casi oramai indispensabili e in tal altri da usare con attenzione e studio approfondito del mezzo.
Tutti i suoni sono possibili con i VI, la variante è la ricerca
Musicista e produttore, chitarrista che si occupa anche di programmazione, Samuele Dessì è un artista poliedrico che oltre partecipare a diversi progetti indie, lavora alle pre-produzioni e produzioni per gli album di
svariati artisti italiani pop da classifica. Lavora con tre computer in rete: un Mac con Pro Tools HD3, un altro con Logic 8 e infine un portatile con Logic 9. Di entrambi i sequencer usa sia le funzionalità MIDI che audio. Utilizza poi Omnisphere, Ivory e Pianoteq e molti strumenti di NI come Battery, Kontakt e Massive, oltre a
tutti quelli offerti da Logic e da Pro Tools. “Sulle pre-produzioni di musica leggera di cui mi occupo generalmente uso solo i virtual tranne qualche rarissimo caso isolato. Secondo me è molto più veloce ottenere un
suono da un virtual piuttosto che da uno strumento vero. Per fare un esempio, se dovessi fare una parte di
Hammond sarebbe per me molto più difficile microfonare un Leslie per ottenere il suono voluto, si dovrebbe infatti perdere del tempo a posizionare e spostare i microfoni, scegliere la giusta accoppiata tra mic e
pre, dando per scontato che la sala di ripresa suoni bene e giusta, ecc… e soprattutto che si abbia a disposizione una sala di ripresa. Mentre con il virtual sfogli i preset e appena trovi la pasta del suono che
si avvicina a quello che hai in testa ci lavori, non è molto più facile ma è più immediato e intuitivo a mio
parere. Essendo poi io più musicista che tecnico, ho un approccio allo strumento decisamente più musicale, mi lascio guidare dal gusto e non esistono regole, anzi avendo la possibilità, cerco di infrangerle. Chiudo gli occhi e faccio funzionare le orecchie fino a quando non ottengo veramente quello che mi
piace e che sento sia giusto all’interno dell’arrangiamento al quale sto lavorando.
Partendo dai preset agisco su modulation, cut-off, resonance, attacco della forma d’onda, inviluppo ADSR, le
varie tipologie di filtri, equalizzazione e automazione per ottenere effetti di morphing, ecc. Lavoro molto anche sugli effetti di spazializzazione,
magari sui chorus o phaser. Se ho il tempo di farlo e mi sento particolarmente ispirato, parto da lontanissimo lavorando su time e pitch stretching, è affascinante partire da una cosa che non c’entra nulla, da un contrabbasso per ottenere un pad, e poi vedere cosa succederà. La creazione di un suono per me è un
viaggio, una volta a conoscenza delle basi delle varie sintesi del suono: additiva, sottrattiva, vettoriale, granulare si parte e si ricerca. Non amo usare gli ambienti in fase di pre-produzione, vorrei che il suono fosse bello così com’è. Ma se un determinato suono di un virtual ha un ambiente che mi piace particolarmente, tendo a passarlo separatamente in maniera tale che possa comunque poi gestirmi quell’ambiente che appartiene al suono. Stessa cosa vale per altri
parametri come un delay o un chorus del virtual, li passo separatamente in modo da aver il controllo massimo in fase finale e avere ancora l’opzione se inserirli nel suono o meno, o gestirli con automazioni di volume. Oggi a mio parere la scelta si può basare esclusivamente su gusto e ricerca del suono che si vuole
ottenere. Siamo infatti arrivati a trattare l’audio come il MIDI, possiamo fare quello vogliamo, su una batteria possiamo tranquillamente editare ogni singolo
colpo, e gestire una batteria audio suonata dal vivo come una batteria MIDI grazie a strumenti come Elastic Time su Pro Tools o Flex su Logic, siamo arrivati a
dei livelli di chirurgia dell’audio che equivalgono a quelli del MIDI. Quindi, alla fine, la differenza sta soltanto esclusivamente nel suono vero e proprio all’interno di un determinato arrangiamento: se al produttore o al musicista piace quel suono, anche se è di una batteria elettronica, lo sceglierà comunque”.
essì
Samuele D
www.myspace.com/samueledessi
www.myspace.com/sgrooveproject
34 MARZO 2010
[COMPUTER MUSIC & PROJECT STUDIO ]
Inserire i VI nella creazione di musiche per colonne sonore
La grande passione di Danilo Madonia per la tecnologia, le doti di tastierista e lo studio continuo lo hanno portato, dopo anni di tour e registrazioni con i migliori artisti italiani, a diventare co-autore e arrangiatore di molti pezzi pop-rock, e a lavorare sulla composizione e l’orchestrazione di colonne sonore cinematografiche e televisive. Si avvale di MOTU Digital Performer
e Plogue Bidule su Mac, in parallelo a Kore di Native Instrument su PC, usa Kontakt e MachFive con libreria custom che ha
costruito negli anni. Ama i VI come Synful e Wallander, rispetto alle librerie tradizionali che utilizzano i campioni, per un discorso di espressione e risparmio di CPU. Le interfacce MOTU in studio sono affiancate da un sistema di monitor Centro e
Sumo della Audient. “ Oggi molti di questi VI (ad esempio Omnishpere o Absynth) hanno suoni di grande impatto e fascino. Il problema inizia quando cerchi di utilizzarli nel lavoro che stai facendo. A causa dell’ampio range di frequenze toccate
da questi suoni ti accorgi che, una volta inseriti nel contesto del progetto, non rendono più come quando li ascoltavi in solo. Utilizzandoli così come sono, potrebbero tendere a soffocare quello che hai già registrato o a scomparire nel mucchio;
di conseguenza solitamente sono necessari alcuni piccoli accorgimenti. È il momento di cambiare i parametri del VI, ed
eventualmente intervenire con eq e comp per far in modo che il suono sia udibile nel mix senza compromettere il resto. A
tal fine per prima cosa inizio dai filtri del VI, passa alto per le basse frequenze che potrebbero disturbare strumenti coma
cassa e basso, e resonance per accentuare una particolare zona ed eventualmente renderlo un po’ più medioso, ergo
udibile. Per le correzioni più precise utilizzo un equalizzatore esterno al VI. Generalmente il plug-in è più comodo rispetto all’hardware, perché è possibile automatizzarne i parametri necessari, facendo così uscire ed entrare le frequenze
volute del VI, nel caso ad esempio vi siano dei momenti dove questo possa tornare al suono originario per una parte in
cui sia in solo. La zona con la quale mi trovo sempre a dover combattere è il range intorno ai 200 e 300 Hz, un’area che può
creare, passatemi il termine per comprenderci, l’effetto cartonato, che appunto tendo ad attenuare utilizzando una campana abbastanza larga, lasciando maggior spazio agli altri strumenti che frequentano la stessa zona. C’è da lavorare anche sulle medie, medio-alte; se è un progetto vocale bisogna sicuramente fare spazio tra i 1.000 e i 2.500 Hz, se nella registrazione c’è una batteria con ambiente vivo e quindi ricca di alte frequenze e armoniche, conviene tenere a bada la zona
alta del suono del VI per evitare che l’uno disturbi l’altro. Insomma, sicuramente una volta trovata la sonorità del virtual questa andrà modificata quando inserita nel
progetto, perché utilizzare il suono di un VI all’interno di un insieme musicale più complesso è un’operazione non difficile ma delicata”.
Danilo Ma
donia
www.danworks.it
www.myspace.com/danilomadonia
La nuova arte della convivenza tra virtuali e reali
Dopo avere girato diverse capitali della musica e aver suonato a fianco dei migliori, Flavio Ibba ha, perlomeno temporaneamente, messo radici fondando il Red Rose Studio di Milano. Lavora principalmente su Steinberg Nuendo con molti altri software tra cui quelli di Native Instrument, Spectrasonics, Vienna Orchestra o IK Miroslav Philarmonik, e usa molto le proprie
vecchie librerie Roland passate su Halion. “Adesso lavoro alla creazione di musica per le immagini, principalmente in pubblicità, affiancandovi un’attività di produzione discografica. In generale a me piace fare un amalgama tra suoni reali e virtuali. In pubblicità si usano molto gli archi e al contempo ai pubblicitari piace molto la musica elettronica. Per cui, spesso, sono presenti sia synth che suoni orchestrali. Portando un esempio, per gli archi faccio l’intera scrittura con i virtuali, poi solitamente sostituisco con i reali i violini e le viole, mentre cose tipo violoncelli e contrabbassi, ovvero le parti strumentali di accompagnamento, rimangono virtuali, in modo che vi sia un mix di espressione vera e di suono virtuale sotto. I VI hanno raggiunto un livello tale da convivere tranquillamente con le parti suonate dagli strumentisti, non si ha bisogno di particolari accorgimenti, grazie anche alle tecniche impiegate dai VI stessi, come il Wallander, che non si avvale del campionamento. Si ottiene veramente un’impressione di realtà pazzesca. Secondo me quindi i due mondi convivono molto bene, e a me piace molto scrivere in maniera mista. Oggi il bello della musica è anche quello di sentire la
contaminazione, non abbiamo più solo l’orchestra sinfonica tradizionale ma troviamo l’orchestra sinfonica con le percussioni, e con magari un Moog che fa qualche frase sotto e un synth virtuale dove senti che il cut-off che si apre e si
chiude. Come approccio non sono di quelli che lavorano direttamente sulle forme d’onda, parto dai preset, trovo infatti l’offerta dei
parametri molto ampia e lavoro su funzioni base, come filtri e cut-off. Perdo meno tempo a fare programmazione, ma più tempo a cercare e poi inserire nella composizione le particolarità che mi offrono i virtuali. C’è il violino e poi c’è quel suono sotto che si ripete, che fa una specie di tremolo, quello magari è un virtuale, un suono di
Atmosphere strano che ho trovato programmando i filtri. Il mio atteggiamento è sperimentale, cerco di riprodurre quello che ho in mente facendo funzionare quello che
ho davanti. Il vantaggio evidente dei VI qual è? Quando li apri hai una palette di suoni talmente vasta che se sei creativamente attivo ne vieni stimolato”.
Flavio Ibba
www.redroseproduction.net
www.myspace.com/flavioibba
[COMPUTER MUSIC & PROJECT STUDIO ]
MARZO 2010 35
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