SCHEDA ICONOGRAFICO-MUSICALE DEL DIPINTO CONCERTO CAMPESTRE Oggetto Tipologia dell’oggetto Dati tecnici Dipinto. Tecnica Olio su tela. Dimensione Cm 105 x 137. Rapporti con altri oggetti Tipo di relazione Manet dichiarò di essersi ispirato al Concerto campestre di Tiziano, visto al Louvre, e alle incisioni tratte dal Giudizio di Paride di Raffaello, da cui derivò l’impostazione delle due figure in primo piano. Tarocchi o Trionfi attribuiti a Mantegna: carta 27, La Poesia. Identificazione degli oggetti Le dejener sur l’herbe di Édouard Manet (Musée d’Orsay, Parigi). La Poesia, incisione. Produzione Autore Nome dell’autore Tiziano Vecellio o Tiziano da Cador. Attribuzioni Giorgione. Cronologia Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore, 1473/90 – Venezia, 1576). Giorgione (Castelfranco Veneto, 1477 circa - Venezia, 1510). Ambito culturale, geografico Scuola veneta. Cronologia Data dell’opera 1509 circa. Committenza, destinazione Nome del committente Esponente della famiglia Gonzaga. Nome del destinatario Esponente della famiglia Gonzaga. Collocazione originaria Collezione della Famiglia Gonzaga. Commenti Se l’opera fosse attribuita a Giorgione, sarebbe l’unica di quest’autore entrata a far parte della Collezione Gonzaga. Non ci sono documenti a riguardo, ma la committente fu forse Isabella d’Este (Ferrara, 1474 – Mantova, 1539), oppure il marito di Isabella, il Marchese di Mantova, Francesco II Gonzaga (Mantova, 1466 – Mantova, 1519). Il dipinto è stato venduto da Vincenzo II Gonzaga a un emissario di Carlo I d’Inghilterra, alla sua morte fu venduto al banchiere Eberhard Jabach e da questi a Luigi XIV, nel 1671. Localizzazione Geografica Paese Località Istituzione Numero Inventario o Collocazione Francia. Parigi. Musée du Louvre. INV. 71. Attuale collocazione: Ala Denon, 1° piano, Sala 6 o Sala della Gioconda. Soggetto Descrizione Il dipinto raffigura una scena campestre: in primo piano due nudi femminili, una fanciulla è in piedi sulla sinistra, l’altra, 1 seduta, volta le spalle all’osservatore. Di fronte, sempre seduti su un rilievo erboso, due giovani uomini stanno conversando, uno riccamente abbigliato in rosso abbraccia un liuto, l’altro è più modestamente vestito. Ai piedi della collina sulla destra si vede una figura di pastore che guida un gregge di pecore, alle sue spalle una macchia di alberi. Al centro del dipinto, dietro gli alberi si può notare un piccolo borgo di case. Sullo sfondo un’ampia vallata si perde all’orizzonte. Il cielo è pieno di nuvole. Abbiamo dunque un gruppo di tre persone sedute sull’erba, una donna in piedi sulla sinistra e un pastore in lontananza sul lato destro. Analizziamo ora i particolari del dipinto. Alla sinistra dell’opera, una giovane in piedi è completamente nuda. La sua figura si appoggia sul bordo di un’antica vasca di marmo. Il fulcro del suo equilibrio è dato dalla sua gamba sinistra; la destra è arretrata e seminascosta. Un drappo cangiante di colore biancoperlaceo sta scivolando dalla rotondità dei fianchi, si arrotola attorno alla coscia sinistra e fascia anche la gamba destra da sopra il ginocchio a scendere, lasciando scoperto il piede a fianco di un lembo del drappo che, mollemente, poggia sull’erba. La giovane di un incarnato chiaro ha una fisicità piena come prediligeva il canone dell’epoca. Il suo viso è ritratto di profilo e si staglia sul tronco scuro di una quercia, che si trova alle sue spalle e che sale oltre il margine superiore del quadro. I capelli castani della giovane sono raccolti alla nuca e intrecciati con un fermacapelli forse di tessuto chiaro. Il braccio sinistro copre diagonalmente i seni e regge una raffinata brocca con cui versa dell’acqua in una vasca di marmo bianco. Il braccio destro scende perpendicolarmente al fianco fino all’angolo della vasca, dove si appoggia con la mano. Il pollice, l’indice e il medio si modellano attorno all’angolo della vasca; l’indice, che è cinto da un finissimo anello con castone, assieme al pollice forma un cerchio. L’anulare e il mignolo poggiano sul bordo piatto della vasca. Questa struttura, di cui si vedono solamente due lati mentre il resto continua fuori del margine sinistro del quadro, potrebbe anche essere un abbeveratoio. Esso si compone di una base, forse in muratura intonacata e una cornice superiore in marmo. La base di questa vasca, che rimane frontale all’osservatore, presenta un rettangolo leggermente più scuro; sembrerebbe uno stemma, un motto o una firma coperta, ma dalla fotografia non è possibile essere più precisi (forse bisognerebbe realizzare una radiografia). Il centro del quadro è occupato da tre figure accovacciate sull’erba; delle tre spicca la veste rossa di un suonatore di liuto. Questo giovane dal capo coperto da un tocco vermiglio, con visiera decorata, da cui escono dei lunghi capelli neri, indossa una casacca scura con una grande 2 scollatura quadrata e sotto, un’ampia camicia plissettata bianca, senza colletto. Sopra la casacca, ha un’ampia veste rossa fermata da spalline con grandi maniche a sbuffo che lasciano fuoriuscire, al polso, la camicia bianca. I pantaloni a sbuffo della medesima stoffa e colore della veste, sono corti alla coscia e il resto della gamba è coperto da calze bicolori bianche e grigio-perla. Il ragazzo abbraccia un liuto a manico corto, la sua mano destra è ferma nell’atto di scendere a pizzicare le corde mentre la sinistra ha le dita poste sulla tastiera. Stranamente, la tavola armonica del liuto, anche se in ombra, non presenta il classico foro rotondo, il ponticello o le corde, così come la tastiera non presenta corde. Il viso in ombra è ritratto di profilo, intento a conversare con il vicino di posto. L’altro giovane ha il viso ritratto di ¾, intento a conversare con il liutista, la testa, scoperta, presenta una massa di capelli castani arricciati. La sua veste di un colore indefinito sembra molto più modesta di quella del suo compagno; pare un giaccone informe da cui fuoriesce un camiciotto bianco. Le sue mani sono celate; l’unica altra parte del suo corpo visibile, anche se in ombra, è la parte terminale della gamba sinistra con polpaccio, caviglia e piede nudo. Di fronte ai due giovani è ritratta, di spalle all’osservatore, la seconda donna nuda del dipinto. Anche se seduta, la fanciulla ha la medesima corporatura dell’altra in piedi con la brocca. I suoi capelli castani sono acconciati alla nuca con una scriminatura centrale. La spalla sinistra scende leggermente per far appoggiare il gomito sul ginocchio destro e l’avambraccio curva fuori vista, mentre nell’incavo del gomito spunta la mano destra che regge un flauto dolce, nel cerchio formato fra le dita: indice, medio e pollice. Anche questo nudo presenta un drappo bianco che, arrotolato sulla coscia destra, scende di traverso sotto la coscia sinistra, passa sull’erba sotto il polpaccio della medesima gamba e finisce con l’angolo dell’orlo fra i due piedi. Il piede sinistro della giovane è sulla stessa linea immaginaria che parte dal drappo della giovane in piedi, presso la vasca, e tocca la punta del suo piede destro. La quinta figura umana del quadro è un pastore che, provenendo dalla destra, precede un gregge di pecore. Una capra lo attende qualche passo più avanti; due o tre pecore sono già all’ombra del boschetto, al centro del quadro, e un asinello a fianco del gregge guarda incuriosito verso l’osservatore. La figura è appena accennata da pochi colpi di pennello. È rappresentato mentre scende da destra con un equilibrio instabile visto che ha entrambe le gambe lievemente piegate. Indossa una camicia di colore marrone; sopra ha una corta mantellina della stessa tinta, delle braghe di colore chiaro e i piedi nudi. Il suo braccio destro è assai piegato e la mano poggia sulla parte alta del petto; tiene, 3 Particolare dal mosaico del Trionfo di Nettuno, Tunisi, Museo del Bardo. Tarocchi attribuiti al Mantegna, Londra, British Museum (Numero Archivio:1895,0617.128). probabilmente, un sottile bastone o una canna in spalla, una bisaccia che compare dietro la testa. Il braccio sinistro scende zigzagando lungo il fianco e la mano ha il dorso girato verso terra. Temi I temi iconografici dell’opera in questione sono diversi. A una visione superficiale il quadro sembrerebbe rappresentare un idillio pastorale, una scena campestre. Analizzando meglio le figure ci si accorge che i due giovani uomini stanno comunicando fra loro, perlomeno con gli occhi, mentre le fanciulle, sono forse presenti come figure immaginarie. Tutti gli attori sono in un momento di stasi: la giovane in piedi sta per versare l’acqua da una brocca o l’ha appena raccolta; la ragazza con il flauto sta per suonare oppure ha appena smesso; il suonatore di liuto è in procinto di pizzicare le corde o si è appena interrotto; il giovane dai capelli arruffati ha la bocca chiusa e forse sta per parlare; persino il pastore, con tutte le sue pecore e l’asino, sembra in attesa di qualcosa. Ogni azione è ferma, in attesa, nessuno sta compiendo un gesto ben definito. Vediamo ora di dare un ruolo ai personaggi presenti per cercare di formulare un’interpretazione al dipinto. Le due giovani sono entrambe nude; essendo in presenza di due uomini completamente vestiti, potrebbero essere figure allegoriche. Si potrebbe ipotizzare che le due donne simboleggino due Muse. Quella seduta con il flauto potrebbe essere Euterpe, la protettrice della musica e in seguito della poesia lirica; questa Musa tiene in mano un flauto, l’aulos, una sua invenzione. L’altra giovane ha una brocca in mano, non ci sono attributi di quest’oggetto legati alle Muse, ma potrebbe essere Polimnia, ipotesi sostenuta da alcuni particolari. Polimnia è la Musa che presiede la pantomima legata al canto sacro ed eroico; a volte è associata alla retorica e alla storia. Alle sue spalle è, infatti, dipinta una quercia, pianta di grande simbolismo sacro e religioso; la quercia è legata a Zeus come lo è il portare l’anello al dito indice. La mano destra simboleggia lo spirito razionale, quindi questa Musa è legata a una forma d’arte, diciamo, formale. La sua azione di versare l’acqua da una brocca a un altro contenitore la mette in relazione all’iconografia di una virtù, quella della Temperanza, così come all’omologa carta dei Tarocchi. Considerando i Tarocchi, possiamo ipotizzare un’altra interpretazione del quadro. Nel mazzo di carte attribuito ad Andrea Mantegna, stampato probabilmente a Ferrara, sede della corte Estense, verso il 1465, la carta 27 è intitolata Poesia. Questa miniatura raffigura una giovane seduta su un prato che, con la mano sinistra, versa da una brocca dell’acqua, facendo sorgere un ruscello che si perde verso sinistra; l’acqua è raccolta da una fontanella che si trova al suo fianco. Con la mano destra sorregge un flauto dolce che sta suonando. Quindi, facendo un parallelo con il 4 La Temperanza, Tarocchi Visconti-Sforza (1450-60 circa), New York, PierpontMorgan Library. La Stella, Tarocchi ViscontiSforza (1450-60 circa), Accademia di Carrara. quadro attribuito a Tiziano, abbiamo la Poesia che suona il flauto con la mano destra (come la giovane seduta nel dipinto) e che, contemporaneamente, tiene una brocca con la sinistra (come l’altra giovane in piedi). Nel Concerto Campestre, le due figure femminili hanno la medesima corporatura e colore dei capelli, il viso di una è voltato e non si possono fare confronti, ma, a parte il velo sui capelli della giovane con la brocca, sono uguali, quindi si potrebbe ipotizzare che non si tratti di due fanciulle ma della medesima sdoppiata in posizioni diverse. La personificazione della Poesia di Mantegna in due momenti diversi: presso la fonte del ruscello dell’ispirazione e presso i due giovani che cercano di ispirarsi. La divinità che versa l’acqua simboleggerebbe, oltre la purificazione, anche la mescolanza dei suoni nell’accordo musicale, cioè l’armonia, arrivando a quella concordanza tra musica mondana e musica celeste dei pitagorici. Queste teorie animavano i circoli umanistici veneziani, tra cui spiccavano personalità come Pietro Bembo, Mario Equicola e Leone Ebreo. Bembo (Venezia, 1470 – Roma, 1547) faceva accompagnare le sue opere poetiche da fanciulle che suonavano il liuto. Una volta, ebbe l’onore di avere come accompagnatrice Isabella d’Este, che potrebbe essere stata la prima proprietaria del dipinto di Tiziano. La giovane consorte di Francesco II Gonzaga, infatti, era una brillante musicista virtuosa del liuto. Isabella considerava gli strumenti a corda superiori ai fiati, questi ultimi associati al vizio. La sorella minore di Isabella, Beatrice d’Este (1475 – 1497), era la moglie di Ludovico Sforza (1452 – 1508), il duca di Milano figlio di Francesco Sforza (San Miniato, 1401 – Milano, 1466). Nella Milano sforzesca, in cui erano attivi i grandi ingegni del tempo come Leonardo da Vinci, riuscì a emergere anche la personalità del teorico musicale Franchino Gaffurio (Lodi, 1451 – Milano, 1522), tanto che, dal 1492, Ludovico il Moro lo volle a corte come primo cantore. Di lui si ricordano due trattati: Theorica musicae (1480, ripubblicato proprio nel 1492) e Practica musicae (1496), la sua opera più importante. Con questi lavori Gaffurio sviluppò una specie di “filosofia della musica” secondo cui l’arte dei suoni era assimilata alla scienza dei numeri e analizzata tenendo conto di proporzioni matematiche. Egli, come molti suoi contemporanei, si rifaceva alla tradizione pitagorica e neoplatonica considerando l’armonia dei suoni come il risultato di precisi rapporti numerici. La musica, oltre ad essere un’arte pratica, era perciò considerata soprattutto una disciplina speculativa le cui leggi erano simili a quelle che regolavano il moto dei corpi celesti. Secondo la teoria di Pitagora, infatti, il Sole, la Luna e i pianeti, durante i loro movimenti di rotazione e rivoluzione, producono ognuno un suono continuo. A loro 5 Due carte allegate al libro “I Tarocchi” di Oswald Wirth. volta questi suoni formano un’armonia. La vita sulla Terra sarebbe, perciò, influenzata da questa cosiddetta Musica delle Sfere (Musica Universale). Quest’antichissimo concetto filosofico considerava l’universo come un enorme sistema di proporzioni numeriche. Il cosmo era paragonato a una scala musicale, dove i suoni più acuti erano assegnati a Saturno e alle stelle fisse. Il Sole era indispensabile per la realizzazione dell’armonia poiché corrispondeva alla nota centrale che congiunge due tetracordi. In seguito, anche Platone avvalorò il concetto di Musica delle Sfere nel dialogo La Repubblica, in cui il filosofo descriveva un sistema di otto cerchi e orbite: stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, Mercurio, Venere, Sole e Luna. Franchino Gaffurio, nei suoi trattati, aveva mostrato un modello analogo, collocando i corpi celesti attorno a un’ideale corda musicale, secondo una scala eseguita dalle nove Muse, accompagnata dalle tre Grazie e diretta da Apollo. A lavorare presso la corte degli Sforza-Visconti, alcuni anni prima di Gaffurio, c’era stato anche un altro Bembo: Bonifacio Bembo (Brescia, 1420 – Milano, 1480), pittore e miniatore. Di quest’artista sono celebri i Tarocchi, realizzati, appunto, per Francesco e Bianca Maria verso la metà del 1400, secondo quegli stessi ideali rinascimentali impregnati d’idealismo neoplatonico. Consultando uno dei mazzi commissionati da Francesco Sforza a Bonifacio (quello conservato nella Biblioteca Pierpont-Morgan a New York), ci sono due carte di particolare interesse: la Temperanza (carta XIIII) e la Stella (carta XVII). Osservando i due soggetti femminili si nota la loro somiglianza: entrambe le fanciulle indossano un vestito blu trapuntato di stelle. L’una tiene due brocche nelle mani, l’altra una stella con la mano sinistra. Questo particolare mazzo, composto di 78 carte, 22 Arcani Maggiori (o Trionfi) e 56 Arcani Minori, ha dato, con ogni probabilità, origine ai mazzi classici compresa la variante marsigliese (i Tarocchi di Marsiglia). Tra questi, ci sono i 22 Arcani Maggiori ridisegnati dall’esoterista Oswald Wirth (Brienz, 1860 – 1943), tra gli studiosi più autorevoli del cosiddetto Libro Muto. Nel suo lavoro, Wirth cercò di recuperare l’antico aspetto simbolico e i giusti significati esoterici. Raffrontando le carte XIIII, la Tempérance e XVII, l’Étoile (in italiano tradotta le Stelle, anziché la Stella) con le loro antenate, si notano sia alcune affinità sia delle differenze. Protagonista dell’Arcano XIIII è un Angelo con due brocche, le stesse che regge la fanciulla nuda della carta XVII. Wirth associa l’Angelo della Temperanza all’elemento acqua, oltre che all’Arcangelo Raffaele e all’Angelo (o Testa d’Uomo) che simboleggia l’Evangelista Matteo (a Marco è abbinato il Leone Alato e l’elemento fuoco, a Luca il Bue Alato e l’elemento terra, a Giovanni l’Aquila e l’elemento aria). Secondo la tradizione cattolico-cristiana, infatti, Raffaele, 6 Particolare del Foglio Cary (Cary Sheet) stampato a Milano o in Lombardia (1500 circa), Yale University (Numero Inventario: 11032228). La Temperanza, Giovanni Andrea De Ferrari (15981669), Genova, Palazzo Tursi. oltre ad essere un Arcangelo è anche o uno dei Serafini o uno dei Cherubini, cioè gli ordini superiori di Angeli (Prima Sfera). In particolare, gli Arcangeli Raffaele, Michele, Gabriele e Uriel potrebbero essere i Serafini più prossimi a Dio che ne circondano il trono con il ruolo di guardiani, cantando la Musica delle Sfere e regolando, così il movimento del cielo, secondo il volere divino. Oppure potrebbero essere dei Cherubini, cioè i guardiani della luce e delle stelle che risiedono oltre il trono di Dio. In questo caso, ognuno dei quattro Arcangeli-Cherubini possiede quattro ali e quattro facce: una di Testa d’Uomo, una di Leone Alato, una di Bue Alato e una d’Aquila, appunto gli esseri alati associati agli Evangelisti. Tornando ai Tarocchi di Wirth, la carta XVII raffigura una giovane donna nuda che potrebbe ricordarci una delle Muse protagoniste del dipinto di Tiziano. La fanciulla sta versando del liquido dalle brocche: con la mano destra in uno specchio d’acqua; con la sinistra sul terreno erboso. Di questo soggetto, Wirth (che certamente conosceva bene il quadro di Tiziano, essendo un assiduo visitatore del Louvre) scrive: “È una dea dolce e bella, come la giovane donna nuda dell’Arcano XVII che versa in uno stagno il contenuto di un’urna d’oro, da cui cola un liquido vivificatore dell’acqua stagnante. A quest’anfora, tenuta con la mano destra, corrisponde un’altra, tenuta con la mano sinistra, che riversa sulla terra arida un’acqua fresca e fertilizzatrice. Questo secondo recipiente è d’argento, come il primo è inesauribile. La costante irrorazione tiene in vita la vegetazione … La giovane donna dell’Arcano XVII sembra essere un’incarnazione della grande divinità femminile adorata dai nostri lontani antenati. È la personificazione della vita terrestre … è la natura amabile, clemente e bella, madre eternamente giovane che diviene la tenera amante dei viventi”. La “dea dolce e bella” di cui parla Wirth è Ishtar che lo scrittore associa a Venere, sia come divinità sia come pianeta, da lui chiamato Stella del Mattino (le stelle a 8 punte raffigurate sulla carta). Un altro tema caro a Wirth riguarda un simbolo molto antico, l’Ouroboros (l’Uroboro), citato numerose volte nel suo libro I Tarocchi, il Serpente che si morde la coda, ricreandosi continuamente e formando così un cerchio, rappresenta la natura ciclica delle cose. Secondo alcuni studiosi, questo simbolo è associato alla forma della Via Lattea, perché anticamente era considerata un enorme serpente di luce che risiedeva nel cielo e circondava tutta la Terra. Nella traduzione in volgare di Pietro Vasolli da Fivizzano, del testo Hieroglyphica di Orapollo, quando l’autore descrive l’equivalente geroglifico egiziano dell’Ouroboros, si legge: “Quando vogliono scrivere il Mondo, pingono un Serpente che divora la sua coda, figurato di varie squame, per le quali figurano le Stelle del 7 Mondo. Certamente quest’animale è molto grave per la grandezza, si come la terra, è anchora sdruccioloso, perilche è simile all’acqua: e muta ogn’anno insieme con la vecchiezza la pelle. Per la qual cosa il tempo faccendo ogn’anno mutamento nel mondo, diviene giovane. Ma perché adopra il suo corpo per il cibo, questo significa tutte le cose, le quali per divina providenza son generate nel Mondo, dovere ritornare in quel medesimo”. Il libro Hieroglyphica (di un autore ignoto soprannominato Orapollo o Horus-Apollo o Horapollus) fu scoperto nel 1419 sull’isola di Andros, fu tradotto in greco e, in seguito, fu portato a Firenze da Cristoforo Buondelmonti (1386 – 1430), un monaco geografo studioso di antiche civiltà (il testo originario è custodito a Firenze, presso la Biblioteca Laurenziana). Dalla fine del XV secolo in poi, il testo cominciò a essere molto conosciuto dagli umanisti dell’epoca. Gli Hieroglyphica esercitarono una notevole influenza sul simbolismo del Rinascimento. La prima traduzione italiana è, appunto, quella di Pietro Vasolli da Fivizzano, realizzata nel 1547. Vediamo ora un’altra possibile interpretazione del dipinto di Tiziano. Il giovane liutista potrebbe aver perso l’ispirazione: il suo strumento non ha corde né foro sulla tavola armonica e, parlando con il suo modesto interlocutore, sta cercando di avvicinarsi a una forma d’arte più popolare. La fanciulla seduta, che potrebbe rappresentare la Musa Euterpe (anche lei presente nelle Carte di Mantegna), impersona una poesia più pastorale (il significato del suo nome è colei che rallegra, dal greco Ευτέρπη) ed è vicino ai due giovani per influenzarli con la sua presenza. L’altra Musa volge le spalle ai due giovani come se ormai avesse rinunciato a ogni speranza, o mentre attinge alla fonte dell’ispirazione. Un’altra simbologia esoterica potrebbe essere suggerita dalla disposizione delle dita delle due Muse: Polimnia forma un cerchio vuoto con le dita della mano destra che indicherebbe una metafora sessuale di verginità, purezza, virtù. Mentre il cerchio formato dalla mano di Euterpe, deflorato dal flauto, alluderebbe ai piaceri della carne, a una visione più terrena della vita. Se il quadro fosse stato commissionato da Isabella d’Este, che fu un’apprezzabile liutista e che riteneva gli strumenti a corda superiori ai fiati (associati al vizio e al conflitto), si potrebbe pensare a un messaggio rivolto al marito, capitano di ventura, dopo un anno di cattività nella Repubblica di Venezia. Francesco II Gonzaga fu tenuto prigioniero nella città lagunare per circa un anno e fu liberato grazie ad un’abile manovra diplomatica da parte della moglie e di papa Giulio II, nel 1510. Oppure potremmo pensare a un messaggio metaforico di Francesco II, che si trovava nella stessa città dell’esecutore dell’opera, Tiziano o Giorgione, 8 diretto a Isabella, che, costretta dagli eventi della vita, aveva perso quella spiritualità posseduta in gioventù. Isabella, che considerava la poesia incompleta finché non veniva trasportata in musica, aveva a corte i più abili compositori dell’epoca per tale opera di completamento. Il dipinto, da come appare in fotografia, richiederebbe un restauro. Tutta la fascia alta del quadro, dalla chioma della quercia di sinistra alla nuvola sulla destra, mostra dei depositi di sporco, così come le tre figure centrali. N. Iconclass 35: Pastorals, Arcadian scenes. Dati musicali Esecutori, partecipanti Personaggi Due giovani seduti. Due fanciulle nude. Un pastore. Identificazione Un liutista e un ascoltatore. Una flautista e un’ascoltatrice che impersonano due figure allegoriche. Un pastore che ascolta in lontananza. Azione Il giovane uomo sta per, o ha finito di, suonare un liuto. La giovane donna sta per, o ha finito di, suonare un flauto. Oggetti musicali, strumenti Tipo di strumento N. Sachs Liuto. 321.321. Flauto dolce (gruppo dei legni): 421.221.12 aerofono labiale (flauto Soprano in sol, che oggi chiamiamo Contralto o Alt). Era spesso costruito con legno d’acero. Il flauto dolce si distingue per la presenza di 8 fori (7 frontali più il portavoce). Liuto: cordofono a corde pizzicate. Riferimenti bibliografici FREGOLENT, ALESSANDRA, Giorgione, Milano, Electa, 2001. GIBELLINI, CECILIA (a cura di), Tiziano, I Classici dell’arte, Milano, Rizzoli, 2003. KRÉN, EMIL – MARX, DANIEL, WEB GALLERY OF ART (WGA). MOAKLEY, GERTRUDE, The Tarot Cards Painted by Bonifacio Bembo to Visconti-Sforza family, New York, New York Public Library, 1966. VALCANOVER, FRANCESCO, L’opera completa di Tiziano, Milano, Rizzoli, 1969. WIRTH, OSWALD, I Tarocchi, Roma, Mediterranee, 1973 (titolo originale dell’opera: LE TAROT DES IMAGIERS DU MOYEN AGE, Paris, Claude Tchou, 1966). ZUFFI, STEFANO, Tiziano, Milano, Mondadori Arte, 2008. 9