scheda iconografico-musicale del dipinto concerto campestre

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SCHEDA ICONOGRAFICO-MUSICALE DEL DIPINTO CONCERTO CAMPESTRE
Oggetto
Tipologia dell’oggetto
Dati tecnici
Dipinto.
Tecnica Olio su tela.
Dimensione Cm 105 x 137.
Rapporti con altri oggetti
Tipo di relazione Manet dichiarò di essersi ispirato al Concerto campestre di
Tiziano, visto al Louvre, e alle incisioni tratte dal Giudizio di
Paride di Raffaello, da cui derivò l’impostazione delle due
figure in primo piano.
Tarocchi o Trionfi attribuiti a Mantegna: carta 27, La Poesia.
Identificazione degli oggetti Le dejener sur l’herbe di Édouard Manet (Musée d’Orsay,
Parigi).
La Poesia, incisione.
Produzione
Autore
Nome dell’autore Tiziano Vecellio o Tiziano da Cador.
Attribuzioni Giorgione.
Cronologia Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore, 1473/90 – Venezia, 1576).
Giorgione (Castelfranco Veneto, 1477 circa - Venezia, 1510).
Ambito culturale, geografico Scuola veneta.
Cronologia
Data dell’opera 1509 circa.
Committenza, destinazione
Nome del committente Esponente della famiglia Gonzaga.
Nome del destinatario Esponente della famiglia Gonzaga.
Collocazione originaria Collezione della Famiglia Gonzaga.
Commenti Se l’opera fosse attribuita a Giorgione, sarebbe l’unica di
quest’autore entrata a far parte della Collezione Gonzaga.
Non ci sono documenti a riguardo, ma la committente fu
forse Isabella d’Este (Ferrara, 1474 – Mantova, 1539),
oppure il marito di Isabella, il Marchese di Mantova,
Francesco II Gonzaga (Mantova, 1466 – Mantova, 1519). Il
dipinto è stato venduto da Vincenzo II Gonzaga a un
emissario di Carlo I d’Inghilterra, alla sua morte fu venduto al
banchiere Eberhard Jabach e da questi a Luigi XIV, nel 1671.
Localizzazione
Geografica
Paese
Località
Istituzione
Numero Inventario o Collocazione
Francia.
Parigi.
Musée du Louvre.
INV. 71. Attuale collocazione: Ala Denon, 1° piano, Sala 6 o
Sala della Gioconda.
Soggetto
Descrizione Il dipinto raffigura una scena campestre: in primo piano due
nudi femminili, una fanciulla è in piedi sulla sinistra, l’altra,
1
seduta, volta le spalle all’osservatore. Di fronte, sempre
seduti su un rilievo erboso, due giovani uomini stanno
conversando, uno riccamente abbigliato in rosso abbraccia
un liuto, l’altro è più modestamente vestito. Ai piedi della
collina sulla destra si vede una figura di pastore che guida un
gregge di pecore, alle sue spalle una macchia di alberi. Al
centro del dipinto, dietro gli alberi si può notare un piccolo
borgo di case. Sullo sfondo un’ampia vallata si perde
all’orizzonte. Il cielo è pieno di nuvole.
Abbiamo dunque un gruppo di tre persone sedute sull’erba,
una donna in piedi sulla sinistra e un pastore in lontananza
sul lato destro. Analizziamo ora i particolari del dipinto.
Alla sinistra dell’opera, una giovane in piedi è
completamente nuda. La sua figura si appoggia sul bordo di
un’antica vasca di marmo. Il fulcro del suo equilibrio è dato
dalla sua gamba sinistra; la destra è arretrata e
seminascosta. Un drappo cangiante di colore biancoperlaceo sta scivolando dalla rotondità dei fianchi, si arrotola
attorno alla coscia sinistra e fascia anche la gamba destra da
sopra il ginocchio a scendere, lasciando scoperto il piede a
fianco di un lembo del drappo che, mollemente, poggia
sull’erba. La giovane di un incarnato chiaro ha una fisicità
piena come prediligeva il canone dell’epoca. Il suo viso è
ritratto di profilo e si staglia sul tronco scuro di una quercia,
che si trova alle sue spalle e che sale oltre il margine
superiore del quadro. I capelli castani della giovane sono
raccolti alla nuca e intrecciati con un fermacapelli forse di
tessuto chiaro. Il braccio sinistro copre diagonalmente i seni
e regge una raffinata brocca con cui versa dell’acqua in una
vasca di marmo bianco. Il braccio destro scende
perpendicolarmente al fianco fino all’angolo della vasca,
dove si appoggia con la mano. Il pollice, l’indice e il medio si
modellano attorno all’angolo della vasca; l’indice, che è cinto
da un finissimo anello con castone, assieme al pollice forma
un cerchio. L’anulare e il mignolo poggiano sul bordo piatto
della vasca. Questa struttura, di cui si vedono solamente due
lati mentre il resto continua fuori del margine sinistro del
quadro, potrebbe anche essere un abbeveratoio. Esso si
compone di una base, forse in muratura intonacata e una
cornice superiore in marmo. La base di questa vasca, che
rimane frontale all’osservatore, presenta un rettangolo
leggermente più scuro; sembrerebbe uno stemma, un motto
o una firma coperta, ma dalla fotografia non è possibile
essere più precisi (forse bisognerebbe realizzare una
radiografia).
Il centro del quadro è occupato da tre figure accovacciate
sull’erba; delle tre spicca la veste rossa di un suonatore di
liuto. Questo giovane dal capo coperto da un tocco
vermiglio, con visiera decorata, da cui escono dei lunghi
capelli neri, indossa una casacca scura con una grande
2
scollatura quadrata e sotto, un’ampia camicia plissettata
bianca, senza colletto. Sopra la casacca, ha un’ampia veste
rossa fermata da spalline con grandi maniche a sbuffo che
lasciano fuoriuscire, al polso, la camicia bianca. I pantaloni a
sbuffo della medesima stoffa e colore della veste, sono corti
alla coscia e il resto della gamba è coperto da calze bicolori
bianche e grigio-perla. Il ragazzo abbraccia un liuto a manico
corto, la sua mano destra è ferma nell’atto di scendere a
pizzicare le corde mentre la sinistra ha le dita poste sulla
tastiera. Stranamente, la tavola armonica del liuto, anche se
in ombra, non presenta il classico foro rotondo, il ponticello
o le corde, così come la tastiera non presenta corde. Il viso in
ombra è ritratto di profilo, intento a conversare con il vicino
di posto.
L’altro giovane ha il viso ritratto di ¾, intento a conversare
con il liutista, la testa, scoperta, presenta una massa di
capelli castani arricciati. La sua veste di un colore indefinito
sembra molto più modesta di quella del suo compagno; pare
un giaccone informe da cui fuoriesce un camiciotto bianco.
Le sue mani sono celate; l’unica altra parte del suo corpo
visibile, anche se in ombra, è la parte terminale della gamba
sinistra con polpaccio, caviglia e piede nudo.
Di fronte ai due giovani è ritratta, di spalle all’osservatore, la
seconda donna nuda del dipinto. Anche se seduta, la
fanciulla ha la medesima corporatura dell’altra in piedi con la
brocca. I suoi capelli castani sono acconciati alla nuca con
una scriminatura centrale. La spalla sinistra scende
leggermente per far appoggiare il gomito sul ginocchio
destro e l’avambraccio curva fuori vista, mentre nell’incavo
del gomito spunta la mano destra che regge un flauto dolce,
nel cerchio formato fra le dita: indice, medio e pollice. Anche
questo nudo presenta un drappo bianco che, arrotolato sulla
coscia destra, scende di traverso sotto la coscia sinistra,
passa sull’erba sotto il polpaccio della medesima gamba e
finisce con l’angolo dell’orlo fra i due piedi. Il piede sinistro
della giovane è sulla stessa linea immaginaria che parte dal
drappo della giovane in piedi, presso la vasca, e tocca la
punta del suo piede destro.
La quinta figura umana del quadro è un pastore che,
provenendo dalla destra, precede un gregge di pecore. Una
capra lo attende qualche passo più avanti; due o tre pecore
sono già all’ombra del boschetto, al centro del quadro, e un
asinello a fianco del gregge guarda incuriosito verso
l’osservatore. La figura è appena accennata da pochi colpi di
pennello. È rappresentato mentre scende da destra con un
equilibrio instabile visto che ha entrambe le gambe
lievemente piegate. Indossa una camicia di colore marrone;
sopra ha una corta mantellina della stessa tinta, delle braghe
di colore chiaro e i piedi nudi. Il suo braccio destro è assai
piegato e la mano poggia sulla parte alta del petto; tiene,
3
Particolare dal mosaico del
Trionfo di Nettuno, Tunisi,
Museo del Bardo.
Tarocchi attribuiti al
Mantegna, Londra, British
Museum (Numero
Archivio:1895,0617.128).
probabilmente, un sottile bastone o una canna in spalla, una
bisaccia che compare dietro la testa. Il braccio sinistro
scende zigzagando lungo il fianco e la mano ha il dorso girato
verso terra.
Temi I temi iconografici dell’opera in questione sono diversi. A una
visione superficiale il quadro sembrerebbe rappresentare un
idillio pastorale, una scena campestre. Analizzando meglio le
figure ci si accorge che i due giovani uomini stanno
comunicando fra loro, perlomeno con gli occhi, mentre le
fanciulle, sono forse presenti come figure immaginarie. Tutti
gli attori sono in un momento di stasi: la giovane in piedi sta
per versare l’acqua da una brocca o l’ha appena raccolta; la
ragazza con il flauto sta per suonare oppure ha appena
smesso; il suonatore di liuto è in procinto di pizzicare le
corde o si è appena interrotto; il giovane dai capelli arruffati
ha la bocca chiusa e forse sta per parlare; persino il pastore,
con tutte le sue pecore e l’asino, sembra in attesa di
qualcosa. Ogni azione è ferma, in attesa, nessuno sta
compiendo un gesto ben definito.
Vediamo ora di dare un ruolo ai personaggi presenti per
cercare di formulare un’interpretazione al dipinto.
Le due giovani sono entrambe nude; essendo in presenza di
due uomini completamente vestiti, potrebbero essere figure
allegoriche. Si potrebbe ipotizzare che le due donne
simboleggino due Muse. Quella seduta con il flauto potrebbe
essere Euterpe, la protettrice della musica e in seguito della
poesia lirica; questa Musa tiene in mano un flauto, l’aulos,
una sua invenzione. L’altra giovane ha una brocca in mano,
non ci sono attributi di quest’oggetto legati alle Muse, ma
potrebbe essere Polimnia, ipotesi sostenuta da alcuni
particolari. Polimnia è la Musa che presiede la pantomima
legata al canto sacro ed eroico; a volte è associata alla
retorica e alla storia. Alle sue spalle è, infatti, dipinta una
quercia, pianta di grande simbolismo sacro e religioso; la
quercia è legata a Zeus come lo è il portare l’anello al dito
indice. La mano destra simboleggia lo spirito razionale,
quindi questa Musa è legata a una forma d’arte, diciamo,
formale. La sua azione di versare l’acqua da una brocca a un
altro contenitore la mette in relazione all’iconografia di una
virtù, quella della Temperanza, così come all’omologa carta
dei Tarocchi. Considerando i Tarocchi, possiamo ipotizzare
un’altra interpretazione del quadro. Nel mazzo di carte
attribuito ad Andrea Mantegna, stampato probabilmente a
Ferrara, sede della corte Estense, verso il 1465, la carta 27 è
intitolata Poesia. Questa miniatura raffigura una giovane
seduta su un prato che, con la mano sinistra, versa da una
brocca dell’acqua, facendo sorgere un ruscello che si perde
verso sinistra; l’acqua è raccolta da una fontanella che si
trova al suo fianco. Con la mano destra sorregge un flauto
dolce che sta suonando. Quindi, facendo un parallelo con il
4
La Temperanza, Tarocchi
Visconti-Sforza (1450-60
circa), New York, PierpontMorgan Library.
La Stella, Tarocchi ViscontiSforza (1450-60 circa),
Accademia di Carrara.
quadro attribuito a Tiziano, abbiamo la Poesia che suona il
flauto con la mano destra (come la giovane seduta nel
dipinto) e che, contemporaneamente, tiene una brocca con
la sinistra (come l’altra giovane in piedi). Nel Concerto
Campestre, le due figure femminili hanno la medesima
corporatura e colore dei capelli, il viso di una è voltato e non
si possono fare confronti, ma, a parte il velo sui capelli della
giovane con la brocca, sono uguali, quindi si potrebbe
ipotizzare che non si tratti di due fanciulle ma della
medesima sdoppiata in posizioni diverse. La personificazione
della Poesia di Mantegna in due momenti diversi: presso la
fonte del ruscello dell’ispirazione e presso i due giovani che
cercano di ispirarsi.
La divinità che versa l’acqua simboleggerebbe, oltre la
purificazione, anche la mescolanza dei suoni nell’accordo
musicale, cioè l’armonia, arrivando a quella concordanza tra
musica mondana e musica celeste dei pitagorici. Queste
teorie animavano i circoli umanistici veneziani, tra cui
spiccavano personalità come Pietro Bembo, Mario Equicola e
Leone Ebreo. Bembo (Venezia, 1470 – Roma, 1547) faceva
accompagnare le sue opere poetiche da fanciulle che
suonavano il liuto. Una volta, ebbe l’onore di avere come
accompagnatrice Isabella d’Este, che potrebbe essere stata
la prima proprietaria del dipinto di Tiziano. La giovane
consorte di Francesco II Gonzaga, infatti, era una brillante
musicista virtuosa del liuto. Isabella considerava gli
strumenti a corda superiori ai fiati, questi ultimi associati al
vizio. La sorella minore di Isabella, Beatrice d’Este (1475 –
1497), era la moglie di Ludovico Sforza (1452 – 1508), il duca
di Milano figlio di Francesco Sforza (San Miniato, 1401 –
Milano, 1466). Nella Milano sforzesca, in cui erano attivi i
grandi ingegni del tempo come Leonardo da Vinci, riuscì a
emergere anche la personalità del teorico musicale
Franchino Gaffurio (Lodi, 1451 – Milano, 1522), tanto che,
dal 1492, Ludovico il Moro lo volle a corte come primo
cantore. Di lui si ricordano due trattati: Theorica musicae
(1480, ripubblicato proprio nel 1492) e Practica musicae
(1496), la sua opera più importante. Con questi lavori
Gaffurio sviluppò una specie di “filosofia della musica”
secondo cui l’arte dei suoni era assimilata alla scienza dei
numeri e analizzata tenendo conto di proporzioni
matematiche. Egli, come molti suoi contemporanei, si
rifaceva alla tradizione pitagorica e neoplatonica
considerando l’armonia dei suoni come il risultato di precisi
rapporti numerici. La musica, oltre ad essere un’arte pratica,
era perciò considerata soprattutto una disciplina speculativa
le cui leggi erano simili a quelle che regolavano il moto dei
corpi celesti. Secondo la teoria di Pitagora, infatti, il Sole, la
Luna e i pianeti, durante i loro movimenti di rotazione e
rivoluzione, producono ognuno un suono continuo. A loro
5
Due carte allegate al libro “I
Tarocchi” di Oswald Wirth.
volta questi suoni formano un’armonia. La vita sulla Terra
sarebbe, perciò, influenzata da questa cosiddetta Musica
delle Sfere (Musica Universale). Quest’antichissimo concetto
filosofico considerava l’universo come un enorme sistema di
proporzioni numeriche. Il cosmo era paragonato a una scala
musicale, dove i suoni più acuti erano assegnati a Saturno e
alle stelle fisse. Il Sole era indispensabile per la realizzazione
dell’armonia poiché corrispondeva alla nota centrale che
congiunge due tetracordi. In seguito, anche Platone avvalorò
il concetto di Musica delle Sfere nel dialogo La Repubblica, in
cui il filosofo descriveva un sistema di otto cerchi e orbite:
stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, Mercurio, Venere, Sole e
Luna. Franchino Gaffurio, nei suoi trattati, aveva mostrato un
modello analogo, collocando i corpi celesti attorno a
un’ideale corda musicale, secondo una scala eseguita dalle
nove Muse, accompagnata dalle tre Grazie e diretta da
Apollo. A lavorare presso la corte degli Sforza-Visconti, alcuni
anni prima di Gaffurio, c’era stato anche un altro Bembo:
Bonifacio Bembo (Brescia, 1420 – Milano, 1480), pittore e
miniatore. Di quest’artista sono celebri i Tarocchi, realizzati,
appunto, per Francesco e Bianca Maria verso la metà del
1400, secondo quegli stessi ideali rinascimentali impregnati
d’idealismo neoplatonico. Consultando uno dei mazzi
commissionati da Francesco Sforza a Bonifacio (quello
conservato nella Biblioteca Pierpont-Morgan a New York), ci
sono due carte di particolare interesse: la Temperanza (carta
XIIII) e la Stella (carta XVII). Osservando i due soggetti
femminili si nota la loro somiglianza: entrambe le fanciulle
indossano un vestito blu trapuntato di stelle. L’una tiene due
brocche nelle mani, l’altra una stella con la mano sinistra.
Questo particolare mazzo, composto di 78 carte, 22 Arcani
Maggiori (o Trionfi) e 56 Arcani Minori, ha dato, con ogni
probabilità, origine ai mazzi classici compresa la variante
marsigliese (i Tarocchi di Marsiglia). Tra questi, ci sono i 22
Arcani Maggiori ridisegnati dall’esoterista Oswald Wirth
(Brienz, 1860 – 1943), tra gli studiosi più autorevoli del
cosiddetto Libro Muto. Nel suo lavoro, Wirth cercò di
recuperare l’antico aspetto simbolico e i giusti significati
esoterici.
Raffrontando le carte XIIII, la Tempérance e XVII, l’Étoile (in
italiano tradotta le Stelle, anziché la Stella) con le loro
antenate, si notano sia alcune affinità sia delle differenze.
Protagonista dell’Arcano XIIII è un Angelo con due brocche,
le stesse che regge la fanciulla nuda della carta XVII. Wirth
associa l’Angelo della Temperanza all’elemento acqua, oltre
che all’Arcangelo Raffaele e all’Angelo (o Testa d’Uomo) che
simboleggia l’Evangelista Matteo (a Marco è abbinato il
Leone Alato e l’elemento fuoco, a Luca il Bue Alato e
l’elemento terra, a Giovanni l’Aquila e l’elemento aria).
Secondo la tradizione cattolico-cristiana, infatti, Raffaele,
6
Particolare del Foglio Cary
(Cary Sheet) stampato a
Milano o in Lombardia (1500
circa), Yale University
(Numero Inventario:
11032228).
La Temperanza, Giovanni
Andrea De Ferrari (15981669), Genova, Palazzo Tursi.
oltre ad essere un Arcangelo è anche o uno dei Serafini o
uno dei Cherubini, cioè gli ordini superiori di Angeli (Prima
Sfera). In particolare, gli Arcangeli Raffaele, Michele,
Gabriele e Uriel potrebbero essere i Serafini più prossimi a
Dio che ne circondano il trono con il ruolo di guardiani,
cantando la Musica delle Sfere e regolando, così il
movimento del cielo, secondo il volere divino. Oppure
potrebbero essere dei Cherubini, cioè i guardiani della luce e
delle stelle che risiedono oltre il trono di Dio.
In questo caso, ognuno dei quattro Arcangeli-Cherubini
possiede quattro ali e quattro facce: una di Testa d’Uomo,
una di Leone Alato, una di Bue Alato e una d’Aquila, appunto
gli esseri alati associati agli Evangelisti.
Tornando ai Tarocchi di Wirth, la carta XVII raffigura una
giovane donna nuda che potrebbe ricordarci una delle Muse
protagoniste del dipinto di Tiziano. La fanciulla sta versando
del liquido dalle brocche: con la mano destra in uno specchio
d’acqua; con la sinistra sul terreno erboso. Di questo
soggetto, Wirth (che certamente conosceva bene il quadro di
Tiziano, essendo un assiduo visitatore del Louvre) scrive: “È
una dea dolce e bella, come la giovane donna nuda
dell’Arcano XVII che versa in uno stagno il contenuto di
un’urna d’oro, da cui cola un liquido vivificatore dell’acqua
stagnante. A quest’anfora, tenuta con la mano destra,
corrisponde un’altra, tenuta con la mano sinistra, che riversa
sulla terra arida un’acqua fresca e fertilizzatrice. Questo
secondo recipiente è d’argento, come il primo è inesauribile.
La costante irrorazione tiene in vita la vegetazione … La
giovane donna dell’Arcano XVII sembra essere
un’incarnazione della grande divinità femminile adorata dai
nostri lontani antenati. È la personificazione della vita
terrestre … è la natura amabile, clemente e bella, madre
eternamente giovane che diviene la tenera amante dei
viventi”. La “dea dolce e bella” di cui parla Wirth è Ishtar che
lo scrittore associa a Venere, sia come divinità sia come
pianeta, da lui chiamato Stella del Mattino (le stelle a 8
punte raffigurate sulla carta). Un altro tema caro a Wirth
riguarda un simbolo molto antico, l’Ouroboros (l’Uroboro),
citato numerose volte nel suo libro I Tarocchi, il Serpente che
si morde la coda, ricreandosi continuamente e formando
così un cerchio, rappresenta la natura ciclica delle cose.
Secondo alcuni studiosi, questo simbolo è associato alla
forma della Via Lattea, perché anticamente era considerata
un enorme serpente di luce che risiedeva nel cielo e
circondava tutta la Terra. Nella traduzione in volgare di
Pietro Vasolli da Fivizzano, del testo Hieroglyphica di
Orapollo, quando l’autore descrive l’equivalente geroglifico
egiziano dell’Ouroboros, si legge: “Quando vogliono scrivere
il Mondo, pingono un Serpente che divora la sua coda,
figurato di varie squame, per le quali figurano le Stelle del
7
Mondo. Certamente quest’animale è molto grave per la
grandezza, si come la terra, è anchora sdruccioloso, perilche
è simile all’acqua: e muta ogn’anno insieme con la
vecchiezza la pelle. Per la qual cosa il tempo faccendo
ogn’anno mutamento nel mondo, diviene giovane. Ma
perché adopra il suo corpo per il cibo, questo significa tutte
le cose, le quali per divina providenza son generate nel
Mondo, dovere ritornare in quel medesimo”. Il libro
Hieroglyphica (di un autore ignoto soprannominato Orapollo
o Horus-Apollo o Horapollus) fu scoperto nel 1419 sull’isola
di Andros, fu tradotto in greco e, in seguito, fu portato a
Firenze da Cristoforo Buondelmonti (1386 – 1430), un
monaco geografo studioso di antiche civiltà (il testo
originario è custodito a Firenze, presso la Biblioteca
Laurenziana). Dalla fine del XV secolo in poi, il testo cominciò
a essere molto conosciuto dagli umanisti dell’epoca. Gli
Hieroglyphica esercitarono una notevole influenza sul
simbolismo del Rinascimento. La prima traduzione italiana è,
appunto, quella di Pietro Vasolli da Fivizzano, realizzata nel
1547.
Vediamo ora un’altra possibile interpretazione del dipinto di
Tiziano. Il giovane liutista potrebbe aver perso l’ispirazione: il
suo strumento non ha corde né foro sulla tavola armonica e,
parlando con il suo modesto interlocutore, sta cercando di
avvicinarsi a una forma d’arte più popolare. La fanciulla
seduta, che potrebbe rappresentare la Musa Euterpe (anche
lei presente nelle Carte di Mantegna), impersona una poesia
più pastorale (il significato del suo nome è colei che rallegra,
dal greco Ευτέρπη) ed è vicino ai due giovani per influenzarli
con la sua presenza. L’altra Musa volge le spalle ai due
giovani come se ormai avesse rinunciato a ogni speranza, o
mentre attinge alla fonte dell’ispirazione.
Un’altra simbologia esoterica potrebbe essere suggerita
dalla disposizione delle dita delle due Muse: Polimnia forma
un cerchio vuoto con le dita della mano destra che
indicherebbe una metafora sessuale di verginità, purezza,
virtù. Mentre il cerchio formato dalla mano di Euterpe,
deflorato dal flauto, alluderebbe ai piaceri della carne, a una
visione più terrena della vita.
Se il quadro fosse stato commissionato da Isabella d’Este,
che fu un’apprezzabile liutista e che riteneva gli strumenti a
corda superiori ai fiati (associati al vizio e al conflitto), si
potrebbe pensare a un messaggio rivolto al marito, capitano
di ventura, dopo un anno di cattività nella Repubblica di
Venezia. Francesco II Gonzaga fu tenuto prigioniero nella
città lagunare per circa un anno e fu liberato grazie ad
un’abile manovra diplomatica da parte della moglie e di papa
Giulio II, nel 1510. Oppure potremmo pensare a un
messaggio metaforico di Francesco II, che si trovava nella
stessa città dell’esecutore dell’opera, Tiziano o Giorgione,
8
diretto a Isabella, che, costretta dagli eventi della vita, aveva
perso quella spiritualità posseduta in gioventù. Isabella, che
considerava la poesia incompleta finché non veniva
trasportata in musica, aveva a corte i più abili compositori
dell’epoca per tale opera di completamento.
Il dipinto, da come appare in fotografia, richiederebbe un
restauro. Tutta la fascia alta del quadro, dalla chioma della
quercia di sinistra alla nuvola sulla destra, mostra dei
depositi di sporco, così come le tre figure centrali.
N. Iconclass 35: Pastorals, Arcadian scenes.
Dati musicali
Esecutori, partecipanti
Personaggi Due giovani seduti.
Due fanciulle nude.
Un pastore.
Identificazione Un liutista e un ascoltatore.
Una flautista e un’ascoltatrice che impersonano due figure
allegoriche.
Un pastore che ascolta in lontananza.
Azione Il giovane uomo sta per, o ha finito di, suonare un liuto.
La giovane donna sta per, o ha finito di, suonare un flauto.
Oggetti musicali, strumenti
Tipo di strumento
N. Sachs
Liuto.
321.321.
Flauto dolce (gruppo dei legni): 421.221.12
aerofono labiale (flauto Soprano in sol,
che oggi chiamiamo Contralto o Alt).
Era spesso costruito con legno d’acero.
Il flauto dolce si distingue per la
presenza di 8 fori (7 frontali più il
portavoce).
Liuto: cordofono a corde pizzicate.
Riferimenti bibliografici
FREGOLENT, ALESSANDRA, Giorgione, Milano, Electa, 2001.
GIBELLINI, CECILIA (a cura di), Tiziano, I Classici dell’arte, Milano, Rizzoli, 2003.
KRÉN, EMIL – MARX, DANIEL, WEB GALLERY OF ART (WGA).
MOAKLEY, GERTRUDE, The Tarot Cards Painted by Bonifacio Bembo to Visconti-Sforza family, New
York, New York Public Library, 1966.
VALCANOVER, FRANCESCO, L’opera completa di Tiziano, Milano, Rizzoli, 1969.
WIRTH, OSWALD, I Tarocchi, Roma, Mediterranee, 1973 (titolo originale dell’opera: LE TAROT DES
IMAGIERS DU MOYEN AGE, Paris, Claude Tchou, 1966).
ZUFFI, STEFANO, Tiziano, Milano, Mondadori Arte, 2008.
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