Università degli studi “LA SAPIENZA” di Roma

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Università degli studi “LA SAPIENZA” di Roma
Facoltà di Psicologia
Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica
Dottorato di Ricerca in Psicologia Clinica, Dinamica e dello Sviluppo
XVIII Ciclo
Obesità e relazione di coppia: modelli di attaccamento romantico e
funzionamento di coppia
Discussione tesi A.A. 2005-2006
Tutor
Prof.ssa Malagoli Togliatti Marisa
Cotutor
Prof.ssa Ortu Francesca
Dottoranda
Dr.ssa Anna Lisa Micci
Indice
INTRODUZIONE
CAPITOLO
I:
LA
RELAZIONE
DI
COPPIA:
ATTACCAMENTO
E
DINAMICHE
RELAZIONALI
Premessa
1.1 La scelta del partner e la formazione della coppia
5
1.2 Il legame di attaccamento lungo il ciclo di vita
11
1.3 Caratteristiche distintive del legame di attaccamento adulto
14
1.4 Il trasferimento della base: il rapporto di coppia
16
1.5 Dinamiche relazionali lungo il ciclo di vita
21
CAPITOLO II: LA COPPIA FRA NORMALITÀ E PATOLOGIA
2.1 Il cambiamento della coppia: stabilità, conflitto e crisi
30
2.2 L’attaccamento insicuro e il suo prosieguo nella vita di coppia
35
2.3 Il sintomo nella coppia
43
CAPITOLO III: OBESITA’: ASPETTI MEDICI E PSICOLOGICI
Premessa
3.1 Il significato semantico e culturale dell’obesità
58
3.2 Le ipotesi psicogenetiche dell’obesità
61
3.3 La valutazione dell’obesità
69
3.4 Dati epidemiologici sull’obesità
69
3.4.1 La prevalenza del sovrappeso e dell’obesità in bambini e adolescenti
77
3.4.2 La prevalenza del sovrappeso e dell’obesità in età adulta
80
3.5 La prospettiva multidimensionale dell’obesità
83
3.6 Caratteristiche mediche della patologia
85
3.7 Comorbilità psichiatrica nell’obesità e nei disturbi alimentari
88
3.7.1 Obesità e psicopatologia
89
3.7.2. Binge Eating Disorder e psicopatologia
95
3.7.3 Night Eating Syndrome e Psicopatologia
101
3.8 Caratteristiche del funzionamento familiare nell’obesità
115
3.8.1 La famiglia d’origine dei soggetti obesi
121
3.8.2 La famiglia acquisita del soggetto obeso
129
3.8.3 Un programma comportamentale basato sulla famiglia
131
CAPITOLO IV: LA RICERCA
4.1 Inquadramento teorico
134
4.2 Principali elementi del disegno di ricerca
136
4.2 Metodologia
137
4.3 Analisi dei risultati
145
CAPITOLO V: CONCLUSIONI
Premessa
5.1 Discussione dei risultati
183
5.2 Elementi di criticità del lavoro di ricerca
188
5.3 Conclusioni e prospettive future
190
Allegato 1: Faces III
191
Allegato 2: Ecr
194
Allegato 3: Cartella clinica
197
Allegato 4: Cartella clinica di controllo
200
BIBLIOGRAFIA
202
Particolari ringraziamenti vanno alla prof.ssa Marisa Malagoli Togliatti che con la sua attenzione
e scrupolosità ha donato a questo lavoro un maggior pregio, alla prof.ssa Francesca Ortu che con
il suo interesse ha stimolato nuove connessioni fra pratica clinica e letteratura, ed alla prof.ssa
Gloria Scalisi che ha contribuito in modo importante ad apportare un impianto metodologico e di
analisi dei dati adeguata alla complessità dei dati raccolti.
Si ringrazia di cuore inoltre la dr.ssa Elisa Forte che ha permesso al progetto di ricerca di
diventare una importante realtà non solo concretizzando la ricerca ma anche fondando il primo
Centro Integrato per la cura dell’Obesità e delle Malattie Metaboliche, nel territorio della
provincia di Latina.
Introduzione
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo
XVIII ciclo
…Il silenzio, la sofferenza della coppia non è soltanto un passivo ineliminabile in ogni
rapporto umano: racchiude pure un valore prezioso, assoluto.
Basta saperlo cercare. E volerlo fare.
(Italo Calvino)
Introduzione
Il presente lavoro va a collocarsi in una cornice teorica ancora tutta da costruire.
La gravità della patologia obesità, l’inaspettata diffusione della malattia e la resistenza al
trattamento, fanno di questa uno dei più difficili problemi medici e psicologici della società
moderna. L’obesità, infatti, è una patologia, seppur molto diffusa (il 42% della popolazione
compresa fra i 18 ed i 65 anni soffrono di obesità in Italia), ancora poco studiata, dal punto di
vista psicologico, nei suoi aspetti specifici.
Le stime della diffusione dell’obesità tra gli adulti italiani ricopre in più del 40% della
popolazione italiana, con prevalenza fra i soggetti maschi. La diffusione è più alta nelle
regioni meridionali e nelle zone insulari con particolare incidenza nelle fasce a status socioeconomico basso ed è maggiore con l’avanzare dell’età.
La complessità di tale condizione è dovuta al fatto che si tratta di una patologia multifattoriale
e del tutto eterogenea sia dal punto di vista medico che dal punto di vista psicologico. Proprio
a causa di questa eterogeneità non figura né nel DSM-IV né in altre classificazioni
psichiatriche sebbene sia una patologia molto diffusa e derivi e/o comporti cause e
conseguenze psicologiche.
Molta attenzione è stata data alla prevenzione dell’obesità andando a condurre numerose
ricerche relative all’obesità in età evolutiva, considerando il rapporto diadico madre-figlio o le
relazioni all’interno della famiglia d’origine; ulteriore attenzione è stata fornita agli aspetti
connessi all’immagine corporea e di conseguenza agli approcci possibili di tipo cognitivocomportamentali. Altri studi si sono focalizzati sulle caratteristiche psicologiche in presenza
di psicopatologie correlate come la Night Eating Syndrom (NES) o il Being Eating Syndrom
(BES).
Infine, un focus di studi è stato centrato sulle ricadute psicologiche correlate agli aspetti
medici, nello specifico all’intervento di bypass intestinale.
I
Introduzione
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XVIII ciclo
Solo in questo ultimo caso l’oggetto di analisi era la coppia coniugale e solo in questo filone
di studi è stato possibile osservare il funzionamento della coppia coniugale in presenza di un
tale sintomo.
Studi simili si sono sviluppati recentemente su tematiche inerenti il funzionamento di coppia e
l’ “attaccamento romantico” (definizione utilizzata da molti autori come Feeney, Hazan e
Zeifman), prendendo in considerazione però altre tipologie di disturbo del comportamento
alimentare (come l’anoressia nervosa e la bulimia).
Date tali premesse il presente lavoro di ricerca va ad approfondire tematiche attuali in un
campo completamente carente di riferimenti sperimentali legati nello specifico all’obesità.
Tale mancanza da un lato ha incoraggiato una sperimentazione che andasse a supportare
anche un possibile sviluppo di approcci integrati per il trattamento dell’obesità ma dall’altro
lato non ha favorito l’adesione ad altri modelli teorici per la discussione dei dati ne ha
permesso altresì un confronto con altri risultati significativi ottenuti nel passato.
La motivazione specifica di questo lavoro volge non solo ad esaminare la letteratura in merito
ma anche ad approfondire le conoscenze sul funzionamento della coppia in cui uno dei
partners è obeso. L’obiettivo è stato quello di individuare le dinamiche relazionali e le
caratteristiche dell’ “attaccamento romantico” nelle coppie in cui il sintomo obesità insorge in
età adulta.
La prospettiva con la quale questo lavoro va letto è indubbiamente una prospettiva sistemicorelazionale che guarda al sintomo come ad un messaggio all’interno di una relazione; il
mantenimento di un sintomo, in questa accezione, si verifica solo se viene mantenuto da
modelli interattivi in corso.
Il sintomo ed il suo contesto interpersonale sono dunque concepiti come parti di una serie di
meccanismi di comportamento che si autoperpetuano.
L’articolazione del lavoro quindi ha inizio (capitolo I) con alcune considerazioni teoriche
sulla coppia “funzionale” partendo dalla riflessione relativa al processo, di formazioneconsolidamento-crisi della coppia, considerato come un percorso che abbraccia diversi ambiti
disciplinari e trova la sua originalità nel dialogo che tali ambiti hanno intrapreso.
A partire da tale premessa il primo capitolo ha come obiettivo quello di descrivere e discutere
criticamente gli importanti apporti teorici legati al ciclo vitale della coppia, approfondendo ed
II
Introduzione
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XVIII ciclo
integrando in particolare due approcci basilari per la comprensione del “processo coppia”: la
teoria dell’attaccamento e la teoria sistemica.
Sia la teoria dell’attaccamento sia la teoria sistemica, pur avendo radici diverse (psicoanalisi
ed etologia per la teoria dell’attaccamento, cibernetica ed approccio antropologico/sociologico
per la teoria sistemica) prendono l'avvio infatti dal presupposto per cui gli individui
approdano alla coppia portando con sé la propria “storia” personale che necessariamente
rende quella particolare relazione di coppia unica.
Particolare attenzione è stata centrata sulle dinamiche connesse alla relazione di coppia,
dinamiche che regolano nello stesso momento la relazione e l’individuo stesso. Si fa
riferimento ad esempio a concetti come:
o coppia interna, concetto che permette di concepire la relazione di coppia come quello
“spazio a due”, in cui viene dispiegata la coppia rappresentata;
o complementareità inconscia, dinamica che rende ogni coppia una diade a sé, fondata
sul sentimento di complicità;
o collusione di coppia. Per arrivare alla costruzione dell’intimità e della complicità di
coppia è necessario che entrambi i partner accettino e ricevano reciprocamente le
proiezioni l’uno dell’altro. All’interno di questo scambio, tuttavia, si vengono ad
instaurare aspetti collegati a una costante relazione negativa di ciascuno che si
organizza nel tempo con un incastro collusivo.
Partendo dalla scelta del partner e dalla formazione della coppia, in cui vengono analizzati
anche gli importanti apporti teorici forniti dalla psicoanalisi, si arriva ad analizzare il legame
di attaccamento lungo il ciclo vitale, le caratteristiche del legame di attaccamento romantico,
la costruzione del rapporto di coppia ed infine le dinamiche relazionali lungo il ciclo vitale
della coppia.
Nel capitolo II si passa ad analizzare i diversi ostacoli che mettono a dura prova l’equilibrio
relazionale ed individuale nel percorso della coppia.
Tale analisi apre distinti orizzonti su tematiche importanti che conducono il dialogo teorico su
un continuum fra normalità e patologia, o meglio fra funzionalità e disfunzionalità della
relazione di coppia.
III
Introduzione
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo
XVIII ciclo
Nel presente capitolo si affrontano tali tematiche attraverso due particolari lenti: il
cambiamento della relazione lungo il ciclo vitale della coppia, il difficile percorso
dell’attaccamento insicuro lungo il ciclo vitale e l’insorgenza del sintomo nella coppia.
Le argomentazioni riportate vanno a toccare aspetti individuali e di coppia costruendo in tal
modo una continua “danza” fra questi due livelli.
Tra i vari contributi teorici approfonditi, particolare attenzione è stata data al modello
epigenetico di Wynne, modello che permette una comprensione fluida della “danza” fra
aspetti individuali ed aspetti di coppia; alla descrizione del ciclo vitale della coppia, ponendo
particolare attenzione agli eventi critici ed ai compiti di sviluppo che una coppia deve
affrontare; ed infine ai modelli della teoria dell’attaccamento adulto con specifica attenzione
all’interconnessione fra i modelli di attaccamento e le dinamiche relazionali conseguenti.
Si arriva quindi ad affrontare la difficile tematica dell’insorgenza del sintomo all’interno della
relazione di coppia, tematica trasversale a tutto il lavoro di ricerca, per poi procedere (capitolo
III) verso la descrizione della patologia dell’obesità nella sua complessità ed eterogeneità
dovuta a molteplici fattori, organici e non organici, medici e psicologici, familiari e culturali.
La complessità della tematica rende anche tale patologia poco studiata rispetto alla diffusione
che essa ha sulla popolazione odierna.
Il capitolo si dispiega in questa complessità cercando di dare una lettura completa degli aspetti
caratteristici di tale patologia, cercando di abbracciare tutti i fattori concorrenti
nell’insorgenza e nel mantenimento dell’obesità: aspetti culturali, medici, psicologici,
psicopatologici e familiari.
Da qui si diparte il lavoro di ricerca (capitolo IV) che vede come obiettivo generale quello di
esplorare e descrivere il funzionamento della coppia con membro obeso, confrontandolo con
un gruppo di coppie di controllo, attraverso lo studio di due dimensioni base del processo di
una coppia: il funzionamento relazionale e l’attaccamento romantico.
Tali dimensioni sembrano essere l’asse portante della buona crescita di una coppia pertanto
sembra fondamentale uno studio che vada ad analizzare proprio queste dimensioni in coppie
che invece sembrano esprimere, attraverso il sintomo dell’obesità, un disagio anche
relazionale.
IV
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
CAPITOLO I
LA RELAZIONE DI COPPIA: ATTACCAMENTO E DINAMICHE RELAZIONALI
Il percorso teorico della riflessione relativa al processo di formazione-consolidamento-crisi,
è un percorso che abbraccia diversi ambiti disciplinari e trova la sua originalità nel dialogo
che tali ambiti hanno intrapreso. A partire da tale premessa il presente capitolo ha come
obiettivo quello di descrivere e discutere criticamente gli importanti apporti teorici legati al
ciclo vitale della coppia, approfondendo ed integrando in particolare due approcci basilari
per la comprensione del “processo coppia”: la teoria dell’attaccamento e la teoria
sistemica. Sia la teoria dell’attaccamento sia la teoria sistemica, pur avendo radici diverse
(psicoanalisi ed etologia per la teoria dell’attaccamento, cibernetica ed approccio
antropologico/sociologico per la teoria sistemica) partono infatti dal presupposto per cui gli
individui approdano alla coppia portando con sé la propria storia personale e di relazioni
che necessariamente rendono quella specifica relazione di coppia “unica”.
Particolare attenzione è stata centrata sulle dinamiche relazionali connesse alla relazione
di coppia, dinamiche che regolano nello stesso momento la relazione e l’individuo stesso. Si
fa riferimento ad esempio a concetti come:
o coppia interna. Concetto che permette di concepire la relazione di coppia come
quello “spazio a due”, in cui viene dispiegata la coppia rappresentata;
o complementarietà inconscia. Dinamica che rende ogni coppia una diade a sé,
fondata sul sentimento di complicità;
o collusione di coppia. Scambio reciproco fra i partner di proiezioni l’uno dell’altro,
all’interno del quale si vengono ad instaurare aspetti collegati a una costante
relazione negativa di ciascuno che si organizza nel tempo con un incastro collusivo.
Partendo dalla scelta del partner e dalla formazione della coppia, in cui vengono analizzati
anche gli importanti apporti teorici forniti dalla psicoanalisi, si arriva ad analizzare il
legame di attaccamento lungo il ciclo vitale, le caratteristiche del legame di attaccamento
romantico, la costruzione del rapporto di coppia ed infine le dinamiche relazionali lungo il
ciclo vitale della coppia.
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Premessa
La vita nasce dalla coppia (Holmes, 1999). Fin dalla prospettiva Bowlbiana la ricerca sulla
formazione, il mantenimento e la fine di una relazione di coppia sono stati temi centrali
dell’esistenza adulta. Tuttavia non risulta semplice riflettere in termini teorici sulla coppia.
Diverse aree disciplinari hanno tentato di proporre teorie specifiche sulla coppia, fra le quali si
deve menzionare l’area psicoanalitica con Klein e Bion, l’area interpersonale attraverso la
tradizione sistemica e l’ambito della teoria dell’attaccamento.
I concetti fondamentali dell’ambito psicoanalitico sono quelli della proiezione e
dell’identificazione proiettiva e la loro estensione nel contesto terapeutico, rappresentato dal
concetto di transfert. Ciascuna componente della coppia è sia fonte che ricettacolo di
proiezioni e di percezioni transferali (ibidem).
Un membro della coppia, ad esempio, può esprimere sentimenti di rabbia e disappunto
provenienti dall’inconscio dell’altro. In questa prospettiva e partendo da questi concetti
basilari, se la relazione di coppia viene minacciata, gli individui che provano questi stati
d’animo provano timore di perdere queste parti di sé scisse, nel caso si separino. Allo stesso
tempo ciascun membro della coppia può percepire e trattare l’altro come se rappresentasse un
primitivo oggetto interno.
Spesso i partner vengono scelti perché appaiono estremamente diversi dagli oggetti genitoriali
introiettati e successivamente si rivelano, a causa del modellamento inconscio reciproco
proprio dello stare di coppia, o misteriosamente simili a quello che si voleva evitare o
insoddisfacenti perché i partner sono molto diversi da quello che ci si aspettava e che si
conosceva.
Date tali premesse la teoria psicoanalitica si è posta poi la necessità di avere dei criteri
normativi per distinguere le coppie in crisi rispetto a quelle che vengono considerate
“normali”. A tal fine la tradizione kleiniana si è avvalsa proprio della distinzione del
funzionamento tra la posizione schizoparanoide e quella depressiva. In quest’ottica i problemi
di coppia hanno molta probabilità di emergere quando ciascun partner tratta l’altro come un
prolungamento di se stesso, quando esiste una rigida scissione e una divisione dei ruoli o
quando un membro della coppia si sente perseguitato dal proprio partner soprattutto se ha
provocato inconsciamente quella persecuzione.
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
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D’altro canto la coppia probabilmente funzionerà bene quando i partner potranno vedere
l’altro come un essere umano totale, una combinazione di buono e cattivo, e saranno in grado
di accettare le inevitabili differenze e separazioni che sono l’altra faccia dell’intimità e della
passione.
La tradizione sistemica, nata dalla cibernetica e dalla prospettiva antropologica/sociologica,
considera come punto di partenza la coppia come un sistema nel quale i singoli membri sono
delle sottounità. In questa concezione i temi fondamentali sono:
o Il mantenimento di un confine intorno alla coppia, che risulti sufficientemente
permeabile ai bambini e ad altri, mantenendo allo stesso tempo l’intimità che
garantisca alla coppia la sua privacy e la sua distinzione come unità.
o Il potere relazionale all’interno della diade: una relazione che risulti contrattuale e
quanto le negoziazioni in merito siano basate sul rispetto reciproco o siano dominate
dalla dominanza o dalla sottomissione.
o I ruoli: come vengono suddivisi e quanto rigidamente ci si aderisca.
o La comunicazione tra i membri della coppia: quanto aperta o ristretta sia, i principali
canali attraverso i quali viene condotta, e se sia prevalentemente di natura strumentale
o affettiva.
Secondo questa prospettiva i criteri normativi che descrivono una coppia ben funzionante
riguardano quella coppia che è protetta da un confine capace di condividere il potere e i ruoli
secondo una modalità flessibile ed intercambiabile, avendo un contratto implicito e aperto
chiaramente aderente alle loro aspettative, con canali di comunicazione ampi ed aperti, e con
la capacità di provare un reciproco piacere.
Infine il terzo ambito disciplinare della teoria dell’attaccamento pone le sue radici nella teoria
psicoanalitica e nell’etologia. Tale teoria è sia monadica che sistemica e quindi sembra un
veicolo ideale per riflettere sulla coppia. Le aree principali dell’attaccamento applicabili
all’individuo, alla coppia e alla famiglia comprendono il concetto di:
o base sicura, considerato nella prospettiva adulta come una rappresentazione della
sicurezza all’interno della psiche individuale. Gli adulti che si mostreranno autonomi
avranno, oltre che la capacità di avere un contatto fisico con la persona amata, anche
una zona di base sicura interna alla quale potranno tornare nei momenti di maggiore
stress, soprattutto come parte della regolazione affettiva. Le varianti patologiche del
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comportamento che sottostà al concetto di base sicura includono l’utilizzo di cibo per
trovare conforto, l’abuso di sostanze, la masturbazione compulsiva o i comportamenti
auto-lesionistici.
o Esplorazione e gioco: l’interazione sociale e la capacità di provare piacere reciproco
(sia sessuale, sia nel gioco sia intellettuale) è di fondamentale importanza per la
coppia.
o Protesta e assertività. Da una prospettiva dell’attaccamento la rabbia viene attivata
dalla minaccia della separazione e ha la funzione di rassicurare che il legame di
attaccamento rimanga intatto e viene spesso provocata quando un membro della
coppia non è capace di fare proprio il punto di vista dell’altro. Il non avere la capacità
di riflessione porta ad ignorare i sentimenti dell’altro e conduce inevitabilmente ad
attivare la protesta. L’essere assertivi aiuta le persone a fuggire dalla trappola della
sottomissione o della rabbia incontrollabile, permettendo di utilizzare la rabbia per
ristabilire efficacemente i legami di attaccamento e di mantenere la base sicura.
o Perdita, concetto base della formazione della coppia: stare insieme significa perdere lo
stato di single, la libertà sessuale, ed essere in coppia significa correre il rischio che la
persona che si ama possa essere perduta.
o Modello operativo interno 1 . Ciascun membro della coppia porta all’interno della loro
relazione una serie complessa di modelli operativi, schemi, script e/o relazioni
oggettuali. I partecipanti alla relazione sono attratti l’uno all’altro se esiste una serie di
corrispondenze tra i loro mondi interni. Ciascun partner deve conoscere
coscientemente o inconsciamente i passi della danza dell’altro.
o Funzione riflessiva e competenza narrativa, hanno una valenza importante nelle coppie
perché introducono il concetto di autoriflessione e di consapevolezza del noi.
Tali premesse teoriche aiutano a rafforzare la consapevolezza per cui così come per
l’individuo e per la coppia, anche per le teorie vale il concetto secondo il quale l’esplorazione
e l’incontro non sono possibili fin quando non si sia stabilito un senso di sicurezza, un
linguaggio condiviso e una serie di assunzioni siano state costituite prima che abbia inizio
1
Modello operativo interno: termine scelto deliberatamente come un’”azione verbale” che potrebbe includere i
processi pratici-scientifici piagetiani per mezzo dei quali i bambini costruiscono il loro mondo interno
(Bretherton, 1999). In altri termini il concetto di modello operativo interno si rifà al concetto di “schema” della
teoria cognitiva, ossia fondamentali e relativamente immutabili assunti su di sé e sulle relazione.
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un’adeguata capacità di pensiero. La creatività emerge quando diverse discipline iniziano a
dialogare insieme all’interno di un setting comune.
1.1 La scelta del partner e la formazione della coppia
Diversi sono i fattori che motivano la scelta del partner ma di sicuro i motivi principali sono
legati ai bisogni biologicamente determinati (in quanto finalizzati alla sopravvivenza della
specie) del sistema di attaccamento-accudimento e di quello sessuale. La scelta del partner
risulta essere il risultato del mandato familiare e della ricerca del soddisfacimento di bisogni
personali più intimi. Per mandato familiare si intende “il compito più o meno esplicito
assegnato a ciascun membro della famiglia riguardo a una serie di ruoli da ricoprire e di
scelte da fare (nel caso specifico, la scelta di un partner, anche se il mandato si riferisce ad
una gamma molto più ampia di scelte), derivante dal mito e dalla storia della famiglia”
(Angelo, 1999 pag. 25). Quando le pressioni del mandato dalla famiglia di origine sono molto
forti i criteri di selezione saranno legati alle caratteristiche esteriori, al ruolo, alla posizione
sociale ed economica, ai comportamenti del partner e a tutti gli altri elementi corrispondenti
alle aspettative, sia implicite che esplicite del mandato familiare.
Qualora, invece, si verifichi una ribellione, più o meno consapevole, rispetto ad esso si
verifica la tendenza a scegliere un partner con caratteristiche opposte da quelle richieste dal
mandato. In quest’ultimo caso, che si verifica soprattutto quando si ha alle spalle una storia
familiare particolarmente tormentata o infelice con un carico notevole di aspettative
compensatorie, si assiste ad un’opposizione rispetto ad una serie di vincoli affettivi e
relazionali sentiti come limitanti lo sviluppo e la libertà personale. La scelta o la ricerca di
determinate caratteristiche di un eventuale partner è effettuata attraverso dei meccanismi di
“attenzione selettiva”, volta a cogliere specifici elementi nell’aspetto o nel comportamento di
una persona, e una contemporanea “disattenzione” altrettanto selettiva, che porta a trascurare
altri aspetti che potrebbero entrare in contrasto con il mandato familiare o che potrebbero
rendere problematica la relazione. L’influenza che esercita il mandato familiare sulla scelta
del partner dipende anche dal grado in cui l’individuo si sia differenziato rispetto al suo
sistema familiare e dalla sua capacità di aver elaborato e risolto le sue relazioni con le figure
familiari più significative.
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Significativi saranno anche il tempo e il contesto all’interno del quale la scelta si verifica: chi
inizia un rapporto in età adolescenziale non può avere le stesse aspettative di chi lo inizia in
età più matura. Attraverso il proprio partner si verifica la trasmissione e l’elaborazione del
mito, per cui la formazione della coppia è la risultante, in tale prospettiva, dell’intreccio tra i
miti individuali dei due partner. A prescindere dal ruolo di delega (esplicita o implicita)
esercitato dal mandato familiare, si ritiene che quanto più le relazioni nella famiglia di origine
siano state prive di conflitti irrisolti, tanto più la scelta del partner risulta essere libera rispetto
ai vincoli transgenerazionali.
I problemi relazionali presenti in una famiglia, infatti, diventano automaticamente i problemi
di ciascun membro che ne fa parte, influenzandone le aspettative e i comportamenti nelle
relazioni significative future. Gli elementi conflittuali tra i propri genitori, ad esempio,
costituiscono il termine di paragone che i figli utilizzano all’interno della relazione con il
proprio partner, cercando di elaborarli e risolverli. In tale prospettiva il partner risulterà più
adatto quanto più fa intravedere la possibilità di sciogliere i nodi problematici del passato
(Angelo, 1999).
Secondo i due psicoanalisti americani Weiss e Sampson (1993) la coazione a ripetere sarebbe
una tendenza a riproporre le proprie problematiche relazionali irrisolte all’interno delle nuove
relazioni, attraverso una serie di “test”, che servono per mettere alla prova (nel senso di
confermare o, finalmente, disconfermare) le proprie aspettative negative. Qualora il partner
sia in grado di superare la situazione di “esame” con comportamenti rassicuranti, la persona
ha la possibilità di abbandonare, di volta in volta, le sue manovre difensive che le
impediscono un coinvolgimento affettivo autentico.
Tra gli altri elementi che sembrano avere particolare rilevanza nella scelta del partner si
ritrovano il riconoscimento, in entrambi i partner, di una esperienza negativa condivisa (che
attenua la paura del rifiuto o dell’essere giudicato) e l’aver sviluppato strategie compensatorie
diverse rispetto a problemi di fondo condivisi, che dà a ciascun partner l’illusione che l’altro
sia perfettamente in grado di sopperire alle proprie mancanze. “Il desiderio di trovare
nell’altro il pezzo mancante del proprio puzzle esistenziale è talmente forte che gli elementi
personali che fanno da richiamo diventano attributi di identificazione totale” (Angelo, 1999).
Sono proprio i meccanismi di idealizzazione totale di sé e dell’altro che caratterizzano la fase
dell’innamoramento e la fase illusoria del primo contratto (Malagoli, Angrisani, Barone,
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2000). In tale momento iniziale ciascun partner propone inconsapevolmente una immagine
ideale di sé all’altro, il quale sarà tanto più attratto da questa quanto più corrisponda alla
soluzione illusoria dei propri bisogni profondi. Tale contratto è stato definito da Bowen
(1978) fraudolento, in quanto è realisticamente impossibile per entrambi i partner tenervi
fede. Se nella fase dell’innamoramento prevalgono massicciamente i meccanismi di
proiezione del soddisfacimento dei propri bisogni nell’altro, l’illusione di soddisfare e di
essere soddisfatti diventa il nucleo problematico con cui la coppia si confronterà nelle sue fasi
successive.
Affinché una relazione si sviluppi in maniera sana e matura, infatti, deve verificarsi che
ciascun partner accetti l’altro ed impari ad amarlo nella sua realtà e con tutti i suoi limiti,
anche se non corrisponde più al “salvatore” che aveva sognato di incontrare.
La coppia comincia ad assumere un’identità stabile nel tempo dal momento del matrimonio.
“Solo con il matrimonio, infatti, la coppia si trova ad affrontare tutta una serie di compiti che
implicano la costruzione di una relazione fondata sul ‘noi’, sulla condivisione, sull’empatia,
sulla collaborazione reciproca e su un impegno reciproco prolungato nel tempo” (Malagoli
Togliatti, Lubrano Lavadera, 2002 pag. 65).
Condizione necessaria affinché si passi dall’innamoramento all’amore, all’interno di un
rapporto fondato sulla condivisione e sull’empatia e che consenta al tempo stesso lo sviluppo
individuale, è il raggiungimento di una sufficiente autonomia e differenziazione dei due
partner rispetto alle proprie famiglie d’origine.
Con la formazione dell’identità della coppia ha inizio il ciclo vitale della famiglia.
I compiti che la coppia in questa fase si trova ad affrontare si articolano su due assi:
- orizzontale, rispetto alle funzioni che ciascun coniuge deve assolvere nei confronti dell’altro;
- verticale, rispetto ai compiti da assolvere in funzione di figlio rispetto ai propri genitori.
Rispetto al primo asse, la prima sfida che la coppia si trova ad affrontare è quella relativa alla
divisione dei ruoli e delle aree di competenza che ciascun partner deve assumere. È
importante stabilire chi si occupa del menage domestico, chi della gestione economica e
finanziaria, chi dell’area delle relazioni con l’ambiente sociale e così via.
Rispetto ai rapporti con le rispettive famiglie di origine la coppia deve acquisire e mantenere
un’identità distinta, pur riconoscendo e adottando alcuni aspetti da conservare e adottare. E’
importante sia che siano regolate le distanze di ciascun partner con la propria famiglia, sia
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della coppia con entrambe le famiglie, con confini chiari e definiti, ma, allo stesso tempo,
permeabili. L’equilibrio di una giusta distanza è facilitato naturalmente anche dal fatto che le
famiglie di origine stesse contribuiscano ad operare il cambiamento nei loro modelli di
relazione, favorendo l’uscita del proprio figlio ed accettando l’esclusività della relazione della
giovane coppia (ibidem).
Data la complessità dei processi caratterizzanti la funzionalità di un sistema familiare deve
essere sottolineata l’importanza del portare avanti l’osservazione di tali processi integrando
più orientamenti di studio con l’obiettivo di delineare dei modelli causali complessi che non
focalizzino singoli livelli funzionali e periodi finestra specifici del ciclo evolutivo.
Diviene così di estrema attualità l’ipotesi di lavoro di Wynne (1984) che purtroppo non ha
avuto a tutt’oggi un seguito organico a livello di progetti di ricerca che fornissero dati utili a
verificare (o falsificare) i principi teorici proposti.
L’autore, pioniere nel campo della terapia familiare e contemporaneo dei teorici
dell’attaccamento e degli studiosi nel campo dell’infant research, è partito dall’ipotesi
generale che i processi relazionali significativi possono essere distinti in un numero limitato di
dimensioni che seguono una certa sequenza di sviluppo basata sul principio dell’epigenesi.
Per spiegare tale principio Singer e Wynne così proponevano il loro studio sulla famiglia di
pazienti schizofrenici in una prospettiva integrata con quella che considera l’evoluzione a
livello biologico: « Gli interscambi o le transazioni si basano sul risultato di quelli precedenti.
Questo significa che in ogni fase dello sviluppo le influenze costituzionali ed esperenziali si
ricombinano per dar vita a nuove potenzialità biologiche e comportamentali che poi
contribuiscono a determinare lo stadio successivo. Se a una data fase di sviluppo le transazioni
vengono distorte o tralasciate, verranno alterate tutte le fasi successive perché vengono a
poggiare su un sostrato diverso. Secondo la nostra ipotesi è necessario che il contesto familiare
fornisca certi tipi di influenze in ogni fase del processo di maturazione dell’individuo. Ciò che
è adeguato e ciò che invece può avere delle conseguenze psicopatologiche varia nel tempo e
deve essere considerato in questo contesto evolutivo» (Singer, Wynne, 1965). Wynne è
interessato all’evoluzione dei “sistemi di relazione” indicando con tale termine i «modelli e le
caratteristiche dei processi interpersonali. All’interno di una relazione di ruolo, come marito e
moglie, processi e caratteristiche del rapporto variano nel tempo, anche se la “relazione” in un
certo senso resta immodificata dal punto di vista strutturale» (Wynne, 1986).
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In sostanza qualsiasi relazione familiare (genitore-figlio, marito-moglie, madre-padre-figlio
etc.) va studiata osservando la sequenza di sviluppo in base alla quale, sul piano sostanziale
oltre che formale, si costruisce il rapporto in senso funzionale o disfunzionale: «Questo
significa che ci si può aspettare che cambiamento “strutturale” ed evoluzione relazionale
spesso non siano sincronici.
Pertanto, l’approccio tradizionale al ciclo vitale della famiglia2 , definito soprattutto in termini
di cambiamento strutturale di ruoli in base a entrate e uscite dal sistema, è in un senso
ortogonale (perpendicolare) allo svolgimento dei processi di relazione» (Wynne, 1986).
Nello specifico l’autore fa riferimento al concetto di epigenesi proprio perché ritiene che
ciascuno stadio evolutivo si avvia e si realizza in base a quanto è avvenuto nello stadio
precedente. Tenendo presente il modello epigenetico, è possibile tener conto del fatto che i
diversi eventi critici, che determinano la necessità della famiglia di riorganizzare le proprie
relazioni per poter svolgere con successo i compiti evolutivi specifici ad ogni passaggio del
ciclo vitale, si verificano, per scelta o per caso, in diversi stadi dello sviluppo dei processi
relazionali: ad esempio si può ipotizzare una situazione in cui la nascita del primo figlio
(evento critico) avvenga quando una coppia ha raggiunto un buon livello di intimità
elaborando adeguatamente tutti gli stadi precedenti, oppure una situazione in cui lo stesso
evento critico si verifica quando la coppia si sta ancora cimentando nello stabilizzare il
rapporto attraverso la definizione di uno stile d’attaccamento e di modelli comunicativi
funzionali.
Si tratta di una distinzione che aiuta a comprendere l’importanza di valutare per ciascuna
famiglia, l’evoluzione in base al modello epigenetico. Le caratteristiche di ciascun processo
relazionale nello sviluppo sono:
1. Attaccamento: rappresenta la base dell’epigenesi del sistema relazionale. Si tratta di un
costrutto teorico che può essere applicato alla comprensione della costruzione del rapporto tra
bambino e caregiver, ma anche all’intero corso della vita (Carli, 1999): possiamo infatti
ipotizzare che la costruzione dei legami stabili tra adulti segua le stesse fasi della costruzione
del rapporto bambino-genitore, fino al definirsi di uno stile di attaccamento specifico. Secondo
2
Ci si riferisce qui alla prospettiva evolutiva che considera la famiglia come un sistema definito a livello
strutturale (ad esempio dal matrimonio o dalla nascita) che evolve in base all’elaborazione di diversi eventi
critici alla ricerca di una stabilità organizzativa (Scabini, 1998). Tale prospettiva non entra nel merito del
processo psicodinamico relazionale che porta due o più individui a divenire coppia o famiglia.
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Wynne la particolarità dell’attaccamento nell’adulto presenta alcune caratteristiche distintive
rispetto al bambino:
•
esso
ha
un’importanza
meno
rilevante
rispetto
ad
altri
sistemi
motivazionali/comportamentali;
•
si basa spesso maggiormente su relazioni di affiliazione tra pari;
•
prevalentemente rivolto verso una persona con cui si ha relazione anche sessuale.
2. Comunicazione: Wynne intende per comunicazione quel particolare processo relazionale in
base al quale si arriva a condividere i centri dell’attenzione e ad uno scambio reale di
significati. Considerata nei suoi aspetti verbali e non verbali, essa si basa sullo sforzo di due o
più persone di focalizzare l’attenzione selettivamente su percezioni, idee o sentimenti
condivisi conducendo a significati potenzialmente condivisi.
3. Soluzione congiunta di problemi. Immaginando un’evoluzione in base alla quale la coppia
ha definito un certo livello di stabilità attraverso l’attaccamento e la condivisione dei centri di
attenzione e dei significati attraverso la comunicazione, possiamo comprendere la particolarità
di questo nuovo processo relazionale. Il gruppo comincia a muoversi verso obiettivi comuni
oppure a cooperare per il raggiungimento di obiettivi individuali attraverso la condivisione
rinnovabile di compiti, interessi e attività.
4. Mutualità. Con questo termine Wynne indica la capacità degli individui e della famiglia nel
suo insieme di riconoscere e accettare difficoltà che non possono essere risolte all’interno della
struttura di forme precedenti di relazione e la capacità connessa di accettare la necessità di
rinegoziare delle regole per la trasformazione verso nuovi modelli di relazione, eventualmente
anche una separazione definitiva. In questo stadio si può così assistere a modelli di reimpegno,
rinnovo e approfondimento dei modelli di attaccamento, dello stile comunicativo e delle
modalità di soluzione congiunta dei problemi.
Una risorsa necessaria sembra essere la consapevolezza interazionale (Byng Hall,1995): la
consapevolezza delle caratteristiche della relazione e delle circostanze che la influenzano, vale
a dire di una metaposizione rispetto al sistema relazionale in cui si è inclusi.
5. Intimità. Più difficile, per ammissione stessa di Wynne (1984), la definizione di intimità
che può essere raggiunta al termine del processo evolutivo epigenetico. Non sempre infatti
essa è necessariamente presente al di là della mutualità. L’intimità rappresenta spesso un
ideale in una certa realtà storico-culturale.
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In base alle osservazioni di Wynne, derivate in ambito clinico attraverso lo studio di famiglie
anche gravemente disfunzionali, è possibile schematizzare per ogni stadio alcune
caratteristiche funzionali e disfunzionali. Ciò che è importante è l’ipotesi di un continuum tra
funzionalità e disfunzionalità che richiede una certa flessibilità nella valutazione.
1.2 Il legame di attaccamento lungo il ciclo di vita
Il sistema di attaccamento è, secondo Bowlby, parte integrante del comportamento umano:
esso accompagna infatti l’essere umano “dalla culla alla tomba” (Bowlby, 1969). Secondo la
prospettiva evoluzionista, sembra che tale sistema si sia evoluto per assolvere la funzione
biologica di proteggere i membri più giovani e/o deboli all’interno di gruppi di primati, al fine
di garantire lo sviluppo dell’individuo, nonché la sopravvivenza della specie stessa. Ne risulta,
quindi, che esso è particolarmente attivo nel periodo in cui l’individuo è per definizione più
vulnerabile e bisognoso di cure: l’infanzia. Il legame che il bambino instaura con i propri
caregiver e il tipo di cure ricevute in risposta ai propri bisogni rappresenta il modello
prototipico delle successive relazioni significative, influenzando le aspettative e guidando
sentimenti e comportamenti all’interno di esse.
Sebbene, quindi, la propensione a formare legami di attaccamento sia a base innata, il legame
che gli individui riescono ad instaurare sarà funzionale o meno a seconda delle dinamiche
delle cure genitoriali a cui si è stati esposti. Il concetto che spiega il senso di continuità tra
attaccamento in età infantile e tendenza a instaurare le relazioni affettive in età adulta è quello
di Modelli Operativi Interni (MOI). I MOI, che comprendono la rappresentazione sé-conl'altro significativo, si sono sviluppati in maniera complementare a quanto l’altro sia stato in
grado di fornire cure e supporto adeguati (Liotti, 2001). Pertanto, un bambino che fa
esperienza di figure genitoriali sensibili ed emotivamente responsive svilupperà un senso di
sé come amabile e degno di valore e dell’altro come disponibile, e una generale fiducia nei
confronti delle relazioni intime. Mentre, al contrario, un bambino che sperimenta
l’inaccessibilità, l’inadeguatezza, il rifiuto, l’indifferenza dei propri genitori svilupperà un
senso di sé come non amabile, dell’altro come inaffidabile e indisponibile e un senso generale
di diffidenza e di sfiducia rispetto alle relazioni intime. In altre parole, il modello che il
bambino si costruisce di se stesso riflette l'immagine che i genitori hanno di lui, comunicatagli
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attraverso il modo in cui viene accudito e attraverso ciò che gli viene detto; esso è pertanto
una rappresentazione di se stesso organizzata attorno alle aspettative di risposta delle figure di
accudimento.
Il modello di attaccamento che veicola la sicurezza, la fiducia e l’affetto reciproco nelle
relazioni significative viene definito “sicuro”, mentre i modelli di attaccamento che predicono
aspettative di indisponibilità, incostanza, inaccessibilità, o indifferenza nei rapporti intimi
vengono definiti “insicuri”.
Nei primi anni di vita, dunque, i MOI sono relativamente flessibili, in relazione ai
cambiamenti della qualità dell'interazione con le figure di accudimento, ma già nel corso dei
primi anni di vita cominciano a solidificarsi, fino a diventare schemi automatici e ad operare a
livello inconscio (Bowlby, 1988).
Essi, dunque, finiscono per diventare tendenzialmente caratteristiche della personalità del
soggetto, più che della relazione, così da contraddistinguere l’individuo nell’adolescenza e
nell’età adulta (Hazan, Shaver, 1987).
Secondo Bowlby, i MOI, una volta formatisi, sono in linea di massima stabili, in quanto
rappresentano delle lenti con le quali si guarda il mondo e si attribuisce significato agli eventi,
attraverso una tendenza che sembra essere quella delle ripetuta conferma delle proprie
aspettative.
E’ attraverso i modelli operativi interni, quindi, che i pattern di attaccamento dell’infanzia
sono trasferiti nella vita adulta e vengono trasmessi alla nuova generazione. Gli individui
tenderanno a riproporre, nell'accudimento dei propri figli i modelli di cure a cui sono stati, a
loro volta, esposti, perpetuando la trasmissione intergenerazionale degli stili di attaccamento
(Holmes, 1993).
L’attaccamento e la dipendenza verso le persone significative è una tendenza che si esplica
lungo tutto l’arco della vita, attraverso una serie di relazioni intime che hanno la funzione dei
primi legami importanti.
Verso i tre anni del bambino si comincia ad assistere ad una sua maggiore autonomia rispetto
ai propri genitori, in quanto si va formando gradualmente la fiducia nella stabilità della
relazione, che consente anche di tollerare periodi di separazione dalla figura materna con
minore angoscia.
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Contemporaneamente - con il progressivo sviluppo della locomozione, delle competenze
neurologiche e della sua crescente curiosità - si va sviluppando il sistema motivazionale
esplorativo che gli consentirà di allontanarsi sempre di più dalla madre per esplorare il
mondo, dapprima ricorrendo al solo sguardo del suo punto di riferimento, successivamente
anche in sua assenza, avendo interiorizzato la stabilità e la costanza della relazione con lei, al
di là della sua presenza fisica. Tale fenomeno è stato definito dalla Ainsworth “base sicura”,
in quanto il legame di attaccamento di tipo sicuro costituisce un porto che offre protezione
qualora ne sorgesse il bisogno e dal quale potersi allontanare, qualora il bisogno di essere
accuditi sia soddisfatto. Tali progressi consentono gradualmente al bambino di crearsi una rete
più estesa di relazione, a partire dai propri compagni di gioco e parenti e, successivamente,
con i propri compagni di scuola.
Con l’adolescenza si verifica un altro cambiamento fondamentale, contraddistinto sia per la
maturazione fisica che ad essa si accompagna e che fa entrare un individuo nel mondo degli
adulti, sia per il crescente bisogni di differenziazione e autonomia del ragazzo rispetto ai
propri genitori. In tale periodo, si assiste ad una tendenza da parte del giovane a ricercare un
rapporto stabile con un coetaneo, solitamente di sesso opposto, nel quale entrano in gioco sia
le dinamiche dell’attrazione che il sistema di attaccamento-accudimento, che aiuta il graduale
processo di indipendenza dai propri genitori, considerati lungo tutto l’arco della propria
infanzia le principali, se non esclusive, figure di riferimento.
Infatti, la fase finale della trasformazione del sistema di attaccamento dell’infanzia può
considerarsi compiuta proprio quando si verifica la scelta di una figura di attaccamento
adulto. Naturalmente non tutti le relazioni che si instaurano sono legami di attaccamento, in
quanto il legame di attaccamento è un legame affettivo esclusivo, un vincolo relativamente
duraturo con un partner considerato unico e non intercambiabile. In tali relazioni esiste un
desiderio intermittente di stabilire la prossimità al partner, si verifica gioia al momento della
riunione, disagio e sofferenza alle separazioni e lutto di fronte alla perdita della figura di
riferimento.
Si ritiene però che anche il raggiungimento di un livello ottimale di autonomia e la
formazione di un legame stabile con un partner, non implichi il venir meno dell’attaccamento
verso i propri genitori. Tale asserzione è supportata dal fatto che la perdita di un genitore in
età adulta costituisce un evento piuttosto penoso e, anche una volta elaborato il lutto, i MOI
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continuano ad esercitare la loro influenza, dimostrando che il legame di attaccamento a loro
rimane conservato. E’ probabile, per ragioni di tipo evoluzionistico, che la donna abbia una
tendenza a formare attaccamenti più forti e stabili, in quanto fisicamente più debole
dell’uomo. Inoltre, durante il periodo della gravidanza, investita da maggiori responsabilità di
accudimento, si manifesta un notevole incremento del bisogno di ricevere sostegno (fisico e
psicologico) da una o più persone di riferimento (in via privilegiata il partner e la propria
madre).
1.3 Caratteristiche distintive del legame di attaccamento adulto
A partire da quanto precedentemente esposto, è ben comprensibile come i legami di coppia
adulti richiamino per molti versi le caratteristiche dell’attaccamento infantile, sia attraverso la
ricerca di prossimità fisica al proprio partner, sia attraverso la fiducia nella sua disponibilità
nei momenti di bisogno, che attraverso la sofferenza e il disagio in seguito a separazioni,
perdite o anche a minacce alla stabilità della relazione stessa (Hazan, Shaver, 1994). Inoltre,
ci sono alcune evidenze che dimostrano come le basi chimiche del contatto fisico intimo
accomunino sia la coppia di amanti che la coppia madre-bambino, facilitando lo sviluppo di
un tipo di legame esclusivo (Hazan, Zeifman 1999).
Secondo Weiss (1991) due sono le sostanziali differenze tra attaccamento in età infantile e
attaccamento “romantico”. In primo luogo, mentre l’attaccamento infantile è unidirezionale,
in quanto il bambino (vulnerabile e bisognoso di cure) si lega alla persona che si prende cura
di lui e che attiva, quindi, nei suoi confronti il sistema dell’accudimento, l’attaccamento
adulto, invece, ha il carattere della reciprocità: entrambi i partner danno e ricevono a loro
volta protezione, affetto e sicurezza a seconda dei diversi momenti e stati di necessità. In
secondo luogo, la formazione del legame di coppia è determinata anche dal fatto che il
partner, oltre che essere il primo punto di riferimento affettivo è anche il partner sessuale.
Pertanto, la formazione dell’attaccamento nella coppia sembra costituito da tre diversi sistemi
reciprocamente interagenti:
1) il sistema di attaccamento (che implica la ricerca di aiuto e di disponibilità emotiva del
proprio partner);
2) il sistema di accudimento (che implica il prendersi cura e offrire sostegno ed aiuto al
proprio partner);
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3) il sistema sessuale (che determina l’attrazione verso il partner stesso). Anche gli adulti
hanno bisogno di qualcuno che li accudisca quando sono malati o stanchi, che li rassicuri, che
presti loro attenzione e che, in qualche modo, li protegga.
Tutti questi elementi contribuiscono non solo a determinare la formazione della coppia stessa,
ma anche il suo mantenimento e la sua durata. In particolare, alcuni studi sembrano
supportare l’ipotesi che l’attrazione reciproca e l’interesse sessuale giochi un ruolo maggiore
nella formazione della relazione, mentre lo stile di attaccamento influenzi il grado di
soddisfazione, il coinvolgimento, nonchè la durata della relazione stessa (Shaver, Hazan
1994). Diversi sono, infatti, gli studi che confermano l’ipotesi che nelle coppie in cui almeno
uno dei due partner ha un tipo di attaccamento sicuro i rapporti erano più stabili e
soddisfacenti (Kirkpatrick, Davis 1994; Kobak, Hazan C. 1991).
Hazan e Zeifman (1999) propongono di spiegare le fasi che caratterizzano la formazione di un
legame di attaccamento tra due partner adulti attraverso:
1. L’ attrazione. In tale fase la principale motivazione che spinge i due partner a cercare
di mantenere il più possibile la vicinanza è mediata dal sistema motivazionale della
sessualità. Ognuno dei due partner cerca di dare la migliore immagine possibile
all’altro e i contatti sono eccitanti.
2. L’ innamoramento. E’ una fase caratterizzata da maggiore intimità tra a due partner, i
quali cominciano a condividere le loro storie di vita. La condivisione di racconti così
personali ha la funzione di aumentare la conoscenza reciproca e, allo stesso tempo, di
“testare” la capacità di supporto e di ascolto dell’altro. La relazione diventa più
sdolcinata e vi è l’innalzamento dei livelli di arousal (che si manifestano attraverso
l’insonnia, il ridotto appetito e una sconfinata energia).
3. L’amore. In questa fase diminuisce la frequenza dei rapporti sessuali, mentre aumenta
sempre di più il supporto emozionale e la capacità dell’uno di fungere da “rifugio
sicuro” per l’altro, dove trovare accoglimento, affetto, calore e fiducia. L’acquisizione
della capacità di ciascun partner di rassicurare l’altro dà luogo alla comparsa di
un’altra componente dell’attaccamento: l’ansia da separazione, che deriva dalla
terribile consapevolezza che ove ci fosse un pericolo o un dolore da affrontare, l’altro
non ci sarebbe per aiutarlo e/o confortarlo.
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4. La vita quotidiana o attaccamento. E’ la fase in cui i segnali dell’amore non sono
così evidenti: gli scambi sessuali, il contatto fisico, il guardarsi e altri comportamenti
che formano il legame diminuiscono. Entrambi i partner sono legati da una mutua
interdipendenza emozionale, quasi non riconosciuta consapevolmente dagli stessi
protagonisti della relazione. Essi fungono da base sicura l’uno per l’altro, per cui –
così come per un bambino di due anni che ha un attaccamento sicuro e può cominciare
ad esplorare il mondo – possono dedicarsi ad altri interessi della propria vita che
magari sono stati tralasciati nelle fasi precedenti.
Il legame di attaccamento in età adulta sembra avere lo stesso ruolo di quello in età infantile:
assicurare la sopravvivenza e promuovere il successo riproduttivo.
I legami di coppia, infatti, non solo hanno una funzione puramente riproduttiva, ma anche
quella di provvedere con cure adeguate alla propria discendenza, in modo che anche essa
possa sopravvivere per riprodursi. A conferma di tale ipotesi, ci sono gli studi (Buss, 1989)
che dimostrano come nella selezione del partner riproduttivo sia le donne che gli uomini
danno priorità a qualità come la sensibilità e la competenza, presupposti per essere compagni
affidabili e buoni genitori per la propria prole (Hazan, Zeifman 1999). L’attaccamento di
coppia costituisce, appunto, uno dei filoni di ricerca che, nell’ambito della teoria
dell’attaccamento, ha avuto ampio sviluppo, con la messa a punto di strumenti che misurano
proprio l’attaccamento di individui adulti rispetto ai loro partner (Shaver e Hazan, 1987;
Bartholomew e Horowitz, 1991).
1.4 Il trasferimento della base: il rapporto di coppia
I rapporti di coppia rappresentano il prototipo del legame di attaccamento in età adulta: il
partner costituisce il principale punto di riferimento affettivo, la prima persona a cui ci si
rivolge nei momenti di bisogno e con cui condividere i momenti belli, oltre che essere il
partner sessuale.
Secondo il modello familiare tradizionale, la donna offre accudimento al marito svolgendo
una funzione che può essere definita “nutritiva”, prendendosi cura di lui, dei figli e della casa,
rappresentando il punto di riferimento affettivo della famiglia; mentre l’uomo ha una funzione
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“protettiva” nei confronti della propria compagna, garantendole sostegno e benessere
economico.
Attraverso il sostegno e accudimento reciproco, i due partner dovrebbero avere l’opportunità
di ampliare e sviluppare il proprio sé, entrando a pieno diritto nell’età adulta, promuovendo la
propria capacità personale di diventare individui autonomi e vincere le difficoltà che le
diverse fasi della vita e della coppia comportano (Cooklin, Barnes 1999).
La coppia può essere considerata una “base sicura” per esplorare le potenzialità di crescita del
proprio sé con l’altro, proprio come per il bambino la relazione con la madre rappresenta la
“base sicura” per esplorare il mondo e riconoscevi la propria autoefficacia.
Una relazione di attaccamento sicura costituisce una buona premessa per potersi coinvolgere
in una relazione di coppia sana, caratterizzata da una equilibrata interdipendenza tra bisogno
di attaccamento e realizzazione dell’autonomia. La possibilità che ognuno dei due partner ha
di assumere, alternativamente, il ruolo di “oggetto” (che riceve sostegno e cure) e di
“soggetto” (che offre sostegno e cure) contribuisce alla flessibilità ed all’equilibrio necessari
per vivere sia la dimensione dell’intimità che il bisogno di autonomia. Le basi fornite dalle
relazioni di attaccamento nell’infanzia costituiscono una premessa per superare anche quella
che viene definita la fase di disillusione che subentra dopo quella di innamoramento.
Nella fase della scelta del partner e dell’innamoramento ognuno dei due partner proietta
sull’altro una serie di aspettative inconsce e si genera l’illusione che le proprie speranze, i
propri bisogni insoddisfatti possano trovare risposta nell’unico e speciale oggetto del proprio
amore.
In generale, si può affermare che quanto più le persone hanno avuto storie di attaccamento
con genitori che hanno frustrato i propri bisogni e non hanno dato il senso di amabilità e di
valore al proprio bambino, tanto più tali bisogni riemergeranno nella relazione con il partner,
insieme all’illusione che verranno finalmente soddisfatti, che potranno curare le loro ferite
ancora aperte e risolvere i loro vecchi problemi irrisolti. Il senso di illusione che l’altro sia
l’unico al mondo in grado di rispondere ai propri bisogni si accompagna alla paura di essere
alla mercè dell’altro, in quanto possiede un potere spaventoso: “In una sorta di percezione
delirante, si è convinti che l’altro sia l’unico capace di dare una risposta a ciò che si va
cercando; l’altra faccia di questa medaglia è la paura che, se davvero l’altro è l’unico, allora
possiede su di noi uno spaventoso potere, inteso, questa volta, nella capacità di influenza e di
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dominio. L’innamorato avverte il rischio di essere alla mercè dell’altro: nella sua percezione
questi può riempire o svuotare di significato la sua vita, può dargli “l’estasi” o la
“dannazione”, al di fuori di qualsiasi controllo, persino in virtù del solo capriccio” (Vella et
al, 1997 p. 7).
Questa prima fase costitutiva della coppia può essere definita come un primo contratto
stipulato inconsapevolmente dai due contraenti (i partner) ed è costituita da una parte
cosciente, fatta di norme esplicite ed accordi consapevoli, ed una parte sommersa, che
rappresenta, appunto l’insieme di vincoli non consapevoli generati dalle aspettative/bisogni
inconsci. La sessualità in questo momento ha un valore fondamentale, in quanto permette di
accedere ad un alto grado di intimità e di fusione simbiotica con il partner, riattivando le aree
emotive primitive di entrambi. Durante l’innamoramento ognuno propone all’altro
un’immagine e ideale di Sé e in essa si rispecchia attraverso gli occhi dell’altro, ma tale
immagine non può che essere disillusa, in quanto non essendo corrispondente alla realtà,
decade quando i partner cominciano a conoscersi meglio.
Tutti i rapporti di coppia intensi attraversano la fase dell’illusione e dello stabilirsi del primo
contratto, ma non tutte le coppie sanno affrontare il passaggio dalla delusione alla disillusione
e, finalmente, allo stabilirsi di un secondo contratto. Quest’ultimo nasce consapevolmente
dall’impegno di entrambi i partner a creare un nuovo assetto, affrontando i limiti realistici di
sé, dell’altro e della relazione e trovando dei punti di forza sui quali basare una relazione
stabile e duratura. Le coppie che hanno sufficienti risorse sono in grado di “rinegoziare” il
primo contratto, sia attraverso un nuovo livello di regole stabilite, che attraverso una revisione
dell’immagine di Sé e dei bisogni profondi di entrambi. Mentre quelle che non riescono ad
accettare la delusione e a superare la crisi possono andare incontro a due diversi percorsi:
- Elusione della crisi, che può essere definita come una fuga dal riconoscimento della crisi e
un tentativo di rifugio nell’ “idillio”, che degenera, inevitabilmente, in una situazione di
stallo; apparentemente sembra di assistere ad un accordo di coppia, in presenza di un grave
sintomo in almeno uno dei partner e/o nella prole.
- Circuito della delusione, caratterizzato dal continuo tentativo di ripristinare gli elementi
illusori del primo contratto che porterà come conseguenza ad una nuova delusione e al
ripetersi continuo di tale ciclo, in quanto alla crisi saranno riproposti rigidamente sempre i
vecchi schemi. Tale tentativo di “soluzione” della crisi hanno la funzione patologica di
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proteggere le illusioni che hanno influenzato la scelta del partner, generando dinamiche
patologiche basate su taciti accordi. (Malagoli Togliatti et al., 2000).
Jackson (1977) definisce il contratto che la coppia fa all’inizio della relazione “quid pro quo
coniugale”. Esso consiste in una serie di regole che caratterizzano la relazione stessa, relative
ai compiti relazionali da svolgere. Tale contratto può essere inteso come il risultato
dell’incontro dei sistemi di credenze e di aspettative che i due contraenti della relazione
portano con sé (formati dall’esperienza all’interno della propria famiglia di origine, all’interno
del contesto socio-colturale in cui si è cresciuti). Secondo l’autore, nelle coppie sane i compiti
e i ruoli da assumere non sarebbero aprioristicamente determinati dal genere di appartenenza,
bensì dovrebbero essere ricercati e definiti in maniera flessibile, tenendo in considerazione le
inevitabili somiglianze e differenze tra i partner, nonché le peculiarità caratteriali di ciascuno
dei due e le fasi evolutive della coppia. Inoltre ritiene auspicabile, ai fini di un sano equilibrio
della relazione, che i due individui contribuiscano nella maggior parte dei compiti che una
famiglia richiede: lavorare, crescere i figli, occuparsi della casa, avere una vita sociale.
Le coppie che riescono a mantenere una complementarietà nel far fronte ai diversi compiti
sono quelle che più facilmente riescono a tenere un saldo equilibrio, in quanto il senso di
uguaglianza e di leadership condivisa sembra essere fondamentale per la riuscita della coppia.
In tali relazioni, che possono essere definite simmetriche, entrambi i partner sono impegnati
sia nel lavoro, che nello svolgimento dei ruoli parentali, anche se non nello stesso modo e
nella stessa quantità: la cosa fondamentale sembra essere il senso di condivisione delle
responsabilità e del valore dei rispettivi contributi di ciascuno, in vista del benessere comune
della coppia e della famiglia.
Nelle coppie con uno squilibrio persistente di potere e con una divisione rigida dei ruoli,
invece, si verificano spesso sintomi come stanchezza, diminuzione del desiderio sessuale,
depressione nelle mogli (perché sovraccaricate da responsabilità e non riconosciute nella
fatica del loro ruolo) e un più generale senso di insoddisfazione coniugale generale.
Per il buon funzionamento della coppia sembra, inoltre, fondamentale il senso di flessibilità e
adattabilità della stessa di fronte alle esigenze e ai cambiamenti della vita: la struttura della
famiglia deve essere salda e coerente, ma le regole devono poter essere rinegoziate in virtù
delle nuove necessità. Inoltre, soprattutto al giorno d’oggi – in un’epoca di grande complessità
e ambiguità, è importante la chiarezza nell’esplicitazione delle regole: entrambi i partner
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devono essere chiari ed espliciti nel ridefinire, di volta in volta, le loro idee e aspettative nel
confronti del matrimonio, del coniuge e di se stessi, al fine di evitare fraintendimenti che,
accumulandosi, finirebbero per creare frustrazione e conflitti (Walsh, 1999).
Willi (1996) ha provato ad identificare i principi funzionali delle relazioni di coppia, qui di
seguito esposti:
1. Principio di delimitazione. Si basa sulla considerazione che una coppia, per essere
funzionale, deve essere delimitata sia verso l’interno che verso l’esterno, attraverso un
giusto equilibrio tra la completa fusione e l’apertura verso l’esterno. Ad un lato
estremo di un continuum si ritrovano coppie che formano un unità fusionale,
rigidamente delimitate verso l’esterno, mantenendo impermeabili i loro confini
extradiadici. Tale forma di relazione, mentre è auspicabile e normale che si verifichi
nella fase di innamoramento, se perdura nelle fasi successive della relazione, porta ad
una perdita dei confini individuali e ad una totale chiusura della coppia al mondo che
non può non risultare dannosa. All’altro lato estremo del continuum, invece, si trovano
quelle coppie che, per paura della perdita di sé nel rapporto e dell’ intimità che una
relazione esclusiva comporta, mantengono una rigida barriera al loro interno
(impedendo un autentico contatto tra i partner) e confini extradiadici diffusi. Secondo
l’autore il giusto equilibrio sarebbe rappresentato da una chiara, ma permeabile
delimitazione della coppia verso l’esterno: i partner devono sentirsi parte della coppia
e, in quanto, tale, devono occupare un proprio spazio e avere una vita propria; al
tempo stesso, però, ognuno dei due partner deve mantenere una propria individualità.
2. Comportamento di difesa progressivo e regressivo. Fa riferimento al principio
secondo cui il rapporto intimo di coppia rappresenta, per certi versi, una situazione di
ambivalenza: da una parte, i partner sono spinti a regredire (nessuna relazione si
avvicina quanto il matrimonio all’intimità genitore-bambino che si vive nell’infanzia);
dall’altra, con una relazione matura, entrano a far parte a pieno diritto nel mondo degli
adulti, impegnandosi in una posizione progressiva che all’inizio non si possiede a
pieno (nessun altro rapporto necessità di un così alto gradi di identità, autonomia,
stabilità e maturità, come una relazione stabile ed impegnativa).
Secondo tale
principio, entrambi i partner dovrebbero poter regredire (cercando conforto e sostegno
nell’altro) e progredire, offrendo sostegno e aiuto all’altro. Nelle coppie disfunzionali
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si assiste, invece, ad una rigidità dei ruoli progressivo e regressivo (che generano una
perfetta collusione), in cui un partner assume unicamente la funzione maternizzante,
mentre l’altro la posizione richiedente.
3. L’equilibrio di valore. Fa riferimento al principio secondo cui in una relazione
equilibrata i partner avvertono un senso reciproco di equivalenza. Per equivalenza non
si intende solo la parità dei diritti e delle funzioni da espletare, bensì anche la parità
del senso di valore e dell’autostima che i partner avvertono. L’alterazione di tale
principio porta a relazioni in cui vi è un costante stato di tensione e conflitto tra il
dominante e il dominato, che mette in moto comportamenti distruttivi per distruggere
l’altro.
1.5 Dinamiche relazionali lungo il ciclo di vita
Portato a termine il delicato e complesso processo di formazione della coppia si può affermare
che i due partner abbiano inconsciamente “incastrato” i loro bisogni, le loro aspettative, le
loro storie, il loro essere individui.
Bisogna, però, sottolineare che il legame affettivo fra gli adulti, a differenza di quello
infantile, è composto da tanti e complessi elementi che coinvolgono tutti i livelli,
dall’organizzazione interna della regolazione fisiologica (somato-psichica), al livello delle
rappresentazioni delle relazioni interiorizzate, al livello dello scambio affettivo, oltrechè, alla
rete di appartenenza al gruppo culturale e sociale.
Di fronte ad una tale complessità, sarebbe troppo riduttivo una visione limitata ad un unico
modello interpretativo, infatti, recentemente si è venuta consolidandosi un’interessante
convergenza delle teorie psicoanalitiche delle rappresentazioni mentali con i presupposti di
fondo della “teoria dell’attaccamento”, condividendo tali modelli il presupposto di base
dell’importanza delle prime relazioni rispetto al resto della vita ed evidenziando entrambi la
centralità delle rappresentazioni mentali interne delle relazioni.
La teoria dell’alternanza delle motivazioni permetterebbe tuttavia di superare l’impasse
costituita dalla grande importanza attribuita alla relazione di attaccamento come unica chiave
di lettura anche della vita affettiva degli adulti.
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Infatti, non tutti i comportamenti affettivi degli adulti, e della vita di coppia in particolare,
possono essere letti in base a questo schema.
Le attuali ricerche sull’attaccamento negli adulti stanno mettendo in evidenza la necessità di
considerare una prospettiva più ampia. Non sembra più possibile, infatti, mantenere,
specialmente per gli adulti, la prospettiva di Bowlby che vedeva come separati i sistemi di
“attaccamento” e di “cura” 3 ; in realtà essi sono fortemente interdipendenti e possono essere
alternati.
Vi sono cioè una reciprocità e un interscambio mutuo e continuo, fra i partner, ed è anche per
questo che si parla appunto di incastro di coppia, a meno che una situazione patologica non
blocchi questa possibilità di mobilità, mentre il sistema di attaccamento infantile appare
largamente unidirezionale all’interno delle dinamiche infante-genitore.
Inoltre, si può affermare che l’intensità dell’attaccamento nella coppia sembra maggiormente
dipendente dal gioco della reciproca interazione tra i vari modelli operativi interni dei due
partner, sebbene non sia ancora chiaro in che modo essi si intreccino 4 , e in cui ha un notevole
ruolo la regolazione dell’ansietà e della rabbia come “attivatori secondari” e come predizione
della capacità di attaccamento.
E’ importante sottolineare, in questo quadro di riferimento, che l’individuo necessita sempre
di trovare una forma di allineamento e sintonizzazione fra le proprie e le altrui motivazioni,
con particolare riferimento a ciò che è stato definito come “monitoraggio affettivo reciproco”
(Norsa, Zavattini, 1994), che possiamo considerare caratteristico della coppia di coniugi,
all’interno delle relazioni adulte.
Questa condizione di eterno scambio reciproco tra esseri umani determina il fatto che
ciascuno è impegnato a mantenere una comunicazione inconscia con l’altro operando, di volta
in volta, una sorta di verifica del proprio e dell’altrui stato affettivo interno.
Tuttavia, questa verifica si estende, poi, anche al sentimento comune di appartenenza, il
“senso del Noi” (Tambelli, et all., 1995) e al tema della “coppia interna”, come aspettativa
relativa alla qualità dell’aspetto reciproco della relazione connesso alla propria storia
personale e alle modalità di interiorizzazione.
3
Berman, W.H., Sperling, M.B., (a cura di) (1994) The Structure and Function of adult attachment. In:
Attachment in adults. Clinical and Developmental Perspectives. The Guilford Press, New York, London, pp. 130.
4
Diamond, D., Blatt, S.J., (1994) Internal working models and rappresentational world in attachment and
psychoanalytic theories. In: BERMAN, W.H., SPERLING, M.B., (a cura di) Attachment in adults. Clinical and
developmental perspectives. The Guilford Press, New York, London, pp. 72-97.
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Partendo proprio dall’affermazione che la relazione con l’altro è parte integrante del senso di
identità del singolo, va aggiunto che la costruzione di una rappresentazione del sé, oltre che
dell’altro e delle caratteristiche della relazione, può avvenire solo attraverso l’esperienza dello
sforzo di “aggiustamento reciproco”.
Contributo fondamentale in questa direzione, è quello fornito da Winnicott, quando descrive il
tipo di legame affettivo che caratterizza l’unità madre-bambino alle prese con il compito di
fronteggiare un elemento terzo e la problematica relativa all’uso dell’oggetto, che non può
essere capita senza la dimensione prospettica che la triangolazione permette.
L’uso libidico dell’oggetto, al quale fa riferimento Winnicott, equivale ad un uso narcisistico,
cioè per sé, esclusivamente per il soddisfacimento del proprio piacere. Ciò però accade solo
nella condizione in cui l’oggetto in questione, nella fattispecie per il bambino la madre, sia
contemporaneamente disponibile come oggetto di “appoggio”, di sostegno, di contenimento.
Questa dinamica può essere estesa ad altre relazioni oggettuali, nelle quali la dimensione della
triangolarità rappresenterebbe il corollario indispensabile perché l’esperienza libidica e il
bisogno di continuità possano vivere dinamicamente, una di queste relazioni è quella di
coppia.
Una delle modalità possibili per garantire ai due partner lo sfruttamento al meglio delle risorse
affettive all’interno di scambi che possano permettere l’uso dell’altro per i diversi bisogni
psicologici, è proprio la trasformazione di una fase di innamoramento in una fase di amore
costante e duraturo nel tempo, il quale è visto anche come un’esigenza sociale o biologica,
adeguata ai compiti evolutivi del ciclo vitale di una coppia in relazione alla procreazione ed
all’allevamento dei figli.
Nell’ottica kleiniana, molti autori hanno ipotizzato, inoltre, che gli esseri umani non solo
hanno bisogno di un contenitore per potergli affidare, ritrovare e non perdere la propria
“posizione respinta”, ma che sia anche necessario che il contenitore sia idoneo, ossia in grado
di accogliere questa proiezione. Questa dinamica ci pone davanti alla considerazione che tale
processo psicologico rivesta una tale importanza nel più ampio processo di formazione e di
scelta del partner, tanto da portare ad affermare il dubbio se esista davvero una scelta amorosa
per le reali qualità dell’oggetto d’amore, o se sia sempre presente anche una componente di
tipo narcisistico; in altri termini, se nel rapporto con l’altro andiamo alla ricerca di noi stessi,
o se siamo in grado di riconoscere le caratteristiche del partner.
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A tale proposito, Sandler (1997) osserva che “si potrebbe dire che tutto l’amore è
narcisistico”. Va però ribadito che l’amore o i valori emozionali che costituiscono l’amore
non sono attribuibili solo al proprio sé o agli oggetti esterni, ma anche agli oggetti interni.
In questa prospettiva, le relazioni umane hanno la funzione sia di contenimento o di
integrazione di aspetti diversi di sé, sia di scissione o negazione di aspetti dolorosi o
disturbanti. Il rapporto di coppia può permettere di diminuire l’esteriorizzazione di aspetti
scissi o, al contrario, può contribuire a mantenerli.
Possiamo, quindi, presupporre che possa esserci una compensazione positiva e può aumentare
il processo di integrazione quando il rapporto con il partner da la possibilità di riconoscere o
di bonificare gli aspetti disturbanti o respinti di noi.
In questo senso possiamo intendere l’affermazione di Dicks (1967) nella quale sostiene il
matrimonio come una sorta di relazione terapeutica naturale, interpretando ciò, non come
necessariamente espressione di patologia, ma come necessità di trovare quel contenitore
idoneo, introdotto da Winnicott, ai nuclei non risolti di noi; così il monitoraggio affettivo e
l’uso reciproco dell’altro ai fini dell’autoregolazione interna rimane una costante nei rapporti
umani.
La Coppia Interna
Alla luce di quanto detto relativamente all’importanza delle rappresentazioni interne e di
come esse influenzino le relazioni reali adulte, possiamo ora introdurre ed affrontare il
concetto di coppia interna. Con questa accezione, infatti, si intendono abbracciare le modalità
di introiezione del legame di coppia dei genitori, che permettono agli individui le
“costruzioni” nella propria mente relative alla qualità della relazione parentale.
La relazione di coppia può allora essere intesa come quello “spazio a due”, in cui viene
dispiegata la coppia rappresentata 5 , ossia il modello operativo interno di coppia di cui ognuno
è portatore e che non indica necessariamente un aspetto patologico, ma indica lo schema
inconscio per le attese sull’essere insieme e a cui viene affidata una porzione rilevante della
vita affettiva.
5
Come afferma Reiss (1989), il comportamento umano può essere studiato sia a livello pragmatico,
considerando cioè i comportamenti osservabili, sia al livello delle rappresentazioni delle relazioni. Queste due
realtà sono reciprocamente influenzatisi, ma discrepanti e non assimilabili l’una all’altra.
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Un legame di coppia duraturo appartiene ad un processo di accomodamento, iniziato
nell’infanzia, della rappresentazione interna della coppia in modo sempre meno irrealistico e
sempre più in grado di cogliere differenziazioni, tanto che si può parlare di un livello di
integrazione che nell’individuo adulto raggiunge la rappresentazione interiorizzata di coppia,
come il progressivo “sovrapporsi” di configurazioni di coppia dei vari periodi evolutivi
precedenti: dall’idealizzazione dei genitori dell’infanzia, fino alla coppia smembrata dalla
critica e dalla contestazione dell’adolescenza, ricostituita poi con l’apporto di altri modelli
anche esterni alla famiglia.
Si può precisare che il progressivo allontanamento dall’idealizzazione delle figure genitoriale,
nella fase adolescenziale, permette all’individuo di avvicinarsi ed investire altri modelli adulti
per operare, così, un reinvestimento delle rappresentazioni interne della coppia genitoriale
interna e del Sé. L’innamoramento appare, quindi, legato a porzioni dell’ideale dell’Io e a
bisogni di coesione e stabilità.
La capacità dell’individuo di instaurare i futuri rapporti di coppia, affettivamente significativi
e duraturi, sarà facilitata o non facilitata dalla qualità delle rappresentazioni interne dei
genitori, mutuate sia dalle relazioni reali fra i genitori alle quali il bambino assiste, sia dalle
fantasie sulle medesime, che costituiscono quella che in termini psicoanalitici possiamo
definire coppia interna.
I rapporti di coppia che l’individuo costruirà saranno, di conseguenza, utilizzati per
confermare o smentire le aspettative interne che si sono create nel tempo; infatti, se da un lato,
il passare del tempo e l’evoluzione psichica del bambino lo porteranno a riformulare le
rappresentazioni interne con un’ottica più realistica, ciò non esclude che possa rimanere una
discrepanza fra la relazione di coppia e le fantasie sulla coppia, proprio perché nella nostra
cultura, caratterizzata da valori dell’individualità e delle relazioni affettive ristrette rispetto al
senso di appartenenza ad una famiglia allargata, le aspettative relative ad una coppia felice
sono un potente organizzatore affettivo della qualità della vita.
Particolare attenzione deve essere, quindi, rivolta alle attese e alle anticipazioni sulla coppia
rappresentata, cioè l’insieme delle fantasie relative al modello operativo interno di coppia di
cui sono portatori i partner e che influenzano fortemente la costruzione dello spazio di coppia
come campo condiviso nel quale si collegano i due mondi separati e differenziati di entrambi i
componenti della coppia. E’ qui, infatti, che si possono innescare i conflitti di cui i due partner
sono consapevoli quando arrivano a comprendere di essere portatori di due progetti di vita
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diversi ma non integrabili l’un con l’altro; situazione che, nella maggior parte dei casi,
permetterà un’elaborazione dolorosa di questa diversità che aprirà la strada a sperimentare
una serie di vie d’uscita differenti.
Tuttavia gli individui possono non essere consapevoli della rappresentazione di coppia di cui
sono portatori e che non corrisponde ai livelli della reciprocità e della sintonia a livello sociale
ed egosintonico, ma corrisponderebbe maggiormente al livello inconscio della mente. Ed è
proprio in quest’ultima prospettiva, che si può tentare di “usare” la relazione di coppia per
esteriorizzare un modello operativo interno, che può essere discrepante rispetto alla verifica
della sua realizzabilità nello spazio a due con quel partner, o che ripropone una modalità di
relazione “infelice” per la coppia.
Dall’intimità alla Complementarietà Inconscia
La relazione di coppia stabile si manifesta, nella quotidianità, attraverso il monitoraggio
affettivo reciproco, nell’idea che la comunicazione inconscia del proprio stato affettivo e la
registrazione dello stato affettivo dell’altro siano modalità funzionali alla costruzione continua
del prezioso senso di intimità e della fiducia. La consuetudine della vita in comune porta,
infatti, alla costruzione, all’interno di una relazione, di quel clima di intimità che portava a
dire nel passato che le coppie combinate “funzionassero” meglio e fossero più affiatate
rispetto alle coppie nate dalla passione amorosa.
A differenza della coppia che si forma sull’onda della passione amorosa caratterizzata
dall’illusione di intimità immediata, la coppia che si forma lungo un processo di profonda
conoscenza reciproca, si instaura su regole che tengono innanzitutto conto dei compiti reali e
delle differenziazioni di ruoli.
Sia in un caso che nell’altro, la coppia condivide la continuità dell’esistenza, all’interno di un
regime di differenziazione su più livelli, biologico, sociale, affettivo e individuale. Ciò
implica l’impegno di entrambi nella costruzione del legame e nel mantenimento di esso,
facendo leva proprio sull’intimità che non è mai data, ma va sempre ricercata, proprio per
gestire quella conflittualità che si verifica su motivazioni reali o ideali, sia all’interno della
coppia sia al livello intrapsichico.
Tale intimità permette, infatti, di tollerare sia la fine dell’idealizzazione, nata durante la fase
dell’innamoramento, sia le eventuali delusioni derivate da ciò.
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Il partner così viene a svolgere quella funzione che è rappresentata internamente dal
“compagno di interazione”.
In tal modo, la relazione svolge un ruolo importante di regolazione intrapsichica dei singoli
partecipanti della relazione, oltre che determinare una sorta di complicità con cui la coppia
unita si pone nei confronti del mondo esterno.
Non si può però confondere l’intimità con il buon accordo o l’amore, vi è intimità anche in
quelle coppie che mostrano sentimenti di aggressività, irritazione e scontentezza. Più spesso,
infatti, si parla di intimità quando vi è un profondo accordo all’interno della relazione che
sollecita sentimenti avversativi, oltre che esplorativi, garantendo così una forte motivazione al
mantenimento di un senso di continuità e un sentimento di appartenenza, tanto da costituire
un contenimento psichico reciproco.
Questa dinamica è stata magistralmente definita da Dicks (1967) come complementarietà
inconscia, dinamica che rende ogni coppia una diade a sé.
Secondo tale autore la complementarietà inconscia, fondata sul sentimento di complicità,
esprime la condivisione di un ingaggio nella nuova relazione, che offre l’opportunità di
ambire al recupero di una personalità completa tramite l’unione con il proprio partner. Si può
quindi considerare l’altro come estensione del Sé, continuando in questo modo il processo
dell’adolescenza, sostenuto dal desiderio di un più preciso svincolo da certi aspetti di sé
perduti, perché scissi o repressi.
Il suddetto sentimento di complicità si basa sulla condivisione di regole che definiscono
momenti di reciprocità e momenti di alternanza secondo ritmi prevedibili all’interno della
coppia. Caratteristica di questo sentimento è la dinamicità che permette ai partner di sentirsi
uniti verso e contro il mondo esterno.
La Collusione di Coppia
Il sentimento di complicità e di unità, costruito nella fase della formazione della coppia, può
condurre i coniugi ad elaborare una proposta inconscia di relazione caratterizzata da aspetti
negativi e disfunzionali legati al concetto di collusione di coppia. Si viene a stabilire con il
tempo un insieme di regole e abitudini condivise, una rete di emozioni, desideri, bisogni e
aspettative con cui ciascuno dei due partner alimenta il legame d’intimità con l’altro, il senso
del Noi, fondamentale per corroborare il sentimento di continuità e di appartenenza. Per
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arrivare alla costruzione dell’intimità e della complicità di coppia è necessario, però, che
entrambi i partner accettino e ricevano reciprocamente le proiezioni l’uno dell’altro.
All’interno di questo scambio, tuttavia, si vengono ad instaurare aspetti collegati a una
costante relazione negativa di ciascuno che si organizza nel tempo con un incastro collusivo.
Se la funzione del monitoraggio affettivo reciproco non è sufficiente a ripristinare il senso di
intimità e fiducia, allora le modalità collusive si rafforzano, determinando un aumento
dell’aspettativa disadattativa, distorcendo il senso della comunicazione e bloccando quella che
è stata denominata come la “naturale tendenza” a prendersi cura di sé e dell’oggetto.
La collusione mette in risalto, quindi, la parte attiva del partner che riceve le proiezioni,
attraverso la relazione; infatti, secondo Dicks, si può introdurre l’ipotesi, sostenuta da diversi
autori psicoanalitici, secondo la quale è interiorizzato non solo l’oggetto d’amore, ma anche la
relazione stessa.
Si tratta in sostanza, di modalità relazionali, costituite all’interno della coppia e divenute
specifiche di quella particolare relazione, che tendono ad essere ripetute collusivamente.
La collusione, pertanto, si connota più come una caratteristica della relazione, che come una
caratteristica degli individui: è attraverso il loro incontro che la complementareità inconscia,
area “naturale” della collusione, può tramutarsi in collusione patologica vera e propria.
Quando si innescano sequenze di interazioni, per lo più negative, con modalità inconsce e
automatiche, nessuno dei due coniugi si riconosce come colui che attivamente ha determinato
quello stato di malessere, che invece coscientemente si vorrebbe evitare.
La ripetizione all’interno di una relazione significativa di quegli aspetti distorti delle proprie
esperienze relazionali è anche motivata dall’aspettativa di modificazione, per cui la relazione
di coppia diventa, in un certo senso, il luogo di elezione di tali comportamenti.
Willi (1996) parla di personalità d’interazione, intendendo che ogni individuo si comporta in
maniera differente in rapporto a con chi interagisce; la suddetta personalità è in interazione
con il processo di adattamento corrispondente nell’altro.
A questo proposito, Norsa e Zavattini (1997) propongono il concetto di accomodamento
reciproco per descrivere “un’autoregolazione affettiva che la relazione svolge per conto dei
due mondi interni dei partner”, questo “ogni qualvolta che un incontro relazionale assume le
caratteristiche di una relazione stabile e duratura”. Gli autori sottolineano, sfuggendo alle
trappole tese da un’ottica lineare, come la coppia può garantire la protezione degli aspetti
fragili e bisognosi della personalità di ogni partner “in un intreccio di relazioni fra mondo
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interno e mondo reale all’insegna di identificazioni proiettive, che nella relazione di coppia
assumono la caratteristica di “identificazioni proiettive incrociate”.
Questo tipo di funzionamento psichico dei mondi interni dei partner implica l’esposizione di
ognuno all’aspetto patologico dell’altro, diventando il partner allora la via di scarica di aspetti
indesiderati, rifiutati, odiati che si cerca di gestire e controllare, attraverso dinamiche sia
“antiche” e già sperimentate nelle primitive relazioni, sia risultato di accomodamento
reciproco all’interno della coppia. Quest'ultimo è riconducibile alla personalità ed alla storia
di ciascun partner, ma diventa la base su cui è possibile costruire la peculiarità del Noi della
coppia.
In questo senso possiamo parlare di collusione anche come di un’organizzazione difensiva a
due, dove aspetti scissi, perversi, superegoici, di entrambi si potenziano vicendevolmente
determinando un contesto rigido, “antilibidico”, frustrante, ma corrispondente ad esigenze
difensive per ciascuno dei partner.
Tali fenomeni intrapsichici ed inconsci possono essere la motivazione principale della
costruzione di un legame di coppia; in tal caso, la relazione di coppia è prevalentemente una
forma di difesa della propria integrità intrapsichica.
L’interesse per il partner, in queste modalità relazionali, è rappresentato quasi esclusivamente
da un modo di sbarazzarsi proiettivamente di parti di sé indesiderate, così che l’altro diventi
l’oggetto disprezzato da dominare, oppure l’oggetto danneggiato da riparare.
Infine, la relazione matrimoniale può in parte operare modificazioni delle rappresentazioni
interne dell’altro, nel senso di amplificare aspetti patologici, o viceversa, potenziare aspetti
più costruttivi, dinamici, capaci di sviluppare la creatività individuale.
E’ questo rapporto tra caratteristiche delle relazioni interne e loro “attualizzazioni” nelle
relazioni reali, che ha grandi conseguenze, per ciò che riguarda la possibilità che la coppia
coniugale possa costruire un legame stabile e duraturo, tanto da portare alla costituzione della
coppia genitoriale, caratterizzata dalla messa in comune del “patrimonio affettivo” di ciascuno
(Di Vita, Giannone, 2002) ma con modificazioni individuali che la rendono unica, proprio
come il patrimonio genetico.
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CAPITOLO II
LA COPPIA TRA NORMALITA’ E PATOLOGIA
La coppia nel suo percorso affronta diversi ostacoli che mettono a dura prova l’equilibrio
relazionale ed individuale. Tale premessa apre diversi orizzonti su tematiche importanti che
conducono il dialogo teorico su un continuum fra normalità e patologia, o meglio fra
funzionalità e disfunzionalità della relazione di coppia.
Nel presente capitolo si affrontano tali tematiche attraverso due particolari lenti: il
cambiamento
della
relazione
lungo
il
ciclo
vitale
della
coppia,
l’evoluzione
dell’attaccamento insicuro lungo il ciclo vitale e l’insorgenza del sintomo nella coppia.
Le argomentazioni riportate vanno a toccare aspetti individuali e di coppia costruendo in
tal modo una continua “danza” fra questi due livelli.
Tra i vari contributi teorici approfonditi, particolare attenzione è relativa al modello
epigenetico di Wynne, modello che permette una comprensione fluida della “danza” fra
aspetti individuali ed aspetti di coppia; alla descrizione del ciclo vitale della coppia,
ponendo particolare attenzione agli eventi critici ed ai compiti di sviluppo che una coppia
deve affrontare; ai modelli della teoria dell’attaccamento adulto con specifica attenzione
all’interconnessione fra i modelli di attaccamento e le dinamiche relazionali conseguenti.
Si arriva quindi ad affrontare la difficile tematica dell’insorgenza del sintomo all’interno
della relazione di coppia, tematica trasversale a tutto il lavoro di ricerca.
2.1 Il cambiamento della coppia: stabilità, conflitto e crisi
In generale si può considerare che nella famiglia si delineano due tendenze primarie e
universali per ciascun individuo: quella di entrare in relazione con gli altri e quella di
sviluppare un’identità personale (Wynne, 1986). Le osservazioni cliniche e gli studi sulla
famiglia funzionale offrono una notevole omogeneità di dati da questo punto di vista anche se
le definizioni dei ricercatori possono apparire talvolta diverse: nella famiglia dove emergono
forme di disfunzionalità o psicopatologia si osserva contemporaneamente una difficoltà a
favorire la differenziazione degli individui (Bowen, 1978) che si sentono coinvolti in
dinamiche relazionali vincolanti; al contrario le famiglie funzionali mostrano la capacità di
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coniugare coesione e adattabilità al cambiamento (Olson, 1983; 2000) che rappresentano le
coordinate per modulare gli stili di relazione in modo equilibrato per rispondere al dilemma di
coniugare le tendenze all’affiliazione con quelle all’individuazione.
Dal punto di vista comportamentale si può riconoscere in senso generale la funzionalità della
famiglia quando emerge la prevalenza di affetti positivi che rende l’interazione familiare
piacevole e rassicurante per gli individui e quando questo non impedisce di riconoscere e
negoziare i conflitti che emergono dall’incontro tra individui differenti tra loro. Ma come si
raggiunge questa intimità emotiva? Seguendo il modello evolutivo epigenetico di Wynne,
possiamo ipotizzare diversi processi relazionali che hanno una rilevanza primaria in fasi
successive del ciclo evolutivo che caratterizza lo sviluppo dei rapporti nella famiglia.
L’ipotesi centrale in tale modello è che i processi relazionali centrali in una certa fase dello
sviluppo saranno condizionati dal modo in cui si sono realizzati i processi centrali nella fase
precedente. Come vedremo, tale modello risulta molto coerente con i dati emersi osservando
lo sviluppo del rapporto nella diade caregiver primario-figlio. A tal proposito può essere utile
prendere visione dello schema del modello epigenetico per riconoscere l’utilità di tale
riferimento:
ATTACCAMENTO/CUSTODIA► COMUNICAZIONE ►SOLUZIONE CONGIUNTA DEI PROBLEMI ►MUTUALITA’ ►INTIMITA’
Difficile non notare una certa convergenza tra la sequenza dei processi relazionali indicata da
Wynne (1986) per lo sviluppo dell’intimità nella famiglia e quella che viene indicata per lo
sviluppo del bambino nel sistema regolatore del Sé che si stabilisce con la figura allevante.
Anche qui viene infatti riconosciuto che la funzione di base, l’attaccamento, è quella che
garantisce il livello di prossimità, significatività, sicurezza e complementarietà di una
relazione.
In quest’ottica si deve considerare la coppia e la famiglia non come una entità statica, bensì
come un sistema caratterizzato da un processo in continua evoluzione, che presuppone
l’attraversamento di una serie di fasi che vanno dalla formazione della coppia (che costituisce
la prima fase del ciclo di vita della famiglia) alla fase di costruzione e produzione (coppia con
figli), fino alle fasi in cui i figli crescono e si allontanano dalla famiglia.
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Ogni fase di vita della coppia e della famiglia è caratterizzata da crisi evolutive necessarie per
consentirne lo sviluppo, definite “eventi critici” che riguardano le rinegoziazione dei ruoli e
delle funzioni, nonché una riorganizzazione delle relazioni stesse.
Il termine evento critico non ha una connotazione in sé negativa, in quanto – così come spiega
l’origine etimologica del termine – rimanda al significato di perturbazione e cambiamento.
Ogni evento critico si articola in una fase di crisi o rottura con il precedente assetto
organizzativo e un momento di successiva riorganizzazione o – nel caso in cui la crisi non sia
superata – una fase di stallo o una destrutturazione del sistema.
La capacità o meno di superare le difficoltà correlate a tali momenti evolutivi dipendono da
una serie di fattori, in particolare il significato che viene attribuito all’evento stesso (correlato
sia alle regole implicite ed esplicite del proprio contesto di appartenenza che al sistema di
aspettative e valori tramandati attraverso le generazioni riguardo i ruoli familiari , ovvero i
miti condivisi) e la capacità di mettere in atto una serie di strategie di problem solving
funzionali, che dipende dalle risorse personali dei soggetti coinvolti (caratteristiche di
personalità, status socio-economico, stato di salute) dalle risorse familiari (capacità di
integrare i bisogni di stabilità con quelli di crescita, trasformazione ed autonomia) e dalle
risorse sociali di tipo informale (come le relazioni con parenti, amici, vicini, colleghi, ecc.) e
di tipo formale (servizi presenti nel contesto sociale all’interno del quale la famiglia si
colloca, come scuole, servizi sociosanitari, servizi per il tempo libero). Tale capacità distingue
una famiglia “normale” da una “patologica”.
Qualora persistano le difficoltà il ciclo vitale può bloccarsi, oppure può verificarsi un
superamento solo parziale di una specifica fase. In tale caso il sintomo della coppia o di un
membro della famiglia può rappresentare l’espressione di un momento di difficoltà presente
in
una determinata fase e, allo stesso tempo, una richiesta di cambiamento. (Malagoli
Togliatti, Lubrano Lavadera 2002).
Poiché le fasi del ciclo di vita hanno in sé sia delle difficoltà che delle potenzialità di crescita,
per ognuna di esse possono essere identificati e descritti sia gli specifici compiti di sviluppo
che le possibili traiettorie di cambiamento, gli indici di rischio e i fattori di adattamento.
1. Formazione della Coppia
Evento critico: differenziazione del nuovo sistema come entità autonoma rispetto
alle rispettive famiglie di origine.
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Compiti di sviluppo: I giovani coniugi ricercano e affermano la propria identità di
coppia, definiscono una progettualità e stabiliscono un equilibrio fra lealtà alla
famiglia di origine e al partner. Le maggiori difficoltà di questa fase sono
rappresentate dal mancato controllo delle modalità intrusive delle famiglie di origine
o dalla rottura dei rapporti con i genitori.
Processo evolutivo: regolazione dei rapporti e delle distanza dalle famiglie di origine
e trasferimento delle richieste di protezione e cura dai genitori al partner. Se il
trasferimento sfocia in un legame sicuro, la nuova coppia si definisce come unità
autonoma.
2. Dalla Coppia alla Famiglia: la Nascita di un Figlio
Evento critico: salto generazionale.
Compiti di sviluppo: La coppia deve prendersi cura della generazione più giovane. I
nonni devono spostarsi di una nuova posizione, facilitando – in tal modo –
l’assunzione dei ruolo dei propri figli a genitori.
Processo evolutivo: si verifica una ridefinizione di confini della coppia e
dell’immagine del partner, che deve includere anche il ruolo di madre e di padre. I
membri della coppia devono lasciare in secondo piano la propria immagine di figli
per assumere quella di caregiver (Di Vita, Giannone, 2002). La linearità di tale
percorso dipende sia dalla storia delle relazioni di attaccamento di entrambi i
genitori che dalle caratteristiche della relazione coniugale (la quale può aiutare a
superare le esperienze infantili difficili, attraverso un contesto rassicurante e
supportivo). La triade che funziona è che quella in cui ognuno abbia un posto nelle
diadi e nella cerchia della famiglia e che nessuno costituisca una minaccia per le
relazioni degli altri.
3. La Famiglia con figli Adolescenti
Evento critico: differenziazione dei genitori dal figlio.
Compiti di sviluppo: I tentativi del figlio di differenziarsi dai genitori richiedono alla
coppia genitoriale una nuova flessibilità da imprimere ai confini familiari per
consentire all’adolescente di entrare e uscire dal sistema, sperimentare livelli
crescenti di autonomia. La relazione coniugale necessita di una rinegoziazione cui
spesso si associa reinvestimento lavorativo.
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Processo evolutivo: i genitori devono gradualmente abbandonare la posizione
asimmetrica, offrendo, accudimento e sostegno laddove il ragazzo dovesse avere
ancora bisogno di loro e, allo stesso tempo, abdicando la loro autorevolezza laddove
il figlio ha acquisito una propria competenza e autonomia, riconoscendogli la sua
sessualità emergente. I primi legami sentimentali dell’adolescente favoriscono il
trasferimento delle funzioni del legame di attaccamento (vicinanza, rifugio e base
sicura) ad altre figure significative. L’ancoraggio del figlio in famiglia ostacola la
sua crescita. Rispetto alla famiglia di origine, la coppia genitoriale è chiamata al
compito di offrire cura e protezione ai genitori anziani, rispetto ai quali si va ad
occupare un ruolo sempre più asimmetrico.
4.
La Famiglia con figli Adulti
Evento critico: uscite ed entrate dei membri. Prevede sia la progressiva uscita dei
figli che l’entrata di nuovi membri nella famiglia (nuore, generi, nipoti, parenti
acquisiti), associate ad una riorganizzazione del sistema familiare e della diade
coniugale.
Compiti di sviluppo: In questa fase i compiti specifici possono essere identificati in
un rinnovato investimento nella coppia.
Processo evolutivo: l’accettazione delle entrate e delle uscite dei membri in famiglia,
non trattenendo i figli, né punendoli quanto si allontanano. Nelle situazioni familiari
“sane” i genitori hanno maggiori possibilità di reinvestire nel rapporto diadico di
coppia, di riorganizzare in senso simmetrico le relazioni con i figli e riallacciare
nuove modalità di relazioni con i fratelli. Nelle situazioni familiari “patologiche” la
limitata propensione o la scarsa capacità a separarsi possono frenare la spinta
progettuale dei figli e causarne un processo involutivo.
5. La Famiglia in età Anziana
Evento critico: invecchiamento e le eventuali malattie, che riducono le forze fisiche;
il pensionamento, che influisce sull’organizzazione coniugale sugli impegni nei
diversi ambiti di vita; l’eventuale morte del coniuge, che impone una
riorganizzazione della vita come single.
Compiti di sviluppo: è fondamentale che i coniugi si riavvicinino ancora di più
sostenendosi reciprocamente, per affrontare la solitudine in seguito all’uscita dei
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figli da casa, il pensionamento e il declino fisico. La relazione genitoriale si
caratterizza per il riconoscimento del ruolo parentale del figlio e la costruzione di
nuovi legami affettivi con i nipoti.
Processo evolutivo: i figli assumono la funzione di caregiver: all’interno dei rapporti
sicuri l’anziano sa accettare e ricevere aiuto oltre che darlo, mentre nelle relazioni
insicure può risultare difficile da parte dei genitori anziani chiedere aiuto o le
trasformazioni sulle relazioni possono essere vissute come perdita di controllo sulle
relazioni familiari.
Ognuna delle fasi critiche dello sviluppo della famiglia possono costituire un problema non
facilmente risolvibile per la coppia, che rimane bloccata in una di queste fasi e non riesce più
a crescere. Tali difficoltà possono essere motivo di una richiesta di aiuto psicoterapeutica e
sono il segnale che alla coppia manca quella flessibilità necessaria per potersi evolvere in
qualità di singoli individui, di relazione diadica e di sistema familiare.
2.2 L’attaccamento insicuro e la sua evoluzione nella vita di coppia
La concezione dell’amore romantico come prototipo del legame di attaccamento è stata per la
prima volta scientificamente approfondita nel saggio di Shaver e Hazan (1987) dal titolo
“Romantic Love Conceptualized as an Attachment Process”. In tale lavoro gli autori,
partendo dal presupposto teorico che l’amore in età adulta somigliasse al legame del bambino
verso il proprio caregiver, hanno ipotizzato che i tre pattern di attaccamento infantile
identificati dalla Strange Situation Procedure (sicuro, ansioso-ambivalente e ansioso evitante)
si potessero ritrovare anche nell’analisi dei pensieri, sentimenti e comportamenti degli adulti
all’interno delle loro relazioni intime. Per la verifica di tale ipotesi, hanno messo a punto un
semplice questionario di autovalutazione – denominato “Adult Attachment Questionnaire” –
nel quale viene chiesto ai soggetti di leggere le tre descrizioni degli stili di attaccamento e di
scegliere quella che meglio rappresentava i sentimenti che provavano nelle loro relazioni
intime.
La descrizione che corrisponde al pattern sicuro ha come caratteristica la fiducia nel partner;
quella che corrisponde al pattern evitante si basa sulla mancanza di fiducia nel partner e sulla
distanza emotiva; mentre la descrizione del pattern ambivalente corrisponde comunque ad una
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mancanza di fiducia, ma allo stesso tempo, ad un forte e sempre insoddisfatto desiderio
emotivo. I risultati della ricerca hanno in linea generale confermato che le scelte delle
descrizioni di un determinato tipo di pattern corrispondono alle emozioni ed ai comportamenti
all’interno delle proprie relazioni sentimentali (Shaver e Hazan, 1992).
Attaccamento di coppia
Nella relazione di coppia ciascun partner agisce come figura di attaccamento per l’altro,
sperimentando sia la posizione del “bambino” emotivamente dipendente dalla figura di
accudimento, sia quella della figura di attaccamento che fornisce rassicurazione e conforto al
“bambino”.
In quest’accezione Bartholomew e Horowitz (1991) propongono un modello di attaccamento
bidimensionale a quattro categorie (fig. 1), in cui vengono definiti i quattro modelli prototipici
d’attaccamento nei termini dell’intersezione di due sottostanti dimensioni, ipotizzando che
esistessero due tipi di evitanti: i “timorosi” e i “distaccati/svalutanti”.
Attraverso l’analisi di questo modello si deve evidenziare che la dimensione di positività del
sé indica il grado in cui gli individui hanno internalizzato un senso della propria autostima. Di
conseguenza un modello positivo del sé facilita negli individui il sentimento di fiducia in se
stessi e nelle relazioni intime; al contrario, un modello negativo del sé indica una dipendenza
nel cercare continuamente l’approvazione dell’altro che genera ansia nelle relazioni intime.
La dimensione della positività dell’altro riflette le aspettative sulla disponibilità e sulla
capacità di supporto da parte dell’altro. Un modello positivo dell’altro facilita la propensione
a cercare supporto dalle persone vicine; mentre, un modello negativo dell’altro è associato
con la tendenza ad evitare e a mantenere una distanza di sicurezza all’interno delle relazioni
affettive.
Il modello operativo di sé può essere positivo (sé come meritevole e degno di amore) o
negativo (sé indegno), così come il modello operativo degli altri può essere positivo (altri
come disponibili e accudenti) o negativo (altri come inaffidabili o rifiutanti).
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Modello
negativo del
sè
SICURO
A proprio agio con
l’intimità e
l’autonomia nelle
relazioni intime
PREOCCUPATO
Preoccupato per le
relazioni intime.
Completamente
dipendente dagli altri per
l’autostima e il supporto
Modello
positivo del
sè
DISTANZIANTE
Nega l’importanza
delle relazioni
intime. Indipendenza
compulsiva.
Modello
negativo del
sè
TIMOROSO
Timoroso
dell’intimità per
paura del rifiuto.
Evitamento sociale
Modello
negativo
dell’altro
Figura 1: modello bidimensionale a quattro categorie dell’attaccamento adulto
Gli autori quindi delineano un modello euristico delle dinamiche del sistema di attaccamento,
utilizzato per caratterizzare ciascuno dei quattro modelli di attaccamento definiti nei termini
dell’intersezione delle dimensioni del modello del sé/ansioso e del modello dell’altro/evitante.
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La figura di
attaccamento è
disponibile,
responsiva e
supportiva?
Comportamento di
attaccamento:
Ricerca del
contatto,
aggrapparsi;
protesta con rabbia.
si
Sentimento di
sicurezza,
amore e
fiducia
Giocoso,
socievole,
orientato
all’esplorazio
ne.
no
Paura
Angoscia
dife
nsi
vità
Strategie di attaccamento
sicuro
preoccupato
timoroso
distanziante
Manteniment
o della
vicinanza
evitando
l’intimità
Figura 2: le dinamiche del sistema di attaccamento
Dall’incrocio di queste quattro rappresentazioni derivano i quattro stili di attaccamento in età
adulta di seguito elencati e descritti:
•
SICURO: (assimilabile alla categoria infantile sicuro) modello interno di sé positivo,
modello interno dell'altro positivo. Basso evitamento, bassa ansia. Caratteristiche
principali: alta coerenza, alta fiducia in sé, approccio positivo agli altri, alta intimità
nelle relazioni. Il modello positivo che ha di sé, porta l'individuo Sicuro ad avere
grande fiducia in se stesso, ad affrontare i problemi in maniera flessibile,
fronteggiandoli attivamente ed attivando strategie di coping che includono il rivolgersi
all'altro come fonte di supporto ed aiuto. La rappresentazione positiva che ha dell'altro
lo porta ad apprezzare le altre persone ed essere caldo ed affezionato nei loro
confronti. In generale, una persona sicura avrà una relazione di scambio reciproco e
soddisfacente con le altre persone, dalle quali generalmente vengono considerati e
giudicati in maniera positiva. E’ presente la capacità di spostarsi dalla posizione di
dipendente a quella di essere l’oggetto della dipendenza da parte del partner e di
esprimere apertamente il bisogno di conforto e di aiuto, così come la disponibilità a
fornirli. Le sue relazioni di coppia sono caratterizzate da intimità, vicinanza, mutuo
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rispetto, coinvolgimento e apertura emotiva. E’ in grado di risolvere i conflitti col
partner in maniera costruttiva.
•
PREOCCUPATO: (assimilabile alla categoria infantile ansioso-ambivalente) modello
interno di sé negativo, modello interno dell'altro positivo. Basso evitamento, alta
ansia. Caratteristiche principali: eccessiva preoccupazione per le relazioni, continuo
bisogno di approvazione, alta dipendenza dagli altri per la bassa autostima personale.
La rappresentazione negativa che l'individuo Preoccupato ha di sé lo porta ad avere
bassa autostima e a tendere alla dipendenza dal giudizio degli altri. Nei confronti dei
problemi, reagisce in maniera eccessiva dal punto di vista emotivo, e trova difficoltà
nella loro risoluzione senza l'aiuto degli altri, non avendo una sufficiente fiducia nelle
proprie risorse. Il modello positivo che ha dell'altro lo porta disperatamente alla
ricerca di compagnia ed attenzione. Necessita costantemente di intimità nelle
relazioni, tanto che la sua insaziabile richiesta di attenzione ed approvazione ha spesso
come risultato l’allontanamento degli altri. Nonostante ricerchi costantemente l’altro,
difficilmente riesce ad instaurarvi relazioni soddisfacenti, in quanto ha la convinzione
che ciò che riceve non sia mai sufficiente, e di non essere mai giudicato per il proprio
reale valore. Per l'individuo Preoccupato le relazioni sentimentali sono di importanza
cruciale. Le sue relazioni sono caratterizzate da picchi emotivi di rabbia, passione,
gelosia e possessività. Tende a dare inizio ai conflitti, esprimendo apertamente i propri
sentimenti e la propria insicurezza verso relazione, ma allo stesso tempo tende a
rimandare o ad evitare la rottura del legame, rimanendo spesso col partner per un
esclusivo bisogno di dipendenza e paura della solitudine.
•
DISTANZIANTE: (assimilabile alla categoria infantile dell’evitante) modello interno di
sé positivo, modello interno dell'altro negativo. Alto evitamento, bassa ansia.
Caratteristiche principali: svalutazione delle relazioni, evitamento dell'intimità, alta
fiducia in sé e autosufficienza compulsiva. Il modello positivo che l'individuo
Distanziante ha di sé lo porta ad avere alta fiducia in se stesso. Il modello negativo che
ha dell'altro lo porta a dare l'impressione di non apprezzare molto le altre persone, o
comunque di non averne bisogno, apparendo talvolta cinico o eccessivamente critico,
e mantenendo costantemente una distanza emozionale dagli altri. Non si sente a
proprio agio con gli affetti e non ricerca l'intimità, evitando attivamente di dare il
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supporto che gli altri chiedono, rispondendo a tali richieste con il ritiro o un più aperto
rifiuto. Svaluta l'importanza delle relazioni, evita i conflitti interpersonali e sottolinea
l'importanza dell'indipendenza, della libertà e dell'affermazione personale. Le relazioni
di coppia del Distanziante sono caratterizzate dalla mancanza dell'intimità o della
vicinanza e da una bassa apertura nella comunicazione, risultando poco coinvolte
emotivamente. Tende, infatti, a non mostrare affetto nelle relazioni e non si sente a
proprio agio con le richieste di supporto o le manifestazioni di dipendenza del partner.
Preferisce evitare i conflitti o altre manifestazioni emozionali e rapidamente si sente
annoiato dalla relazione.
•
TIMOROSO-EVITANTE: (assimilabile al Disorientato/Disorganizzato) modello
interno di sé negativo, modello interno dell'altro negativo. Elevato livello di
evitamento e di ansia. Caratteristiche principali: bassa fiducia in sé, evitamento
causato dalla paura del rifiuto, conflitto tra il desiderio dell'intimità e la paura del
rifiuto. La rappresentazione negativa che l'individuo Timoroso ha di se stesso lo porta
ad avere un mancato riconoscimento delle proprie capacità e risorse. Questo modello
negativo si traduce in dipendenza emozionale con forte ansia di separazione e in
un’eccessiva gelosia. Spesso si lamenta di non piacere agli altri o di essere considerato
noioso e poco attraente. La rappresentazione negativa che ha dell'altro - che si ritrova
come una sostanziale sfiducia nella disponibilità delle altre persone - lo porta ad
evitare le richieste di aiuto, finché non sia assolutamente certo di non ricevere il
temuto rifiuto. Il suo modo di vivere le relazioni è contrassegnato da molta sofferenza
perché pur desiderando il contatto con le altre persone sente, allo stesso tempo, di non
esserne all’altezza, mostrandosi estremamente sensibile ad ogni minimo segnale di
rifiuto. Teme di non riuscire a trovare una persona che possa accettarlo e amarlo
realmente e si ritrova spesso solo.
L’intervista e gli strumenti self-report (che nel loro studio correlano significativamente tra
loro e con i resoconti forniti dagli amici dei soggetti) ideati da Bartholomew e Horowitz
hanno la finalità di identificare le quattro categorie dell’attaccamento di coppia.
I pattern descritti tendono generalmente ad essere confermati e a rimanere stabili nel corso
della vita, anche se generano relazioni conflittuali ed infelici, poiché le persone hanno un forte
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bisogno di coerenza interna. Come conseguenza si verifica spesso, quindi, che gli individui
selezionano partner che vanno a confermare e a rafforzare le aspettative su se stessi e sugli
altri. Ne sono un esempio la stabilità e la frequenza delle relazioni tra donne con attaccamento
ambivalente e uomini con pattern evitante: la dipendenza affettiva dalla donna ambivalente
conferma all’uomo evitante che è imprudente che gli altri si avvicinino troppo; mentre la
freddezza e l’indifferenza dell’uomo evitante confermano alla donna ambivalente che l’altro
non è abbastanza affidabile e costante nell’affetto (Kirkpatrick, Davis 1994).
Si verifica, inoltre, che le persone, avendo una serie di aspettative sul comportamento e le
emozioni delle altre persone tendono ad elicitare tali comportamenti ed emozioni con
l’atteggiamento che adottano (ad esempio, una persona che non ha fiducia nell’altro tende a
relazionarsi in maniera diffidente e distaccata suscitando, spesso, negli altri il rifiuto che si
aspetta).
Nonostante
sembri
esserci
una
tendenza
auto-perpetuante
dei
modelli
dell’attaccamento, può verificarsi anche un loro cambiamento: relazioni sentimentali stabili e
soddisfacenti forniscono una buona occasione per disconfermare lo scetticismo o la sfiducia
nei confronti delle relazioni intime di chi ne è coinvolto e per modificare, quindi, il vecchio
modello interno di sé e dell’altro in virtù di una nuova, fondamentale esperienza emotiva
correttiva (Freeney, 1999).
La natura duale dell’attaccamento di coppia ha portato diversi autori (Fisher e Crandall, 2003)
a definire tale tipologia di attaccamento “attaccamento complesso”.
Fisher e Crandall definiscono la qualità dell’attaccamento complesso nella coppia come
fortemente influenzata dai modelli rappresentazionali dell’attaccamento di ciascun partner. In
altri termini, stati sicuri della mente in relazione all’attaccamento nell’infanzia potrebbero
essere collegati ad una capacità di reciprocità nella relazione di coppia, mentre stati della
mente insicuri potrebbero essere collegati a posizioni fisse e a modelli di relazione rigidi. Il
risultante “profilo” della coppia rispetto all’attaccamento complesso risulta essere simile a due
profili sovrapposti dell’attaccamento individuale. Tali profili si possono quindi distinguere in
attaccamenti sicuri, attaccamenti insicuri, ed infine attaccamenti sicuro /insicuro.
L’attaccamento sicuro di coppia implica l’abilità di spostarsi liberamente tra la posizione
dipendente e quella di essere l’oggetto di dipendenza da parte dell’altro. È caratterizzato da
una corrispondenza empatica dei pensieri e dei sentimenti del partner in entrambe le
posizioni.
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L’attaccamento insicuro di coppia. In tale tipo di attaccamento è presente un marcato grado di
asimmetria e rigidità nella relazione, con un partner che si trova in una posizione e l’altro
nell’altra posizione, con una bassa probabilità di spostarsi tra loro. È caratterizzato da
mancanza di flessibilità, reciprocità e bidirezionalità reversibile, e si distingue in tre ampie
categorie:
o Attaccamento di coppia distanziante-svalutante/distanziante-svalutante. Lo stato
distanziante-svalutante della mente è una negazione dei bisogni di dipendenza in sé e
nell’altro; gli individui con attaccamento di questo tipo mostrano una iperindipendenza e un’autosufficienza così come nei bambini evitanti. Di conseguenza il
modello nella coppia reciprocamente distanziante-svalutante è che la dipendenza è
proibita e il “contratto” inconscio di coppia è dato dall’affermazione “io non sono
dipendente da te e tu non sei dipendente da me”. Se entrambi i partner sono in grado
di confermarsi con il contratto implicito, potrebbe sembrare che non esista nessun
conflitto di coppia o che perlomeno il conflitto venga evitato. Se ciò viene messo in
discussione in una fase “critica” del ciclo vitale (ad esempio la nascita del primo
figlio) il contratto della coppia può venir infranto.
o Attaccamento preoccupato/preoccupato. Lo stato preoccupato della mente si traduce
in un costante sentimento di deprivazione, ed in una convinzione reciproca che l’altro
non potrà mai soddisfare il proprio bisogno. L’adulto preoccupato ricerca e richiede il
contatto emotivo nella relazione, ma rimanendo insoddisfatto e arrabbiato nei
confronti di questo contatto cerca di resistervi. In questo modello di coppia esiste un
livello elevato di discordia e di conflitto in quanto ciascun partner, nel momento in
cui richiede che l’altro partner soddisfi i propri bisogni cronici e insaziabili di
dipendenza, contemporaneamente rifiuta ogni risposta percepita come inadeguata.
o Attaccamento distanziante-svalutante/preoccupato. Questo sistema è altamente
conflittuale e vede un partner preoccupato che manifesta generalmente maggiore
insoddisfazione, mentre il partner distanziante evita di essere dipendente. È quindi
presente un conflitto all’interno del sistema alimentato dall’aumento di richiesta di
soddisfare i propri bisogni di dipendenza del partner preoccupato e dall’incremento
della risposta difensiva del partner distanziante.
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L’attaccamento sicuro/insicuro. La presenza di un partner sicuro all’interno di una relazione
con un individuo insicuro sfida continuamente la tendenza dell’individuo preoccupato a porsi
nella posizione di dipendente e quella del distanziante di non assumere nessuna posizione.
Attraverso la creazione di un’esperienza emozionale correttiva, il partner sicuro potrebbe
riuscire a rendere più flessibile e bilanciato lo stato della mente del partner insicuro o potrebbe
anche accadere, in determinate circostanze, che il partner sicuro vada nella direzione opposta,
diventando più rigido ed inflessibile nel soddisfare le tendenze del partner insicuro.
2.4 Il sintomo nella coppia
Froma Walsh (1992) ha svolto un’accurata analisi delle caratteristiche che differenziano la
coppia funzionale da quella disfunzionale ed ha elencato alcune delle motivazioni per cui una
coppia entra in crisi.
Uno degli elementi da cui dipende il funzionamento o meno dell’unione è il grado di
collaborazione tra i coniugi o i compagni.
Il tipo di regole e il loro mantenimento stabiliscono il grado di sanità o disfunzionalità della
coppia. Inoltre, la coppia costruisce una sua realtà che va condivisa, altrimenti si arriva alla
rottura.
Altro elemento che può scatenare una crisi è un persistente squilibrio di potere nella coppia.
L’equilibrio di potere tra moglie e marito è un tema fondamentale nell’organizzazione del
sistema coniugale (Goldner,1988). Beavers (1986) ha rilevato che le coppie riuscite
(tradizionali) riescono a mantenere una complementarietà nel far fronte ai compiti e, allo
stesso tempo, un senso di uguaglianza e di leadership condivisa.
Di contro le famiglie disfunzionali sono caratterizzate da uno squilibrio di potere nella coppia:
più grande è la posizione di dominanza e di autorità di uno sull’altro, più disfunzionale e
insoddisfacente è il matrimonio. Uno squilibrio di potere nella relazione può portare a
insoddisfazione e sintomi come fatica, diminuzione del desiderio sessuale e depressione più
spesso nella moglie che sopporta un carico sproporzionato di responsabilità.
Mentre uomini e donne assumono una posizione sempre più simmetrica nel mondo del lavoro
in quanto le donne sempre più fanno il lavoro “da uomini”, devono tuttavia ancora verificarsi i
cambiamenti reciproci dei mariti in casa, anche perché quest’area, occuparsi della casa, è stata
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sempre culturalmente sottovalutata. Un altro requisito principale per il buon funzionamento di
una coppia e di una famiglia è l’adattabilità che a che fare con l’equilibrio tra il mantenimento
di una struttura stabile e allo stesso tempo flessibile in risposta ai cambiamenti della vita
(Olson, 1983). Le coppie in cui entrambi i partner perseguono obiettivi di carriera registrano
delle tensioni su questo piano.
L’impegno nel lavoro e nella famiglia e le opposte richieste provenienti dalle due aree
necessitano di una struttura salda e di un’alta flessibilità. Queste coppie devono stabilire regole
chiare che tuttavia devono poter essere rinegoziate e cambiate. Data la complessità degli
impegni della vita quotidiana, la chiarezza e la coerenza sono essenziali alla gestione,
predicibilità e compimento della miriade di compiti lavorativi e familiari.
Allo stesso tempo le variazioni inaspettate nella routine, le crisi e le eventuali responsabilità
che si aggiungono, richiedono flessibilità e tolleranza per il disagio che occasionalmente si
può produrre. Un altro aspetto cruciale è la coesione. Le coppie sane riescono a trovare un
equilibrio tra vicinanza e rispetto della separazione e delle differenze individuali. Nella
relazione coniugale c’è un impegno condiviso nella relazione e nella sua continuità e
un’aspettativa che ciascuno sia la cosa più importante per l’altro.
Viene preservato un confine intorno alla coppia per proteggerne l’integrità e per prevenire
l’intrusione e la rottura del legame. Molte giovani coppie che contraggono matrimonio sulla
base di una relazione in cui entrambi sono impegnati in una carriera lavorativa hanno aree di
competenza separate l’uno rispetto all’altra. Questo accordo può funzionare finché non
interviene la nascita dei figli a portare stress nel sistema.
E’ molto difficile mantenere coesione e intimità nella coppia, quando i coniugi hanno impegni
lavorativi separati che interferiscono nel tempo e nelle energie da dedicare al rapporto. Nei
matrimoni tradizionali ci si aspetta che le mogli sacrifichino o pospongano il soddisfacimento
dei bisogni personali e di rapporto alla carriera del marito.
Per queste tipologie di coppie, infatti, il tempo si consuma nell’adempimento degli impegni di
lavoro e familiari e il rapporto soffre della mancanza di spazi di coppia e individuali. I partner
finiscono per assumere atteggiamenti disimpegnati l’uno rispetto all’altra, con poco senso di
connessione e intimità. In tali coppie ciascun membro offre la propria definizione della
relazione cercando di determinarne la natura.
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Ciascuno, inoltre, risponde con la propria definizione che può confermare, negare o modificare
quella dell’altro.
Perché una relazione di coppia funzioni bisogna che queste definizioni della relazione a un
certo punto si stabilizzino, altrimenti la continuità della relazione stessa è in serio pericolo. Le
regole di relazione in gran parte sfuggono alla consapevolezza, prescrivono e limitano il
comportamento e organizzano l’interazione in un sistema relativamente stabile. Perché una
coppia sia considerata sana è necessaria pertanto una chiarezza di regole, ruoli e di messaggi
(Walsh, 1999). A causa della complessità e ambiguità della vita contemporanea, i partner
devono costantemente ridefinire e rendere esplicite le loro idee e aspettative nei confronti del
matrimonio, del compagno e di se stessi. A meno che non ci sia chiarezza e coerenza, possono
accadere molti fraintendimenti che si sommano l’uno all’altro producendo frustrazione e
conflitto.
Altro aspetto vitale della comunicazione di coppia è l’espressione delle emozioni. Ogni coppia
deve raggiungere un accordo su come si esprimono reciprocamente i sentimenti di amore,
affetto e cura. Fraintendimenti su questo piano sono spesso fonte di tensione. La tradizionale
divisione del lavoro e le aree di impegno separate danno luogo a un matrimonio in cui
scarseggiano aree di esperienza emotiva condivisa (Weiss, 1985). Nel suo studio sugli uomini
e famiglia, Weiss ha trovato che le sfide sul piano del lavoro e la costante valutazione delle
prestazioni
generano
potenti
emozioni
negli
uomini,
specialmente
sul
piano
dell’autovalutazione del successo raggiunto o del fallimento e della paura di dimostrare
debolezza o incertezza.
Weiss afferma che per funzionare bene, per avanzare nella carriera e per guadagnarsi rispetto e
fiducia, gli uomini imparano a controllare le emozioni e a nascondere insicurezza e ansia.
Tutto questo viene trasferito anche nel matrimonio con la conseguenza di bloccare la
comunicazione delle emozioni con la compagna. Un’eccezione a questa regola, rilevata da
Weiss, riguarda l’espressione della rabbia in risposta alla frustrazione. L’abitudine degli
uomini a reprimere le emozioni tranne la rabbia ha le sue conseguenze più gravi nei casi di
maltrattamento delle mogli. La terapia sistemica deve essere in grado di valutare meglio e dare
il giusto peso anche al contesto sociale che contribuisce a creare questo problema (Bogdan,
1984).
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Considerando tutte le componenti che si inseriscono nella costruzione e nel mantenimento
della coppia, la principale causa della trasformazione di una crisi in una separazione è
collegata al fatto che le coppie “disfunzionali”, così come le definisce la Walsh, mancano di
capacità di problem solving. Queste coppie non riescono a individuare il problema, non lo
condividono e di conseguenza non sanno come risolverlo. Le coppie disfunzionali di solito
hanno difficoltà ad esprimere il conflitto per paura di incrementarlo e di non riuscire più a
gestirlo.
Quindi la grossa differenza tra coppie che funzionano non è determinata dalla presenza o
dall’assenza di problemi, ma piuttosto dalla capacità di affrontare e risolvere le difficoltà che
insorgono nel corso della vita insieme. I terapeuti devono stare attenti a non credere al mito
che le coppie “normali” non hanno problemi né conflitti (Walsh, 1983). E’ ovvio che il buon
andamento del ciclo vitale della famiglia ha un ruolo importante: Beavers (1986) ha rilevato
nel suo studio che le coppie che funzionano meglio sono sottoposte a un numero minore di
eventi stressanti. L’accumularsi di questi eventi, specialmente quelli riguardanti perdite e
grosse disorganizzazioni, può mettere in serio pericolo anche il matrimonio meglio
funzionante (Walsh, 1999).
Il processo di problem solving può essere considerato come una progressione dalla
identificazione condivisa di un problema, attraverso la contrattazione fino alla sua risoluzione.
Le coppie si possono incagliare in uno qualsiasi dei punti di questo cammino.
Quelle seriamente disturbate hanno difficoltà a livello del punto di partenza: il riconoscimento
condiviso di un problema. La poca chiarezza nella comunicazione e un basso livello di
differenziazione bloccano la definizione del problema e il riconoscimento delle differenze nei
sentimenti e nelle idee intorno a un tema che riguarda la relazione.
Le coppie disfunzionali di solito hanno difficoltà a esprimere le differenze per una paura
catastrofica che il conflitto aumenterà e ne sortirà violenza o rottura del matrimonio.
Le coppie con bassa tolleranza al conflitto tendono “ad accordarsi sull’essere d’accordo” e
premono per una prematura chiusura dei problemi. Usano sempre la solita tecnica o la solita
soluzione per tutti i problemi, considerando la sperimentazione fonte di fallimento e colpa.
Queste strategie di conseguenza non fanno altro che aumentare la possibilità che i problemi
non siano affrontati in modo efficace, con immaginabili conseguenze per il rapporto. I partner
partecipano in modi diversi al processo di problem solving basato su modelli diversi di
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contrattazione di cui i due possono anche non essere consapevoli. L’appartenenza al genere
(Di Vita, Miano, 2002) fa spesso sì che l’atto di prendere una decisione sia frequentemente
unilaterale dal momento che agli uomini viene insegnato ad asserire i propri bisogni e alle
donne a differirli. Le premesse di partenza sono quindi molto diverse.
Gli uomini sono abituati a difendere la propria posizione con forza e convinzione e con
l’obiettivo di ottenere il massimo. Le donne sono abituate a posporre i propri agli altrui
bisogni per cui una buona contrattazione significa per una donna considerazione della
posizione dell’altro e compromesso per tenere in considerazione anche i bisogni dell’altro.
Questo modello può essere complementare nel senso che ci può essere collusione ma, nel
tempo, la continua mancanza di reciprocità porterà a uno squilibrio di potere e di privilegi.
Nelle coppie sane, invece, si verifica la possibilità di procedere senza troppi scossoni
dall’identificazione del problema alla sua risoluzione. Esse sono in grado di mantenere un
senso di fiducia, di affrontare i problemi con tolleranza per quanto riguarda le differenze e le
incertezze e quindi di costruire nel tempo un senso di reciprocità nell’accomodamento
dell’uno all’altra. Sono in grado di sperimentare soluzioni nuove, espandere le possibilità di
risposta e anche di cambiare direzione quando è necessario.
In questo ambito è importante riprendere brevemente le definizioni di alcuni principi (Willi
1996) descritti già in precedenza secondo cui la funzionalità di una relazione dipenderebbe da:
1. la capacità di costruire un equilibrio tra la completa fusione della coppia e l’apertura verso
l’esterno. Ad un lato estremo di un continuum si ritrovano coppie che formano un’unità
fusionale, rigidamente delimitate verso l’esterno, mantenendo impermeabili i loro confini
extradiadici. Tale forma di relazione, mentre è auspicabile e normale che si verifichi nella fase
di innamoramento, se perdura nelle fasi successive della relazione, porta ad una perdita dei
confini individuali e ad una totale chiusura della coppia al mondo che non può risultare
dannosa. All’altro lato estremo del continuum, invece, si trovano quelle coppie che, per paura
della perdita di sé nel rapporto e dell’intimità che una relazione esclusiva comporta,
mantengono una rigida barriera al loro interno (impedendo un autentico contatto tra i partner)
e confini extradiadici diffusi. Secondo l’autore il giusto equilibrio sarebbe rappresentato da
una chiara, ma permeabile delimitazione della coppia verso l’esterno: i partner devono sentirsi
parte della coppia e, in quanto, tale, devono occupare un proprio spazio e avere una vita
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propria; al tempo stesso, però, ognuno dei due partner deve mantenere una propria
individualità.
2. La capacità e/o possibilità per entrambi i partner di poter regredire (cercando conforto e
sostegno nell’altro) e progredire, offrendo sostegno e aiuto all’altro. Nelle coppie disfunzionali
si assiste, invece, ad una rigidità dei ruoli progressivo e regressivo (che generano una perfetta
collusione), in cui un partner assume unicamente la funzione maternizzante, mentre l’altro la
posizione richiedente.
3. La possibilità per i partner di percepire un senso reciproco di equivalenza. Per equivalenza
non si intende solo la parità dei diritti e delle funzioni da espletare, bensì anche la parità del
senso di valore e dell’autostima che i partner avvertono. L’alterazione di tale principio porta a
relazioni in cui vi è un costante stato di tensione e conflitto tra il dominante e il dominato, che
mette in moto comportamenti distruttivi per distruggere l’altro.
La teoria di Olson: Le situazioni collusive sono caratterizzate da un sistema di coppia rigido
che impedisce il cambiamento e l’evoluzione sia del singolo individuo all’interno della coppia
che della coppia nel suo insieme; un sistema, cioè, che non risponde ai criteri fondamentali
che David Olson ha individuato per misurare la funzionalità e l’adattabilità della coppia e
della famiglia.
La teoria di David Olson si colloca all’interno dell’approccio evolutivo allo studio della
famiglia, secondo il quale la famiglia è un sistema aperto caratterizzato dall’omeostasi e dal
cambiamento che subisce trasformazioni e movimenti di ristrutturazione per adeguare la
propria organizzazione ai cambiamenti che si presentano nel corso del suo sviluppo,
mantenendo, al tempo stesso, una propria identità. Tali cambiamenti si verificano con il
passaggio dei compiti evolutivi tipici di ogni fase del ciclo di vita familiare, attraverso le quali
si evolvono non solo l’intero sistema nel suo insieme, ma anche i suoi singoli componenti.
Olson (1983, 2000), allo scopo di misurare la funzionalità e l’adeguatezza della famiglia che
le consenta di superare le fasi del ciclo vitale in maniera adeguata, individua tre dimensioni
fondamentali: la Coesione, l’Adattabilità e la Comunicazione. Le prime due delle quali,
suddivise, a loro volta, in quattro livelli.
1. La Coesione rappresenta la dimensione relativa ai legami emotivi esistente
reciprocamente tra i singoli membri della famiglia. In altre parole indica il loro grado
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di vicinanza in termini affettivi e cognitivi e si esplica attraverso i vincoli emozionali
esistenti, i confini, la gestione delle distanze, le coalizioni, i tempi, la capacità di
prendere decisioni e di risolvere i problemi, il grado di autonomia personale, le
attività nel tempo libero. Essa si articola nei seguenti livelli:
-
Invischiato (caratterizzato da un alto grado di Coesione);
-
Connesso (caratterizzato da un grado moderatamente alto di Coesione);
-
Separato (caratterizzato da un grado moderatamente basso di Coesione);
-
Disimpegnato (caratterizzato da un basso grado di Coesione).
Olson ritiene che i livelli intermedi siano quelli più funzionali sia all’interno della
diade che del sistema familiare: il livello invischiato, infatti, porterebbe ad una perdita
di confini tra i vari membri e ad un coinvolgimento emotivo eccessivo, tale da
impedire la crescita e lo sviluppo dell’autonomia dei membri e del sistema nel suo
insieme; mentre il sistema disimpegnato manca di un attaccamento specifico,
dell’attitudine alla condivisione delle emozioni e degli affetti, condizioni necessarie
per il supporto reciproco e il sostegno che un sistema familiare o di coppia dovrebbe
garantire.
2. La Adattabilità fa riferimento alla capacità del sistema (familiare o di coppia) di
essere flessibile e di adeguarsi funzionalmente alle diverse situazioni di sviluppo o di
stress, di poter cambiare i ruoli, le regole relazionali, le strutture di potere. I livelli in
cui questa dimensione si può articolare sono:
-
Caotico (caratterizzato da un alto grado di Adattabilità);
-
Flessibile (caratterizzato da un grado di Adattabilità moderatamente alto);
-
Strutturato (caratterizzato da un grado di Adattabilità moderatamente basso);
-
Rigido (caratterizzato da un basso grado di Adattabilità).
Anche per questa dimensione l’autore ritiene essere decisamente più funzionali le
dimensioni centrali, in quanto un eccessivo grado di Adattabilità va a scapito
dell’equilibrio omeostatico necessario per l’identità e il senso di continuità del
sistema; mentre una bassa Adattabilità non consente il passaggio da una fase all’altra
del ciclo vitale della coppia o della famiglia.
3. La Comunicazione viene definita come la capacità di ascolto, di scambio
comunicativo, di apertura verso gli altri di chiarezza, di rispetto ed attenzione. Olson
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non inserisce tale dimensione all’interno del modello grafico, in quanto essa viene
intesa come un "elemento facilitante" il movimento dinamico che le famiglie
compiono nella regolazione dei loro legami affettivi e delle capacità organizzative. La
comunicazione diviene una dimensione cruciale soprattutto nelle interazioni che
caratterizzano periodi critici della storia individuale e familiare, durante i quali si
possono manifestare oscillazioni circa la fluidità, stereotipizzazioni, apertura-chiusura
dei pattern comunicativi. Una comunicazione positiva faciliterebbe la capacità di
cambiamento del sistema verso livelli più soddisfacenti di coesione e adattabilità.
Mentre una comunicazione negativa inibirebbe il sistema familiare nelle sue
potenzialità di crescita e di sviluppo.
Dall’incrocio dei quattro livelli delle dimensioni di Coesione e di Adattabilità - che vengono
graficamente rappresentate nel Modello Circonflesso di Olson sull’asse orizzontale (la
Coesione) e sull’asse verticale (la Adattabilità) – è possibile identificare 16 tipi di famiglie,
riconducibili a tre categorie: bilanciate, intermedie ed estreme.
Nei sistemi bilanciati i membri possiedono un equilibrato livello di autonomia, pur
mantenendo il legame con il proprio sistema di riferimento. Sono le famiglie che si collocano
nelle posizioni centrali in entrambe le dimensioni, riuscendo a mantenere sia una adeguata
coesione interna che la differenziazione dei vari membri in qualità di persone differenziate ed
hanno un giusto grado di flessibilità che le consente di adattarsi alle situazioni contingenti con
una comunicazione aperta ed implica, allo stesso tempo, il rispetto e la considerazione di tutti
i membri.
I sistemi intermedi sono considerati da Olson condizioni di transizione, che si presentano
soprattutto nel passaggio da una fase all’altra del ciclo di vita della coppia o della famiglia.
I tipi di famiglia che presentano un funzionamento estremo (sia nel senso della bassa/alta
coesione che della bassa/alta adattabilità) sono i più problematici. Olson li definisce, appunto,
coppie o famiglie con emergenze sintomatiche.
Il Modello di Olson, essendo un modello dinamico, considera che le tre dimensioni possano
essere presenti in diverse gradazioni in diverse fasi del ciclo vitale del sistema o in condizioni
di stress.
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La teoria di Minuchin: mentre Olson cerca di identificare le caratteristiche del sistema
familiare che distinguono le famiglie adattate da quelle problematiche, il lavoro di Salvator
Minuchin, altro noto terapista della famiglia, si caratterizza in particolar modo per il
contributo che ha apportato allo studio di tecniche familiari nell’approccio ai disturbi
psicosomatici. L’autore (Minuchin et al., 1980), a partire dalla sua esperienza clinica e in
collaborazione con altri studiosi e clinici, ha sviluppato un vero e proprio modello teorico
della malattia psicosomatica che colloca il sintomo non nel singolo individuo, ma all’interno
della famiglia nel suo insieme.
Il lavoro con bambini diabetici, asmatici e con anoressia mentale lo conduce ad una prima
importante distinzione: quella tra disturbo psicosomatico “primario” e “secondario”.
Nel disturbo psicosomatico “primario” sarebbe, comunque, presente una disfunzione
biologica i cui sintomi sarebbero esacerbati dall’elemento psicosomatico; ne sono un esempio
il diabete e l’asma, quando sono presenti dei peggioramenti sintomatici più in risposta a
stimoli emotivi che fisiologici.
Nel disturbo psicosomatico “secondario” non può essere dimostrata, invece, alcuna
predisposizione fisica: si verifica una vera e propria trasformazione dei conflitti emotivi in
sintomi somatici, come nell’anoressia.
Inoltre dalle loro osservazioni cliniche emersero delle caratteristiche specifiche tipiche di tutte
le famiglie dei pazienti psicosomatici (primari e secondari) che, nel loro insieme, possono
spiegare l’insorgenza e il mantenimento del sintomo:
1. L’invischiamento: dimensione che fa riferimento ad una estrema vicinanza ed
intensità delle relazioni familiari, con un coinvolgimento eccessivo nei pensieri e
sentimenti altrui. Nelle famiglie invischiate i confini dei diversi sottosistemi
(costituiti da un membro, dalla diade o da più membri) sono deboli, scarsamente
differenziati
e
spesso
si
sovrappongono
con
una
conseguente
scarsa
differenziazione a livello individuale e mancanza di privacy. La comunicazione è
poco chiara e diretta, per cui spesso un membro fa da tramite per inviare un
messaggio ad un altro membro.
2. L’iperprotettività: fa riferimento all’alto grado di interesse che ciascuno dei
membri prova per il benessere degli altri, mostrandosi eccessivamente preoccupati
e ipersensibili rispetto a qualsiasi segnale di malessere o tensione, con un
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conseguente ritardo o assenza del raggiungimento della sicurezza e dell’autonomia
da parte dei figli.
3. La rigidità: fa riferimento alla costante attenzione a mantenere lo “status quo” da
parte della famiglia, impedendo il cambiamento e, conseguentemente, la crescita
sia da parte dell’intero sistema che di ognuno dei suoi singoli membri. Le famiglie
rigide sono molto vulnerabili agli avvenimenti esterni che possono mettere in
discussione l’equilibrio preesistente e le modalità di interazioni abituali.
4. La non risoluzione dei conflitti: si manifesta con un costante evitamento delle
situazioni di conflitto. Spesso è uno dei coniugi ad evitare il conflitto quando
l’altro espone dei aree di difficoltà che potrebbero portare alla discussione. Oppure
può verificarsi apertamente l’espressione del disaccordo, ma le continue
interruzioni e cambiamenti di argomento offuscano il conflitto prima che si possa
giungere alla contrattazione di una soluzione. Il risultato di tale tendenza è che i
problemi rimangono irrisolti e continuano a costituire una minaccia ogniqualvolta
si ripresentano.
In tali famiglie, coppie, il portatore del sintomo svolge la funzione di regolatore
dell’equilibrio interno del sistema che rinforza sia la persistenza del sintomo che dei
particolari aspetti dell’organizzazione del sistema da cui esso trae origine (Minuchin et al,
1980).
Il contributo di Byng-Hall: uno dei contributi più significativi allo studio della terapia di
coppia e della famiglia che si avvale dei contributi della teoria dell’attaccamento è
sicuramente quello di John Byng-Hall (1991, 1995, 1999). L’autore ha collaborato per diversi
anni con Bowlby, il quale, nonostante si fosse occupato prevalentemente della psicoterapia
individuale, può essere considerato un pioniere della terapia sistemico-familiare. A lui, infatti,
spetta il merito di aver introdotto alla Clinica Tavistock il metodo di vedere le famiglie, al fine
di osservarne le dinamiche e lavorare su di esse. E’ in un suo articolo del 1949 – “The study
and reduction of group tensions in the family” – che egli descrive il caso clinico di un ragazzo
che seguì alla Tavistock Clinic, il quale – durante due anni di trattamento – opponeva sempre
maggiori resistenze e che egli decise, in via del tutto innovativa, di continuare a vedere
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insieme ai suoi genitori e con il supporto di un assistente sociale, ottenendo finalmente i
risultati sperati (Holmes, 1993).
Byng-Hall, dalla sua esperienza di neuropsichiatria infantile e terapeuta della famiglia alla
Tavistock Clinic di Londra dal 1973, è l'autore di un modello del funzionamento familiare che
supera il dualismo fra gli aspetti rappresentazionali e gli aspetti pragmatici della relazione,
risolvendo la diatriba tra intrapsichico e relazionale, tra relazioni reali e modelli operativi
interni, considerando lo sviluppo psicologico un processo interpersonale.
Secondo l’approccio sistemico, infatti, ogni rapporto ha una qualche influenza su tutti gli altri
rapporti, per cui cambiamenti simultanei nel sistema nel suo complesso vengono conseguiti
più facilmente dei cambiamenti singoli (questo spiega il fatto che agire sul sintomo di un solo
componente della famiglia potrebbe essere controproducente, in quanto il suo mantenimento
può essere funzionale al mantenimento dello status quo familiare). Bowlby ritiene che a
spiegare l’influenza reciproca delle relazioni è il concetto di causalità circolare, secondo il
quale gli effetti di qualsiasi azione tornano indietro a influenzare il modo in cui la prima
persona si comporterà la volta successiva nel ciclo dell’interazione.
Byng-Hall introduce nella terapia familiare il concetto di "copione" (script), che può essere
definito come una rappresentazione mentale di un comportamento di attaccamento e che
svolge la funzione di un pattern di interazioni all’interno dei quali ogni membro della famiglia
svolge un proprio ruolo.
Tale concezione si basa sulla condivisione della teoria dell’attaccamento in base alla quale il
modello costruito nell'arco dei primi due anni di vita nella relazione con i genitori è per il
bambino di enorme importanza, al punto da regolare le aspettative su come gli altri lo
tratteranno e da modellare il suo comportamento nei loro confronti. Il bambino costruirà un
modello mentale della madre e del suo modo di comportarsi verso di lui; costruirà, allo stesso
modo, un modello del padre in base alle esperienze vissute nel legame con lui; infine un
modello di se stesso e delle sue capacità fisiche e sociali.
Con il tempo, insomma, la modalità di attaccamento tende ad estendersi alle altre relazioni, e
ad assumere sempre più le caratteristiche di uno script che contiene tutte le istruzioni circa i
comportamenti di attaccamento.
Il copione familiare, pertanto, che risulta essere la risultante del modo in cui i vari script
convergono, contiene le aspettative condivise dalla famiglia sul modo in cui i ruoli devono
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essere rappresentati e influenza, il comportamento dei membri della famiglia stessa a seconda
dei ruoli che occupano, strettamente interconnesso al ruolo svolto da altri membri. In altre
parole, il copione familiare assomiglia ad una commedia in cui ogni personaggio ha un ruolo
proprio e proprie motivazioni: questi contribuiscono a creare quello che può dirsi un intreccio,
una trama familiare. La famiglia circoscrive i confini entro i quali un copione può essere
messo in scena o può essere modificato: muoversi creativamente, improvvisare al di fuori dei
limiti previsti dallo script è un'operazione di esplorazione e di distanziamento, possibile
soltanto una volta soddisfatti i bisogni di attaccamento e che si sia verificata la presenza di
una "base sicura familiare" (Byng-Hall, 1991). L'identificazione in uno script profondamente
radicato e condiviso è di grande importanza per una famiglia al fine di mantenere una propria
coerenza rispetto al mondo esterno.
Lo script definisce in maniera sicura il da farsi nelle diverse situazioni, ma allo stesso tempo
deve essere ampiamente flessibile in modo da tener conto della grande variabilità delle
situazioni. Il fatto che il copione sia condiviso non implica necessariamente che tutti i membri
della famiglia abbiano le stesse idee su di esso: semplicemente si limitano a non infrangerlo e
a perpetuarlo, in modo tale che le aspettative rispetto a determinate situazioni possano
rimanere le stesse.
Talvolta può verificarsi che il vecchio script non è più efficace per far fronte alla situazione
attuale, per cui gli individui coinvolti possono sentire il bisogno di delineare gli elementi base
di un nuovo scenario. Ma per cominciare a sperimentare un nuovo copione è essenziale
sperimentare una base sicura, tale da permettere di correre qualche rischio e di non affidarsi
alle esperienze consolidate.
Nel caso in cui tale situazione di sicurezza non è sperimentata in famiglia, l'individuo si
ritrova a ripetere lo stesso copione: anche se è presente la necessità di cambiare, è più forte
l'impossibilità di farlo. Il vantaggio di poter prevedere i risultati, anche se disastrosi è
preferibile all'incertezza.
Proprio come un bambino il cui attaccamento risulta insicuro, così nell’ambito dei copioni
familiari la sicurezza nell'esplorazione di nuovi territori non può prescindere dalla certezza di
poter tornare indietro e di poter contare su un sostegno sicuro nel caso che le nuove
esplorazioni ci espongano a rischi. Per base sicura familiare si intende un contesto che
fornisce una rete affidabile, all’interno della quale tutti i membri della famiglia possano
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sentirsi sufficientemente sicuri per esprimere il proprio potenziale. Presupposto fondamentale
affinché ciò si verifichi è la collaborazione e il sostegno reciproco tra diverse figure di
attaccamento che tenga uniti i vari rapporti di attaccamento in una rete davvero funzionale. In
una condizione di sicurezza all’interno di un sistema familiare, la distanza e la disponibilità di
ognuno vengono costantemente regolate per cercare di soddisfare i bisogni di sicurezza di tutti
i membri. Nelle famiglie e, in particolare nelle coppie, in cui l’attaccamento è di tipo insicuro
si genera un sistema che regola la distanza che può essere definito “troppo vicino-troppo
lontano”. In tale sistema si verifica che il rapporto è sperimentato come troppo stretto e
soffocante da uno dei due partner il quale mette in atto una serie di strategie distanzianti;
mentre, allo stesso tempo, l’altro partner percepisce lo stesso rapporto come troppo distante e,
quindi, attiva, il sistema di attaccamento con le sue modalità di avvicinamento. Poiché il
comportamento di uno dei due partner tende ad amplificare il comportamento dell’altro, si
genera un conflitto simmetricamente crescente in cui ad ogni mossa di avvicinamento o di
allontanamento viene opposta una crescente resistenza (Byng-Hall 1991, 1999). Tale
situazione sembra verificarsi soprattutto nelle coppie ambivalente/evitante, in quanto il
partner ambivalente si focalizza soprattutto sulle informazioni di attaccamento, in special
modo sulla mancanza di disponibilità del partner, mentre il partner evitante si concentra in
special modo sull’esplorazione dell’ambiente, avvertita dal coniuge come una minaccia e
innescando un ciclo di inseguimento-fuga (Pistole, 1994). In tale ottica l’introduzione di un
terzo elemento nel sistema – come il sintomo o la malattia di uno dei due partner o del loro
figlio - può fungere da regolatore della distanza. Byng-Hall asserisce, infatti, come i figli
inconsapevolmente spesso divengano dei “regolatori” di conflitti matrimoniali. Il sintomo del
bambino, quindi, può agire da fattore regolatore della distanza tra i genitori: se diventano
troppo lontani tra loro, manifesta sintomi in grado di avvicinarli; quando invece diventano
troppo vicini, il sintomo agisce come fattore di divisione (Byng-Hall, 1980).
Secondo tale prospettiva il modo in cui una famiglia regola la distanza può essere il principale
focus di intervento volto al cambiamento di un intero pattern familiare. Uno dei primi
obbiettivi da raggiungere in terapia è la consapevolezza, da parte dei membri, della natura e
del significato del sintomo all’interno della diade o della famiglia, e dei comportamenti di
attaccamento che agiscono all’interno di tali dinamiche. Il ruolo del terapeuta familiare è
inizialmente quello di un referente più saggio e più forte, scelto dai membri e percepito come
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temporanea figura di attaccamento, in grado di fornire una “base sicura” dalla quale possono
essere esplorati i propri
modelli di attaccamento, fino all’acquisizione - da parte della
famiglia - di un proprio modello di attaccamento sufficientemente sicuro per affrontare da
sola i problemi che si presenteranno di volta in volta. La terapia, quindi, può funzionare come
una possibilità di sperimentare una relazione con una figura temporanea di attaccamento. Una
terapia condotta in un clima di disponibilità e fiducia può costituire la base sicura di cui la
famiglia ha bisogno per correre il rischio di sperimentare nuove possibilità. Sapendo di poter
appoggiarsi provvisoriamente al terapeuta può improvvisare script di transizione sapendo di
ridurre il rischio connesso al cambiamento, può trovare il coraggio di compiere esplorazioni e
di uscire dalla disfunzionale immobilità dei vecchi pattern. È importante che il terapeuta si
limiti a bloccare i copioni inefficaci e dannosi e a fornire un abbozzo di quelli nuovi, senza
privare la famiglia della sensazione di essere in grado di riscriverne di propri, promuovendo la
capacità di improvvisare e di immaginare nuovi scenari attraverso l’esplorazione e la
comprensione dei sentimenti che accompagnano le dinamiche familiari. Una metodologia che
viene suggerita dall’autore è quella di narrare i processi che si verificano nel qui ed ora della
seduta in modo che possano essere resi coscienti e compresi nel loro significato. La terapia
termina quando le famiglie hanno riscritto le proprie storie tanto da acquisire alle proprie vite
maggior sicurezza, che consenta loro di creare nuovi script.
E’ inoltre importante che il terapeuta riesca a stabilire una linea di confine tra i conflitti dei
genitori e i loro bambini; quando ciò accade, allora comincia a verificarsi che i bambini
riescono a giocare anche mentre i loro genitori discutono nella stessa stanza di consultazione,
a testimonianza del fatto che non si sentono coinvolti nei loro litigi come difensori dell’uno o
dell’altro genitore o come regolatori della distanza (Byng-Hall, 1999).
Sul finire della terapia Byng-Hall assimila la funzione del terapeuta a quella di un nonno non
intrusivo, ma sempre disponibile qualora la famiglia avesse bisogno del suo aiuto (Byng-Hall
1991, 1999).
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CAPITOLO III
OBESITA’. ASPETTI MEDICI E PSICOLOGICI
La patologia dell’obesità è una patologia complessa, data da molteplici fattori, organici e
non organici, medici e psicologici, familiari e culturali.
La complessità della tematica rende anche tale patologia poco studiata rispetto alla
diffusione che essa ha tra la popolazione odierna.
Da una revisione della letteratura notiamo che molteplici sono le ricerche condotte in
ambito medico, diverse sono le ricerche condotte sulla diade madre-figlio rispetto
all’alimentazione, sull’immagine corporea e sulle caratteristiche psichiatriche correlate
alle patologie alimentari, fra cui l’obesità, alcune ricerche sono state condotte sulla
famiglia d’origine di pazienti con disturbi alimentari, e solo pochi lavori sono invece stati
condotti sulla famiglia acquisita dei pazienti e quindi sulla loro coppia.
Il presente capitolo si dispiega in questa complessità cercando di dare una lettura completa
degli aspetti caratteristici di tale patologia, cercando di abbracciare tutti i fattori
concorrenti nell’insorgenza e nel mantenimento dell’obesità: aspetti culturali, medici,
psicologici, psicopatologici e familiari.
Premessa
Il rapporto dell’uomo con il cibo lungi dall’essere semplice e lineare, si manifesta oggi in tutta
la sua complessità. L’alimentazione umana non riflette solamente la soddisfazione di un
impulso primario tendente alla conservazione della specie, ma si colora di significati simbolici
articolati. Essa si configura come il punto di raccordo tra una dimensione naturale e una
dimensione sociale e culturale, dunque una risposta a “… bisogni socialmente e culturalmente
determinati ” (Scarpi, 1998, pp. 172).
Il cibo e la sua consumazione emergono come veicoli di messaggi e come codici di
comunicazione di un “quadro simbolico di riferimento” (ibidem) caratterizzato da vissuti
psichici, connotazioni emozionali e valori storico-culturali specifici di ogni sistema sociale,
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che determinano le scelte e condizionano i comportamenti, anche alimentari, di chi di quel
sistema fa parte, attraverso una rete di azioni ritualizzate che organizzano i significati.
Il rito del pasto adempie a svariate funzioni quali socializzare, condividere con gli altri un
momento in uno specifico contesto, promuovere l’appartenenza o evidenziare le gerarchie
sociali. L’alimentazione sembra così vestire il ruolo di genitrice di “… proteine simboliche”
(ibidem, pp. 173). È proprio in questa rete intricata che va ad inserirsi il sempre più crescente
problema dell’obesità.
3.1. Il significato semantico e culturale dell’obesità
L’obesità è una condizione assai eterogenea dal punto di vista medico e psicologico e non
figura tra i Disturbi del Comportamento Alimentare né in altre classificazioni psichiatriche
(Cuzzolaro, 2002; Mannucci, Ricca, Rotella, 2001). Non esistono sintomi specifici che la
connotano eccetto l’eccesso di adiposità, per cui la sola caratteristica patognomica, segno
identificabile dell’obesità è al tempo stesso anche la caratteristica che la definisce.
La radice etimologica del termine obesità è ambivalente: la parola latina “obesus” si presenta
con un duplice contenuto semantico, da una lato ha valore di “consunto, magro” ma anche
“ben pasciuto, grasso”, dall’altro sconfina verso il significato di “ottuso” e “grossolano”; allo
stesso modo con il verbo “ob-edere” si può intendere tanto “divorare” quanto “corrodere”. Il
“grasso” sembra così evocare un eccesso, una dismisura alimentare e una condizione
tendenzialmente subumana (Scarpi, 1998) da esorcizzare sia per l’anoressico sia per il
bulimico.
Se la bulimia con il suo significato di “fame da bue” ci proietta verso il “basso” nella
dimensione del disordine, della negazione dell’umano e nella regressione sul piano animale,
l’anoressia esalta comunque il non umano, ma nel suo polo “alto” della divinità, del “magro”,
del digiuno e dell’ascesi e non della regressione. L’immagine pubblica del bulimico esprime
la vergogna di sé e del proprio gruppo di appartenenza, mentre quella dell’anoressico rinvia
ad un distacco con il mondo ed al raggiungimento di una perfezione superiore. Anoressia e
bulimia emergono come i due poli di un sistema simbolico che tendono a travalicare la
condizione di umanità che, invece, l’obesità ed il grasso sembrano evocare (ibidem).
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Tuttavia anoressia e obesità sono legati da un dialogo segreto: come il mondo interno dei
soggetti anoressici è dominato dalla paura di un corpo grasso e disarmonico, così in quello dei
soggetti obesi si celano immagini ascetiche e desideri di un corpo magro (Aveni, Caputo,
Cuzzolaro, 1998).
Fino al XIX sec. le forme più abbondanti ed opulente esemplificavano un canone di bellezza
socialmente accettato ma erano anche un’ostentazione del potere e della ricchezza. Il mondo
contemporaneo, invece, ha gradualmente proposto un ideale di bellezza che esalta la
magrezza e condanna il grasso che sempre più spesso viene rifiutato, deriso e allontanato. Ci
si trova di fronte ad un cambio di prospettiva, dove grasso è popolano, brutto e magro è
aristocratico e bello (Scarpi, 1998).
Nella cultura occidentale le attitudini verso il peso in eccesso sono generalmente negative. Le
persone in sovrappeso o obese vengono giudicate come meno piacevoli, intelligenti, meno
competenti e disciplinate se confrontate con le persone magre (Grover, Keel, Mitchell, 2003).
Ad essi viene generalmente attribuita una serie di caratteristiche quali debolezza, pigrizia,
stupidità, sporcizia, inferiorità e mancanza di auto-controllo.
La discriminazione di cui tali soggetti sono vittime si esplica nel lavoro, nell’educazione,
nelle interazioni sociali ma anche nella stessa famiglia dove essi possono diventare i capri
espiatori anche per problemi che apparentemente non sono legati alla loro condizione
(Ganley, 1986).
Dal momento che il peso è considerato rientrare nella sfera del controllo individuale, non è
arduo osservare come questi soggetti vengano insultati ed incolpati proprio per la loro
incapacità nel saper gestire il loro rapporto con il cibo e la forma corporea.
In uno studio recente, Grover, Keel e Mitchell (2003) hanno cercato di esplorare sia gli
atteggiamenti impliciti verso il sovrappeso sia l’interiorizzazione del peso come un aspetto
dell’identità, ipotizzando che le persone con peso normale e quelle con peso in eccesso non
avrebbero differito negli atteggiamenti impliciti ed espliciti verso il peso e che le donne
avrebbero mostrato una maggiore stigmatizzazione rispetto agli uomini. Il loro campione di
studio era composto da 41 uomini e 42 donne. I partecipanti in sovrappeso (BMI ≥ 25kg/m²)
differivano da quelli con peso normale (BMI tra 19 e 24kg/m²) per l’età maggiore, l’indice di
massa corporea superiore e il livello d’istruzione inferiore. Per valutare le attitudini implicite
fu adoperato l’IAT, Implicit Association Test, che rileva la forza dell’associazione tra varie
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categorie, mentre come misura degli atteggiamenti espliciti fu impiegato l’EDQ, Eating
Disorders Questionnaire e un item ricavato dal Social Attitudes Toward Apparence
Questionnaire .
I risultati di questo studio evidenziarono che su entrambe le misure implicite ed esplicite, i
soggetti, uomini e donne, con peso normale e in eccesso esprimevano atteggiamenti negativi
verso il sovrappeso, con gli uomini che presentavano una denigrazione maggiore per la
grassezza. Sulla misura esplicita dell’identità legata al peso, le donne con peso normale
tendevano a giudicarsi come più pesanti della loro controparte maschile, che invece, si
riconosceva implicitamente come meno pesante nonostante il peso reale. Un’altra importante
conclusione era che fra le donne, la denigrazione implicita del sovrappeso, e quindi gli
atteggiamenti negativi, correlava con livelli impliciti di autostima più bassi.
Tra i limiti di questa indagine sono da segnalare la piccola dimensione del campione, l’origine
esclusivamente caucasica dei partecipanti e l’utilizzo di una scala Likert a 5 punti per stimare
gli atteggiamenti espliciti verso il peso, che probabilmente limitava la capacità di determinare
associazioni significative tra attitudini implicite ed esplicite. La capacità degli uomini di non
fare esperienza di sé come persone in sovrappeso potrebbe proteggerli dallo sviluppo di
disordini alimentari, venendo meno la motivazione a ricercare una perdita di peso.
Una ricerca nel nord Italia (Cota, Vicennati, Ceroni, Morselli-Labate, Pasquali, 2001) su un
campione di donne tra i 43 e i 58 anni, ha evidenziato che i valori crescenti nella distribuzione
del grasso corporeo, in particolare nella zona addominale, conducevano a descrivere più
frequentemente attitudini e comportamenti negativi verso la propria salute e ad un’incidenza
più elevata di disturbi somatici. Utilizzando la versione italiana dell’Illness Behaviour
Questionnaire e del Symptom Questionnaire, gli autori osservarono che in base all’aumento
del WHR ossia del rapporto tra la circonferenza della vita e quella dei fianchi, le donne
esibivano punteggi significativamente più alti o più bassi su alcuni fattori psicologici come la
percezione di avere un qualche tipo di disturbo (p = – 0.018), diniego (p = 0.021), ostilità (p =
0.57), trascuratezza (p = 0.047) e sintomi di conversione (p = 0.005). Il loro WHR e la
circonferenza della vita correlavano in modo significativo con i sintomi di conversione (p =
0.005 e p = 0.029); la circonferenza della vita era inoltre associata alla percezione di avere
una malattia (p = 0.43).
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Queste indagini illustrano come siano gli stessi soggetti obesi a giudicarsi per primi in
maniera negativa e a percepirsi come portatori di disturbi, ma questa posizione riflette
comunque la stigmatizzazione sociale per l’aspetto corporeo indesiderato che potrebbe
influire sul loro benessere generale.
Secondo Adami (1998) nei soggetti obesi gli aspetti affettivi e cognitivi dell’immagine
corporea risultano considerevolmente deteriorati. Questo si riflette nella maggiore
insoddisfazione e disapprovazione per il proprio aspetto, nella più grande svalutazione di se
stessi, in una più forte percezione di essere grassi e in una scarsa o assente sensazione di
essere piacevoli, piacevolezza legata agli atteggiamenti che le altre persone hanno verso il
soggetto e che potrebbero essere indipendenti dall’intima opinione di sé.
3.2. Le ipotesi psicogenetiche dell’obesità
Nel corso degli anni si sono sviluppate svariate teorie che hanno tentato di comprendere il
funzionamento, le caratteristiche psicologiche e comportamentali che accomunano i soggetti
obesi come il modello psicodinamico, la teoria del set-point, il modello cognitivocomportamentale e la teoria sistemico-relazionale.
Il modello psicodinamico
Secondo questa impostazione il sintomo psicosomatico può essere considerato come il
derivato di un conflitto tra pulsioni istintuali e difese dell’Io. La sua origine è collocata in una
fissazione e in una successiva regressione della libido a fasi anteriori dello sviluppo
psicosessuale. La fase orale adempie ad una funzione gnosogena, nel senso che la bocca, sede
di eccitazione sessuale, diventa uno strumento per entrare in contatto con il mondo, generando
in tal modo una prima forma di conoscenza (Freud, 1915). La fissazione può scaturire sia da
un’eccessiva gratificazione dei bisogni del bambino, sia da una mancanza di gratificazioni.
Nel caso specifico dell’obesità, il ricorrere al cibo sarebbe la manifestazione di un
superamento insoddisfacente della fase orale.
È la madre che grazie al nutrimento fisico e psichico riesce a modulare le fluttuazioni dalla
fame alla sazietà consentendo al figlio di regolare le proprie emozioni. Una buona relazione
con la madre e la sua interiorizzazione consentirebbe al bambino di tollerare le frustrazioni
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derivate dalla non soddisfazione dei bisogni; qualora il passaggio da uno stato di eccitazione
ad uno di quiete fosse turbato, verrebbero compromesse anche le strategie per gestire gli stati
d’animo spiacevoli. La ricerca del cibo rispecchierebbe allora la ricerca di espedienti che
colmino il vuoto lasciato dal bisogno e che consentano di ridurre o attenuare l’ansia (Aveni et
al., 1998).
In questa ottica, l’obesità che compare nell’adolescenza, sembra celare i cambiamenti
somatici della pubertà, i conflitti legati alla sessualità, la necessità di ridefinire il proprio sé e
la pressione verso il conseguimento di mete socialmente valorizzate. I conflitti tra autonomia
e dipendenza possono trovare una soluzione transitoria nella dipendenza sintomatica da un
oggetto esterno, ad esempio il cibo.
Nell’età adulta, infine, l’obesità acquista un significato reattivo rispetto alle minacce di
perdita e di svuotamento, e soprattutto per le donne, rispetto alle difficoltà di accettare il
declino estetico, di rinunciare alla sessualità o alla possibilità di procreare.
Diversamente dalle anoressiche che, rifiutando il cibo, cercano di proteggere l’ideale maschile
di femminilità e di negare qualsiasi mancanza, le donne obese sfuggono alla desiderabilità
sessuale ponendosi nel “… limbo dell’androgino, se non del maschile …” (ibidem, pp. 496) e
colmando il senso di mancanza di cui sono invase con la ricerca del cibo. Così, se la magrezza
e il controllo sul corpo testimoniano l’ambizione sociale delle donne, l’obesità diventa il
simbolo della sconfitta e della rassegnazione.
Hilde Bruch (1973) si sofferma sull’interazione diadica madre figlio nella comprensione dei
disturbi alimentari. L’alimentazione viene considerata una funzione corporea non innata ma
che contiene degli elementi di apprendimento e di cui ci si può servire per ottemperare a
bisogni non legati alla nutrizione. La mancanza di controllo che caratterizzerebbe i soggetti
obesi sarebbe imputabile alla loro incapacità di riconoscere le sensazioni di fame, sazietà e
piacere. Queste manifestazioni fisiologiche sarebbero confuse con stati d’ansia e con vissuti
emotivi.
Uno sviluppo sano e adeguato presuppone sia una conferma ai segnali emessi dal bambino,
sia una risposta di questo agli stimoli provenienti dall’ambiente. L’assenza di risposte congrue
da parte della madre, ad esempio nel momento in cui il cibo viene offerto come consolazione,
genera confusione e priva il bambino della capacità di distinguere tra i diversi bisogni, di
costruire una propria identità fisica e dunque una buona rappresentazione percettiva e
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concettuale del proprio corpo. Quando la madre, inoltre, interpreta le manifestazioni
comunicative del figlio in rapporto alla propria persona, si sostituisce a lui nel modulare le
esperienze fisiche negandogli la possibilità di sperimentare la propria corporeità.
Da adulti, questi soggetti, avranno bisogno di segnali dall’esterno per capire quanto e quando
mangiare. Di qui “… la fallace convinzione di non avere una propria identità … e la mancata
consapevolezza di vivere la propria vita” (Bruch, 1973, pp. 70).
Riprendendo questi concetti la Selvini Palazzoli (1963) giunge a parlare di coscienza
corporea, ossia
“… il risultato di un lungo apprendimento (learning process) in cui il bambino ha appreso,
in un dato rapporto transazionale, come percepire e concettualizzare esattamente i suoi
bisogni corporei, indipendentemente dalla nutrice e dalle proprie sensazioni inconsce, per
contatto diretto e stabile con la propria fonte esperienziale: il suo corpo” (Selvini Palazzoli,
1963, pp. 65).
Nei soggetti con disturbi alimentari, l’autrice sottolinea sia l’assenza di conferme che
legittimino le percezioni del bambino, che finisce per dubitare delle sue esperienze corporee,
sia l’attribuzione di ruolo da parte del nucleo familiare: il bambino viene imprigionato in un
ruolo rigido che è anche l’unico che consente ai genitori di comunicare con lui senza
angoscia.
La teoria del set-point
Questo orientamento sottolinea la tendenza dell’organismo a mantenere stabile il peso
corporeo nel tempo grazie ad un sistema, situato nell’ipotalamo, che consente di fissarlo
intorno ad un punto critico che cambia da individuo ad individuo e che emerge dalla
convergenza di differenti fattori quali la costituzione genetica, la funzione metabolica e il
dispendio energetico. Le variazioni di tale valore verrebbero compensate dalle modificazioni
biologiche dell’organismo (Keesey, Corbett, 1984).
Nell’obesità il set-point sarebbe fissato ad un livello alto e la pressione sociale condurrebbe
questi soggetti ad una sua riduzione mediante una restrizione alimentare che comporta un
controllo cognitivo costante (Ganley, 1986).
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I bisogni energetici dell’organismo sarebbero una funzione della massa dei tessuti che
contiene e del peso corporeo, per cui un aumento del peso determina un incremento anche del
fabbisogno energetico (Keesey, Corbett, 1984). Il set-point potrebbe allora essere considerato
come il peso a cui i bisogni energetici quotidiani possono essere accuratamente ricavati dal
metabolismo corporeo: solo intorno a questo peso il metabolismo viene considerato normale.
Tutti i meccanismi fisiologici che agiscono attivamente per ridurre o aumentare il dispendio
energetico in risposta ai cali o agli incrementi di peso sarebbero determinanti nell’attenuare
gli effetti sia della sovralimentazione nei periodi di abbondanza di cibo, sia della denutrizione
in tempi di carestia. Questo spiegherebbe perchè coloro che si sottopongono a un regime
alimentare ristretto perdono solo una certa quantità di peso e anche perché lo
riguadagnerebbero rapidamente.
Secondo Keesey e Corbett (1984) rispetto ai normopeso, gli individui in sovrappeso
esibiscono il medesimo pattern di conservazione dell’energia di fronte alla deprivazione di
cibo e alla riduzione ponderale, solo che gli aggiustamenti metabolici adattivi avvengono in
corrispondenza di un peso corporeo più elevato contribuendo in tal modo a conservare la loro
obesità.
Herman e Polivy (1984), invece, piuttosto che parlare di set-point, affermarono che il
consumo di cibo è regolato all’interno dei confini della fame e della sazietà e che, dunque, il
controllo della fame e dell’alimentazione avviene in modo tale da mantenere l’organismo
entro questo range definito come indifferenza biologica. Le persone che sono a dieta
sembrano presentare un intervallo più ampio tra un’estremità e l’altra, con il confine della
fame più basso, nel senso che occorre una maggiore deprivazione di cibo perché riconoscano
la sensazione di fame. In alcune circostanze questi soggetti tendono a mangiare più delle
persone normali, il che porta a supporre la presenza anche di un più elevato confine della
sazietà: essi sarebbero meglio definiti dai tentativi di perdere peso piuttosto che dalla perdita
di peso. I dieter, tuttavia, riescono ancora a regolare e ad esperire la pressione del confine
della sazietà in quanto percepiscono le conseguenze negative dell’eccessiva indulgenza
alimentare.
Non è cosi, invece per le persone che si abbuffano in modo frequente. Questi, infatti,
oltrepassano continuamente il limite della sazietà e smettono di mangiare non perché questo
comportamento diventa sgradevole ma perché diventa impossibile, ossia dopo aver raggiunto
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il massimo della capacità fisica. Dunque, se una persona anoressica dimostra una maggiore
propensione a tollerare i disagi legati alla zona avversiva inferiore (fame), i binge eater
tenderebbero, invece, a tollerare quelli della zona avversiva superiore (sazietà).
La differenza tra gli individui che sono a dieta e quelli con problemi alimentari consisterebbe
nel fatto che i primi non compiono quelle regolari escursioni oltre la zona di indifferenza
biologica che caratterizzerebbero, invece, i secondi.
Il modello cognitivo-comportamentale
In questa ottica l’acquisizione e il mantenimento di comportamenti non funzionali sarebbero il
risultato di abitudini e apprendimenti inadeguati. Una volta che la reazione emozionale viene
appresa, essa tenderebbe ad essere riattivata sia in presenza di stimoli condizionati che
incondizionati.
Anche l’obesità è vista dunque come il frutto di un cattivo regime alimentare (Ganley, 1986),
scarsa attività fisica e di un modo di consumare ed assumere il cibo eccessivo e continuo
nonché appreso automaticamente (Mannucci et al., 2001). Oltre a soddisfare un bisogno
primario qual è la fame, l’alimentazione assolve la finalità di sedare l’ansia e gli stati d’animo
negativi per cui costituirebbe un rinforzo positivo notevole.
L’interesse viene rivolto anche all’organizzazione cognitiva che regola il comportamento.
Guidano (1988), soffermandosi sulla categoria dei disturbi alimentari psicogeni (DAP),
sottolinea come questo tipo di organizzazione si origini a partire da una percezione confusa e
inadeguata di sé e si caratterizzi per un’organizzazione cognitiva sbilanciata che oscilla tra il
bisogno assoluto di conferme da parte delle figure significative e la paura di essere delusi e
disconfermati da loro. Essendo pervasi da un senso di inconsistenza e incapacità, i soggetti
DAP, tendono a centrare l’attenzione sui giudizi esterni per una chiara definizione di sé, di
conseguenza, il perfezionismo diviene la sola possibile modalità in grado di garantire un
livello ottimale di autostima. L’esposizione a critiche negative è talmente insostenibile da
condurre ad una sensazione di annichilimento totale.
L’interesse specifico per il corpo sarebbe imputabile sia ai livelli di attivazione viscerale e
motoria tramite i quali decodificare e ordinare la percezione di sé, sia all’enfasi familiare e
culturale sull’aspetto estetico come metro di valutazione di sé.
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Se l’anoressica lotta contro la percezione di fallimento attraverso un controllo estremo degli
impulsi, la donna obesa rinuncia a questa lotta ritenendosi incapace di sostenerla. Le persone
obese circoscrivono così la propria negatività all’apparenza esteriore: la loro condizione
corporea inaccettabile li preserva dal fallimento personale intollerabile rappresentato dal non
essere amato e apprezzato per come si è dentro. Infatti “… l’obesità presenta … una certa
tendenza a strutturarsi stabilmente in un atteggiamento autoingannevole, teso a controllare sia
il senso della propria negatività e inconsistenza sia l’intrusività e l’ingannevolezza degli altri.
In altre parole, più diventa chiaro che il fallimento personale tanto temuto potrebbe consistere
nel non essere amato e approvato, più il soggetto avverte che un aspetto estetico inaccettabile,
proteggendolo da ulteriori rifiuti e delusioni, è l’unica soluzione che può garantirgli di non
dover “toccare con mano” una sconfitta personale che avvertirebbe come intollerabile
(Guidano, 1988, pp. 194).
Nonostante l’attenzione data al contesto, inteso come contenitore di stimoli, quello
comportamentale resta un modello di causalità lineare dal momento che focalizza l’attenzione
sulle sequenze stimolo-risposta (Onnis, Fabbri, 1984).
Il modello sistemico-relazionale
Un approccio lineare presuppone una modalità di pensiero individualista nella misura in cui è
la sola persona ad essere considerata portatrice della patologia. Con il modello sistemico si
assiste ad un salto concettuale nella comprensione delle problematiche individuali (Onnis,
1985).
L’individuo non è mai solo, ma impegnato in un dialogo continuo con tutto ciò che lo
circonda, in uno scambio dialettico con l’intera rete interpersonale di cui fa parte. Il contesto
diventa un contesto interattivo che non è soltanto il gruppo naturale, la famiglia, (Onnis, 1981,
1985), ma “… l’insieme delle relazioni e della loro struttura organizzata entro il quale
l’individuo vive la propria esperienza” (Carli, 1993, pp. 14).
Il sintomo psicosomatico, collocato in questa complessa trama interattiva, si rende
comprensibile ed emerge con valore di comportamento e di comunicazione. Un aspetto
importante è la circolarità di questo sistema, per cui tra l’individuo e il contesto viene a
stabilirsi una reciproca interconnessione ed influenza. Il disturbo alimentare altro non è che un
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disturbo della relazione e viene analizzato alla luce del fallimento delle regole che sostengono
il funzionamento familiare in primis. Si passa così dal soggetto sintomatico al contesto
sintomatico.
La famiglia viene considerata come un sistema auto-correttivo dotato di particolari modalità
transazionali che tendono a riproporsi con una frequenza elevata dando origine a ridondanze
che permettono di identificare quelle regole, il più delle volte implicite e segrete, che ne
definiscono il funzionamento e ne preservano la stabilità (Selvini Palazzoli, 1963).
Secondo questa visione l’obesità viene a configurarsi quale sindrome psicosomatica dove i
fattori biologici e psicologici vengono inseriti all’interno del sistema.
Nel suo modello psicosomatico Minuchin (1975) prende in considerazione tre punti
importanti:
•
Il soggetto è psicologicamente vulnerabile;
•
La famiglia presenta quattro caratteristiche transazionali: iperprotettività, invischiamento,
rigidità e mancanza di risoluzione di conflitti;
•
Il sintomo gioca un ruolo importante nell’evitamento del conflitto e nel mantenimento
dell’omeostasi familiare.
La circolarità è nel fatto che la sintomatologia viene attivata ed esacerbata dagli stress
emozionali legati a certi tipi di interazione familiari e allo stesso tempo questi modelli
interattivi vengono influenzati e conservati retroattivamente dalla comparsa della malattia
(Onnis, 1985).
Secondo la Selvini Palazzoli (1963) i sintomi mentali si originano in “… sistemi rigidamente
omeostatici … governati da regole segrete che rifuggono la luce del giorno e stringono la
famiglia in vincoli patologici” (pp. 261). Tutti i membri condividono l’errata epistemologia
che sia il paziente a detenere il controllo del sistema; in realtà il vero potere sarebbe assunto
dalla malattia e dalle regole del gioco che dall’interno non possono essere cambiate. Passando
dalla monade a gruppi più ampi, emergono anche i problemi delle alleanze, delle coalizioni e
della leadership. In una famiglia con un membro affetto da un disturbo alimentare i messaggi
vengono rifiutati, le alleanze proibite e i componenti mostrano sia difficoltà ad assumere il
ruolo di leader sia a farsi carico dei sentimenti di colpa.
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Nonostante l’impostazione psicoanalitica, le osservazioni su pazienti obesi e anoressici
portarono la Bruch (1973), non solo a parlare di mancata consapevolezza delle sensazioni
corporee, ma anche ad accorgersi dello stretto legame tra queste persone e le loro famiglie che
influenzava in maniera negativa la costruzione della loro identità. In particolare viene
sottolineato il significativo livello di ansia, discordia e l’eccessivo attaccamento che permeano
in questi sistemi e che ostacolano l’autonomia dei figli. La Bruch sostiene che
“… non era questa o quella caratteristica … a spiegare lo sviluppo sano o abnorme, bensì
l’interazione dinamica fra tutti gli appartenenti alla famiglia e il ruolo che ciascuno svolgeva
nei confronti degli altri. …il bambino obeso era stato eletto a compensare i genitori delle loro
frustrazioni e manchevolezze … è considerato un bene prezioso a cui si debbono le cure
migliori, ma nel contempo gli si nega la propria individualità …” (Bruch 1973, pp. 100).
I bambini obesi sarebbero così carenti non solo nel processo di auto-differenziazione ma
anche in quello di regolazione del proprio comportamento alimentare.
Diversi studi (Mendelson, White, Schliecker, 1995; B. Johnson, Brownell, Jeor, Brunner,
Worby, 1997; Dare, Le Grange, Eisler, Rutherford, 1997) descrivono le famiglie con soggetti
obesi come più irretite, meno coese e conflittuali e con una scarsa capacità di esprimere le
proprie emozioni rispetto alle famiglie con membri che non presentano disturbi alimentari.
Inoltre tali famiglie tendono a negare i loro bisogni e i loro problemi, ad evitare la risoluzione
dei conflitti e sono carenti in una chiara definizione della leadership e nella comunicazione
(Ganley, 1986).
Ampliando il vertice di osservazione dall’individuo all’insieme delle relazioni che lo
circondano, il sintomo perde il suo carattere di mistero per essere riletto alla luce di nuovi
significati, in quanto l’elemento biologico tramite il quale si esprime si correla ad altre
componenti emotive ed interpersonali.
Sistema
psicobiologico
individuale,
sistema
familiare
e
sistema
socio-ambientale
rappresentano i tre fattori fondamentali che interagendo simultaneamente e in modo costante,
testimoniano la complessità dei fenomeni osservati e la correlazione tra essi (Onnis, 1985).
Queste argomentazioni verranno approfondite in maniera più dettagliata nei capitoli
successivi.
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3.3. La valutazione dell’obesità
L’obesità è una complessa condizione somatica multifattoriale, il risultato dell’interazione di
fattori biologici, genetici, sociali, comportamentali, culturali e psicologici. Essa viene definita
su base morfologica come un eccesso di grasso corporeo (Cuzzolaro, 2002).
La distribuzione del grasso corporeo può essere eseguita mediante metodiche differenti che
includono la tomografia computerizzata, la risonanza magnetica e il rapporto tra la
circonferenza della vita e la circonferenza dei fianchi (WHR, waist/hip ratio), tuttavia gli
individui e le popolazioni non sono classificati in base alla percentuale di grasso corporeo ma
sulla base del loro indice di massa corporea o BMI che è correlato alla quantità di grasso
corporeo totale (Seidell, 1998). Questo indice viene calcolato dividendo il peso in kg per il
quadrato dell’altezza in metri (kg/m²) e dovrebbe essere impiegato per quantificare il
sovrappeso e l’obesità e per monitorare le modificazioni del peso corporeo.
L’obesità è generalmente definita quando il BMI è superiore o uguale a 30 kg/m² mentre il
sovrappeso è dato da un valore compreso tra 25 e 30 kg/m² (Tabella 1.1). C’è da tenere in
considerazione che le donne presentano una percentuale di grasso corporeo maggiore del 10%
rispetto agli uomini, rispettivamente 25-30% e 10-20%, e che un soggetto tende a diventare
più grasso con l’età anche quando il peso corporeo rimane stabile (ibidem).
3.4. Dati epidemiologici sull’obesità
La prevalenza dell’obesità e del sovrappeso viene considerata un’importante questione
inerente alla salute pubblica ed è definita come il numero totale dei casi che si evidenziano
nella popolazione generale.
Diversi studi (Hedley, C. L. Ogden, Johnson, Carroll, Curtin, Flegal, 2004; Flegal, Carroll, C.
L. Ogden, Johnson e Clifford, 2002; Mokdad, Bowman, Ford, Vinictor, Marks, Koplan, 2001;
Mokdad, Ford, Bowman, Dietes, Vinictor, Bales, Marks, 2003; Seidell, 1995) hanno
sottolineato un marcato incremento di soggetti obesi e in sovrappeso nelle ultime due decadi
sia negli adulti che nei bambini.
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A.A. 2005-2006
La prevalenza dell’obesità negli Stati Uniti
Mokdad e colleghi (2001) sottolinearono la continua crescita della prevalenza dell’obesità
evidenziando come nella popolazione statunitense circa una persona su cinque fosse obesa. In
questo studio furono utilizzati dati provenienti dal Behavioural Risk Factor Surveillance
System (BRFSS), un’indagine telefonica basata sulle risposte di 184.450 partecipanti di 50
Stati che consentirono di calcolare il BMI tramite i valori del peso e dell’altezza auto-riportati
da ciascun soggetto. Dai risultati si concluse che la prevalenza dell’obesità definita da un BMI
≥ 30, nel 2000 era del 19.8%, con la popolazione di neri che presentava una percentuale più
elevata, circa il 29.3% rispetto ai bianchi. Circa il 2.1% dei partecipanti, l’1.5% degli uomini e
il 2.8% delle donne, esibiva un BMI pari a 40 o maggiore, mentre il 56.4%, il 65.5% degli
uomini e il 47.6% delle donne, era in sovrappeso riportando un BMI maggiore o uguale a 25.
Impiegando lo stesso metodo (BRFSS) su un campione di 195.005 adulti nel 2001, Mokdad e
collaboratori (2003) riportarono una prevalenza di obesità del 20.9% e di obesità morbigena
(BMI ≥ 40) del 2.3%, registrando un incremento rispettivamente del 5.6% e 0.2% rispetto al
2000.
Hedley e colleghi (2004), per stimare la prevalenza dell’obesità negli Stati Uniti, impiegarono
invece i dati provenienti da National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES),
nel periodo 1999-2000 e 2001-2002, su un campione non istituzionalizzato e rappresentativo
della popolazione (N = 4.018 adulti nel 1999-2000; N = 4390 adulti nel 2001-2002)
selezionato tramite un complesso disegno di probabilità a più stadi. Il programma NHANES
include una serie di indagini trasversali a partire dal 1960 che forniscono le stime delle
percentuali di prevalenza dell’obesità e consentono di analizzare gli andamenti nel tempo
della popolazione. I dati sono estratti attraverso misure standardizzate di rilevazione del peso,
a differenza del BRFSS che fa leva su valori auto-riferiti.
Per gli adulti il sovrappeso, l’obesità e l’obesità morbigena furono definiti in base ai criteri
dell’OMS del BMI, rispettivamente 25-29.9, ≥ 30 e ≥ 40. I risultati suggerirono che nel
periodo 1999-2000 i soggetti riportavano una prevalenza del 64.5% di obesità o sovrappeso,
del 30.5% di obesità e del 4.7% di obesità morbigena, mentre nel periodo 2000-2002 le
percentuali di queste categorie erano rispettivamente 65.7%, 30.6% e 5.1%.
Prendendo in considerazione l’età, il sesso e il gruppo etnico, gli autori evidenziarono che la
prevalenza dell’obesità variava dal 22.9% degli uomini bianchi tra i 20 e i 39 anni, al 50.6%
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delle donne nere tra i 40 e i 59 anni. Tra le donne, quelle nere presentavano livelli più elevati
di obesità morbigena (13.5%), rispetto sia alle bianche (5.5%) che alle messicane (5.7%). Tra
le donne di almeno 20 anni la percentuale più elevata riguardava le donne nere (49%) quando
confrontate con le bianche (30.7%) e con le messicane (38.4%). La prevalenza dell’obesità
era significativamente maggiore nelle donne che negli uomini (p < .01) per i quali non furono
rinvenute differenze significative tra i gruppi etnici.
La discrepanza tra i risultati di Mokdad (2001, 2003) e quelli di Hedley (2004) nelle stime
trovate riflette l’utilizzo di strumenti differenti di rilevazione del peso e dell’altezza: i valori
ricavati dalle risposte auto-riportate dagli stessi soggetti, conducono a delle stime più basse
della prevalenza del sovrappeso e dell’obesità.
Flegal e colleghi (2002) sottolinearono il cambiamento nella prevalenza dell’obesità la quale
nell’indagine NHANES III 1988-1994 era del 22.9% mentre nel periodo 1999-2000 risultava
essere del 30.5% (p < .001).
L’obesità morbigena mostrava un aumento significativo nella popolazione passando dal 2.9%
(1988-1994) al 4.7% (1999-2000; p < .002) mentre la prevalenza del sovrappeso si
modificava dal 55.9% al 64.5% (p < .001). Tale incremento riguardava tanto gli uomini
quanto le donne, in tutti i gruppi di età ed etnia nonostante i cambiamenti non fossero tutti
statisticamente significativi. Le donne nere riportavano una percentuale di sovrappeso e
obesità maggiore rispetto sia alle donne bianche che alle messicane mentre negli uomini non
erano presenti differenze significative tra i gruppi etnici. Gli autori imputarono questa
diffusione crescente dell’obesità ad una tendenza a lungo termine nell’aumento della
dimensione corporea che riguarda i paesi ricchi, ai cambiamenti nel tipo e nella qualità
dell’alimentazione e ad uno stile di vita principalmente sedentario.
La prevalenza dell’obesità in Europa
I dati più attendibili sulla prevalenza dell’obesità in Europa provengono dallo studio WHO
MONICA, progettato per monitorare i cambiamenti temporali nei fattori di rischio dei disturbi
cardiovascolari nella popolazione generale, nel periodo 1980-1986 (Seidell, 1995, 1998). Vi
presero parte circa 39 paesi europei. Tra gli uomini la distribuzione dei valori del BMI era
omogenea in modo sorprendente nella maggior parte dei paesi dell’Europa, nonostante le
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differenze socio-economiche e culturali tra i diversi centri inclusi nell’indagine (Seidell,
1995).
Sebbene il sovrappeso risultasse più frequente tra gli uomini, erano le donne a presentare una
percentuale più alta di obesità, con valori medi intorno al 22%, rispetto al 15% della
controparte maschile (Seidell, 1998).
In un recente articolo, Silventoinen e colleghi (2004), impiegando i dati del MONICA Proiect,
hanno concluso che l’incremento del sovrappeso e dell’obesità nei paesi occidentali era
strettamente associato ad un aumento della riserva totale di energia che spiegava il 41% della
variazione dei trend nella media del BMI (Silventoinen, Sans, Tolonen, Monterde,
Kuulasmaa, Kesteloot, Tuomilehto, 2004).
Una ricerca svolta nel sud della Spagna (Murcia) su un campione rappresentativo di una
popolazione di età tra i 18 e i 65 anni, dimostra come la problematica dell’obesità si estenda
dai Paesi del nord fino a quelli mediterranei tra i quali troviamo anche l’Italia.
Lo studio (Martinez-Ros, Tormo, Navarro, Chirlaque, Perez-Flores, 2001) fu condotto su un
campione di 3.091 soggetti selezionati tramite un campionamento stratificato sulla base
dell’area geografica, il tipo di residenza, l’età e il sesso e raggiunti prima per lettera e
telefonicamente e poi sul campo. A tutti fu somministrato un questionario strutturato. La
percentuale di risposte ottenute era del 61%. La prevalenza del sovrappeso (BMI = 25-29)
stimata per la popolazione adulta era del 40.9% e quella totale dell’obesità (BMI ≥ 30) era
20.5% (95%: IC: 19.1-22.0) che riflette il 17.3% (95% IC: 15.3-19.3) negli uomini e il 23.7%
(95%: IC 21.6-25.9) nelle donne. Con l’età la percentuale dei casi sembrava aumentare: l’8%
di prevalenza osservato nel gruppo tra i 18-29 anni saliva al 31.1% nel gruppo tra i 50-65
anni. Sebbene i valori fossero più elevati tra le donne, l’eccesso di peso totale, ossia la
percentuale di sovrappeso più obesità era del 67% negli uomini e 48.8% nelle donne. Fu
osservato che un livello più elevato d’istruzione era associato ad una minore frequenza di
obesità sia negli uomini che nelle donne. Per le donne, inoltre, la prevalenza più elevata era
presente tra le casalinghe e coloro che vivevano nelle aree rurali. Sempre in Spagna
un’indagine epidemiologica su un campione rappresentativo della popolazione spagnola tra i
25 e i 64 anni, evidenziava i cambiamenti nella prevalenza dell’obesità nella decade 19871997 (Gutièrrez-Fisac, Benegas Benegas, Rodriguez Artalejo, Regidor, 2000).
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Il BMI fu calcolato dalle misure auto-riferite del peso e dell’altezza; la percentuale di risposta
fu del 77.8% nel campione del 1987 e 86.8% in quello del 1995-1997. In questo spettro
temporale la prevalenza del sovrappeso era incrementata del 2.2% (p < 0.001) e quella
dell’obesità del 3.9% (p < 0.001). Nel periodo 1995-1997 il sovrappeso era presente nel
18.4% della popolazione esaminata, 22.9% del campione maschile e 12.1% di quello
femminile; l’aumento più ampio riguardava soprattutto uomini
(p < 0.01) e donne (p < 0.05)
tra i 25 e i 34 anni e uomini con un basso livello d’istruzione (p < 0.01). L’obesità era esibita
dal 12.2% della popolazione, 12.3% del campione maschile e 12.1% di quello femminile; i
valori più elevati furono osservati negli uomini della classe di età 45-54 anni (p < 0.01) e nelle
donne della fascia 25-34 anni (p < 0.05) e nei livelli culturali più bassi in entrambi i generi.
Il fatto che questo lavoro impieghi misure del peso e dell’altezza auto-riportate dagli stessi
soggetti, fa sì che le stime della prevalenza vengano sottostimate in quanto i soggetti obesi
tendono a riferire valori più alti per l’altezza e più bassi per il peso.
Nel sud-ovest della Francia alcuni autori (Marques-Vidal, Ruidavets, Cambou, Ferrières,
2002) riportarono che la percentuale di sovrappeso e obesità rimaneva relativamente stabile,
con un esile ma significativo incremento della prevalenza dell’obesità negli uomini. I dati
furono ricavati da tre campioni indipendenti tra i 35-64 anni e in tre periodi temporali: 19851987 (N = 678 uomini; N = 645 donne), 1989-1991 (N = 586 uomini) e 1995-1997 (N = 614
uomini; N = 569 donne).
Negli uomini le percentuali di sovrappeso e obesità risultavano essere rispettivamente 50% e
10% nel primo periodo, 49% e 13% nel secondo periodo e 50% e 13% nel periodo 19951997. Nelle donne, le percentuali erano rispettivamente 26% e 11% nel 1985-1987, 25% e
11% nel 1995-1997. In entrambi i generi le percentuali di prevalenza aumentavano con l’età
(p < 0.03 per gli uomini e p < 0.001 per le donne), tuttavia per la maggior parte dei gruppi di
età tali aumenti non furono trovati significativi, con l’eccezione del gruppo di uomini tra i 4554 anni. La spiegazione di questa stabilità è ancora sconosciuta. Gli autori riferiscono che
potrebbe essere attribuita alla presenza di livelli adeguati di attività fisica e del regime
alimentare nei periodi di osservazione oppure agli errori di campionamento in quanto i
soggetti obesi e in sovrappeso più frequentemente rifiutano di partecipare rispetto a quelli non
obesi.
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In Svezia è stato documentato un innalzamento della prevalenza dell’obesità da 8.8% a 11.9%
per le donne e da 6.6% a 10.0% per gli uomini tra il 1980-1981 e il 1996-1997 (K. Sundquist,
Qvist, Johansson, J. Sundquist, 2004). In questo studio furono reclutati due campioni
rappresentativi di età tra i 18 e gli 84 anni dal Registro della popolazione generale per i
periodi temporali 1996-1997 (N = 5.622 uomini; N = 5.838 donne) e 2000-2001 (N = 5.515
uomini; N = 5.838 donne) che furono sottoposti ad un’intervista. Fu osservato che la media
del BMI era aumentata di 0.4 unità passando da 25.0 a 25.4 kg/m² tra gli uomini e da 24.0 a
24.4 tra le donne. Negli uomini la prevalenza dell’obesità risultava essere 6.8% nel 1996-1997
e 9.6% nel 2000-2001, mentre nelle donne era rispettivamente di 7.1% e 9.3%. In alcuni
sottogruppi la frequenza di soggetti obesi era particolarmente elevata, specialmente nelle
donne e negli uomini tra i 55 e i 74 anni, uomini con un livello d’istruzione medio, donne con
un livello d’istruzione basso, ex fumatori e donne e uomini nati in Finlandia.
Bisogna comunque considerare le limitazioni di questa indagine che riguardano l’impiego di
due campioni invece di un solo campione trasversale e di misure auto-riferite del peso e
dell’altezza come pure la presenza di non risposte che potrebbero aver sottostimato la
prevalenza di obesità.
L’ultimo studio si riferisce alla diffusione dell’obesità nei Paesi Bassi nel periodo 1993-1997
su un campione di 21.926 uomini e donne tra i 20 e i 59 anni (Visscher, Kromhout, Seidell,
2002). Gli autori osservarono che la prevalenza dell’obesità era 8.5% tra gli uomini e 9.6% tra
le donne con un incremento annuale maggiore per gli uomini (p < 0.01). Inoltre l’aumento
della prevalenza era più ampio nelle donne con un grado d’istruzione elevato e negli uomini
con un grado d’istruzione relativamente basso.
L’obesità in Italia
In Italia i soggetti obesi e in sovrappeso sono stimati essere circa il 31.6% e il 6.5% della
popolazione totale, con valori elevati nella mezza età e al Sud (Barbagallo, Cavera, Sapienza,
Noto, Cefalù, Pagano, Montalto, Notarbartolo, Averna, 2001).
Anche per l’Italia i dati più consistenti ci provengono dal MONICA Project condotto in tre
zone differenti: area Latina (N = 889 uomini; N = 893 donne), Friuli (N = 829 uomini; N =
925 donne ) e area Brianza (N = 815 uomini; N = 831 donne). In tutte le rilevazioni la
prevalenza dell’obesità aumentava con l’età, con gli uomini tra i 55 e i 60 anni dell’area
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Latina che presentavano valori più elevati, circa il 25% e quelli tra i 30 e 40 anni sia del Friuli
che della regione laziale che riportavano percentuali tra il 10 e il 15%. Le donne esibivano
una prevalenza generalmente maggiore rispetto agli uomini, soprattutto se nell’età di mezzo.
Il picco veniva raggiunto dalle donne dell’area di Latina intorno ai 60 anni che mostravano
una percentuale di circa il 40% (Seidell, 1998). Il progetto “Ventimiglia di Sicilia” è
un’indagine svolta tra il 1989-1997 su un campione di 1.351 soggetti, 622 maschi e 729
femmine, in un villaggio rurale impiegato soprattutto nel settore agricolo. L’obiettivo era
fornire una stima del grado di estensione del sovrappeso e dell’obesità e la loro relazione con i
fattori di rischio cardiovascolari (Barbagallo et al., 2001). I dati riportati da Barbagallo e
colleghi furono estratti da un gruppo di 835 soggetti tra i 20 e i 69 anni ai quali furono
misurati il peso e l’altezza nonché la circonferenza della vita e dei fianchi per calcolare
rispettivamente il BMI e il WHR (rapporto vita-fianchi). Fu osservata una elevata prevalenza
di soggetti con sovrappeso e obesità, rispettivamente il 40.0% e il 27.7%.
La prevalenza dell’obesità aumentava con l’età fino alla sesta decade di vita (50-59 anni) e
poi diminuiva; solo il gruppo di persone tra i 20-29 anni comprendeva una percentuale
maggiore del 50% di soggetti con peso normale. Negli uomini, la percentuale del sovrappeso
superava il 50% in tutte le classi d’età, ad esclusione del gruppo tra i 20 e i 29 anni, mentre
quella dell’obesità era 20-25%. Nelle donne la prevalenza dell’obesità risultava più ampia e
dopo i 40 anni, in particolare dopo la menopausa, più dell’80% delle donne era in sovrappeso
oppure obese, con i valori maggiori esibiti dalla classe di età 50-59 anni nella quale solo il
9.9% delle persone presentavano un peso normale.
Questi risultati sono coerenti con quelli del progetto MONICA che pure aveva sottolineato
come tra donne tra i 50 e i 60 anni la frequenza di casi di obesità fosse maggiore sia rispetto
agli altri gruppi di età sia rispetto alla controparte maschile.
È importante, in questo studio, prendere in considerazione i bias dovuti al numero di soggetti
che non hanno risposto e il fatto che non ci sia dimostrazione che i dati possano essere
estensibili ad altre popolazioni con un differente profilo di rischio.
Cota, Vicennati, Ceroni, Morselli-Labate e Pasquali (2001), analizzando un campione di 426
donne di mezza età nel Nord Italia (Virgilio), trovarono un’associazione significativa tra
condizioni culturali e socioeconomiche avverse e la distribuzione addominale del grasso
corporeo. I risultati mostrarono che il BMI aumentava progressivamente e significativamente
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con i valori del rapporto vita fianchi (p < 0.001). La prevalenza di obesità addominale era
maggiore tra le donne con un livello d’istruzione inferiore (p < 0.001), con un partner in
pensione (p < 0.001) e che vivevano nella periferia del paese (p = 0.005). La coorte di soggetti
di questa indagine include solo donne del nord tra i 43 e i 54 anni e non rappresenta
esaustivamente la popolazione italiana.
I differenti valori di prevalenza ottenuti da questi studi, sono dovuti alla numerosità dei
campioni utilizzati, alle procedure di campionamento, ai diversi punti di cut off adoperati per
definire sovrappeso e obesità, agli strumenti impiegati per rilevare le misure del peso e
dell’altezza, alcuni con riferimento alle misure auto-riportate dagli stessi partecipanti e altri
basati su misure standardizzate. Tutti gli studi sono coerenti nel riportare una frequenza di
casi di obesità che aumenta con l’età e con il decremento nei livelli culturali e nella
condizione socioeconomica. Sia negli Stati Uniti che in Europa tale problematica tende a
ingrandirsi nel tempo e ad acquisire grande rilevanza dal punto di vista clinico e psicologico.
STUDIO
PAESE
ANNO
ETA’
SOVRAPPESO
SOGGETTI
%
(2001)
%
56.4
Mokdad
USA
2000
≥ 18
OBESITA’
19.8
65.5 uomini
-
47.6 donne
-
Mokdad
(2003)
USA
Flegal
(2002)
USA
≥ 18
-
20.9
1988/1994
20-74
55.9
22.9
1999/2000
20-74
64.5
30.5
64.5
30.5
65.7
30.6
1999/2000
Hedley
(2004)
2001
USA
2000/2002
≥ 20
Spagna
1995/1997
25-64
18.4
GuiterezFisac
(2000)
12.2
22.9 uomini
12.3 uomini
13.5 donne
12.1 donne
Martinez-Ros
(2001)
Spagna
1991/1993
18-65
40.9
20.5
50 uomini
10 uomini
26 donne
11 donne
1989/1991
49 uomini
13 uomini
1995/1997
50 uomini
13 uomini
25 donne
11 donne
-
6.8 uomini
(Murcia)
1985/1987
MarquesVidal
(2002)
Sundquist
35-64
Francia
1996/1997
76
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(2004)
Svezia
A.A. 2005-2006
16-84
2000/2001
Paesi Bassi
1993/1997
20-59
Barbagallo
Italia
1989/1997
20-69
(2001)
(Ventimiglia)
Visscher
(2002)
-
7.1 donne
-
9.6 uomini
-
9.3 donne
-
8.5 uomini
-
9.6 donne
45.0
27.7
Tabella 1 La prevalenza del sovrappeso e dell’obesità negli adulti
Questi dati poi vengono messi in rapporto al rischio rappresentato dall’eccesso di peso sulla
salute generale degli individui, essendo tale condizione associata ad un aumento della
morbosità, ipertensione, diabete e disturbi cardiovascolari (Barbagallo et al., 2001; K.
Sundquist et al., 2004; Mokdad et al., 2003; Hedley et al., 2004).
3.4.1. La prevalenza del sovrappeso e dell’obesità in bambini e adolescenti
L’obesità è una condizione molto frequente anche nei bambini e negli adolescenti. I dati
provenienti da due ricerche statunitensi mettono in evidenza una sostanziale e allarmante
diffusione di tale problematica.
La prima indagine è stata condotta da C. L. Ogden e colleghi (2002) nel periodo 1999-2000 su
un campione di 4.722 bambini fino ai 19 anni d’età.
Il sovrappeso fu definito da un BMI ≥ del 95° percentile per età, mentre il rischio di
sovrappeso da un BMI ≥ dell’85° percentile ma minore del 95° percentile per età e genere. La
prevalenza del sovrappeso risultava essere approssimativamente 10% nei bambini dai 2 ai 5
anni e 15% nei ragazzi dai 6 ai 19 anni. I bambini fino ai 24 mesi furono considerati in
sovrappeso se il loro valore del peso per quello della lunghezza avesse raggiunto o superato il
95° percentile; la prevalenza trovata era 11.4%. Tra i ragazzi neri e gli americani messicani,
l’aumento nella prevalenza del sovrappeso era particolarmente evidente, circa del 10%,
passando dal 13% nel 1994-1999 al 23% nel periodo 1999-2000. Sulla base della definizione
dell’obesità adulta, circa l’11.2% di soggetti tra i 12 e 19 anni presentava un BMI ≥ 30 (C. L.
Ogden, Flegal, Carroll, Johnson, 2002).
Hedley e colleghi (2004) impiegando la medesima definizione di sovrappeso in un campione
di 4.018 soggetti, trovarono che nel periodo 2001-2002 circa il 31.5% dei ragazzi maschi e
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femmine tra i 6 e i 19 anni era ritenuto a rischio di sovrappeso ed il 16.5% in sovrappeso. Tra
le ragazze, la prevalenza di sovrappeso era significativamente inferiore nelle bianche rispetto
sia alle ragazze nere che alle americane messicane, mentre tra i ragazzi erano gli americani
messicani ad esibire una prevalenza maggiore degli altri due gruppi.
In Italia la prevalenza dell’obesità e del sovrappeso nei ragazzi è inferiore a quella riportata
dagli autori statunitensi.
De Vito, La Torre, Langiano, Berardi e Ricciardi (1999), analizzarono un campione di 2.053
ragazzi tra gli 11 e i 19 anni (Media = 14.9; Deviazione Standard = 2.55) della provincia di
Frosinone, reclutati casualmente dal database del distretto scolastico della famiglia. Furono
inclusi nello studio circa 1.357 studenti e 1.802 genitori, ossia il 66% e il 66.5% della
popolazione target. Ogni studente fu intervistato sull’attività fisica e sottoposto a rilevazioni
antropometriche come il peso, l’altezza e lo sviluppo sessuale mentre i genitori compilarono
un questionario da cui trarre informazioni sulla struttura della famiglia, lavoro, livello
d’istruzione, peso e altezza di entrambi i genitori.
L’obesità fu definita da un BMI ≥ del 90° percentile mentre il rischio di sovrappeso da un
BMI ≥ dell’85° ma minore del 90° percentile per età e genere. Emerse una percentuale di
obesità di circa 8.4%, con il 9.8% tra i ragazzi e il 6.5% tra le ragazze, mentre il 21.4% fu
considerato a rischio di sovrappeso senza differenze significative tra i generi. Il numero di
bambini presenti in famiglia, l’età e il lavoro dei genitori non sembravano collegati con
l’obesità o il rischio di sovrappeso, mentre lo erano lo stile alimentare dei genitori, il livello
culturale della madre e la mancanza di attività fisica. Infatti tra i bambini con madri con un
basso livello d’istruzione circa l’11.9% era obeso, paragonato al 3.8% dei bambini obesi con
madre con un alto grado d’istruzione. La prevalenza di obesità era maggiore anche tra i
bambini che avevano entrambi i genitori in sovrappeso (14.4%), rispetto a coloro con
entrambi i genitori normopeso (6.2 %).
Uno studio condotto in Piemonte (Gnavi, Spagnoli, Galotto, Pugliese, Carta, Cesari, 2000)
trovò una prevalenza di obesità e sovrappeso insieme del 23% in un campione di 1.420
ragazzi tra i 10-11 anni. I bambini furono definiti obesi o in sovrappeso se il loro peso relativo
era rispettivamente uguale o superiore al 140% oppure tra il 120-139% del peso relativo dato
dal rapporto tra peso misurato e peso al 50° centile per età e genere moltiplicato per 100. Più
specificamente la percentuale di bambini obesi risultava essere 6.76%, 7.5% tra i maschi e
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6.1% tra le femmine, mentre quella del sovrappeso era 16.27%, 16.6% nei maschi e 16.0%
nelle femmine. Questi valori apparivano inversamente correlati alla condizione culturale ed
occupazionale dei genitori: obesità e sovrappeso erano più frequenti nei bambini nati da madri
con un grado d’istruzione inferiore (11.2% e 23.1%) e con entrambi i genitori senza
occupazione (14.5% e 33.5%).
Un’altra ricerca (Celi, Bini, Molinari, Faraoni, Di Stefano, Bacosi, Berioli, Conyessa, Falorni,
2003) svolta in tre province del centro Italia (Perugia, Terni e Rieti) nel periodo 1993-2001 ha
trovato che la prevalenza del sovrappeso era significativamente inferiore nel campione
femminile (p < 0.001). In particolare la percentuale di obesità risultava essere del 6.3%-24.2%
nei maschi e 6.1%-22.9% nelle ragazze, e quella del sovrappeso del 20.7%-13.2% nei ragazzi
e 18.5%-13.7% nelle ragazze utilizzando due differenti punti di cut off del BMI. Il campione
era costituito da 44.231 soggetti tra i 3 e i 17 anni, dunque molto più ampio degli studi
precedenti e con uno spettro di età più variabile. Fu osservata una relazione negativa tra
obesità e condizione socioeconomica familiare, con le percentuali più elevate nei livelli
socioeconomici più bassi. Gli autori, inoltre, hanno sottolineato come i valori del BMI
possano essere influenzati dalla maturazione sessuale in soggetti della stessa età:
indipendentemente dall’età riscontrarono una prevalenza di sovrappeso e obesità maggiore
nelle ragazze in cui era già comparso il menarca.
Confrontando questi lavori si può immediatamente notare come le percentuali di prevalenza
siano superiori nell’Italia centrale anche se la fascia di età presa in considerazione in questa
regione del paese è più ampia rispetto a quella analizzata in Piemonte e le definizioni di
sovrappeso ed obesità sono diverse. La stima della prevalenza, infatti, cambia in base al
campione di riferimento e ai punteggi di cut-off usati per definire obesità e sovrappeso (Gnavi
et al., 2000).
79
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
Tabella 2: La prevalenza del sovrappeso e dell’obesità in bambini e adolescenti
STUDIO
PAESE
ETA’ SOGGETTI ANNO
RISCHIO
DI SOVRAPPESO
OBESITA’
SOVRAPPESO
%
(2004)
%
USA
6-19
%
15.0
-
31.5
16.5
-
≥ 85° percentile
≥ 95° percentile
1999/2000
Hedley
29.9
2000/2001
≤ 95° percentile
2-5
Ogden
(2002)
USA
1988/1994
-
10.5
12-19
1999/2000
-
10.4
6-11
15.3
12-19
15.5
21.37
De Vito
(1999)
Italia
11-19
-
11.3
6-11
2-5
7.2
1995
≥ 85°
-
8.40
-
< 90°
≥ 85°
≥ 90
Gnavi
(2000)
Italia
10-11
1998
-
Celi
(2003)
Italia
3-17
1993/2001
-
16.26
6.76
120-139 PR*
≥ 140 PR*
20.7-13.2 maschi
20.7-24.2
18.5-13.7 femmine
maschi
6.1-22.9
femmine
*PR, peso relativo: misura del peso/misura del peso al 50° centile per età e genere x 100.
3.4.2. La prevalenza del sovrappeso e dell’obesità in età adulta 6
Un criterio diagnostico per conoscere la diffusione dell’obesità in diversi gruppi della
popolazione adulta è rappresentato dall’Indice di Massa Corporea – Imc 7 (o Body mass index
- Bmi). Secondo la classificazione dell’Organizzazione mondiale della sanità il valore soglia
dell’Imc per stabilire se un individuo possa considerarsi obeso è pari a 30, inoltre l’Oms
distingue tre livelli di obesità: di primo grado o lieve – Imc fino a 34,99; di secondo grado o
moderata – Imc da 35 a 39,99; di terzo grado o grave Imc con un valore di 40 e più.
6
I dati qui di seguito riportati fanno riferimento agli ultimi dati Istat aggiornati al 2003.
L’Imc è un indice pondo-staturale, proposto da Quetelet nel 1868, dato dal rapporto tra peso corporeo di un
individuo, espresso in chilogrammi, ed il quadrato della sua statura, espressa in metri.
7
80
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
Pertanto, una persona viene definita in sovrappeso se il valore è compreso tra 25 e 30,
sottopeso per valori dell’indice che non raggiungono 18,5 ed infine normopeso quando
assume tutti gli altri valori.
In Italia nel periodo 2000-2003 la percentuale di persone di 18 anni e più in condizione di
normopeso è maggioritaria e risulta sostanzialmente stabile (53,5 per cento nel 2000 e 54,1
per cento nel 2003), ma un terzo dei maggiorenni è in sovrappeso (33,9 per cento nel 2000 e
33,6 per cento nel 2003) e quasi un decimo risulta obeso (9 per cento nel 2000 e nel 2003).
Anno
Sottopeso
Normopeso
Sovrappeso
Obesi
2000 8
3.6
53.5
33.9
9.0
2001
3.3
54.3
33.9
8.5
2002
3.3
54.8
33.5
8.5
2003
3.3
54.1
33.6
9.0
Tabella 3: Persone di 18 anni e più per indice di massa corporea – Anni 2000-2003 (per 100 persone)
A livello territoriale la percentuale di popolazione con eccesso ponderale (sovrappeso e
obesità) risulta stabile nel tempo e più elevata nell’Italia meridionale (48,3 per cento nel 2000
e 46,5 per cento nel 2003) ed insulare (44,7 per cento nel 2000 e 45,6 per cento nel 2003), in
particolare in Abruzzo (46,8 per cento), Molise (49,5 per cento), Campania (46,9 per cento),
Basilicata (51,8 per cento), Calabria (47 per cento) e Sicilia (48,4 per cento), mentre è minore
nell’Italia nord-occidentale (38,9 per cento nel 2000 e 38,5 per cento nel 2003), soprattutto in
Piemonte (37 per cento). Inoltre, sovrappeso e obesità risultano più diffusi nei piccoli comuni
fino a 2 mila abitanti (44,4 per cento) e da 2 a 10 mila abitanti (45,2 per cento), mentre
l’incidenza del fenomeno è minore nelle grandi città (39,4 per cento).
La quota di popolazione obesa cresce al crescere dell’età (1,3 per cento tra i 18 e i 24 anni),
raggiunge il massimo sopra i 55 anni (14,3 per cento nei 55-64enni e 15,7 per cento nei 6574enni) per diminuire nelle età più anziane (10,9 per cento negli ultra settantacinquenni).
Questo andamento risulta ancora più marcato per le donne che nella fascia di età 65-74 anni
sono obese nel 16,1 per cento dei casi (Tavola 4.1).
81
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
Indice di massa corporea
CLASSI DI ETÀ
Totale
Sottopeso
Normopeso
Sovrappeso
Obesi
17,2
30,6
43,2
50,9
53,0
50,4
46,2
42,1
1,7
4,4
7,8
12,4
13,6
15,2
10,5
9,3
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
7,3
12,9
19,1
28,8
35,2
40,7
37,6
25,8
0,9
2,2
5,1
11,0
15,0
16,1
11,2
8,7
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
12,2
21,8
31,2
39,7
43,9
45,1
40,7
33,6
1,3
3,3
6,4
11,7
14,3
15,7
10,9
9,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
MASCHI
18-24
25-34
35-44
45-54
55-64
65-74
75 e più
Totale
2,9
0,7
0,3
0,2
0,2
0,5
1,3
0,7
78,3
64,2
48,7
36,4
33,2
33,9
42,1
47,9
FEMMINE
18-24
25-34
35-44
45-54
55-64
65-74
75 e più
Totale
15,5
11,9
4,9
2,3
1,6
1,8
3,7
5,6
76,3
73,0
71,0
57,9
48,2
41,3
47,6
59,9
MASCHI E FEMMINE
18-24
25-34
35-44
45-54
55-64
65-74
75 e più
Totale
9,2
6,3
2,6
1,3
0,9
1,2
2,8
3,3
77,3
68,6
59,8
47,3
40,8
38,0
45,5
54,1
Tabella 4: Imc per classi di età
Le differenze di genere più significative emergono rispetto alla condizione nella professione.
Infatti, gli uomini in sovrappeso o obesità risultano in percentuale superiore alla media (50,5
per cento) per tutti i profili professionali, mentre tra le donne occupate l’eccesso ponderale è
una condizione molto meno diffusa (22,9 per cento), soprattutto se dirigenti o impiegate
(rispettivamente 17,8 per cento e 19,5 per cento), mentre nelle casalinghe l’incidenza
dell’eccesso di peso è quasi il doppio (43,2 per cento) (Tavola 4.3 del Cd rom).
Inoltre, l’eccesso ponderale è una caratteristica più diffusa nella popolazione adulta con basso
titolo di studio (licenza elementare o nessun titolo) (58,8 per cento) e riguarda sia gli uomini
che le donne in tutte le fasce di età.
8
Per il 2000 i dati si riferiscono all'indagine "Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari".
82
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CONDIZIONI
POSIZIONI NELLA PROFESSIONE
A.A. 2005-2006
Indice di massa corporea
Totale
Sottopeso
Normopeso
Sovrappeso
Obesi
49,0
45,6
53,0
50,6
41,1
52,4
67,2
81,2
35,7
47,3
47,9
42,2
45,4
39,5
40,6
47,6
38,2
27,0
15,5
50,3
38,2
42,1
8,3
8,9
7,2
8,0
10,7
8,4
4,0
1,0
13,4
13,3
9,3
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
69,7
72,2
72,4
66,3
64,2
69,1
71,0
54,0
76,6
47,4
43,8
59,9
17,9
13,3
16,0
21,2
21,8
16,7
13,5
32,4
5,8
36,3
35,7
25,8
5,0
4,5
3,5
6,5
8,3
6,6
3,6
10,8
0,2
14,0
16,6
8,7
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
32,8
36,0
27,7
34,7
39,3
29,3
20,0
32,4
10,2
44,2
36,6
33,6
7,1
7,6
5,3
7,5
9,9
7,7
3,8
10,8
0,6
13,6
15,3
9,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
MASCHI
Occupati
Dirigenti, Imprenditori, Liberi professionisti
Direttivi, Quadri, Impiegati
Operai, Apprendisti
Lavoratori in proprio e Coadiuvanti
In cerca di nuova occupazione
In cerca di prima occupazione
Studenti
Ritirati dal lavoro
Altra condizione
Totale
0,5
0,1
0,3
0,8
0,6
1,0
1,8
2,3
0,6
1,2
0,7
FEMMINE
Occupati
Dirigenti, Imprenditori, Liberi professionisti
Direttivi, Quadri, Impiegati
Operai, Apprendisti
Lavoratori in proprio e Coadiuvanti
In cerca di nuova occupazione
In cerca di prima occupazione
Casalinghe
Studenti
Ritirati dal lavoro
Altra condizione
Totale
7,5
10,0
8,1
6,1
5,7
7,6
12,0
2,8
17,4
2,4
4,0
5,6
MASCHI E FEMMINE
Occupati
Dirigenti, Imprenditori, Liberi professionisti
Direttivi, Quadri, Impiegati
Operai, Apprendisti
Lavoratori in proprio e Coadiuvanti
In cerca di nuova occupazione
In cerca di prima occupazione
Casalinghe
Studenti
Ritirati dal lavoro
Altra condizione
Totale
3,2
3,0
4,2
2,4
2,3
3,7
7,1
2,8
10,6
1,4
2,9
3,3
57,0
53,4
62,8
55,4
48,6
59,3
69,2
54,0
78,7
40,8
45,1
54,1
Tabella 5: Imc per condizione professionale
3.5. La prospettiva multidimensionale dell’obesità
Pensare al sovrappeso e all’obesità semplicemente come condizioni legate all’inattività fisica
o al piacere che deriva dall’assumere cibi gradevoli o ad alto contenuto calorico sembra
alquanto riduttivo (Seidell, 1998). Il rischio è di sottovalutare la diversità insita in ciascun
individuo e le particolarità che scaturiscono dal contesto in cui è inserito.
83
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A.A. 2005-2006
Considerando i dati epidemiologici riportati è possibile notare come l’obesità sia
diversamente distribuita tra persone appartenenti a fasce d’età, condizioni socioeconomiche e
culturali differenti. Vi influiscono inoltre fattori demografici come il sesso e il gruppo etnico,
nonché fattori biologici e comportamentali. Tutte queste variabili sicuramente possono
incidere sulla salute fisica del soggetto, ma gravano pesantemente anche sul suo mondo
psichico.
Il modo con cui guardare al problema dell’eccesso di peso corporeo comporta l’adesione ad
una prospettiva multidimensionale che analizzi tale tematica da molteplici angolature al fine
di coglierne tutte le possibili sfumature (Cuzzolaro, 2002).
Questo vuol dire esaminare le componenti psicologiche che incidono sulle modalità di
percepire la realtà e se stessi e di rapportarsi agli altri. Comprendere anche il ruolo assunto
dall’ambiente con cui la persona stabilisce scambi continui e reciproci, a partire dal nucleo
familiare che in primis trasmette i valori, i miti a cui continuamente fare riferimento per
affrontare quello che poi è il macro contesto con i suoi vincoli e le sue limitazioni che
ricordano costantemente i compiti a cui adempiere ed i modelli da cui non deviare. Vuol dire
sospendere qualsiasi giudizio di valore per capire quale tipo di messaggio viene inviato
attraverso il corpo e il cibo, quale funzione acquista quel particolare stato nella complessa
trama di relazioni che nutre e di cui si nutre ogni singolo soggetto.
CLASSE DI OBESITA’
BMI Kg/m²
-
< 18.5
-
18.5-24.9
-
25.0-29.9
SOTTOPESO
NORMALE
SOVRAPPESO
OBESITA’ MODERATA
30.0-34.9
I
OBESITA’
35.0-39.9
SEVERA
II
OBESITA’ MORBIGENA
≥ 40
III
Tabella 6: La classificazione dell’obesità (Scarpi, 1998)
84
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
3.6. Caratteristiche mediche della patologia
In ambito medico l’obesità è stata spesso considerata, nel passato, una variante morfologica
dell’essere umano più che una malattia vera e propria. Il progresso dell’epidemiologia ha
dimostrato, al contrario, che l’obesità è un importante fattore di rischio per le malattie
cardiovascolari ed altri rilevanti processi patologici. La cura dell’obesità, pertanto riveste una
notevole importanza clinica.
A livello funzionale possiamo definire l’obesità come caratterizzata da uno sviluppo eccessivo
della massa adiposa, dovuto ad un aumento del numero degli adipociti (componente
iperplastica) e/o del contenuto di trigliceridi e, quindi, del volume di ogni singolo adipocita
(componente ipertrofica).
Per quanto riguarda l’inquadramento eziopatogenetico dell’obesità possiamo far riferimento
alla seguente rappresentazione schematica 9 :
9
Il “tronco” dell’obesità si suddivide in due grandi rami: uno di essi è rappresentato dall’obesità secondaria ad
altre patologie, che deriva da alterazioni genetiche, endocrinopatiche, malattie neurologiche e psichiatriche, uso
di farmaci; l’altro ramo, più vasto, è rappresentato dall’obesità essenziale. Quest’ultima può dipendere dal ridotto
consumo energetico e/o aumentato introito alimentare (Mannucci, Ricca, Rotella, 1997).
85
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
Abit. Ali.
Fattori genetici
Fattori genetici
A.A. 2005-2006
Disturbi umore/ansia
COMPORTAMENTO
Iperfagia prandiale
Grignottage
Disturbo da
alimentazione
incontrollata
Obesità da farmaci
Stile di vita sedentario
Malattie endocrine
Aumentato introito
alimentare
Disturbi mentali
Forme genetiche
Ridotto consumo
energetico
Malattie neurologiche
Essenziale
Secondaria
OBESITA’
Come si evince facilmente dalla rappresentazione l’obesità si distingue in obesità essenziale
ed obesità secondaria. Per obesità essenziale si intendono quelle forme di obesità per le quali
non è stata ancora oggi identificata l’esatta patogenesi; le numerose ipotesi a riguardo
coinvolgono fattori genetici, metabolici, nutrizionali, sociali e culturali.
Per obesità secondarie si intendono quelle forme di obesità secondarie ad altra patologia.
OBESITÀ ESSENZIALI
Fattori genetici
Fattori nutrizionali
Fattori metabolici
Fattori sociali e culturali
OBESITÀ SECONDARIE
Forme genetiche:
Ipofisarie:
paralipodistrofie e lipomatosi
Ipopituitarismo
Sindrome di Prader-Willi
Ipogonadismo ipogonadotropo
86
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
Sindrome di Laurence-Moon-Biedl
Iperprolattinemia
Sindrome di Alstrom
Malattia di Cushing
Sindrome di Morgagni-Stewart-Morel
Ipotiroidismo secondario
Sindrome di Carpenter
Da altre affezioni endocrine:
Sindrome di Cohen
Ipotalamo ipofisarie
Sindrome di Down
Ipotiroidismo primitivo
DIDMAOS
Sindrome di Cushing
Insulinoma e nesidioblastoma
Neuroendocrine
Ipotalamiche e di altre parti del SNC:
Ovariche associate a PCOS
Traumatiche
Ipogonadismo primitivo
Tumorali
Testicolari
Leucodistrofia leucemica
Psicogene:
Infiammatorie
Disturbo da alimentazione incontrollata
Ipertensione endocrina
Disturbi del tono dell’umore:
) Depressione
atipica
) Distimia
Da farmaci
Tabella 7: Classificazione dell’obesità
10
Lo studio medico dell’obesità oltre a mettere a fuoco l’eziopatogenesi, e quindi sull’analisi
delle cause, ha posto l’attenzione anche sulle patologie correlate a tale condizione.
L’obesità, infatti, costituisce uno dei pilastri su cui si fonda il complesso sindromico cui è
stato dato il nome di Sindrome Metabolica o Sindrome da Insulino-resistenza. Si tratta di
un'associazione di condizioni, quali appunto obesità, sovrappeso, diabete di tipo 2,
ipertensione arteriosa, dislipidemia, etc…, in grado di aumentare il rischio di eventi
cardiovascolari negli individui. Secondo quanto stabilito dall'ATP III (Adult Treatment Panel
III), la diagnosi di sindrome metabolica si può porre nei soggetti che presentino almeno tre dei
seguenti parametri:
1. Obesità prevalentemente addominale, con circonferenza della vita (waist) >102 cm nei
soggetti di sesso maschile e >88 cm nella donne.
2. Ipertrigliceridemia (≥150 mg/dl o 1,69 mmol/l)
10
Per approfondimenti più dettagliati relativi ad ogni singola patologia si rimanda a Rotella, Ricca, Mannucci,
1997.
87
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
3. Ridotti livelli di colesterolo HDL (<40 mg/dl o 1,04 mmol/l nei maschi e <50 mg/dl o
1,29 mmol/l nelle femmine)
4. Ipertensione arteriosa (≥130/85 mmHg)
5. Iperglicemia a digiuno (>110 mg/dl o 6,1 mmol/l).
Inoltre si possono elencare come patologie correlate le seguenti condizioni:
PATOLOGIE CORRELATE ALL’OBESITÀ
Disturbi del comportamento alimentare
Endocrinopatie
Psicopatologie
Dislipidemie
Ipertensione
Diabete mellito
Disfunzione gonadica
Disturbo dell’accrescimento e dello sviluppo
Malattie reumatiche
Patologie respiratorie
Patologie dell’apparato cardiovascolare
Patologie ginecologiche
Patologie gastroenterologiche
Patologie degli arti inferiori
Tabella 8: patologie correlate all’obesità
3.7. Comorbilità psichiatrica nell’obesità e nei disturbi alimentari
L’obesità è un fenomeno descritto principalmente su base somatica, non è definita dalla
presenza di sintomi psicopatologici né classificata tra i disturbi psichiatrici (Cuzzolaro, 2002).
Di per sé non è un disturbo psicopatologico né un indicatore costante di psicopatologia
tuttavia, in non pochi soggetti, l’obesità si accompagna a difficoltà di natura psicologica le
quali non agiscono indipendentemente dalla condizione somatica ma interagiscono con essa,
originando un quadro del tutto peculiare. Spesso tali sofferenze insorgono come conseguenza
della stigmatizzazione sociale che rende queste persone oggetto di pregiudizi negativi,
derisione, svalutazione ed emarginazione (Gambino, Liberti, Cuzzolaro, 1998).
Ancora, esiste una forma di obesità definita “reattiva” che sembra caratterizzarsi per un
comportamento alimentare iperfagico che esordisce in seguito ad eventi stressanti e traumi
emotivi di vario genere ed entità (Bruch, 1973) ma non sempre è possibile riscontrare una
relazione tra la gravità dell’episodio e gravità del sintomo iperfagico (Gambino et al., 1998).
88
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A.A. 2005-2006
Secondo Telch e Agras (1994), soggetti che durante l’infanzia e l’adolescenza sono esposti a
marcate fluttuazioni del peso corporeo, sono poi anche più vulnerabili a sviluppare un tipo di
alimentazione disorganizzata e più suscettibili ad alterazioni latenti del tono dell’umore, che
l’evento stressante acuto tenderebbe a far riaffiorare. Il ruolo rivestito da questo tipo di
alimentazione è di riparo dall’ansia e dalla depressione, una modalità di coping che permette
al soggetto di tollerare il grado di tensione senza un’eccessiva disarmonia negli stati d’animo.
Una condizione da tenere presente è l’interazione dell’obesità con i trattamenti
psicofarmacologici come pure il legame tra le terapie per l’obesità e i disturbi psicopatologici.
Gambino, Liberti e Cuzzolaro (1998) invitano a notare non solo l’esistenza di farmaci che
contribuiscono al guadagno di peso, ma anche che nel trattamento di soggetti depressi, questi
mostrano una preferenza notevole per gli alimenti dolci, comportamento definito craving da
carboidrati. Infine, il tipo, il numero e la durata dei programmi per la riduzione del peso
corporeo possono alterare i propri modelli alimentari e la capacità di riconoscere la fame e la
sazietà. La possibilità di poter riacquistare un peso corporeo normale spesso si accompagna ad
aspettative magiche di riacquistare anche il controllo sulla propria vita e di modificare il
proprio carattere. La disillusione che segue il fallimento di questi desideri conduce al
fenomeno delle ricadute e alla comparsa di stati di ansia e depressione.
Un aspetto da non sorvolare è la presenza di un’obesità di vecchia data visto che tale
condizione può diventare parte integrante dell’identità personale e svolgere importanti
funzioni nell’economia complessiva della vita e delle relazioni di quella persona.
La valutazione delle condizioni psicopatologiche dei soggetti obesi può risultare utile sia nella
fase di inquadramento diagnostico sia in quella dell’impostazione terapeutica e sottolinea la
necessità di un approccio integrato a questo tipo di problematica (Ricca, Mannucci, Di
Bernardo, Mezzani, Carrara, Rizzello, La Malfa, Rotella, Cabras, 1996).
3.7.1 Obesità e psicopatologia
La comorbilità tra obesità e sintomi psicopatologici è stata l’argomento di un considerevole
dibattito ed è stata delucidata secondo diverse modalità (Musante, Costanzo, K. E. Friedman,
1998):
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1. L’obesità potrebbe associarsi ad un’elevata prevalenza di disturbi depressivi e inerenti la
sfera affettiva, soprattutto in soggetti che richiedono un trattamento clinico.
2. La sintomatologia psichiatrica può non essere una caratteristica che contraddistingue i
soggetti obesi da quelli con peso normale.
3. Il legame tra peso corporeo e psicopatologia può essere spiegato dalla relazione tra binge
eating e psicopatologia.
Nella popolazione generale, il disagio psicologico dei soggetti obesi sembra inversamente
proporzionale al grado di diffusione dell’obesità all’interno del proprio gruppo di
appartenenza: i sintomi depressivi appaiono più frequenti nelle donne bianche di livello
economico elevato rispetto alle donne nere di condizione economica più modesta.
Nei campioni clinici, si possono evidenziare livelli più elevati di psicopatologia rispetto alla
totalità dei soggetti obesi e i sintomi più comuni riscontrati in questi individui sono
rappresentati da ansia, depressione, ipocondria e comportamenti impulsivi; non di minore
importanza è il riscontro di tratti borderline di personalità ed anamnesi positiva per abusi
sessuali durante l’infanzia e l’adolescenza (Mannucci, Ricca, Rotella, 2001). Inoltre, “… è
possibile affermare che gli aspetti psicopatologici giocano un ruolo importante nel
determinare l’atteggiamento dei soggetti obesi nei confronti del cibo e dell’alimentazione.
Questo dato è importante anche ai fini terapeutici perché evidenzia la necessità di un supporto
psicologico alla dietoterapia. In particolare una corretta impostazione della terapia dell’obesità
dovrebbe prevedere sia un approccio di tipo multidisciplinare, per riuscire ad intervenire
anche sui vissuti psicologici, sia uno screening iniziale di tipo psicopatologico al fine di
individuare gli strumenti terapeutici più adatti alle esigenze di ogni singolo soggetto”
(Ragazzoni, Riva, 1996, pp. 138-139).
Il ruolo dell’ansia e della depressione
Ricca e collaboratori (1996) si proposero di valutare le caratteristiche psicopatologiche di 84
soggetti (età media = 41.2 anni; valore medio del BMI > 34.1) afferenti ad un ambulatorio
specialistico per la cura dell’obesità. Furono osservate differenze significative nel confronto
tra pazienti obesi e un gruppo di controllo di 217 soggetti relativamente alla prevalenza del
binge eating disorder e alle alterazioni del comportamento alimentare (p < 0.001). In circa 10
casi (11.9%) fu posta diagnosi di BED ad indicare che in non pochi soggetti obesi è presente
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un deficit del controllo sulla quantità e la velocità di assunzione del cibo, una compromissione
dei meccanismi della sazietà nonché un nucleo psicopatologico costituito da preoccupazioni
pervasive per il cibo, il peso e la forma fisica.
I disturbi dell’umore risultavano significativamente più frequenti (p < 0.005) nei pazienti
obesi rispetto ai controlli (11.8% vs. 11%). In particolare, i disagi esibiti con maggiore
probabilità da questa popolazione erano: depressione maggiore nel 14.2% dei casi di obesità
rispetto all’1.3% di quelli dei controlli, distimia nel 13.1% di soggetti obesi confrontato con il
9.6% dei controlli e dipendenza dall’alcol trovata nell’1.2% del campione di obesi paragonato
allo 0.4% nel gruppo di controllo. I due gruppi non si distinguevano per quanto riguarda la
prevalenza di altri disturbi mentali e per i livelli di ansia di stato e di tratto.
Questi dati sottolineano che, pur non ancora assodata la relazione patogenetica tra eccesso
ponderale e disordini dell’affettività, la valutazione di questi ultimi deve essere comunque
fatta, a partire dalla raccolta anamnestica familiare e individuale del soggetto.
Per cercare di appurare il ruolo degli aspetti psicopatologici nel determinare l’atteggiamento
dei soggetti obesi nei confronti dell’alimentazione, Ragazzoni e Riva (1996) esaminarono un
campione clinico di 304 soggetti maschi e femmine (età media = 39.1; valore medio del BMI
= 42.5). Furono segnalati atteggiamenti bulimici e ossessivi verso il cibo (p < 0.0001), livelli
significativi di ansia (p < 0.0001) e depressione
(p < 0.0002). Tra gli aspetti psicologici
rilevanti che influivano sul rapporto con il cibo vi erano anche la schizofrenia (p < 0.0001) e
la devianza sociale (p < 0.05).
Una conclusione interessante riguardava la correlazione inversa tra BMI e controllo
alimentare: all’aumento dei valori del BMI corrispondeva un decremento del controllo
sull’alimentazione, dato, questo, interpretato come incapacità del soggetto di padroneggiare la
quantità e la qualità di cibo ingerita dopo aver oltrepassato un certo limite di peso.
“Probabilmente il grande obeso, visti i numerosi fallimenti, considera la sfida del controllo
alimentare persa per sempre e, non vedendo sbocchi, non si preoccupa più di controllare ciò
che mangia” (Ragazzoni, Riva, 1996, pp. 138).
Musante, Costanzo e K. E. Friedman (1998) esplorarono le differenze di genere nella
suscettibilità alla depressione in un campione clinico di 1.184 pazienti, 855 donne (età media
= 46.4; valore medio del BMI = 35.9) e 329 uomini (età media = 47 anni; valore medio del
BMI = 40.9).
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I risultati indicarono che la depressione maggiore si accompagnava non solo a tendenze
alimentari irregolari e disorganizzate ma anche a una maggiore propensione ad intraprendere
un tipo di alimentazione affettivamente e socialmente distruttivo. Il BMI differiva in modo
significativo in base alla severità della sintomatologia depressiva. Relativamente alle
differenze di genere, fu osservato che le donne risultavano più inclini alle fluttuazioni di peso
e ad intraprendere diete estreme, mentre i maschi pesavano di più e assumevano quantità di
cibo superiori. In questa popolazione le donne riferivano con una frequenza più elevata una
mancanza di controllo sulla propria condotta alimentare in risposta ad uno stimolo sociale o
affettivo negativo, in particolare tristezza, noia, solitudine, rabbia e inadeguata risoluzione dei
conflitti. Gli uomini, invece, evidenziavano tendenze alimentari disfunzionali quando
stimolati positivamente o incoraggiati socialmente dagli altri o dall’ambiente sociale, in
presenza, quindi, di situazioni di contentezza, eccitazione o in circostanze di socializzazione.
La prevalenza della sintomatologia depressiva appariva evidente in una considerevole
percentuale di casi: 21% nel campione maschile e 29% in quello femminile.
Nelle donne, la comorbilità tra obesità, BED e depressione potrebbe essere ricollegata
all’adattamento a lungo termine alla censura sociale, o ancora, al disgusto per se stesse, ai
sentimenti di inadeguatezza e alienazione sociale che scaturiscono dal loro allontanarsi dalle
regole condivise di piacevolezza. Così, quelle in sovrappeso sono depresse nella misura in cui
si giudicano “donne inadeguate” ed esprimono questo senso di inefficacia attraverso
esperienze di rabbia verso il mondo sociale, solitudine ed isolamento, cercando di porvi riparo
con provvedimenti estremi inerenti la sfera dell’alimentazione, come ad esempio il BED.
Per gli uomini, l’interrelazione tra obesità e disordini affettivi è mediata dal grado con cui
connettono la devianza corporea al senso di “inadeguatezza maschile”: quelli che sono
depressi si percepiscono come passivi, incompetenti, non indipendenti, socialmente deboli e
incapaci di azioni efficaci.
Cilli e collaboratori (2003) si proposero di quantificare il livello di ansia e depressione non
manifesto o non psicologicamente rilevante in 69 pazienti obesi (età media = 13-72 anni;
25>BMI<35) e 66 soggetti con peso normale (età media = 18-68 anni 18.5>BMI≤25). Tra i
soggetti obesi, i livelli medi di ansia sub-clinica e depressione sub-clinica risultarono
significativamente più elevati rispetto alle persone normopeso, suggerendo, così, che l’obesità
sarebbe associata non casualmente ad un tono dell’umore non ottimale. In questo gruppo fu
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anche rilevata una tendenza a manifestare ansia e depressione in maniera patologica, sebbene
questo andamento non fosse sufficiente ad accertare se il grado sub-clinico di ansia e
depressione giocasse un ruolo primario nella genesi dell’obesità o se, invece, fosse una
risposta reattiva alla perdita di peso. Comunque, questo dato potrebbe far pensare all’obesità
come ad una condizione che predispone alla comparsa di disturbi affettivi clinicamente
rilevanti (Cilli, De Rosa, Pandolfi, Vacca, Cugini, Cena, Belli, 2003).
In uno studio trasversale su 1.547 uomini e 1.814 donne tra i 25 e i 64 anni, fu esaminata la
relazione tra obesità, ostilità cinica e depressione (Haukkala, Uutela, 2000). I risultati
mostrarono che il livello culturale mediava l’associazione positiva tra ostilità cinica e obesità
tra le donne, ma non tra gli uomini. Questa relazione non fu osservata in donne con un elevato
livello culturale; la modesta interazione tra cultura e ostilità potrebbe significare che donne
colte con livelli elevati di ostilità non differiscano da quelle meno ostili nel loro
comportamento legato al peso.
Tuttavia una carriera accademica riuscita e l’affermazione in campo lavorativo originano
sensazioni di successo che consolidano l’autostima, proteggendo, in questo modo, i soggetti
obesi ben educati dalle conseguenze psicologiche negative degli sguardi degli altri. Il grado di
depressione correlava positivamente e in modo modesto con il WHR, mentre il livello
culturale non appariva mediare la relazione tra depressione ed obesità.
Soggetti obesi e in sovrappeso molto frequentemente intraprendono regimi alimentari dietetici
nel corso della loro vita, oscillando continuamente tra riduzioni e aumenti di peso. Anche
queste fluttuazioni potrebbero influire sulle condizioni psicologiche, visto che non riuscire a
mantenere il peso raggiunto con le diete provoca sentimenti di fallimento personale, di perdita
del controllo sulla propria vita e di scarsa autostima (Simkin-Silverman, Wing, Plantinga,
Matthews, Kuller, 1998).
Foreyt e colleghi (1995) in un campione di 497 soggetti normopeso e in sovrappeso trovarono
che sia le donne (in sovrappeso o con peso normale), sia gli obesi (maschi e femmine)
avviavano diete con maggiore frequenza e che quelli che mostravano una storia di fluttuazioni
nel peso corporeo esibivano bassi livelli di benessere generale, di controllo alimentare e più
eventi di vita importanti. Non furono rinvenute differenze relativamente ai livelli di
depressione tra coloro che variavano il loro peso e quelli che non presentavano eccessivi
cambiamenti ponderali (Foreyt, Goodrick, Cutter, Brownell, Jeor, 1995).
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Considerando una coorte di 429 donne, normali e in sovrappeso, Simkin-Silverman e colleghi
(1998), confermarono la presenza di più frequenti variazioni di peso tra le donne in
sovrappeso, tuttavia, queste oscillazioni erano presenti anche in donne normopeso, sebbene
fossero di magnitudine inferiore. Nonostante l’assenza di effetti negativi sulle condizioni
psicologiche dei soggetti, come la comparsa della depressione, gli autori concludono che
possano esistere altre reazioni ai falliti tentativi di mantenimento del peso come la
frustrazione, pensieri di sconfitta ed insuccesso per non riuscire a rispondere alle richieste
sociali di magrezza.
I disturbi di personalità e l’obesità
Interessante è anche il legame tra dimensione corporea e disturbi di personalità, in particolare
la sintomatologia borderline.
Per cercare di comprendere quale fosse la natura di questa relazione, R. A. Sansone,
Wiederman e Monteith (2001) reclutarono un campione clinico di 49 donne obese tra i 18 e i
56 anni che compilarono un questionario da cui trarre informazioni sulla presenza dei sintomi
del disturbo di personalità borderline. L’incremento di questa sintomatologia si
accompagnava ad un aumento nei valori del BMI, dell’insoddisfazione corporea, come pure
alla tendenza a giudicarsi non piacevoli e ad evitare luoghi pubblici a causa della vergogna
per il proprio aspetto. Le donne obese presentavano livelli più elevati di sintomatologia
rispetto a quelle non obese. Una simile percentuale di donne obese (94.1%) e non obese
(83.9%) esperivano episodi di depressione, per cui il legame tra obesità e disturbo borderline
non sembrava imputabile alla depressione. Un altro dato importante era l’evidenza
dell’associazione tra sintomatologia borderline e alterazione dell’immagine corporea, che
risultava, comunque, indipendente dalla condizione ponderale.
In una pubblicazione precedente, R. A. Sansone, L. A. Sansone e Wiederman (1997)
segnalarono differenti percentuali di prevalenza della sintomatologia borderline in due
popolazioni di donne obese. Nella popolazione generale il 7% del campione rispondeva ai
criteri di un disturbo di personalità borderline, stima nettamente inferiore a quella registrata in
un campione di donne sottoposte ad un programma di trattamento, che risultava essere di circa
40%.
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Le spiegazioni della possibile associazione tra queste due variabili sono tre. Primo, tale
legame potrebbe essere di natura casuale e, allora, le stime di prevalenza non dovrebbero
differire nella popolazione generale. Secondo, gli strumenti adoperati per la valutazione del
disturbo borderline in realtà è possibile misurino aspetti o sintomi di un’altra disfunzione,
come ad esempio il disturbo post-traumatico da stress. Terzo, potrebbe esistere una relazione
eziologica tra i due fattori, per cui il disturbo borderline sarebbe uno dei tanti substrati
eziologici che concorrerebbero all’obesità, posizione, questa, condivisa dagli autori. La
personalità borderline si caratterizza per i significativi deficit nell’auto-regolazione che a
livello comportamentale si manifesterebbero tramite il consumo eccessivo e prolungato di
calorie, che a lungo andare condurrebbe all’incremento ponderale.
3.7.2. Binge Eating Disorder e psicopatologia
Uno studio condotto su un campione di 54 pazienti obesi in cerca di trattamento (Goldsmith,
Anger-Friedfeld, Beren, Rudolph, Boeck, Aronne, 1992) puntualizzò che i pazienti obesi, che
richiedono una cura per la loro condizione, mostrano maggiore psicopatologia dei soggetti in
sovrappeso nella popolazione generale. Circa il 55.6% dei pazienti rispondeva ai criteri per
una malattia psichiatrica recente o passata, con valori particolarmente elevati dei disturbi
affettivi. Queste percentuali risultavano 5 volte più grandi nel campione di pazienti rispetto a
quelle in un campione di comunità.
Una possibile spiegazione di questo gap potrebbe essere che nei soggetti che affluiscono ai
programmi di trattamento, l’aumento di psicopatologia è da collegare all’incremento di peso;
tuttavia, Goldsmith e colleghi trovarono che pazienti obesi con diagnosi psichiatrica
potrebbero non essere discriminati da quelli senza diagnosi sulla base del peso.
Un’interpretazione alternativa sarebbe la mediazione di un terzo elemento che opera in modo
tale da spiegare la relazione tra psicopatologia e peso corporeo nelle popolazioni cliniche.
Una variabile plausibile potrebbe essere la presenza del binge eating disorder.
Spitzer e colleghi (1993) nella descrizione delle caratteristiche del BED evidenziarono che, a
differenza del gruppo in cui il BED era assente (N = 833), quello con BED (N = 296)
mostrava livelli significativamente maggiori (p ≤ 0.01) di depressione, tratti ossessivocompulsivi, ansia, ostilità, ansia fobica e psicoticismo.
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Telch e Agras (1994) cercarono di corroborare l’ipotesi secondo cui il binge eating, e non il
peso, sarebbe associato alla comorbilità psichiatrica negli obesi. Centosette donne obese tra i
18 e i 65 anni (valore medio del BMI = 38.9) furono suddivise in gravemente o
moderatamente binge eater sulla base della severità delle abbuffate e in gravemente o
moderatamente obese sulla base del peso corporeo. I risultati rivelarono una correlazione
consistente e significativa tra la severità degli episodi di binge eating e le misure
psicopatologiche, in modo specifico depressione, autostima e problemi interpersonali:
all’incremento della gravità delle abbuffate corrispondeva un aumento del livello di distress
psicologico e relazionale, come pure una diminuzione della fiducia in se stessi.
Non fu rinvenuta alcuna relazione tra sintomatologia psichiatrica e grado di obesità, per cui il
peso non risultava la caratteristica determinante per discriminare soggetti moderatamente e
gravemente in sovrappeso.
Sebbene un legame esista tra binge eating e psicopatologia, è dubbio supporre una relazione
di tipo causale: non è certo se sia la gravità del binge eating a determinare il distress
psicologico o se sia, invece, l’esperienza di una forte angoscia a cagionare le abbuffate.
“… se l’ipotesi che binge eating e psicopatologia fosse corretta, ci si dovrebbe aspettare di
dimostrare la presenza di psicopatologia anche in soggetti con binge eating senza condotte di
compensazione e non in sovrappeso… i risultati di questo studio sottolineano che il BED è
un’importante categoria diagnostica che non dovrebbe essere ignorata, ma dovrebbe essere
considerata come indicatore prognostico e nella pianificazione del trattamento. …Conoscere
la natura delle problematiche comorbide può dirigere l’attenzione dei clinici a stabilire
l’ordine degli obiettivi d’intervento. Una valutazione più complessa dei pazienti obesi che
includa l’identificazione del BED e dei disturbi comorbidi … potrebbe condurre a migliorare
l’esito del trattamento” (Telch, Agras 1994, pp. 60).
Yanovski, Nelson, Dubbert e Spitzer (1993) presero in esame 128 soggetti obesi, 89 donne e
39 uomini (età media = 36.8 anni), allo scopo di determinare la prevalenza di psicopatologia e
la storia familiare dei disturbi psichiatrici.
Il BED fu diagnosticato nel 37% del campione femminile e nel 26% di quello maschile. Per
questi soggetti la probabilità di ricevere diagnosi per qualche disturbo sull’Asse I era
significativamente maggiore di quella degli obesi senza BED (60% vs. 34%). In particolare,
essi esibivano percentuali superiori di depressione (51% vs. 14%), distimia (16% vs. 8%),
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disturbi di panico (9% vs. 1%), bulimia nervosa (7% vs. 0%), fobia sociale (5% vs. 1%),
agorafobia (5% vs. 1%), abuso di droghe (7% vs. 5%), alcol (9% vs. 6%) o altre sostanze
(12% vs. 8%). Inoltre, anche la prevalenza di diagnosi sull’Asse II era più elevata (35% vs.
16%): disturbo evitante di personalità (9% vs. 0%), disturbo di personalità borderline (14%
vs. 1%) e disturbo da autolesionismo (9% vs. 2%).
Ciascuno dei due gruppi fu ulteriormente suddiviso, in base al grado di obesità, in soggetti
gravemente e moderatamente obesi. Nel gruppo di soggetti gravemente obesi, la prevalenza di
diagnosi sugli Assi I e II non differiva tra obesi binge eater e non, mentre nel gruppo di
persone moderatamente obese queste differenze risultarono significative: rispetto agli
individui senza BED, i binger apparivano più disturbati. Nessuna discordanza fu poi
riscontrata confrontando soggetti moderatamente e gravemente obesi con e senza BED
relativamente alla depressione maggiore e gli altri disturbi psichiatrici. Individui con BED
riferivano con probabilità doppia di aver fatto esperienza di psicoterapia o counseling e
mostravano di avere almeno un parente di primo grado con diagnosi di abuso di sostanze.
Quando i dati venivano analizzati in funzione del grado di obesità, non furono trovate
discrepanze tra soggetti moderatamente obesi e quelli severamente obesi con BED né tra
soggetti moderatamente obesi e gravemente obesi senza BED.
Per testare l’esistenza di un continuum di severità in relazione alle caratteristiche cliniche dei
disturbi alimentari, de Zwaan e collaboratori (1994) valutarono 100 donne obese (età media =
39.2 anni; valore medio del BMI = 35.9), prima di entrare a far parte di un programma di
riduzione del peso, suddividendole in quattro gruppi: 1) senza episodi di iperalimentazione; 2)
con episodi sporadici di iperalimentazione e senza perdita di controllo; 3) con
sovralimentazione più senso di mancanza del controllo; 4) con sindrome completa di BED. Fu
osservata una tendenza per i pazienti con problemi più gravi di binge eating a presentare un
storia più lunga di esperienze di regimi dietetici (p = 0.01), di fluttuazioni di peso (p = 0.02) e
a cominciare a restringere l’alimentazione ad un’età inferiore (p = 0.01). Soggetti che
rispondevano pienamente ai criteri per il BED risultavano chiaramente distinguibili dagli altri
per quanto riguarda la gravità delle abbuffate che era legata a caratteristiche psicologiche
quali desiderio di essere magri, senso di inefficienza, atteggiamenti di perfezionismo, scarsa
consapevolezza introspettiva e disinibizione della condotta alimentare. Inoltre essi tendevano
a riportare livelli più bassi di autostima rispetto a tutti gli altri gruppi.
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Interessante l’evidenza che le donne che si reputavano molto impulsive e poco abili a
mantenere il controllo sul proprio comportamento, con maggiori probabilità si impegnavano
in episodi periodici di binge eating, il che fa pensare alla possibilità che le abbuffate siano una
manifestazione di un’insufficiente padronanza degli impulsi (de Zwaan, Mitchell, Seim,
Specker, Pyle, Raymond, Crosby, 1994).
Anche Wadden e colleghi (1993) reclutando un campione clinico di 132 donne obese (età
media = 40.4 anni; valore medio del BMI = 38.7) trovarono che la gravità del binge eating era
correlata ad un elevato grado di fame e disinibizione (p < 0.001) e ad una scarsa restrizione
alimentare. Circa la metà del gruppo con BED presentava un livello di depressione
clinicamente significativo (p = 0.0001), comparato al 5% dei non binger. Tra gli altri aspetti
patologici, risultavano rilevanti l’ipocondria (p = 0.001), l’isteria (p = 0.02), la psicoastenia (p
= 0.0001), la schizofrenia (p = 0.001) e l’introversione sociale (p = 0.0001). Le conclusioni
raggiunte avvalorano così la tesi per cui i binge eater esibiscono quote preponderanti di
psicopatologia rispetto a chi non soffre di questo disturbo.
Gladis, Wadden, Foster, Vogdt e Wingate (1998) sostennero ulteriormente questa assunzione
osservando che i soggetti con binge eating più grave ostentavano livelli significativamente
maggiori di depressione
(p < 0.0001), paranoia (p < 0.005), psicoastenia (p < 0.0001),
schizofrenia (p < 0.005) e introversione sociale (p < 0.0001).
Anche l’indagine di Mussell (1996) su 185 donne (età media = 39.9 anni valore medio del
BMI = 36.1) segnalò differenze significative tra gruppi BED e non BED nella prevalenza
lifetime dei disordini legati alla sfera affettiva, dei disturbi da abuso o dipendenza da sostanze
e dei disturbi sull’Asse I, con i binger che riportavano la più ampia proporzione di
partecipanti che soddisfacevano i criteri per ciascuna di queste categorie. Circa il 70% dei casi
con BED aveva ricevuto una diagnosi per qualche disturbo sull’Asse I, confrontato con il
29.2% dei casi non BED. In particolare i disturbi più frequenti erano: depressione maggiore
(46.3% vs. 18.8%), distimia (8.8% vs. 0%), abuso di alcol (15.0% vs. 2.1%) e droghe (12.5%
vs. 2.1%), disturbo di panico (2.5% vs. 0%), fobia sociale (2.5% vs. 0%), disturbo di ansia
generalizzata e disturbo post-traumatico da stress (entrambi 1.3% vs. 0%).
Non furono riscontrate differenze significative relativamente a comportamenti di autoaggressività; tuttavia una percentuale non piccola di casi di BED (12.7%) esternava una storia
di tentativi di suicidio e di furto (30.4%).
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Uno studio recente (Jirik-Babb, Geliebter, 2003) ha confrontato i livelli di ansia, depressione
ed autostima in un gruppo di 43 donne (età media 43.5 anni) afferenti ad un programma di
riduzione del peso, 21 con BED (valore medio del BMI = 30.95) e 22 senza BED (valore
medio del BMI = 34.64).
Nella fase iniziale del programma, i binge eater esibivano livelli significativamente elevati di
depressione (p < 0.002) e ridotti di autostima (p < 0.001) rispetto ai non binger. Per il
sottogruppo che aveva partecipato allo studio per le 8 settimane, queste differenze
continuavano a persistere, nonostante la perdita di peso.
I risultati di questo studio sono coerenti con le conclusioni secondo le quali gli obesi con BED
presentano più sintomi depressivi e disturbi legati alla sfera affettiva (Goldsmith et al., 1992,
Yanovski et al., 1993) e con l’ipotesi che associa il grado di sintomatologia psichiatrica alla
gravità degli episodi di binge eating (Telch, Agras, 1994).
Se nei soggetti normopeso la depressione si accompagna ad una riduzione dello status
ponderale, nei soggetti obesi o in sovrappeso, essa non va scissa da un calo dell’attività e da
un cospicuo incremento ponderale. La depressione, allora, potrebbe giocare un ruolo non
irrilevante nella patogenesi della mancanza di controllo sulla propria condotta: durante gli
episodi depressivi, infatti, all’incremento nella consumazione dei cibi corrisponde un rialzo
del peso corporeo. Tuttavia, è anche possibile che sia l’obesità sia la tendenza a perdere il
controllo sul cibo favoriscano o acutizzino la sintomatologia depressiva.
Il fatto che queste persone risentano fortemente della pressione sociale ad essere magri, può
concorrere alla deflessione dell’umore, soprattutto se a questo aggiungiamo anche l’incapacità
di gestire la propria alimentazione e i continui fallimenti dei regimi dietetici che tendono a far
crollare l’autostima e ad originare un quadro clinico depressivo (Mannucci, Ricca, Rotella,
2001).
Stunkard e Allison (2003a, 2003b) hanno avanzato l’ipotesi secondo cui il binge eating
potrebbe agire come un marker della psicopatologia in soggetti obesi e, quindi, come un
aspetto associato che emerge quando due disordini primari coesistono.
Sulla base dell’assunzione che i soggetti con binge eating hanno aspettative personali molto
elevate, solitamente legate all’aspetto fisico e al peso, un ragguardevole desiderio di fare
buona impressione sugli altri e credenze che gli altri ricambino i loro comportamenti con
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attenzioni critiche, Paxton e Diggens (1997) esplorarono il legame tra binge eating,
meccanismi di evitamento e depressione.
Secondo gli autori la combinazione di tutte queste caratteristiche porterebbe a formulare
giudizi distorti su se stessi e alla comparsa di emozioni negative. Così, in circostanze
sfavorevoli, le persone sarebbero motivate a ridurre i livelli di auto-consapevolezza, attraverso
un restringimento cognitivo, per sfuggire alle esperienze negative.
Il campione costituito da 149 studentesse fu suddiviso in tre gruppi: binge eater, dieter e
controlli. I risultati non suffragarono l’ipotesi di partenza mostrando che i gruppi non
differivano per quanto riguarda i meccanismi di esitamento, e che questi erano correlati
positivamente al binge eating e alla depressione. Era anche vero che, senza la coesistenza
della depressione, le strategie di evitamento non erano associate alle abbuffate.
I disturbi di personalità e il binge eating disorder
Per quanto riguarda i disturbi di personalità, già lo studio di Yanovski (1993) aveva
dimostrato una relazione tra questi ultimi e il binge eating, in modo specifico, il disturbo
borderline di personalità e il disturbo evitante di personalità.
Picot e Lilenfeld (2003) si proposero di determinare se la presenza dei disordini di personalità
avrebbe predetto la gravità del binge eating e se si sarebbe osservata una relazione positiva tra
BMI e disturbi di personalità in 46 donne (età media = 40.73 anni; valore medio del BMI =
34.40) e 4 uomini (età media = 48.19; valore medio del BMI = 37.52) con BED. Non furono
rinvenute differenze significative nella gravità e nella frequenza delle abbuffate fra uomini e
donne. Come previsto, la gravità del binge eating era associata positivamente al BMI (p <
0.01) e alla sintomatologia dell’Asse II (p < 0.05). Anche la frequenza delle abbuffate si
associava significativamente al BMI (p < 0.05) e ai disturbi di personalità (p < 0.01).
Un dato importante era che BMI e patologia della personalità non erano associati; lo stesso
accadeva per la frequenza delle abbuffate e la loro dimensione, ossia la quantità di cibo
consumata durante questi episodi, suggerendo così che queste due componenti rappresentano
fattori distinti nella determinazione della severità del binge eating.
I disturbi più comunemente diagnosticati erano il disturbo evitante di personalità nel 12% dei
casi, il disturbo ossessivo compulsivo nel 10% dei casi e il disturbo borderline di personalità
nel 2% dei casi.
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
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“E’ anche importante riconoscere che i disturbi di personalità innestano una varietà di
comportamenti e strategie di coping inadeguati, solo uno dei quali è rappresentato dal binge
eating. Inoltre, la patologia relativa alla personalità potrebbe concorrere al BED insieme ad
una molteplicità di altri fattori come l’abuso infantile, depressione dei genitori, scarsa
autostima, esposizione prolungata ad affermazioni negative da parte della famiglia riguardo il
peso, l’aspetto e l’alimentazione” (Picot, Lilenfeld, 2003, pp. 104).
3.7.3. Night Eating Syndrome e Psicopatologia
Sebbene la NES e il binge eating disorder siano definiti dall’assunzione di un’ampia quantità
di cibo in un periodo discreto di tempo, la prima delimita un comportamento che si verifica in
uno specifico intervallo temporale, la sera o la notte. Entrambe presentano caratteristiche
differenti, tuttavia possono condividere alcuni aspetti come mangiare in risposta a stimoli
negativi, mangiare da soli e fino a sentirsi spiacevolmente sazi e, ancora, simili livelli di
psicopatologia, con senso di fallimento e colpa dopo ciascuna abbuffata (Napolitano, Head,
Babyak, Blumenthal, 2001; Stunkard, Allison, 2003b).
Nello studio di Napolitano e collaboratori (2001), gli autori cercarono di individuare le
caratteristiche psicologiche in 83 soggetti (età media = 48.1 anni; valore medio del BMI =
41.1) afferenti ad un programma per la perdita di peso. La NES risultava presente nel 27.6%
del campione, mentre il 15.7% rispondeva ai criteri sia per la NES sia per il BED. Circa il
61.1% dei soggetti con NES riportava distress psicologico, rispetto al 14.9% del resto del
campione. Furono osservati livelli molto elevati in questi pazienti di disinibizione
comportamentale (p = 0.09), ansia di stato (p = 0.009) e ansia di tratto (p = 0.013). Questi
valori, comunque, erano superiori a quelli dei soggetti che non avevano ricevuto alcun tipo di
diagnosi e inferiori a quelli trovati nei pazienti con diagnosi di solo BED.
Il fatto che nei soggetti con sovrapposizione dei due disturbi fossero riscontrati quote ancora
maggiori di ansia e distress emozionale in risposta a stimoli negativi, conduce gli autori a
sostenere che sarebbe la loro combinazione, piuttosto che l’alimentazione notturna da sola, ad
essere associata ad elevati meccanismi di coping. Fu notata, infine, una tendenza dei pazienti
con NES a soddisfare con più probabilità i criteri per la diagnosi di disturbo borderline di
personalità (p = 0.08).
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Gluck, Geliebter e Satov (2001) sottolinearono che la NES è una sindrome caratterizzata da
sintomi psicopatologici distintivi associati che contribuiscono alla refrattarietà al trattamento.
Considerando un campione clinico di 76 pazienti in sovrappeso (età media = 43.5 anni; valore
medio del BMI = 36.7), riscontrarono nei night eater livelli significativamente più elevati di
depressione (p = 0.04) e insufficienti di autostima (p = 0.003) rispetto agli altri partecipanti.
Queste conclusioni differiscono da quelle tratte da Adami, Meneghelli e Scopinaro (1999) che
non trovarono alcuna relazione tra NES e deflessione del tono dell’umore o insoddisfazione
corporea sostenendo che, laddove venga osservata un’associazione tra night eating e
psicopatologia, questa dovrebbe essere imputabile al fatto che la maggior parte dei pazienti
con NES presenta contemporaneamente diagnosi di BED, con il relativo deterioramento del
funzionamento psicologico.
Tuttavia, Stunkard e collaboratori (1996), nella definizione dei criteri diagnostici della NES,
affermarono che essa era particolarmente prominente durante i periodi di maggiore stress e
che si accompagnava a un umore depresso, portando all’errata credenza che fosse una
variante della depressione. Se nel caso della depressione maggiore, continua Stunkard, il tono
dell’umore risulta peggiore al risveglio e tendente al miglioramento nel corso della giornata,
nella night eating syndrome, lo stato d’animo è alquanto positivo al risveglio e durante la
mattinata e poi, gradualmente, tende a decadere, fino a sfociare la sera e la notte in una
marcata angoscia con conseguente sovralimentazione.
Lo studio di Rand, MacGregor e Stunkard (1997) rivelò che tra i soggetti BED esisteva una
percentuale maggiore di casi che esperivano sentimenti di colpa dopo le abbuffate notturne e
pochi che percepivano positivamente la loro condizione salutare. Tuttavia, non furono
riscontrate discrepanze tra night eater e non, relativamente alla prevalenza della depressione
maggiore, dell’abuso di alcol e droghe e alla restrizione del regime alimentare.
Prima ancora Kuldau e Rand (1986) avevano notato che la NES correlava con un grado
significativo sia di psiconevroticismo (p ≤ 0.01) sia di umore depresso (p ≤ 0.001), mentre i
disturbi psichiatrici più frequentemente evidenziati da Schenck e Mahowald in circa 38 casi
con NES risultavano essere i disturbi dell’umore (50%) come depressione maggiore, distimia,
disturbo bipolare, disturbo schizoaffettivo e di adattamento; i disturbi d’ansia (29%), in
particolare ansia generalizzata, agorafobia e disturbo post traumatico da stress; anoressia
(10.5%) e infine disturbo da abuso di alcol, droga o altre sostanze (31.6%).
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Spaggiari e collaboratori, in un campione di 10 soggetti in sovrappeso diagnosticarono
disturbi di panico nel 50% dei casi: nel 30% co-occorreva anche l’agorafobia e nel 20% il
disturbo di ansia generalizzata. Oltre al particolare comportamento notturno, non fu rilevata la
presenza di un disturbo di personalità ossessivo-compulsivo. Tutti i pazienti generalmente
esibivano un buon funzionamento psicofisico; tuttavia nella maggior parte di essi erano
evidenti anche tratti di isteria (50%), depressione (60%), schizofrenia (20%), psicoastenia
(20%), paranoia (10%) e introversione sociale (10%).
Infine, anche S. Friedman et al. (2002), nel loro studio su un singolo caso, avevano osservato
la presenza di un disturbo depressivo maggiore non periodico, caratterizzato da episodi
modesti ma ricorrenti di deflessione dell’umore e con remissione parziale tra ciascun
episodio.
Come per l’obesità e il BED, la possibilità di individuare alterazioni nella condizione
psicologica dei soggetti con NES, oltre che essere utile per una più profonda comprensione di
queste sindromi, diventa fondamentale anche per delineare le linee guida nella pianificazione
di migliori strategie d’intervento.
Il ruolo dell’abuso sessuale
L’esperienza di abuso, principalmente ma non soltanto sessuale, viene considerata come un
fattore importante per la comprensione dei disturbi alimentari, anche se esistono delle
controversie che riguardano un legame diretto tra queste due variabili. Esisterebbe,
comunque, una posizione intermedia che supera la rigida dicotomia tra presenza o assenza di
questa correlazione; si tratta di una prospettiva multifattoriale secondo la quale l’abuso, nella
prima infanzia o più tardi, non deve essere considerato la causa primaria e specifica
dell’insorgenza di disturbi alimentari, ma come uno dei fattori che potrebbe condurre alla loro
comparsa (Molinari, 2001).
Felitti (1991) esplorò le conseguenze di incesti e molestie sessuali in un campione di 131
soggetti scorgendo un’elevata prevalenza di disturbi depressivi, disturbi del sonno, attacchi di
panico e tentativi di suicidio. Una conclusione singolarmente ravvisabile era l’insorgenza
dell’obesità come conseguenza dell’evento subito, come pure un’alterazione dell’equilibrio
coniugale. Tra gli altri effetti, poi, da citare la richiesta più frequente di cure mediche, la
comparsa di ansia, senso di colpa, comportamenti auto-aggressivi, scarsa autostima, disturbi
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di personalità, costruzione di un’immagine negativa di se stessi e difficoltà nella percezione
del proprio corpo.
In uno studio successivo l’autore (1993) osservò che, rispetto ai controlli normali, i soggetti in
sovrappeso (N = 100) che partecipavano ad un programma di riduzione del peso, esibivano
un’elevata frequenza di abusi sessuali, alcolismo, perdita precoce dei genitori ed episodi
ricorrenti di depressione. In questo gruppo era comune anche il riscontro di un cattivo
funzionamento familiare o di difficoltà coniugali. Tra gli obesi vittime di abuso nell’infanzia,
la prevalenza di disturbi alimentari di tipo compulsivo, l’abuso di alcol e droghe era
significativamente maggiore e queste condotte venivano impiegate come modalità di coping
per sedare il distress emozionale e gestire l’umore disforico. In molti casi l’obesità veniva
considerata come una condizione utile per diminuire la propria piacevolezza fisica evitando
fenomeni di gelosia del partner e, quindi, come strumento per preservare il rapporto di coppia.
Yanovski e colleghi (1993) trovarono un’alta percentuale di abusi sessuali in soggetti bianchi
con BED rispetto a quelli senza BED, anche se questa differenza non risultava significativa.
Tra le persone di colore, nessuno riportava storie di molestie sessuali.
Anche Schenck e Mahowald (1994) rilevarono che circa il 53% di 19 pazienti con problemi di
alimentazione notturna e afferenti ad un centro per i disturbi del sonno, documentava in
maniera alquanto dettagliata una storia di abuso, fisico, sessuale e/o verbale, che solitamente
avveniva durante l’infanzia e veniva perpetrato dai membri della famiglia. Sebbene non
potesse essere stabilito nessun legame diretto tra abuso passato e comparsa dell’alimentazione
notturna, si osservò che, in non pochi soggetti (21%), l’abuso risultava essere la causa di un
disturbo post traumatico da stress.
Williamson, Thompson, Anda, Diets e Felitti (2002) riscontrarono che circa il 66% dei
partecipanti del loro studio riportava uno o più tipi di abuso e che l’abuso fisico e verbale
erano le tipologie più comunemente associate al peso corporeo e all’obesità. Il rischio di
obesità appariva incrementare con il numero e la gravità di ciascuna forma di abuso; in alcuni
casi più gravi era infine possibile imbattersi in una co-occorrenza di queste diverse forme.
Al fine di determinare la prevalenza di maltrattamenti infantili e la loro associazione con
l’obesità, Grilo e Masheb (2001) reclutarono un campione di 145 soggetti con BED,
registrando una percentuale totale di abuso dell’83%. In particolare, circa il 59% dei
partecipanti riferiva la presenza durante l’infanzia di maltrattamento emotivo, il 36%
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riportava abuso fisico, il 30% abuso sessuale, il 69% trascuratezza sul piano affettivo e il 49%
trascuratezza fisica. Le diverse forme di maltrattamento correlavano differentemente con il
BMI, binge eating e caratteristiche comportamentali; solo la trascuratezza fisica era legata alla
restrizione del regime alimentare, mentre il maltrattamento emotivo si associava in modo
significativo ad una maggiore insoddisfazione corporea, a livelli cospicui di depressione e
scarsi di autostima sia negli uomini che nelle donne. La correlazione tra abuso sessuale e
insoddisfazione per il proprio corpo fu riscontrata solo per gli uomini.
Molinari (2001) ha esaminato alcuni dei sintomi che possono accomunare le vittime di abuso
con soggetti che soffrono per qualche disturbo alimentare: riattualizzazione del trauma,
dissociazione, disturbi di personalità, rapporto patologico con il cibo e distorsione
dell’immagine corporea.
La riattualizzazione del trauma rappresenta il meccanismo tramite cui esperienze violente o
estremamente stressanti vengono rivissute con sentimenti di maggiore tensione, ansia e
ipervigilanza, con il fattore aggravante che l’evento originario viene rimosso. Abbuffarsi in
maniera
incontrollata,
adottare
condotte
di
compensazione
o
ancora
restringere
eccessivamente il proprio regime alimentare rappresentano una modalità, sebbene
disfunzionale, di risanare le ferite lasciate dall’abuso, punire il proprio corpo e allontanare gli
altri e mantenere, dunque, il proprio ordine-disordine interno. Si cerca, inconsapevolmente, di
ricreare il trauma irrisolto nel tentativo di trovarvi una soluzione e con l’illusione di
raggiungere il controllo su quelle cose che all’epoca dell’evento erano al di fuori del proprio
potere.
Le condotte alimentari disorganizzate, possono diventare anche meccanismi dissociativi
attraverso i quali svincolarsi dai sentimenti e dai ricordi legati all’esperienza dell’abuso. Chi
subisce un abuso viene avvolto da una nebbia dissociativa in cui la parte di sé legata all’abuso
è separata dalla totalità della persona pur restando attiva e originando così pensieri
contraddittori. La sintomatologia dei disturbi alimentari diviene una misura difensiva distorta
con la funzione di allontanare la memoria dell’abuso.
“Il legame tra AS e DA deve essere così esplorato secondo una prospettiva multifattoriale e
non all’interno dei rigidi confini di una prospettiva uni-dimensionale di causa-effetto. L’abuso
non è né sufficiente né necessario in se stesso a generare una disorganizzazione del modello
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alimentare, tuttavia può interagire con altri fattori accrescendo il rischio di un disturbo
psichiatrico generale che includa i sintomi di un DA” (Molinari, 2001, pp. 74).
Le altre variabili in questione sono il temperamento e la personalità, l’ambiente familiare e
quello socio-culturale. Donne con una storia di abuso e di disturbi alimentari mostrano tratti
comuni quali compliance ai giudizi e desideri degli altri, insicurezza sociale, vergogna, scarsa
flessibilità e incapacità ad affrontare eventi di vita stressanti. Alla base si rintraccia lo stigma
sociale, la sensazione di essere stati traditi dalle persone amate e carenza di autostima.
Quando l’ambiente familiare è disfunzionale e l’attaccamento insufficiente e inadeguato,
l’incesto interferisce con il senso di competenza sociale, ossia il senso di efficienza personale,
di controllo, fiducia e sicurezza nelle relazioni. La patologia alimentare potrebbe discendere
dalla sensazione di vulnerabilità esperita, dal bisogno di ripristinare il controllo sul proprio
corpo e sulla propria famiglia dove l’individuazione viene ostacolata e i confini interpersonali
violati.
Le famiglie in cui un membro è vittima di abuso e schiavo di un’alimentazione disturbata
sono scarsamente coese, limitano l’autonomia e sono incapaci di esprimere pensieri ed
emozioni. Inoltre, queste famiglie falliscono nel regolare e gestire conflitti e tensioni, fornire
sostegno emotivo e favorire i processi di svincolo; in alcuni casi generano comportamenti
patologici come abuso di sostanze e disturbi affettivi che tendono a ripetersi attraverso le
generazioni.
Infine, ma non meno importante, è da annoverare il background sociale e culturale con i suoi
messaggi relativi all’efficienza personale, al successo, alla bellezza e alla magrezza.
In una recente pubblicazione, Molinari, Selvini e Lenzini (2003) hanno presentato 5 casi
clinici tratti da un campione di 47 donne con disturbi alimentari inserite in un programma di
terapia familiare, al fine di mostrare come un’esperienza di abuso può concorrere, insieme ad
altri fattori, ad accrescere la vulnerabilità individuale e ad esacerbare i sintomi tipici della
patologia alimentare. Sebbene la non rappresentatività del campione non renda possibile
generalizzare i risultati, la descrizione di queste storie sottolinea la problematicità del rapporto
che le vittime di abuso sessuale stabiliscono con il proprio corpo, che diventa il luogo per
riattualizzare il trauma originario con i relativi sentimenti di confusione, senso di colpa,
vergogna e mancanza di controllo. L’impulsività e la compulsività che definiscono il rapporto
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con il cibo, la vergogna e l’assenza di controllo sono tutte emozioni che la vittima di abuso ha
già sperimentato nella relazione con il perpretante.
Dal resoconto dei casi emergono grandi difficoltà in diversi ambiti: (1) nell’area dei
comportamenti orientati al proprio corpo: distorsione dell’immagine corporea, rapporto
conflittuale col cibo, abuso di sostanze, tentativi di suicidio e isolamento; (2) nell’area della
sessualità: abusi sessuali ripetuti, promiscuità, rapporti occasionali e inibizione; (3) nell’area
delle performance a livello emotivo e sociale: oscillazione tra periodi di inattività e periodi di
iperattività, dipendenza, squalifica di sé, deficit dell’attenzione, nel funzionamento scolastico
e lavorativo e difficoltà a socializzare; (4) nell’area della personalità: presenza di
sintomatologia borderline, di meccanismi di scissione e dissociazione, tratti depressivi e
ossessivi, scarsa autostima e scarsa coscienza dei propri limiti; e (5) nell’area delle relazioni
familiari: rapporto con i genitori complesso, presenza di opposizione, bisogno di dipendenza,
presenza di depressione nella madre e storia di abuso sessuale anche nell’infanzia della
madre, tendenza al diniego e incapacità di holding da parte dei genitori.
Un fattore che accomuna tutti questi casi è proprio un’evidente difficoltà da parte dei genitori
a proteggere le figlie e la tendenza di queste a mantenere il segreto dell’abuso.
Un’importante conclusione relativa alla terapia è che queste donne hanno svelato il loro
segreto dopo molti mesi e in sedute individuali, il che sottolinea l’importanza di una solida
alleanza terapeutica che non inibisca il riaffiorare dell’evento e sia da contenimento alle
emozioni ad esso associate.
Riesaminando la letteratura esistente sul rapporto tra disturbi alimentari e abuso sessuale,
Molinari (2001) suggerisce che sia il trauma immediato sia l’impatto che esso ha sullo
sviluppo successivo, sono in grado di istituire svariate condizioni psicopatologiche tra cui
anche i disturbi alimentari, limitando così la capacità delle persone di far fronte alle forti
emozioni, incrementando la vulnerabilità psichica e riducendo la fiducia nelle proprie
possibilità.
Anche Smolak e Murnen (2002), revisionando gli studi sull’abuso sessuale, osservarono una
modesta ma significativa associazione tra questo e la patologia alimentare. Tuttavia tale
relazione appariva contrassegnata da una sostanziale eterogeneità, la quale veniva spiegata da
due possibili ragioni: primo, la presenza di una varietà di fattori che potrebbero mediare la
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natura e l’estensione della suddetta relazione e, secondo, l’esistenza di definizioni differenti
sia dei disturbi alimentari sia dell’abuso sessuale.
L’identificazione di esperienze di vita traumatiche, come pure della patologia comorbida,
diventa una prassi di notevole importanza nella pianificazione di trattamenti efficaci
dell’obesità e dei disturbi alimentari.
Il ruolo dell’immagine corporea nei soggetti obesi e con Disturbi Alimentari
L’insoddisfazione e l’angoscia per la propria immagine corporea sono strettamente legate alla
psicopatologia e vengono considerate come l’aspetto psicologico centrale nei disturbi
alimentari, ma non esiste ancora una definizione uniforme per quanto riguarda l’obesità
(Devlin, Goldfein, Dobrow, 2003).
Inoltre il costrutto dell’immagine corporea è stato proposto anche come potenziale fattore di
mediazione della relazione tra obesità e distress psicologico (K. E. Friedman, Reichmann,
Costanzo, Musante, 2002).
L’immagine corporea può essere influenzata semplicemente dall’essere in sovrappeso o dallo
stigma sociale; tuttavia, il confronto tra soggetti obesi con e senza BED ha rivelato maggiore
ansia per il peso e l’aspetto fisico per i primi, il che farebbe pensare che è il binge eating,
piuttosto che l’obesità in sé, ad essere associata al disagio per la propria immagine (Adami,
Gandolfo, Campostano, Meneghelli, Ravera, Scopinaro, 1998).
Con immagine corporea si intende il modo in cui il soggetto sperimenta e considera il proprio
corpo (Molinari, 2001). Esso rappresenta un modello di tipo cognitivo-emozionale visto che
vi convogliano tutti gli elementi legati al corpo, siano essi di natura cognitiva o strettamente
appartenenti al mondo interno e alle relazioni interpersonali. Si origina dall’insieme di tutte le
sensazioni ricevute dalla persona e dalla complessa interazione tra esperienze propriocettive
ed emozioni e credenze generate dall’ambiente esterno.
Nell’immagine corporea, il corpo diventa contemporaneamente oggetto di rappresentazione e
oggetto che rappresenta. È durante il primo anno di vita che il proprio corpo viene scoperto e
differenziato dall’ambiente esterno e, successivamente, dopo aver appreso il proprio ruolo
all’interno della famiglia, il bambino confronta le proprie sembianze con la morfologia
somatica dei genitori. Nell’adolescenza questo paragone viene eseguito con i pari e con i
modelli socialmente imposti e accettati. Più tardi, quando la persona ridefinisce i propri ruoli
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e i propri bisogni e diventa pronta ad investire nel mondo sociale, anche l’immagine di se
stessi si modella, attraverso l’integrazione delle nuove esperienze con quelle passate (Adami
et al., 1998).
Un fattore estremamente rilevante è l’influenza delle variabili culturali sulla rappresentazione
di sé: a seconda delle popolazioni considerate, dei loro stili di vita, dei modelli proposti e
socialmente condivisi, cambia la valutazione di se stessi e della propria immagine, reale e
ideale.
Come nei pazienti con alimentazione disordinata, anche i soggetti obesi sono profondamente
insoddisfatti della loro immagine corporea, ma a differenza di quelli, il loro aspetto causa
delle vere limitazioni fisiche, peggiorando notevolmente la qualità della loro vita.
Spesso accade che la riduzione e la normalizzazione del peso corporeo si accompagni anche
ad una visione più positiva del proprio aspetto. Tuttavia, quando l’obesità insorge molto
precocemente, tale miglioramento può non osservarsi. I bambini obesi sono spesso oggetto di
intensi pregiudizi e di discriminazioni, essendo considerati pigri, sporchi, e stupidi ed è
possibile che interiorizzino questi elementi in modo così profondo da diventare parte
integrante della personalità e da non essere eliminati neppure con la stabilizzazione del peso
(Adami, Bauer, Gandolfo, Scopinaro, 1997).
Per verificare questa ipotesi, Adami, Bauer, Gandolfo e Scopinaro (1997) eseguirono uno
studio longitudinale su 20 pazienti gravemente obesi (età media = 38.4 anni; valore medio del
BMI = 50.0) in attesa di chirurgia bariatrica. Rispetto ai controlli normali (appaiati per età,
genere e livello d’istruzione), il campione di studio presentava un desiderio maggiore di
essere magri, livelli molto più elevati di insoddisfazione corporea, consapevolezza
enterocettiva, disinibizione comportamentale sul cibo e fame. In aggiunta, si sentivano meno
piacevoli, avvertivano una maggiore sensazione di grassezza, inefficacia e paura di diventare
grandi.
Dopo il secondo anno dall’intervento, i livelli di fame e disinibizione e gli atteggiamenti legati
al cibo, mostrarono un considerevole miglioramento, con una riduzione anche della tendenza
a perdere il controllo sulla quantità di cibo assunta. La leggera ma significativa diminuzione
dei livelli di sfiducia negli altri, rivelava una miglioria delle condizioni psicologiche e della
reattività
emozionale.
Tuttavia
l’immagine
109
corporea
non
aveva
subito
alcuna
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normalizzazione: fu ancora osservato un cospicuo grado di disagio, insoddisfazione e
preoccupazione per il proprio corpo, simile a quello trovato prima dell’intervento.
I risultati vengono interpretati alla luce dell’evidenza che i soggetti obesi di questo studio
erano stati in sovrappeso sin dall’infanzia, per cui avrebbero formato una rappresentazione
mentale di sé di quando si vergognavano per il loro aspetto, quando venivano derisi dai loro
coetanei e persuasi dai genitori a mangiare meno. Di conseguenza, nonostante la reale perdita
di peso, essi continuavano a percepirsi come fossero ancora obesi, ridicoli e socialmente
inaccettabili, avendo introiettato un’immagine fortemente negativa di se stessi.
Soggetti che sono diventati obesi durante l’età adulta, possono essere profondamente
insoddisfatti della loro forma attuale, ma recuperando un peso normale, recuperano allo stesso
tempo, l’idea mentale di sé come persone magre, costituitasi prima di essere in sovrappeso.
In un’indagine successiva Adami e colleghi (1998) valutarono l’influenza del peso
sull’immagine corporea in 110 soggetti gravemente obesi e 131 soggetti che erano stati obesi
prima di un intervento chirurgico. Entrambi i gruppi furono suddivisi sulla base dell’età
d’esordio dell’obesità e furono confrontati con 47 persone mai state in sovrappeso.
I risultati confermarono che la stabilizzazione del peso a livelli normali migliora l’immagine
corporea dei pazienti, tuttavia, l’effetto della perdita di peso sembra essere diverso a seconda
del periodo in cui l’obesità compare, se nell’infanzia e adolescenza o nell’età adulta. Nei
soggetti sottoposti all’intervento chirurgico e con esordio tardivo dell’obesità, il livello
d’insoddisfazione corporea era simile a quello osservato nei controlli normopeso, mentre
quelli operati che mostravano un esordio precoce dell’obesità rivelavano un’insoddisfazione
per il proprio aspetto e una sensazione di grassezza maggiore rispetto ai controlli, nonostante
il peso corporeo simile, e inferiore rispetto alla loro controparte nel gruppo di soggetti ancora
obesi.
Quando l’obesità si presenta in età adulta, l’insoddisfazione per la propria immagine potrebbe
essere imputabile principalmente allo stigma sociale e alla vergogna per la propria condizione,
evidenza questa, che non risulta applicabile ai soggetti in cui l’obesità si sviluppa nell’età
infantile o adolescenziale i quali dimostrano scarsa fiducia nella stabilità del loro peso dovuta
all’interiorizzazione del criticismo esterno.
Tutti i soggetti operati dello studio, indipendentemente dall’età di comparsa del sovrappeso, si
percepivano molto più piacevoli dell’altro gruppo di obesi e forti e fisicamente efficienti tanto
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quanto le persone magre. La piacevolezza riguarda gli atteggiamenti delle altre persone verso
l’aspetto del soggetto e potrebbe essere indipendente dall’intima opinione di sé, così come il
giudizio di sé potrebbe esserlo dalla sensazione di efficacia fisica.
Cena, Toselli e Tedeschi (2003) hanno recentemente sostenuto la considerazione di una stretta
relazione tra alimentazione disturbata e disagio per la propria condizione fisica; questa,
inoltre, sembra mediare il rapporto tra obesità e distress psicologico. Il campione selezionato
era costituito da 99 donne obese o in sovrappeso (età media = 34.3; valore medio del BMI =
31.3) afferenti ad un programma per la riduzione del peso. Fu osservato che se l’ansia e il
disagio per la propria immagine corporea risultavano sconnessi dall’età, dal grado di obesità e
dalla distribuzione e percentuale di massa grassa, il grado di tale disagio si associava
marcatamente a comportamenti alimentari disturbati, in particolare il binge eating disorder.
Gli obesi binge eater sembrano rivelare una più grande diversità e insoddisfazione rispetto ai
non binge eater, scontentezza che potrebbe parzialmente essere mediata dal distress
psicologico.
A sostenere l’idea dell’immagine corporea come potenziale mediatore del distress psicologico
è l’indagine di K. E. Friedman e colleghi (2002) su un campione di 80 donne (età media =
47.8 anni; valore medio del BMI = 38.4) e 30 uomini (età media = 49.0; valore medio del
BMI = 44.8 anni), per la maggior parte bianchi e richiedenti un trattamento per la perdita di
peso. Moderata ma significativa si rivelò la relazione dell’immagine corporea sia con la
depressione sia con l’autostima, sia ancora con il grado di obesità: coloro che giudicavano
negativamente il loro aspetto, non solo erano più in sovrappeso, ma mostravano anche livelli
superiori di depressione e inferiori di autostima. A sua volta il grado di obesità era correlato al
grado di angoscia, il che accredita anche la posizione secondo cui nelle popolazioni in cerca
di trattamento il distress è maggiore rispetto alla popolazione generale.
Infine, ma non meno importante, l’evidenza che l’insoddisfazione per la propria immagine
corporea, non solo era direttamente legata a stati d’animo negativi ma mediava parzialmente
anche la relazione tra grado di obesità e distress psicologico, spiegando una parte della
correlazione tra BMI e depressione e autostima.
L’osservazione, dunque, di un nesso tra immagine corporea e funzionamento psicologico,
porta gli autori a sostenere che, laddove venga scrutata una distorsione nella rappresentazione
di sé, questa dovrebbe divenire uno degli obiettivi dell’intervento. In questo modo, nel
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momento in cui si verificano degli incrementi ponderali, i soggetti sono meglio equipaggiati
ad affrontare le frustrazioni e le angosce legate al proprio aspetto.
Sorbara e Geliebter (2002) hanno proposto una definizione di immagine corporea come
costituita da tre aspetti: distorsione, discrepanza e insoddisfazione. La distorsione rappresenta
la differenza tra la valutazione del counselor e quella del soggetto relativa alla dimensione
corporea del soggetto stesso; la discrepanza riguarda il gap esistente, nella valutazione del
soggetto, tra la sua dimensione corporea reale e quella ideale; infine, l’insoddisfazione viene
considerata come l’amarezza e lo scontento per il proprio aspetto corporeo ed è stimata su una
scala da 0 (estremamente insoddisfatto) a 9 (estremamente soddisfatto).
Per cercare di comprendere il rapporto di questi tre aspetti in relazione alla razza, al genere, al
binge eating e all’età d’insorgenza dell’obesità, gli autori eseguirono un’indagine su 93
soggetti obesi maschi e femmine (età media = 42 anni; valore medio del BMI = 36.8),
partecipanti ad un programma di riduzione del peso corporeo.
Le valutazioni del counselor correlavano più con i valori del BMI che con le valutazioni del
soggetto per il proprio aspetto, sfociando così in una maggiore accuratezza.
Per quanto riguardo la razza, i Caucasici sovrastimavano la dimensione del loro corpo in
misura superiore rispetto agli Afro-Americani (p = 0.03) ed erano più frustrati per la loro
condizione fisica (p = 0.001); questo dato potrebbe essere imputabile alla più grande
pressione sociale subita da questi soggetti e si rifletterebbe, dunque, nei livelli maggiori di
distorsione e insoddisfazione. Dopo la perdita di peso queste differenze venivano meno.
Gli uomini si mostravano meno accurati nella valutazione del loro corpo sovrastimandone le
dimensioni rispetto alle donne (p = 0.02) e sottostimandole rispetto al counselor (p = 0.005).
Uomini e donne non si distinguevano per il grado di insoddisfazione e dopo la perdita di peso
anche la disparità nella distorsione scompariva.
Sebbene i binge eater non divergessero nel livello totale di disturbo dai non binger, esibivano,
tuttavia, un grado maggiore di discrepanza (p = 0.003) e insoddisfazione (p = 0.003). Tale
discordanza veniva in parte spiegata dai valori del BMI più elevati nei soggetti con BED.
Dopo la perdita di peso neanche queste differenze furono più trovate, forse a causa della
riduzione della frequenza delle abbuffate.
Infine, relativamente all’età d’insorgenza dell’obesità, fu riscontrato che per le persone che
avevano sviluppato l’obesità precocemente, nell’infanzia o nell’adolescenza, i valori inerenti
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la discrepanza erano significativamente più elevati sia prima (p = 0.02) che dopo (p = 0.002)
la perdita di peso, se comparati con quelli delle persone con esordio di obesità nell’età adulta.
Era anche più probabile che essi intraprendessero comportamenti di binge eating (p = 0.03).
Dopo la perdita di peso, anche l’insoddisfazione risultava maggiore (p = 0.005).
Uno degli scopi dello studio era di esaminare l’interrelazione tra le tre componenti del
disturbo: questo era correlato in misura maggiore alla distorsione, poi alla discrepanza e in
ultimo all’insoddisfazione. La bassa correlazione con l’insoddisfazione evidenzia che essa
non è sinonimo di disturbo. Distorsione e insoddisfazione si associavano entrambe alla
discrepanza ma non erano invece associate l’una all’altra. La delusione e il malcontento per il
proprio aspetto potrebbero così scaturire più dalla discrepanza tra immagine ideale e reale di
sé piuttosto che dalla distorsione dell’immagine corporea.
Allo scopo di testare l’influenza della forma e del peso corporeo sull’immagine di sé e la
relazione di questa con l’autostima e la sintomatologia depressiva in soggetti con BED,
Masheb e Grilo (2003) reclutarono un campione clinico di 97 pazienti con binge eating
disorder (età media = 44.2; valore medio del BMI = 36.2) che fu esaminato all’inizio della
loro partecipazione allo studio e dopo 4 settimane. Durante questo intervallo temporale, fu
osservata una riduzione della sintomatologia depressiva, dell’insoddisfazione corporea e delle
preoccupazioni per il peso e l’aspetto, come pure un incremento dell’autostima e della fiducia
in se stessi. I cambiamenti nel grado di insoddisfazione corporea e di interesse per il peso
correlavano significativamente con il cambiamento sia nella sintomatologia depressiva sia
nell’autostima. Il mutamento dell’opinione di sé era associato invece solo al mutamento
dell’autostima. Lo stesso poteva dirsi per le variazioni nel livello di preoccupazione per il
proprio aspetto.
In generale, queste conclusioni suggeriscono che l’opinione di se stessi eccessivamente
influenzata dalla forma corporea tende ad essere legata alle fluttuazioni dell’autostima
piuttosto che a quelle della sintomatologia depressiva e che essa rappresenta un indicatore più
utile per il BED che non l’insoddisfazione. Di contro, è più probabile che l’insoddisfazione e
l’opinione di sé basata sul peso corporeo oscillino con la sintomatologia depressiva.
Schwartz e collaboratori (1999) sostennero che l’idea che una persona sviluppa su se stessa,
sul proprio corpo e sul proprio aspetto, risente particolarmente dei feedback provenienti
dall’ambiente familiare. In modo più specifico, i commenti negativi da parte dei genitori
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inerenti la dimensione e la condizione corporea dei figli, possono contribuire ad originare
un’immagine di sé deteriorata e, dunque, all’insoddisfazione per essa. Questo risultava
rilevante più per le donne che per gli uomini (Schwartz, Phares, Tantleff-Dunn, Thompson,
1999).
Anche J. Ogden e Elder (1998) trovarono un effetto principale significativo della condizione
familiare sulla valutazione dei soggetti riguardo il loro aspetto reale e ideale. Reclutando un
campione di 50 donne asiatiche e 50 donne bianche, osservarono che le madri in entrambi i
gruppi percepivano le loro forme corporee come più abbondanti. Le figlie bianche risultarono
le più insoddisfatte per il loro corpo e le più attente alle calorie contenute nei cibi, seguite,
poi, dalle madri asiatiche.
Questi risultati vengono interpretati alla luce della natura mutevole delle immagini proposte
dalla cultura d’appartenenza: l’insoddisfazione delle figlie bianche viene spiegata in termini di
maggiore esposizione ai modelli mediatici magri e di scarsa identificazione delle madri
bianche con questi modelli.
Per identificare i fattori psicologici e comportamentali associati al binge eating, Womble e
colleghi (2001) notarono, che nei partecipanti reclutati (N = 808), la presenza di stati d’animo
negativi correlava con la restrizione del regime alimentare e con il binge eating nelle donne, e
solo con il binge eating negli uomini. Inoltre, nelle donne, era presente un legame sia tra
l’insoddisfazione per il proprio corpo e restrizione alimentare sia tra insoddisfazione e stati
d’animo negativi, suggerendo che la relazione tra insoddisfazione corporea e binge eating
sembra essere molto più diretta nei maschi piuttosto che nelle femmine (Womble,
Williamson, Martin, Zucker, Thaw, Netemeyer, Lovejoy, Greenway, 2001).
Infine nello studio di R. A. Sansone, Wiederman e Monteith (2001), ci si avvide di una
correlazione modesta ma significativa tra disturbi di personalità, BMI e immagine corporea:
più alti erano i livelli di patologia della personalità maggiore la probabilità che i soggetti
fossero più pesanti e insoddisfatti del loro aspetto, più frequente ancora la possibilità che si
giudicassero poco attraenti ed evitassero i luoghi di socializzazione a causa del loro aspetto.
Tuttavia, l’associazione tra immagine corporea e disturbi di personalità rimaneva significativa
indipendentemente dal BMI, denotando così, che nei soggetti con problemi legati alla
personalità, l’immagine corporea può essere deteriorata a prescindere dalla loro condizione
ponderale.
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Fitzgibbon e colleghi (2003), confrontando 5 gruppi di soggetti con diversi disturbi alimentari
(obesi senza BED, con BED, con BED sottosoglia, bulimici e bulimici sottosoglia),
puntualizzarono che essi divergevano in relazione ai sintomi psichiatrici confermando la
prospettiva della continuità della patologia alimentare. Fu osservato, infatti, che il desiderio di
magrezza, l’insoddisfazione per la propria immagine reale, le preoccupazioni per il peso e la
forma come pure l’abuso di alcol, aumentavano linearmente da obesi non binger, a soggetti
con sindrome parziale di BED, a quelli con sindrome completa di BED fino a peggiorare
ulteriormente negli individui con bulimia parziale e in quelli che soddisfacevano pienamente i
criteri per la bulimia. I gruppi si distinguevano, dunque, quantitativamente piuttosto che
qualitativamente.
Nel management dei disturbi alimentari diventa importante, allora, non trascurare la presenza
di giudizi troppo severi che il soggetto istituisce sull’apparenza, la forma e il proprio peso e
neppure la qualità delle aspettative legate alla perdita di peso, al fine di integrare interventi
che permettano di accrescere l’accettazione di sé e ridurre il disagio per il proprio aspetto in
un piano multidisciplinare più ampio per l’incentivazione del benessere fisico e psicologico.
3.8 Caratteristiche del funzionamento familiare nell’obesità
L’ambiente familiare rappresenta un “soggetto sociale” (Malagoli Togliatti, Lubrano
Lavadera, 2002, pp. 7) che veicola e media la miriade di stimoli provenienti dal macro
contesto e allo stesso tempo negozia con le peculiarità di ciascun individuo.
“La famiglia connette le due radici della nostra identità: l’appartenenza al mito familiare, ai
valori dei rapporti intimi e specifici dei legami intergenerazionali e intragenerazionali e
l’appartenenza alla cultura e ai valori del mondo sociale” (Malagoli Togliatti, Cotugno, 1996,
pp. 19).
Inoltre, “… da un lato riflette l’impatto di movimenti della complessa realtà sociale,
economica, culturale, giuridica, politica in cui è immersa, dall’altro è essa stessa una
istituzione con una storia antica e un sottosistema dotato di capacità di adattamento,
resistenza, plasticità, riorganizzazione e ristrutturazione appunto sulla base della propria
tradizione di bisogni e risorse, ma anche sulla base delle risorse e delle esigenze dei singoli
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individui che la compongono, a loro volta storicamente e culturalmente determinati”
(Malagoli Togliatti, Rocchietta Tofani, 2002, pp. 11).
La descrizione più elegante delle caratteristiche cliniche delle famiglie con disturbi alimentari
è stata fornita da Minuchin e colleghi, secondo i quali certi tipi di organizzazione familiare si
associano allo sviluppo e al mantenimento dei sintomi psicosomatici che, a loro volta,
fungono da promotori dell’omeostasi familiare (Minuchin, Baker, Brosman, Liebman,
Milman, Todd, 1975).
Le famiglie con un membro che soffre di anoressia nervosa sarebbero connotate da
invischiamento, conflitti, evitamento, rigidità ed iperprotettività mentre quelle che al loro
interno contengono un membro con bulimia nervosa sono viste come invischiate e allo stesso
tempo disimpegnate, con alti livelli di conflittualità e scarsa enfasi sul modo di esprimere
pensieri ed emozioni.
Strober (1981), adoperando la FES (Family Environmental Scale), notò che i livelli di
interazione conflittuale e di espressione della negatività erano significativamente più elevati
nelle famiglie con membri anoressici bulimici che non in quelle con membri con anoressia
restrittiva.
C. Johnson e Flach (1985), con lo stesso strumento, trovarono che, rispetto ai soggetti
normali, le pazienti con bulimia nervosa ottenevano punteggi più bassi nelle sottoscale della
coesione, dell’espressività e dell’indipendenza e più alti nella sottoscala della conflittualità. In
aggiunta, risultarono inferiori anche i punteggi riportati nelle sottoscale delle attività ricreative
e culturali.
Più recentemente, Wade, Bulik e Kendler (2001) hanno riferito che uno scarso rapporto tra i
genitori, permeato dall’elevata frequenza di conflitti, prediceva la presenza di forme
subcliniche della BN in un ampio campione di donne. Circa due terzi di questa popolazione
riferiva l’insorgenza del binge eating dopo la comparsa di conflitti coniugali, il che sembra
suggerire che siano proprio queste discordie ad influire sullo sviluppo della BN e non
viceversa, anche se non bisognerebbe escludere la possibilità che altri fattori esistenti prima di
questo disordine possano aver agito sul legame coniugale. Il grado di conflittualità, inoltre,
sembrava rappresentare un fattore di rischio anche per il manifestarsi del disturbo d’ansia
generalizzato e la dipendenza dall’alcol. Inoltre continuava ad agire come tale anche quando
veniva presa in considerazione l’associazione tra unione coniugale e psicopatologia dei
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genitori. I meccanismi alla base della relazione tra legame genitoriale e BN, comunque,
restano non chiari.
Murray, Waller e Legg (2000), reclutando un campione non clinico di 139 donne, osservarono
che la percezione di un eccessivo controllo paterno era la sola caratteristica familiare associata
ai comportamenti bulimici, tuttavia il suo effetto risultava mediato dai livelli individuali di
suscettibilità alla vergogna. L’esperienza della vergogna e la sua interiorizzazione,
sembrerebbe essere, pertanto, un elemento critico per comprendere la relazione tra la
disfunzione familiare e la psicopatologia bulimica.
I disturbi del comportamento alimentare possono essere considerati come “malattie culturali”
la cui funzione è lanciare un “… messaggio ambiguo o doppio messaggio al mito
dell’apparenza e della salute corporea in quanto valori dominanti nella società attuale” (Caillè,
1988, pp. 102).
Nell’ambito della teoria sistemica, l’obesità, come le altre patologie dell’alimentazione, viene
considerata in quanto sintomo psicosomatico e dunque, in quanto messaggero del malessere
personale, familiare e sociale.
Doherty e Harkaway (1990) affermarono che la carenza di attenzione verso la famiglia nel
trattamento dell’obesità è imputabile ad alcune ragioni: 1) alla confusione relativa alla
possibilità di considerarla un problema medico o comportamentale; 2) all’incertezza
dell’eziologia, genetica o ambientale; 3) alla natura, cronica e apparentemente inguaribile di
questa problematica; 3) alla stigmatizzazione sociale verso i soggetti obesi; 4) alle alte
percentuali di recidive alla fine del trattamento, e 5) infine, ma soprattutto, alla complessità
del problema stesso.
Di contro numerosi teorie nell’ambito sistemico hanno tentato di contestualizzare e dare
significato al sintomo in un’ottica che comprendesse anche il sistema in cui si andava
sviluppando. In particolare Minuchin (1975) ha delineato le interazioni e il tipo di
organizzazione delle famiglie dei pazienti con un disturbo alimentare. I tre fattori principali
erano:
1. Vulnerabilità fisiologica;
2. Specifiche caratteristiche transazionali;
3. Ruolo della malattia nell’evitamento dei conflitti e nel mantenimento dei sintomi.
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Secondo l’autore, è la ripetizione e la combinazione di queste transizioni che promuove la
trasformazione dei conflitti emotivi in sintomi somatici i quali, a loro volta, garantiscono
l’equilibrio familiare.
Mara Selvini Palazzoli (1963, 1997) focalizzò l’attenzione sulle alleanze segrete e la
leadership in famiglie con un membro con disturbi alimentari.
Una conclusione evidenziata in questa tipologia di famiglie era che la gerarchia non era ben
stabilita e che la carenza di leadership delineava una modalità interattiva in cui i membri
qualificavano le proprie comunicazioni, sia verbali che non verbali, ma disconoscevano i
messaggi degli altri.
In particolare l’autrice evidenziò alcune regole fondamentali presenti in una famiglia con un
membro con un disturbo alimentare:
- disponibilità a comunicare;
- definizione coerente di se stessi nella relazione;
- frequenza elevata di rifiuti dei messaggi degli altri, sia a livello di contenuto sia a livello di
relazione;
- difficoltà a ricoprire il ruolo di leader;
- proibizione di qualsiasi alleanza di due contro un terzo;
- assenza di una disponibilità ad assumersi colpe o responsabilità.
Così facendo, i feedback reciproci non vengono integrati, il che da luogo ad una
complementarietà interattiva negativa. Se questi disaccordi permanessero si stabilirebbero
livelli cronici di stress e tensione che, rinforzandosi reciprocamente, genererebbero
un’organizzazione familiare alquanto fragile, dove i membri sono incapaci di affrontare
efficacemente i sintomi di un’alimentazione disordinata.
Minuchin et al. (1975) definivano questo pattern interattivo come rigidità. Le transizioni,
infatti, da lui tracciate in queste famiglie sono quattro: invischiamento, iperprotettività,
rigidità e mancanza di risoluzione dei conflitti.
a. Invischiamento: è una forma estrema ed eccessiva di coinvolgimento o “… di prossimità e
intensità nelle interazioni familiari” (Minuchin et al., 1975, pp. 46) che si riflette nei bassi
livelli di differenziazione individuale ed interpersonale, nelle continue intrusioni nello spazio
vitale degli altri e nei labili confini tra sottosistemi. Un particolare aspetto di una famiglia
invischiata è il “parlare per qualcuno” dove tutti conoscono tutto di tutti: ciascuno crede di
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individuare i pensieri e le emozioni degli altri, anche senza che siano direttamente espressi.
Esiste poi, il fenomeno della “mancanza di confini intergenerazionali” che si manifesta
attraverso l’intima chiusura di due membri dal resto della famiglia: i figli possono coalizzarsi
con un genitore nel criticare l’altro o comportarsi come genitori nei confronti dei fratelli.
b. Iperprotettività: Si esemplifica nell’ “… alto grado di preoccupazione per il benessere
reciproco” (Minuchin et al., 1975, pp. 46-47). I membri sono ipersensibili ai segnali di
distress e alla presenza di tensioni o disagio negli altri componenti. Questa caratteristica
riduce l’autonomia e la differenziazione di ciascun membro. Inoltre “… considerazioni o
rilievi critici sono spesso accompagnati da comportamenti pacificatori” (ibidem).
Laddove sia presente un figlio psicosomatico, i sintomi diventano uno strumento per
proteggere la famiglia e un fattore di rinforzo della malattia stessa.
c. Rigidità: viene definita dagli autori come la “… tendenza a mantenere lo status quo” (pp.
47). Questo rende difficile l’adattamento psicologico in risposta alle esigenze di crescita fisica
e di maturazione. Quando una famiglia funziona efficacemente sarà in grado di adeguare le
proprie regole e i propri schemi transazionali alle diverse fasi di sviluppo dei suoi membri. In
una famiglia psicosomatica, l’incapacità di accordasi agli eventi che richiedono un
cambiamento limita anche la possibilità che essi vengano esplorati e l’abilità a realizzare
eventuali aggiustamenti e adattamenti alle nuove situazioni. Questo processo omeostatico e
conservativo risulta idoneo per la salvaguardia di un’organizzazione stabile della famiglia con
figli preadolescenti ma si rivela inappropriata durante le trasformazioni puberali causando uno
stato cronico di stress latente. Si riscontra la tendenza a negare qualsiasi necessità di
cambiamento.
d. Mancanza di risoluzione del conflitto: Scaturisce dalla convergenza delle tre caratteristiche
precedenti, rigidità, iperprotettività e invischiamento. Le difficoltà nella risoluzione dei
conflitti possono esistere in due forme. Nel prima forma, le famiglie eludono il conflitto
aggirando i problemi che comporta la sua risoluzione. Nella seconda forma, le famiglie si
trovano in uno stato di conflitto cronico, tuttavia, le continue interruzioni e i cambi di
argomento non permettono l’affiorare del nodo conflittuale. Ci sono, poi, famiglie che negano
completamente l’esistenza di qualsiasi discordia tra i suoi componenti.
Altri autori, come ad esempio il gruppo di Olson, sostennero l’idea che il comportamento
familiare si muovesse lungo tre principali dimensioni: adattabilità, coesione e comunicazione.
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L’adattabilità viene definita come la capacità di un sistema di cambiare la propria struttura di
potere, le relazioni di ruolo e le regole relazionali in risposta a cambiamenti situazionali e di
sviluppo (Olson, Russell, Sprenkle, 1983). Lungo questa dimensione si possono estrinsecare
quattro livelli che vanno da rigido a strutturato a flessibile a caotico.
La coesione è l’insieme dei legami emotivi che i membri della famiglia hanno l’uno verso
l’altro (ibidem), ed indica, quindi, “… la lontananza o la vicinanza dal punto di vista
psicologico, ovvero cognitivo ed affettivo … tra i singoli membri” (Malagoli Togliatti,
Lubrano Lavadera, 2002, pp. 44).
Anche per questo aspetto si possono evidenziare quattro livelli: disunito, separato, connesso,
unito.
Coesione ed adattabilità sembrano teoricamente legate a due delle qualità che Minuchin
(1975) aveva descritto come caratteristiche di una famiglia psicosomatica: invischiamento e
rigidità (Dare, Le Grange, Eisler, Rutherford, 1994).
La comunicazione è la dimensione che favorisce tutte le precedenti. Diventa lo strumento
principale che permette di condividere sentimenti e bisogni, anche di cambiamento,
agevolando allo stesso tempo i movimenti dinamici della famiglia. Dalla combinazione delle
dimensioni di coesione e adattabilità si ottengono 16 tipologie di sistemi familiari: quattro tipi
“bilanciati”, quattro “estremi” e otto “medi”.
Olson e colleghi (1983) ipotizzano che i livelli centrali si adattino ad un funzionamento
familiare ottimale, mentre quelli periferici conducano verso comportamenti problematici
originando sovraidentificazioni o limitando la spinta all’autonomia.
Questo modello implica la dinamicità dei sistemi familiari in quanto si presume che essi siano
in grado di spostarsi continuamente verso quelle direzioni che la situazione, la fase del ciclo
di vita e lo stile delle relazioni familiari richiedono (Comunian, Ieri, 1996).
Dare e colleghi (1994), in 26 famiglie con membri che soffrivano di disturbi alimentari (18
con AN e 8 con BN), riscontrarono bassi livelli di criticismo e ostilità, che riflettono il basso
grado di conflittualità, e uno scarso coinvolgimento emozionale, risultato, questo, che
contraddice l’assunzione clinica di Minuchin della smodata presenza in tali famiglie di
protezione. Ciascuno dei componenti della famiglia si sentiva isolato e la struttura familiare
veniva esperita come eccessivamente organizzata.
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Diversamente dalle teorizzazioni di Minuchin, in questo studio le famiglie non si
presentavano troppo invischiate, anzi, la loro prospettiva interna era che non erano in grado di
raggiungere il livello desiderato di vicinanza e compattezza. Tuttavia, nella misura in cui
esprimevano il desiderio di essere più coese e di avere un’organizzazione dominata da meno
ruoli, apparivano irretite nel senso di Minuchin.
Herzog e colleghi (2000) valutarono gli schemi della percezione familiare del comportamento
interpersonale in famiglie con una figlia diagnosticata con un disturbo alimentare (BN, AN)
dopo sei anni dal trattamento. I risultati mostrarono che, nel gruppo che aveva avuto esiti
sfavorevoli, i genitori giudicavano se stessi e il figlio designato come meno disponibili ed
amichevoli; questa polarizzazione non è avvertita dai pazienti che, al contrario, si percepivano
molto aperti e cordiali nelle relazioni interpersonali. La discrepanza tra la percezione positiva
si sé e quella meno positiva della famiglia viene interpretata dagli autori come segno di
“diniego” e come fenomeno di “esilio”, così come l’opinione più negativa dei genitori su se
stessi è vista come espressione della mancanza di autostima e di fiducia in sé. Sarebbero
questi gap negli schemi di percezione del comportamento interpersonale ad essere indicatori
di una prognosi negativa (Herzog, Kronmüller, Hartman, Bergmann, Kröger, 2000).
3.8.1. La famiglia d’origine dei soggetti obesi
Già nei primi studi sulle famiglie di soggetti obesi, Bruch e Touraine (1940) avevano
evidenziato le caratteristiche che accomunavano questi sistemi ossia il grave disaccordo tra i
genitori, il disprezzo reciproco e le differenze caratteriali.
Successivamente Bruch (1973) sottolineò l’importanza di considerare non la funzione di un
singolo o particolare aspetto del sistema nello sviluppo sano o abnorme dei suoi componenti,
bensì l’interazione dinamica e il ruolo che ciascuno riveste nei confronti degli altri.
Il bambino obeso viene eletto a completare la vita dei genitori, mantenere salda la loro unione
e a riscattare le loro delusioni e frustrazioni falsando la sua percezione della realtà. Il livello di
ansia e di discordia, come pure l’attaccamento possessivo al bambino, limitano il processo di
auto-differenziazione e dunque, la sua autonomia.
“Le difficoltà sembrano in gran parte correlate all’incapacità dei genitori di stabilire dei
confini tra se stessi e il bambino e forse ne sono il portato.
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… una madre può turbare lo sviluppo dell’iniziativa e dell’autonomia nel suo bambino
attraverso una protezione eccessivamente sollecita, che non permette lo stabilirsi di confini
dell’io fra sé e il figlio. Se invece è il padre a essere relativamente turbato, il bambino sarà
vittima della pretesa di completare la vita del genitore opposto e di far da ponte fra i genitori,
anziché investire le sue energie e impegnarsi nel proprio sviluppo. Le comunicazioni
all’interno di simili famiglie sono grossolanamente distorte nel contenuto, con messaggi
emotivi contraddittori, e nell’assegnazione delle parti (Bruch, 1973, pp. 102-103).
D’altra parte il bambino mostra di partecipare attivamente a queste dinamiche, influendo a sua
volta sull’intero sistema; mediante il suo essere immaturo, dipendente e sottomesso regna sul
suo ambiente dettando i suoi bisogni.
Doherty e Harkaway (1990) considerarono tre aspetti rilevanti per denotare le famiglie di
persone obese: l’inclusione, il controllo e l’intimità.
L’inclusione si riferisce all’organizzazione e ai legami nella famiglia che permettono di
mantenerla unita; il controllo riguarda il potere e la capacità di dominare gli altri membri, di
reagire alle loro influenze e di collaborare con essi; infine l’intimità è relativa all’apertura
emotiva della famiglia e all’abilità di ciascun componente di rivelarsi in maniera del tutto
personale.
Nelle famiglie degli obesi si riscontrano difficoltà in tutti questi livelli. Per quanto riguarda
l’inclusione, l’obesità diventa una condizione per dimostrare lealtà al nucleo familiare, il
simbolo di una comune identità e quindi, perdere peso diviene un segno di tradimento. Essa
inoltre, può essere espressione dell’alleanza che due membri obesi stabiliscono per
distinguersi dai membri magri. La lealtà e l’alleanza vengono mantenute tramite i tentativi
falliti di dimagrire. Ancora, l’obesità può proteggere i confini della famiglia ostacolando o
ritardando l’autonomia e l’indipendenza dei membri: i bambini hanno poche possibilità di
socializzare, e da grandi si sottraggono al “mercato del matrimonio”.
Nelle famiglie dove le dinamiche del controllo sono problematiche, il controllo del peso
diviene metafora del controllo sulle relazioni. Paradossalmente, l’unico modo per riuscire a
detenere una certa quota di dominio è rifiutare la richiesta degli altri di perdere peso. Infine,
nell’area dell’intimità, il peso può essere usato per creare o mantenere le distanze del soggetto
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obeso dagli altri componenti, evidenziando così le notevoli difficoltà con la vicinanza
emozionale.
Prendendo come punto di riferimento la concettualizzazione di Minuchin delle famiglie
psicosomatiche, Ganley (1986) segnalava un’alta incidenza in queste persone di immaturità,
passività, indecisione e cautela nelle relazioni interpersonali imputabili all’inibizione
dell’autonomia e agli alti livelli di invischiamento e rigidità.
La disfunzionalità dei confini si rende evidente non soltanto nei rapporti tra i membri del
nucleo familiare, ma anche in quelli tra i genitori e le loro famiglie di origine:
“Le famiglie degli obesi possono avere delle difficoltà nello stabilire una autonomia reale,
cioè nel mantenere una adeguata distanza dalle famiglie di origine. Ciò si può manifestare sia
come un’eccessiva vicinanza (confini diffusi e fluidi) che impedisce al nucleo familiare di
stabilire la propria identità e un sistema di regole, sia come eccessiva distanza (confini rigidi)
che priva il nucleo familiare del sostegno e della guida del sistema familiare allargato”
(Ganley, 1986, pp. 154).
Un’altra caratteristica sottolineata è l’incapacità di affermare se stessi e di esprimere e gestire
le emozioni negative, in particolare la rabbia, che impediscono di vivere l’intimità in maniera
soddisfacente e trascinano al ripiegamento su di sé e alla mancanza di empatia.
Revisionando gli studi sull’obesità, Ganley giunge a sostenere che certi modelli alimentari e
l’obesità stessa divengono modalità per eludere i conflitti, assicurando l’omeostasi familiare.
Le difficoltà di comunicazione nonché l’inadeguatezza nel rispondere ai bisogni propri e degli
altri susciterebbero quelle emozioni negative che poi, a loro volta, originerebbero il fenomeno
del mangiare su spinte emozionali che serve come fattore di coesione nella famiglia. “Il
mangiare diventa allora un modo cronico di cercare conforto e di controllare le emozioni,
mentre, nello stesso tempo, aiuta a mantenere l’unità” (Ganley, 1986, pp. 157). Il sistema
tende a rinforzare e mantenere questo pattern in quanto produce una temporanea riduzione
dell’intensità emotiva. Questo insieme di processi, insieme alla comparsa di sensi di colpa
dopo aver mangiato permette di mantenere lo status quo. Il sentimento di autocolpevolizzazione che è imputabile all’auto-percezione di perdita di controllo fa si che i
soggetti obesi si sentano “… responsabili per altre emozioni negative provenienti dalle
interazioni familiari, comprese quelle che non hanno niente a che vedere con il mangiare”
(ibidem).
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
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Con un’indagine successiva (1992) su circa 120 madri, Ganley conferma gli elementi tipici
che connotano le famiglie degli obesi: la spiccata rigidità che penalizza l’autonomia, la
carenza della comunicazione all’interno della coppia coniugale, marcate difficoltà nella
gestione dei sentimenti negativi come la rabbia e, infine, reazioni negative quando le
emozioni vengono espresse.
Beck e Terry (1985) confrontando 8 famiglie con un figlio obeso e 8 con un figlio con peso
normale, notarono nelle prime minore coesione e organizzazione, mancanza di interesse per le
attività sociali e culturali e maggiore presenza di disaccordi e conflittualità.
In alcune famiglie oltre alla mancanza di coesione e alla presenza di un eccessivo grado di
controllo, è frequente anche il riscontro di aspettative di successo molto elevate e di
esaltazione dell’autonomia, senza tuttavia alcun sostegno emotivo e intellettuale tra i membri.
“In questo tipo di famiglie i figli tendono a conformare il loro comportamento alle aspettative
dei genitori piuttosto che ai propri desideri: … viene penalizzato il comportamento affettivo, a
favore dello sviluppo dell’acquiescenza, del conformismo, della passività. La passività è
legata alla sensazione di non essere protagonista attivo della propria vita e impedisce la
creazione di un locus of control interno” (Liberti, Caputo, Cuzzolaro, 1998, pp. 235-236).
Kinston, Miller, Loader e Wolff (1990), invece, esplorarono la condizione emozionale, i
comportamenti caratteristici verso l’obesità e i modelli distintivi di interazione in circa 65
famiglie, 37 con un bambino obeso e 28 del gruppo di controllo. Lo studio mostra che i padri
giocano un ruolo molto più importante di quanto si pensi, particolarmente in relazione
all’obesità nei ragazzi. Nelle famiglie dei ragazzi obesi, la prevalenza di padri obesi era
maggiore sia rispetto a quella nel gruppo di ragazze obese che a quella nel gruppo di
controllo. Una conclusione interessante era che questi padri erano rimasti in stretto contatto
con le proprie famiglie di origine, sia fisicamente che emotivamente.
Questo dato fa pensare che anche i padri hanno avuto a che fare con seri problemi di
individuazione e svincolo dalla famiglia d’origine (Liberti et al., 1998).
Nelle ragazze, il maggiore grado di obesità era associato ad una buona condizione mentale
della madre e ad una maggiore tendenza dei genitori a giudicare positivamente il loro
funzionamento familiare. Tuttavia, quando impiegati metodi standardizzati di valutazione, più
obesa era la ragazza, più disfunzionale risultava la famiglia. Le ragazze presentavano più
membri obesi nelle loro famiglie e sempre almeno un genitore obeso.
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Kinston et al. (1990) suggeriscono che una famiglia in cui solo la madre è obesa tende ad
avere solo figlie obese, mentre una famiglia in cui solo il padre è obeso mostra figli sia
maschi sia femmine obesi.
Nelle famiglie delle ragazze obese, inoltre, emergeva una maggiore ostilità, ambivalenza e
paradosso nonché un orientamento meno positivo verso l’obesità che, in questi casi,
funzionerebbe come un effettivo regolatore delle tensioni familiari. I genitori criticavano le
figlie per la loro condizione con commenti il più delle volte ambivalenti ma non cercavano di
ridurre concretamente il loro peso. In queste famiglie la preoccupazione per il cibo era più
grande e l’alimentazione, come tutto, era fuori dal controllo.
Nei due gruppi di obesi (maschi e femmine) le famiglie esibivano un funzionamento più
deteriorato, un maggiore desiderio di “fare buona impressione” che gravava o oscurava in
parte problemi relazionali più o meno gravi, come tensioni e conflitti. I ragazzi obesi
venivano
solitamente
allontanati
ed
esclusi
e
l’alleanza
più
forte
era
quella
transgenerazionale.
Uno studio da menzionare è quello condotto da Mendelson, White e Schliecher (1995) che
suddivisero un campione di 572 adolescenti (286 maschi e 286 femmine) tra i 13 e i 18 anni
in 4 gruppi in base al loro peso: sottopeso, peso normale, sovrappeso e obesità. Tutti
completarono un questionario da cui furono tratte informazioni sugli stili e le modalità
relazionali della famiglia. Fu riscontrato un effetto principale significativo sulla scala del
Conflitto (p < 0.01) e dello Stile Autoritario (p < 0.05), con le ragazze che ottenevano
punteggi più elevati su entrambe le scale. Le ragazze obese, inoltre, percepivano le loro
famiglie come scarsamente coese, carenti nell’esprimere bisogni ed emozioni e poco
democratiche.
Un dato interessante era che i ragazzi obesi o in sovrappeso non si distinguevano da quelli con
peso normale su queste dimensioni: coesione, espressività e stile democratico aumentavano
con il peso sebbene non in modo significativo, mentre per le ragazze avveniva il contrario. I
ragazzi in sottopeso, invece, tendevano ad avere una percezione della famiglia simile a quella
delle ragazze obese.
Se il problema del peso nelle ragazze viene imputato alla mancanza di autocontrollo e se le
critiche negative contribuiscono alla genesi di sentimenti altrettanto negativi verso il proprio
aspetto, nei ragazzi il sovrappeso e l’obesità sono attribuiti ad una difficoltà nella gestione del
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peso o alla mancanza di esercizio fisico. In entrambi i casi, per i ragazzi, viene meno
l’interiorizzazione del problema peso come fallimento personale ma non il livello di
autostima, che, quindi, non diminuisce.
Le 195 madri che partecipavano a questo studio sembravano avere una visione più favorevole
delle condizioni familiari rispetto ai figli, idealizzando molto la famiglia (p< 0.001),
giudicandola come più coesa
(p < 0.001), democratica (p < 0.001) e con maggiori livelli di
espressività (p < 0.001).
Un’indagine successiva sul funzionamento familiare nell’obesità (B. Johnson, Brownell, Jeor,
Brunner, Worby, 1997) valutava circa 508 soggetti (età media = 44.8 anni), 237 uomini e 242
donne sia in sovrappeso sia normopeso. I risultati non evidenziarono né differenze tra gruppi
relativamente alla coesione e all’adattabilità né relazioni significative tra queste due
dimensioni ed età d’insorgenza del sovrappeso. Tuttavia, l’adattabilità era significativamente
correlata ad un esordio più precoce dell’obesità negli uomini (p = 0.02): coloro che
provenivano da famiglie maggiormente adattabili riportavano aumenti di peso fino al
sovrappeso ad un età inferiore rispetto alle donne. Inoltre sempre negli uomini la coesione si
associava positivamente alle attitudini alimentari (p = 0.02) mentre l’adattabilità lo era
negativamente (p = 0.02). Quelli che appartenevano a famiglie più coese esibivano migliori
attitudini alimentari ed avvertivano meno la sensazione di sentirsi fuori controllo (p = 0.04).
“Famiglie che sono troppo adattabili, con i figli che prendono decisioni o ruoli che cambiano
frequentemente, potrebbero interferire con lo sviluppo, nei bambini, di pattern alimentari
regolari. Similmente, famiglie carenti in una chiara definizione della leadership potrebbero
non impartire comportamenti alimentari salutari. Provenire da una famiglia molto coesa
potrebbe condurre a migliori attitudini alimentari perché meno probabilmente il cibo verrebbe
usato come meccanismo per fronteggiare emozioni negative” (B. Johnson et al., 1997, pp.
218).
L’assenza di risultati significativi nelle donne oltre che essere sorprendente fa pensare al fatto
che potrebbero essere fattori culturali più forti ad influire sul peso e il comportamento
alimentare per cui “… il funzionamento familiare potrebbe essere uno dei possibili
determinanti per le donne e uno dei pochi fattori importanti per gli uomini” (ibidem).
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Un altro studio (Stradmeijer, Bosch, Koops, Seidell, 2000) analizzò la relazione tra
funzionamento familiare e adattamento psicosociale in 143 soggetti, 73 in sovrappeso e 70
con peso normale, tra i 10 e i 16 anni.
I genitori dei ragazzi gravemente in sovrappeso dimostravano una maggiore preoccupazione
per le condizioni del figlio; sia le madri che gli insegnanti riferivano più problemi
comportamentali in questi bambini, soprattutto nei più piccoli (< 13 anni) rispetto sia agli
adolescenti in sovrappeso sia a quelli con peso normale. I maschi, inoltre, venivano giudicati
più problematici della controparte femminile. I domini dell’aspetto fisico, competenza
atletica, accettazione sociale e stima di sé risultavano alquanto alterati nei soggetti in
sovrappeso, in ambedue i sessi e in tutti i gruppi d’età. La bassa autostima riscontrata tendeva
a ristabilirsi con l’età nei maschi e a declinare ulteriormente nelle femmine. Sebbene i
bambini con peso in eccesso rivelassero maggiori difficoltà comportamentali, l’estensione di
questi problemi era comunque limitata ma tale da poter rappresentare un profilo di rischio.
Lalibertè, Boland e Leichner (1999) cercarono di accreditare l’assunzione che condizioni
ambientali disfunzionali potrebbero semplicemente creare un soggetto vulnerabile e non
fornire un’adeguata o sufficiente spiegazione per il tipo di patologia che incuberebbe nelle
specifiche famiglie. Piuttosto, “… il contenuto e quello che viene espresso, valutato e
plasmato nella famiglia potrebbe ampiamente determinare la forma di psicopatologia che
tenderebbe ad emergere” (ibidem, pp. 1023).
Lalibertè e colleghi (1999) sottolinearono che la marcata attenzione della famiglia per
l’apparenza prediceva comportamenti alimentari irregolari tra studenti universitari (N = 324;
età = 17-22 anni) con maggiore potenza di quanto accadesse per variabili di processo quali
conflitto, coesione ed espressività che rappresentavano segni di una disfunzione familiare più
generale. Il clima familiare ipotizzato per soggetti con disturbi alimentari sarebbe
caratterizzato in modo specifico da un’eccessiva preoccupazione per il peso e l’aspetto fisico,
un notevole interesse per l’apparenza sociale e da una smodata enfasi per il successo. Anche
quando veniva presa in considerazione una popolazione clinica (N = 88), i soggetti con
alimentazione alterata (N = 44) si differenziavano dai controlli normali (N = 27) per lo
specifico clima familiare permeato dalla salienza della piacevolezza fisica. Quando
confrontati con un gruppo di pazienti depressi (N = 17), quelli con disturbi alimentari
descrivevano le loro famiglie significativamente più orientate al successo. Rispetto ai
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controlli, i soggetti depressi tendevano a percepire le famiglie sotto una luce meno
desiderabile socialmente. Quello che viene evidenziato è che le modalità con le quali la
patologia individuale si esprime sembra essere legata ad uno specifico clima che permea il
nucleo familiare.
P. J. Cooper e collaboratori (2004) si proposero di delucidare quei fattori familiari che
avrebbero potuto avere una qualche influenza sul nutrimento dei bambini all’interno di un
sistema in cui già la madre presentava disturbi alimentari. A tale scopo furono identificati
dalla popolazione generale tre gruppi di bambini: quelli che presentavano difficoltà alimentari
(N = 35), quelli con altri tipi di problemi (N = 58) come problemi comportamentali, e bambini
senza nessun tipo di problema (N = 23). Due furono le variabili dell’ambiente familiare che
differenziavano in modo significativo i bambini con problemi alimentari dagli atri gruppi: la
disorganizzazione all’ora dei pasti e il marcato controllo e la forte disarmonia della madre. Sia
il grado di confusione e disfunzione sia l’eccessiva apprensione e vigilanza, come pure lo
scarso equilibrio della madre risultavano mediare l’associazione tra problemi alimentari del
figlio e quelli della madre stessa.
Barbin et al. (2002), invece, riscontrarono che l’adattamento psicologico dei bambini con
madri che riferivano una storia di disturbi alimentari non era diverso da quello di bambini con
madri nel gruppo di controllo, sebbene quelle madri raccontassero di aver avuto
complicazioni durante il parto e la gravidanza e nonostante le tensioni genitoriali e la presenza
di sintomi di depressione clinica. I bambini di madri con depressione, d’altro canto,
manifestavano maggiori problemi psicopatologici rispetto ai bambini con madri normali o con
disturbi alimentari. La presenza di continue ed eccessive critiche nell’unione coniugale si
accompagnava poi a rappresentazioni negative della madre.
Una modalità con la quale le problematiche alimentari materne incidono sullo sviluppo del
mondo interno del figlio è l’insorgenza in questi di eccessive preoccupazioni per i turbamenti
materni legati al rapporto di lei con il cibo.
Le caratteristiche del funzionamento familiare nell’obesità e nel Beang Eating Disorder sono
qui di seguito riassunte nella tabella 4 e 4.2.
Carenza nella comunicazione
Elevato livello di controllo
Rigidità
Eccessiva adattabilità
Iperprotettività
Scarsa differenziazione dei ruoli
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Incapacità ad esprimere e gestire le emozioni
Scarsa definizione della leadership
Elevato livello di conflittualità
Incapacità a rispondere ai bisogni degli altri membri
Difficoltà nella risoluzione dei conflitti
Eccessiva preoccupazione per l’aspetto fisico
Problemi di individuazione e di svincolo
Presenza di critiche e giudizi negativi sul peso corporeo
Basso livello di coesione
Tabella 9: Caratteristiche del funzionamento familiare nell’obesità
Bassi livelli di espressività
Elevato grado di controllo
Basso livello di coesione
Rigidità
Scarsa spinta all’autonomia
Isolamento sociale
Elevato grado conflittualità
Elevati livelli di rabbia e ostilità
Tabella 4.2: Caratteristiche del funzionamento familiare nel BED
3.8.2. La famiglia acquisita del soggetto obeso
Gli studi sull’obesità ed in particolare sulle famiglie dei pazienti obesi si datano dagli anni ’80
in poi ma sono ancora pochi gli studi sul nuovo nucleo familiare di un soggetto obeso, sui
suoi rapporti con il partner e con i figli.
Anche dopo lo svincolo dalla famiglia d’origine e la costituzione di una nuova identità
familiare, lo status ponderale può continuare ad assolvere la sua funzione di garante
dell’omeostasi del sistema.
In alcuni casi l’obesità può essere utilizzata come strumento per controllare la gelosia
patologica del partner, rendendo il proprio corpo meno piacevole agli occhi degli altri e
preservando in tal modo l’unione della coppia. Perdere peso, invece, potrebbe suscitare vissuti
di angoscia per la sicurezza del matrimonio (Liberti, Caputo, Cuzzolaro, 1998).
Le difficoltà nei domini dell’inclusione, del controllo e della vicinanza, sottolineate da
Doherty e Harkaway (1990), possono riflettersi anche sul rapporto di coppia, quando uno dei
due partner è in sovrappeso.
Reputandosi indesiderabile e spiacevole agli sguardi degli altri, il soggetto obeso utilizza la
sua condizione per proteggere la coppia da relazioni extraconiugali, evitare gli eventi sociali
rendendo l’altro sicuro del matrimonio. Quando entrambi i membri sono obesi, la perdita di
peso di uno dei due diventa segnale del fatto che non si condividono più le stesse attività,
afflizioni, la medesima immagine e visione di se stessi e del mondo.
In una relazione dove uno dei due componenti è in sovrappeso si stabilisce un contratto
segreto di complementarietà in cui il membro sintomatico è in una posizione “one down” e
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
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quello non sintomatico in posizione “one up” che offre i suoi aiuti e propone la sua domanda
di riduzione del peso. Nel momento in cui il partner obeso sente limitati i propri bisogni e la
propria autonomia dall’eccessivo controllo dell’altro, si manifesta il rifiuto dell’aiuto
dell’altro, il rifiuto della sua richiesta di perdere peso attraverso il guadagno di peso, che
diviene un modo per recuperare il controllo su di sé e sulla relazione. Entrambi occupano,
così, simultaneamente le posizioni one up e one down. Il paradosso è nel fatto che per
riacquistare il controllo sul proprio comportamento, il partner obeso deve perdere il controllo
sul comportamento sintomatico. Infine, se per la coppia la magrezza è simbolo di
piacevolezza e l’obesità di sgradevolezza, l’incremento di peso diviene un modo per creare
una distanza emotiva e sessuale dal partner.
Sobal, Rauschenbach e Frongillo (1995) reclutarono un campione non clinico focalizzando il
loro interesse su due variabili della vita coniugale, ossia l’insoddisfazione e la presenza di
problemi tra consorti. A dispetto delle previsioni risultò che mentre l’obesità femminile non si
accompagnava ad una profonda insoddisfazione della vita di coppia, l’obesità maschile si
associava, invece, alla presenza di molteplici difficoltà nella vita della coppia. In alcuni
soggetti una conseguenza del matrimonio era l’aumento di peso, tuttavia questo tipo di effetto
non provocava vissuti negativi ma una maggiore soddisfazione della vita coniugale.
Hafner (1991) prese in esame un campione di 80 donne in attesa di un intervento di riduzione
gastrica e incluse sia loro sia i mariti in uno studio sull’adattamento individuale e di coppia,
prima dell’intervento e dopo un anno. Se in seguito all’operazione, i mariti continuavano a
conservare la stessa immagine di sé, le mogli si percepivano più piacevoli e socievoli ed
avevano modificato anche l’opinione dei loro mariti, considerandoli meno attraenti. La perdita
di peso aveva così alterato l’equilibrio della coppia, determinando anche la scontentezza dei
mariti per l’eccessiva “nuova” estroversione delle loro consorti. Tale insoddisfazione
manifestata dai mariti può costituire una prova indiretta del fatto che il sintomo obesità possa
funzionare come componente essenziale delle dinamiche di coppia.
L’equilibrio delle coppie obese studiato da Ganley (1992) era caratterizzato invece una
stabilizzazione della struttura di coppia sul versante disimpegnato e rigido, una
comunicazione di coppia povera e maggiormente negative nelle reazioni alle emozioni. Tale
equilibrio veniva spiegato, secondo l’autore, da una facilità delle donne obese prese in esame
a rifugiarsi nel cibo nel momento in cui le difficoltà e le emozioni associate ad esse
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divenivano troppo forti. Tale meccanismo si ricollega perfettamente con il modello proposto
dal lavoro di Minuchin sulle famiglie psicosomatiche.
Come la relazione coniugale, anche quella con i figli può essere colpita dalle difficoltà
alimentari della madre (P. J. Cooper, Whelan, Woolgar, Morrell, Murray, 2004; Barbin,
Williamson, Stewart, Reas, Thaw, Guaro, 2002). E’ in questo settore che si sono sviluppate
diverse ricerche anche rivolte all’analisi dell’attaccamento adulto che mettono in evidenza la
correlazione fra disturbi del comportamento alimentare e attaccamento adulto insicuro, con
evidenze per l’attaccamento di tipo ansioso-evitante (gruppo Israele, 2002).
3.8.3 Un programma comportamentale basato sulla famiglia
La crescente prevalenza dell’obesità durante l’infanzia, impone la necessità di sviluppare
terapie efficaci per tre ragioni principali. Primo, l’evidenza di una relazione tra il grado di
sovrappeso e la comorbilità medica; secondo, i bambini che sono obesi da piccoli possono
con più probabilità divenire adulti obesi, con i rischi maggiori per bambini più pesanti e,
infine, essi esperiscono con maggiore facilità sentimenti di scarsa autostima e sintomatologia
psichiatrica legata all’obesità (Levine, Ringham, Kalarchian, Wisniewski, Marcus, 2001).
Levine e collaboratori (2001) valutarono la praticabilità e l’accettabilità di un intervanto
basato sulla famiglia in 24 famiglie con un bambino obeso tra gli 8 e i 12 anni (valore medio
del BMI = 33.9). Prima dell’intervento di gruppo, tutti i bambini parteciparono ad una seduta
di valutazione iniziale durante la quale compilarono un questionario da cui trarre, poi,
indicazioni sul grado di depressione, ansia e sul comportamento alimentare. Ai genitori
furono chieste informazioni sul loro livello culturale, impiego e reddito. I risultati mostrarono
che 10-12 sedute di un intervento comportamentale basato sulla famiglia rivelavano effetti
modesti e a breve termine sul peso del bambino. La maggior parte di quelli che completarono
il programma riuscirono a perdere da 0.2 a 11.8 kg, valori comunque minimi in relazione al
grado di sovrappeso. Nonostante i modici cambiamenti ponderali, l’impiego della famiglia nel
trattamento si associava a significativi miglioramenti nei sintomi di ansia e depressione e a
decrementi non significativi nei sintomi dei disturbi alimentari. L’abbandono del programma
da parte di circa un terzo delle famiglie, suggerisce il bisogno di sviluppare strategie per
accrescere l’impegno delle famiglie nel trattamento dell’obesità dei figli. Secondo gli autori,
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nonostante la brevità dell’intervento, esso risulta efficace nel limitare il guadagno di peso e
nel determinare effetti positivi nella condizione psicosociale del bambino.
Ugualmente utili si potrebbero dimostrare quelle terapie a lungo termine che non solo
includono i componenti della famiglia ma estendono l’interesse a variabili come
l’accettazione di sé, l’essere presi in giro dai coetanei e le attribuzioni sociali.
La possibilità di trattare l’obesità infantile è legata all’inevitabile necessità di coinvolgere i
genitori “… in forma di counseling psicologico, di supporto psicopedagogico e, in qualche
caso, di psicoterapia formalizzata della famiglia” (Liberti, Caputo e Cuzzolaro 1998, pp.
239).
Per quanto riguarda l’obesità negli adulti, l’obiettivo non è solo la riduzione del peso, ma
anche l’esplorazione da un lato delle dinamiche individuali, dall’altro delle dinamiche di
coppia e il loro impatto cumulativo sul funzionamento della coppia e sul sistema familiare.
“Appaiono indiscutibili … l’importanza e l’attualità delle indagini sui fattori di induzione e di
mantenimento dell’obesità attivi a livello dei sistemi familiari” (ibidem).
Le informazione desunte dalla costellazione familiare, inerenti la sua struttura,
l’organizzazione che ne permette il funzionamento, la qualità della comunicazione che circola
tra tutti i membri, le modalità di esprimere e gestire emozioni negative, potrebbero fornire
delle linee guida sulle problematiche da affrontare in terapia.
Onnis e collaboratori (1997), in un progetto di ricerca sul trattamento dell’anoressia nervosa,
affermarono che un approccio sistemico all’anoressia implica, prima di tutto considerare il
fenomeno come un sistema complesso in cui poter riconoscere una molteplicità di elementi
strutturati in diversi livelli. Questo modo di pensare può essere applicato a qualsiasi evento
umano, tuttavia diventa particolarmente evidente per quei tipi di disturbi che si manifestano
tramite il corpo; in tal modo diventa immediatamente evidente la correlazione triadica
fondamentale psiche-soma-ambiente (Onnis, Di Gennaro, Cespa, Benedetti, Belcastro, Forato,
Maurelli, Squitieri, Mulè, Ierardi, 1997).
Considerato ciò gli autori sottolineano la possibilità, ogni qualvolta si debba fronteggiare una
sindrome complessa e multifattoriale, di integrare differenti tipologie d’intervento, come ad
esempio, il trattamento biologico nutrizionale e la terapia familiare insieme.
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Questo vale non solo per le patologie quali AN e BN ma anche per le cosiddette “nuove”
problematiche alimentari quali obesità, binge eating disorder e night eating sindrome, da
reputare come fenomeni multidimensionali.
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CAPITOLO IV
LA RICERCA
4.1 Inquadramento teorico
I disturbi del comportamento alimentare possono essere considerati come “malattie culturali”
la cui funzione è lanciare un “… messaggio ambiguo o doppio messaggio al mito
dell’apparenza e della salute corporea in quanto valori dominanti nella società attuale” (Caillè,
1988, pp. 102).
Nell’ambito della teoria sistemica, l’obesità, come le altre patologie dell’alimentazione, viene
considerata in quanto sintomo psicosomatico e dunque, messaggero del malessere personale,
familiare e sociale. Nonostante tale premessa la ricerca ed il trattamento dell’obesità sono
state due aree poco approfondite, o meglio meno approfondite, negli ultimi anni rispetto ad
altri disturbi del comportamento alimentare, come la bulimia e l’anoressia. Doherty e
Harkaway (1990) affermarono che la carenza di attenzione verso la famiglia nel trattamento
dell’obesità è imputabile ad alcune ragioni:
o alla confusione relativa alla possibilità di considerarla un problema medico o
comportamentale;
o all’incertezza dell’eziologia, genetica o ambientale;
o alla natura, cronica e apparentemente inguaribile di questa problematica;
o alla stigmatizzazione sociale verso i soggetti obesi;
o alle alte percentuali di recidive alla fine del trattamento;
o infine, ma soprattutto, alla complessità del problema stesso.
Di contro numerosi teorie nell’ambito sistemico hanno tentato di contestualizzare e dare
significato al sintomo in un’ottica che comprendesse anche il sistema in cui si andava
sviluppando. In particolare, gli studi classici di Minuchin (1975) hanno permesso di
identificare le interazioni e il tipo di organizzazione delle famiglie dei pazienti con un
disturbo alimentare. I tre fattori principali erano, secondo l’autore:
4. Vulnerabilità fisiologica;
5. Specifiche caratteristiche transazionali;
6. Ruolo della malattia nell’evitamento dei conflitti e nel mantenimento dei sintomi.
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Secondo l’autore, è la ripetizione e la combinazione di queste transizioni che promuove la
trasformazione dei conflitti emotivi in sintomi somatici i quali, a loro volta, garantiscono
l’equilibrio familiare.
Mara Selvini Palazzoli (1963, 1997) focalizzò l’attenzione sulle alleanze segrete e la
leadership in famiglie con un membro con disturbi alimentari.
Una conclusione evidenziata in questa tipologia di famiglie era che la gerarchia non era ben
stabilita e che la carenza di leadership delineava una modalità interattiva in cui i membri
qualificavano le proprie comunicazioni, sia verbali che non verbali, ma disconoscevano i
messaggi degli altri.
In letteratura sono molto più diffusi i lavori centrati sulla diade madre-figlio e sulla famiglia
d’origine del paziente obeso rispetto alle ricerche finora condotte sulla diade coniugale;
tuttavia gli interessanti dati emersi relativi alla coppia del paziente obeso e la loro data
recente 11 fa sperare in un prossimo sviluppo di quest’area d’indagine. Ad esempio, Sobal e
coll. (1995), prendendo in considerazione due aspetti della vita coniugale, l’infelicità
coniugale e la presenza di problemi di coppia, hanno
evidenziato che l’obesità femminile non compromette
Fattori
Endocrino
genetici
significativamente la soddisfazione della vita coniugale;
mentre gli uomini obesi hanno denunciato maggiori
problemi. Lo studio classico di Marshall e Neill (1977)
Fattori
metabolici
ha portato ad una vasta produzione di lavori in grado di
Fattori
relazionali
Obesità
indagare in modo più approfondito gli aspetti medici
dell’obesità mostrando i possibili effetti sulla coppia di
un intervento di bypass intestinale tra i quali ha
evidenziato difficoltà, conflitti e tensioni coniugali.
11
Diversi lavori in quest’ambito si sono sviluppati dagli anni ‘90 ad oggi
135
Fattori
individuali
Fattori
familiari
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
„
A.A. 2005-2006
Sobal e coll.
Relazione fra qualità del rapporto coniugale e
obesità;
„
Doherty e Harkaway
Funzione del sintomo nel rapporto di coppia.
„
Marshall e Neill
Intervento di bypass intestinale: effetti sulla coppia;
Intervento di riduzione gastrica: adattamento
„
Hafner
personale e coniugale.
„
Abraham Llewellyn-Jones
L’obesità femminile, la sessualità e il ruolo
materno.
Tabella 10: principali studi sulla coppia
Da questa breve rassegna appare indiscutibile l’importanza e l’attualità delle indagini sui
fattori di induzione e mantenimento dell’obesità attivi a livello dei sistemi familiari.
E’ in questa cornice, ed in particolare nell’area d’indagine relativa alla coppia, che si inserisce
il presente lavoro di ricerca, volto ad esplorare il funzionamento e gli stili di attaccamento di
coppie con paziente obeso. Il disegno di ricerca privilegia una prospettiva di indagine che
consideri entrambi i membri del sottosistema coppia, come del resto auspica la letteratura
relativa alla family research.
Tra i diversi costrutti indagati nello studio delle relazioni familiari il funzionamento e lo stile
di attaccamento di coppia hanno un ruolo fondamentale ma vengono studiati adeguatamente
solo a partire da una prospettiva relazionale, che tenga conto dei diversi punti di vista dei
soggetti coinvolti nella relazione privilegiando un tipo di costrutto diadico.
Il funzionamento familiare è inteso come l’adattamento dinamico alle trasformazioni cui è
soggetta la famiglia e viene studiato attraverso l’analisi di due dimensioni: la coesione e
l’adattabilità.
Lo studio dello stile di attaccamento in età adulta riveste particolare importanza, sussistendo
evidenze crescenti dell’esistenza di un rapporto tra attaccamento insicuro e disturbi
psicopatologici. Le dimensioni studiate sono: l’ansietà e l’evitamento.
4.2 Principali elementi del disegno di ricerca
Il disegno di ricerca privilegia una prospettiva di indagine che considera entrambi i membri
del sottosistema coppia, quale presupposto importante per la comprensione del funzionamento
che coinvolge entrambi i componenti della diade coniugale (family research), come peraltro la
letteratura in merito auspica (Lanz, Rosnati, 2002).
136
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
Obiettivi
Sulla base della letteratura e delle ricerche finora condotte in ambito sistemico-relazionale, il
presente progetto di ricerca si prefigge di:
•
esplorare il funzionamento e lo stile di attaccamento romantico in un campione
sperimentale di coppie in cui si sia verificata l’insorgenza di obesità in età adulta,
ipotizzando che le coppie dei pazienti obesi presentino dinamiche relazionali
caratteristiche delle famiglie psicosomatiche e stili di attaccamento nella coppia
prevalentemente di tipo insicuro.
•
Verificare tale ipotesi, confrontando i risultati con un campione di controllo appaiato
ma non equivalente ed ipotizzando che vi siano fra i due gruppi differenze
significative.
•
Verificare se vi siano correlazioni fra le dimensioni che definiscono il funzionamento
di coppia e le dimensioni che definiscono l’attaccamento adulto, ipotizzando che esista
una relazione fra i modelli operativi interni ed i modelli di regolazione esterni, come il
funzionamento della relazione di coppia.
La finalità della ricerca si può quindi definire descrittivo-correlazionale in quanto si pone
come obiettivo quello di fornire un’immagine dettagliata della realtà indagata (Sabourin,
1989) ed inoltre quello di verificare l’associazione tra le variabili con un approccio di tipo
quantitativo (Antonietti, Cantoia, Crisafulli, 1999).
4.2 Metodologia
Campione
La ricerca è stata condotta sul campo analizzando due campioni, un campione sperimentale ed
uno di controllo, costituiti da 80 soggetti ciascuno per un totale di 160 soggetti. Il campione
sperimentale è stato reperito e selezionato presso il Servizio di Diabetologia e Malattia del
Ricambio - Progetto Obesità responsabile dott.ssa E. Forte 12 - attivato dalla ASL di Latina 12
Particolare ringraziamento va alla dr.ssa Forte ed al reparto che ha accolto la proposta di ricerca credendo un
approccio multidisciplinare ed integrato volto alla cura dell’obesità.
137
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
S.C. di Medicina Generale di Fondi (LT), Servizio al quale afferiscono pazienti da tutta la
provincia di Latina. I soggetti appartenenti al campione sperimentale partecipavano ad un
progetto di cura integrato che vedeva interagire diverse figure professionali: il medico interno,
la dietista, lo psicologo.
Il campione di controllo è stato reperito con una metodologia di campionamento selettivo, nel
territorio della provincia di Latina.
Entrambi i campioni sono appaiati per età, sesso, livello socio-economico e livello di
istruzione, ma non risultano campioni equivalenti dal momento in cui i soggetti non vengono
assegnati a caso ai due gruppi di ricerca ma sono stati assegnati in base a caratteristiche
preesistenti (la presenza di una diagnosi di obesità psicogena 13 ) (McBurney, 1996).
Entrambi i campioni, sperimentale e di controllo, sono costituiti da 40 coppie (40 maschi e 40
femmine) di età compresa fra i 30 e i 65 anni distribuiti in tre fasce di età 20-35, 36-50 e 5165, per un totale di 160 soggetti:
Età dei soggetti
112
30
18
Frequency
20-35
36-50
51-65
18
112
30
Grafico 1
L’11.25% dei soggetti rientra nella fascia di età fra i 20 ed i 35 anni il 70% dei soggetti ha fra
i 35 ed i 50 anni mentre il 30% dei soggetti ha fra i 50 ed i 65 anni. Per ragioni metodologiche
i soggetti selezionati sia nel campione di controllo che nel campione sperimentali hanno allo
13
La diagnosi effettuata dal medico responsabile del Servizio prevedeva diverse analisi che permettessero una
diagnosi differenziale accurata. Le donne obese reclutate per la ricerca presentavano un’obesità non ad origine
organica. Inoltre venivano eseguite accurate analisi i cui risultati venivano raccolti e registrati in due cartelle
cliniche: una medica ed una psicologica (vedi allegato). Inoltre per la parte psicologica veniva effettuata una
diagnosi differenziale per escludere la presenza di psicopatologie correlate all’obesità, attraverso una specifica
batteria di test non presa in considerazione in questo lavoro di ricerca.
138
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
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stato della ricerca una relazione significativa della durata di almeno tre anni 14 ; inoltre si può
evidenziare che tutte le coppie siano sposate; nello specifico, come si può rilevare dal
seguente grafico, il 40% delle coppie sono sposate da più di un anno, il 45% da più di 15 anni,
il 15 % da più di 30 anni:
Anni di matrimonio
64
72
24
da 1 a
15
da 16 a
30
da 1 a 15
Frequency
da 31 a
40
da 16 a 30
64
da 31 a 40
72
24
Grafico 2
Il livello d’istruzione del campione totale si distribuisce fra cinque categorie di titolo di studio
e risulta essere medio basso; il 32.5% dei soggetti si è fermato alla scuola dell’obbligo, il 38%
circa invece ha conseguito il diploma di maturità. Solo 34 soggetti su 160 hanno conseguito
la laurea triennale (breve), quinquennale (specialistica) o un titolo di specializzazione post
laurea:
Elementari
Medie inferiori
Medie superiori
Laurea Breve
Laurea/specializzazioni
8.125%
32.5%
38.125%
3.125%
18.125%
Tabella 11: titoli di studio
14
Per la somministrazione di strumenti che valutino l’attaccamento di coppia è necessario infatti che la persona
abbia avuto nel suo passato o abbia nel suo presente una relazione sentimentale della durata di almeno tre anni
(Picardi, 2000)
139
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
Titolo di studio
13
29
5
52
61
elem
med inf
med sup
lau breve
laurea
Grafico 3
Nella descrizione del campione diviso per gruppi (maschi/femmine) si può mettere in
evidenza che la distribuzione nelle cinque categorie dei titoli di studi sembra essere molto
simile; la differenza che si può cogliere maggiormente è relativa ad una percentuale maggiore
di uomini (30%) che hanno terminato il percorso di studi con un diploma rispetto alle donne
(17.5%); allo stesso tempo risulta immediato sottolineare una percentuale più elevata di donne
(60%) che hanno terminato la scuola dell’obbligo rispetto agli uomini (50%).
livello d'istruzione femmine
livello d'istruzione maschi
60
60
40
40
20
50
15
0
elem
20
30
5
0
S1
med inf med suplau breve
60
17,5
17,5
5
S1
elem med infmed suplau breve
Grafico 4-5
Il livello socioeconomico si può definire come medio-basso. Solo pochi, 14 uomini e 2 donne,
svolgono attività dirigenziali. Nell’56.3% dei casi la donna svolge il lavoro di casalinga, nel
28.8% dei casi svolge mansioni impiegatizio; l’uomo nel 23.8% dei casi svolge un lavoro
impiegatizio, nel 21.3% dei casi sono professionisti qualificati nell’attività commerciale e nei
140
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
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servizi pubblici e nel 20% svolge attività artigianali, ha mansioni da operaio specializzato o
agricoltore 15 .
casalinga
legislatori,
dir.,
imprend.
0
17.5
prof.
intell.,
scient.,
di
elevata
specializ
z.
2.5
tecnici
impiegati
pro.
qual
nell'att.
comm.
e nei
serv.
artigiani,
operai
specializ.,
agric
2.5
23.8
21.3
20.0
tecnici
impiegati
pro.
qual
nell'att.
comm.
e nei
serv.
artigiani,
operai
specializ.,
agric
0
28.8
3.8
2.5
conduttori
di imp. e
op.
semiqul.
addetti a
macc.
fissi e mo
6.3
professioni
non
qualificate
forze
armate
1.3
5.0
professioni
non
qualificate
forze
armate
2.5
1.3
Tabella 12: professioni dei maschi
casalinga
legislatori,
dir.,
imprend.
56.3
2.5
prof.
intell.,
scient.,
di
elevata
specializ
z.
1.3
conduttori
di imp. e
op.
semiqul.
addetti a
macc.
fissi e mo
1.3
Tabella 13: professioni delle femmine
Professione maschi
Professione femmine
19
45
17
16
14
23
5
2
2
1
3
2
1
2
1
1
legi prof tec imp pro. arti con prof forz
slat . nici ieg qua gia dutt ess e
cas legi prof imp pro. arti con prof forz
alin slat . ieg qua gia dutt ess e
Serie1
45
2
1
23
3
2
1
2
1
Frequency
14
2
2
Grafico 5-6
15
4
2
Le categorie professionali sono state riprese dalla categorizzazione dell’ISTAT
141
19
17
16
5
1
4
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Strumenti
Il disegno di ricerca prevede l’utilizzo di diversi strumenti atti ad indagare il funzionamento di
coppia e gli stili di attaccamento:
1. il FACES III (Family Adaptability and Cohesion Evaluation Scales) versione
di coppia, per indagare le dinamiche ed il funzionamento di coppia;
2. il questionario Experience in Close Relationship di Brennan, Clark e Shaver
(tradotto e validato in Italia da Picardi, Vermigli, Toni, D’Amico, Bitetti,
Pasquini);
Sia il FACES III sia L’Expierience in Close Relationship sono questionari self-report su scale
Likert.
Il FACES III costituisce la terza versione di una serie di strumenti denominati “Family
Adaptability and Cohesion Evaluation Scales”, scale sviluppate per la valutazione della
adattabilità e della coesione familiare. Il fondamento teorico che sta alla base di queste scale è
costituito dal modello circonflesso sviluppato da Olson e coll (1979a/b;1982;1983) allo scopo
di collegare teoria, attività di ricerca e lavoro (clinico e psicosociale) con le famiglie; tale
modello ci offre la possibilità di elaborare una classificazione delle famiglie secondo una
tipologia che prevede 16 tipi specifici di famiglia, che a loro volto possono essere ricondotte a
Flessibile
Strutturara
Rigida
Adattabilità
Caotica
tre principali “ranghi” che le definisce come “bilanciate”, “intermedie”, ed “estreme”.
Caotica/
disimpegnata
Flessibile/
disimpegnata
Strutturata/
disimpegnata
Rigida/
disimpegnata
Disimpegnate
Caotica/
flessibile
Flessibile/
separata
Strutturata/
separata
Rigida/
separata
separate
Caotica/
connessa
Flessibile/
connessa
Strutturata/
connessa
Rigida/
connessa
connesse
Coesione
Figura 3
142
Caotica/
invischiata
Flessibile/
invischiata
Strutturata/
invischiata
Rigida/
invischiata
invischiate
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Lo strumento è un questionario self-report, somministrabile alle famiglie lungo l’intero ciclo
di vita, ed è composto da 20 items monodirezionali nel senso della massima espressione delle
due dimensioni di Coesione 16 , i legami affettivi di coppia, e di Adattabilità 17 , la capacità di
cambiamento. Tale strumento è centrato sulla percezione della relazione di coppia fornita da
ogni membro del sottosistema coniugale e viene utilizzato per ottenere informazioni circa il
funzionamento della famiglia percepita e di quella ideale, utilizzando le due versioni del
questionario. La discrepanza fra famiglia percepita e famiglia ideale fornisce una misura
diretta della insoddisfazione familiare, vale a dire una misura indiretta (inversa) della
soddisfazione familiare. L’attendibilità, la consistenza interna e l’attendibilità test-retest sono
state verificate come “generalmente buone” (Olson, 1985a).
Per quanto riguarda lo strumento «EXPERIENCES IN CLOSE RELATIONSHIPS» si può
evidenziare che fonda le sue radici nella teoria dell’attaccamento romantico e ha rappresentato
verosimilmente un progresso nella misurazione dell’attaccamento negli adulti con il metodo
di autovalutazione, risultando potenzialmente molto utile per tutti i ricercatori che si occupano
di attaccamento negli adulti. Recentemente (2000;2002) ne è stata messa a punto la versione
italiana, con l’autorizzazione scritta degli autori dello strumento originale. Per la traduzione
della scala ed il suo adattamento al contesto italiano, è stato utilizzato il procedimento della
retroversione (back-translation), seguita da somministrazione pilota di una versione
preliminare per individuare possibili problemi di comprensibilità degli item. La versione
italiana del questionario così ottenuta ha mostrato di conservare l’elevata consistenza interna
dello strumento originale, di essere riproducibile, e di possedere una struttura fattoriale in
accordo con la teoria e pienamente corrispondente a quella dello strumento originale con la
sola eccezione di un item (il 27). Il questionario comprende due scale di 18 item ciascuna, che
misurano rispettivamente la dimensione “Evitamento 18 ” e la dimensione “Ansietà 19 ”. Tali
dimensioni appaiono caratterizzare in modo generale il comportamento di attaccamento
umano. Lo studio condotto per la validazione del questionario ECR ha portato ad auspicare
16
Il punteggio relativo alla Coesione è dato dalla somma degli item dispari.
Il punteggio dell’Adattabilità è dato dalla somma degli item pari.
18
Il punteggio dell’Evitamento è dato dalla somma degli item dispari tenendo presente che il punteggio di
alcuni item( 3, 15, 19, 25, 27, 29, 31, 33 e 35) viene codificato inversamente.
19
Il punteggio dell’Ansietà è dato dalla somma degli item pari tenendo presente che il punteggio dell’item 22
viene codificato inversamente.
17
143
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
che in futuro, per definire con maggiore confidenza e precisione i punteggi cut-off, sia
opportuno condurre uno studio che preveda la contemporanea somministrazione dell’ECR e
di uno strumento di classificazione categoriale dell’attaccamento al partner negli adulti, come
ad esempio la Current Relationship Interview, la quale funga da misura criterio rispetto alla
ALTO
BASSO
BASSO
EVITAMENTO
ALTO
quale valutare le proprietà classificatorie dell’ECR.
Figura 4
In sintesi gli strumenti utilizzati analizzano quattro dimensioni Ansietà ed Evitamento per
l’attaccamento romantico, Coesione ed Adattabilità per il funzionamento coniugale andando
ad esplorare il fenomeno dell’obesità su una sfera propriamente di coppia e non familiare.
Coesione
Ansietà
Presenza di
obesità nella
coppia
Evitamento
144
Adattabilità
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
Coesione
A.A. 2005-2006
Legame emotivo esistente reciprocamente tra i vari membri
di una famiglia.
Adattabilità
Capacità di un sistema di essere flessibile, di modificare
struttura gerarchica, rapporti di ruolo e regole di relazione,
in risposta alle richieste evolutive o ambientali.
Ansietà
Comprende intensa preoccupazione per le relazioni
sentimentali, timori di essere abbandonati e frequenti
richieste al partner di maggior coinvolgimento.
Evitamento
Difficoltà e disagio ad avvicinarsi emotivamente e ad
affidarsi al partner.
Tabella 14: quadro riassuntivo delle dimensioni analizzate
Disegno di ricerca
Tale disegno di ricerca può essere definito come un disegno con gruppo di controllo non
equivalente, dal momento che i soggetti non vengono assegnati a caso ai due gruppi di ricerca
ma sono stati assegnati in base a caratteristiche preesistenti (McBurney, 1996).
Variabili indipendenti: Sesso, presenza/assenza della condizione di obesità;
variabili dipendenti: funzionamento di coppia e attaccamento romantico;
variabili controbilanciate: età, anni di matrimonio, livello di istruzione e livello socioeconomico.
4.3 Analisi dei risultati
La raccolta dei dati è stata effettuata su un campione sperimentale ed un campione di
controllo, entrambi costituiti da 40 coppie, appaiate fra loro per età dei soggetti (20-65 anni),
livello di istruzione, livello socio-economico e stabilità del rapporto di coppia.
Sono stati raccolti i dati attraverso i due strumenti self-report (FACES III ed ECR)
somministrati ad entrambi i partner della coppia.
I dati così raccolti sono stati inseriti in un unico foglio dati per l’intero campione, utilizzando
il programma SPSS (Statistical Package for the Social Science), costruito con l’intento di non
perdere il dato relativo la coppia, attraverso un codice identificativo di coppia, ed inoltre
145
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
inserendo due variabili che potessero ricondurre i soggetti al gruppo di appartenenza
(sperimentale e di controllo) ed al ruolo svolto all’interno della coppia (moglie/marito).
Inoltre, nella costruzione del foglio dati, sono state utilizzati tre diversi valori:
o i valori in scala a rapporti equivalenti come ad esempio per le età, gli anni di
matrimonio,ecc.;
o i valori in scala nominale: ad esempio la professione dei coniugi, la tipologia di
funzionamento coniugale, tipologia di attaccamento ecc;
o i valori in scala ordinale: come ad esempio i punteggi ottenuti dai soggetti.
I dati inseriti nel foglio dati sono stati dapprima analizzati effettuando il calcolo delle
statistiche descrittive (media e deviazione standard) per tutti i punteggi ottenuti dai soggetti
dell’intero campione. Tali analisi hanno permesso di individuare la distribuzione dei punteggi
nel campione, al fine di verificare se tali valori siano distribuiti secondo un andamento
normale o, al contrario, se alcuni di essi sbilanciano la distribuzione. La media, infatti, è una
misura di tendenza centrale che permette di avere una visione complessiva e generale delle
risposte fornite ad una determinata variabile, ma non dà alcuna informazione su come siano
distribuiti i punteggi. La deviazione standard o scarto quadratico medio, invece, è la misura
della dispersione della media, ovvero ci informa su quanto i punteggi si discostano da questa.
In secondo luogo sono state analizzate le dimensioni Coesione, Adattabilità, Ansietà ed
Evitamento attraverso il calcolo della differenza fra medie su tutto l’intero campione e su ogni
singolo campione (sperimentale e di controllo).
Nello specifico per la dimensione Coesione e per la dimensione Adattabilità è stata costruita
una tabella a doppia entrata per evidenziare le tipologie di funzionamento coniugale ed è stata
effettuata l’analisi delle frequenze sulle dimensioni studiate, e la tipologia di funzionamento
di coppia; inoltre attraverso il punteggio di discrepanza fra percezione reale e percezione
ideale
del
funzionamento
di
coppia
è
stata
analizzato
il
livello
di
soddisfazione/insoddisfazione all’interno delle coppie.
Per la dimensione Ansietà ed Evitamento è stata costruita una tabella a doppia entrata per
evidenziare le tipologie di attaccamento romantico ed è stata effettuata l’analisi delle
frequenze.
In entrambi i casi, ossia per l’analisi delle frequenze delle dimensioni studiate dal Faces III e
dall’ECR, non è stato possibile utilizzare il coefficiente del chi2 perché la numerosità
146
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A.A. 2005-2006
all’interno delle singole celle di riferimento non era sufficiente per ottenere una buona
significatività del risultato.
Inoltre, sono state analizzate le co-variazioni delle variabili studiate per il funzionamento e
per l’attaccamento romantico (coesione-adattabilità, ansietà ed evitamento), attraverso il
coefficiente r di Pearson, per quanto riguarda i punteggi, e rs di Spearman (o tau di Kendall),
per quanto riguarda le categorie. La correlazione permette di misurare la relazione
(concordanza) tra due variabili, consentendo una valutazione sull’entità del legame fra esse,
ovvero il grado di indipendenza. Il coefficiente di correlazione, in particolare, indica
l’intensità della relazione, ossia, se la correlazione tra due valori è positiva (all’aumentare
della variabile A, aumenta anche la variabile B) o negativa (all’aumentare della variabile A
diminuisce la variabile B), oppure uguale a 0 (non esiste relazione fra la variabile A e B). Sia
il coefficiente r di Pearson che il coefficiente rs di Spearman sono comunemente usati nelle
scienze sociali, ed assumono valori assoluti che vanno da +1 (relazione lineare perfetta) a -1
(relazione inversa perfetta). Il segno del coefficiente di correlazione indica la direzione della
relazione e l’interpretazione del coefficiente va fatta in base alla sua significatività e
positività.
Infine è stata effettuata una Anova 2x2 (gruppo [sperimentale-controllo] ruolo nella coppia
[moglie-marito]), con l’intento di analizzare la varianza tra i gruppi ed entro i gruppi.
Quest’ultima tecnica suggerita da R. Fisher (1923) è di gran lunga la più utilizzata perché
basata su un principio molto generale di scomposizione della variabilità presente
nell’esperimento.
4.3.1 Analisi descrittive
L’analisi dei dati raccolti è stata effettuata sull’intero campione attraverso il calcolo delle
medie, delle deviazioni standard e delle frequenze dei punteggi ottenuti dai 160 soggetti.
Per quanto riguarda i punteggi ottenuti all’Experience in close relationship i soggetti hanno
ottenuto punteggi medi 20 fra il 2 e il 5 con una deviazione standard di 2. In particolare
20
I punteggi medi stanno ad indicare l’orientamento che i soggetti hanno nel valutare su una scala da 1 a 7
quanto sia per loro falsa o vera l’affermazione del relativo item, dove 1 rappresenta il completo disaccordo e 7 il
completo accordo.
147
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
andando ad analizzare gli item singolarmente è possibile riscontrare che è possibile
suddividere i punteggi medi in tre gruppi differenti:
1. il primo gruppo in cui la deviazione standard è compresa fra 1.60 ed 1.80;
2. il secondo gruppo in cui la deviazione standard viene compresa fra 1.81 e 2.0;
3. ed infine il terzo gruppo in cui la deviazione standard risulta essere molto più elevata
compresa fra 2.01 e 2.30;
Item e relativo significato
P.medio
Dev. standard
item 16 (desiderio di forte vicinanza che può far fuggire i partner)
2.85
1.71.
item 26 (sensazione che il partner non si avvicini abbastanza)
2.85
1.80
item 27 (tendenza a non discutere problemi e preoccupazioni con il partner)
2.81
1.68
item 33 (tendenza a non rivolgersi al partner in caso di bisogno)
2.6
1.77
Tabella 15: primo gruppo
Item e relativo significato
P.medio Dev.standard
item 3(disagio nell’intimità con il partner)
2.9
1.9
item 9 (disagio di aprirsi con il partner)
3.23
1.98
item 11 (tendenza a tirarsi indietro nei momenti di avvicinamento)
2.93
1.95
item 12 (desiderio di fusione con il partner)
2.69
1.91
item 13 (nervosismo se il partner si avvicina troppo)
2.58
1.88
item 15 (disagio di condividere intimi pensieri e sentimenti con il partner)
3.21
1.92
item 17 (evitamento della vicinanza con il partner)
2.81
1.96
item 19 (difficoltà ad avvicinarsi al partner)
3
1.84
item 20 (sensazione di forzare il partner a mostrare maggiore sentimento ed
3.56
1.95
item 23 (tendenza a non avvicinarsi troppo al partner)
2.8
1.99
item 25 (tendenza a non raccontare le proprie cose al partner)
3.18
1.85
item 29 (disagio ad affidarsi al partner)
3.16
1.89
item 30 (frustrazione se il partner non è presente come si vorrebbe)
4.4
1.98.
item 31 (difficoltà a chiedere conforto e aiuto al partner)
2.8
1.84
item 32 (frustrazione se il partner non è disponibile)
4.66
1.93
item 34 (forte disagio di fronte alle critiche del partner)
5.04
1.83
item 35 (tendenza a non chiedere conforto e rassicurazione al partner)
2.83
1.82
item 36 (rabbia se il partner trascorre del tempo lontano)
4.41
1.98
impegno)
Tabella 16: secondo gruppo
148
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A.A. 2005-2006
Item e relativo significato
P.medio Dev.standard
item 1 (tendenza a non mostrare al partner come ci si sente veramente)
4.175
2.08
item 2 (Paura di essere abbandonato)
3.5
2.1
item 4 (preoccupazione per le relazioni sentimentali)
4.17
2.2
item 5 (tendenza a fuggire se il partner si avvicina)
2.8
2.03
item 6 (timore che il partner non ci tenga altrettanto)
3.05
2.05
item 7 (disagio se il partner vuole essere troppo vicino)
2.83
2.03
item 8 (paura di perdere il partner)
3.87
2.21
item 10 (desiderio di sentimenti altrettanto forti nel partner)
4.19
2.11
item 14 (paura di restare da solo)
4.04
2.28
item 18 (bisogno di rassicurazione di essere amato)
3.98
2.23
item 21 (difficoltà ad affidarsi completamente al partner)
3.62
2.11
item 22 (paura di essere lasciato)
3.86
2.20
item 24 (rabbia se non si riesce ad ottenere che il partner mostri interesse)
4.55
2.02
item 28 (ansioso e insicuro senza una relazione)
3.69
2.22
Tabella 17: terzo gruppo
Se si suddivide il campione in due sottogruppi (maschi-femmine). maggiore variabilità si
riscontra nel sottogruppo delle femmine; i soggetti di sesso femminile, rispetto ai soggetti di
sesso maschile, hanno ottenuto punteggi medi fra 2 e 5 con una deviazione standard di 2.
In particolare il punteggio medi sono più alti, vale a dire i punteggi medi ottenuti vanno da 3
a 5, mentre nei maschi i punteggi medi vanno da 2 a 4.
Relativamente al FACES III è possibile evidenziare che i punteggi medi 21 ottenuti dai
soggetti in tutti gli item oscillano fra 2 e 4 con una deviazione standard che varia da .566 a
1.5.
Nello specifico per la dimensione della coesione per gli item 7 e 11 correlati al concetto di
confine emotivo il punteggio medio è rispettivamente di 3.80 con deviazione standard di .944
e 3.70 con deviazione standard di 1.086; per gli item 1 e 17 correlati al concetto di
supportiveness (sostegno emotivo) il punteggio medio è rispettivamente di 3.68 (dev.
Standard 1.194) e 3.58 (dev. Standard di 1.266); per gli item 15 e 19 correlati al concetto di
21
I punteggi medi stanno ad indicare l’orientamento che i soggetti hanno nel valutare su una scala da 1 a s
quanto spesso accade l’affermazione del relativo item, dove 1 rappresenta “mai” e 7 “sempre”.
149
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
confini familiari i punteggi medi relativi sono di 3.58 (dev. Standard di 1.353) e di 3.89 ( dev.
Standard di .654) ; per gli item 3 e 9 correlati al concetto di amici e tempo libero è possibile
rilevare i punteggi medi equivalenti a 3.61 (dev. Standard di 1.269) e di 3.67 (dev. Standard di
1.222); per gli item 5 e 13 correlati al concetto di interessi e attività ricreative i punteggi medi
sono rispettivamente di 3.28 con deviazione standard di 1.406 e di 2.67 con deviazione
standard di 1.372.
Per la dimensione di adattabilità per gli item 6 e 12 correlati al concetto di leadership i
punteggi medi sono rispettivamente di 3.24 (dev. Standard 1.316) e di 3.60 (dev. Standard di
1.265); per gli item 2 e 4 correlati al concetto di controllo i punteggi medi riscontrati sono:
3.53 (dev.st. 1.317) e di 3.39 (dev.st. 1.256); per gli item 8 e 10 correlati al concetto di
disciplina i punteggi medi osservati sono: 3.31 (dev.st. 1.314) e 3.44 (dev.st. 1.297); per gli
item 14, 16, 18 e 20 correlati al concetto di ruoli e regole sono rispettivamente 2.20 (dev.st.
1.253), 3.02 (dev. St. 1.425), 2.73 (dev.st. 1.5) e 2.09 (dev.st. 1.261).
Per quanto riguarda i punteggi medi ottenuti nella valutazione globale delle dimensioni
ansietà, evitamento, coesione reale, adattabilità reale, coesione ideale e adattabilità ideale si
può evidenziare per la scala dell’ansietà il punteggio medio è 66.43 con deviazione standard
23.03; per la scala evitamento il valor medio è di 54.61 con deviazione standard di 22.85. Per
la dimensione della coesione reale il punteggio medio è di 35.42 con deviazione standard di
8.95 e per la dimensione della coesione ideale il punteggio medio è di 39.71 con deviazione
standard di 4.27; per la dimensione dell’adattabilità reale il punteggio medio è di 30.80 con
deviazione standard di 8.84 e per la dimensione dell’adattabilità ideale il punteggio medio è di
37.48 con deviazione standard di 4.68.
150
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
80
70
60
50
40
30
20
10
0
Mean
Std. Deviation
ansia
evitamento
coesione reale
coesione ideale
adattabilità reale
68,43125
54,6125
35,425
39,7125
30,80625
adattabilità ideale
37,4875
23,03964914
22,85171986
8,952389794
4,278640088
8,849899175
4,685032369
Suddividendo poi il campione per gruppo e per ruolo all’interno della coppia è possibile
evidenziare che i punteggi medi si presentano per la dimensione evitamento e ansietà nel
campione sperimentale molto più elevati che non nel campione di controllo rispetto ai
punteggi medi normativi 22 . Il campione sperimentale risulta avere punteggi sia di Evitamento
che di Ansietà molto più elevati sia per i mariti che per le mogli; mentre il campione di
controllo sembra avere un punteggio medio che non si distacca di molto dai valori normativi.
Gruppo
Ruolo nella coppia
Marito
Sperimentale
Moglie
Mean
Std. Deviation
Evitamento
55,9750
22,35092
Ansietà
70,6250
23,84640
Evitamento
59,0500
26,55227
Ansietà
71,1000
26,28327
Tabella 18: punteggi medi del campione sperimentale (evitamento e ansietà)
22
Per la dimensione evitamento: per la fascia 21-25 anni il punteggio medio è di 44.05 con deviazione standard
pari a 19.40; per la fascia 26-65 il punteggio medio è di 41.34 con deviazione standard di 18.71. per la
dimensione ansietà: per la fascia 21-35 anni il punteggio medio è di 59.89 con deviazione standard pari a 20.63
per i maschi e di 69.76 con deviazione standard di 20.50 per le femmine; per la fascia 36-65 il punteggio medio è
di 62.35 con deviazione standard di 24.38 per i maschi e di 61.93 con deviazione standard di 23.59 per le
femmine. (Picardi, 2002)
151
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
Gruppo
A.A. 2005-2006
Ruolo nella coppia
Marito
Controllo
Moglie
Mean
Std. Deviation
Evitamento
51,6750
23,11109
Ansietà
66,7000
21,39039
Evitamento
51,7500
18,73260
Ansietà
65,3000
20,53665
Tabella 19: punteggi medi del campione di controllo (evitamento e ansietà)
Per quanto riguarda le dimensione della coesione e dell’adattabilità è possibile notare che i
punteggi medi sia per il campione sperimentale e sia per il campione di controllo si discostano
leggermente dai valori normativi 23 . Per quanto riguarda il campione sperimentale, prendendo
in considerazione la percezione reale della coppia, i partner ottengono un punteggio medio per
la coesione più basso (32.6750 D.S. 10.27416 per i mariti; 35.2750 con D.S. 9.10618 per le
mogli) rispetto al valore normativo mentre per la dimensione dell’adattabilità risulta essere
più alto (29 con D.S. 10.23067 per i mariti e 29.9500 con D.S. 9.34509 per le mogli).
Gruppo
Ruolo nella coppia
Marito
sperimentale
Moglie
Mean
Std. Deviation
Coesione Reale
32,6750
10,27416
Coesione Ideale
38,0250
3,78585
Adattabilità Reale
29,0000
10,23067
Adattabilità Ideale
36,9250
4,02166
Coesione Reale
35,2750
9,10618
Coesione Ideale
39,2750
3,96127
Adattabilità Reale
29,9500
9,34509
Adattabilità Ideale
37,8250
4,44849
Tabella 20: punteggi medi del campione sperimentale (dimensione coesione ed adattabilità)
Per quanto riguarda il gruppo di controllo è possibile evidenziare che per la dimensione della
coesione i punteggi medi sono leggermente più bassi (36.6250 D.S. 7.51302 per i mariti;
37.1250 con D.S. 8.34262 per le mogli) dei valori normativi mentre per la dimensione
dell’adattabilità risultano essere largamente più alti (32.4750 con D.S. 7.49012 per i mariti e
31.8000 con D.S. 7.95242 per le mogli).
152
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
Gruppo
A.A. 2005-2006
Ruolo nella coppia
Marito
Controllo
Moglie
Mean
Std. Deviation
Coesione Reale
36,6250
7,51302
Coesione Ideale
40,1250
4,33937
Adattabilità Reale
32,4750
7,49012
Adattabilità Ideale
37,6000
5,36274
Coesione Reale
37,1250
8,34262
Coesione Ideale
41,4250
4,41378
Adattabilità Reale
31,8000
7,95242
Adattabilità Ideale
37,6000
4,92924
Tabella 21: punteggi medi del campione di controllo (dimensione coesione ed adattabilità)
4.3.2 Faces III: Analisi delle frequenze e differenze fra medie
La premessa sostanziale per procedere all’analisi dei dati relativi al Faces III nasce dalla
considerazione teorica dell’esistenza di una connessione diretta fra il Faces III ed il Modello
Circonflesso di Olson, entrambi basati sulle medesime dimensioni, coesione ed adattabilità.
Al centro di tale connessione si colloca l’ipotesi secondo la quale esiste una relazione
curvilineare fra coesione, adattabilità e funzionamento familiare. Si ipotizza pertanto un
miglior funzionamento delle famiglie bilanciate (i quattro tipi centrali nel modello), rispetto ai
tipi che presentano modalità di funzionamento estreme per entrambe le dimensioni.
Tale ipotesi curvilineare permette una doppia analisi sui punteggi (medie) e sulle categorie del
funzionamento e della tipologia di relazione (frequenze). Particolarmente appropriate risulta
essere l’analisi condotta con il coefficiente del chi-quadrato, ma per effettuare tale analisi si
deve avere una giusta numerosità all’interno di ogni categoria studiata. Proprio per tale
motivazione in questo lavoro non è stato possibile effettuare tale analisi.
Date tali premesse si è quindi proceduto, adoperando i cutting points suggeriti da Olson,
categorizzando i punteggi ottenuti dai soggetti nelle due dimensioni, ed a partire da quelli
discriminando le tipologie di funzionamento di coppia e il livello di soddisfazione all’interno
della coppia.
23
Come valori normativi si fa riferimento alla fascia d’età “adulti in tutte le fasi”. Per la coesione il valore
normativo è di 39.8 con D.S. 5.4; per l’adattabilità è di 24.1 con D.S. 4.7. (Galimberti, Farina, 1990)
153
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
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Si riportano qui di seguito i cutting points di riferimento:
Coesione
Ampiezza
Disimpegnate
10-34
Separate
%
Adattabilità
Ampiezza %
16.3 cod.1
Rigide
10-19
16.3 cod.4
35-40
33.8 cod.2
Strutturate
20-24
38.3 cod.3
Connesse
41-45
36.3 cod.3
Flessibile
25-28
29.4 cod.2
Invischiate
46-50
13.6 cod.4
Caotiche
29-50
16.0 cod.1
Tabella 22: cutting points di riferimento
Tipi
Coesione
Adattabilità
Combinazioni
Bilanciate
2; 3;3;2 24 .
3;2;3;2.
2-3;3-2;3-3;2-2.
1;1;2;2;3;3;4;4.
3;2;1;4;1;4;3;2.
1-3;1-2;2-1;2-4;
1;1;4;4.
1;4;4;1.
1-1;1-4;4-4;4-1.
Combinazioni
cod.1
Intermedie
3-1;3-4;4-3;4-2.
cod.2
Estreme
cod.3
Tabella 23: tipologie di funzionamento
Per quanto riguarda l’insoddisfazione coniugale, corrispondente ad un livello di soddisfazione
coniugale (alti livelli di insoddisfazione corrispondono a scarsi livelli di soddisfazione
coniugale), si è proceduto calcolando il punteggio sintetico relativo alle dimensioni di
coesione e di adattabilità e poi suddividendo in terzili la variabile desiderata. Ciò ha
consentito di suddividere la distribuzione dei punteggi in valori alti, medi e bassi.
Di seguito viene riportata la suddivisione in terzili relativa all’intero campione studiato:
Grado di insoddisfazione/soddisfazione
Valori
1 (bassa insoddisfazione-alta soddisfazione)
0-8
24
In questa tabella sono riportate i livelli di coesione ed adattabilità per ogni tipologia di funzionamento
familiari e le conseguenti combinazioni per essere definiti tipi bilanciati, intermedi o estremi.
154
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2 (valori medi)
9-17
3 (alta insoddisfazione-bassa soddisfazione)
18-35
Tabella 24: livelli di insoddisfazione/soddisfazione
Dopo aver ricodificato i punteggi, ottenuti nelle singole dimensioni e nel funzionamento
coniugale, in variabili categoriche si è proceduto con l’analisi delle frequenze per la
dimensione della coesione reale ed ideale, dell’adattabilità reale ed ideale, del funzionamento
di coppia reale ed ideale, del livello di insoddisfazione e della tipologia di funzionamento.
Tali analisi sono state fatte suddividendo l’intero campione per gruppo (sperimentale e di
controllo) e per ruolo nella coppia (marito e moglie).
Coesione reale
Gruppo
Sperimentale
Ruolo nella coppia
Marito
Controllo
Marito
Frequenze
17
11
11
1
9
20
11
0
1
2
3
4
1
2
3
4
Percentuali
42.5
27.5
27.5
2.5
22.5
50.0
27.5
0
Tabella 25: coesione reale per il marito
Gruppo
Sperimentale
Ruolo nella coppia
Moglie
Controllo
Moglie
Frequenze
14
9
17
0
8
15
17
0
Percentuali
35.0
22.5
42.5
0
20.0
37.5
42.5
0
1
2
3
4
1
2
3
4
Frequenze
23
1
8
8
33
2
1
4
Percentuali
57.5
2.5
20.0
20.0
82.5
5.0
2.5
10.0
1
2
3
4
1
Frequenze
24
2
6
8
29
Percentuali
60.0
5.0
15.0
20.0
72.5
1
2
3
4
1
2
3
4
Tabella 26: coesione reale per la moglie
Adattabilità reale
Gruppo
Sperimentale
Ruolo nella coppia
Marito
Controllo
Marito
Tabella 27: adattabilità reale per il marito
Gruppo
Sperimentale
Ruolo nella coppia
Moglie
Controllo
Moglie
155
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
2
3
4
5
2
4
12.5
5.0
10.0
Tabella 28: adattabilità reale per la moglie
Dalle tabelle per la dimensione della coesione reale qui riportate si evince che la distribuzione
delle frequenze del gruppo sperimentale si differenzia dalla distribuzione del gruppo di
controllo sia per il marito che per la moglie. Nel gruppo sperimentale la distribuzione
comprende tutti i livelli di coesione mentre nel gruppo di controllo non ci sono persone
(marito o moglie) che percepiscono la loro coppia come invischiata.
Per quanto riguarda invece la dimensione dell’adattabilità è possibile sottolineare che nel
gruppo sperimentale le frequenze sono maggiormente distribuite rispetto al gruppo di
controllo ove si può notare una maggiore concentrazione di persone (marito e moglie) che
percepiscono la loro coppia come caotica; la stessa distribuzione di frequenze, rilevata da
moglie e marito, per il gruppo sperimentale (8) e per il gruppo di controllo (4), riguarda la
percezione di coppia come rigida.
Punteggi Faces versione reale gruppo
controllo
5
5
4
4
3
Mean
2
Std. Deviation
valori (1-5)
valori (1-5)
Punteggi Faces versione reale
gruppo sperimentale
3
Mean
2
Std. Deviation
1
1
0
0
1
4
7
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19
10 13 16 19
item
item
156
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
Punteggi faces versione reale MARITO
Punteggi faces versione reale MOGLIE
4
3
2,5
valori (1-5)
valori (1-5)
3,5
Mean
2
Std. Deviation
1,5
1
0,5
0
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
0
Mean
Std. Deviation
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19
item
item
grafico 6: Punteggi faces versione reale
Tali distribuzioni contrastano poi con la percezione di coppia ideale in entrambe le
dimensioni, coesione ed adattabilità, sia per entrambi i ruoli che per entrambi i gruppi.
Per quanto riguarda la dimensione della coesione la distribuzione delle frequenze in entrambi
i gruppi si concentra maggiormente nella percezione, da parte del marito e della moglie, come
separata e connessa; mentre, per quanto riguarda la dimensione dell’adattabilità
percepirebbero come ideale la coppia se divenisse caotica (nel 40% dei casi quando è il marito
del gruppo sperimentale ad esprimere i suoi desideri; nel 38% dei casi quando ad esprimersi è
la moglie del gruppo sperimentale; nel 38% dei casi quando è il marito del gruppo di controllo
ad esprimersi; nel 37% dei casi quando si esprime la moglie del gruppo di controllo).
Per quanto riguarda le dimensioni della coesione e dell’adattabilità ideali si è proceduto nel
medesimo modo, ricategorizzando i punteggi ottenuti dagli individui dell’intero campione ed
in un secondo momento, per effettuare l’analisi delle frequenze, suddividendo il campione per
gruppo e per ruolo all’interno della coppia.
Coesione ideale
Gruppo
Sperimentale
Ruolo nella coppia
Marito
Controllo
Marito
1
2
3
4
1
2
3
4
Frequenze
9
17
14
0
4
16
17
3
Percentuali
22.5
42.5
35.5
0
10.5
40.0
42.5
7.5
Tabella 29: coesione ideale per il marito
Gruppo
Ruolo nella coppia
Frequenze
157
Percentuali
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
Sperimentale
Moglie
Controllo
Moglie
A.A. 2005-2006
1
2
3
4
1
2
3
4
4
20
16
0
3
13
22
2
10.0
50.0
40.0
0
7.5
32.5
55.0
5.0
Tabella 30: coesione ideale per la moglie
Per la dimensione della coesione il 42.5% dei mariti del campione sperimentale vorrebbe
cambiare il funzionamento della propria coppia in separato, mentre il 35.5% in connesso; il
50% delle mogli cambierebbe il funzionamento di coppia in separato mentre il 40% in
connesso. Il gruppo di controllo è maggiormente sbilanciato per la dimensione della coesione
ideale verso un funzionamento connesso, sia per quanto riguarda i mariti (42.5%) sia per
quanto riguarda le mogli (55%).
Adattabilità ideale
Gruppo
Sperimentale
Ruolo nella coppia
Marito
Controllo
Marito
1
2
3
4
1
2
3
4
Frequenze
40
0
0
0
38
1
1
0
Percentuali
100.0
0
0
0
95.0
2.5
2.5
0
1
2
3
4
1
2
3
4
Frequenze
38
1
1
0
37
2
1
0
Percentuali
95.0
2.5
2.5
0
92.5
5.0
2.5
0
Tabella 31: adattabilità ideale per il marito
Gruppo
Sperimentale
Ruolo nella coppia
Moglie
Controllo
Moglie
Tabella 32: adattabilità ideale per la moglie
Dalle tabelle riportate si può evidenziare che per la dimensione dell’adattabilità ideale vi è un
andamento molto simile per il gruppo sperimentale e per quello di controllo. Il 100% dei
mariti e il 95% delle mogli aspirerebbero ad una coppia caotica; il 95% dei mariti e il 92.5%
delle mogli nel campione di controllo desidererebbero che la loro coppia fosse caotica.
158
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
Pinteggi faces versione ideale gruppo
di controllo
5
5
4
4
valori (1-5)
valori (1-5)
Punteggi faces versione ideale gruppo
sperimentale
3
2
1
3
Mean
2
Std. Deviation
1
0
0
1
3
5
7
9
11
13
15
17
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19
19
item
item
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
0
Punteggi faces versione ideale Moglie
valori (1-5)
valori (1-5)
Punteggi faces versione ideale Marito
Mean
Std. Deviation
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
0
Mean
Std. Deviation
1 3 5 7 9 11 13 15 17 19
item
item
grafico 7: punteggi faces versione ideale
Una analisi simile può essere effettuata in base al punteggio di coppia, ricodificato in
categoria, in entrambe le dimensioni, coesione ed adattabilità.
Per quanto riguarda i punteggi di coppia ottenuti nelle dimensioni studiate è possibile
evidenziare, dall’analisi delle frequenze, uno sbilanciamento nel campione sperimentale, sia
per quanto riguarda i mariti che le mogli, nel percepire la propria coppia come disimpegnata
(45%) e caotica (60%); mentre, nel gruppo di controllo, sia per quanto riguarda i mariti sia per
quanto riguarda le mogli, la percezione della coppia risulta essere maggiormente separata
(47.5%) e caotica (82.5%).
Nello specifico dalle tabelle qui riportate si può riscontrare che per la dimensione della
adattabilità reale (gruppo sperimentale: il 60% delle coppie si percepiscono caotiche, il 7.5%
flessibili, il 17.5% strutturate, il 15% rigide; gruppo di controllo: il 82.5% caotiche, l’2.5%
flessibile, il 7.5% strutturate, il 7.5% rigide), della coesione ideale (gruppo sperimentale: il
12.5% delle coppie si percepiscono disimpegnate, il 52.5% separate, il 32.5% connesse, il
159
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
2.5% invischiate; gruppo di controllo: il 5%
disimpegnate, l’35% separate, il 57.5%
connesse, il 2.5% invischiate) e dell’adattabilità ideale (gruppo sperimentale: il 97.5% delle
coppie si percepiscono caotiche, il 2.5% flessibili; gruppo di controllo: il 100% caotiche) le
coppie, dal punto di vista della moglie e del marito, si distribuiscono nel medesimo modo;
mentre, per la dimensione della coesione reale solo il gruppo di controllo si distribuisce in
maniera diversa ma seguendo il medesimo andamento (il gruppo differisce nella percezione
della coppia reale come disimpegnata e connessa: l’8% dei mariti percepisce la coppia come
disimpegnata, mentre il 10 %delle mogli percepiscono la coppia in tal modo; il 19% dei mariti
contro il 17% delle mogli percepiscono la coppia reale come separata). Per la coesione reale,
nel gruppo sperimentale, il 18% delle coppie si percepiscono come disimpegnate; il 5%
separate; il 16% connesse; l’1% invischiate.
Coesione reale di coppia
Gruppo
Sperimentale
Ruolo nella
coppia
Marito
Moglie
Controllo
Marito
Moglie
1
2
3
4
1
2
3
4
1
2
3
4
1
2
3
4
Frequenze
Percentuali
18
5
16
1
18
5
16
1
8
19
13
0
10
17
13
0
45.0
12.5
40.0
2.5
45.0
12.5
40.0
2.5
20.0
47.5
32.5
0
25.0
42.5
32.5
0
Tabella 33: coesione reale di coppia
Adattabilità reale di coppia
Gruppo
Sperimentale
Ruolo nella
coppia
Marito
Moglie
Controllo
Marito
1
2
3
4
1
2
3
4
1
2
3
160
Frequenze
Percentuali
24
3
7
6
24
3
7
6
33
1
3
60.0
7.5
17.5
15.0
60.0
7.5
17.5
15.0
82.5
2.5
7.5
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
Moglie
A.A. 2005-2006
4
1
2
3
4
3
33
1
3
3
7.5
82.5
2.5
7.5
7.5
Tabella 34: adattabilità reale di coppia
Coesione ideale di coppia
Gruppo
Sperimentale
Ruolo nella
coppia
Marito
Moglie
Controllo
Marito
Moglie
1
2
3
4
1
2
3
4
1
2
3
4
1
2
3
4
Frequenze
Percentuali
5
21
13
1
5
21
13
1
2
14
23
1
2
14
23
2
12.5
52.5
32.5
2.5
12.5
52.5
32.5
2.5
5.0
35.0
57.5
2.5
5.0
35.0
57.5
5.0
Tabella 35: coesione ideale di coppia
Adattabilità ideale di coppia
Gruppo
Sperimentale
Ruolo nella
coppia
Marito
Moglie
Controllo
Marito
Moglie
1
2
3
4
1
2
3
4
1
2
3
4
1
2
3
4
Tabella 36: adattabilità ideale di coppia
161
Frequenze
Percentuali
39
1
0
0
39
1
7
6
40
0
0
0
40
0
0
0
97.5
2.5
0
0
97.5
2.5
0
0
100
0
0
0
100
0
0
0
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
Attraverso le tabelle a doppia entrata è possibile evidenziare il posizionamento delle coppie
all’interno della definizione delle dimensioni di adattabilità e coesione. I dati rilevati mostrano
una discordanza in entrambi i gruppi fra la percezione del funzionamento di coppia dei mariti
e delle mogli:
o nel gruppo sperimentale 23 mariti percepiscono la coppia caotica, di cui 10 caoticaseparata, 10 caotica-connessa, 2 caotica-disimpegnata, 1 caotica-invischiata; 8 mariti
percepiscono la coppia rigida-disimpegnata, 7 strutturata-disimpegnata, 1 strutturataseparata ed infine 1 flessibile-connessa.
o Nel gruppo di controllo 33 mariti percepiscono la propria coppia come caotica di cui
19 la percepiscono caotica-separata, 11 caotica-connessa, 3 caotica-disimpegnata; 4
mariti percepiscono la propria coppia come rigida-disimpegnata, 1 strutturatadisimpegnata, 1 flessibile-disimpegnata, ed infine 1 flessibile-separata.
gruppo
adattabilità reale
ruolo nella coppia
sperimentale
marito
1,00
coesione reale
marito
coesione reale
3,00
4,00
Total
1,00
2
0
7
8
17
2,00
10
0
1
0
11
3,00
10
1
0
0
11
4,00
1
0
0
0
1
23
1
8
8
40
1,00
3
1
1
4
9
2,00
19
1
0
0
20
3,00
11
0
0
0
11
33
2
1
4
40
Total
controllo
2,00
Total
Tabella 37: crosstab coesione/adattabilità (marito)
o Nel gruppo sperimentale 24 mogli percepiscono la coppia caotica, di cui 15 caoticaconnessa, 6 caotica-separata, 3 caotica-disimpegnata; 7 mogli percepiscono la coppia
rigida-disimpegnata, 4 strutturata-disimpegnata, 1 strutturata-separata, 1 flessibileseparata, 1 rigida-separata; 1 flessibile-connessa ed infine 1 strutturata-connessa.
o Nel gruppo di controllo 29 mogli percepiscono la propria coppia come caotica di cui
11 la percepiscono caotica-separata, 17 caotica-connessa, 1 caotica-disimpegnata; 4
162
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
mogli percepiscono la propria coppia come rigida-disimpegnata, 2 strutturatadisimpegnata, 1 flessibile-disimpegnata,ed infine 4 flessibile-separata.
gruppo
sperimentale
adattabilità reale
ruolo nella coppia
1,00
coesione reale
moglie
coesione reale
moglie
3,00
4,00
Total
1,00
3
0
4
7
14
2,00
6
1
1
1
9
3,00
15
1
1
0
17
24
2
6
8
40
1,00
1
1
2
4
8
2,00
11
4
0
0
15
3,00
17
0
0
0
17
29
5
2
4
40
Total
controllo
2,00
Total
Tabella 38: crosstab coesione/adattabilità (moglie)
Per quanto riguarda la tipologia di funzionamento di coppia si può evidenziare che la
distribuzione delle frequenze nelle tipologie estreme all’interno del gruppo sperimentale è
maggiore rispetto a quella di controllo. Una particolare attenzione va rivolta a come si
collocano le donne/mogli del gruppo sperimentale 25 :
il 10% delle donne colloca la propria coppia fra le coppie bilanciate; il 65% fra le coppie
intermedie; il 25% fra le coppie estreme.
I mariti del gruppo sperimentale si collocano nel 67.5% dei casi nelle tipologie intermedie, nel
27.5% in quelle estreme e nel 5% nelle tipologie bilanciate. Tale andamento si differenzia
nettamente dalle distribuzioni presenti nella popolazione normativa, ove il 48.5% dei casi le
coppie si definiscono bilanciate, nel 40.2 % intermedie e nell’11.3% estreme.
Tipologia funzionamento coniugale
Gruppo
Sperimentale
Ruolo nella
coppia
Marito
Moglie
Controllo
Marito
1 (bilanciate)
2 (intermedie)
3 (estreme)
1 (bilanciate)
2 (intermedie)
3 (estreme)
1 (bilanciate)
25
Frequenze
Percentuali
2
27
11
4
26
10
1
5.0
67.5
27.5
10.0
65.0
25.0
2.5
Nel gruppo sperimentale, come già evidenziato nelle premesse di questo lavoro, le donne vivono la condizione
di obesità.
163
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
Moglie
A.A. 2005-2006
2 (intermedie)
3 (estreme)
1 (bilanciate)
2 (intermedie)
3 (estreme)
32
7
4
31
5
80.0
17.5
10.0
77.5
12.5
Tabella 39: tipologia di funzionamento di coppia
Nello specifico, attraverso una analisi puntuale delle analisi delle frequenze della suddivisione
delle coppie all’interno di tipologie categorizzate in bilanciate, intermedie ed estreme, si può
notare attraverso le seguenti tabelle la peculiare distribuzione della percezione del
funzionamento di coppia del marito e della moglie sia del campione sperimentale che di
quello di controllo.
Per il gruppo sperimentale i mariti percepiscono nel 40% dei casi la propria coppia come
caotica-separata (tipo: intermedio), nel 20% rigida-disimpegnata (tipo: estremo), 17.5%
strutturata-connessa (tipo: bilanciato); il 25% delle mogli percepisce la propria coppia come
caotica-separata (tipo: intermedio), il 22% come caotica-connessa (tipo: intermedio), il 17.5%
infine come rigida-disimpegnata (tipo: estremo).
Gruppo
Ruolo Nella Coppia
Marito
Frequenze
Percentuali
rigido-disimp.
8
20,0
strutturato-disimp.
7
17,5
strutturato-sep.
1
2,5
flessibile-connesso
1
2,5
caotico-disimp.
3
7,5
caotico-separato
16
40,0
caotico-connesso
3
7,5
caotico-invischiato
1
2,5
rigido-disimp.
7
17,5
rigido-separato
1
2,5
strutturato-disimp.
4
10,0
strutturato-sep.
1
2,5
strutturato-conn.
1
2,5
flessibile-separato
1
2,5
Sperimentale
Moglie
164
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
flessibile-connesso
1
2,5
caotico-disimp.
5
12,5
caotico-separato
10
25,0
caotico-connesso
9
22,5
Tabella 40: tipologia di funzionamento di coppia (campione sperimentale)
Per il gruppo di controllo il 60% dei mariti percepisce la propria coppia come caotica-separata
(tipo: intermedio), il 15% come caotica-disimpegnata (tipo: estremo) ed il 10 % come rigidodisimpegnata (tipo: estremo); la distribuzione delle mogli risulta essere molto più
disarticolata, vedendo il 30% delle percezioni di coppia incentrate nella percezione caoticoseparata (tipo: intermedio), il 20% caotico-connessa (tipo: intermedio), il 15% flessibileseparata (tipo: bilanciato), il 10% rigido-disimpegnata (tipo: estremo), fino ad avere un solo
caso di coppia percepita come caotico-invischiata (tipo: estremo).
Gruppo
Ruolo Nella Coppia
Marito
Frequenze
rigido-disimp.
4
10,0
flessibile-disimp.
2
5,0
flessibile-conn.
1
2,5
caotico-disimp.
6
15,0
caotico-separato
24
60,0
caotico-connesso
3
7,5
rigido-disimp.
4
10,0
Strutt.-disimp.
2
5,0
Strutt.-separato
1
2,5
flessibile-disimp.
2
5,0
flessibile-sep.
6
15,0
flessibile-conn.
1
2,5
caotico-disimp.
3
7,5
caotico-separato
12
30,0
caotico-connesso
8
20,0
caotico-invisch.
1
2,5
controllo
Moglie
Percentuali
Tabella 41: tipologia di funzionamento di coppia (campione di controllo)
165
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Per quanto riguarda il livello di soddisfazione della coppia si può evidenziare che il 50% delle
mogli del gruppo di controllo risulta soddisfatto della propria coppia, il 25% ha un livello di
soddisfazione medio e il restante 25% ha un livello di soddisfazione basso; per i mariti del
gruppo di controllo il 25% ha un livello di soddisfazione basso, il 40% medio, mentre solo il
35% dei meriti del gruppo di controllo risulta soddisfatto della propria coppia.
Da qui si può evincere che la soddisfazione nel gruppo di controllo, fra moglie e marito non
sembra corrispondere, dimostrando una eterogeneità sia di percezione della coppia sia del
proprio livello di soddisfazione, così come invece sembra corrispondere nel gruppo
sperimentale. Per i mariti del gruppo sperimentale è possibile evidenziare un buon livello di
soddisfazione coniugale nel 37.5% dei casi, nel 30% dei casi medio, nel 32.5% dei casi si ha
uno scarso livello di soddisfazione coniugale.
Per il 40% delle mogli si riscontra un buon livello di soddisfazione coniugale, il 25% medio,
mentre il 35% delle mogli esprime un alto livello di insoddisfazione coniugale.
Ciò sembrerebbe far ipotizzare una cristallizzazione del rapporto di coppia nel gruppo
sperimentale, che non solo sembra avere punteggi di coppia simili per le due dimensioni
studiate dal Faces III e quindi simile percezione di coppia, ma sembra anche avere simile
livello di soddisfacimento/in soddisfacimento della coppia stessa, come se i partner facessero
da specchio l’uno all’altro.
Insoddisfazione di coppia
Gruppo
Sperimentale
Ruolo nella
coppia
Marito
Valid
Controllo
Marito
Valid
1 (basso)
2 (medio)
3 (alto)
1 (basso)
2 (medio)
3 (alto)
Frequenze
Percentuali
15
12
13
14
16
10
37.5
30.0
32.5
35.0
40.0
25.0
Frequenze
Percentuali
16
10
14
20
10
10
40.0
25.0
35.0
50.0
25.0
25.0
Tabella 42: insoddisfazione di coppia (secondo il marito)
Gruppo
Sperimentale
Ruolo nella
coppia
Moglie
Valid
Controllo
Moglie
Valid
1 (basso)
2 (medio)
3 (alto)
1 (basso)
2 (medio)
3 (alto)
Tabella 43: insoddisfazione di coppia (secondo la moglie)
166
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
4.3.3 ECR: Analisi delle frequenze e differenze fra medie
L’analisi descrittiva dei punteggi ottenuti dai soggetti nel questionario Experience in close
relationship deve partire dal presupposto che tale strumenti fornisce due tipologie di risultati: i
punteggi veri e propri ottenuti ad ogni singolo item, che sommati danno il punteggio finale
alle dimensioni dell’evitamento e dell’ansietà, e le categorie, relative al punteggio ottenuto
alle due dimensioni, che permettono di descrivere la tipologia di attaccamento dell’individuo
e della coppia.
Data tale premessa l’analisi dei dati, come del resto è stato fatto anche con i risultati ottenuti
al Faces III, procede su due livelli diversi:
o l’analisi delle frequenze delle categorie relative alla tipologia di attaccamento;
o l’analisi delle medie relativa ai punteggi ottenuti alle due dimensioni studiate.
Da quanto emerge dall’analisi delle frequenze delle categorie relative alla tipologia di
attaccamento romantico (Bartholomew, Horowitz, 1991) individuale è possibile evidenziare
che il 42.5% dei mariti del campione sperimentale risulta avere attaccamento
evitante/timoroso, il 25% preoccupato, il 22.5% evitante e solo il 10% sicuro; andamento
simile è possibile notare nella categorizzazione della tipologia di attaccamento per le mogli
(pazienti obese) con una differenza 7 donne (17.5%) contro 4 uomini (10%) mostrano
attaccamento sicuro, il 37.5% evitante/timoroso, il 25% preoccupato, il 20% evitante.
Gruppo
Ruolo
Nella
Frequenze
Coppia
Sperimentale
Marito
Preoccupato
Evitante
Evitante/Timoroso
Sicuro
Moglie
Preoccupato
Evitante
Evitante/Timoroso
Sicuro
Percentuali
10
25,0
9
22,5
17
42,5
4
10,0
10
25,0
8
20,0
15
37,5
7
17,5
Tabella 44:tipologia di attaccamento individuale
Nel gruppo di controllo vi è un maggior numero di soggetti, sia fra le donne (20%) che fra gli
uomini (22.5%), con attaccamento sicuro, ed una maggiore percentuale si riscontra anche fra i
167
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
soggetti evitanti (52.5% delle mogli, 40% dei mariti), i preoccupati ricoprono una percentuale
minore (5% dei mariti ed il 15% delle mogli) mentre la percentuale degli evitanti/timorosi
risulta essere il 32.5% dei mariti e il 12.5% delle mogli.
Controllo
Marito
Moglie
2
5,0
Evitante
16
40,0
Evitante/Timoroso
13
32,5
Sicuro
9
22,5
Preoccupato
6
15,0
21
52,5
Evitante/Timoroso
5
12,5
Sicuro
8
20,0
Preoccupato
Evitante
Tabella 45: tipologia di attaccamento individuale
I punteggi individuali poi sono stati incrociati per ogni singola coppia in modo tale da avere
una categoria di coppia, che rispecchia l’incrocio delle due categorie individuali. Tale
categoria è stata quindi riconvertita e ricodificata suddividendola nelle tre tipologie di
attaccamento di coppia proposte da Fisher e Crandall (2003):
1. sicuro/sicuro
2.
3. sicuro/insicuro
insicuro
sicuro/preoccupato;
sicuro/evitante;
sicuro/evitante-timoroso.
Gruppo
Sperimentale
controllo
preoccupato/preoccupato;
preoccupato/evitante;
preoccupato/evitante-timoroso;
evitante-timoroso/evitante;
evitante/evitante;
evitante-timoroso/evitante-timoroso.
Frequenze
Percentuali
2
31
7
1
25
14
Sicuro-Sicuro
Insicuro
Sicuro-insicuro
Sicuro-Sicuro
Insicuro
Sicuro-insicuro
5,0
77,5
17,5
2.5
62,5
35,0
Tabella 46: tipologia di attaccamento di coppia (gruppo sperimentale)
Dai dati inseriti nella tabella è possibile notare una distribuzione lievemente diversa fra i
gruppi, sperimentale e di controllo: il 35% del gruppo di controllo, a differenza del gruppo
sperimentale (17.5%), ha un attaccamento sicuro-insicuro, il 77.5% del gruppo sperimentale
ha un attaccamento di tipo insicuro, mentre nel gruppo di controllo abbiamo il 62.5% delle
168
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
coppie con la medesima tipologia di attaccamento (insicuro), ed infine il 5% delle coppie
sperimentali, a differenza di quelle di controllo (2.5%) hanno un attaccamento romantico di
tipo sicuro.
Dall’analisi delle medie effettuate sui punteggi ottenuti dai soggetti nei singoli item è
possibile evidenziare che i soggetti hanno un andamento molto simile di risposta, tranne
nell’item 14, negli item fra il 19 ed il 23 ed infine fra il 26 ed il 29. Tali item, come abbiamo
mostrato in precedenza, hanno significati specifici: per la maggior parte questi item hanno
tutti significati connessi all’intimità (item 14: paura di restare da solo; item 19: difficoltà ad
avvicinarsi al partner; item 20: sensazione di forzare il partner a mostrare maggiore
sentimento ed impegno; item 21: difficoltà ad affidarsi completamente al partner; item 22:
paura di essere lasciato; item 26: sensazione che il partner non si avvicini abbastanza; item 28:
ansioso e insicuro senza una relazione; item 29: disagio ad affidarsi al partner) solo l’item 27
riguarda la soluzione di problemi ed il coinvolgimento dell’altro in proprie preoccupazioni.
Negli item connessi al concetto di intimità il gruppo sperimentale, a differenza di quello di
controllo, sembra ottenere punteggi medi maggiormente orientati verso l’accordo rispetto
all’affermazione dell’item di riferimento; diverso è il punteggio medio del gruppo
sperimentale riguardo all’item 27, orientato più, come anche nel campione di controllo, verso
il disaccordo.
grafico 8: punteggi ecr campione sperimentale
punteggi ecr gruppo sperimentale
6
5
4
3
2
1
0
1
3
5
7
9
11 13
15
17 19
21 23
25 27
29 31
169
33
35
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
grafico 9: punteggi ecr campione di controllo
punteggi ecr gruppo di controllo
6
5
4
3
2
1
0
1
3
5
7
9
11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35
Analisi simile viene condotta anche per i sottogruppi marito/moglie e si evidenzia che
nll’item 32 e negli item fra il 19 ed il 24 i soggetto ottengono dei punteggi diversi. Tali item
sono connessi all’intimità ed alla sicurezza del sentimento dell’altro nei propri confronti
(l’item 24 per esempio è connesso alla rabbia se non si riesce ad ottenere che il partner
dimostri interesse).
Nell’item 32 (frustrazione se il partner non è disponibile) le mogli hanno un punteggio medio
rispetto ai mariti più vicini all’accordo relativamente all’affermazione di riferimento
dell’item; mentre negli item fra il 19 ed il 24 vie è un maggior accordo, relativamente alle
affermazioni degli item, dei mariti rispetto alle mogli.
grafico 10: punteggi ecr (marito)
punteggi ecr marito
6
5
4
3
2
1
0
1
3
5
7
9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35
170
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
grafico 11: punteggi ecr (moglie)
punteggi ecr moglie
6
5
4
3
2
1
0
1
3
5
7
9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35
4.3.4 Evitamento, ansietà, coesione ed adattabilità: analisi delle differenze fra medie
Dalle analisi fin qui descritte emergono alcune differenze sostanziali sia nelle distribuzioni di
frequenze sia nelle analisi delle differenze fra medie.
Andando a costruire una tabella riassuntiva dei risultati dell’analisi delle differenze fra medie
relative ai punteggi complessivi ottenuti dai soggetti in tutte le dimensioni studiate, è possibile
evidenziare delle differenze fra i soggetti del gruppo sperimentale e quelli del gruppo di
controllo.
Per quanto riguarda le dimensioni studiate per analizzare l’attaccamento è possibile
sottolineare che in entrambe le dimensioni i soggetti del gruppo sperimentale hanno ottenuto
punteggi medi più elevati del gruppo di controllo; al contrario per le dimensioni analizzate per
lo studio del funzionamento familiare i punteggi medi del gruppo sperimentale sono
leggermente più bassi di quello di controllo. Bisogna però considerare che i punteggi medi
all’interno delle dimensioni della Coesione e dell’Adattabilità devono essere considerati come
punteggi che si muovono in una relazione, fra le due dimensioni, di tipo curvilineare, per cui
potrebbero andare perse con questo tipo di analisi molte informazioni importanti.
gruppo
ansietà evitamento
Mean
sperimentale N
Std.
Deviation
coesione
reale
coesione
ideale
adattabilità
reale
adattabilità
ideale
70,8625
57,5125
33,9750
38,6500
29,4750
37,3750
80
80
80
80
80
80
24,93624
24,43488
9,73442
3,90099
9,74741
4,23779
171
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
Mean
controllo
N
Std.
Deviation
Mean
Total
N
Std.
Deviation
A.A. 2005-2006
66,0000
51,7125
36,8750
40,7750
32,1375
37,6000
80
80
80
80
80
80
20,84664
20,90254
7,89227
4,39786
7,68320
5,11785
68,4313
54,6125
35,4250
39,7125
30,8063
37,4875
160
160
160
160
160
160
23,03965
22,85172
8,95239
4,27864
8,84990
4,68503
Tabella 47: punteggi medi per dimensioni studiate e per gruppo
Analisi descrittiva diversa va fatta se utilizzassimo il campione suddividendolo per ruolo
all’interno della coppia, quindi marito vs. moglie. Con tale suddivisione è possibile vedere
che nella dimensione Ansietà, adattabilità reale ed adattabilità ideale i mariti e le mogli
ottengono un punteggio medio molto simile (ansietà: 68.66-mariti, 68.20-mogli; adattabilità
reale: 30.73-mariti, 30.87-mogli; adattabilità ideale: 37.26-mariti, 37.71-mogli). Nelle
dimensioni evitamento, coesione reale e coesione ideale i punteggi per i mariti e per le mogli
sono leggermente diversi (evitamento: 53.82-mariti, 55.40-mogli; coesione reale: 34.65mariti, 36.20-mogli; coesione ideale: 39.07-mariti, 40.35-mogli) 26 .
ruolo nella
coppia
ansietà evitamento
Mean
marito
N
Std.
Deviation
Mean
moglie
N
Std.
Deviation
Mean
Total
N
Std.
Deviation
coesione
reale
coesione
ideale
adattabilità
reale
adattabilità
ideale
68,6625
53,8250
34,6500
39,0750
30,7375
37,2625
80
80
80
80
80
80
22,59436
22,69321
9,16115
4,18186
9,07876
4,72200
68,2000
55,4000
36,2000
40,3500
30,8750
37,7125
80
80
80
80
80
80
23,61688
23,12520
8,72709
4,30513
8,67176
4,66659
68,4313
54,6125
35,4250
39,7125
30,8063
37,4875
160
160
160
160
160
160
23,03965
22,85172
8,95239
4,27864
8,84990
4,685
Tabella 48: punteggi medi per dimensione e per ruolo
26
Per le dimensioni della coesione e dell’adattabilità bisogna sempre tenere in considerazione la relazione
curvilineare che le lega.
172
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4.3.5 Co-variazioni
Parlare di correlazione, o meglio covariazione, significa parlare del legame che unisce
variabile a variabili e degli indici che esprimono l’intensità di questo legame. La forma del
legame che viene generalmente ipotizzato tra due variabili è quella lineare; tuttavia tale forma
può essere anche di tipo diverso, come ad esempio curvilineare (Areni, Ercolani, Scalisi,
1994). In quest’ultimo caso, prendendo ad modello le dimensioni, con relazione curvilineare,
studiate in questo lavoro, ad un livello di coesione più basso o più elevato si associa una bassa
adattabilità che invece risulta massima in corrispondenza ad un livello di coesione intermedio.
Il primo aspetto, quindi, da considerare è il tipo di relazione esistente fra le variabili, che
sinteticamente si può definire:
o di tipo lineare, ossia la relazione che, se rappresentata graficamente su assi cartesiani
si avvicina alla forma di una retta;
o di tipo non lineare, ovvero la relazione che, espressa graficamente ha un andamento di
tipo curvilineo, come per esempio quello di una parabola o di una iperbole.
In un secondo momento si passa ad analizzare la “forma” della relazione, ovvero l’entità e la
direzione dell’eventuale legame tra le variabili in considerazione.
Per esprimere sinteticamente la relazione tra due variabili, in termini di intensità e direzione,
si utilizza il coefficiente di correlazione, che può essere definito come un numero che
sintetizza il rapporto tra le variabili, sia in termini di forza (covariazione o indifferenza, sia in
termini di direzione (negativa o positiva).
In virtù della molteplicità e della tipologia delle variabili prese in considerazione in questo
lavoro di ricerca sono stati selezionati due tipi di coefficiente di correlazione diversi:
ƒ
il coefficiente r di Pearson per le variabili di tipo numerico misurate su scale ad
intervalli.
ƒ
Il coefficiente rs di Spearman per le variabili categoriali misurate su scala ordinale.
Entrambi i coefficienti possono assumere valori che vanno da -1 a +1, indicando
rispettivamente -1 una perfetta relazione lineare negativa, +1 una perfetta relazione lineare
positiva, 0 indica una assenza di relazione fra le variabili studiate. Questi valori però sono
raramente riscontrabili, mentre molto più diffusi sono i valori intermedi.
173
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
Inoltre accanto al coefficiente di correlazione è molto utile calcolare anche il coefficiente di
determinazione (r2) che misura l’ammontare di una variabile che viene spiegato dalla sua
relazione con l’altra variabile.
A partire da tali premesse, è stata effettuata un’analisi della correlazione fra le quattro
dimensioni studiate (ansietà, evitamento, coesione ed adattabilità). Per le dimensioni della
coesione e dell’adattabilità è necessario prendere in considerazione solo i punteggi relativi
alla percezione reale della coppia; tale decisione è dovuta al fatto che le dimensioni analizzate
devono studiare lo stesso piano di realtà, in quanto l’attaccamento romantico viene studiato
attraverso l’analisi di relazioni vissute come altresì il funzionamento di coppia, diverso
sarebbe se andassimo a correlare l’attaccamento vissuto con il funzionamento desiderato.
Pertanto, dalle analisi effettuate emerge una relazione di tipo lineare negativo fra la
dimensione dell’evitamento e quella della coesione reale (r = -.648 ), stessa relazione sembra
esistere sempre fra la dimensione dell’evitamento e la dimensione dell’adattabilità reale (r =
-.590). La varianza spiegata dalla relazione esistente fra evitamento e coesione reale è pari al
42%, ciò significa che il 42% della variabilità della coesione reale è dovuta alla variabilità
dell’evitamento; allo stesso modo è possibile evidenziare che il 35% della variabilità
dell’adattabilità reale è dovuta alla variabilità dell’evitamento.
Significativa, anche se più bassa e positiva (r = .206), sembra essere la relazione fra l’ansietà
e l’adattabilità reale. Tale relazione sembrerebbe spiegare solo il 4% della variabilità
dell’adattabilità reale in relazione all’ansietà.
Significativa e positiva (r = .794) appare la relazione fra coesione reale e adattabilità reale.
Tale relazione spiega il 63% della variabilità della coesione reale relativamente alla variabilità
dell’adattabilità reale.
ansietà evitamento coesione reale adattabilità reale
Pearson Correlation
ansietà
evitamento
coesione reale
1
Sig. (2-tailed)
,049
,183(*)
,206(**)
,537
,020
,009
N
160
160
160
160
Pearson Correlation
,049
1
-,648(**)
-,590(**)
Sig. (2-tailed)
,537
,000
,000
N
160
160
160
160
,183(*)
-,648(**)
1
,794(**)
Pearson Correlation
174
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
Sig. (2-tailed)
,020
,000
N
160
160
160
160
Pearson Correlation ,206(**)
-,590(**)
,794(**)
1
,009
,000
,000
160
160
160
adattabilità reale Sig. (2-tailed)
N
,000
160
Tabella 49: correlazioni per dimensioni
Eseguendo le stesse analisi correlazionali con la suddivisione del campione totale in gruppo di
controllo e gruppo sperimentale è possibile evidenziare il fatto che la relazione lineare
negativa fra evitamento e coesione/adattabilità reale è confermata maggiormente nel
gruppo sperimentale (r = -.740 per la coesione reale; r = -.674 per l’adattabilità reale),
piuttosto che in quello di controllo(r = -.500 per la coesione reale; r = -.448 per l’adattabilità
reale).
Nel gruppo sperimentale si evidenzia anche una relazione positiva più forte fra ansietà e
coesione/adattabilità(r = .383 per la coesione reale; r = .414 per l’adattabilità reale) rispetto
all’intero campione(r = 183 per la coesione reale; r = 206 per l’adattabilità reale) ed al
gruppo di controllo(r = .060 per la coesione reale; r = .059 per l’adattabilità reale).
Maggiormente positiva ed elevata risulta essere, nel campione sperimentale, anche la
relazione fra coesione ed adattabilità (r = .844) rispetto al campione intero (r = .794), ed al
gruppo di controllo (r = .703).
gruppo
ansietà evitamento coesione reale adattabilità reale
Pearson Correlation
ansietà
Pearson Correlation
coesione reale
,383(**)
,414(**)
,175
,000
,000
80
80
80
80
-,153
1
-,740(**)
-,674(**)
,000
,000
,175
Sig. (2-tailed)
80
80
80
80
Pearson Correlation ,383(**)
-,740(**)
1
,844(**)
,000
,000
80
80
80
80
Pearson Correlation ,414(**)
-,674(**)
,844(**)
1
,000
,000
,000
80
80
80
N
sperimentale
-,153
Sig. (2-tailed)
N
evitamento
1
Sig. (2-tailed)
N
adattabilità reale Sig. (2-tailed)
N
Tabella 50: correlazioni gruppo sperimentale
175
,000
80
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
1
,301(**)
-,060
-,059
,007
,599
,606
80
80
80
,301(**)
1 -,500(**)
-,448(**)
,007
,000
,000
80
80
80
-,060 -,500(**)
1
,703(**)
Pearson Correlation
ansietà
Sig. (2-tailed)
80
N
Pearson Correlation
evitamento
Sig. (2-tailed)
80
N
controllo
Pearson Correlation
coesione reale
Sig. (2-tailed)
N
Pearson Correlation
adattabilità reale Sig. (2-tailed)
N
,599
,000
80
80
,000
80
80
-,059 -,448(**) ,703(**)
1
,606
,000
,000
80
80
80
80
Tabella 51: correlazioni gruppo di controllo
Procedendo nell’analisi correlazionale è stato anche approfondita la relazione esistente fra i
risultati ottenuti nelle dimensioni studiate prendendo in considerazione la tipologia di
attaccamento romantico individuale e la percezione reale del soggetto rispetto al
funzionamento della propria coppia. Per effettuare tali analisi sono state dapprima costruite
delle tabella a doppia entrata per valutare la distribuzione del campione all’interno delle
categorie assegnate ad ogni singolo punteggio
coesione reale
disimpegnato
(10-36)
connesso
(43-46)
Total
invischiato
(47-50)
4
15
9
0
28
evitante (mag di 45)
22
22
10
0
54
evitante/timoroso (punt alti
in entrambe le scale)
25
22
2
1
50
6
15
6
1
28
57
74
27
2
160
preoccupato (mag di 59)
tipologia di
attaccamento
separato
(37-42)
sicuro (punteggi bassi in
entrambe le scale)
Total
Tabella 52 Crosstabulation tipologia di attaccamento * coesione reale
176
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
Adattabilità reale
rigido
(10-21)
flessibile
(27-30)
caotico
(31-50)
Total
0
0
3
25
28
14
6
6
28
54
evitante/timoroso (punt alti in
entrambe le scale)
9
10
4
27
50
sicuro (punteggi bassi in
entrambe le scale)
1
1
3
23
28
24
17
16
preoccupato (mag di 59)
evitante (mag di 45)
tipologia di
attaccamento
strutturato
(22-26)
Total
Tabella 53 Crosstabulation tipologia di attaccamento * adattabilità reale
In secondo luogo si è costruita una tabella a doppia entrata per analizzare la distribuzione del
campione prendendo in considerazione la tipologia di attaccamento di coppia (sicuro, insicuro
e sicuro/insicuro) e i tipi di funzionamento di coppia (bilanciato, intermedio ed estremo). Tale
suddivisione ci permette di evidenziare che 116 coppie su 160 fanno parte delle coppie di tipo
intermedio, di cui 4 con attaccamento sicuro, 78 con attaccamento insicuro, 34 con
attaccamento sicuro/insicuro; 33 coppie fanno parte delle coppie estreme, di cui 1 con
attaccamento sicuro, 26 con attaccamento insicuro e 6 con attaccamento sicuro/insicuro; ed
infine 11 coppie su 160 fanno parte delle coppie bilanciate, di cui solo 1 con attaccamento
sicuro, 8 con attaccamento insicuro e 2 con attaccamento sicuro/insicuro.
tipi
Total
1,00
tipologia di attaccamento di coppia
sicuroinsicuro
sicuro-sicuro
insicuro
1
8
2
Total
11
2,00
4
3,00
1
26
6
33
6
112
42
160
78
34
116
Tabella 54: Crosstabulation tipi * tipologia di attaccamento di coppia
Stessa tabella è stata costruita, quindi, analizzando i due gruppi separatamente. È possibile
osservare dalla tabella che nel gruppo sperimentale 53 coppie su 80 appartengono alla
categoria delle coppie intermedie, di cui 40 hanno attaccamento insicuro, 9 sicuro/insicuro e 4
sicuro; 21 coppie fanno parte della categorie coppie estreme, di cui 17 hanno attaccamento
insicuro e 4 attaccamento sicuro/insicuro; e solo 6 coppie si possono definire a funzionamento
bilanciato, di cui 5 hanno attaccamento insicuro e 1 sicuro/insicuro.
177
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
Nel gruppo di controllo la distribuzione delle coppie risulta simile dal punto di vista del
funzionamento di coppia ma contrasta nella distribuzione della tipologia di attaccamento
romantico. Infatti, 63 coppie appartengono alle coppie intermedie, di cui, però, 38 coppie
hanno attaccamento insicuro e ben 25 hanno attaccamento sicuro/insicuro; 12 coppie
appartengono alla categorie delle coppie , di cui solo 1 ha un attaccamento di tipo sicuro, 9
hanno un attaccamento di tipo insicuro e 2 sicuro/insicuro; 5 coppie appartengono alla
categoria delle coppie bilanciate, di cui 1 ha attaccamento di tipo sicuro, 1 sicuro/insicuro ed
infine 3 hanno attaccamento insicuro.
tipologia di attaccamento di coppia
gruppo
sperimentale
sicuro-sicuro
tipi
tipi
Total
sicuro-insicuro
1,00
0
5
1
6
2,00
4
40
9
53
3,00
0
17
4
21
4
62
14
80
1,00
1
3
1
5
2,00
0
38
25
63
3,00
1
9
2
12
2
50
28
80
Total
controllo
insicuro
Total
Tabella 55: Crosstabulation tipi * tipologia di attaccamento di coppia
Dopo aver effettuato un’analisi descrittiva delle distribuzioni delle coppie per funzionamento
e tipologia di attaccamento è stata effettuata un’analisi correlazionale, attraverso i coefficiente
rho di Spearman e tau di Kendall.
È stato effettuato anche il coefficiente tau di Kendall come controprova, poiché il coefficiente
rho di Spearman ha il difetto di dare una stima per eccesso della correlazione tra variabili. Da
questo difetto sembra essere, invece, esente il coefficiente per ranghi tau di Kendall, pur
assumendo gli stessi valori (-1.00 e +1.00) degli altri coefficienti di correlazione.
Si riportano quindi entrambi i valori ottenuti dall’analisi della correlazione come controporva
l’uno dell’altro.
178
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
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Correlations
tipologia di
attaccamento di
coppia
gruppo
Kendall's
tau_b
tipologia di
attaccamento di
coppia
Correlation
Coefficient
Sig. (2-tailed)
N
sperimentale
Spearman's
rho
tipologia di
attaccamento di
coppia
Correlation
Coefficient
Sig. (2-tailed)
N
Kendall's
tau_b
tipologia di
attaccamento di
coppia
Correlation
Coefficient
Sig. (2-tailed)
N
controllo
Spearman's
rho
tipologia di
attaccamento di
coppia
Correlation
Coefficient
Sig. (2-tailed)
N
funzionamento di
coppia
1,000
-,324(**)
.
,000
80
80
1,000
-,457(**)
.
,000
80
80
1,000
-,232(**)
.
,009
80
80
1,000
-,288(**)
.
,010
80
80
Dalla tabella qui riportata emerge una relazione lineare di tipo negativo fra la tipologia di
attaccamento romantico e la tipologia di funzionamento familiare maggiormente significativa
nel gruppo sperimentale rispetto a quello di controllo (rs = -.457 nel gruppo sperimentale; rs =
-.288 nel gruppo di controllo).
4.3.6 Anova
L’analisi della varianza è la tecnica maggiormente indicata per lo studio di più variabili in
disegni di ricerca che prevedono più gruppi. Tale tecnica, ideata da R. Fisher (1923), permette
di analizzare la diversità fra le medie di più gruppi, quindi la varianza fra i gruppi (between) e
allo stesso tempo la variabilità dovuta alla variazione delle risposte dei soggetti all’interno
dello stesso gruppo, detta varianza entro i gruppi (within).
L’analisi della varianza risulta un’analisi necessaria per la verifica dell’ipotesi nulla, ovvero
l’ipotesi secondo cui non esistono differenze significative tra le medie. Infatti, quando
l’ipotesi nulla è vera la variabilità tra i gruppi ed entro i gruppi deve essere molto simile;
quando, invece, l’ipotesi nulla è falsa la variabilità fra i gruppi sarà maggiore di quella entro i
179
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A.A. 2005-2006
gruppi. Per poter rifiutare l’ipotesi nulla ed accettare l’ipotesi alternativa, il rapporto fra la
varianza between e within deve essere significativo: il valore di F calcolato sulle varianze dei
dati deve essere superiore al valore critico di F fornito dalle tavole della distribuzione
campionaria, a parità di gradi di libertà. Tale calcolo confronto viene effettuato direttamente
dal programma statistico SPSS il quale fornisce il valore di F e il livello di significatività.
Dalle tabelle qui di seguito riportate è possibile evidenziare il fatto che, presi in
considerazione il gruppo sperimentale ed il gruppo di controllo, la varianza between risulta
essere maggiore rispetto alla varianza within sia per le dimensioni studiate per il
funzionamento di coppia sia per quelle studiate per l’attaccamento romantico.
Per le dimensioni del funzionamento di coppia si può evidenziare che la differenza fra le
varianze risulta essere molto elevata:
336.400 vs 78.523 per la coesione;
283.556 vs 77.022 per l’adattabilità.
In questo caso è possibile quindi accettare l’ipotesi alternativa secondo la quale esistono
differenze fra il gruppo sperimentale e quello di controllo, con un livello di significatività
pari a .040 per la dimensione della coesione e .057 per la dimensione dell’adattabilità.
ANOVA per gruppo
Sum of Squares
1
336,400
Within Groups
12406,700
158
78,523
Total
12743,100
159
283,556
1
283,556
Within Groups
12169,438
158
77,022
Total
12452,994
159
Between Groups
adattabilità
Mean Square
336,400
Between Groups
coesione
df
F
Sig.
4,284
,040
3,682
,057
Tabella 56: analisi della varianza per gruppo (coesione ed adattabilità)
Si può altresì sottolineare che la varianza fra i gruppi risulta essere elevata anche se è
leggermente meno evidente anche per la dimensione relative all’attaccamento romantico:
945.756 vs 528.199 per il punteggio relativo alla dimensione dell’ansietà;
1345.600 vs 516.990 per il punteggio relativo alla dimensione evitamento.
180
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A.A. 2005-2006
Con tali valori si potrebbe dire che anche in questo caso si accetta l’ipotesi alternativa ma,
il livello di significatività non rientra al di sotto del livello .05 pur essendo comunque alto,
ma risulta essere .183 per la dimensione dell’ansietà e .109 per la dimensione dell’evitamento,
ANOVA per gruppo
Sum of Squares
1
945,756
Within Groups
83455,488
158
528,199
Total
84401,244
159
1345,600
1
1345,600
Within Groups
81684,375
158
516,990
Total
83029,975
159
Between Groups
evitamento
Mean Square
945,756
Between Groups
ansietà
df
F
Sig.
1,791
,183
2,603
,109
Tabella 57: analisi della varianza per gruppo (ansietà ed evitamento)
Prendendo, invece, in considerazione il fattore indipendente del ruolo all’interno della coppia
è possibile mettere in evidenza che la varianza fra i gruppi non risulta essere maggiore della
varianza entro i gruppi né nelle dimensioni studiate per l’attaccamento romantico né per le
dimensioni studiate per il funzionamento di coppia.
Infatti, per le due dimensioni dell’attaccamento di coppia la varianza fra i gruppi risulta essere
minore rispetto alla varianza entro i gruppi:
8.556 vs 534.131 per la dimensione dell’ansietà;
99.225 vs 524.878 per l’evitamento.
ANOVA per ruolo
Sum of Squares
1
8,556
Within Groups
84392,688
158
534,131
Total
84401,244
159
99,225
1
99,225
Within Groups
82930,750
158
524,878
Total
83029,975
159
Between Groups
evitamento
Mean Square
8,556
Between Groups
ansietà
df
F
Sig.
,016
,899
,189
,664
Tabella 58: analisi della varianza per ruolo (ansietà ed evitamento)
Per le due dimensioni studiate dal funzionamento di coppia la differenza della varianza fra i
gruppi risulta essere:
181
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A.A. 2005-2006
simile rispetto alla varianza entro i gruppi per la dimensione della coesione 96.100 vs 80.044;
minore rispetto alla varianza entro i gruppi per quanto riguarda la dimensione dell’adattabilità
.756 vs 78.812.
ANOVA per ruolo
Sum of Squares
1
96,100
Within Groups
12647,000
158
80,044
Total
12743,100
159
,756
1
,756
Within Groups
12452,238
158
78,812
Total
12452,994
159
Between Groups
adattabilità
Mean Square
96,100
Between Groups
coesione
df
F
Sig.
1,201
,275
,010
,922
Tabella 59: analisi della varianza per ruolo (coesione ed adattabilità)
Tali dati permettono di affermare che l’elevata varianza entro i gruppi è dovuta sia alle
differenze individuali che all’errore casuale, legato agli strumenti. Tali fonti di variazione
sono considerate accidentali poiché non è possibile prevederne la variabilità.
Ciò fa dedurre che l’ipotesi nulla in questo caso sia vera e che, quindi, non esistano
differenze significative fra il gruppo dei mariti e il gruppo delle mogli.
182
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A.A. 2005-2006
CAPITOLO V
CONCLUSIONI
Premessa
Nel riesaminare i risultati più significativi, analizzati nel precedente capitolo, è possibile
effettuare una discussione integrata attraverso una duplice “lente” che tende ad osservare la
coppia nella regolazione del suo mondo esterno, relativo al funzionamento, e del suo mondo
interno, relativo all’attaccamento romantico.
Lo schema interno (modello operativo interno) ed il contesto (le dinamiche relazionali reali)
sono, infatti, due dimensioni imprescindibilmente legate e non possono essere ipotizzate a sé
stanti. Non è possibile cioè pensare che uno schema si adatti ad ogni situazione né
presupporre che una situazione sia modellata senza una partecipazione “interconnessa” con la
mente.
In altri termini, è stata affermata ormai saldamente l’idea che la logica della spiegazione nelle
scienze sociali passi attraverso una visione più contestualistica della realtà non più da vedersi
come assoluta e immutabile, ma al contrario probabilistica e relativizzata rispetto agli
ambienti (Sameroff, 1995).
Nello stesso tempo, il movimento dinamico. nelle sue correnti più vicine ad un’ottica
interazionista, ha sempre maggiormente messo in primo piano il ruolo fondamentale delle
rappresentazioni interne e delle aspettative relative al porsi in relazione con l’altro.
Parimenti, gli studi volti ad analizzare la qualità delle relazioni reali del contesto hanno potuto
recuperare il tema dei significati individuali. Lo stesso Byng-Hall (1995) sottolinea che non si
può evitare, nella comprensione dei problemi, di misurarsi sulla interfaccia tra sistema
pragmatico e sistema intrapsichico.
Terzo elemento da mettere in evidenza è caratterizzato da come la realtà non solo viene
interpretata, vissuta, ricordata ma su cui possono esistere varie narrazioni percezioni e
versioni (Sandler, Fonagy, 1997; Vallino, 1998; Cigoli, 1998; Ugazio, 1998; Zavattini, 1999).
Di qui l’interesse per lo schema interno dell’attaccamento romantico e la percezione della
realtà concreta del funzionamento di coppia in presenza di una specifica problematica:
183
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l’obesità. Simile studi sono stati effettuati recentemente (Steins, Albrecht, Stolzenburg, 2002;
Dallos, 2004) con patologie differenti quali l’anoressia e la bulimia.
5.1 Discussione dei risultati
Partendo proprio dall’analisi descrittiva eseguita sui punteggi ottenuti nei singoli item, sia per
l’ECR che per il FACES III, è possibile evidenziare come i soggetti abbiano mostrato un
disaccordo maggiormente marcato negli item connessi alla difficoltà nel vivere l’intimità e di
avere una propria autonomia nelle decisioni.
I soggetti del campione sperimentale mostrano una capacità di entrare in intimità e di essere
autonomi nelle proprie decisioni che contrasta però con l’elevato punteggio medio ottenuto
nelle dimensioni dell’attaccamento romantico. Il campione sperimentale risulta avere
punteggi sia di Evitamento che di Ansietà, sia per i mariti che per le mogli (evitamento mariti:
56.0, mogli: 59.0; ansietà mariti: 70.6, mogli: 71.1), molto più elevati che non nel campione
di controllo rispetto ai punteggi medi normativi 27 , mentre il campione di controllo sembra
avere un punteggio medio (evitamento mariti: 51.7, mogli: 51.7; ansietà mariti: 66.7, mogli:
65.3) che non si distacca di molto dai valori normativi.
Simile elemento sembra essere abbastanza significativo se correlato anche al punteggio medio
ottenuto nelle due dimensioni analizzate per il funzionamento coniugale, in cui i soggetti del
campione sperimentale, prendendo in considerazione la percezione reale della coppia,
ottengono un punteggio medio per la coesione più basso rispetto al valore normativi 28 (mariti:
32.7, mogli: 35.3).
Tale punteggio mostra un orientamento della propria percezione del funzionamento della
coppia volto verso una tipologia disimpegnata in cui non vi è un grado alto di coesione.
Per la dimensione dell’adattabilità il punteggio medio risulta essere più alto dei valori
normativi (mariti: 29; mogli: 30), mostrando quindi un orientamento della percezione del
27
Si riportano qui di seguito i punteggi normativi per le quattro dimensioni. Per la dimensione evitamento: per la
fascia 21-25 anni il punteggio medio è di 44.05 con deviazione standard pari a 19.40; per la fascia 26-65 il
punteggio medio è di 41.34 con deviazione standard di 18.71. per la dimensione ansietà: per la fascia 21-35 anni
il punteggio medio è di 59.89 con deviazione standard pari a 20.63 per i maschi e di 69.76 con deviazione
standard di 20.50 per le femmine; per la fascia 36-65 il punteggio medio è di 62.35 con deviazione standard di
24.38 per i maschi e di 61.93 con deviazione standard di 23.59 per le femmine. (Picardi, 2002)
184
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
funzionamento della propria coppia verso la tipologia caotica in cui vi è un grado troppo
elevato di adattabilità, ovvero non c’è una struttura normativa di riferimento né una gerarchia
chiara.
Per quanto riguarda il gruppo di controllo è possibile evidenziare che per la dimensione della
coesione i punteggi medi sono leggermente più bassi dei valori normativi mentre per la
dimensione dell’adattabilità risultano essere largamente più alti.
Tale risposta agli strumenti potrebbe essere dovuta ad una volontà, più o meno consapevole,
di fornire un immagine della propria coppia positiva e di riuscire ad eludere, mistificando, la
possibile sofferenza ed insoddisfazione.
Andando però ad analizzare nello specifico anche le distribuzioni all’interno dei gruppi
(sperimentale e di controllo) rispetto alle categorizzazioni relative al funzionamento di coppia
e all’attaccamento romantico è possibile individuare differenze fra i gruppi abbastanza
evidenti.
Per i modelli di attaccamento romantico, la distribuzione risulta essere la seguente:
nel gruppo sperimentale vi è una più elevata presenza di soggetti insicuri con una maggiore
frequenza di soggetti preoccupati ed evitanti timorosi rispetto al gruppo di controllo.
Tale distribuzione, facendo riferimento al già citato modello bidimensionale a quattro
categorie di Bartholomew e Horovitz, sembra sottolineare l’ipotesi secondo cui in presenza di
un sintomo come l’obesità le coppie costruiscono modelli operativi interni orientati su un
modello negativo del sé e dell’altro.
Il modello negativo del sé indica una forte dipendenza nel cercare approvazione da parte del
partner e di conseguenza provoca ansia nelle relazioni intime. D’altro canto un modello
negativo dell’altro viene associato con la tendenza ad evitare e a mantenere una distanza di
sicurezza all’interno delle relazioni affettive, soprattutto quando c’è il sentimento di essere
minacciati.
Questo sembra collimare con le caratteristiche del sintomo obesità, date da una certa tendenza
a strutturarsi stabilmente in un atteggiamento autoingannevole, teso a controllare sia il senso
della propria negatività ed inconsistenza sia l’intrusività e l’ingannevolezza degli altri
(Guidano, 1988, pp. 194); la ricerca del cibo rispecchierebbe allora la ricerca di espedienti che
28
Come valori normativi si fa riferimento alla fascia d’età “adulti in tutte le fasi”. Per la coesione il valore
normativo è di 39.8 con D.S. 5.4; per l’adattabilità è di 24.1 con D.S. 4.7. (Galimberti, Farina, 1990)
185
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colmino il vuoto lasciato dal bisogno e che consentano di ridurre o attenuare l’ansia
acquistando un significato reattivo rispetto alle minacce di perdita (Aveni et al., 1998).
Per i modelli di funzionamento di coppia, la distribuzione nel gruppo sperimentale vede una
più alta frequenza nelle tipologie intermedie ed estreme. Pur sottolineando la premessa teorica
di Olson secondo cui il percepire il funzionamento di coppia come bilanciato, intermedio ed
estremo non definisce una tipologia ideale di funzionamento, è possibile affermare che tale
indicazione unitamente al punteggio relativo al livello di soddisfazione della coppia,
abbastanza simile, potrebbe far ipotizzare una cristallizzazione del rapporto di coppia.
Coerentemente con la letteratura classica di riferimento, il gruppo sperimentale, infatti, non
solo sembra avere punteggi di coppia simili per le due dimensioni studiate dal Faces III e
quindi simile percezione di coppia, ma sembra anche avere simile livello di
soddisfacimento/insoddisfacimento della coppia stessa.
Questo risultato può essere interpretato se si prende in considerazione il modello teorico
proposto da Minuchin (1975), secondo cui tre punti importanti caratterizzano le famiglie di
pazienti con disturbo alimentare:
ƒ
Il soggetto è psicologicamente vulnerabile;
ƒ
La famiglia presenta quattro caratteristiche transazionali:
iperprotettività, invischiamento, rigidità e mancanza di risoluzione di conflitti;
ƒ
Il sintomo gioca un ruolo importante nell’evitamento del conflitto e nel mantenimento
dell’omeostasi familiare.
Le coppie del gruppo sperimentale, infatti, sembrano tendere a negare i possibili conflitti
iperproteggendo la propria coppia così come in seguito viene affermato anche da Ganley,
secondo cui le famiglie con disturbo alimentare tendono a negare i propri bisogni e i propri
problemi, ad evitare la risoluzione dei conflitti e sono carenti in una chiara definizione della
leadership e nella comunicazione (Ganley, 1986).
Queste considerazioni permettono anche di riflettere sul tipo di contratto stipulato (Angrisani,
Barone, Malagoli, 2000) da queste coppie che sembrano essere ferme in uno stallo di coppia
dal quale non è possibile uscire.
Se si prova, infatti, a modificare aspetti all’interno della propria relazione si mettono in
pericolo modelli operativi interni e di conseguenza si mette in pericolo la relazione stessa.
186
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
Le coppie che vivono la presenza del sintomo dell’obesità si mostrano ancorate ad un
contratto teso alla risposta di bisogni primari legati alla possibilità di trovare una figura
capace di fornire una base sicura; la relazione che si instaura però si basa su un contratto
“fraudolento” (Bowen, 1978) che incastra la coppia facendo vivere loro un vero e proprio
stallo di coppia. L’incastro nel quale sembrano bloccarsi potrebbe essere legato al fatto che si
rifugiano nelle relazioni senza poter “ascoltare” se quelle stesse relazioni stanno rispondendo
al bisogno o stanno solo sedando l’ansia ed il bisogno di essere oggetto di cure e non anche
soggetto.
Eludendo qualunque forma di conflitto e cristallizzandosi in una moderata soddisfazione di
coppia, queste coppie sembrano danzare in uno stallo di coppia che permette loro il persistere
di elementi difensivi non elaborati, la cui origine è riscontrabile nelle esperienze dei rapporti
oggettuali primari, in cui si sviluppa la tendenza ad individuare in un oggetto esterno la causa
della propria sofferenza, in assenza della possibilità di trovare soddisfazione ai propri bisogni.
Tale tendenza costituisce anche il nucleo centrale della resistenza che i soggetti obesi
presentano nel trattamento della propria sintomatologia.
Il meccanismo dell’attribuzione all’esterno di proprie responsabilità non permette infatti di
scardinare facilmente il circuito emotivo che si instaura fra cibo ed emozioni, dove il cibo
tende a ricoprire il ruolo di lenire le emozioni vissute nel tentativo di soffocarle mangiando.
Pertanto, relativamente alla prima ipotesi sostenuta dal presente lavoro, secondo cui le coppie
dei pazienti obesi presenterebbero dinamiche relazionali caratteristiche delle famiglie
psicosomatiche e stili di attaccamento nella coppia prevalentemente di tipo insicuro, è
possibile affermare, dall’ indagine effettuata e dalle considerazione derivatene, che le coppie
del gruppo sperimentale si potrebbero conformare alle teorie classiche di riferimento e che
presentano un attaccamento romantico prevalentemente di tipo insicuro.
Tale ipotesi è stata confermata anche dal confronto con i valori normativi della popolazione e
con i risultati ottenuti in un gruppo di controllo appaiato ma non equivalente.
L’analisi della varianza conferma, altresì, che esistono differenze significative fra i gruppi per
tutte le dimensioni studiate anche se tale affermazione risulta essere maggiormente “sicura”
per le dimensioni della coesione e dell’adattabilità.
Relativamente all’ipotesi secondo cui esisterebbe una relazione fra i modelli operativi interni
ed i modelli di regolazione esterni, è possibile affermare che vi sia una relazione di tipo
187
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
lineare negativo fra evitamento e coesione/adattabilità reale, maggiormente confermata nel
gruppo sperimentale (r = -.740 per la coesione reale; r = -.674 per l’adattabilità reale),
piuttosto che in quello di controllo (r = -.500 per la coesione reale; r = -.448 per l’adattabilità
reale).
Questo indica che all’aumentare dell’evitamento diminuiscono sia i punteggi della coesione
che quelli dell’adattabilità.
Pertanto, in presenza di un attaccamento di tipo evitante o evitante/preoccupato, caratterizzato
da una negazione della dipendenza dell’altro, la coppia tende a costruire modelli di relazione
maggiormente disimpegnati e caotici, evitando quindi ruoli specifici e vincoli affettivi che
creano inevitabilmente una dipendenza reciproca.
Inoltre, nel gruppo sperimentale si evidenzia anche una relazione positiva più forte fra ansietà
e coesione/adattabilità (r = .383 per la coesione reale; r = .414 per l’adattabilità reale) rispetto
all’intero campione (r = 183 per la coesione reale; r = 206 per l’adattabilità reale) ed al gruppo
di controllo (r = .060 per la coesione reale; r = .059 per l’adattabilità reale).
Aumentando, quindi, il livello di ansietà aumenta anche il punteggio ottenuto nella coesione e
nell’adattabilità.
Pertanto, in presenza di attaccamenti di tipo ansioso la coppia costruisce stili di
funzionamento orientati su una più alta coesione ed organizzazione dei ruoli, creando in tal
modo dipendenza.
Tali risultati, in linea con diverse ricerche condotte su altri tipi di disturbi alimentari come
l’anoressia nervosa e la bulimia (Latzer et all., 2002; Reich, 2005; Attili, et all., 2004),
rafforzano ancora di più l’aderenza delle coppie obese a modelli di relazione e di
attaccamento disfunzionali tesi a promuovere l’omeostasi del sistema coniugale ed il
permanere del sintomo all’interno di esso.
5.2 Elementi di criticità del lavoro di ricerca
Dall'analisi della letteratura emerge che il presente lavoro si va a collocare in una cornice
teorica ancora tutta da costruire.
Le ricerche nelle quali l'oggetto di analisi mette in luce la coppia coniugale e aspetti
relazionali che la caratterizzano in presenza del sintomo obesità sono pochissime e molto
188
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
datate. Solo alcuni studi centrati su tali aspetti si sono sviluppati recentemente ma in questi si
sono prese in considerazione altre tipologie di disturbo del comportamento alimentare (come
l’anoressia nevosa e la bulimia).
Date tali premesse il presente lavoro di ricerca va ad approfondire tematiche attuali in un
campo completamente carente di riferimenti sperimentali legati nello specifico all’obesità.
Tale mancanza da un lato ha incoraggiato una sperimentazione che andasse a stimolare anche
un possibile sviluppo di approcci integrati per il trattamento dell’obesità ma dall’altro lato non
ha favorito l’adesione ad altri modelli teorici per la discussione dei dati ne ha permesso altresì
un confronto con altri risultati significativi ottenuti nel passato.
Nonostante ciò i risultati sembrano incoraggiare la ricerca in questo campo sebbene debbano
essere prese alcune precauzioni dovute alla vasta diffusione del fenomeno.
Nella discussione dei dati, difatti, emerge la necessità non solo di avere una numerosità
adeguata per ciascuna cella di appartenenza rispetto al funzionamento di coppia e
all’attaccamento romantico ma anche di creare importanti discussioni su ogni singola fase del
processo di coppia legata al ciclo vitale della famiglia. Ottenere alcuni punteggi in una fase e
ad un’età ricopre senz’altro un significato diverso rispetto al fatto di ottenere lo stesso
punteggio in età più avanzata.
Tale considerazione deve essere tenuta presente anche nell’importanza di effettuare una
ricerca trasversale che miri proprio ad analizzare allo stesso momento gruppi con età diverse
per poter effettuar confronti maggiormente attendibili.
Possibile ed interessante sarebbe anche effettuare un follow up sulle coppie con soggetto
obeso in trattamento soprattutto se effettuato dopo un trattamento integrato che vede coinvolta
la coppia se non tutto il nucleo familiare.
5.3 Conclusioni e prospettive future
Il lavoro di ricerca effettuato potrebbe essere quindi definito un lavoro pilota, ricco di spunti
di riflessione e base per nuovi studi specifici nel campo dell’obesità.
L’aderenza delle coppie obese a modelli di relazione e di attaccamento romantico
disfunzionale, ed inoltre la relazione esistente fra tali dimensioni (attaccamento romantico e
funzionamento della relazione di coppia) fa emergere una importante riflessione sul ruolo che
189
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
il sintomo riveste all’interno della relazione e sulla necessità di prevedere un approccio
integrato a livello terapeutico.
I trattamenti maggiormente utilizzati nel panorama clinico italiano sono, infatti, trattamenti
per lo più individuali e ad orientamento cognitivo-comportamentale.
Tali trattamenti seppur efficaci per quanto riguarda l’aderenza alla dieta e la motivazione ad
essa non ottengono a lungo risultati efficaci.
Nell’esperienza clinica effettuata durante questo lavoro di ricerca, è stato per me possibile
”confermare” tale affermazione.
Su 300 pazienti visitati, di cui circa 150 da un terapeuta cognitivo-comportamentale ed altri
150 da un terapeuta ad orientamento sistemico-relazionale, ho potuto osservare attraverso un
follow-up a più di un anno che i 150 pazienti che avevano avuto colloqui ad orientamento
sistemico-relazionale, quindi anche colloqui con la famiglia, avevano un calo di peso più
costante e maggiormente evidente rispetto al gruppo seguito dal terapeuta cognitivocomportamentale. Questo ultimo gruppo dopo un primo calo di peso repentino si era
stabilizzato in un primo periodo, per poi, in alcuni casi, riprendere peso in maniera eccessiva.
Tale osservazione, puramente clinica, unitamente ad i risultati ottenuti dal lavoro di ricerca
potrebbe stimolare lavori sistematici sul trattamento dell’obesità, considerando specifiche fasi
di ciclo vitale e la possibilità di utilizzare strumenti che permettano di analizzare i
cambiamenti all’interno di un percorso terapeutico integrato.
190
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
ALLEGATO 1
QUESTIONARIO FACES III
FORMA DI COPPIA
ALTERNATIVE DI RISPOSTA
1
quasi mai
2
raramente
3
qualche volta
4
sempre
VERSIONE REALE
Descriva la sua famiglia come e’ ora:
_______
1. Ci chiediamo aiuto l’un l’altro.
_______
2. Quando sorgono dei problemi arriviamo ad un compromesso.
_______
3. Ognuno approva le amicizie dell’altro.
_______
4. Consideriamo le nostre differenze con tolleranza.
_______
5. A noi piace avere delle attività comuni.
_______
6. Nella nostra coppia ci si alterna nel prendere l’iniziativa.
_______
7. Ci sentiamo più vicini l’un all’altro che non a persone esterne alla nostra famiglia.
_______
8. Sappiamo cambiare il modo di affrontare i problemi.
_______
9. A noi piace trascorrere insieme il tempo libero.
_______
10. Tentiamo di trovare nuove soluzioni ai nostri problemi.
_______
11. Ci si sente molto vicini gli uni agli altri.
_______
12. Nella nostra coppia prendiamo le decisioni in comune.
_______
13. Abbiamo hobby e interessi in comune.
_______
14. Le regole cambiano facilmente nella nostra coppia.
_______
15. Per noi è facile pensare di fare qualcosa insieme come coppia.
191
5
quasi sempre
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Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
_______
16. Le responsabilità della gestione della casa ruotano dall’uno all’altro.
_______
17. Ognuno consulta l’altro a proposito delle proprie decisioni.
_______
18. Nella nostra coppia è difficile individuare chi comanda.
_______
19. Per noi l’unità della famiglia è molto importante.
_______
20. E’ difficile dire quali lavori domestici toccano ad ognuno di noi.
VERSIONE IDEALE
Descriva idealmente, come vorrebbe che fosse la sua famiglia ….
_______
21….ci si chiedesse aiuto l’un l’altro.
_______
22….quando sorgono dei problemi, vorrei si giungesse ad un compromesso.
_______
23….ognuno approvasse le amicizie dell’altro.
_______
24….considerassimo le nostre differenze con tolleranza.
_______
25….amassimo avere delle attività in comune.
_______
26….nella nostra coppia ci si alternasse nel prendere l’iniziativa.
_______
27….ci sentissimo più vicini l’uno all’altro che non a persone esterne alla famiglia.
_______
28….fossimo capaci di cambiare il modo di affrontare i problemi.
_______
29….ci piacesse trascorrere insieme il nostro tempo libero.
_______
30….tentassimo di trovare nuove soluzioni ai nostri problemi.
_______
31….ci si sentisse molto uniti l’uno all’altro.
_______
32….prendessimo le decisioni in comune nella nostra coppia.
_______
33….avessimo hobby e interessi in comune.
_______
34….che le regole cambiassero facilmente nella nostra coppia.
_______
35….fosse facile pensare di fare qualcosa insieme come coppia.
192
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
_______
36….le responsabilità dell’andamento della casa ruotassero tra di noi.
_______
37….ognuno consultasse l’altro a proposito delle proprie decisioni.
_______
38. …capissimo facilmente chi comanda nella nostra coppia.
_______
39….che l’unità tra di noi fosse molto importante.
_______
40….potessimo dire quali lavori domestici toccano ad ognuno di noi.
193
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
A.A. 2005-2006
ALLEGATO 2
QUESTIONARIO ECR
ALTERNATIVE DI RISPOSTA
1
2
Completamente Abbastanza
falso
falso
3
Un po’
falso
4
Né vero
né falso
5
Un po’
vero
6
7
Abbastanza Completamente
vero
vero
_______
1. Preferisco non mostrare al partner come mi sento.
_______
2. Ho paura di essere lasciato/a.
_______
3. Mi sento molto a mio agio quando mi trovo in intimità con il partner.
_______
4. Mi preoccupo molto per le mie relazioni sentimentali.
_______
5. Non appena il mio partner inizia a diventare più intimo, mi rendo conto di allontanarmi.
_______
6. Temo che il partner non tenga a me quanto io tengo a lui/lei.
_______
7. Mi sento a disagio quando il partner vuole stabilire con me una profonda intimità.
_______
8. Mi preoccupo molto di perdere il mio partner.
_______
9. Ho difficoltà ad aprirmi con il partner.
_______
10. Spesso desidero che i sentimenti del mio partner verso di me siano forti quanto i miei
verso di lui/lei.
_______
11. Vorrei raggiungere una maggiore intimità con il mio partner.
194
Tesi di dottorato di ricerca in Psicologia
Clinica, Dinamica e dello Sviluppo, XVIII ciclo.
_______
A.A. 2005-2006
12. Spesso vorrei fondermi completamente con il partner, e ciò talvolta lo spaventa e lo fa
allontanare.
_______
13. Mi innervosisco quando il partner diventa troppo intimo.
_______
14. Ho paura di restare solo/a.
_______
15. Mi sento a mio agio nel condividere con il partner i miei più intimi pensieri e
sentimenti.
_______
16. A volte il mio desiderio di stabilire un rapporto molto stretto spaventa e fa allontanare
le persone.
_______
17. Cerco di evitare di raggiungere una eccessiva intimità con il partner.
_______
18. Ho bisogno di molte rassicurazioni sul fatto di essere amato/a dal mio partner.
_______
19. Trovo abbastanza facile entrare in intimità con il mio partner.
_______
20. A volte ho l’impressione di forzare il partner a mostrare più sentimento e maggiore
dedizione.
_______
21. Trovo difficile affidarmi completamente al partner.
_______
22. Non mi preoccupo spesso di essere lasciato/a.
_______
23. Preferisco non entrare in eccessiva intimità.
_______
24. Se non riesco ad ottenere che il partner mi dimostri interesse, ne sono turbato/a o mi
arrabbio.
_______
25. Al mio partner dico quasi tutto.
_______
26. Trovo che il mio partner non voglia stabilire con me quell’intimità che desidererei
raggiungere.
195
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_______
27. Di solito parlo con il mio partner dei miei problemi e delle mie preoccupazioni.
_______
28. Quando non ho una relazione sentimentale, mi sento piuttosto ansioso/a e insicuro/a.
_______
29. Mi sento a mio agio ad affidarmi al partner.
_______
30. Mi sento frustrato/a quando il mio partner non è presente quanto io vorrei.
_______
31. Non mi crea problemi chiedere conforto, consiglio o aiuto al partner.
_______
32. Mi sento frustrato/a se il partner non è disponibile quando ho bisogno di lui/lei.
_______
33. Mi è di aiuto rivolgermi al mio partner nel momento del bisogno.
_______
34. Quando il partner mi critica, mi sento molto a disagio.
_______
35. Mi rivolgo al mio partner per molte cose, inclusi conforto e rassicurazione.
_______
36. Me la prendo quando il mio partner passa del tempo lontano da me.
196
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ALLEGATO 3
CARTELLA CLINICA INTEGRATA
MEDICO-PSICOLOGICO-NUTRIZIONALE
Anamnesi
Nome
Cognome
Titolo di studio
Sesso
Età
Professione
Stato civile
Età del partner
Professione
Numero di figli
1
2
Titolo di studio
1
Anni matrimonio
Anni convivenza
Anni fidanzamento
Titolo di studio
sesso
3
4
1
2
Anamnesi familiare mirata
Familiarità per obesità
Familiarità per diabete
Familiarità per dislipidemie
Familiarità per ipertensione
Familiarità per cvd
Familiarità per neoplasie
Familiarità per psicopatologie
Anamnesi patologica
Interventi chirurgici:
2
Età dei figli
3
3
4
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
NO
NO
NO
NO
NO
NO
NO
SI:
) Tiroide
) Addome
) Ovaio/testicolo
Ipertensione
Malattie metaboliche
4
NO
ETÀ:
ETÀ:
ETÀ:
SI
SI
NO
NO
DIABETE
TIPO I
TIPO II
TIPOII insulinotrattato
DISLIPIDEMIE
IPERCOLESTEROLEMIA
IPERTRIGLICERIDEMIA
MISTA
SI
Si
Si
NO
No
No
IPERURICEMIA
Malattie respiratorie
Patologie apparato osteoarticolare
Psicopatologia
Altro
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Anamnesi ponderale e fisiologica
Andamento del peso nelle varie età della vita
Peso alla nascita kg
Menopausa età
Eventuali terapie ormonali:
Peso minimo
Peso massimo
Peso figli alla nascita
1°
2°
Variazioni di peso in gravidanza Kg
3°
4°
Storia delle ricadute e delle recidive in corso o dopo trattamenti del sovrappeso
Weight cycling sindrome
Si
No
Binge eating disorder
Si
No
Disturbi dell’umore
Si
No
Disturbi del comportamento alimentare
SI
NO
Disturbi dell’umore
SI
NO
Motivazione inadeguata
Si
No
Eventi emotivamente rilevanti
SI
NO
Eventi occorsi nei 6 mesi precedenti l’aumento ponderale:
… Difficoltà scolastiche
… Disaccordi familiari
… Gravidanza
… Incidenti stradali
… Inizio di una relazione affettiva
… Lutti
… Malattie fisiche
… Malattie o incidenti di familiari
… Maltrattamenti fisici
… Maltrattamenti psicologici
… Matrimonio
… Nascita dei figli
… Aborto
… Abusi sessuali
… Assunzione di contraccettivi
… Assunzione di psicofarmaci
… Cambiamento di casa
… Cambiamento di lavoro
… Cambiamento di scuola
… Conflitti con il partner
… Depressione
… Dieta
… Difficoltà finanziarie
… Difficoltà lavorative
Storia delle diete
Età della prima dieta
Età evolutiva
Età adulta
Dieta autoprescritta
Dieta prescritta dal medico
Dieta con i farmaci
ospedalizzazione
< un mese
Da 1 a 3 mesi
Da 3 a 6 mesi
>di 6 mesi
<di 5 Kg
Modalità utilizzate
Durata
198
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Entità della perdita del peso
Da 5 a 10 Kg
Da 10 a 20 Kg
> 20 Kg
Età
Modalità
Durata
Peso iniziale
Peso finale
Diete successive
Fattori da tenere in conto nel valutare la motivazione al cambiamento
età
sesso
Fat social Pres cult Con fam Pres fam umore
autostima coll
abo
r
Abitudini alimentari
Iperfagia
Si
No
Digestione Buona
Discreta
Cattiva
Consumo alcolici
Si (vino, birra, uperalcolici)
No
Allergia a farmaci o alimenti SI
NO
Fumo
Si N°
No ex fumatore
Motivazione alla dieta
Spontanea
Medica
Psiche
Normale
Ansia
Depressione
Ansia/depressione
Anamnesi farmacologica
Esame obiettivo
199
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ALLEGATO 4
CARTELLA CLINICA DI CONTROLLO
Dieta Kcal.
Protidi %
Attività Fisica
Si
Terapia farmacologica:
Terapia
Data inizio
Lipidi%
No
Variazioni dietetiche:
Parametri metabolici
HgB
Linfociti tot.
Glicemia B.
Glicemia I H p.p.
Insulinemia B.
Insulinemia 1 H p.p.
Hb 1 Ac
Tg
Col. Tot
LDL
HDL
ALP
Azotemia
Uricemia
Proteine tot.
Albumina gr.
Albumina %
Cort 7
Cort 17
Sodio
Potassio
Calcio
Fosforo
FT3
FT4
TSH
PSA
200
Glucidi%
Viene consigliata
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Misure antropometriche
Data controllo
Giorno del ciclo
PAS
PAD
HT in cm
PESO in Kg
BMI
Circonf. Vita
NOTE:
Misure antropometriche
Data controllo
Giorno del ciclo
PA
HT in cm
PESO in Kg
BMI
Circonf. Vita
NOTE:
Misure antropometriche
Data controllo
Giorno del ciclo
PAS
PAD
HT in cm
PESO in Kg
BMI
Circonf. Vita
NOTE:
Misure antropometriche
Data controllo
Giorno del ciclo
PAS
PAD
HT in cm
PESO in Kg
BMI
Circonf. Vita
NOTE:
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