documentazione lezioni XX corso praticanti 2014

Cessione di azienda
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CESSIONE DI AZIENDA
Fonti normative: Artt. 2555-2560 e 2112 c.c. - Art. 47, l. 29.12.1990, n. 428
A) INQUADRAMENTO SISTEMATICO: 1. Nozione, qualificazione giuridica ed
elementi principali del contratto - 2. Disciplina normativa - 3. Diritti ed
obblighi delle parti - 4. Articolazioni della fattispecie tipica - 5. Disciplina
tributaria.
1. Nozione, qualificazione giuridica ed elementi principali del contratto
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L’esplicita presenza di una disciplina normativa codicistica e di una fitta rete
di disposizioni complementari (specie di stampo giuslavoristico) finalizzate a
regolare aspetti particolari della fattispecie contrattuale sono la dimostrazione
dell’importanza assunta nell’ordinamento giuridico vigente dal tipo “cessione
di azienda”. In presenza di una fattispecie tipizzata non vi è, dunque, il
problema di inquadrare la fattispecie allo scopo di ricavare la
regolamentazione dell’istituto. L’esplicito riconoscimento normativo consente
di evitare di soffermarsi sulla persistente rilevanza di siffatto fenomeno
circolatorio sotto il profilo pre-giuridico [FRANCESCHI (19)]: la tipicità legale
del contratto, insomma, permette di dare per acquisiti una serie di condizioni
preliminari (sulle quali, al contrario, occorre soffermarsi per inquadrare
l’omnicomprensiva e limitrofa figura dell’outsourcing), traghettando il
discorso sugli interessanti elementi in relazione ai quali la prassi contrattuale
e le pronunce della giurisprudenza suggeriscono l’esigenza di individuare la
disciplina applicabile a taluni aspetti del contratto.
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Prima di analizzare la disciplina prevista dal legislatore per regolare la
cessione di azienda, occorre soffermarsi brevemente ad identificare le nozioni
di cessione e di azienda. Partendo da quest’ultima e date per acquisite le note
(e, talune, persistenti) traversie che hanno accompagnato l’identificazione del
significato giuridico del termine, la definizione codicistica consegnata
nell’art. 2555 c.c. («l’azienda è il complesso dei beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa») comporta una chiara opzione
teleologica: l’ordinamento inquadra (e disciplina) unitariamente un complesso
di beni eterogenei allorquando gli stessi trovino la loro unità
nell’organizzazione creata dall’imprenditore e nella loro finalizzazione
all’esercizio di un’intrapresa economica [C 3.12.2009, n. 25403, Gdir 2010,
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4, 37]. Questa “qualità” consustanziale dell’azienda è confermata
dall’ulteriore bene facente parte del patrimonio aziendale (anzi, prodotto dal
coordinamento imprenditoriale dei beni costituenti l’azienda), l’avviamento.
Sul punto, è opportuno precisare che la destinazione economica unitaria del
complesso dei beni aziendali non rileva esclusivamente sotto un profilo
‘soggettivistico’: non è cioè sufficiente che l’alienante reputi organizzati in
maniera funzionalmente autonoma un complesso di beni affinché possa dirsi
configurata l’azienda. Quest’ultima tal’è quando - in caso di contestazione
(per la verità più frequente in riferimento alla cessione di ramo di azienda: v.
infra) - sia obiettivamente riscontrabile (e, in ultima analisi, quando l’autorità
giudiziaria arrivi ad accertare) l’autonomia organizzativa funzionale di un
complesso di beni che, anziché un’accozzaglia di utilità materiali e
immateriali, sia dotato di una destinazione economica giudicata
dall’ordinamento meritevole di conservazione economica e disciplina
giuridica unitaria. Sotto il profilo del sintagma “cessione”, invece, è
opportuno operare un maggior numero di rilievi, poiché la finitima nozione di
“trasferimento” (utilizzata per esempio, all’art. 2112 c.c.) potrebbe indurre a
confusioni terminologiche non prive di potenziali conseguenze sotto il profilo
dell’individuazione della disciplina applicabile. In senso restrittivo, per
“cessione di azienda” s’intende esclusivamente il trasferimento definitivo
della titolarità giuridica di un’impresa a seguito dell’avvenuto sub-ingresso
nella proprietà del patrimonio aziendale: è questa l’alienazione dell’azienda
assunta a prototipo disciplinare dagli artt. 2555 ss. c.c. Diverso è, invece, il
concetto di “trasferimento”, che evita di soffermare l’indagine sul tipo di
‘negozio’ utilizzato per produrre l’effetto circolatorio, guardando
esclusivamente a ciò che un determinato atto giuridico produce, il mutamento
della titolarità giuridica della soggettività economica. Se questo è vero, è
“trasferimento d’azienda” (non invece “cessione di azienda”) l’affitto
dell’azienda ovvero l’usufrutto della stessa. Con la conseguenza di dover
parametrare l’applicazione delle disposizioni dettate dal codice in materia di
cessione alle ipotesi in cui non vi sia trasferimento della proprietà
dell’azienda; e, al contrario, di constatare fattispecie pur diverse (si v. ancora
l’art. 2112 c.c. e, più in generale, le norme che si interessano di regolamentare
aspetti relativi alle modificazioni soggettive del contratto di lavoro
subordinato) ma assoggettate ad una medesima, unica regolamentazione
giuridica [cfr. amplius DUI (16), 75 ss.]. Peraltro, se in riferimento a ciò che
l’autonomia privata produce la posizione della giurisprudenza è di sostanziale
estensione delle regole dettate per la “cessione” a negozi che non comportano
un trasferimento definitivo della proprietà, diverso si presenta il discorso
allorquando il mutamento di titolarità giuridica del soggetto economico
imprenditoriale avvenga a seguito di provvedimenti autoritativi della P.A.
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oppure come conseguenza di fattispecie in cui comunque vi è l’intervento del
soggetto pubblico.
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Pochi cenni sugli elementi del contratto per ribadire la natura negoziale della
“cessione di azienda” in senso stretto e, dunque, sottolineare la circostanza
che il tipo legale trovi fondamento nell’autonomia privata riconosciuta all’art.
1322 c.c. Sotto il profilo della causa, la funzione social-tipica del contratto è
ictu oculi evidente: consentire - verso il pagamento di un corrispettivo
economico che, oltre ad essere immediatamente identificabile in un prezzo
versato in danaro, può essere pure stabilito in altro bene equivalente
suscettibile di valutazione economica (si richiamano gli esempi della fusione,
incorporazione societaria ovvero del conferimento di azienda in società) - il
trasferimento della proprietà di un’azienda affinché l’acquirente possa
continuare (in senso giuridico e non necessariamente economico) l’attività
imprenditoriale fin lì condotta dal cedente. Sinteticamente, può individuarsi
nell’azienda come tipizzata dall’art. 2555 c.c. (o un suo ramo) l’oggetto
pregnante del contratto de quo. In via analitica, comunque, è opportuno
precisare che in sede di contratto, pur non essendo necessario - dal punto di
vista giuridico e ai fini del perfezionamento del negozio - individuare
esattamente i beni oggetto di cessione (poiché, alla luce dell’unità teleologica
dell’intera operazione, essi sono identificabili mediante la loro inerenza
all’organizzazione apprestata dall’imprenditore per l’esercizio della propria
attività economica), la prassi ha correttamente proceduto ad utilizzare un
apposito inventario (sovente allegato e facente parte integrante del contratto)
al fine di identificare esattamente (non tanto) i beni (rientranti nel
trasferimento, quanto quelli) che si intende escludere dall’oggetto del
contratto. Per quelli inclusi, inoltre, è opportuno, ancora, fissare la data in cui
s’intenderà avvenuto il trasferimento del possesso, fermo restando che,
trattandosi di cessione, il cedente è tenuto (‘in positivo’, oltre all’eventuale e
ulteriore garanzia convenzionale; ‘in negativo’, escluse le ipotesi di
pattuizioni difformi dal disposto legale) a garantire il cessionario della
proprietà dei beni alienati, dovendo pure prestare l’ordinaria garanzia per vizi.
Insieme all’azienda, la cessione comporta pure il trasferimento degli altri
segni distintivi (ditta e insegna) che andranno a far parte della sfera giuridica
del nuovo imprenditore (e di cui quest’ultimo potrà liberamente disporre). Sul
punto, è necessario precisare che con l’abrogazione della disposizione di cui
all’art. 15, r.d. n. 929/1942 - che vincolava il trasferimento del marchio alla
cessione dell’azienda (o di un ramo di essa) al fine di evitare che venisse
delusa la legittima aspettativa del consumatore sulla continuità del rapporto
marchio-impresa - e l’attuale vigenza del d.lgs. n. 30/2005, si è
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profondamente inciso sulla disciplina della circolazione del marchio,
stabilendo che esso può essere trasferito o concesso in licenza (anche non
esclusiva) autonomamente, così superando il precedente collegamento fra
circolazione dell’azienda e circolazione del marchio (che risulta, dunque,
cedibile indipendentemente dall’azienda ex art. 2573, comma 1, c.c., salva
l’ipotesi in cui esso sia costituito da un segno figurativo, da una
denominazione di fantasia o da una ditta derivata, ove si presume che il diritto
al suo uso esclusivo si trasferisca insieme con l’azienda, ai sensi dell’art.
2573, comma 2, c.c.). Resta ferma, invece, la regola che presume che il diritto
all’uso esclusivo del marchio non costituito dalla ditta originaria sia trasferito
insieme con l’azienda. Dall’altro lato, il cessionario si obbliga al pagamento
del prezzo (con eventuali particolari modalità consensualmente stabilite)
ovvero alla corresponsione di altra utilità suscettibile di valutazione
economica (nell’ipotesi in cui l’operazione possa essere ascritta ad una
cessione “in senso estensivo”): rilevanza principale riveste l’individuazione
del prezzo dell’avviamento.
2. Disciplina normativa
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La cessione di azienda è un contratto tipizzato e disciplinato dal legislatore sia
nel codice civile che nella legislazione complementare. Procedendo con
ordine, la normativa codicistica, oltre a regolare gli effetti del contratto e le
varie situazioni giuridiche soggettive attive e passive delle parti, si cura di
precisare alcuni aspetti di un altro elemento essenziale del contratto, la
“forma”. Diversa a seconda delle varie ipotesi astrattamente configurabili,
infatti, è la cosiddetta legge di circolazione dell’azienda. Sotto la rubrica
«Imprese soggette a registrazione», l’art. 2556 c.c. detta una norma
chiaramente destinata ad integrare lo “statuto dell’imprenditore
commerciale”, nel momento in cui dispone che per «le imprese soggette a
registrazione, i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà
… devono essere provati per iscritto, salva l’osservanza delle forme stabilite
dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o
per la particolare natura del contratto». Il comma 2 aggiunge un ulteriore
adempimento a fini pubblicitari, prevedendo che i predetti contratti «in forma
pubblica o per scrittura privata autenticata, devono essere depositati per
l’iscrizione nel registro delle imprese, nel termine di trenta giorni, a cura del
notaio rogante o autenticante». Dal chiaro tenore letterale della disposizione
codicistica si desume che la forma scritta è richiesta ad probationem; in
combinato disposto col comma successivo si comprende la finalità del
complesso della norma: rendere opponibile anche nei confronti dei terzi
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l’operazione giuridico-economica avvenuta, già valida ed efficace fra le parti
col solo scambio dei consensi legittimamente manifestati [per tutte, cfr. C
28.3.2007, n. 7652, FI 2008, 3, 903]. A quanto appena detto occorre
aggiungere un corollario: se fanno parte del patrimonio aziendale ceduto beni
o diritti compresi nell’elenco di cui all’art. 1350 c.c., è necessario una
particolare forma scritta, l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata:
l’inosservanza di quest’ultima norma cagiona la conseguenza della nullità che
però - in conformità all’interpretazione sistematica delle disposizioni e in
ossequio al principio di conservazione che sovrintende il complesso della
materia de qua - non si estende all’intero contratto di cessione di azienda,
essendo limitata al singolo negozio traslativo del bene immobile o del diritto
immobiliare per il quale non è stata rispettata la forma richiesta. È fatta salva,
comunque, l’ipotesi che il vizio concerna beni determinanti e caratterizzanti
l’azienda stessa o (il che poco muta i termini della precisazione) il caso in cui
si rilevi che le parti non avrebbero stipulato il contratto in assenza di quei
beni: in queste ultime ipotesi, l’inosservanza della norma vitiatur et vitiat.
Agli artt. 2557-2560 c.c., poi, sono dettagliatamente disciplinate le
conseguenze e il complesso di diritti e obblighi scaturenti in capo alle parti a
seguito della conclusione del negozio.
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Accanto alla disciplina codicistica generale e in relazione a rilevanti aspetti
del fenomeno contrattuale considerato, la legislazione ordinaria si cura di
regolare in maniera speciale gli effetti del contratto avuto riguardo ai
rapporti di lavoro in essere. In relazione al lato lavoristico dell’operazione
economica, infatti, il legislatore pone delle norme che sovente derogano alle
comuni regole che disciplinano la sorte del complesso delle situazioni
giuridiche soggettive oggetto di trasferimento tra cedente e cessionario. La
rilevanza della materia suggerisce di soffermarsi su (come l’ordinamento
disciplina) le conseguenze che si verificano sui rapporti di lavoro,
premettendo sin da subito che queste ultime non riguardano esclusivamente
(la gestione de)i singoli contratti individuali di lavoro subordinato, ma
rilevano anche sotto un profilo per così dire collettivo, poiché l’interesse
perseguito dal complesso della disciplina normativa non è solo quello di
agevolare la conclusione di un’operazione economica finalizzata a realizzare
interessi individuali (del cedente, del cessionario, del lavoratore interessato,
etc.), dovendosi questi ultimi contemperare con l’interesse collettivo
identificato nel gruppo di lavoratori oggetto di “transito”, che sollecita il
coinvolgimento delle organizzazioni sindacali all’interno della complessa fase
che conduce al perfezionamento della fattispecie contrattuale. Sugli artt. 2112
c.c. e 47, l. 428/1990, v. infra.
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Occorre accennare, sotto un profilo più generale, alla non infrequente ipotesi
in cui le parti interessate all’operazione economica facciano precedere la
conclusione del contratto definitivo dalla stipula di un “preliminare”, talvolta
accompagnato da clausole che - lungi dall’essere considerate meramente
accessorie nel complesso del negozio - assumono rilevanza essenziale se
guardate alla luce degli effetti finali perseguiti dai contraenti (per es., la prassi
insegna che spesso, contestualmente al preliminare di cessione, le parti
stipulino un contratto di affitto dell’azienda, con durata limitata nel tempo,
allo scopo di consentire all’affittuario promittente cessionario di valutare la
possibilità di acquisire a titolo definitivo l’azienda utilizzando magari un
apposita clausola di opzione di acquisto). Evitando di soffermarsi sugli
elementi essenziali del contratto preliminare di cessione di azienda [che,
com’è noto, segue la disciplina formale e sostanziale prevista dal codice in
relazione alla figura generale del contratto preliminare: v. MOGOVICH (25), 9
ss.], oltre all’evidente esigenza di anticipare determinati obblighi che la legge
pone in capo alle parti dopo la conclusione del definitivo (per es., anticipando
il divieto di svolgere attività in concorrenza, previsto dall’art. 2557 c.c.), è
opportuno mettere in evidenza due particolarità di rilievo. Sovente, infatti,
all’interno del preliminare le parti stabiliscono che la conclusione del
definitivo contratto di cessione avverrà senza subingresso della parte
promittente cessionaria nei contratti stipulati anteriormente all’atto definitivo,
così pianificando - soprattutto a livello di gestione economica dell’operazione
in fieri - quali e quanti debbano essere crediti, debiti e contratti ceduti. Per
converso, è pure possibile che le parti escludano il subingresso del futuro
titolare dell’azienda nei contratti in essere al momento della stipula del
preliminare, in maniera tale da onerare (magari obbligare con specifica
clausola) il promittente cedente ad estinguere quelli esistenti, nell’ottica di
modificare in nuce gli operatori economici con cui la futura impresa (rectius,
il nuovo titolare dell’azienda) avrà a che fare. Inoltre, è ben possibile che le
stesse parti, all’atto della firma del preliminare, decidano di inserire una
clausola contrattuale in cui si precisa che la cessione definitiva dell’azienda
non comporterà il trasferimento a parte promittente cessionaria del personale
dipendente in quanto nessun rapporto di lavoro subordinato sarà in corso alla
data della stipula dell’atto di cessione, così pianificando pure la ‘liberazione’
dei costi dei rapporti di lavoro subordinato attraverso la programmazione di
una serie licenziamenti (individuali e/o collettivi) al fine di permettere al
subentrante di organizzare e gestire anche il personale della ‘nuova’ azienda.
Su quest’ultimo profilo, però - in presenza di una disciplina legale che
consente alle organizzazioni sindacali di intervenire anche in sede di
Cessione di azienda
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conclusione del preliminare (ai sensi dell’art. 47, comma 1, l. n. 428/1990) - è
necessario sottolineare che nell’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria desuma un
manifesto intento fraudolento da parte dei contraenti (ex art. 1344 c.c.), volto
ad aggirare lo statuto protettivo del lavoro subordinato, vi sarà la concreta
possibilità che venga messa a rischio l’intera operazione economica.
3. Diritti e obblighi delle parti
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Anziché individuare preliminarmente diritti e obblighi che la legge fa
scaturire dalla conclusione del contratto di cessione di azienda, il codice si
preoccupa di prevedere e disciplinare in primis il divieto di concorrenza, per
poi solo dall’articolo successivo disciplinare la sorte del complesso delle
situazioni giuridiche oggetto di passaggio dal cedente al cessionario.
Attenendoci, quindi, all’ordine posto dal codice, è necessario prendere l’avvio
dalla disposizione contenuta nell’art. 2557 c.c. che, in materia di “divieto di
concorrenza”, stabilisce in maniera laconica che il cedente «deve astenersi,
per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova
impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare
la clientela dell’azienda ceduta». Postò, però, al comma 1 questo vincolo
limitativo della libertà d’intrapresa economica, l’art. 2557 prosegue
stabilendo che è possibile, attraverso uno specifico patto inserito nel contratto,
restringere ovvero ampliare (fino ad un massimo «di cinque anni dal
trasferimento») i limiti legali, purché non venga completamente impedita
«ogni attività professionale dell’alienante», contemperando, dunque, il
precetto contenuto nell’art. 41 Cost. Con riferimento a tale obbligo imposto in
capo all’alienante, in giurisprudenza si constata un anomalo contrasto fra
giudici di merito e Corte di legittimità. Se, infatti, è possibile definire questo
obbligo derogabile fino al punto di escluderne pattiziamente la sussistenza,
in relazione al carattere “non eccezionale” della norma (e, quindi, suscettibile
di interpretazione estensiva e di applicazione analogica) vi sono difformi
pronunce [LUONI (22)]. Mentre la Cassazione considera da tempo applicabile
il disposto in esame utilizzando una nozione “estensiva” del tipo “contratto di
cessione di azienda” - tale da farvi ricomprendere l’ipotesi di cessione di
quota di partecipazione societaria, dell’intero pacchetto azionario o di
cessione dell’azienda operata dal curatore fallimentare [C 16.2.1998, n. 1643,
RFI 1998, 613; C 17.4.2003, n. 6169, GI 2003, 2091]. Si esclude, invece, dal
raggio di applicazione della norma il soggetto che aliena un’azienda subito
dopo averla acquistata a mero scopo di speculazione, il soggetto che si limita
a vendere l’azienda ricevuta in eredità o in legato prima di averla gestita e al
fallito che ritorni a svolgere attività imprenditoriale dopo che la sua azienda
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sia stata ceduta nell’ambito della procedura concorsuale - il divieto di
concorrenza non è ritenuto suscettibile di applicazione analogica da diverse
pronunce di merito [cfr.: T Milano 12.3.2002, RFI 2003, 665; C App. Cagliari
26.1.1998, RGSarda 1999, 405; C App. Milano 16.6.1981, RFI 1982, 249; C
App. Milano 11.3.1977, ivi, 1980, 242; C App. Roma 31.10.1977, ivi, 1980,
241]. Premesso che per giurisprudenza unanime la violazione del predetto
divieto non richiede il verificarsi di un danno effettivo (eventualità che dà
invece diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non) o di una effettiva
concorrenza, essendo sufficiente un danno potenziale per conseguire la
risoluzione del contratto o l’inibitoria, la dottrina più accreditata ritiene
realizzata la violazione contrattuale anche a mezzo di prestanome [AULETTA
(3), 1223 ss.].
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A mente dell’art. 2558 c.c., posta la regola che «l’acquirente dell’azienda
subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa», la
successione del cessionario all’alienante nei rapporti contrattuali esistenti
all’atto della cessione è disciplinata in maniera tale da garantire alle parti
(anche prima della conclusione del contratto definitivo, per es. con la
sottoscrizione del preliminare: v. supra) margini di manovra in merito
all’individuazione (di ciò che entra a far parte e di ciò che non rientra
nell’ambito) dell’oggetto del contratto [cfr. LONGO (21); NARDELLI (26)].
Con l’ulteriore specificazione che non vengono trasferiti automaticamente
con l’avvenuta cessione dell’azienda i contratti che «abbiano carattere
personale», in relazione ai quali è necessaria un’apposita disposizione pattizia
finalizzata al subingresso del cessionario e nei cui confronti, comunque,
l’ordinamento attribuisce particolare rilevanza all’intuitus personae, tanto da
porre una disciplina differenziata (per es., per i contratti di lavoro
subordinato). La disposizione è completata dall’ovvia possibilità, riconosciuta
in capo al terzo contraente che vede modificarsi la controparte contrattuale (in
esplicita deroga a quanto previsto in via generale dagli artt. 1406 ss. c.c.) di
recedere dal contratto «entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se
sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità
dell’alienante». Ciò posto a livello generale, bisogna precisare che alla luce
della ratio dell’intera operazione economica, le parti non possono stipulare
una cessione di azienda prevedendo contestualmente di escludere alcuni
determinati contratti dall’oggetto della cessione; per i cosiddetti “contratti
indispensabili per l’esercizio dell’impresa” (come licenze e autorizzazioni
varie essenziali per l’esercizio dell’impresa, contratti di somministrazione,
contratti di agenzia, etc.) l’eventuale esclusione potrebbe apparire l’indice di
una volontà fraudolenta delle parti (se, ovviamente, non supportata da
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adeguata giustificazione logico-razionale), anche perché è su tali contratti che
si fonda il (plus)valore costituito dall’avviamento. Inoltre, la successione si
verifica anche rispetto a quei contratti di cui il cessionario non conosce
l’esistenza [C 19.6.1996, n. 5636, MGC 1996, 884].
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Ispirata ad una speciale istanza di protezione del contraente-lavoratore è la
disciplina relativa alla cessione dei contratti individuali di lavoro subordinato
che, fuori dal gruppo delle norme generali (artt. 2556-2560) è contenuta
nell’attuale formulazione dell’art. 2112 c.c. (più volte modificato, specie su
‘sollecitazione’ della regolamentazione comunitaria, rispettivamente dagli
artt. 47, comma 3, l. n. 428/1990, 1, d.lgs. n. 18/2001, 32, d.lgs. n. 276/2003 e
9, d.lgs. n. 251/2004). Occorre nuovamente ribadire che la disciplina
lavoristica non trova applicazione alla sola ipotesi di “cessione di azienda”,
ma alla fattispecie “trasferimento di azienda”, nella nozione normativamente
posta dal comma 5, ove si prevede che ai soli fini della predetta norma «si
intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a
cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di
un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al
trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a
prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale
il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda».
Ebbene, in tutte queste ipotesi, «il rapporto di lavoro continua con il
cessionario e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano» (c. 1) e il
«cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti
dai contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali vigenti alla data del
trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri
contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario» (c. 3). Premesso
che il trasferimento non costituisce in sé motivo di licenziamento, in
assonanza alla disposizione di cui all’art. 2558 c.c. si stabilisce che il
«lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica
nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda, può rassegnare le proprie
dimissioni» per giusta causa. Questa disciplina trova applicazione in presenza
dei presupposti tipizzati all’art. 2112 c.c. non richiedendosi, ai fini del
mutamento della figura del datore di lavoro, il consenso del contraentelavoratore ceduto; consenso, invece, necessario in tutte quelle ipotesi in cui la
segmentazione dell’attività produttiva non porti a configurare un’ipotesi di
trasferimento di azienda ma solo una forma di outsourcing (ma su questi
aspetti v. la parte dedicata all’apposito contratto e la sezione sulla cessione di
“ramo” di azienda, infra). Poiché - come si è in parte accennato - la cessione
di azienda può mascherare un’operazione finalizzata a ‘liberarsi’ di personale
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eccedentario ovvero (fuori dalle ipotesi in cui possa desumersi un intento
elusivo della normativa inderogabile a tutela del lavoro subordinato)
comportare peggioramenti nella posizione soggettiva dei lavoratori
subordinati interessati dall’operazione traslativa (a tal proposito è bene
rilevare come l’art. 32, comma 4, lett. c) della l. n. 183/2010, il c.d.
“Collegato Lavoro”, abbia introdotto un doppio termine di decadenza per far
valere eventuali vizi relativi alla cessione del contratto di lavoro, fissato il
primo in sessanta giorni dalla data del trasferimento, termine entro il quale il
lavoratore interessato deve impugnare stragiudizialmente il negozio, e il
secondo - a seguito delle modifiche introdotte dalla l. n. 92/2012 all’art. 2,
comma 2 della l. n. 604/1966 in materia d’impugnazione del licenziamento
individuale applicabile in virtù dell’esplicito richiamo contenuto all’art. 32,
comma 1, l. n. 183/2010 - di centoottanta giorni per il successivo deposito del
ricorso in giudizio ovvero per la richiesta del tentativo di conciliazione o
arbitrato; nel qual caso decorrerà un ulteriore termine di sessanta giorni dal
fallimento del tentativo per il ricorso al giudice), il legislatore nazionale sempre in attuazione di obblighi assunti nei confronti della Comunità Europea
- ha emanato una disciplina finalizzata a coinvolgere le rappresentanze
sindacali nella complessa procedura traslativa, al fine di ‘controllare’ effetti
eventualmente negativi nei confronti dei lavoratori conseguenti a cessioni
aziendali. L’art. 47, l. n. 428/1990 prevede infatti una dettagliata procedura da
seguire qualora l’azienda abbia un organico minimo di sedici dipendenti che
le parti devono necessariamente osservare al fine di evitare di incorrere in
sanzioni civili (l’art. 47, comma 3, infatti, tipizza come condotta
antisindacale ex art. 28, l. n. 300/1970 - Stat. lav. - il mancato rispetto delle
formalità prescritte). Sotto il profilo procedurale è necessario che cedente e
cessionario diano «comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni
prima che sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento o che sia
raggiunta un’intesa vincolante tra le parti [leggi: preliminare], se precedente,
alle rispettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze
sindacali aziendali costituite, a norma dell’art. 19 della l. 20.5.1970, 300,
nelle unità produttive interessate, nonché ai sindacati di categoria che hanno
stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al
trasferimento. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, resta
fermo l’obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria
comparativamente più rappresentativi e può essere assolto dal cedente e dal
cessionario per il tramite dell’associazione sindacale alla quale aderiscono o
conferiscono mandato». L’obbligo di informazione (che oltre ad essere
imposto per legge potrebbe trovare ulteriore od alternativa - a volte ben più
analitica - fonte nei contratti collettivi di lavoro) deve riguardare: «a) la data o
la data proposta del trasferimento; b) i motivi del programmato trasferimento
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d’azienda; c) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i
lavoratori; d) le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi». I
destinatari della comunicazione possono poi richiedere un «esame congiunto»
e in questo caso «il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette
giorni dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i
soggetti sindacali richiedenti», che può eventualmente sfociare in un accordo
[DE ANGELIS (14), 289].
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«La cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta, anche in mancanza di
notifica al debitore o di sua accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal
momento dell’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. Tuttavia
il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante»: questa la
disciplina generale relativamente alla successione dei crediti aziendali posta
dall’art. 2559 c.c., con una regolamentazione che deroga palesemente alle
norme generali previste agli artt. 1260, 1264 e 1265 c.c., che individuano
nell’accettazione del debitore ceduto o nell’avvenuta notifica nei suoi
confronti il momento a partire dal quale può reputarsi perfezionata la cessione
del credito. Per evidenti ragioni determinate dalla necessità di disciplinare
unitariamente un fenomeno che (ancorché composito) si presenta
giuridicamente unitario, l’adempimento della forma di pubblicità costituisce il
dies a partire dal quale individuare il nuovo creditore, salva ovviamente
l’ipotesi in cui il debito sia stato in buona fede onorato nelle mani del cedente.
È possibile che le parti includano od escludano dal novero creditorio
determinati cespiti attivi così come è in facoltà delle parti stabilire se le
cessioni (e quali) avvengano pro soluto ovvero pro solvendo; in assenza di
particolari regole contrattuali fissate dall’autonomia privata s’intenderanno
trasferiti tutti i crediti “aziendali”, effetto automatico del contratto che non
necessita di una specifica indicazione nell’atto di trasferimento” [TAR
Marche Ancona, s. I, 11.4. 2007, n. 489, FAmm TAR 2007, 4, 1319]. La
regola che esclude le situazioni giuridiche soggettive personali è prevista in
relazione ai contratti e non trova applicazione anche ai crediti; del che deve
necessariamente desumersi che «l’ostacolo al trasferimento dei crediti può
derivare dalla contraria volontà manifestata dalle parti del contratto di
cessione e non dal carattere personale del rapporto» [C 13.6.2006, n. 13676,
MGC 2006, 6]. Inutile aggiungere che nella prassi queste ambiguità sono
risolte a monte dell’operazione economica, quando sono in genere le stesse
parti contraenti a regolare gli aspetti contabili del trasferimento anche dei
crediti con l’ausilio delle scritture contabili cui attingere per valutare i crediti
e, in definitiva, determinare il prezzo della cessione.
5
12
CONTRATTI-FORMULARIO COMMENTATO
Calibrata alla luce dei diversi operatori economici che possono utilizzare
l’istituto esaminato (oltreché di ulteriori variabili circostanze di fatto) è la
disciplina della successione nei debiti inerenti all’azienda. L’art. 2560 c.c.
dispone che l’alienante «non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio
dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi
hanno consentito». Dunque, saranno le parti a regolare la sorte dei debiti
dell’azienda, potendo individuare quali restano esclusivamente in capo al
cedente. In relazione alle passività aziendali, il ruolo del terzo creditore - a
differenza della cessione dei crediti - non è completamente irrilevante:
essendo necessaria l’adesione del creditore ceduto, poiché per questi può non
essere indifferente l’essere creditore del cedente o del cessionario, s’impone
la necessità di notificare al creditore l’operazione affinché lo stesso aderisca
(così liberando il cedente dall’obbligo del pagamento, ormai costituito in capo
al cessionario); nell’ipotesi in cui venga opposto un rifiuto da parte del
creditore, si realizzerà un’obbligazione solidale. Queste regole devono però
armonizzarsi con quanto dispone il comma 2 dell’art. 2560 c.c.: quando ed
essere trasferita sia un’azienda commerciale entrambi i soggetti interessati
alla cessione rispondono dei debiti aziendali, «se essi risultano dai libri
contabili obbligatori». Se per la particolare natura dell’attività oggetto
dell’impresa il cedente non era tenuto al rispetto delle formalità contabili,
questa disposizione non troverà applicazione, essendo considerata dalla
giurisprudenza norma eccezionale insuscettibile di applicazione analogica [in
generale, sulla cessione delle ‘piccole aziende’, v. RESTINO (28), 1034 ss.].
Inoltre, neanche nell’ipotesi in cui si riesca a provare la conoscenza da parte
del cessionario della presenza di un determinato debito aziendale sorge in
capo a quest’ultimo l’obbligo di pagare il relativo debito: così il diritto
vivente esclude in capo al cessionario (lasciandola esclusivamente sul
cedente) la responsabilità per i debiti ‘fuori bilancio’ (perché mancano del
tutto le scritture contabili o perché il debito non è all’interno iscritto).
6
Diverge da quanto appena tratteggiato la disciplina in materia di debiti che
trovano il loro fondamento in un intercorso (o ancora in essere) rapporto di
lavoro [DUI (16)]. Fra le altre garanzie previste dall’art. 2112 c.c. nell’ipotesi
di trasferimento di azienda, si prevede che cedente e cessionario siano
obbligati «in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del
trasferimento». Viene stabilita, quindi, una responsabilità debitoria solidale
che prescinde da ulteriori accertamenti fattuali e che si contraddistingue per la
sua natura inderogabile: non è cioè possibile che le parti possano regolare in
senso difforme la materia. Il legislatore, comunque, consente al lavoratore di
liberare il cedente da tale responsabilità, prevedendo una particolare
Cessione di azienda
13
procedura (è la tecnica dell’autonomia individuale assistita, utilizzata in altri
campi della disciplina speciale; cfr., per es., l’art. 2113 c.c.) che contempla
l’intervento di un soggetto abilitato (la Direzione Territoriale del Lavoro
ovvero un’organizzazione sindacale cui il lavoratore aderisca o conferisca
esplicito mandato) che assiste il lavoratore nella scelta di privarsi di uno dei
suoi debitori (il cedente appunto) e, quindi, di una potenziale fonte di
soddisfazione del proprio credito. Se sul piano degli effetti, dunque, la
disposizione appena richiamata è accomunabile alla disciplina generale
prevista nell’art. 2560 c.c. (liberare il cedente dalla responsabilità debitoria),
sotto il profilo degli strumenti, la mera volontà manifestata dal lavoratore di
escludere l’alienante dal ‘parco’ dei propri debitori è giuridicamente
irrilevante (a differenza della disciplina generale); per raggiungere
quell’effetto è necessario che la volontà venga sottoposta ad uno strumento di
‘validazione’, al fine di verificarne la genuinità.
4. Articolazioni della fattispecie tipica
1
Nel complesso, la disciplina sin qui delineata trova applicazione all’ipotesi in
cui ad essere oggetto di cessione non sia l’intera azienda, ma solo un suo
ramo. L’esame dedicato all’individuazione degli elementi principali del
contratto, alla disciplina posta dagli artt. 2555-2560 c.c., al complesso di
diritti e obblighi nascenti in capo alle parti e all’eventuale stipula di un
contratto preliminare si possono benissimo richiamare, con gli opportuni
adattamenti conseguenti alla circostanza che non si tratta di cessione totale
dell’azienda, ma di cessione “parziale” (non sarà, per es., applicabile
integralmente il divieto di concorrenza come previsto dall’art. 2557 c.c.,
poiché il cedente continua a svolgere attività imprenditoriale: in presenza di
una cessione di ramo di azienda l’eventuale limitazione dovrà essere
contrattualmente fissata). Si appalesa l’opportunità di operare alcune
considerazioni specifiche in riferimento al “ramo” d’azienda poiché dottrina e
giurisprudenza (specie le sezioni lavoro) si sono spesso soffermate a delineare
i contorni della nozione, al fine di verificare (l’assenza de)i presupposti per
l’applicazione degli artt. 2112 c.c. e 47, l. n. 428/1990. Rilevanti, infatti, sono
le conseguenze sotto il profilo normativo nell’ipotesi in cui l’interprete neghi
la sussistenza di (una cessione avente ad oggetto) un ramo aziendale. Il
criterio discretivo è sempre indicato nell’art. 2112 c.c., a cominciare dalla
parte relativa all’identificazione della nozione di trasferimento d’azienda, ove
si legge che «Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per
trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione
contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività
14
CONTRATTI-FORMULARIO COMMENTATO
economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al
trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a
prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale
il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda»),
quanto nella parte in cui si prescrive che questa disciplina si applica «altresì al
trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione
funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata,
identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo
trasferimento». L’ultima parte dell’inciso è stata introdotta dalla cosiddetta
“legge Biagi” - l. n. 30/2003 e d.lgs. n. 276/2003 - al fine di valorizzare il
momento volitivo dell’autonomia individuale espressa da cedente e
cessionario nell’atto di stipula del negozio traslativo; ma la stessa parte è stata
successivamente svalorizzata da dottrina e giurisprudenza con la conseguenza
di ritenere ramo aziendale esclusivamente un’articolazione funzionalmente
autonoma dell’azienda, tale non in virtù di (presunta) qualificazione delle
parti, ma alla luce della circostanza che la ‘parte’ di azienda trasferita sia in
grado di funzionare in maniera autonoma perché tale era prima del
trasferimento. Non è, insomma, un ramo aziendale autonomo un complesso di
lavoratori che vengono considerati da cedente e cessionario in questo modo
ma non abbiano la capacità di svolgere con l’organizzazione aziendale
parziale una funzione dell’attività produttiva. Conseguentemente: se si sarà in
presenza di un vero e proprio ramo aziendale, troveranno applicazione tutte le
norme in questo capitolo esaminate; nell’ipotesi contraria, il fenomeno
economico sarà regolato in maniera differente, dal momento che (anziché
sotto la figura della “cessione di [ramo di] azienda”) si è in presenza di una
delle forme in cui può attualizzarsi il negozio di outsourcing (v.). Sotto il
profilo lavoristico, non sarà dunque applicabile l’art. 2112 c.c., con la
conseguenza che non troveranno applicazione le tutele individuali e collettive
(art. 47, l. n. 428/1990) previste dalla legge, perché i singoli lavoratori non
transiteranno automaticamente alle dipendenze del (presunto) cessionario,
dovendo necessariamente acquisirsi il consenso individuale degli stessi: a tal
proposito, sotto il profilo dei rimedi a disposizione dei lavoratori, si rinvia
pure alla disciplina delle decadenze come introdotta dall’art. 32, l. n.
183/2010 [T Monza 11.11.2009, LG 2010, 2, 205; C 10.1.2004, n. 206, MGC
2004, 1; C 4.12.2002, n. 17201, FI 2003, I, 103; C 25.10.2002, n. 15105, DL
2002, 905; SPEZIALE (32), 539-540; BAVARO (5), 246-249].
2
Prescindendo dalla normativa fiscale e dalle vicende circolatorie dell’azienda
successive all’avvio di procedure concorsuali, è opportuno aggiungere, in
ordine ad altre disposizioni complementari, che l’art. 768 bis c.c., dettato in
Cessione di azienda
15
materia di patto di famiglia, consente all’imprenditore di trasferire, in tutto o
in parte, l’azienda ovvero al titolare di partecipazioni azionarie le proprie
quote ad uno o più discendenti. Trattasi di un negozio che (a mente degli artt.
768 ter ss. c.c.) dev’essere redatto per atto pubblico a pena di nullità e che
prevede, nel procedimento di formazione contrattuale, il necessario intervento
del coniuge e dei legittimari. Inoltre, l’assegnatario è tenuto a liquidare gli
altri legittimari in danaro o con altri beni - a meno che gli stessi non
intendano rinunziare alla loro quota. Completano il quadro delle norme di
dettaglio due disposizioni particolari: la prima, contenuta nell’art. 132, l. n.
633/1941, che non consente all’editore di trasferire a soggetti terzi diritti
d’autore senza il consenso di quest’ultimo salva l’ipotesi di patto contrario e
di cessione dell’azienda da parte dell’editore (è comunque precluso il
trasferimento dei diritti d’autore a terzi senza il consenso di quest’ultimo
qualora possa esservi pregiudizio alla reputazione o alla diffusione
dell’opera); la seconda, contenuta nell’art. 36, l. n. 392/1978, che consente al
conduttore di sublocare o cedere il contratto di locazione anche senza il
consenso del locatore (essendo sufficiente una mera comunicazione a mezzo
raccomandata a/r, ma il locatore può comunque opporti entro trenta giorni in
presenza di “gravi motivi”) purché vi sia cessione ovvero locazione
dell’azienda.
5. Disciplina tributaria
1
Ai fini delle imposte indirette, le cessioni (ed i conferimenti) che hanno per
oggetto l’azienda o rami aziendali sono escluse da IVA (art. 2, comma 3, lett.
b), d.P.R. 26.10.1972, n. 633) in quanto considerate fuori dall’ambito del
tributo in ragione della loro sostanziale estraneità con la gestione dell’impresa
[sul tema si veda Corte di Giustizia, sentenza del 30.5.2013, causa C-651/11;
Corte di Giustizia, sentenza 27.11.2003, causa C-497/01]. In altri termini, sia
ai conferimenti che alle cessioni di aziende sembrerebbe riconosciuto il
carattere di atto organizzativo, funzionale alla logica dei contratti di
associazione e non anche atto di scambio in quanto, per definizione, non
rivolto ai consumatori finali (sul tema, tra i tanti, si vedano TASSANI (33),
740; FICARI (18), 933; CARINCI (7), 1173 ss.; LA ROSA (20), 307; FEDELE
(17), 345). Il contratto di cessione di azienda soggiace quindi ad imposizione
di registro in termine fisso con aliquota proporzionale del 3% se l’azienda non
comprende beni immobili (ex art. 2 della Tariffa, Parte Prima, allegata al
d.P.R. 26.4.1986, n. 131), oppure all’applicazione della diversa aliquota
prevista per i beni immobili e i diritti reali dall’art. 1 della Tariffa, Parte
Prima, allegata al suddetto d.P.R. n. 131 (in ordine alla quale si vedano le
16
CONTRATTI-FORMULARIO COMMENTATO
rilevanti modifiche decorrenti dall’1.1.2014 e apportate dall’art. 10 del d.lgs.
14.3.2011, n. 23, modificato dall’art. 26, comma 1, del d.l. 12.9.2013, n. 104,
convertito dalla l. 8.11.2013, n. 128; in argomento si veda AA.VV. (1);
MASTROIACOVO (24), 187). Infatti, ai fini dell’imposta di registro, soccorrono
le disposizioni contenute nel primo e nel quarto comma dell’art. 23 t.u.r.
(d.P.R. n. 131/1986): il dato normativo sembra conferire risalto alla natura e
al valore dei singoli beni o diritti che compongono l’azienda, per permettere
ai contribuenti di evitare una tassazione onerosa (con aliquota più elevata),
pattuendo corrispettivi distinti per la cessione dei medesimi beni o diritti. In
particolare, al primo comma è previsto che “se una disposizione ha per
oggetto più beni o diritti, per i quali sono previste aliquote diverse, si applica
l’aliquota più elevata, salvo che per i singoli beni o diritti siano stati pattuiti
corrispettivi distinti”. Il successivo quarto comma specifica inoltre che “nelle
cessioni di aziende o di complessi aziendali relativi a singoli rami
dell’impresa, ai fini dell’applicazione delle diverse aliquote, le passività si
imputano ai diversi beni sia mobili che immobili in proporzione del loro
rispettivo valore” [cfr. MAESIANO (23), 191; ARNAO (2), 138;
BASILAVECCHIA-NASTRI-PAPPA MONTEFORTE (4), 503]. A questo proposito,
con la circ. n. 6/E del 6.2.2007, par. 1.4, l’Agenzia delle Entrate ha affermato
che “pur essendo l’azienda una universitas rerum, cioè un’entità
funzionalmente organizzata in un complesso unitario, è legittimo considerare,
ai fini della determinazione dell’imposta di registro, la cessione dei beni
immobili distintamente da quella degli altri beni, onde applicare le aliquote
differenziate previste dalla Tariffa, Parte Prima, TUR, nonché per imputare le
passività in proporzione al valore dei vari beni aziendali. (…) la cessione di
un’azienda non è considerata unitariamente, in quanto ai diversi beni, sia
mobili che immobili, facenti parte del patrimonio aziendale sono applicabili
le aliquote stabilite per gli atti portanti trasferimento dei beni medesimi,
sempreché per essi siano stati indicati distinti corrispettivi (diversamente,
all’intero valore dell’atto si applica l’aliquota del bene con tassazione più
elevata)”. La base imponibile è data dal valore venale in comune commercio
dell’azienda (art. 51, comma 4, d.P.R. n. 131/1986) che si determina con
riferimento al valore complessivo dei beni, compreso l’avviamento, e dedotte
le passività che, ai fini dell’applicazione delle diverse aliquote, si imputano ai
diversi beni in proporzione del loro valore sulla base di quanto disposto
dall’art. 23, comma 4, citato). Nel caso in cui il compendio aziendale sia
costituito anche da beni immobili, appaiono ormai superate parte delle
problematiche che erano sorte in relazione all’applicazione delle imposte
ipotecarie e catastali. Fino al 2103, infatti, queste erano applicate con aliquota
proporzionale nella misura, rispettivamente, del 2 e 1% (art. 1, Tariffa, Parte
Prima, allegata al d.lgs. 31.10.1990, n. 347, art. 10 del medesimo decreto).
Cessione di azienda
17
Problemi rilevanti sorgevano tuttavia con riferimento alle regole di
determinazione della base imponibile dei singoli beni immobili in quanto,
nonostante l’espresso richiamo alle regole previste per l’imposta di registro e
per l’imposta sulle successioni e donazioni contenuto negli artt. 2 e 10, d.lgs.
31.10.1990, n. 347, l’orientamento della prassi amministrativa e della
giurisprudenza era consolidato nel ritenere che la base imponibile dovesse
essere determinata tenendo conto del valore degli immobili in sé considerati
senza valutare le passività relative all’azienda in cui erano compresi [cfr. C
29.11.1995, n. 12406; C 4.3.1999, n. 9478; C 16.5.2002, n. 7169; 5.6.2002, n.
15046; C 9.7.2003, n. 10751; cfr. Ris. n. 145/E del 5.10.2005, ove l’Amm.
Fin. ha precisato che “l’imponibile di un immobile facente parte dei beni
aziendali, ai fini delle imposte ipotecaria e catastale, è costituito dal valore
venale al lordo di eventuali oneri o passività esistenti”. Nello stesso senso, da
ultimo, anche circ. n. 18/E del 29.5.2013, par. 6.57. In dottrina, sul tema si
vedano TURCHI (34), 812 ss.; PORCARO (27), 869 ss.). Dall’1.1.2014 e a
seguito delle già citate modifiche apportate dall’art. 10, d.lgs. n. 23/2011,
modificato dall’art. 26, comma 1, d.l. n. 104/2013, convertito dalla l. n.
128/2013, per tutti gli atti di trasferimento di immobili a titolo oneroso
soggetti ad imposta di registro, le imposte ipotecaria e catastale si applicano
in misura fissa (di cinquanta €) e a prescindere dalle diverse previsioni
contenute nel d.lgs. n. 347/1990 [cfr. AA.VV. (1); MASTROIACOVO (24)]. Per
completezza, si evidenzia che ovviamente, fino al 2013, nel caso in cui
l’immobile facente parte del compendio aziendale fosse stato strumentale per
natura ai sensi dell’art. 10, n. 8 ter, d.P.R. n. 633/1972, l’imposta ipotecaria
non sarebbe stata comunque applicata nella maggiore misura del 3% e ciò per
l’evidente ragione che la tassazione “maggiorata” prevista dall’art. 1 bis della
Tariffa allegata al d.lgs. n. 347/1990 è disposta solo per le cessioni di
fabbricati strumentali per natura rientranti nel campo di applicazione
dell’IVA mentre la cessione di azienda, come detto all’inizio, è operazione
esclusa dal campo di applicazione dell’IVA [cfr. ZANETTI (35), 1-1760 ss.].
Infine, un problema di grande attualità che non è possibile trattare in questa
sede è quello di verificare se gli uffici, nell’esercizio della propria attività
accertativa, possano o meno “riqualificare” (come unitaria cessione di
azienda) i contratti aventi a oggetto singoli asset aziendali e stipulati in via
autonoma, in un unico contesto temporale ovvero in un arco temporale più o
meno ampio [sul tema si vedano, oltre gli Autori citati in precedenza, anche
BUSANI (6), 591; CORASANITI (12), 2197; CERRATO (9), 379].
B) FORMULE
18
CONTRATTI-FORMULARIO COMMENTATO
F052
CONTRATTO DI CESSIONE DI AZIENDA
OGGETTO DEL CONTRATTO
La cessione comprende tutti i beni mobili che arredano e corredano l’azienda,
tra cui i mobili d’ufficio, gli attrezzi, i macchinari, gli utensili, le materie prime,
nonché le merci e quant’altro risulta dall’elenco descritto formato di comune
accordo tra le parti e che, dalle stesse sottoscritto, si allega al presente atto.
Entra a far parte del complesso oggetto di trasferimento col presente
contratto di cessione di azienda la ditta costituita dalla sigla ........ e l’insegna
aziendale costituita da ........ Il cessionario potrà quindi conservare l’insegna
che contraddistingue attualmente l’azienda compravenduta ........ e potrà
successivamente modificarla, sopprimerla o cederla a terzi. Il cedente si
obbliga a non utilizzare più tale insegna in nessun modo, nemmeno se
avvierà una nuova azienda in altra località del territorio nazionale. Il cedente
garantisce la piena proprietà, libertà e disponibilità dei beni dedotti in
contratto e l’immunità degli stessi da pesi, privilegi, sequestri e pignoramenti.
Il cessionario viene immesso nel possesso dell’azienda ceduta col giorno
........ e dichiara di avere ricevuto tutti i documenti, i libri contabili, le fatture, la
documentazione relativa al personale dipendente, etc.
OBBLIGHI DEL CEDENTE
La parte venditrice si rende disponibile, sin da oggi, a rinunciare a favore
della parte acquirente a tutte le autorizzazioni e licenze amministrative
necessarie per l’esercizio dell’attività d’impresa e si impegna a svolgere tutte
quelle attività idonee a favorire la voltura delle predette autorizzazioni e
licenze, prestando, se del caso, il proprio incondizionato assenso, ove
richiesto dalla normativa vigente, al subingresso della parte acquirente. La
parte venditrice, in particolare, dichiara che nella cessione oggetto del
presente contratto è compresa la licenza per l’esercizio di ........ rilasciata da
........ col n. ........ L’efficacia del presente contratto è condizionata alla
concessione del rinnovo delle licenze e autorizzazioni prescritte per l’esercizio
dell’attività oggetto della cessione, con la conseguenza che, nel caso in cui
detta condizione non si avverasse per cause non imputabili alle parti, la
Cessione di azienda
19
presente scrittura dovrà intendersi priva di ogni effetto senza che alcuno dei
suoi sottoscrittori possa vantare alcun diritto o pretesa nei confronti dell’altro
per titolo o causale di sorta. Il venditore si obbliga, altresì, a portare a
conoscenza di clienti, fornitori, creditori e di quanti altri abbiano concluso
contratti con l’impresa l’avvenuta cessione dell’azienda, entro ........ giorni
dalla conclusione del contratto definitivo di cessione d’azienda.
OBBLIGHI DEL CESSIONARIO
Il cessionario assume in proprio la continuazione dei contratti di lavoro in
essere (di cui all’elenco che si allega) ai sensi dell’art. 2112 c.c. In particolare
il cessionario si obbliga a conservare al personale trasferito alle sue
dipendenze la medesima anzianità di servizio, nonché la qualifica e il
trattamento attualmente in atto presso il cedente e ad applicare i trattamenti
economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali e
aziendali vigenti alla data del trasferimento, sino alla scadenza, salvo che
siano sostituiti da altri contratti collettivi di pari livello. Le parti si adopereranno
al fine di ottenere conforme liberatoria nei riguardi del cedente da tutti i
lavoratori interessati, nelle forme di cui agli artt. 410-411 c.p.c.
DETERMINAZIONE DEL CORRISPETTIVO
Il prezzo convenuto e accettato della cessione è concordato dalle parti in
complessivi € ........, stabilito sulla base della situazione patrimoniale
dell’azienda, stimata al dì ........, che si rileva dall’elenco analitico delle attività
e passività allegato al presente atto. Vengono inoltre allegati il dettaglio dei
beni e il dettaglio del magazzino. Il valore dell’avviamento è concordemente
stabilito nella somma di € ........
OBBLIGO DI NON CONCORRENZA
Il cedente si obbliga per la durata di ........ anni a decorrere da oggi a non
aprire in questa città altra azienda dello stesso genere o di genere affine, né
in nome proprio, né a mezzo di interposte persone, e ad astenersi comunque
da ogni attività nell’ambito del comune che sia idonea a sviare la clientela
dell’azienda ceduta. Il venditore si impegna, inoltre, a non accettare la carica
di amministratore in imprese concorrenti e a non assumere la posizione di
socio illimitatamente responsabile in società concorrenti.
SUBINGRESSO NEI CONTRATTI
L’acquirente subentrerà solo nei contratti indicati nell’elenco allegato alla
20
CONTRATTI-FORMULARIO COMMENTATO
presente scrittura, in quanto necessari all’esercizio dell’impresa; sarà dato
avviso, entro ........ giorni dalla data di efficacia della cessione, ai contraenti
ceduti (con raccomandata con ricevuta di ritorno a firma dei legali
rappresentanti di entrambe le parti) dell’avvenuta cessione d’azienda.
DISCIPLINA IN MATERIA DI CREDITI E DEBITI AZIENDALI
(S’intendono esclusi dalla cessione i crediti e i debiti aziendali, i quali
resteranno rispettivamente a favore e a carico del cedente, con la
conseguenza che l’azienda passa all’acquirente al netto di essi, con l’obbligo
assunto dal cedente di rifondere al cessionario quanto lo stesso fosse tenuto
a sborsare nei confronti dei creditori dell’azienda per effetto dell’articolo 2560
c.c.)
oppure
(L’acquirente si rende cessionario dei debiti, dei crediti e dei fondi relativi ai
rapporti suddetti, così come specificati nella situazione patrimoniale
aggiornata al ........, nonché quelli maturati successivamente sino alla data di
efficacia della presente cessione.
Il cessionario si obbliga a tenere indenne il cedente per tutti i pagamenti che
dovesse fare per debiti inerenti all’azienda ceduta. Il cedente, a sua volta, si
obbliga a versare al cessionario l’importo di quei crediti inerenti all’azienda
ceduta che gli venissero pagati).
Luogo, ........; data, ........
Firme
........
Allegati:
- Situazione patrimoniale
F053
CONTRATTO DI AFFITTO DI RAMO DI AZIENDA CON OPZIONE DI
ACQUISTO
Cessione di azienda
21
PREMESSE FACENTI PARTE DEL CONTRATTO
Premesso che la Società ........ intende concedere in affitto il ramo come
appresso descritto, concedendo alla conduttrice il diritto di opzione sulla
vendita, da esercitarsi entro la fine del secondo anno a partire dalla data di
esecuzione del presente contratto e che la Società ........ intende prendere in
affitto il sopradescritto ramo d’azienda di proprietà della Società ........
nell’intento, al termine di una ragionata sperimentazione, di rilevarne la
proprietà.
OPZIONE DI ACQUISTO
Le parti, di comune accordo, stabiliscono e convengono quanto segue: la
Società … concede alla Società ......... opzione per l’acquisto del ramo di
azienda affittato al prezzo di € ........ L’esercizio del diritto di opzione viene a
scadere al dì ........ e, salvo diversi accordi, l’atto di cessione dovrà essere
stipulato entro il ........ Fino a quel momento i rapporti tra le parti saranno
regolati dal contratto di affitto di azienda.
Il pagamento del prezzo per la compravendita dell’azienda dovrà essere
effettuato in unica soluzione. In caso di acquisto dell’azienda entro il primo
anno, il 75% dei canoni di affitto pagati verranno imputati in conto prezzo. In
caso di acquisto entro il secondo anno, verrà imputato in conto prezzo il 66%
dei canoni d’affitto corrisposti e maturati fin dall’inizio.
Luogo, ........; data, ........
Firme
........
C) GIURISPRUDENZA: 1. Individuazione della fattispecie - 2. Effetti - 3.
Forma e formalità - 4. Invalidità - 5. Divieto di concorrenza - 6. Successione
nei contratti - 7. Debiti e crediti - 8. Art. 2112 c.c.
1. Individuazione della fattispecie
1
Si ha cessione di azienda quando le parti non abbiano inteso trasferire una
semplice somma di cespiti, ma un complesso organico di beni
unitariamente considerato, dotato di potenzialità produttiva tale da farne
emergere ex ante la complessiva attitudine anche solo potenziale all’esercizio
di un’impresa, senza che rilevi, per la qualificazione di una vicenda traslativa
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CONTRATTI-FORMULARIO COMMENTATO
come cessione di azienda, che le singole parti che la compongono siano state
cedute globalmente o con più atti separati, decisiva essendo unicamente la
causa reale del negozio e la regolamentazione degli interessi effettivamente
perseguiti dai contraenti, causa e regolamentazione che possono essere
desunte esclusivamente dalla lettura delle conferenti disposizioni negoziali
intervenute tra i paciscenti [C 3.12.2009, n. 25403, Gdir 2010, 4, 37].
2
Deve intendersi come cessione di azienda il trasferimento di una entità
economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del
trasferimento, conservi la sua identità e consenta l’esercizio di una attività
economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo. Al fine di
un simile accertamento occorre la valutazione complessiva di una pluralità di
elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza in relazione al tipo di
impresa, consistenti nell’eventuale trasferimento di elementi materiali o
immateriali e del loro valore, nella avvenuta riassunzione in fatto della
maggior parte del personale da parte della nuova impresa, nell’eventuale
trasferimento della clientela, nonché nel grado di analogia tra le attività
esercitate prima e dopo la cessione. In particolare se non è necessaria la
cessione di tutti gli elementi che normalmente costituiscono l’azienda, deve
tuttavia appurarsi che nel complesso di quelli ceduti permanga un residuo di
organizzazione che ne dimostri la loro attitudine all’esercizio dell’impresa, sia
pur mediante la successiva integrazione da parte del cessionario [C 9.10.2009,
n. 21481, Gdir 2010, 2, 66].
3
Va ravvisata una cessione d’azienda tutte le volte in cui la relativa
convenzione negoziale abbia avuto ad oggetto il trasferimento di beni
organizzati in un contesto produttivo (anche solo potenziale)
dall’imprenditore per l’attività d’impresa [C 30.1.2007, n. 1913, Ctrib 2007,
1061].
4
Si configura trasferimento d’azienda in tutti i casi in cui muti il titolare
dell’impresa, indipendentemente dalla sussistenza di rapporti contrattuali
diretti tra cedente e cessionario (nella specie, si è ravvisato trasferimento
d’azienda in un’ipotesi di successione nell’appalto di servizi con passaggio di
beni di non trascurabile entità) [C 13.1.2005, FI 2005, I, 690].
Cessione di azienda
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2. Effetti
1
Nella cessione di azienda, il prodursi dell’effetto successorio determina il
subentro ipso iure del cessionario anche nella clausola compromissoria
contenuta in un contratto stipulato dal cedente per l’esercizio dell’azienda
medesima, senza che sia necessario un apposito patto di cessione e senza che
sia pertanto richiesta la forma scritta ad substantiam [C 28.3.2007, n. 7652,
FI 2008, 3, 903].
3. Forma e formalità
1
La forma scritta imposta per il contratto di cessione d’azienda attiene alla
prova e non alla validità [T Venezia 31.1.2000, FP 2001, I, 255].
2
La cessione dell’azienda relativa all’impresa familiare di cui all’art. 230 bis
c.c. deve essere necessariamente notificata per iscritto ai singoli partecipanti,
per consentire a ciascuno di essi l’eventuale esercizio del diritto di prelazione
loro spettante [T Milano 11.8.2003, Gmil 2004, 373].
4. Invalidità
1
È nullo il contratto di cessione d’azienda ove determinato dal motivo illecito
comune alle parti contraenti di eludere l’applicabilità presso la cedente della
normativa sui licenziamenti collettivi, Cig e mobilità trasferendo i lavoratori
presso la società acquirente. Deve ritenersi corretto in tema di prova della
natura fraudolenta del negozio e dell’illiceità del motivo comune
determinante dei contraenti il ricorso alla presunzione, costituendo il
comportamento delle parti elemento rilevante [C App. Napoli 23.3.2001, RGL
2002, II, 283].
5. Divieto di concorrenza
1
Non viola il divieto di concorrenza posto dall’art. 2557, comma 1, c.c.
l’apertura, per di più a distanza di tre anni dalla cessione di azienda, da parte
di uno dei soci della società cedente di un’attività di gelateria effettivamente
analoga a quella svolta dal cessionario e certamente diretta alla
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CONTRATTI-FORMULARIO COMMENTATO
commercializzazione di prodotti rientranti nella stessa tabella merceologica in
un luogo distante, secondo nozioni di fatto note, circa un chilometro e mezzo
rispetto al luogo in cui si trova l’azienda ceduta, collocandosi le due imprese,
entrambe situate lungo la immediata prossimità del mare, caratterizzati da alta
densità demografica e da un’elevatissima concentrazione di attività
commerciali, di cui varie decine destinate proprio all’esercizio di
somministrazione di alimenti e bevande, nella forma di bar, caffè, pasticcerie,
gelaterie e simili [T Salerno I, 9.3.2010, inedita].
2
In tema di divieto di concorrenza, la disposizione contenuta nell’art. 2557
c.c., la quale stabilisce che chi aliena l’azienda deve astenersi, per un periodo
di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che sia
idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta, appropriandosi nuovamente
dell’avviamento, non ha il carattere dell’eccezionalità, in quanto con essa il
legislatore non ha posto una norma derogativa del principio di libera
concorrenza, ma ha inteso disciplinare nel modo più congruo la portata di
quegli effetti connaturali al rapporto contrattuale posto in essere dalle parti.
Pertanto, non è esclusa l’estensione analogica del citato art. 2557 c.c.
all’ipotesi di cessione di quote di partecipazione in una società di capitali, ove
il giudice del merito, con un’indagine che tenga conto di tutte le circostanze e
le peculiarità del caso concreto, accerti che tale cessione abbia realizzato un
«caso simile» all’alienazione d’azienda, producendo sostanzialmente la
sostituzione di un soggetto ad un altro nell’azienda [C 19.11.2009, n. 27505,
RDInd. 2009, 4-5, 470].
3
In tema di cessione d’azienda, il divieto di concorrenza, posto a carico
dell’alienante dall’art. 2557, comma 1, c.c., non persegue un interesse
pubblico, trattandosi di una norma di natura dispositiva che, prima
dell’entrata in vigore della l. 12.8.1993, n. 310, con la quale è stato imposto
l’obbligo della forma scritta ad probationem ai contratti di trasferimento della
proprietà o del godimento dell’azienda, poteva essere derogata anche
mediante un patto tacito, desumibile per facta concludentia dalla condotta
delle parti [C 16.4.2008, RDInd. 2008, 6, 582].
4
L’art. 2557 c.c. non ha carattere di eccezionalità ed è quindi suscettibile di
applicazione analogica a tutte le ipotesi in cui si realizzi la sostituzione di un
soggetto ad un altro nella gestione dell’impresa, compreso il caso in cui la
cessione dell’azienda sia realizzata nell’ambito di una procedura concorsuale
Cessione di azienda
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promossa nei confronti del titolare dell’azienda [T Torino 14.7.2006, GI
2007, 11, 2520].
5
Il divieto di concorrenza sancito a carico dell’alienante dell’azienda
commerciale dall’art. 2557 c.c. è applicabile anche nel caso in cui l’alienante
dia vita ad una nuova impresa indirettamente, per esempio operando a mezzo
di prestanome o anche per conto altrui [T Torino 30.6.2006, GM 2006, 12,
2657].
6
Il divieto di concorrenza sancito a carico dell’alienante dell’azienda
commerciale dall’art. 2557 c.c. è estensibile ad ogni caso in cui si verifichi
sostanzialmente la sostituzione di un soggetto ad un altro nell’azienda ed è
quindi applicabile anche in caso di cessione dell’azienda a seguito di
fallimento [T Torino 30.6.2006, GM 2006, 12, 2657].
7
Il divieto di concorrenza di cui al comma 1 dell’art. 2557 c.c., essendo volto a
salvaguardare l’azienda nella sua funzione economico-sociale di complesso di
beni organizzato per l’esercizio dell’impresa, è applicabile non solo
all’ipotesi, espressamente prevista, di alienazione dell’azienda da parte del
proprietario, ma a tutti i casi di circolazione dell’azienda medesima, inclusa
quella di restituzione dell’azienda al proprietario da parte dell’affittuario [C
App. Milano 5.4.2006, Gcomm. 2007, 4, 800].
8
In tema di divieto di concorrenza, la disposizione contenuta nell’art. 2557
c.c., la quale stabilisce che chi aliena l’azienda deve astenersi, per un periodo
di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per
l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze, sia idonea a sviare la clientela
dell’azienda ceduta, non ha il carattere dell’eccezionalità, in quanto essa non
deroga ad un principio di libertà, esprimendo, al contrario, un principio
generale di libertà giuridica. Pertanto, non è esclusa l’applicabilità in via
analogica del citato art. 2557 c.c. all’ipotesi di cessione di quote di
partecipazione societaria, ove detto trasferimento realizzi il presupposto di
un pericolo concorrenziale analogo a quello conseguente alla cessione di
azienda vera e propria, in quanto attraverso la forma della cessione di quote si
pervenga, in realtà, a cedere una precipua attività di impresa. Spetta al giudice
di merito di accertare, caso per caso, se il predetto pericolo concorrenziale si
sia realizzato anche nel caso di cessione di quote di partecipazione [C
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CONTRATTI-FORMULARIO COMMENTATO
24.7.2000, n. 9682, C 2001, 179].
9
Il divieto di concorrenza nella cessione d’azienda è da ritenersi norma
eccezionale e come tale insuscettibile di applicazione analogica al
trasferimento d’azienda attuato attraverso la cessione di quote sociali [C
App. Cagliari 26.1.1998, RGSarda 1999, 405].
6. Successione nei contratti
1
Nell’ipotesi di cessione di azienda, anche la cessione del contratto di
locazione deve ritenersi ipso facto perfezionata alla sola condizione che sia
ceduta anche l’azienda, con la semplice comunicazione del trasferimento al
locatore ceduto e senza che sia pertanto necessario il consenso di quest’ultimo
[C App. Milano 24.9.2008, inedita].
2
Per effetto dell’art. 2558 c.c. - a norma del quale, salvo patto contrario, la
cessione di azienda determina il trasferimento dei contratti stipulati per
l’esercizio della medesima che non abbiano carattere personale - l’acquirente
di essa subentra non soltanto nei contratti aventi ad oggetto il godimento dei
beni aziendali non di proprietà dell’imprenditore e da lui acquisiti per lo
svolgimento della sua attività, ma anche nei contratti di impresa, aventi ad
oggetto rapporti concernenti l’organizzazione di questa, tra i quali rientrano i
contratti con i fornitori, di assicurazione, di appalto, di concessione in uso di
spazi pubblicitari. Pertanto è necessario che la deroga a detta regola generale
emerga dal tenore letterale complessivo del contratto di cessione, da
interpretare secondo le regole ermeneutiche della volontà delle parti stabilite
dagli artt. 1362 ss. c.c., tra cui il loro comportamento successivo alla
conclusione del contratto, che però non può indurre il giudice di merito a
desumere una volontà modificativa o innovativa di quella risultante dal
contesto dell’atto negoziale [C 22.7.2004, n. 13651, MGC 2004, 7-8].
3
In tema di cessione di azienda, il regime fissato dall’art. 2560, comma 2, c.c.,
con riferimento ai debiti relativi all’azienda ceduta, secondo cui dei debiti
suddetti risponde anche l’acquirente dell’azienda allorché essi risultino dai
libri contabili obbligatori, è destinato a trovare applicazione quando si tratti di
debiti in sé soli considerati, e non anche quando, viceversa, essi si
ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario
Cessione di azienda
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sia subentrato a norma del precedente art. 2558 c.c. E infatti, in tal caso, la
responsabilità si inserirà nell’ambito della più generale sorte del contratto
(purché, beninteso, non già del tutto esaurito), anche se in fase contenziosa al
tempo della cessione dell’azienda [C 16.6.2004, n. 11318, MGC 2004, 6].
4
In tema di cessione di azienda, la mancata comunicazione dell’esistenza di un
dato contratto da parte del cedente al cessionario, e la conseguente ignoranza
dello stesso da parte di quest’ultimo, non ostano, di per sé, al verificarsi della
successione del cessionario medesimo nei rapporti derivanti dal contratto
ignorato e, nel mancato esercizio da parte del terzo contraente della facoltà di
recesso riconosciutagli dall’art. 2558, comma 2, c.c., della liberazione del
cedente dagli obblighi correlativi [C 19.6.1996, n. 5636, MGC 1996, 884].
7. Debiti e crediti
1
Secondo gli artt. 2558 e 2559 c.c. il trasferimento di azienda comporta la
cessione dei debiti e dei crediti relativi e la successione nei contratti già
stipulati dal cedente, i quali non abbiano carattere personale, in ragione
dell’unificazione funzionale di tutti gli elementi necessari all’esercizio
dell’impresa; in caso di cessione di azienda, inoltre, ogni credito aziendale si
trasferisce al cessionario, al pari di ogni altro elemento della universitas,
essendone parte integrante, senza la necessità di una sua specifica
indicazione nell’atto di trasferimento [TAR Marche, Ancona, I, 11.4.2007, n.
489, Famm TAR 2007, 4, 1319].
2
La cessione dell’azienda, a norma dell’art. 2559 c.c., ha carattere unitario e
importa il trasferimento al cessionario, insieme a tutti gli elementi costituenti
l’universitas e senza necessità di una specifica pattuizione nell’atto di
trasferimento, di tutti i crediti inerenti alla gestione dell’azienda ceduta.
L’ostacolo al trasferimento dei crediti può derivare dalla contraria volontà
manifestata dalle parti del contratto di cessione, e non dal carattere personale
del rapporto, menzionato, invece, dall’art. 2558 c.c., che disciplina la sorte dei
contratti, mentre l’inerenza del credito alla gestione dell’impresa non è
esclusa dalla sua natura extracontrattuale, se il fatto illecito sia stata
commesso ai danni dell’azienda [C 13.6.2006, n. 13676, MGC 2006, 6].
3
A norma dell’art. 2560 c.c. in caso di trasferimento di azienda l’acquirente
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CONTRATTI-FORMULARIO COMMENTATO
risponde dei debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta se essi risultano
dai libri contabili obbligatori. Si tratta di un elemento costitutivo della
fattispecie che è onere del creditore provare, a nulla rilevando la conoscenza
che il cessionario abbia avuto conoscenza aliunde dei debiti del cedente. La
domanda proposta ex art. 2560 c.c. deve, pertanto, essere rigettata qualora
dell’esistenza di tale elemento non sia fornita idonea dimostrazione [T
Benevento 17.1.2008, Gdir 2008, 15, 74].
4
In tema di cessione d’azienda, l’inesistenza dei libri contabili, dovuta a
qualsiasi ragione, compresa la loro non obbligatorietà per lo specifico tipo di
impresa, rende inconfigurabile l’elemento costitutivo della responsabilità
del cessionario per i debiti relativi all’azienda e conseguentemente preclude
il sorgere della medesima responsabilità [C 9.3.2006, n. 5123, MGC 2006, 3].
5
In tema di cessione d’azienda, a norma dell’art. 2560 c.c. l’acquirente
risponde solo dei debiti inerenti all’azienda che risultino dal libri contabili;
l’iscrizione nei libri contabili si configura, pertanto, come elemento
costitutivo della responsabilità dell’acquirente in relazione al suddetti debiti,
senza che essa possa essere surrogata da altre forme di conoscenza della
situazione
debitoria
dell’azienda
eventualmente
a
disposizione
dell’acquirente, atteso che il citato art. 2560 c.c. è norma a carattere
eccezionale e perciò insuscettibile di interpretazione analogica [T Roma
6.10.2004, LG 2005, 495].
8. Art. 2112 c.c.
1
Il trasferimento di un ramo di azienda che costituisca, prima del
trasferimento, un’entità dotata di autonomia e unitaria organizzazione è
configurabile come trasferimento aziendale ai sensi dell’art. 2112 c.c., mentre
non è riconducibile alla nozione di cessione di azienda il contratto con il
quale viene realizzata la c.d. esternalizzazione dei servizi, ove questi non
integrino un ramo o parte di azienda nei sensi ora indicati. Ne consegue che,
mentre nell’ipotesi della cessione di ramo di azienda si realizza la successione
legale nel rapporto di lavoro del cessionario senza bisogno di consenso dei
contraenti ceduti, nel caso della mera esternalizzazione di servizi ricorre la
fattispecie della cessione dei contratti di lavoro, che richiede per il suo
perfezionamento il consenso dei lavoratori ceduti [C 8.8.2007, n. 17434,
MGC 2007, 7-8].
Cessione di azienda
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D) BIBLIOGRAFIA: (1) AA.VV., La tassazione dei trasferimenti immobiliari a
titolo oneroso dal 1° gennaio 2014, Studio n. 1011-2013/T del CNN; (2)
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cessione d’azienda. profili economici, aziendali e procedurali, Padova, 2007;
(20) LA ROSA, Cessione d’azienda e cessioni di beni tra imposta di registro
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azienda: profili attuali e atteggiamenti della prassi, GM 1997, 5, 1109; (22)
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11; (23) MAESIANO, Commento all’art. 23, in D’AMATI (a cura di), La nuova
disciplina dell’imposta di registro, Torino, 1989, 191; (24) MASTROIACOVO,
Modifiche all’imposizione indiretta sui trasferimenti di immobili a titolo
oneroso, Ctrib 2014, 187; (25) MOGOVICH, Cessione di azienda: il contratto
preliminare, I 2004, 9; (26) NARDELLI, Nota in materia di trasferimento
d’azienda, successione nei rapporti d’impresa e contratto di locazione dei
30
CONTRATTI-FORMULARIO COMMENTATO
locali, GI 2004, 2; (27) PORCARO, L’imposta ipotecaria e catastale nella
cessione di azienda, RT 1995, 869; (28) RESTINO, Brevi note sulla disciplina
in materia di trasferimento di azienda e di cessione di “esercizi commerciali”
(l. 12 agosto 1993, n. 310), Gcomm. 1995, 1034; (29) ROMEI, Cessione di
ramo di azienda e appalto, DLRI 1999, 325; (30) SANGIOVANNI, Contratto di
agenzia, cessione di azienda e indennità di fine rapporto, CG 2008, 638; (31)
SANTORO PASSARELLI, Trasferimento d’azienda e rapporto di lavoro, Torino,
2004; (32) SPEZIALE, Appalti e trasferimenti di azienda, in AA.VV., Percorsi
di diritto del lavoro, a cura di GAROFALO-RICCI, Bari, 2006; (33) TASSANI,
Cessione di azienda ed esercizio dell’attività nell’imposta sul valore
aggiunto, RT 2004, 740; (34) TURCHI, L’applicazione delle imposte
ipotecarie e catastali in caso di cessione d’azienda comprendente beni
immobili, GI 2003, 812; (35) ZANETTI, Le imposte ipotecaria e catastale sugli
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