Di popolo o d’èlite: la Chiesa italiana al bivio In «Vita e Pensiero» 2003/3, pp.55-60. Più volte il cardinale Ruini, nei suoi interventi quale presidente della Conferenza episcopale italiana, ha parlato del cattolicesimo italiano come di un cattolicesimo popolare. E sulla sua scia, ma anche prima di lui e con diversi accenti, altri vescovi hanno evidenziato la connotazione popolare del cattolicesimo italiano. E quasi sempre, nel discorso dei vescovi, questa osservazione nasce dalla esplicita preoccupazione pastorale che tale dimensione popolare possa andare perduta o comunque ridursi di molto in conseguenza dei processi culturali in atto. Tre sono i principali significati che comunemente si attribuiscono alla caratterizzazione popolare del nostro cattolicesimo. Il primo deriva dal diffuso senso di appartenenza alla Chiesa cattolica. I risultati delle diverse indagini sociologiche condotte negli ultimi dieci anni parlano di grandi percentuali di italiani che si riconoscono nella Chiesa cattolica (intorno al 90%), usano partecipare alle celebrazioni natalizie o pasquali (in alcune zone oltre il 50%) e, in misura più ridotta ma comunque notevole a confronto con altre nazioni europee, frequentano la messa domenicale (intorno al 20%). Naturalmente, incrociando queste percentuali con altri risultati delle stesse indagini, si possono dare e si danno interpretazioni diverse dell’attuale situazione di adesione di massa alla Chiesa cattolica e, soprattutto, si ipotizzano prossimi scenari piuttosto diversi. Comunque il dato sociologico di un attualmente vasto radicamento della Chiesa cattolica nella popolazione italiana appare evidente. Il secondo significato si lega alle tante e generalmente ancora molto vive tradizioni di devozione popolare nelle varie regioni italiane. Dire che il cattolicesimo italiano ha un tratto popolare significa dire che è connotato da una diffusa devozionalità. Ciò che di fatto continua a legare il cattolico italiano alla Chiesa è, spesso, la devozione al Signore, alla Madonna, ai santi, quelli della tradizione e quelli di oggi. Si pensi all’impressionante fenomeno della devozione a san Pio da Pietralcina che tocca tutte le regioni d’Italia. Il radicamento popolare del cattolicesimo italiano è dovuto, non secondariamente, al persistere dei legami devozionali. È l’eredità della storia cristiana dell’Italia, una storia lunga duemila anni e ricca di tante tradizioni di devozione legate ai santuari, alla presenza degli ordini religiosi, alle figure di santità, alle feste dei santi patroni. C’è tutto un mondo di comunità cittadine, di paesi e villaggi, di famiglie, di più vaste aree locali che si riconoscono in tradizioni di spiritualità e di pietà che affondano le loro radici nel Medioevo ed ancora prima. Ma per l’Italia nel suo complesso, in tutte le sue regioni, compresa la Sicilia, l’unica regione che sperimentò una rottura di continuità nella sua storia cristiana, a motivo della dominazione islamica, ha influito in maniera determinante, ai fini della diffusione delle stesse devozioni o comunque di devozioni del medesimo tipo, la predicazione missionaria itinerante, in età moderna, di gesuiti, redentoristi, cappuccini, passionisti ed anche preti diocesani che suggeriva ai fedeli la devozione al Crocifisso, alla Madonna e ai santi quale modalità ordinaria di esercizio della vita cristiana. E tanta parte della cura pastorale è tuttora indirizzata all’alimentazione delle devozioni. La crisi di tanto mondo rurale, impregnato di devozioni, negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso non ha comportato la scomparsa di quelle stesse devozioni che ora, infatti, si legano a motivazioni sociali e culturali diverse e si inseriscono nei nuovi ritmi di vita economica del Paese, spesso assunte anche dalle stesse amministrazioni municipali come fattore importante dell’identità locale. Senza dire che tanti gruppi e movimenti ecclesiali, introdotti nel dopoconcilio e oggi diffusi in tutt’Italia, realizzano indubbiamente una presenza ecclesiale popolare, sia per tipo di reclutamento nient’affatto elitario e sia per stile di aggregazione e di culto, pur se in forme diversissime e per certi aspetti con il deliberato intento di superare l’antica devozione popolare. Il terzo significato è connesso a quella capillare presenza di strutture assistenziali, di istituzioni educative e, più in generale, di aggregazioni di vario tipo, anche economico, che la Chiesa italiana o, forse con più esattezza, i cattolici italiani, pur con grande fatica e con consistenti riduzioni negli ultimi anni, hanno continuato a mantenere viva nella società italiana. Nella varietà e complessità delle tante iniziative e delle tante associazioni con finalità formative, caritative e culturali, avviate a animate dalle congregazioni religiose e dai movimenti laicali, oltre che dalle diocesi e dalle parrocchie, la Chiesa italiana appare molto vicina al popolo, radicata nelle più diverse ed anche periferiche realtà sociali del Paese. Naturalmente questi tre significati della connotazione popolare del cattolicesimo italiano sono intrecciati e interconnessi. Contribuiscono insieme a renderlo singolare nel panorama europeo. Ci si possono chiedere i motivi di tale singolarità. Influisce innanzitutto il fatto che l’Italia è la terra che ospita la Santa Sede e, quindi, è il centro del cattolicesimo. Pur in maniera diversa dalle altre nazioni europee, la società italiana è oggi largamente secolarizzata. E tuttavia persiste un nesso storico tra nazione italiana e cattolicesimo che in qualche modo contribuisce a fare peculiare l’identità italiana. Ma influisce in maniera più determinante l’eredità della grande stagione della controriforma o riforma tridentina che significò un progettuale volgersi della Chiesa alle campagne e ai centri minori nell’intento di portare le popolazioni ad una certa consapevolezza della loro fede cristiana. Come ho già accennato, buona parte delle tradizioni di devozioni tutt’oggi coltivate nelle singole regioni d’Italia risalgono all’influsso delle missioni popolari in età moderna. Ed anche buona parte dell’attuale impianto della cura pastorale risale all’età tridentina, seppure “aggiornata” e spesso reinterpretata in profondità alla luce dell’insegnamento del Vaticano II e delle suggestioni del dopoconcilio. La singolarità del radicamento popolare del cattolicesimo italiano nel quadro europeo si spiega, però, anche e specialmente, come risultato dello straordinario impegno attivistico e organizzativo del cattolicesimo sociale e politico dell’OttoNovecento. Quella vasta presenza ecclesiale nella società italiana nei campi dell’assistenza, dell’educazione e, più in generale, della formazione e perfino dell’economia che ho prima ricordata trova spesso la sua origine in iniziative del movimento cattolico che furono avviate un po’ in tutta Italia, ma particolarmente in alcune regioni, a partire dalla fine dell’Ottocento, precedute e poi accompagnate dalle tante “opere” – talvolta piuttosto modeste e legate ad una sola città ma altre volte allargatesi in diverse regioni d’Italia e poi fuori d’Italia -- delle congregazioni religiose di vita attiva sorte proprio nell’Ottocento. È l’eredità del cattolicesimo militante che non ha lasciato solo “opere” – tante delle quali ora esaurite o molto ridotte – ma anche una diffusa sensibilità per la testimonianza dei valori umani e cristiani nella società che ha segnato in profondità la vicenda di tanto cattolicesimo italiano e tutt’oggi agisce seppure in forme diverse dal passato, ad esempio nel campo del volontariato. L’essere cattolico ha significato in Italia, per un gran numero di fedeli, scommettersi sul piano civile, impegnarsi nella vita politica, prendere parte a una qualche organizzazione con finalità sociale o assistenziale o caritativa in nome della fede cristiana. E la partecipazione alla vita politica è stata incoraggiata come esercizio esemplare di vita cristiana. L’esaltazione di una figura quale quella del sindaco di Firenze Giorgio La Pira è indicativa di questa diffusa sensibilità che, mi sembra, ha contribuito a rendere il cattolicesimo italiano maggiormente radicato nella vita della nazione. Ma per una valutazione più completa delle motivazioni della connotazione popolare del cattolicesimo italiano ritengo siano da ricordare anche le scelte pastorali dell’episcopato italiano negli anni del dopoconcilio. Sono state scelte piuttosto diverse da quelle di altri episcopati europei. Hanno mirato sostanzialmente a salvaguardare il quadro di diffusa adesione della popolazione alla Chiesa cattolica, non avallando ed anzi contrastando una prassi pastorale che fosse funzionale alla formazione di un cristianesimo in qualche modo elitario e risultasse, almeno di fatto, di esclusione dalla vita della Chiesa di larghe fasce della popolazione. E, comunque, c’è stata sempre in queste scelte una grande attenzione ai cristiani non ordinariamente praticanti, di volta in volta detti “di tradizione” o “sociologici” o “periferici” o “della soglia”, nell’intento sempre rinnovato di maggiormente coinvolgerli nella vita ecclesiale. Quest’ultima motivazione del radicamento popolare del cattolicesimo italiano, almeno nella misura in cui corrisponde a un dato di fatto che abbia inciso nella vicenda postconciliare, mostra come questo stesso radicamento sia apparso complessivamente alla Chiesa italiana non semplicemente come un peso, cioè il retaggio di un passato di cui in qualche modo liberarsi, ma piuttosto come una sfida pastorale, nel doppio senso di un compito di attenzione e di accoglienza che la Chiesa sente di dovere realizzare nei confronti di un ampio numero di fedeli che le appartengono per il battesimo e per un loro più o meno esplicito riconoscersi in essa e di un’opportunità che comunque il tradizionale legame con la Chiesa può rappresentare per la stessa missione di evangelizzazione e di trasmissione della fede da parte della Chiesa. Mi pare si possa dire tranquillamente che la Chiesa italiana abbia sentito di non potere abbandonare a cuor leggero a se stessi tanti cattolici che sono tali almeno per il battesimo, scegliendo di farsi carico della cura della crescita della loro fede personale. E mi pare possa aggiungersi che tale scelta è apparsa, più recentemente, ancora più importante e urgente nel confronto con processi culturali in atto che sembrano collocarsi nel segno di una dissoluzione delle radici stesse della connotazione popolare del cattolicesimo italiano. Le stesse inchieste sociologiche che rilevano l’ampiezza del riconoscersi degli italiani nella Chiesa cattolica osservano poi una notevole divaricazione tra sentimento d’appartenenza e credenze: ci si dichiara cattolici e si frequenta la messa anche ogni domenica e poi si compie, consapevolmente, una selezione tra gli insegnamenti dottrinali e le convinzioni morali che la Chiesa propone, accettandone alcune ed escludendone altre ed anzi facendo proprie convinzioni e credenze di altre tradizioni religiose, anche orientali e, quindi, piuttosto lontane dalla tradizione cristiana. È logico che ci si chieda per quanto tempo ancora questa divaricazione possa perdurare senza tradursi anche in un allentamento della stessa appartenenza. Ma pare a me che, ultimamente, il senso della sfida che per la Chiesa italiana costituisce la connotazione popolare della sua tradizione si sia configurato in maniera più precisa. Non si tratta solo di attivare quei canali che permettano, ancora oggi, una comunicazione della fede ai “cristiani della soglia”. Non si tratta solo di proporsi una “conversione pastorale” che valga a trasformare il cattolicesimo popolare italiano in un cattolicesimo – nella linea del Vaticano II, ma senza ridurlo a cattolicesimo elitario – di ascolto della parola di Dio, di partecipazione liturgica, di sensibilità missionaria e di capacità testimoniale. Si tratta, più al fondo, di pensare se la Chiesa italiana – anche e specialmente in una società secolarizzata e in un quadro di laicità dello Stato – possa e debba conservare il carattere di Chiesa di popolo radicata in un diffuso senso di Dio e rivolta veramente a tutti, rifiutando ogni tentazione di perfettismo spirituale ed organizzativo. E si tratta, anche, seppure secondariamente, di chiedersi se la Chiesa italiana possa e debba sentire un suo compito e una sua responsabilità nel sostegno e nell’alimentazione di una cultura popolare o di culture popolari locali che sono state segnate dall’influsso cristiano e che rischiano la dissoluzione proprio a motivo della perdita del loro riferimento al cristianesimo.