Pubblicità vs Web (capitolo 2 Web (capitolo 2 Web (capitolo 2

Pubblicità
Pubblicità vs Web (capitolo 2)
2)
Di Gae D’Aloia1
La prima volta che si è parlato di fine della pubblicità era l’inizio degli anni ‘80. Il successo delle
vendite per corrispondenza in Stati Uniti e Francia, e il conseguente “boom” del direct marketing
toglieva l’investitura divina alla pubblicità classica a mezzo TV, stampa, radio, affissione, aprendo
la strada ad un crescente numero di modalità di comunicazione alternative. E l'affollamento
pubblicitario sui quattro media di cui sopra contribuiva a diffondere i concetti già noti di
segmentazione, posizionamento, differenziazione e immagine.
Nasce la comunicazione integrata come visione unitaria "through the line". E nascono le
specializzazioni: agenzie di pubblicità, below the line, comunicazione istituzionale, direct
marketing, packaging e così via. In un crescendo di complessità, fino alla fine degli anni ’90 quando
arriva la rivoluzione copernicana di internet.
Fiumi, anzi mari di parole per descrivere l’aspettativa che esso introduceva. La sostanza però
rimane che: internet non è solo un media, ma è anche un media, non è solo un canale di vendita,
ma è anche un canale di vendita. Non inventa l’interattività con il cliente ma la porta a livelli
sconosciuti. Non ha limiti geografici ma ha limiti mediatici (testi, immagini, voci, suoni, musiche,
video). In altri termini Internet è un potenziale “tutto” in fatto di comunicazione, con svariati
problemi tecnologici e di diffusione che lo affligerrano per più tempo di quanto non si pensi
comunemente. Il resto conta poco. Nessuno, tantomeno i guru, sanno veramente che forma
prenderà e quando. Quello che si teorizzava nel 2001 oggi fa ridere. Quello che oggi sembra oro
colato fra tre mesi sarà una barzelletta. Meglio astenersi dalle previsioni. Sarebbe come cercare di
descrivere la professione da adulto di un bimbo di 6 mesi.
Più interessante cogliere l'occasione epocale che questa confusione offre per una riflessione
attorno ai concetti di media, strumenti e attività di comunicazione. Concetti e classificazioni che ci
portiamo addietro da un secolo, dai tempi di Karl Popper attraverso le teorie dei mezzi di
comunicazione di massa di Marshall McLuhan, per proseguire con la differenziazione e il
marketing di Philip Kotler e Michael Porter, fino all’epitaffio di Sergio Zyman, “The End Of
Marketing As We Know It” e all’avvento dell’era dell’Accesso Totale di Regis McKenna. Terminata
la fase evoluzionistica, inizia quella rivoluzionistica. Cosa significa? Che fine hanno fatto un secolo
di teorie e classificazioni tra media, strumenti e attività di comunicazione? Dove sono l’above e il
below the line? E quali sono le "line"?
Si va dal minimizzare internet a livello di media aggiuntivo, affianco degli altri 10 (o "n"), al
massimizzarlo facendone il centro di tutto, esistenze umane comprese. Confusione epocale
appunto. I fautori dell’ipotesi minimizzante tentano di riprendere il filo da dove l'avevano lasciato,
dalla comunicazione integrata. Integrano cioè internet con gli altri mezzi di comunicazione, a
ricostruire quell'unità di intenti chiamata piano di comunicazione. Non senza ragione, ma così
tentando di far entrare l’elefante nella cinquecento (quella del ’57). Al contrario i fautori dell’ipotesi
massimizzante mandano senza rimorsi al macero anni di campagne pubblicitarie, immagine e
branding per un video su Youtube, non senza ragione anch’essi peraltro.
Una seria riflessione è invece quella che richiede il ripensamento dei confini attorno a media,
messaggi, strumenti e attività di comunicazione, in senso post novecentesco, senza per ciò
abbracciare ipotesi millenaristiche. Ovvero. È ancora utile parlare di mezzi, strumenti, attività,
1
Laurea in economia, master a Manhattan, è stato European Coordinator nella sede Londinese di McCann Erickson, e prima di allora in
McCann e JWT Milano. Tra le campagne di cui si è occupato, Solero, Heineken, Nescafé e una cinquantina d’altre. Il network freelance
Transcreativity.com è opera sua del 2003. E-mail: [email protected]
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classificazioni, categorie e linee? In definitiva, rispetto al suo scopo ultimo (aggiungere valore al
marchio) è utile preordinare in questo modo la comunicazione? Sembrerebbe di no. Prendiamo, tra
le varie, la budget line, quella linea che separava l'"above" dal "below the line". La differenza nel
potenziale di successo tra "above" e "below" stava davvero nella soglia di investimento?
L’impressione è che anche in passato a determinate linee di demarcazione, come quella tra
"above" e "below the line" corrispondessero semmai delle “creative line” che separavano quelle
categorie in termini di valore aggiunto per il marchio. E che quindi la differenza nel potenziale di
successo non fosse tra pubblicità classica e direct marketing, ma tra pubblicità classica creativa e
direct marketing ordinario, e/o viceversa. Come dimostrano appunto i successi delle vendite che
praticavano un direct marketing (BTL) non ordinario e fortemente creativo. In altri termini, il valore
aggiunto della comunicazione dipende dal suo livello di creatività, e a poco (a nulla) serve orientare
la comunicazione attorno a classificazioni tra web marketing, interactive media, through the line
communication, cross media, marketing olistico, relazionale, touch points e quant'altro altro.
L'elemento discriminante non è il fare pubblicità piuttosto che CRM, l'andare in TV piuttosto che sul
WEB - né tantomeno il modo con il quale si decide di unire e sezionare queste categorie. Se si
sgombra il campo dalle nostalgie di restaurare antichi ordini nel sistema della comunicazione e ci si
libera da ogni remora nel parlare finalmente ed esplicitamente di creatività, ci si accorge che essa
è ciò che determina la differenza di efficacia tra messaggi, strumenti, attività, media e contenuti.
Nella comunicazione, come in ogni altro campo. E parafrasando McLuhan, si scopre che la
creatività "è" il messaggio. E quindi che la creatività "è" il valore aggiunto. Per il marchio e per
l’azienda.
Parlare di comunicazione creativa, anziché di comunicazione pubblicitaria (o integrata), di
responsabile creativo anziché di responsabile comunicazione, di agenzia creativa anziché di
agenzia di pubblicità. Parlare di creatività anziché di pubblicità, sarebbe un ottimo primo passo.
E nonostante ciò, non sarà questa l'ultima volta che qualcuno tornerà sull'argomento. Perché la
pubblicità è stata fenomeno enorme, troppo a lungo nelle nostre teste. E la sua eco è destinata a
rimbalzare ancora per molto tempo. E del resto non possiamo essere certo noi a negarle il diritto a
questo suo ultimo lascito. Dopo tutto quello che c'è stato…
Segue2.
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Panphlet in pubblicazione a puntate sul blog dfc: http://dfcweb.blogspot.com/2007/10/la-pubblicit-morta-e-anche-la_25.html
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