corso di laurea in fisica tesi di laurea triennale Studio delle

corso di laurea in fisica
tesi di laurea triennale
Studio delle incertezze nella sezione d’urto di
produzione di Higgs tramite fusione di gluoni
Autore:
Relatori:
Dott. Alessandro Vicini
Prof. Stefano Forte
Federico Demartin
matr. 705466
Anno Accademico 2008/2009
Ringraziamenti
Desidero ringraziare di cuore la mia famiglia e i miei amici per tutto il supporto che mi
hanno dato in questi anni, senza il quale non sarei certamente arrivato a questo traguardo.
Ringrazio sinceramente Alessandro Vicini per la disponibilità con cui mi ha seguito in
questo lavoro e la pazienza con cui ha cercato di spiegarmi i vari aspetti della fisica su cui
si basa. Più che un relatore, per me è stato un compagno di avventura, con cui ho scoperto
giorno per giorno un nuovo mondo.
Ringrazio tantissimo anche Stefano Forte, per i suoi preziosi consigli e tutte le informazioni tecniche sulle PDF che mi ha fornito.
Un ringraziamento speciale a Paola Carcano, che per prima ha stimolato il mio interesse
verso questo incredibile modo di vedere e descrivere il Mondo che ci circonda.
Grazie mille a tutti voi
Federico
Sommario
Il Modello Standard delle interazioni fondamentali è una della teorie di maggior
successo dell’ultimo mezzo secolo, per quanto riguarda la fisica delle particelle e delle
alte energie. Il bosone di Higgs è un ingrediente chiave di questo modello, perché
permette di generare le masse dei campi mediatori delle interazioni, senza rompere
l’invarianza di gauge su cui si basa la formulazione della teoria. Nonostante l’enorme
successo del Modello Standard, finora questa particella non è stata osservata sperimentalmente. La sua scoperta è da diversi anni uno degli obiettivi principali della
fisica delle alte energie, in particolare degli esperimenti che si svolgono al Tevatron e
che presto inizieranno anche a LHC.
Avere dei calcoli affidabili sulla sezione d’urto di produzione del bosone di Higgs in
questi due acceleratori è fondamentale, sia per determinare quanti esperimenti sono
necessari per osservare il segnale del bosone di Higgs sopra il rumore di fondo, sia
per confermare la sua evenutale scoperta, sia per essere in grado di escludere la sua
presenza in un dato intervallo di masse nel momento in cui non si osserva il segnale.
È quindi necessario non solo prevedere con accuratezza il valor medio della sezione
d’urto, ma anche avere una stima affidabile della sua incertezza.
Nel presente lavoro vengono studiate alcune fonti di incertezza, sia di natura
teorica che sperimentale, nella predizione della sezione d’urto di produzione di un
bosone di Higgs tramite fusione di gluoni. In particolare vengono considerate le
incertezze dovute alla parametrizzazione del contenuto partonico del protone (PDF)
legate
• agli errori sperimentali dei dati da cui le PDF vengono estratte
• alle diverse parametrizzazioni disponibili in letteratura.
Inoltre viene considerata l’incertezza teorica dovuta al fatto che lo sviluppo perturbativo della sezione d’urto viene troncato a un ordine fisso.
La tesi si articola nel seguente modo:
1. Nel primo capitolo viene fatta una breve panoramica su alcuni aspetti del Modello Standard, per introdurre i concetti fondamentali su cui si basa il lavoro
svolto. In particolare ci si sofferma sulla QCD, necessaria a descrivere protoni
e antiprotoni, le particelle da cui hanno origine i processi studiati al Tevatron
e a LHC.
2. Nel secondo capitolo si giustificano le potenzialità di Tevatron e LHC di osservare questa particella e si descrivono i processi di produzione che possono
avvenire in queste macchine, soffermandosi sulla fusione di gluoni.
3. Nel terzo capitolo si descrivono sommariamente le tecniche di calcolo della
sezione d’urto.
4. Nel quarto capitolo vengono confrontate le sezioni d’urto calcolate al NLO con
tre diverse parametrizzazioni disponibili in letteratura, fornite dalle collaborazioni CTEQ, MRST-MSTW e NNPDF.
5. Nel quinto capitolo si valuta il contributo di pseudo-dati simulati di LHeC sul
gluone a piccolo x, sfruttando una versione modificata di NNPDF.
1
6. Nel sesto capitolo si confrontano le sezioni d’urto calcolate a LO, NLO e NNLO, sfruttando la parametrizzazione delle PDF fornita da MSTW. In particolare si studia la dipendenza del risultato dalle scale di fattorizzazione e
rinormalizzazione ai vari ordini perturbativi (errore teorico).
7. Nell’ultimo capitolo si raccolgono le conclusioni in una visione d’insieme e si
espongono gli obiettivi su cui puntare per migliorare il calcolo della sezione d’urto di produzione dell’Higgs, che emergono dall’analisi delle incertezze
considerate.
2
Indice
1 Modello Standard
1.1 Teorie di gauge e meccanismo di Higgs . . . .
1.2 Struttura del protone e QCD . . . . . . . . .
1.2.1 Modello a quark . . . . . . . . . . . . .
1.2.2 Esperimenti di deep inelastic scattering
1.2.3 QCD . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2.4 Moderni set di PDF . . . . . . . . . .
2 Produzione del bosone di Higgs
2.1 Limiti alla massa del bosone di Higgs . . . .
2.2 Produzione del bosone di Higgs a Tevatron e
2.2.1 Meccanismi rilevanti . . . . . . . . .
2.2.2 Produzione tramite fusione di gluoni
2.3 Sezione d’urto di produzione adronica . . . .
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e
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modello a partoni .
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LHC
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3 Calcolo numerico della sezione d’urto
4 Studio dell’errore sperimentale
4.1 Incertezza legata alle PDF . .
4.2 Risultati . . . . . . . . . . . .
4.2.1 Tevatron . . . . . . . .
4.2.2 LHC . . . . . . . . . .
4.3 Conclusioni . . . . . . . . . .
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5 Studio del contributo di dati raccolti a LHeC
5.1 Upgrade di LHC a LHeC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.2 Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.3 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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6 Studio di alcune incertezze teoriche
6.1 Errori legati alle scale di fattorizzazione e rinormalizzazione . . . . . . . . .
6.2 Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.3 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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7 Riepilogo
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3
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Convenzioni utilizzate
Si usano unità di misura tali per cui c = 1 e ~ = 1.
In questo sistema [lunghezza] = [tempo] = [massa]−1 = [energia]−1 .
Massa ed energia si misurano in eV (soprattutto nei suoi multipli).
4
1
1.1
Modello Standard
Teorie di gauge e meccanismo di Higgs
Nota la lagrangiana (o equivalentemente l’hamiltoniana) d’interazione di un dato processo,
possiamo calcolare l’operatore di evoluzione temporale S(t, t0 ). A parte per pochi processi
molto semplici, solitamente è impossibile calcolare in modo esatto l’ampiezza di transizione
hf | S(t, t0 ) |ii da uno stato iniziale |ii a uno finale |f i. Per questo sviluppiamo l’interazione
attraverso una serie perturbativa, che approssima l’interazione totale attraverso una serie
di sottoprocessi di complessità crescente. Siamo in grado di rappresentare graficamente
ciascuno di questi attraverso un diagramma di Feynman, avendo cosı̀ a disposizione un
potente strumento per visualizzarli. L’ordine di un sottoprocesso nella serie è legato al
numero di interazioni che presenta, pari al numero di vertici nel corrispondente diagramma
di Feynman.
Il parametro di espansione della serie perturbativa è solitamente indicato con α, detta
costante di accoppiamento. Essa dipende dal tipo di interazione che stiamo descrivendo e
ci dà informazioni sulla sua intensità. Si tronca sempre la serie perturbativa ai primi ordini,
che solitamente sono gli unici che si riescono a calcolare, quindi si vorrebbe poter trascurare
i contributi dei termini esclusi. Perciò è necessario che il parametro di espansione della
serie sia sufficientemente piccolo (α 1 ), in modo che i contributi dati dai sottoprocessi
decrescano abbastanza velocemente all’aumentare del loro ordine nella serie perturbativa.
Un problema legato a questo tipo di rappresentazione sorge quando consideriamo tutti
i cammini possibili che uniscono lo stato iniziale |ii allo stato finale |f i. Spesso capita
di poter collegare |ii a |f i con infiniti cammini, in particolare in presenza di particelle
virtuali, ovvero particelle che non compaiono negli stati |ii o |f i, ma solo all’interno del
diagramma. Infatti in questo caso si possono avere divergenze nel calcolo dell’ampiezza di
transizione. Se le tipologie di divergenze che compaiono sono in numero finito e sono le
stesse a qualsiasi ordine perturbativo, si dimostra che è possibile riassoribirle in un numero
uguale di osservabili fisiche. Questo metodo è noto come rinormalizzazione e ci assicura che
gli enti fisici e le quantità che consideriamo sono ben definiti e non divergenti. Il risultato
del processo di rinormalizzazione è che, al costo di alcune osservabili fisiche necessarie come
“input” per definire la lagrangiana, la teoria diventa predittiva per tutte le altre osservabili
legate ai processi che descrive.
Il Modello Standard ha avuto finora un enorme successo nell’interpretare tre delle quattro interazioni fondamentali (elettromagnetica, nucleare debole, nucleare forte) alla base
dei processi fisici. Esso è formulato come teoria di gauge, che è rinormalizzabile e quindi
predittiva, requisito a cui difficilmente possiamo rinunciare. In questa formulazione, ogni
particella è rappresentata da un campo. Si descrivono le simmetrie che una data interazione presenta attraverso l’invarianza della lagrangiana sotto l’azione di un opportuno
gruppo matematico. L’invarianza sotto trasformazione locale viene garantita inserendo
5
nella lagrangiana opportuni campi, che sono identificati come i mediatori dell’interazione.
La prima teoria di gauge ad essere formulata fu l’elettrodinamica quantistica (quantum
electrodynamics - QED), poi unificata all’interazione debole nel modello elettrodebole di
Glashow, Weinberg e Salam, risalente agli anni ’60. In questo modello le interazioni sono
mediate da quattro campi vettoriali: il fotone e i tre bosoni massivi W + , W − e Z 0 .
Successivamente alla teoria elettrodebole è stata formulata anche la cromodinamica
quantistica (vedi sez. 1.2.3).
La struttura della teoria di gauge presenta però una notevole difficoltà: funziona solo
se le particelle mediatrici dell’interazione hanno massa nulla. Inserire forzatamente un
termine di massa nella lagrangiana romperebbe l’invarianza di gauge. Per ovviare a questo problema, nel 1964 Peter Higgs e, indipendentemente, altri fisici hanno proposto di
introdurre nel modello un opportuno campo scalare H. L’interazione di un altro campo
con H fa comparire spontaneamente nella lagrangiana un termine interpretabile come la
massa della particella descritta. Il bosone di Higgs rappresentato dal campo H è quindi la
particella che permette di dare massa alle altre presenti nel Modello Standard. L’accoppiamento di una particella col campo di Higgs è tanto maggiore quanto maggiore è la sua
massa.
Anche se i numerosi studi fatti negli ultimi decenni hanno portato ad accettare il
meccanismo di Higgs, finora non è stato possibile ottenere un’evidenza sperimentale diretta
del bosone di Higgs.
Ottenere l’evidenza sperimentale dell’esistenza di questa particella è uno degli obiettivi
maggiori degli attuali esperimenti di fisica alle alte energie, perché rappresenta il test finale
per il modello elettrodebole, l’unico aspetto della teoria che non è ancora stato verificato.
La scoperta del bosone di Higgs sarebbe inoltre particolarmente significativa in quanto
consacrerebbe il meccanismo di Higgs per generare le masse delle particelle. D’altra parte
la mancanza di evidenza sperimentale spingerebbe la teoria verso nuovi sviluppi1 , quindi
l’importanza della ricerca del bosone di Higgs è indipendente dal suo esito effettivo.
Particolare molto importante, la massa del bosone di Higgs è uno dei parametri che
vanno forniti inizialmente alla teoria, uno dei suoi gradi di libertà, quindi è necessario
misurarla sperimentalmente.
1.2
1.2.1
Struttura del protone e QCD
Modello a quark
La scoperta del neutrone nel 1932 e della forza nucleare forte che lega protoni e neutroni nel
nucleo dell’atomo è stata solo l’inizio di una serie di scoperte di nuove particelle. Queste
particelle, tutte fortemente interagenti, sono dette adroni e si suddividono a loro volta
1
Dagli anni ’60 fino ad oggi sono stati raccolti in letteratura svariati lavori che propongono alternative
al meccanismo di Higgs per generare la massa delle particelle.
6
in barioni e mesoni. La grande varietà di adroni osservati e le simmetrie che li legano
portarono, fin dai primi anni ’60, a creare un modello che riuscisse a classificare queste
particelle partendo da entità più elementari. Queste entità vennero chiamate quarks e
la classificazione degli adroni venne fatta sulla base di una simmetria SU (3)f lavour . In
particolare furono ipotizzati 3 tipi diversi di quark, o sapori (flavours): up, down e strange.
I barioni vennero descritti come combinazioni di 3 quarks mentre i mesoni come coppie
quark-antiquark. Questa simmetria non è esatta, altrimenti tutti i barioni e tutti i mesoni
dovrebbero avere la stessa massa; la rottura della simmetria esatta è causata in primo
luogo dalla maggiore massa dello strange rispetto a up e down (che hanno massa diversa
ma molto simile).
In realtà questo modello, oltre ad essere approssimato per la mancanza di simmetria
esatta, è incompleto. Infatti successivamente furono scoperti altri 3 sapori: charm, bottom
e top. Tuttavia, per via della loro elevata massa e instabilità, questi ultimi 3 tipi non
contribuiscono in maniera significativa a generare gli adroni conosciuti allora. Per questo
motivo il modello a 3 quarks ebbe notevole successo, anche se inizialmente questi erano
considerati più come oggetti matematici necessari alla descrizione che come particelle fisiche
osservabili.
1.2.2
Esperimenti di deep inelastic scattering e modello a partoni
Le prime evidenze sperimentali dell’esistenza dei quarks arrivarono dagli esperimenti di
urto profondamente anelastico tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. In questi
esperimenti vengono usati fasci di leptoni per sondare la struttura dei nucleoni. A energie
sufficientemente alte, che corrispondono a lunghezza d’onda (risoluzione) e tempo di interazione sufficientemente piccoli, si nota che i leptoni smettono di interagire coerentemente
con tutto il nucleone, rivelandone una struttura interna (l’urto da elastico diventa anelastico). I risultati degli esperimenti possono essere spiegati se si assume che il nucleone sia
costituito da particelle puntiformi (partoni) e che a energie sufficientemente alte il leptone
abbia lunghezza d’onda e tempo d’interazione molto minori della distanza media e del tempo medio di interazione tra i partoni stessi. In questo modo l’urto avviene elasticamente
tra il leptone e un solo partone, mentre gli altri non vengono coinvolti. Questo presuppone
che a piccole distanze (entro il raggio del nucleone) i partoni siano debolmente interagenti
tra loro. Il modello a partoni fu inizialmente proposto da Bjorken e Feynman.
Gli esperimenti di deep inelastic scattering possono essere fatti sia usando leptoni carichi
(elettroni, muoni), sia usando neutrini, per sondare la distribuzione di partoni all’interno
del nucleone. Entrambi i tipi di esperimenti portano a concludere che circa metà dell’impulso del nucleone è portata da particelle di spin 12 , cariche elettricamente e debolmente (oltre
che colorate, vedi sez. 1.2.3), che identifichiamo con i quarks della simmetria SU (3)f lavour .
La frazione restante deve essere portata da partoni elettricamente e debolmente neutri, che
identifichiamo con i quanti che mediano l’interazione tra quarks, detti gluoni.
Possiamo caratterizzare un singolo partone sulla base della frazione che porta dell’impulso del nucleone. Indichiamo questa frazione longitudinale con x, con 0 ≤ x ≤ 1. Per
ogni tipo f di partone ci sarà una funzione ff (x) che esprime la densità di probabilità di
7
trovare all’interno del nucleone quel tipo di partone, con frazione longitudinale dell’impulso pari a x. Le ff (x) sono dette funzioni di distribuzione partonica (parton distribution
functions - PDF ).
Consideriamo un urto tra leptone e nucleone. Indichiamo con k il 4-impulso del leptone,
P il 4-impulso del nucleone, q il 4-impulso trasferito dal leptone al partone. Definiamo
Q2 ≡ −q 2 , che è positivo e invariante sotto trasformazioni di Lorentz. L’impulso longitudi2
nale del partone è p = xP e la quantità (p +
√k) è anch’essa invariante e può essere espressa
a partire dall’energia del centro di massa s del sistema leptone-nucleone (trascurando le
masse)
(p + k)2 = 2pµ k µ = 2xPµ k µ = xs.
(1.1)
Sperimentalmente non è possibile misurare l’impulso p del partone urtato, poiché non
è possibile osservare partoni liberi negli stati iniziale e finale. Tuttavia, grazie al fatto che
ad alte energie la massa del partone è trascurabile rispetto a s e Q2 , è possibile scrivere [2]
da cui
0 ≈ (p + q)2 = 2pµ q µ + q 2 = 2xPµ q µ − Q2
(1.2)
Q2
.
x=
2Pµ q µ
(1.3)
Quindi è possibile calcolare x a partire dall’impulso iniziale P del nucleone, noto l’impulso
trasferito q.
In realtà le PDF non dipendono solo da x. La nostra risoluzione della struttura del
nucleone è legata alla lunghezza d’onda della particella che lo sonda. Aumentando l’energia,
quello che prima ci poteva apparire come un singolo partone, ad esempio un quark, poi può
apparire come un quark accompagnato da un gluone, e questi due si dividono la frazione
dell’impulso che prima era portata dal solo quark. Al crescere di Q, si possono risolvere
sempre di più tutti i processi quantistici che avvengono all’interno del nucleone. Ad esempio
il gluone che accompagna il quark può materializzare coppie virtuali quark-antiquark, e
cosı̀ via. Il nucleone è quindi formato da 3 quark “di valenza” come previsto dal modello
a quark, a cui si aggiunge un “mare” di gluoni e coppie virtuali. Le PDF dipendono cosı̀
anche dall’energia del processo che si sta considerando. Questa dipendenza è logaritmica,
quindi variano lentamente al variare dell’energia. Solitamente le PDF si esprimono in
funzione di x e di Q o di Q2 ⇒ ff = ff (x, Q).
1.2.3
QCD
La cromodinamica quantistica (quantum chromodynamics - QCD) si occupa di descrivere
l’interazione tra i partoni all’interno di un adrone.
Come grado di libertà per descrivere l’interazione si aggiunge una nuova carica, detta
colore, anche se non ha niente a che vedere con il colore visivo che intendiamo comunemente,
8
Figura 1: Esempio di urto tra leptone (elettrone) e nucleone (protone) nell’approssimazione di partoni non interagenti. Il singolo quark e i due quark rappresentati non sono dei veri stati finali osservati, perché a causa dell’interazione
cromodinamica (vedi sez. 1.2.3) l’energia del fotone γ scambiato viene convertita in una coppia quark-antiquark; l’antiquark si unisce al singolo quark
per formare un mesone, il quark agli altri due per formare un barione.
ma è solo un nome come un altro per indicare questo nuovo grado di libertà2 . Ci sono tre
tipi diversi di colore, convenzionalmente rosso, verde e blu, a cui corrispondono le cariche
di segno opposto antirosso, antiverde e antiblu. Ogni sapore di quark è quindi presente in
tre tipi diversi di colore, ad esempio un quark up può essere sia rosso che verde che blu.
Tutti i tipi di colore si attraggono tra loro.
Poiché non sono mai state osservate particelle colorate libere, i partoni di ciascun adrone
devono essere opportunamente combinati in modo che la carica totale di colore sia nulla,
convenzionalmente “bianca”. Questo porta a concludere che i mesoni sono coppie quarkantiquark con un dato colore e il corrispondente anticolore, ad esempio un quark rosso e un
antiquark antirosso, mentre i barioni sono stati di singoletto per 3 quarks di 3 colori diversi,
ad esempio rosso, verde e blu; analogamente gli antibarioni sono formati da 3 antiquarks
con anticolori diversi.
Al pari della teoria elettrodebole, anche la cromodinamica è formulata come teoria di
gauge, basata su un gruppo SU (3)colour . I gluoni sono gli otto campi di gauge corrispondenti
ai generatori della simmetria SU (3)colour e mediano l’interazione di colore tra i quarks.
I partoni nascono come particelle a massa nulla. Tuttavia per spiegare molti fenomeni
2
“The idiot physicists, unable to come up with any wonderful Greek words anymore, call this type of
polarization by the unfortunate name of ‘color’, which has nothing to do with color in the normal sense.”
R. Feynman
9
è necessario descrivere i quarks come particelle dotate di massa. Viene quindi usato il
meccanismo di Higgs per generare la massa dei quarks, mentre i gluoni restano privi di
massa.
(a)
(b)
(c)
Figura 2: La composizione in quarks colorati dei mesoni (a), dei barioni (b) e degli
antibarioni (c). La polarizzazione totale è nulla, ovvero la carica di colore
totale è bianca.
I quarks possono cambiare colore emettendo gluoni: ad esempio un quark rosso può
diventare verde emettendo un gluone rosso-antiverde. In ogni caso la carica di colore totale
all’interno dell’adrone resta bianca. Poiché a differenza dei fotoni i gluoni hanno carica
di colore non nulla, essi interagiscono tra loro oltre che con i quarks. Questo spiega la
netta differenza tra l’interazione elettromagnetica, che si fa più debole all’aumentare della
distanza tra le cariche, e quella cromodinamica, che cresce linearmente come la forza di
richiamo di una molla.
In generale l’interazione cromodinamica è debole se i tempi di interazione tra quarks
sono brevi o se l’impulso che si scambiano è elevato. Questo è consistente con l’ipotesi da
cui siamo partiti di particelle libere negli esperimenti ad alte energie. Sotto questa ipotesi è
possibile usare la teoria perturbativa per fare previsioni sui risultati sperimentali. A basse
energie invece la costante di accoppiamento dell’interazione forte diventa troppo grande
(αs ≥ 1) per poter effettuare calcoli significativi, poiché i processi di ordine di complessità
crescente diventano sempre più importanti.
La forza nucleare forte che lega tra loro gli adroni è un residuo di quella di colore
tra quarks e, a differenza di quest’ultima, decresce esponenzialmente con la distanza; può
essere considerata l’equivalente della forza di van der Waals per l’interazione elettrostatica.
10
(a)
(b)
Figura 3: Le linee di forza del campo elettrico si diradano se la distanza tra le cariche
aumenta (a), mentre quelle del campo di colore restano fitte e si tendono
come degli elastici a causa della loro autointerazione, finché l’energia fornita dall’esterno per allontanare la coppia q q̄ è sufficiente a materializzare
una nuova coppia q q̄ (b). Questo comportamento ha impedito finora di
vedere particelle colorate libere e di valutare l’andamento dell’interazione
cromodinamica a distanze molto maggiori del raggio medio degli adroni.
1.2.4
Moderni set di PDF
Molti studi di cromodinamica si concentrano sulla struttura partonica del protone, che è
l’adrone più stabile e più facilmente utilizzabile negli acceleratori di particelle. Informazioni
sulle PDF possono essere estratte da quei tipi di esperimenti che la QCD riesce a descrivere,
in quanto avvengono in regime perturbativo. Ad esempio, oltre ai classici esperimenti di
deep inelastic scattering, si possono estrarre informazioni dalle collisioni protone-protone
in cui due partoni si scambiano un elevato impulso trasverso con la conseguente produzione
di jets adronici. Anche gli esperimenti di produzione di una coppia leptone-antileptone a
partire dall’annichilazione di una coppia quark-antiquark (Drell-Yan) permettono di analizzare il contenuto partonico del protone. Diversi tipi di esperimenti danno informazioni
più o meno accurate delle PDF, a seconda della scala di energia Q e della frazione x del11
l’impulso longitudinale rilevanti per il processo in esame. Nella determinazione delle PDF
è quindi opportuno eseguire un fit globale dei dati sperimentali.
Come è già stato detto, le PDF variano lentamente (in scala logaritmica) rispetto
a Q. L’evoluzione è calcolabile in QCD a partire dalle equazioni integro-differenziali di
Altarelli-Parisi [2], che sono della forma
Z
αs (Q) 1 dz x d
ff (x, Q) =
F fi
,Q
(1.4)
d log Q
π
z
x z
dove ff (x, Q) è la PDF di un dato partone f e F fi xz , Q è funzione di tutte le PDF
¯ g, d, u, s, c, b, t).
dei partoni (i = t̄, b̄, c̄, s̄, ū, d,
Le equazioni di Altarelli-Parisi permettono di calcolare l’evoluzione delle PDF a qualsiasi scala di energia note le condizioni iniziali. Nella pratica è necessario essere nell’ipotesi
perturbativa, sia perché la teoria funziona solo sotto quest’ipotesi, sia perché è impossibile
calcolare le PDF a energie troppo basse (O(Q) < 1 GeV).
I primi fit dei dati sperimentali fatti negli anni ’70 erano basati su una forma funzionale
delle PDF molto semplice, del tipo
ff (x) ∼ xa(f ) (1 − x)b(f )
(1.5)
dove i parametri a e b erano calcolati in modo da avere il miglior accordo coi dati. Inizialmente i calcoli vennero eseguiti al primo ordine non nullo in teoria delle perturbazioni
(leading order - LO) per quanto riguarda la descrizione teorica dei processi studiati.
Col progresso della tecnologia degli acceleratori di particelle, i dati sperimentali hanno
iniziato ad avere maggiore precisione e a spaziare su ampie scale di energia. Questo ha
permesso di verificare la validità delle equazioni di Altarelli-Parisi e di migliorare i fit,
confrontando l’evoluzione delle PDF calcolate a date energie con la misura sperimentale
delle stesse PDF a energie maggiori. Col passare del tempo la QCD è passata dall’essere
fisica semiquantitativa ad essere fisica di precisione, richiedendo calcoli al successivo ordine
perturbativo (next to leading order - NLO), sia nella descrizione dei processi da cui si
ottengono i dati sperimentali, sia per il kernel di evoluzione delle equazioni di AltarelliParisi. I fit globali hanno richiesto forme funzionali più flessibili, con un maggior numero di
parametri, per potersi adattare alla maggior precisione dei nuovi dati sperimentali. Inoltre
si è iniziato a produrre set di PDF con bande d’errore, che permettessero di valutare le
incertezze sul valor medio dovute ai dati sperimentali da cui le stesse PDF vengono estratte.
La trattazione dell’errore sulle PDF è un argomento molto delicato, in quanto sono presenti
svariate fonti di incertezza, sia di natura sperimentale che teorica, che non sono facilmente
separabili.
Ormai alcuni set di PDF vengono prodotti basandosi su calcoli addirittura al secondo
ordine perturbativo dopo il LO (next to next to leading order - NNLO) [5]. Attualmente
effettuare conti oltre il secondo ordine è pressoché impossibile. Inoltre al NNLO in QCD
non sono ancora disponibili tutti i calcoli partonici differenziali legati alle osservabili fisiche.
Ciò impedisce di estrarre coerentemente delle PDF al NNLO, perché alcune osservabili
devono essere confrontate con calcoli globali e non differenziali. Svariate collaborazioni
12
hanno estratto PDF al NLO usando diverse metodologie. È interessante confrontare valori
medi e bande d’errore ottentute coi diversi approcci.
I files prodotti dalle varie collaborazioni che studiano la struttura del protone sono
periodicamente raccolti online dopo la pubblicazione su siti come quello di LHAPDF [10],
che offrono un’interfaccia comune alle varie PDF e permettono di usarle per i vari lavori
scientifici che ne necessitano.
Il lavoro di questa tesi si concentra su tre tra i più diffusi set di PDF dotati di incertezze,
prodotti e mantenuti in aggiornamento dalle collaborazioni MRST-MSTW [4, 5], CTEQ
[6, 7] e NNPDF [8, 9].
MSTW e CTEQ adottano una trattazione classica delle PDF, usando una forma funzionale con pochi parametri, poco più complessa della (1.5) usata agli inizi. Questo può
portare a delle limitazioni sul range di validità del fit, perché la forma funzionale adottata
può essere inaccurata quando si evolvono le PDF a valori di Q e x diversi da quelli dei dati
sperimentali. La trattazione degli errori viene effettuata col metodo della matrice Hessiana, discusso in [4]. In questo metodo si assume che il χ2 sia quadratico attorno al minimo
nello spazio dei parametri e che la propagazione degli errori sia lineare. Si fissa il livello di
confidenza che si vuole avere e si diagonalizza la matrice Hessiana del χ2 in funzione dei
parametri; a partire dagli autovettori dell’Hessiana si ottengono le variazioni massime delle
PDF in positivo e negativo rispetto al valor medio, entro il livello di confidenza fissato.
Recentemente la collaborazione NNPDF ha prodotto un set di PDF [8] innovativo che
si basa sul metodo Monte Carlo e su una forma funzionale molto più flessibile e ridondante.
Vengono riprodotti 1000 set di repliche dei dati sperimentali, in modo che le repliche di
ogni dato siano centrate sul suo valor medio e distribuite in accordo con l’errore sperimentale. Per ciascun set si esegue un fit, estraendo cosı̀ una replica della PDF. Infine si
utilizzano tutte le repliche cosı̀ ottenute per calcolare il valor medio della PDF e il suo
errore. Vengono anche studiate le possibili correlazioni tra le incertezze attraverso la matrice di covarianza dei dati sperimentali. Questo tipo di approccio dovrebbe garantire una
trattazione migliore delle fonti di incertezza nelle PDF, poiché non viene assunta a priori
una propagazione lineare degli errori. D’altra parte NNPDF ha iniziato a produrre le sue
PDF più recentemente rispetto alle altre due collaborazioni. A causa di ciò deve ancora
migliorare diversi punti della trattazione; inoltre include solo i dati provenienti da esperimenti di deep inelastic scattering, quindi sono esclusi dei dati che potrebbero influenzare
significativamente le PDF.
13
14
15
16
Figura 4: Esempi di PDF del protone a diverse scale di energia, per grandi e per
piccoli valori di x. Le bande d’errore sono comprese entro una deviazione
standard dal valor medio. È possibile notare l’evoluzione delle PDF all’aumentare della scala di energia Q, che diminuiscono il loro valore nelle
regioni di x grande a favore delle regioni in cui x è minore. Si può anche
notare come la PDF del gluone per x piccoli sia affetta da un notevole errore a basse energie, dovuto all’impossibilità di conoscere la distribuzione
dei gluoni. Aumentando Q la zona con elevata incertezza si sposta verso
sinistra (x ancora più piccoli) e scompare dal grafico.
17
2
2.1
Produzione del bosone di Higgs
Limiti alla massa del bosone di Higgs
La maggiore difficoltà nello studio fenomenologico del bosone di Higgs negli acceleratori
di particelle sta nell’arbitrarietà della sua massa, che come è stato detto non è prevedibile
dalla teoria e va necessariamente misurata sperimentalmente. Ciò comporta a priori una
varietà di scenari possibili per la produzione e il decadimento della particella, che spaziano
dalle basse alle alte energie.
Gli studi fatti al CERN mediante il collisore e+ e− LEP dal 1989 al 2000 hanno permesso
di ridurre significativamente gli scenari possibili, ponendo come limite inferiore alla massa
di Higgs [11]
mH > 114.4 GeV
(95% c.l.).
Limitatamente alla validità del Modello Standard, è anche possibile porre un limite
superiore alla massa di Higgs con argomenti teorici. Il bosone di Higgs fornisce contributi virtuali all’ampiezza di alcuni processi di scattering tra bosoni vettori W. Misurando
con precisione le sezioni d’urto di questi processi e richiedendo che non venga violata la
condizione di unitarietà, si trova [11]
mH . 1.2 TeV.
In realtà esistono argomenti molto più stringenti legati al fit globale del modello elettrodebole con i dati sperimentali. Il limite superiore varia in base all’inclusione o all’esclusione
dei risultati ottenuti al LEP; in ogni caso tutti gli scenari possibili portano a concludere
che il bosone di Higgs previsto dal Modello Standard abbia massa [12]
mH . 200 GeV.
Questi limiti restringono lo scenario ai processi che possono avvenire nei collisori adronici ad alte energie, attualmente Tevatron al Fermilab di Batavia (Stati Uniti) e LHC al
CERN di Ginevra (Svizzera). In particolare LHC è progettato per studiare processi con
sezioni d’urto superiori a qualche decina di fb e scale di energia comprese tra 100 GeV e 1-2
TeV. Ciò lo rende la macchina ideale per studiare il bosone di Higgs previsto dal Modello
Standard.
√ D’altra parte anche Tevatron, seppure in grado di raggiungere energie inferiori a
LHC ( s = 1.96 TeV contro un ipotetico 14 TeV di LHC), è un ottimo candidato a scoprire
questa particella e ha il vantaggio di essere già in funzione e di aver ristretto ulteriormente
l’intervallo possibile della massa di Higgs con i suoi esperimenti [13].
Lo studio fatto in questa tesi si focalizza sui processi che possono avvenire in questi
due acceleratori di particelle e copre l’intervallo 100 GeV ≤ mH ≤ 1 TeV. Ricordiamo
comunque che la ricerca del bosone di Higgs è concentrata tra 100 e 200 GeV, quindi ci
concentreremo maggiormente sui risultati in questo intervallo di masse.
18
2.2
2.2.1
Produzione del bosone di Higgs a Tevatron e LHC
Meccanismi rilevanti
Come già detto, l’accoppiamento tra il campo di Higgs e il campo di un’altra particella
è tanto maggiore quanto più la massa di quest’ultima è grande. Questo significa che il
bosone di Higgs tende a interagire preferibilmente con particelle molto pesanti, mentre la
sua interazione con quelle leggere è trascurabile. Ci sono pochi meccanismi di produzione
che danno sezioni d’urto sufficientemente grandi da essere rilevanti nei colliders adronici.
Si basano tutti sulla tendenza del bosone di Higgs ad accoppiarsi con particelle pesanti.
Essi sono [3]
1. fusione di gluoni: gg → H,
(via W + W − → H
2. fusione di bosoni vettori: qq → Hqq
3. produzione associata a bosoni vettori: q q̄ → W ± H
4. produzione associata a quark top: gg → Htt̄
o Z 0 Z 0 → H),
o q q̄ → Z 0 H,
o q q̄ → Htt̄.
I diagrammi di Feynman al LO per questi processi sono rappresentati in fig. 5.
2.2.2
Produzione tramite fusione di gluoni
Il diagramma di Feynman presenta già al LO un loop di quark, che tende a sopprimere la
probabilità che questo processo avvenga rispetto ad altri più semplici, come quelli nelle figg.
5b e 5c. Nonostante ciò, la fusione di gluoni resta il meccanismo dominante a Tevatron
e LHC. Infatti la soppressione del processo è compensata dalla maggiore probabilità di
trovare gluoni all’interno del protone rispetto agli altri partoni, come si può vedere nella
figura 4: la PDF del gluone è oltre un ordine di grandezza superiore alle altre nella regione
con x < 0.1. La regione 0.1 < x < 1 invece ci interessa di meno. Se definiamo la rapidità
y come
E − pz
1
(2.1)
y ≡ ln
2
E + pz
dove z è la direzione longitudinale (lungo la quale si muovono gli adroni), allora abbiamo
che per un√urto tra due partoni, descritto da un sistema con rapidità y, energia del centro
di massa s e massa invariante m, valgono le [3]
m
x1 = √ exp(y)
s
m
x2 = √ exp(−y).
s
(2.2)
La rapidità è l’equivalente relativistico della velocità, ci informa su quanto è boostato il
sistema lungo la direzione longitudinale. I sistemi di due partoni interagenti avranno una
19
(a)
(b)
(c)
(d)
Figura 5: I meccanismi rilevanti di produzione del bosone di Higgs in un collider
adronico: (a) fusione di gluoni, (b) fusione di bosoni vettori, (c) produzione
associata con W ± o Z 0 , (d) produzione associata con coppia tt̄ nel caso di
fusione di gluoni gg → Htt̄.
rapidità distribuita simmetricamente attorno a 0. Infatti il centro di massa dei due adroni
resta fermo, ma non è detto che una coppia di due partoni, ciascuno pescato da uno dei due
adroni,
√ abbia ancora centro di massa fermo. Se usiamo le (2.2) per valutare i valori di x1 e
x2 a s = 14 TeV, per un bosone di Higgs con massa mH = 140 GeV, nel caso di sistema
fermo (y = 0), otteniamo x1 = x2 = 10−2 , mentre se y = 2 abbiamo x1 = 10−1 , x2 = 10−3 .
Questo significa che entro una rapidità y = 2 i valori rilevanti della frazione longitudinale
dell’impulso cadono nell’intervallo 10−3 < x < 10−1 . Se la rapidità è troppo elevata il
sistema uscirà dalle estremità aperte del detector prima di essere analizzato e non produrrà
dati raccoglibili. Quindi, in un collider come LHC, l’intervallo 0.1 < x < 1 è meno rilevante
ai fini della produzione di un bosone di Higgs leggero.
20
Figura 6: Sezioni d’urto di produzione del bosone di Higgs a LHC, a 10 TeV e 14
TeV, calcolate al NLO [14].
21
I calcoli numerici delle sezioni d’urto dei vari processi confermano la predominanza
della fusione di gluoni sugli altri, come si può vedere in fig. 6. Possiamo notare che
nella sezione d’urto del processo di fusione di gluoni è presente una risonanza quando la
massa del bosone di Higgs è attorno al doppio della massa del quark top (mt = 170.9 GeV).
2.3
Sezione d’urto di produzione adronica
Questo lavoro si occupa di studiare la sezione d’urto di produzione dell’Higgs mediante la
fusione di gluoni. Viene studiata la sezione d’urto inclusiva h1 h2 → Hx, per i processi
partonici ij → Hx descriventi la fusione di gluoni al LO e le sue correzioni di QCD
fino al NLO/NNLO. Ciò significa che si considerano tutti gli stati finali contenenti un
bosone di Higgs, ma che possono contenere anche altre particelle (x). Al Tevatron si ha
h1 = p, h2 = p̄, mentre a LHC si ha h1 = h2 = p.
Introducendo una dipendenza dalla scala di energia Qf ac è possibile esprimere la sezione
d’urto in forma fattorizzata, come prodotto tra PDF e sezione d’urto partonica, all’interno
di un integrale di convoluzione. L’espediente di introdurre una scala di fattorizzazione è
di natura matematica e ci permette di scrivere la sezione d’urto in una forma che siamo in
grado di calcolare. Solitamente si pone Qf ac pari alla scala di energia tipica dei processi in
gioco.
La sezione d’urto partonica è sviluppabile attraverso la serie perturbativa come
√
(2.3)
σ̂ij→Hx (mH , s, Qren ) = σ̂0 + αs (Qren )σ̂1 + αs2 (Qren )σ̂2 + . . .
dove Qren è la scala di energia a cui avvengono i processi, quindi la scala a cui si effettua la
rinormalizzazione della teoria per permettere che sia in grado di descriverli. La dipendenza
dalla scala di rinormalizzazione è di natura fisica, perché strettamente legata ai fenomeni
che consideriamo.
Fatte queste considerazioni, la sezione d’urto inclusiva h1 h2 → Hx per tutti i processi
possibili nei colliders adronici è data dalla somma degli integrali di convoluzione
√
σh1 h2 →Hx (mH , s, Qren , Qf ac ) =
X Z 1Z 1
√
(2.4)
dxdy fh1 , i (x, Qf ac ) fh2 , j (y, Qf ac ) σ̂ij→Hx (mH , s, Qren )
=
i,j
0
0
¯ g, d, u, s, c, b, t). Nei processi
dove i, j variano su tutti i partoni possibili (i, j = t̄, b̄, c̄, s̄, ū, d,
di produzione del bosone di Higgs l’energia in gioco è dell’ordine di grandezza della massa
di questa particella, quindi poniamo Qren = Qf ac = mH .
Il troncamento perturbativo della (2.4) viene fatto in modo consistente per le PDF e
per la sezione d’urto partonica. Questo significa che se calcoliamo σh1 h2 →Hx al LO, usiamo
sia PDF che σ̂ij→Hx calcolate al LO, e analogamente per gli ordini successivi.
22
Restringiamoci ora al caso della fusione di gluoni. Nel calcolo al LO l’unico processo
che contribuisce è gg → H mediata da un loop di quark. Si considerano solo i loop di
quark top e bottom, perché l’accoppiamento tra il bosone di Higgs e gli altri quarks più
leggeri è trascurabile. Consideriamo poi tutte le correzioni al processo di fusione di gluoni
fino al NLO-QCD o al NNLO-QCD, a seconda dell’ordine a cui decidiamo di troncare lo
sviluppo perturbativo; esse comprendono i processi gg → Hx, qg → Hx , q q̄ → Hx
e qq → Hx .
Al LO, la sezione d’urto inclusiva per urti pp̄ a Tevatron o pp a LHC è
Z 1Z 1
√
√
σp1(p2) →H (mH , s) =
dxdy fp1 , g (x, mH ) f(p2) , g (y, mH ) σ̂gg→H (mH , s)
(2.5)
0
0
Poiché la PDF del gluone è identica nel protone e nell’antiprotone, al LO avremo lo stesso
risultato nei due colliders. Le PDF dei quarks e degli antiquarks sono invece invertite,
quindi dal NLO in poi√ci saranno piccole differenze nella sezione d’urto a partità di energia
nel centro di massa s, dovute ai processi che non partono da due gluoni nello stato
iniziale.
Altre correzioni alla sezione d’urto provengono da processi non cromodinamici, come
quelli elettrodeboli, e da trattamenti avanzati della serie perturbativa (risommazione). Un
calcolo quasi completo con tutte le correzioni note fino al NNLO è stato recentemente
effettuato in [15]. Questi contributi non sono stati invece considerati nel presente lavoro.
Poiché lo scopo della tesi non è ottenere la migliore predizione sulla sezione d’urto, ma
studiare come le sue incertezze sono legate alla trattazione teorica e agli errori sperimentali
delle PDF, non si ritiene che l’inclusione di questi contributi possa portare a conclusioni
diverse da quelle ottenute.
I risultati sulla sezione d’urto sono fortemente influenzati dalla PDF del gluone. È
quindi interessante confrontare le PDF prodotte dalle varie collaborazioni ad una scala di
energia verosimile per la massa dell’Higgs (Q ∼ 102 GeV).
23
24
25
Figura 7: Confronto tra le PDF del gluone prodotte dalle tre collaborazioni, calcolate al NLO, alla scala di energia (Q = 100 GeV). Le bande d’errore sono
comprese entro una deviazione standard dal valor medio. Il primo grafico
mostra il gluone a grande x per CTEQ 6.6, MSTW 2008 e NNPDF 1.0.
Il grafico successivo mostra le stesse PDF nell’intervallo 10−5 < x < 0.7,
normalizzate al valore centrale di MSTW 2008 per cogliere meglio le differenze. Sono riportati grafici simili che mettono a confronto le attuali PDF
di CTEQ e MSTW con le loro versioni più vecchie CTEQ 6.1 e MRST 2001
E. L’ultimo grafico mostra gli errori percentuali sulle PDF.
Si può notare dal primo grafico di fig. 7 che a grandi x CTEQ fornisce una PDF del
gluone apprezzabilmente superiore a NNPDF e MSTW.
Dal secondo grafico emergono, al variare di x, differenze significative tra il gluone di
CTEQ 6.6, quello di MSTW 2008 e quello di NNPDF 1.0. Le tre bande sono in buon accordo solo attorno a x = 10−2 . Per x < 10−3 le bande di MSTW e CTEQ restano sovrapposte,
mentre il gluone di NNPDF si discosta maggiormente, non essendoci sovrapposizione della
sua banda con le altre.
L’evoluzione storica di CTEQ ha portato a un cambiamento significativo nei valori medi
solo per x < 10−3 e x > 0.1, e comunque le bande d’errore restano in buon accordo tra
26
loro. Invece MSTW 2008 presenta molte differenze dalla sua precedente versione MRST
2001 E, specialmente nella regione 10−3 < x < 0.1, dove le bande si sovrappongono solo
per un piccolo tratto.
Dall’ultimo grafico si vede come MSTW tenda a dare su un ampio intervallo un errore
percentuale sulla PDF minore rispetto alle altre due collaborazioni.
27
3
Calcolo numerico della sezione d’urto
La sezione d’urto (2.4) è stata calcolata mediante un algoritmo numerico programmato in
linguaggio FORTRAN. Questo programma è stato sviluppato inizialmente da M. Grazzini
e poi modificato da R. Bonciani, G. Degrassi e A. Vicini. Le modifiche includono i risultati
esposti in [17] e l’algoritmo è stato impiegato per ottenere i risultati pubblicati in [18]. Il
lavoro di questa tesi ha necessitato di ulteriori modifiche dell’algoritmo.
Il programma includeva al suo interno alcuni files delle PDF pubblicate in letteratura e
si linkava direttamente ad essi. Questo lo rendeva poco flessibile, sia perché conteneva solo
alcune delle PDF disponibili in letteratura, sia perché era necessario effettuare modifiche
e nuovi link ogni volta che si voleva includere un nuovo set di PDF per rimpiazzare quelle
obsolete. Le modifiche apportate hanno migliorato notevolmente la flessibilità del progamma, interfacciandolo esternamente alla libreria LHAPDF. I comandi contenuti nel codice
sono universali per tutte le PDF contenute nella libreria e permettono quindi di sfruttare
qualsivoglia set a disposizione in letteratura. Per includere le nuove PDF pubblicate è
sufficiente aggiornare la libreria scaricando l’ultima versione di LHAPDF, senza bisogno di
ulteriori modifiche all’algoritmo.
È stato inoltre sviluppato un programma esterno di gestione dei calcoli. Questo programma ha permesso di sfruttare l’algoritmo di calcolo della sezione d’urto in modo da
ottenere sia il suo valor medio, sia l’incertezza che si desiderava esaminare, e di coprire
l’intervallo 100 GeV ≤ mH ≤ 1 TeV. Con un primo input sono determinati il tipo di
errore che si desidera calcolare, il collisore (Tevatron o LHC) e il set di PDF. Poi un ciclo
esterno si occupa di far variare la massa del bosone di Higgs, mentre uno più interno esegue
gli specifici calcoli richiesti dalla tipologia di errore scelta (vedi sezz. 4.1 e 6.1).
28
4
4.1
Studio dell’errore sperimentale
Incertezza legata alle PDF
Una prima fonte di incertezza sulla sezione d’urto (2.4) è data dagli errori sui dati da cui
vengono estratte le PDF. Questa, assieme alle masse dei quarks, è la principale fonte di
incertezza di natura sperimentale sul calcolo della sezione d’urto.
I set di PDF forniti da LHAPDF e dotati di incertezze si possono distinguere in due
categorie, a seconda di come queste incertezze vengono rappresentate: quelli che seguono
il metodo HEPDATA, usato di default nel database omonimo [16] e legato al calcolo degli
errori attraverso la matrice Hessiana, e quelli che invece usano il metodo Monte Carlo. In
(k)
entrambi i casi vengono forniti per ogni partone i un insieme di PDF fi con k = 1, ..., Ni ,
(0)
più la PDF che rappresenta il valor medio fi . Il valor medio di una funzione F(fi ) delle
PDF è dato da
(0)
(4.1)
hF(fi )i = F(fi ).
Il caso di nostro interesse è ovviamente F = σh1 h2 →Hx .
(k)
Nel metodo HEPDATA le fi con k > 0 forniscono le variazioni in eccesso e in difetto
(0)
(per k pari e dispari) rispetto a fi , corrispondenti agli autovettori della matrice Hessiana
nello spazio dei parametri. La deviazione standard si calcola a partire dai quadrati di
queste variazioni con la seguente formula
1/2

Ni /2 h


i
X
2
1
(2k)
(2k−1)
.
(4.2)
) − F(fi )
F(fi
σFHEP DAT A =

2
k=1
Questo metodo di calcolo degli errori è stato usato con le PDF fornite da CTEQ e MRSTMSTW. Se le deviazioni vengono fornite entro il 90% c.l. anziché entro 1σ (68% c.l.), come
nel caso di CTEQ, è necessario dividere ulteriormente la (4.2) per
C90 ≡ Erf −1 (0.90) = 1.64485.
Nel metodo Monte Carlo si producono molte repliche dei dati sperimentali e su ciascuna
replica viene eseguito un fit, ottenendo cosı̀ altrettante repliche delle PDF. Il valor medio
è quindi calcolato a partire da tutte le repliche delle PDF attraverso la
hF(fi )i =
(0)
F(fi )
Ni
1 X
(k)
=
F(fi )
Ni k=1
mentre la deviazione standard è calcolata con la
(N
)
i h
i2 1/2
X
1
(k)
(0)
σFM onte Carlo =
F(fi ) − F(fi )
.
Ni − 1 k=1
29
(4.3)
(4.4)
Questo metodo è stato utilizzato per le PDF fornite da NNPDF. Come abbiamo detto, il
metodo Monte Carlo ha il pregio di non assumere a priori una propagazione lineare degli
errori. D’altra parte, l’elevato numero di repliche richiede una potenza di calcolo decisamente più elevata per ottenere i risultati negli stessi tempi (o tempi molto maggiori a
parità di potenza di calcolo), perché il numero di membri nella sommatoria (4.4) è molto
maggiore di quello nella (4.2).
4.2
Risultati
La collaborazione MSTW fornisce le sue PDF fino al NNLO, mentre NNPDF e CTEQ si
fermano al NLO. Quindi per consistenza sono state confrontate le sezioni d’urto calcolate
al NLO, che è l’ordine più alto in comune.
√
s=
I calcoli sono stati effettuati per gli esperimenti
di
collisione
pp̄
al
Tevatron,
con
√
1.96 TeV, e per gli urti pp a LHC, con s = 8, 10, 14 TeV. Si è ritenuto interessante
effettuare i calcoli per LHC anche a energie minori di 14 TeV per due motivi. In primis,
data la complessità e delicatezza della macchina, occorreranno sicuramente molti anni di
test ed esperimenti prima di poter sfruttare al meglio la sua tecnologia e spingersi (se mai
sarà possibile) fino ai livelli di energia previsti dal progetto. In secundis, in questo modo
è possibile apprezzare meglio l’andamento dei risultati al variare dell’energia nel centro di
massa. Tutte le bande d’errore disegnate nei grafici rappresentano l’incertezza sul valor
medio della sezione d’urto di produzione di Higgs entro una deviazione standard (68% c.l.).
Per i calcoli sono state usate le PDF più recenti (al momento del lavoro) fornite dalle
varie collaborazioni, ovvero MSTW 2008 nlo, CTEQ 6.6 e NNPDF 1.0, disponibili nella
versione LHAPDF 5.7.0, aggiornata al febbraio 2009. Verso la fine del lavoro è stata
pubblicata LHAPDF 5.7.1, contenente versioni ancora più aggiornate di NNPDF e MSTW,
che però non sono state usate in questa sezione. NNPDF 1.2 è stata usata per studiare gli
effetti di un upgrade di LHC a LHeC (vedi sez. 5).
Oltre a calcolare i risultati attraverso le PDF più recenti, abbiamo scelto di eseguire i
conti anche con le versioni più vecchie MRST 2001 E e CTEQ 6.1. Questo ci ha permesso
studiare l’evoluzione storica delle PDF e di valutare la stabilità dei risultati rispetto ai
cambiamenti delle PDF.
30
31
32
33
34
35
36
37
√
Figura 8: Sezioni d’urto di produzione dell’Higgs per gli urti pp̄ a s = 1.96 TeV che
avvengono al Tevatron. Il primo grafico mette a confronto i risultati del
calcolo della sezione d’urto di produzione dell’Higgs al NLO per CTEQ 6.6,
MSTW 2008 nlo e NNPDF 1.0 1000. Nel secondo grafico sono mostrate le
stesse bande del primo, normalizzate al valor medio della banda di MSTW
2008 nlo, per apprezzare meglio le differenze tra i risultati ottenuti a partire
dai vari set. Il terzo grafico è un ingrandimento del secondo nell’intervallo
100 GeV ≤ mH ≤ 500 GeV. Successivamente sono riportati grafici simili
ai primi tre, che mostrano le differenze tra CTEQ 6.1 e CTEQ 6.6, e tra
MRST 2001 E e MSTW 2008 nlo. In questi grafici è stata inserita anche la
banda ottenuta da NNPDF 1.0 1000, per il quale non esiste una versione
precedente, per confronto con le versioni storiche delle altre due collaborazioni. Gli ultimi due grafici mettono a confronto gli errori percentuali sulla
sezione d’urto (il secondo è un ingrandimento del primo nell’intervallo 100
GeV - 500 GeV).
38
39
40
41
42
Figura 9: Stessi grafici di fig. 8, ma per urti pp a
43
√
s = 8 TeV a LHC.
44
45
46
47
Figura 10: Stessi grafici di fig. 9, ma con
48
√
s = 10 TeV.
49
50
51
52
Figura 11: Stessi grafici di fig. 9, ma con
4.2.1
√
s = 14 TeV.
Tevatron
Per i grafici relativi a Tevatron possiamo notare come le bande d’errore tendando ad
allargarsi rapidamente al crescere della massa del bosone di Higgs. Questo rispecchia le
caratteristiche tecniche del Tevatron (la sua luminosità), che non è adatto a studiare un
bosone di Higgs con massa elevata.
I valori medi delle sezioni d’urto calcolati con CTEQ 6.6, MSTW 2008 e NNPDF 1.0 si
sovrappongono per mH ≈ 2mt . Questo fatto è puramente casuale, infatti non sussiste per i
grafici equivalenti di LHC. Le PDF non sono estratte da dati forniti dal Tevatron sul quark
top, quindi non vi è motivo per cui siano vincolate a restituire questo curioso risultato.
Un’ulteriore conferma della casualità di questo fatto viene dalle versioni precedenti di
MSTW e CTEQ, che non lo riproducono, restituendo valori medi della sezione d’urto
differenti.
Nonostante le PDF del gluone di MSTW 2008 e NNPDF 1.0 fossero abbastanza differenti, le sezioni d’urto sono in accordo tra loro, quindi possiamo ipotizzare che le regioni di x
con marcate differenze
√ tra le PDF non abbiano avuto grande peso nel calcolo dell’integrale
di convoluzione a s = 1.96 TeV.
Mentre le bande calcolate con MSTW 2008 e NNPDF 1.0 sono sempre sovrapposte,
quella di CTEQ 6.6 si differenzia in modo abbastanza significativo. La differenza è legata
alla scelta di CTEQ di dare molto peso ai dati legati alla produzione di jets adronici, mentre
MSTW dà più peso agli esperimenti di deep inelastic scattering e NNPDF usa solo quelli.
A seconda dei dati che si utlizzano e del peso che viene dato loro nel fit globale, si ottiene
un diverso errore sulle PDF per determinati intervalli di x. Questo può portare a differenze
apprezzabili nelle PDF a scale di energia superiori a quella iniziale dei dati, poiché una
banda d’errore molto stretta permetterà di avere sotto stretto controllo l’evoluzione, mentre
una più larga darà spazio a diversi scenari evoluti.
A causa di ciò, anche se per ogni banda l’errore percentuale sulla sezione d’urto è circa
il 3-4% a mH = 100 GeV, la differenza tra i valori medi calcolati con diversi set di PDF
può essere superiore: il divario tra CTEQ e le altre due è circa dell’8-9%. Questa differenza
tra i valori medi è rilevante nell’intervallo 100 - 200 GeV, mentre oltre i 200 GeV è coperta
dall’allargamento delle bande d’errore. Si può anche notare come per mH molto grande la
sezione d’urto fornita da CTEQ 6.6 sia significativamente maggiore di quella fornita dalle
altre due collaborazioni. Questo si spiega notando come la PDF del gluone di CTEQ sia
maggiore rispetto alle altre due per grandi valori di x (vedi fig. 7), che sono predominanti
per ottenere un bosone di Higgs molto massivo (vedi eq. (2.2)). Tuttavia questa zona non
53
è interessante perché è sperimentalmente impossibile osservare al Tevatron un Higgs cosı̀
pesante.
Facciamo ora il confronto con le versioni storiche di CTEQ, CTEQ 6.1, e MSTW,
MRST 2001 E. I valori medi forniti da CTEQ 6.6 tendano ad essere minori di quelli
forniti da CTEQ 6.1, rispecchiando il fatto che la PDF del gluone per CTEQ 6.6 è sempre
inferiore o uguale a quella di CTEQ 6.1 per x > 3 × 10−3 (vedi fig. 7). In ogni caso
sia le PDF del gluone che le sezioni d’urto di CTEQ 6.1 e 6.6 sono in accordo entro una
deviazione standard, quindi possiamo dire che i risultati prodotti da CTEQ sono rimasti
stabili rispetto a miglioramenti nella trattazione e all’eventuale inclusione di nuovi dati
sperimentali. Il gluone di MSTW 2008 presenta invece differenze significative da quello
di MRST 2001 E, quindi non è rimasto stabile in seguito all’evoluzione storica del set.
Tuttavia per la sezione d’urto di produzione dell’Higgs le bande di MRST 2001 E e MSTW
2008 sono in buon accordo, quindi, come per il confronto tra MSTW 2008 e NNPDF 1.0,
possiamo ipotizzare che le regioni con differenze significative nelle PDF del gluone non
abbiano avuto molto peso. Di conseguenza la sezione d’urto è rimasta abbastanza stabile
rispetto all’evoluzione storica.
4.2.2
LHC
Passiamo ora ad analizzare cosa succede a LHC. La prima cosa che si nota è una notevole
diminuzione dell’errore precentuale: le bande d’errore sono significativamente più strette.
Grazie al fatto che l’energia nel centro di massa di LHC è maggiore rispetto al Tevatron,
le frazioni longitudinali x rilevanti per la produzione dell’Higgs coprono una regione in
cui la PDF del gluone è determinata con maggiore precisione. Gli errori percentuali di
tutte le bande, tranne quella di MSTW 2008, presentano dei minimi
molto vicini, che si
√
spostano verso destra (valori di mH maggiori) all’aumentare di s. Evidentemente questi
minimi sono legati a quei valori di mH tali per cui l’integrale di convoluzione riceve il
maggior contributo possibile dalla regione dove la PDF del gluone è meglio determinata.
Se riguardiamo gli errori percentuali sulla PDF del gluone in fig. 7, notiamo che il minimo
per MSTW 2008 è più spostato a sinistra rispetto agli altri, quindi non è osservabile nel
grafico, perché sarebbe in corrispondenza di una massa dell’Higgs minore di 100 GeV.
Per quanto riguarda le sezioni d’urto calcolate con CTEQ√6.6 e MSTW 2008, il problema
osservato al Tevatron diventa qui ancora più rilevante. A s = 8 TeV, le bande d’errore
√
non si sovrappongono per mH < 400 GeV, che diventano 600 GeV se raggiungiamo s =
14 TeV. Le differenze tra i valori medi rispecchiano il fatto che l’errore commesso nel
determinare le PDF è legato soprattutto al tipo di trattazione dei dati fatta dalle varie
collaborazioni, alla scelta di includerne o meno alcuni e al peso che viene loro dato.
Al Tevatron NNPDF 1.0 mostrava buon accordo con MSTW 2008, nonostante le differenze nella PDF del gluone. A LHC queste differenze sono invece visibili nel risultato
sulla sezione d’urto. Per un bosone di Higgs pesante (mH > 500 GeV) NNPDF tende a
dare un valor medio superiore del 2-4% rispetto a quello di MSTW, anche se in accordo
entro l’errore sperimentale. Per un bosone di Higgs leggero, invece, NNPDF tende ad avvi-
54
cinarsi al valor medio calcolato con CTEQ all’aumentare dell’energia nel centro di massa,
discostandosi significativamente dalla banda di MSTW.
Se osserviamo l’evoluzione storica di CTEQ, possiamo ripetere le stesse considerazioni
fatte al Tevatron. Viceversa, nel caso di MRST 2001 E - MSTW 2008 le differenze nella
PDF del gluone si fanno sentire per mH < 300 GeV, dove le bande d’errore non si sovrappongono. Quindi la sezione d’urto non è rimasta stabile in seguito all’evoluzione da MRST
2001 E a MSTW 2008.
4.3
Conclusioni
Alla luce di quanto osservato possiamo concludere che:
• Il calcolo della sezione d’urto di produzione dell’Higgs rispecchia fortemente la nostra
conoscenza del gluone. In particolare, se la PDF è determinata con un basso errore
per i valori di x che ci interessano, sarà possibile calcolare la sezione d’urto con buona
precisione.
• È bene evitare di affidarsi ai risultati forniti da una sola collaborazione per stabilire se
negli acceleratori è stato osservato o meno il segnale del bosone di Higgs a determinati
valori di mH , per confermare la sua scoperta o escludere la sua presenza in un certo
intervallo di masse. A priori, non abbiamo motivo di preferire i risultati di una
determinata collaborazione piuttosto che quelli di un’altra, quindi è necessario tenere
conto del fatto che, in certi casi, le differenze tra i valori medi previsti sono maggiori
dell’errore sugli stessi fornito da ciascuna collaborazione.
55
5
5.1
Studio del contributo di dati raccolti a LHeC
Upgrade di LHC a LHeC
LHeC (Large Hadron Electron Collider) è il progetto proposto per un nuovo acceleratore,
che opererebbe al CERN parallelamente a LHC. L’obiettivo è sfruttare uno dei due fasci
adronici di LHC e un fascio molto energetico di elettroni, per effettuare esperimenti di
deep inelastic scattering. Il progetto prevede due alternative per accelerare gli elettroni:
l’aggiunta di un altro anello o la costruzione di un LINAC. In entrambi i casi si porterebbero
gli elettroni a energie di decine di GeV, permettendo di esplorare la struttura del protone
ben oltre i limiti raggiunti da HERA, il “microscopio” per partoni più potente finora
costruito. Un acceleratore lineare permetterebbe di avere energie nel centro di massa
maggiori, mentre uno circolare avrebbe dalla sua la maggiore luminosità. In ogni caso
sarebbe possibile indagare le PDF in nuove regioni di x e Q.
Figura 12: Regione cinematica coperta dagli pseudo-dati simulati di LHeC (i pallini
rossi in basso a sinistra), assieme agli altri dati sperimentali reali inclusi
nel fit di NNPDF 1.2 [19].
Ci interessa studiare come i dati forniti da LHeC possano migliorare la determinazione
della sezione d’urto di produzione del bosone di Higgs. In particolare, vogliamo valutare
di quanto viene ridotto l’errore sperimentale sulla sezione d’urto, in seguito alla maggior
precisione con cui possono essere determinate le PDF. A tal fine sfruttiamo una versione
modificata di NNPDF 1.2, NNPDF 1.2 LHeCa [19]. In questa versione, oltre ai normali
56
dati di deep inelastic scattering usati da NNPDF per estrarre le PDF, vengono inclusi nel
fit anche alcuni pseudo-dati simulati di LHeC. Come si può vedere nella fig. 12, i dati
di LHeC inclusi coprono una regione finora inesplorata, permettendo di ottenere nuove
informazioni sulla struttura del protone a piccolo x. Nota che questi dati coprono solo una
parte della regione cinematica accessibile a LHeC.
57
58
Figura 13: PDF del gluone fornite da NNPDF 1.0, NNPDF 1.2 e NNPDF 1.2 LHeCa.
Nel primo grafico sono presenti le PDF normalizzate al valore centrale di
NNPDF 1.2 LHeCa. Le bande rappresentano l’errore sperimentale entro
una deviazione standard. Nel secondo grafico sono visualizzati gli errori
percentuali.
Facciamo un confronto tra le PDF del gluone fornite da NNPDF 1.0, NNPDF 1.2 e NNPDF
1.2 LHeCa. Innanzi tutto possiamo valutare la stabilità del gluone passando da NNPDF 1.0
a 1.2: i valori medi della PDF non si discostano più del 2% nell’intervallo 10−5 < x < 0.7,
differenza ampiamente coperta dalle bande d’errore. L’aggiunta degli pseudo-dati simulati
di LHeC non influenza in modo significativo i risultati sul valor medio della PDF. Questo è
consistente col fatto che, essendo dati simulati, i loro valori medi devono essere in accordo
con quelli dei dati reali in nostro possesso, quindi non ci sorprende né risulta interessante.
Valutiamo ora le bande d’errore. NNPDF 1.2 mostra una banda d’errore più larga
rispetto a NNPDF 1.0. La differenza è comunque piccola: inferiore al 2% per x > 10−5
e allo 0.5% per x > 10−3 . L’influenza dei dati di LHeC è importante per x < 10−3 ,
dove l’errore percentuale si riduce da poco meno di 1 punto per x = 10−3 , fino a poco
più di 5 punti per x = 10−5 , passando dal 7% a meno del 2%. Per x > 10−3 , invece, la
banda d’errore viene migliorata per meno dell’1%; la differenza da NNPDF 1.2 si riduce
all’aumentare di x, fino ad annullarsi.
Dalle PDF del gluone possiamo già fare una previsione sul risultato che otterremo calcolando la sezione d’urto. Anche avendo a disposizione due fasci di protoni da 7 TeV a
−3
LHC, la regione con maggior peso per il calcolo della sezione d’urto è quella per
√ x > 10 , e
si sposta verso x sempre più grandi diminuendo l’energia nel centro di massa s. Poiché in
questa regione la PDF del gluone non viene influenzata particolarmente dai dati di LHeC,
è verosimile che la sezione d’urto che otterremo non cambierà in modo significativo.
5.2
Risultati
√
Abbiamo effettuato il calcolo solo per LHC a s = 14 TeV, che è lo scenario, tra quelli
considerati, in cui si ha la maggiore influenza da parte dei dati di LHeC.
Tutte le bande d’errore disegnate nei grafici rappresentano l’incertezza sperimentale
sul valor medio della sezione d’urto di produzione di Higgs entro una deviazione standard
(68% c.l.).
59
60
61
√
Figura 14: Sezioni d’urto di produzione dell’Higgs a LHC a s = 14 TeV, calcolate
con NNPDF 1.0 1000, NNPDF 1.2 1000 e NNPDF 1.2 LHeCa 100. Il
primo grafico riporta le sezioni d’urto con bande d’errore sperimentale
(68% c.l.). Nel secondo grafico sono mostrate le stesse bande del primo,
normalizzate al valor medio della banda di NNPDF 1.2 LHeCa 100. Gli
ultimi due grafici mettono a confronto gli errori percentuali sulla sezione
d’urto (il secondo è un ingrandimento del primo nell’intervallo 100 GeV 500 GeV).
Dai primi due grafici di fig. 14 possiamo notare quanto poco cambi la previsione sulla
sezione d’urto fornita dalle tre versioni. In particolare, il secondo ci mostra come i valori
medi siano differenti al più dello 0.5%. Questo rispecchia l’accordo delle PDF nella regione
dominante 10−3 < x < 10−1 . D’altra parte i valori medi non sono interessanti, come
abbiamo già detto; ciò che ci interessa studiare sono gli errori. Dagli ultimi due grafici
possiamo notare come la banda calcolata con NNPDF 1.2 LHeCa sia più stretta di quella
di NNPDF 1.2 per appena lo 0.35%, a mH = 100 GeV. Per masse dell’Higgs maggiori la
differenza si riduce, fino ad annullarsi, consistentemente col fatto che i gluoni con piccolo
x diventano sempre meno importanti all’aumentare di mH .
Abbiamo dunque la conferma di ciò che ci aspettavamo già osservando le PDF del gluone: i dati simulati di LHeC inclusi non contribuiscono in modo significativo a migliorare la
precisione nel calcolo della sezione d’urto. Questi dati sarebbero utili a migliorare la precisione
√ dei calcoli se studiassimo l’Higgs in un collider adronico molto più potente, diciamo
a s & O(100 TeV), dove il gluone a piccolo x diventerebbe più importante. Per colliders
come Tevatron o LHC sarebbero più significativi dati a medio-alto x, che non sono stati
inclusi in NNPDF 1.2 LHeCa.
62
5.3
Conclusioni
Alla luce di quanto osservato possiamo concludere che:
• Esperimenti in grado di migliorare la conoscenza del gluone per x < 10−3 non aumentano la precisione con cui si determina la sezione d’urto di produzione dell’Higgs
a Tevatron e a LHC. Per migliorare i risultati è necessario migliorare la precisione
con cui si determina la PDF del gluone per x > 10−3 .
• I dati provenienti da tutta la regione cinematica accessibile a LHeC, che copre anche
x > 10−3 (vedi fig. 15), potrebbero lo stesso portare a miglioramenti nella conoscenza
del gluone e quindi nella sezione d’urto di produzione dell’Higgs. Per valutare l’effettivo contributo di LHeC, bisognerà ripetere il calcolo nel momento in cui avremo
a disposizione una versione di NNPDF contenente un set completo di dati simulati.
• Un altro modo per migliorare la conoscenza del gluone ad alto x è attraverso una nuova generazione di esperimenti di Drell-Yan e di produzione di jets adronici, possibili
già allo stesso LHC.
Questi risultati sono stati presentati al 2 nd workshop on the LHeC, tenutosi a Divonne
(Fr) dall’1 al 3 settembre 2009.
Figura 15: Regione cinematica coperta dalla totalità degli pseudo-dati simulati di
LHeC disponibili (gli asterischi rossi), assieme agli altri dati sperimentali
reali [20].
63
6
Studio di alcune incertezze teoriche
La sezione d’urto di produzione del bosone di Higgs è soggetta ad errori di natura
non sperimentale, legati al modello teorico utilizzato per descriverla. Naturalmente non
è possibile valutare in modo esatto l’errore teorico che si commette. Ciò sarebbe fattibile
soltanto conoscendo già il risultato esatto, che invece cerchiamo di calcolare usando degli
espedienti semplificativi, che sono fonti di errore teorico. Tuttavia, è possibile dare una
stima di alcuni tipi di errore teorico commessi, valutandone l’ordine di grandezza.
L’errore più importante che commettiamo, quando descriviamo un processo attraverso
una serie perturbativa, è legato al troncamento della stessa a un ordine fissato al momento
di calcolare le osservabili fisiche. Come abbiamo già detto, fermarsi ai primi ordini va bene
fintanto che la serie è convergente e converge molto velocemente. In ogni caso, anche se αs
è molto piccola, quando tronchiamo la serie perturbativa non siamo in grado di prevedere,
per un termine scartato di ordine superiore, la presenza di una costante che compensi la
potenza di αs . In questo caso il termine escluso non sarebbe trascurabile, perché darebbe
un contributo alla serie dello stesso ordine di grandezza del membro al LO. Non è possibile
dare una stima dell’incertezza teorica che tenga conto di problemi di questo tipo, anche
se le costanti che possono apparire in un termine di ordine n elevato devono essere decisamente grandi per compensare (αs )n−nLO . È quindi più verosimile che problemi di questo
tipo sorgano nel calcolo dei primi ordini perturbativi, anziché a ordini elevati.
6.1
Errori legati alle scale di fattorizzazione e rinormalizzazione
Due errori di natura teorica nel calcolo della sezione d’urto (2.4), che siamo in grado di
stimare, sono legati alla scelta delle scale di fattorizzazione e rinormalizzazione.
Come già detto, la scala Qf ac compare durante la fattorizzazione della sezione d’urto in
processo partonico (σ̂ij→Hx ) per densità di partoni (PDF). Se fossimo in grado di calcolare
tutti i termini della serie perturbativa, il risultato finale non dipenderebbe da questa scala.
Tuttavia, poiché tronchiamo la serie a un ordine fissato, introduciamo una dipendenza del
risultato da Qf ac , commettendo un errore.
La scala di rinormalizzazione Qren determina il valore di αs = αs (Qren ). I processi di
produzione del bosone di Higgs avvengono a un’energia dell’ordine di grandezza della sua
massa. Porre Qren = mH è la scelta più naturale, ma non è a priori l’unica o la migliore;
Qren può tenere conto di tutte le scale di energia del processo (massa invariante totale,
impulso trasverso, ecc...). È quindi necessario valutare quanto la scelta di questa scala
influisca sulla predizione che facciamo.
È possibile stimare l’ordine di grandezza di questi due errori variando le scale Qren e
Qf ac di un fattore fissato, diciamo 2, per vedere come cambiano di conseguenza i risultati
64
che otteniamo. Usiamo quindi la formula (2.4) per il calcolo della sezione d’urto, solo che
stavolta non manteniamo fissate Qren = Qf ac = mH . Il valore centrale che consideriamo è
il valor medio calcolato durante lo studio degli errori legati alle PDF; è quindi dato dalla
(4.1) ponendo Qren = Qf ac = mH . Calcoliamo poi la variazione che subisce moltiplicando
o dividendo le scale di un fattore 2, indipendentemente tra loro, per un totale di quattro
combinazioni possibili:
Qren = 2mH ,
Qf ac = 2mH
Qren = 12 mH ,
Qf ac = 2mH
Qren = 2mH ,
Qf ac = 12 mH
Qren = 12 mH ,
Qf ac = 21 mH .
Indichiamo con σ0 il valore centrale, mentre con σ1 , σ2 , σ3 e σ4 le altre quattro sezioni
d’urto, che si ottengono variando le scale di energia. A questo punto definiamo l’errore
teorico (la sua stima) attraverso le
∆+ ≡ max {σi − σ0 }
∆− ≡ min {σi − σ0 } ,
i = 1, 2, 3, 4.
(6.1)
Non esiste una relazione semplice che leghi i valori assoluti di ∆+ e ∆− , in particolare non
vi è motivo per cui questi siano uguali tra loro. Di conseguenza l’errore teorico è rappresentato da una banda asimmetrica rispetto a σ0 .
6.2
Risultati
Lo studio dell’errore teorico diventa interessante nel momento in cui confrontiamo la sua
stima a un dato ordine perturbativo con la sezione d’urto effettiva calcolata all’ordine
successivo. Con i risultati disponibili finora in letteratura ed inseriti nel programma, siamo
in grado di calcolare la sezione d’urto partonica a LO, NLO e NNLO. L’unico set di PDF a
nostra disposizione che ci permette di valutare l’errore teorico consistentemente con questi
ordini è quello fornito da MSTW. Abbiamo quindi effettuato i calcoli con le versioni MSTW
2008 lo, nlo e nnlo.
Come nello studio dell’errore
sperimentale, anche in questo
caso i calcoli sono stati
√
√
effettuati per il Tevatron, a s = 1.96 TeV, e per LHC, a s = 8, 10, 14 TeV.
65
66
67
68
69
Figura 16: Confronto fra le sezioni d’urto di produzione dell’Higgs calcolate a LO,
NLO e NNLO con MSTW 2008. Sotto ai grafici delle sezioni d’urto
con banda d’incertezza teorica, sono presenti gli stessi grafici normalizzati al valor medio della sezione d’urto al LO, per apprezzare meglio la
sovrapposizione delle bande ai vari ordini perturbativi.
70
71
72
Figura 17: Confronto fra gli errori relativi sulle sezioni d’urto a LO, NLO e NNLO. È
possibile notare l’asimmetria nelle bande d’errore rispetto al valor medio,
rappresentato dalla linea grigia tratteggiata (lo zero). Si nota anche come
l’incertezza teorica percentuale diminuisca sia all’aumentare dell’energia
nel centro di massa, sia eseguendo il calcolo a ordini perturbativi più
elevati.
73
74
75
76
77
78
79
80
Figura 18: Confronto dei diversi contributi all’errore teorico, a seconda delle possibili
combinazioni delle variazioni di Qren e Qf ac . Sono presenti separatamente i grafici per LO, NLO e NNLO. Si può notare come a bassa energia
(Tevatron) la stima più conservativa sia quella per la scelta dello stesso
fattore moltiplicativo per entrambe le scale, mentre a energie maggiori
(LHC) la scelta dei fattori moltiplicativi incrociati diventa rilevante per
mH piccola (100 - 200 GeV).
81
Osserviamo i grafici di fig. 16.
Passando dal LO al NLO, il valor medio
√ della sezione d’urto aumenta tra il 70% e il
120%, con un incremento maggiore per s minore (Tevatron). Questo salto notevole è
legato alla presenza nel termine NLO di un fattore costante che compensa la potenza di αs
in più rispetto al LO. Si nota come le bande calcolate al LO e al NLO non si sovrappongano
lungo l’intervallo dei√possibili valori della
√ massa dell’Higgs, variando anche l’energia del
centro di massa da s = 1.96 TeV a s = 14 TeV (l’unico contatto è al Tevatron per
mH > 500 GeV, ma questa zona è poco interessante). Questo significa che troncando la
serie al LO l’errore stimato è minore di quello commesso effettivamente. Al Tevatron le
bande sono molto larghe; si sovrappongono parzialmente per mH > 500 GeV, restando
comunque vicine per mH più leggero. A LHC invece le bande sono molto più strette,
quindi, anche se l’incremento percentuale del valor medio è minore rispetto al Tevatron, le
bande al LO e al NLO non si toccano e i loro estremi restano ben distanziati. Possiamo
anche notare come per entrambi gli acceleratori la banda d’errore al NLO sia leggermente
più larga di quella al LO.
Passando dal NLO al NNLO, il valor medio della sezione d’urto subisce un ulteriore
incremento, compreso tra il 40% e il 60% circa del valor medio al LO. Poiché la sezione
d’urto al NLO è circa il doppio di quella al LO, l’incremento tra NLO e NNLO è quindi
intorno al 20-30%, molto minore di quello tra LO e NLO. La banda d’errore al NNLO risulta
più stretta rispetto al NLO, mostrando una minore dipendenza del risultato dalle scale Qren
e Qf ac . Questi dati sono incoraggianti, perché fanno sperare che la serie inizi a comportarsi
bene e ci si possa avvicinare ad un buon risultato per la sezione d’urto. Se osserviamo le
bande al Tevatron, notiamo che non solo quelle di NLO e NNLO si sovrappongono, ma
anche che il valor medio calcolato al NNLO cade entro la banda d’errore calcolata al NLO
√
per Higgs non troppo massivo, che è ciò che ci interessa maggiormente. A LHC, con s
maggiore, l’accordo tra i calcoli al NLO e al NNLO non è altrettanto buono, comunque le
bande si sovrappongono parzialmente.
Portiamo l’attenzione ai grafici di fig. 17. Possiamo notare come l’errore teorico percentuale diminuisca sensibilmente includendo più ordini perturbativi nel calcolo: aumentando
l’ordine, il risultato dipende sempre meno dalle scale Qren e Qf ac . Gli errori percentuali
diminuiscono anche aumentando l’energia (LHC) e la differenza si fa sentire maggiormente
agli ordini perturbativi più bassi. Al LO si passa da un errore del 40-75% circa, per il
Tevatron, a circa il 25-35% per LHC. Al NLO l’errore è del 30-40% al Tevatron, 15-25% a
LHC. Al NNLO l’incertezza si riduce fino al 10-15% per entrambi i collisori. Notiamo che
l’incertezza teorica tende ad essere più stabile di quella sperimentale al variare della massa
dell’Higgs dipendendo dalle scale di energia e non dalle PDF.
√
Per finire, osserviamo i grafici di fig. 18. Si può vedere come variando s e mH cambi notevolmente il contributo delle possibili combinazioni delle scale di energia. A bassa
energia (Tevatron) risultano dominanti le scelte con stesso fattore moltiplicativo per le due
scale (2 e 2 oppure 21 e 12 ), su tutto l’intervallo di masse dell’Higgs. A LHC, invece, per
mH piccola risulta dominante la scelta coi fattori incrociati (2 e 12 oppure 12 e 2). In linea
di massima possiamo concludere che la scelta √
coi fattori incrociati domina se la massa del
bosone di Higgs è molto minore dell’energia s raggiungibile con l’acceleratore, mentre
82
in caso contrario prevale la scelta con gli stessi fattori. In ogni caso, per dare una stima
conservativa, è bene esplorare tutte le casistiche possibili e scegliere poi i risultati che si
discostano maggiormente dal valor medio.
6.3
Conclusioni
Alla luce di quanto osservato possiamo concludere che:
• Per valutare l’errore teorico, è bene considerare tutti gli scenari possibili, variando
indipendentemente tra loro le singole fonti di incertezza. Per essere conservativa, la
stima dell’incertezza teorica deve tenere conto della massima variazione della sezione
d’urto tra tutti questi possibili casi. In particolare, per il bosone di Higgs previsto
dal Modello Standard (mH < 200 GeV), a Tevatron la stima più conservativa si
ha moltiplicando le scale Qren e Qf ac per lo stesso fattore (2 e 2 oppure 21 e 12 ). A
LHC, invece, la scelta coi fattori incrociati (2 e 12 oppure 12 e 2) fornisce la maggiore
variazione della sezione d’urto per un bosone di Higgs leggero.
• Il calcolo della sezione d’urto migliora sensibilmente aumentando l’ordine perturbativo a cui viene svolto. Sarebbe interessante disporre dei calcoli al N3 LO, per motivi
diversi a seconda dell’acceleratore. Al Tevatron si ha buon accordo già tra le bande
al NLO e al NNLO, ma queste bande sono molto larghe, quindi un calcolo al N3 LO
permetterebbe di ridurre significativamente la dipendenza del risultato dalle scale di
energia. A LHC, invece, le bande sono più strette, quindi c’è meno dipendenza dalle
scale Qren e Qf ac , ma la sovrapposizione tra NLO e NNLO non è del tutto soddisfacente; è quindi probabile che col N3 LO si possa avere un altro incremento significativo
al valor medio della sezione d’urto. In ogni caso, con un calcolo al N3 LO potremmo
fare affidamento su un risultato maggiormente stabile. Tuttavia è poco probabile
che i calcoli completi (o quasi) delle PDF e della sezione d’urto partonica al N3 LO
siano disponibili entro pochi anni, quindi verosimilmente dovremo fare affidamento
sui conti al NNLO.
• Per mH < 200 GeV l’incertezza teorica risulta decisamente superiore a quella sperimentale, sia al Tevatron che a LHC. Per il Tevatron, al NLO abbiamo un’incertezza
teorica del 20-30%, contro il 3-8% di quella sperimentale. Per LHC, sempre al NLO,
abbiamo il 15-25% di quella teorica, contro meno del 3% per quella sperimentale.
Anche eseguendo i calcoli al NNLO, l’incertezza teorica risulta maggiore di quella
sperimentale calcolata all’ordine precedente.
83
7
Riepilogo
Riassumiamo e confrontiamo tra loro le conclusioni sinora tratte, per ottenere una visione
d’insieme:
• Per avere un basso errore sperimentale sulla sezione d’urto di produzione dell’Higgs,
dobbiamo conoscere con buona precisione la PDF del gluone nell’intervallo degli
x rilevanti per il calcolo. Per il bosone di Higgs previsto dal Modello Standard
(100 GeV < mH < 200 GeV) un buon livello di precisione è già stato ottenuto. Per
bosoni di Higgs più pesanti è necessario migliorare la precisione a grande x, attraverso
nuove generazioni di esperimenti di Drell-Yan e di produzione di jets adronici, possibili già a LHC. È ancora da valutare il beneficio che si può ottenere dagli esperimenti
di deep inelastic scattering di LHeC.
• I valori medi cambiano a seconda della collaborazione che fornisce le PDF; a volte le
differenze tra questi valori medi sono superiori rispetto ai loro stessi errori. L’errore
sperimentale fornito da una singola collaborazione non è quindi affidabile, perché la
dipendenza del valor medio dalla trattazione delle PDF è ancora troppo elevata.
• La dipendenza del risultato dalle scale di energia introdotte non è banale. È importante separare tra loro le fonti d’errore teorico e stimare l’incertezza variando
ciascuna scala in modo indipendente.
• Le fonti d’errore maggiore per un bosone di Higgs standard sono di natura teorica,
legate alla dipendenza del risultato dalle scale Qren e Qf ac . È necessario ridurre
questa dipendenza aumentando l’ordine perturbativo a cui viene eseguito il calcolo.
Sarebbe auspicabile avere a disposizione un calcolo di PDF e sezione d’urto partonica
al N3 LO, ma difficilmente questo sarà possibile a breve. In particolare, per quanto
riguarda le PDF, attualmente non è ancora stato raggiunto il NNLO dalla maggior
parte delle collaborazioni, quindi un calcolo al N3 LO appare futuristico.
Gli obiettivi su cui puntare attualmente sono quindi due:
• Avere una trattazione delle PDF statisticamente rigorosa e che includa il maggior
numero possibile di dati, per diminuire la dipendenza dei valori medi di PDF e
sezione d’urto di produzione dell’Higgs dalla scelta delle parametrizzazioni disponibili
in letteratura.
• Concentrare gli sforzi verso un calcolo delle PDF al NNLO, in modo da ridurre
la dipendenza dalle scale Qren e Qf ac . In questo modo potremmo confrontare i
risultati forniti da diverse collaborazioni e non dovremmo basarci esclusivamente
sulla parametrizzazione di MSTW.
84
Rimane il desiderio di poter eseguire i calcoli al N3 LO, ma difficilmente avremo a disposizione questi risultati in tempo utile, prima dell’eventuale scoperta del bosone di
Higgs.
85
Riferimenti bibliografici
[1] G. D. Coughlan, J. E. Dodd, The ideas of particle physics: an introduction for
scientists, 2nd Edition, Cambridge University Press, 1991.
[2] M. E. Peskin, D. V. Schroeder, An introduction to quantum field theory, Perseus Books
Publishing, 1995.
[3] R. K. Ellis, W. J. Stirling, B. R. Webber, QCD and collider physics, Cambridge
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