Efficacia farmacologica di diversi flebotonici sulla

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Periodico di informazione e aggiornamento scientifico sui percorsi diagnostico-terapeutici per pazienti vascolari
Direttore Editoriale: Cristiano Virno - Direttore Responsabile: Antonio Guastella - ©2012 MEDIPRINT S.r.l. - Cod. 91/11 - [email protected] - Stampa: CSC Grafica Srl - Finito di stampare nel mese di settembre 2012
Efficacia farmacologica di diversi flebotonici
sulla risposta contrattile alla noradrenalina
di safene umane isolate
Manuela Bartoli
Department of Pathology, Medical College of Georgia, USA
Ruolo della sulodexide nel trattamento delle trombosi
venose. Valutazioni cliniche a confronto
Roberto Catalini
Medicina Vascolare, Clinica di Medicina Interna, AOU “Ospedali Riuniti”, Ancona
Pietro Cefalì, Luca Ettore Bassi, Giovanni Galvani, Angelo De Caro, Luca Camozzi
UO Chirurgia Vascolare, Istituto Clinico S. Anna, Brescia
Roberto Di Mitri, Mirko Guerra, Rocco Romano
Centro Vascolare Toscano, Casa di Cura San Rossore, Pisa
Augusto Farina, Antonio Riva
UO Chirurgia Vascolare, Azienda Ospedaliera Ospedale Maggiore, Crema
Francesco Mezzasalma
Chirurgia Generale-Angiologia, Istituto Clinico S. Ambrogio (ICSA), Milano
Giovanna Salmistraro
Anno III - n. 1/2012 - Reg. del Trib. di Roma n. 221 del 13/05/2010 - Periodicità quadrimestrale
UOC Angiologia, Azienda Ospedaliera di Padova
Maria Alessandra Scomparin
UO di Angiologia (Dipartimento ad Attività Integrata Sperimentale DAIS),
Azienda Ospedaliera di Padova
Occlusioni venose retiniche: gestione medica
ambulatoriale. Ruolo della sulodexide
Pia Allegri
S.C. Oculistica, S.S. Uveiti, Ospedale di Rapallo, Genova
Specialità medicinale a base di:
Sulodexide (Glucuronil Glucosaminoglicano)
RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
1.
2.
3.
DENOMINAZIONE
DEL MEDICINALE
®
TREPARIN® 250 LRU capsule molli
TREPARIN 600 LRU / 2 ml soluzione iniettabile
COMPOSIZIONE
QUALITATIVA E QUANTITATIVA
®
TREPARIN 250 LRU capsule molli
ogni capsula contiene:
Principio attivo: Sulodexide (Glucuronil glucosaminoglicano solfato) 250 LRU.
Per gli eccipienti,
vedere 6.1
®
TREPARIN 600 LRU / 2 ml soluzione iniettabile
ogni fiala contiene:
Principio attivo: Sulodexide (Glucuronil glucosaminoglicano solfato) 600 LRU.
Per gli eccipienti, vedere 6.1
FORMA FARMACEUTICA
“250 LRU Capsule molli” 50 capsule.
“600 LRU/2 ml Soluzione iniettabile” 10 fiale da 2 ml.
4. INFORMAZIONI CLINICHE
4.1. Indicazioni terapeutiche
Ulcere venose croniche.
4.2. Posologia e modo di somministrazione
Secondo prescrizione medica:
CAPSULE: 1 capsula 1-2 volte al giorno, lontano dai pasti.
FlALE: 1 fiala al giorno, per via intramuscolare.
La terapia può essere iniziata con le fiale e dopo 15-20 giorni, passare alla via orale per 30-40 giorni.
4.3. Controindicazioni
Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti.
Diatesi e malattie emorragiche.
4.4. Avvertenze speciali e opportune precauzioni d’impiego
Nei casi nei quali sia in atto un trattamento con anticoagulanti, è consigliabile
controllare periodicamente i parametri emocoagulativi.Tenere fuori dalla portata dei bambini.
4.5. Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione
Esiste la possibilità di interferenze con trattamenti anticoagulanti effettuati
contemporaneamente alla terapia con Treparin®.
4.6. Gravidanza e allattamento
Pur non essendo emersa fenomenologia negativa in proposito nel corso degli studi
sperimentali, se ne sconsiglia l’impiego nel corso della gravidanza e dell’allattamento.
4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari
Treparin® non influisce sulla capacità di guidare veicoli o di usare macchinari.
4.8. Effetti indesiderati
Nel corso delle sperimentazioni cliniche non ne sono stati segnalati.
In letteratura, tuttavia, sono reperibili rari casi di sensibilizzazione consistenti in manifestazioni cutanee, in sedi diverse. Sono stati inoltre segnalati, occasionalmente, facendo uso
della forma orale capsule, disturbi gastrointestinali, e facendo uso della forma iniettabile
fiale, dolore, bruciore, ed ematoma, nella sede di iniezione.Tali fenomeni sono soggetti a
remissione rapida per riduzione della posologia o, al più, sospensione della terapia.
4.9. Sovradosaggio
L’impiego incongruo, come dosaggio, del farmaco può indurre fenomenologie
emorragiche. In tal caso istituire idonea terapia antiemorragica (Solfato di protamina 1%).
5. PROPRIETA’ FARMACOLOGICHE
5.1. Proprietà farmacodinamiche
Categoria farmacoterapeutica: antitrombotici/eparinici
Codice ATC: B01AB11
La specialità medicinale TREPARIN® è a base di unico principio attivo: Sulodexide
(Glucuronil glucosaminoglicano solfato G.G.S.).
Il Sulodexide ha dimostrato di esplicare la propria azione sui più comuni tipi di alterate lipidemie: l’azione è da collegarsi alla capacità di legare le LDL e le VLDL e di
attivazione delle lipoproteinlipasi.
E’ stato ipotizzato il seguente meccanismo d’azione:
Stimolazione della lipoproteinlipasi - Riduzione della sintesi epatica delle lipoproteine e/o aumento del loro ritmo di degradazione - Legame competitivo delle lipoproteine con Sulodexide, somministrato in via terapeutica, piuttosto che con i G.A.G. della parete arteriosa - Inibizione della
aggregazione piastrinica - Attivazione della fibrinolisi. Questo aspetto è apparso costituire un ulteriore approccio al recupero funzionale della parete arteriosa sede di placche ateromasiche, con conseguente positiva influenza sulla funzione epatica, circolatoria, cardiaca.
5.2. Proprietà farmacocinetiche
Il Sulodexide agisce nei confronti delle lipoproteine fisiologicamente, come un filtro, diminuendone il meccanismo di trasporto attraverso la parete e limitandone la comparsa in
zona intimale. La somministrazione del farmaco libera nel torrente circolatorio un’enzima, o sistema enzimatico, capace di idrolizzare i trigliceridi legati alle lipoproteine.
Il Sulodexide in parte circola libero nell’organismo, e, in parte, subisce un legame con la
frazione ß, alla quale sono, di norma, associate le frazioni lipidiche.
La maggior parte di quanto non si lega alle proteine plasmatiche viene escreto per via
urinaria: dopo 12 ore dalla somministrazione, si ritrova in quantità che è stata calcolata
di circa il 14,4% e del 13%, mentre dopo 24 ore, i valori risultano del 28,5% e del 27%,
rispettivamente, per somministrazioni orali ed iniettive. Entrambe le vie di somministrazione garantiscono buoni livelli di assorbimento.
5.3. Dati preclinici di sicurezza
I dati preclinici rivelano assenza di rischi per gli esseri umani sulla base di studi convenzionali di farmacologia di sicurezza, tossicità per somministrazioni ripetute,
genotossicità, potenziale cancerogeno, tossicità riproduttiva. Il Sulodexide è un’eparinoide che ha dimostrato di possedere una buona tollerabilità locale e generale,
anche a dosaggi di molto superiori a quelli impiegati in terapia clinica.
Lo studio sulla tossicità del prodotto, condotto su varie specie di animali da laboratorio, ha consentito di concludere che, per somministrazioni orali, non è agevole
determinare il valore della DL50, dato che, a dosaggi di 1000 volte superiori alla DTS,
non si ottengono segni di sintomatologia tossica; dosi superiori sono di non agevole somministrazione all’animale: comunque, è stato stabilito che la DL50 per os, è
superiore a 8000 mg/kg.
Somministrato per via iniettiva, il farmaco risulta ben tollerato a dosaggi fino a 200
DTS/kg (i.m.) e 100 DTS/kg (e.v.) e la DL50, per impiego parenterale, è stata calcolata, in mg/kg, a 2840 (i.m.) e 2090 (i.p.) per il Mus musculus ed in 3120 (i.m.) e
2100 (i.p.) per il ratto.
Anche per somministrazioni protratte nel tempo, il farmaco appare ben tollerato,
senza influenze nocive su organi e funzioni organiche, incapace di indurre modificazioni dello sviluppo embriofetale o alterazioni della gestazione, come anche dell’aspetto istologico dei principali organi esaminati.Prove di laboratorio hanno dimostrato che il farmaco risulta sprovvisto di attività mutagena nel corso dei tests di più
frequente accezione.
6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE
6.1. Elenco degli eccipienti
®
TREPARIN 250 LRU capsule molli
Eccipienti: Sodio laurilsolfato, olio vegetale, cera d’api, glicerina, gelatina, etile
p-idrossibenzoato,
propile p-idrossibenzoato, titanio biossido, ferro ossido giallo
®
TREPARIN 600 LRU/2 ml soluzione iniettabile fiale
Eccipienti: Sodio cloruro, acqua per preparazioni iniettabili
6.2. Incompatibilità
Non pertinente
6.3. Periodo di validità
2 anni
6.4. Speciali precauzioni per la conservazione
Conservare a temperatura non superiore ai 25° C
6.5. Natura e contenuto del contenitore
Treparin® 250 LRU capsule molli - blister P.V.C. - Alluminio - 50 capsule
Treparin® 600 LRU/2 ml soluzione iniettabile - fiale in vetro - 10 Fiale
E’ possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate.
6.6. Istruzioni per l’uso
Nessuna istruzione particolare.
Il prodotto non utilizzato ed i rifiuti derivati da tale medicinale devono essere
smaltiti in conformità ai requisiti di legge locali.
7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
Omikron Italia S.r.l. - Viale Bruno Buozzi n. 5 – 00197 Roma
8. NUMERI DELLE AUTORIZZAZIONI ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
Treparin 250 LRU capsule molli
AIC
023797119
Treparin 600 LRU fiale
AIC
023797121
9. DATA DI RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE
Giugno 2005
10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO
Giugno 2005
Indice
Efficacia farmacologica di diversi flebotonici
sulla risposta contrattile alla noradrenalina
di safene umane isolate
2
Manuela Bartoli
2
Ruolo della sulodexide nel trattamento
delle trombosi venose.
Valutazioni cliniche a confronto
5
Roberto Catalini
5
Pietro Cefalì, Luca Ettore Bassi, Giovanni Galvani, Angelo De Caro, Luca Camozzi
9
Roberto Di Mitri, Mirko Guerra, Rocco Romano
12
Augusto Farina, Antonio Riva
15
Francesco Mezzasalma
17
Giovanna Salmistraro
19
Maria Alessandra Scomparin
22
Occlusioni venose retiniche: gestione medica
ambulatoriale. Ruolo della sulodexide
Pia Allegri
24
24
Efficacia farmacologica
di diversi flebotonici sulla risposta
contrattile alla noradrenalina
di safene umane isolate
Manuela Bartoli
Department of Pathology, Medical College of Georgia, USA
Gli studi sperimentali di Vanhoutte et al. (1985) dimostrano
che il calore riduce la risposta contrattile della vena safena isolata in caso di stimolazione elettrica delle terminazioni nervose adrenergiche o di apporto esogeno di noradrenalina. Questo
effetto del calore dipende dall’inibizione della risposta dei recettori alfa2-adrenergici post-sinaptici.
Lo scopo di questo studio è quello di valutare, in vitro, gli effetti farmacologici di una frazione flavonoica costituita da 300
mg di diosmina, 300 mg di troxerutina e 100 mg di esperidina
(Triade®) sulla risposta contrattile alla noradrenalina sulla vena safena umana isolata sottoposta all’azione del calore. Allo
stesso tempo vengono testate, nelle stesse condizioni sperimentali, anche altre tre sostanze di confronto: diosmina, troxerutina e diosmina + esperidina micronizzate. Triade® e i flavonoidi di controllo sono utilizzati a dosaggio terapeutico.
L’insufficienza venosa cronica (IVC) è un insieme di entità patologiche anatomo-funzionali dei vari sistemi venosi caratterizzata da varie cause fisiopatologiche ed emodinamiche che
possono concorrere singolarmente o in combinazione a determinare alterazioni funzionali più o meno gravi degli arti inferiori. Esse vanno dalla semplice sintomatologia soggettiva
(edemi transitori, crampi notturni, bruciore, dolore) sino ai
quadri clinici più gravi.
L’IVC è quindi caratterizzata dal coinvolgimento di differenti
distretti fisiopatologici e pertanto risulta essenziale utilizzare
una terapia efficace, mirata e multidistrettuale.
I flavonoidi sono una classe di prodotti estrattivi o sintetici per
i quali sono state descritte varie attività farmacologiche e fisiologiche.
I flavonoidi vengono impiegati soprattutto per le loro proprietà flebotoniche nel trattamento dell’insufficienza venosa, una
patologia fondamentalmente legata all’alterazione del ritorno
del sangue venoso e che dipende, come detto, da diversi fattori: le alterazioni fisiche od ormonali, nonché la localizzazione
dei territori venosi studiati sono tutti fattori che contribuiscono alla variazione della risposta contrattile della parete venosa.
La contemporanea riduzione del tono venoso, l’instaurarsi di
una condizione infiammatoria e l’incremento della permeabilità del microcircolo concorrono a sostenere e ad alimentare la
patologia.
Il circolo venoso superficiale degli arti inferiori gioca un ruolo
particolarmente importante nella termoregolazione che, se alterata a causa dell’esposizione al calore, può rivelare o aggravare l’insufficienza venosa.
Materiali e metodi
I frammenti di vena vengono prelevati in soggetti affetti da patologia varicosa, in anestesia locale con semplice incisione ed
exeresi chirurgica della zona varicosa della safena o delle collaterali. I frammenti vengono immediatamente immersi e poi
conservati per 24-48 ore in soluzione di Krebs-Henseleit a 4 °C,
pH 7,4 la cui composizione espressa in mM è la seguente: NaCl
118,3; KCl 4,7; MgSO4 1,2; KH2PO4 1,2; NaHCO3 25,0; CaCl2
1,25; glucosio 11,1. Lo studio viene condotto in contrazione
isometrica, partendo da anelli venosi di 3-4 mm di lunghezza in
un sistema a organi isolati Celaster IOS. Gli anelli vengono sottoposti a una tensione di circa 1.000 mg e, dopo una fase di stabilizzazione e quindi di validazione della reattività dell’anello
2
M. BARTOLI
alla stimolazione iperpotassica 60 mM (2 ore), l’esperimento
viene condotto in condizioni di ipertermia. Parallelamente all’aumento di temperatura della soluzione di Krebs-Henseleit
(da 37 °C a 41 °C), le varie sostanze in studio vengono incubate alla concentrazione di 10-5 M per 20 minuti prima dell’aggiunta di concentrazioni cumulative di noradrenalina. La curva
dose/effetto di noradrenalina viene rilevata a 40 °C. Per ciascun
anello i risultati sono espressi in percentuale di risposta massima all’agonista.
Figura 1. Ripristino della capacità contrattile con i diversi flebotonici (percentuale ripristino contrattilità massima).
100
82*
80
Percentuale
68#
59#
60
40
40
Risultati
20
Dopo 20 minuti d’incubazione alla concentrazione di 10-5 M,
Triade®, diosmina e diosmina + esperidina micronizzate spostano verso sinistra la curva dose/effetto di noradrenalina rilevata a 40 °C rispetto ai loro rispettivi solventi.
L’analisi statistica dei risultati mostra che Triade® (10-5 M) potenzia a 40 °C la risposta contrattile degli anelli varicosi indotta dalle concentrazioni di 5.10-7 M e 10-6 M di noradrenalina.
Tale attività di Triade®, da una parte, differisce significativamente da quella della diosmina + esperidina micronizzate e,
dall’altra, si dimostra superiore a quella osservata per la diosmina, che si esercita solo a raggiungimento della concentrazione di 10-6 M di noradrenalina. In queste condizioni sperimentali, la sola troxerutina non mostra alcuna attività significativa su questo modello (Fig. 1).
0
Triade®
Diosmina+
Esperidina
micronizzate
Diosmina
Troxerutina
* p<0,001 vs tutti i confronti; #p<0,001 vs troxerutina
Tabella I. Attività farmacologica predominante dei flavonoidi.
Flavonoidi
Diosmina
Esperidina
Troxerutina
Rutina
Conclusioni
↑tono
venoso
+++
++
+
+
↓flogosi
↓permeabilità
++
+++
+
+
+
+
+++
++
e all’associazione diosmina + esperidina micronizzate. Infatti, la letteratura internazionale indica, tra i vari flavonoidi, la
diosmina come la molecola più efficace sul tono venoso, l’esperidina sul processo infiammatorio e la troxerutina sulla permeabilità capillare (Tab. I). L’associazione precostituita Triade®, utilizzata a dosaggi terapeutici, grazie alla contemporanea
azione sui tre distretti, nel nostro modello sperimentale risulta
più efficace rispetto ad altri flebotonici utilizzati sempre a dosaggio terapeutico.
Questo studio indica che l’associazione precostituita Triade®
compensa la riduzione della reattività contrattile della parete
venosa alla stimolazione noradrenergica indotta dal calore.
Dopo la fase di ipertermia, il ritorno a una temperatura di 37 °C
causa, negli anelli-controllo, un aumento della risposta contrattile a una seconda stimolazione noradrenergica.
Triade® esercita su questo modello sperimentale proprietà
farmacologiche più marcate rispetto a diosmina, troxerutina
Bibliografia
• Bakri F et al. Phlébologie 1989;2:668-671.
• Bartoli M. NPT. Nuove Prospettive in Terapia 2009;XIX(1):24-25.
• Belcaro G. J Cardiovasc Pharmacol Ther 2002;7(3):139-145.
• Garnier M et al. Meth and Fin Exp Clin Pharmacol 1988;10:259-262.
• Hyland L, Docherty JR. Eur J Pharmacol 1985;110(2):241-246.
• Jonadet M et al. J Pharmacol 1986;17:21-27.
• Vanhoutte PM et al. Clin Sci 1985;68(Suppl. 10): 121s-123s.
3
er
Ruolo della sulodexide nel
trattamento ambulatoriale delle
flebiti superficiali
Roberto Catalini
Medicina Vascolare, Clinica di Medicina Interna, AOU “Ospedali Riuniti”, Ancona
Introduzione
Diagnosi
La trombosi venosa superficiale (TVS), più comunemente denominata in passato “flebite superficiale”, è un’affezione relativamente frequente del sistema venoso superficiale. L’incidenza
della TVS è maggiore rispetto alla trombosi venosa profonda
(TVP) e si può stimare in circa 1/1000/anno (1,2); in effetti si ritiene che la reale incidenza sia superiore, dato che molti casi non
vengono riportati o possono sfuggire alla diagnosi.
In circa 2/3 dei pazienti con TVS sono presenti vene varicose; la
TVS interessa infatti, più frequentemente, gli arti inferiori e la
vena interessata, nella maggior parte dei casi, è la grande safena
(60-80% dei casi), che decorre a partire dall’inguine lungo la regione mediale della coscia, proseguendo il suo decorso mediale
lungo la gamba fino alla regione malleolare; in un minor numero di casi la TVS interessa la piccola safena (20-30% dei casi) che,
a partire dal cavo popliteo, decorre lungo la regione posteriore
del polpaccio; meno frequente la TVS che interessa gli arti superiori (10-20% dei casi) o altri distretti venosi superficiali come
quello toraco-addominale o giugulare superficiale (1-4).
A livello degli arti superiori la TVS è per lo più secondaria a posizionamento di cateteri venosi o a terapia infusiva endovenosa,
mentre a livello degli arti inferiori può insorgere come complicanza di una sindrome varicosa oppure su vene “sane”.
Tradizionalmente considerata un’affezione “benigna”, può invece essere causa di embolia polmonare (EP) in percentuale significativa (5-8), peraltro variabile in base alle diverse casisistiche della letteratura:
• associazione con TVP, 6-44%;
• EP asintomatica, 20-33%;
• EP sintomatica, 2-13%.
Tra i fattori di rischio “persistenti” per TVS possiamo ricordare i pregressi episodi di tromboembolismo venoso (TEV) e
pregressa TVS, le neoplasie maligne, la trombofilia e le malattie autoimmuni; tra i fattori “transitori o removibili” la presenza di vene varicose, i traumi, le fratture, gli interventi chirurgici, la prolungata immobilità, la gravidanza e il puerperio, l’obesità, la somministrazione di estro-progestinici, la chemio-ormonoterapia, i cateteri venosi.
La diagnosi di TVS è clinica: la vena interessata si presenta come un cordone duro e dolente, la cute è arrossata e calda al termotatto; la diagnosi differenziale va posta con la cellulite e la
linfagite. La sintomatologia, caratterizzata in genere da intenso
dolore e arrosamento cutaneo, solitamente insorge e progredisce nel giro di poche ore; può essere la conseguenza di un trauma ma più frequentemente i pazienti mostrano i segni di una
malattia venosa cronica con varicosità visibili e/o discromie
cutanee.
Nei casi di TVS di “gamba” generalmente l’anamnesi e l’esame
clinico consentono di porre una corretta diagnosi e di iniziare la
terapia; nei pazienti con TVS di coscia andrebbe sempre effettuata una valutazione strumentale mediante ecocolordoppler.
Tale indagine diagnostica risulta necessaria per valutare l’estensione prossimale della TVS e l’eventuale interessamento del circolo profondo; la grande safena, nel suo tratto prossimale e medio di coscia, decorre al di sotto della fascia muscolare e tale situazione anatomica si riflette spesso in una discordanza tra la
valutazione clinica e l’estensione reale della trombosi, che non
raramente arriva a interessare l’ostio della grande safena (Fig. 1).
Nei casi in cui la trombosi interessi l’ostio safeno-femorale la
Figura 1. Giunzione safeno-femorale: l’esame ecocolordoppler mostra come la porzione prossimale del trombo, che interessa la grande safena, arrivi a pochi centimetri dal piano valvolare che separa la grande safena dalla vena femorale comune.
5
RUOLO DELLA SULODEXIDE NEL TRATTAMENTO AMBULATORIALE DELLE FLEBITI SUPERFICIALI
TVS deve essere trattata farmacologicamente come una TVP,
dato l’elevato rischio di embolizzazione. Nei soggetti con varici
può essere comunque prudente effettuare un esame ecocolordoppler anche nei casi di interessamento della piccola safena o
del segmento di gamba della grande safena (Figg. 2-4), per escludere l’estensione al circolo profondo tramite la giunzione safeno-poplitea o attraverso perforanti incontinenti. Nei casi di TVS
dell’arto superiore, conseguenti a infusioni endovenose, generalmente non è necessario ricorrere a esami strumentali.
Figura 2. Ecocolordoppler: rilievo di voluminosi gavoccioli varicosi trombizzati.
Trattamento
Il trattamento della TVS ha, come obiettivi, la risoluzione del
dolore e dell’infiammazione, la prevenzione delle complicanze,
in particolare TVP ed EP, la prevenzione delle recidive (2,9-16).
Nella scelta della strategia terapeutica bisogna tenere in considerazione:
• la localizzazione e l’estensione della TVS;
• la presenza di interessamento dell’ostio safeno-femorale,
dell’ostio safeno-popliteo o di una perforante incontinente;
• la concomitanza di una TVP;
• la presenza o meno di vene varicose;
• anamnesi positiva per trombofilia congenita o acquisita
(p.es. neoplasie).
I pazienti vengono generalmente trattati a domicilio. Nei pazienti con TVS isolata di una vena superficiale, senza interessamento degli osti safenici o del circolo profondo, il trattamento
consiste nella somministrazione di eparina a basso peso molecolare (EBPM) o fondaparinux a dosaggio profilattico (p.es.
enoxaparina 4.000 UI/die o nadroparina 3.800 UI/die, fondaparinux 2,5 mg/die) mantenendo il trattamento per 4 settimane e rivalutando, dopo tale periodo, l’eventuale necessità di
estenderlo; sono peraltro consigliati anche dosaggi “intermedi” di EBPM (p.es. enoxaparina 6.000 UI/die o nadroparina
5.700 UI/die). Le recenti Linee Guida dell’ACCP hanno confermato l’appropriatezza di questo schema terapeutico (2).
Per il controllo della sintomatologia dolorosa possono essere
usati FANS sia per via sistemica che per applicazione locale; generalmente, quando indicato, tale trattamento viene utilizzato
nei primi giorni e sospeso con la risoluzione della sintomatologia dolorosa.
L’elastocompressione va sempre utilizzata mediante calza a
compressione graduata (1ª o 2ª classe terapeutica) o bendaggio
elastocompressivo. Il paziente deve essere mobilizzato in quanto il riposo o, peggio, l’allettamento (consigliati in passato) favoriscono le complicaze tromboemboliche.
In passato ha trovato largo impiego il trattamento chirurgico
mediante legatura della safena alla crosse safeno-femorale, ma
oggi tale opzione terapeutica viene per lo più riservata a pazienti con trombosi che arriva in prossimità o coinvolge l’ostio
safeno-femorale e abbiano controindicazioni al trattamento
anticoagulante a dosaggio pieno; i pazienti trattati chirurgicamente andrebbero comunque sottoposti a trattamento con
Figura 3. Perforante incontinente in soggetto con TVS della grande safena; in tale
condizione è possibile un’estensione della trombosi venosa al circolo profondo attraverso la perforante incontinente.
Figura 4. Trombo “flottante” all’interno di vena grande safena ectasica.
6
R. CATALINI
EBPM o fondaparinux a dosaggio profilattico.
Gli impacchi caldo-umidi, largamente utilizzati in passato,
non hanno dato prova di reale utilità.
Nei casi di interessamento degli osti safenici, o di una grande
perforante incontinente, il paziente va necessariamente sottoposto a trattamento anticoagulante con EBPM o fondaparinux
a dosaggio scoaugulante per un periodo di 1-3 mesi, in base alla evoluzione; analogo trattamento anticoagulante va ovviamente instaurato in caso di estensione al circolo profondo,
mantenendo il trattamento anticoagulante per almeno 3 mesi.
Nei casi in cui si preveda un trattamento anticoagulante superiore a un mese l’alternativa è iniziare un trattamento anticoagulante orale con warfarin.
I pazienti in trattamento con EBPM devono essere monitorati
mediante controlli di emocromo e conta piastrinica; il primo
controllo va effettuato dopo circa una settimana di trattamento, in particolare per evidenziare eventuali piastrinopenie indotte da eparina.
Una volta completato il trattamento con EBPM o fondaparinux
a dosaggi profilattici o “intermedi”, i pazienti con TVS devono
mantenere l’elastocompressione per evitare le recidive e facilitare la ricanalizzazione. In effetti uno dei problemi della TVS è
quello delle recidive, che a volte avvengono anche precocemente dopo sospensione del trattamento con EBPM o fondaparinux
che, come indicato dalle Linee Guida, viene mantenuto per un
breve periodo nelle TVS non complicate, in genere 4 settimane.
Alla sospensione abbiamo armi terapeutiche in grado di evitare le recidive?
La somministrazione della sulodexide rappresenta una valida scelta terapeutica (17): si tratta di un glucosaminoglicano (GAG) costituito per l’80% da EPBM e per il 20% da dermatan solfato (DS);
ha effetti antitrombotici e profibrinolitici. A differenza dell’eparina, sulodexide è somministrabile per via orale, ha un’emivita più
lunga e non necessita di un monitoraggio dei parametri emocoagulativi. L’azione della sulodexide, a livello vascolare, si esplica a vari livelli e i principali meccanismi sono i seguenti:
• reintegra il glicocalice a livello endoteliale, “danneggiato”
dalla stasi venosa;
• inibisce l’adesione e l’attivazione dei leucociti (linfociti T e
macrofagi);
• inibisce la formazione di trombina;
• riduce la permeabilità capillare;
• ha un’azione antinfiammatoria legata all’inibizione delle
metalloproteinasi (MMP2 e MMP9);
• favorisce la fibrinolisi locale mediante azione sull’attivatore
tissutale del plasminogeno (tPA) e sull’inibitore dell’attivatore del plasminogeno (PAI).
In studi clinici controllati la sulodexide ha dimostrato di prevenire il 40-60% delle recidive trombotiche nei pazienti con pregressa TVP (18).
Nei pazienti con TVS le recidive sono frequenti, in particolare
in quelli affetti da varici o malattia venosa cronica. La stasi venosa cronica comporta infatti un’alterazione dell’endotelio,
che può innescare un processo di tipo “infiammatorio” e un
nuovo episodio di TVS. La sulodexide, con i meccanismi sopra
citati, in particolare con il ripristino del fisiologico glicocalice
a livello endoteliale e mediante l’azione antinfiammatoria legata all’inibizione delle metalloproteinasi, è in grado di prevenire le recidive trombotiche.
Dopo un episodio di TVS risulta pertanto indicata la somministrazione della sulodexide, per via orale al dosaggio di 250
LRU due volte al dì, al fine di prevenire le frequenti recidive
trombotiche e contrastare la sintomatologia legata a un’eventuale sottostante malattia venosa cronica.
In base ai dati della letteratura tale trattamento andrebbe protratto per un periodo di almeno 3-6 mesi; i pazienti con sindrome varicosa, o malattia venosa cronica, andrebbero comunque
trattati per periodi molto più lunghi, possibilmente a vita (19).
Nella malattia venosa cronica i meccanismi fisiopatologici sottostanti sono sostanzialmente imputabili alla stasi venosa e alle alterazioni di tipo infiammatorio della parete vasale. Con
l’elastocompressione e l’attività fisica migliora la stasi venosa,
con farmaci come la sulodexide si modifica la risposta dell’endotelio alla stasi venosa, si ripristinano i GAG di parete e si
combatte la risposta infiammatoria. La sindrome varicosa, o
più in generale la malattia venosa cronica, sono condizioni che
comportano diversi gradi di disabilità per il paziente; in base
alla gravità dell’affezione il trattamento con farmaci come la
sulodexide andrà quindi protratto più o meno a lungo oppure,
se necessario, reso cronico.
7
RUOLO DELLA SULODEXIDE NEL TRATTAMENTO AMBULATORIALE DELLE FLEBITI SUPERFICIALI
Bibliografia
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8
Uso della sulodexide nella
prevenzione della recidiva di TVP
dopo la sospensione della TAO:
nostra esperienza
Pietro Cefalì, Luca Ettore Bassi, Giovanni Galvani, Angelo De Caro, Luca Camozzi
UO Chirurgia Vascolare, Istituto Clinico S. Anna, Brescia
ca un ruolo cruciale nella possibilità di prevedere la ricanalizzazione e il reflusso: si è visto che le TVP popliteo-femorali
hanno maggiori probabilità di ricanalizzazione (dal 50% al
90% rispettivamente in 3 mesi e 1 anno) di quelle femoro-iliache (meno del 5%). Il reflusso è presente in circa il 40% dei pa-
La trombosi venosa profonda (TVP) è una patologia assai comune, con un’incidenza di 1-2 casi ogni 1000 persone/anno, ovvero circa 1-2 milioni di persone ogni anno nei soli Stati Uniti;
fra queste, dal 30% al 75%, come riportato in letteratura, hanno un’embolia polmonare (EP) e circa il 10% possono arrivare al decesso; inoltre dal 30% al 70% (e fino al 95% considerando il distretto femoro-iliaco) sviluppano una sindrome posttrombotica (SPT).
La SPT è una condizione severamente disabilitante, che colpisce la popolazione affetta da TVP. Circa il 15% degli affetti da
TVP arriveranno ad avere ulcere agli arti inferiori; inoltre la
SPT aumenta la probabilità di sviluppare un secondo evento
trombotico di circa 2,4 volte (Figg. 1, 2).
Un’altra complicanza della TVP è l’instaurarsi della Phlegmasia cerulea dolens, una condizione di elevato rischio per l’arto,
determinata dall’aumento della pressione compartimentale e
dalla trombosi arteriosa, con successiva gangrena venosa. Questa patologia comporta un elevato rischio di amputazione e i
tentativi di salvataggio d’arto, con la sola trombolisi sistemica,
spesso conducono a risultati mediocri.
Attualmente lo standard di cura per la TVP è l’anticoagulante
con eparina a basso peso molecolare (EBPM), seguita da terapia anticoagulante orale (TAO) con warfarin o dicumarolo
per 6 mesi. L’anticoagulante, però, non possiede un effetto litico diretto sul trombo: esso agisce ostacolando l’estensione e la
deposizione del trombo, lasciando che il processo fibrinolitico
endogeno dissolva lentamente il coagulo, diminuendo così la
severità dei sintomi e il rischio di EP. Purtroppo questo processo necessita di tempo e lascia un considerevole spessore di
trombo sulla parete del vaso, conducendo, allo stesso tempo, a
un danno valvolare indotto dalla flogosi e al reflusso, determinando quindi la SPT.
Le vene non coinvolte nel processo trombotico, che bypassano
l’ostruzione, come spesso accade ad esempio per la grande safena nelle TVP popliteo-femorali, sono a loro volta a rischio di
sviluppare incontinenza valvolare e reflusso, a causa dell’aumentare della pressione venosa, che peggiora la SPT.
A questo proposito anche la localizzazione dell’occlusione gio-
Figura 1. Residuo trombotico parietale alla compression ultrasonography.
Figura 2. Reflusso su vena femorale.
9
USO DELLA SULODEXIDE NELLA PREVENZIONE DELLA RECIDIVA DI TVP DOPO LA SOSPENSIONE DELLA TAO: NOSTRA ESPERIENZA
1) Ecocolordoppler/esami di II livello → diagnosi.
2) Ricerca delle cause: screening per patologie neoplastiche,
trombofilia, cause meccaniche.
3) Terapia: EBPM embricata con TAO salvo controindicazioni;
eventuale filtro cavale, elastocompressione.
4) Controlli seriati a 1-3-6 mesi con ecocolordoppler e valutazione dell’evoluzione del processo trombotico verso la guarigione e dell’entità del reflusso valvolare.
5) Interruzione della TAO se non sono stati evidenziati fattori
che ne giustifichino la prosecuzione a tempo indefinito oltre i 6 mesi (trombofilia accertata).
6) Prevenzione e controllo delle recidive.
In tutte queste fasi la collaborazione fra lo specialista e il medico di medicina generale (MMG) risulta indispensabile. Infatti,
sebbene per alcuni centri sia tutt’ora prassi provvedere ai punti 1-3 con un breve ricovero, la TVP tende a essere universalmente considerata come una patologia medica passibile di gestione ambulatoriale.
Per quanto riguarda l’ultimo punto, la recidiva di TVP dopo
un primo episodio, l’incidenza varia, in letteratura, fra il 3% e
il 10% nei 3-5 anni successivi al primo episodio, con un picco
alla sospensione della TAO e una generale tendenza a manifestarsi entro i primi 2 anni.
Fatti salvi pertanto i casi con indicazione da parte delle Linee Guida dell’ACCP a una prosecuzione a vita della TAO, che fare di tutti quei pazienti con una trombosi “idiopatica” o legata, ad esempio,
a un allettamento prolungato in corso di intervento chirurgico?
L’EBPM, in somministrazione sottocutanea, non ottiene in genere una buona compliance del paziente. Attualmente i nuovi
anticoagulanti (p.es. dabigatran) non riportano, nella scheda
tecnica, l’indicazione alla prevenzione della TVP, se non in
concomitanza a intervento ortopedico.
La prevenzione secondaria con sulodexide si è dimostrata essere
efficace nel ridurre il picco di incidenza di re-trombosi alla sospensione della TAO (Errichi BM et al, 2004), di circa 2,3 volte.
Sulodexide è un glucosaminoglicano (GAG) d’uso corrente
nella pratica clinica, costituito per l’80% da EBPM e per il 20%
da dermatan solfato (DS), in grado di agire sia a livello endoteliale sia a livello del sangue circolante.
Sulodexide agisce inibendo la trombogenesi e l’accrescimento
del trombo su superfici attivate quali piastrine e cellule endoteliali. Inoltre è in grado di stimolare la fibrinolisi locale per azione specifica sull’attivatore tissutale del plasminogeno (tPA) e
sull’inibitore dell’attivatore del plasminogeno (PAI).
Tali azioni vengono esercitate in seguito all’attività della sulodexide sulla velocità di inibizione della trombina da parte dell’antitrombina III e del cofattore eparinico II.
La peculiarità della sulodexide è quella di non modulare lo stato coagulativo del paziente, bensì di esercitare una spiccata attività profibrinolitica.
A livello del sangue circolante, invece, sulodexide inibisce la
trombogenesi, riducendo la formazione di trombina circolan-
zienti dopo un mese, ovviamente di maggior entità nel caso di
una TVP iliaca (Figg. 3,4).
Il tempo sembra essere il fattore più importante nell’approccio
a questa patologia; infatti alcuni studi hanno riportato che le
vene ricanalizzatesi più precocemente sono anche quelle con
minor probabilità di sviluppare un’incontinenza valvolare.
Il razionale per una precoce dissoluzione del trombo, quindi, è
che, prima e meglio la vena viene ricanalizzata, migliore sarà
l’outcome per il paziente, con assenza o ridotto reflusso e pochi o nessun sintomo di SPT. Pertanto, in assenza di attuali
chiare e ben definite indicazioni chirurgiche o di trattamento
endovascolare, fatti salvi casi particolari, nonostante il debolmente crescente interesse per la trombolisi e la trombolisi meccanica percutanea, una diagnosi e un inizio precoce di terapia
influenzano significativamente le sequele della TVP.
L’approccio classico al paziente con TVP comprende le indicazioni seguito indicate.
Figura 3. Ricanalizzazione parziale della vena femorale superficiale.
Figura 4. Reflusso popliteo.
10
P. CEFALÌ, L.E. BASSI, G. GALVANI, A. DE CARO, L. CAMOZZI
te, i livelli di fibrinogeno e la viscosità ematica; sulodexide risulta quindi essere un valido antitrombotico, profibrinolitico,
antiaggregante piastrinico, ma sembrerebbe svolgere anche
un’importante e non secondaria attività antiproliferativa a carico della muscolatura vascolare arteriosa, responsabile della
riduzione del lume e della reattività vascolare.
I pazienti per i quali non è stato riscontrato un fattore di rischio documentato, in presenza di un solo episodio di TVP, sono stati candidati alla sospensione della TAO al termine del periodo di 6 mesi; sono state registrate 16 recidive (5,2%) nel periodo di follow-up, tutte dopo il termine della TAO, verificatesi fra gli 11 mesi e i 5 anni dal primo episodio.
Al controllo ECD, a 3 e 6 mesi, si è evidenziato un reflusso sull’asse venoso interessato in circa il 54% dei casi.
A partire dal giugno 2010, 42 pazienti sono stati trattati con sulodexide (Treparin® 250 LRU 1 cps/die) al termine della TAO.
Si è registrata una recidiva, sull’arto controlaterale, a distanza
di 13 mesi (2,3%). In virtù proprio della modalità d’azione,
non sono stati registrati eventi avversi di natura emorragica nel
gruppo trattato con sulodexide.
L’uso della sulodexide, in prevenzione secondaria, presenta
svariati vantaggi, non necessitando di controlli ematochimici
frequenti come i dicumarolici, il farmaco dimostra una buona
compliance anche nell’anziano, riduce la severità della SPT,
agendo anche sulla riduzione dei sintomi.
La nostra esperienza
Dal febbraio 2001 al giugno 2012 sono stati ricoverati e trattati
per TVP, presso la nostra UO, 304 pazienti con localizzazione
prevalentemente popliteo-femorale (217- 71,3%) e femoro-iliaca (83-28%); le restanti 4 con localizzazione all’arto superiore.
Al ricovero tutti i pazienti sono stati sottoposti a screening per
patologie neoplastiche con RX torace, ecografia addome, marker neoplastici, esami ematochimici, eventuali indagini di II livello (colonscopia, TC ecc.).
In presenza di controindicazioni alla terapia anticoagulante
e/o EP massiva o recidivante i pazienti sono stati trattati con
posizionamento di filtro cavale.
Per quanto riguarda gli altri pazienti la terapia intrapresa è stata: eparina non frazionata 5000 UI/e.v. al ricovero, seguita da
EBPM 100 UI/kg X 2/die, embricata con warfarin sino ad ottenere INR (International Normalized Ratio) 2-2,5. La TAO è
stata proseguita poi per 6-9 mesi, eseguendo ecocolordoppler
di controllo a 1-3-6 mesi.
Purtroppo non sono disponibili i dati relativi a tutte le complicanze emorragiche sviluppate dai pazienti dopo la dimissione.
In letteratura, comunque, la percentuale di emorragie riportate è risultata, in uno studio italiano del 1996 (ISCOAT, Palareti), del 7,6% per paziente per anno, con eventi fatali 0,25%,
perlopiù cerebrali, maggiori 1,09%, minori 6,2%.
Al termine dei 6 mesi, o prima dell’inizio della TAO, i pazienti
sono stati sottoposti a screening trombofilico.
Conclusioni
La sospensione della TAO comporta un aumento del rischio di
recidiva tromboembolica, con le ovvie implicazioni di tipo
medico-legale. D’altronde l’uso di anticoagulanti deve essere
interrotto nel momento in cui essi non sono più necessari per
il paziente. La profilassi secondaria con sulodexide si è dimostrata efficace nel ridurre, in modo statisticamente significativo (Errichi BM et al.), l’incidenza di nuove TVP.
La nostra esperienza, pur con i limiti imposti dal campione ridotto, conferma la validità della sulodexide nella prevenzione
a lungo termine di un secondo episodio trombotico. Riteniamo pertanto che possa essere buona pratica clinica l’utilizzo
routinario al termine del periodo di TAO.
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11
Ruolo della sulodexide nel
trattamento ambulatoriale delle
flebiti superficiali
Roberto Di Mitri, Mirko Guerra, Rocco Romano
Centro Vascolare Toscano, Casa di Cura San Rossore, Pisa
Introduzione
• obesità;
• traumi importanti;
• permanenza di cateteri venosi;
• perfusione di sostanze endotelio-lesive;
• trombofilia ereditaria.
Le possibilità terapeutiche sono molteplici: farmacologiche,
elastocompressive, chirurgiche. La strategia però deve essere
per forza condizionata da alcuni elementi che rendono differente una TVS dall’altra:
• se la trombosi venosa superficiale (TVS) è insorta su vena sana o varicosa;
• la localizzazione della TVS (prossimali agli osti, ascendenti e
così via);
• la presenza di più fattori predisponenti (p.es. trombofilia).
In base a queste semplici considerazioni è possibile realizzare
una classificazione delle TVS come esposto nella tabella I.
Da queste prime considerazioni e differenziazione dei quadri
di TVS emerge intanto il dato inconfutabile che la diagnosi deve essere la più accurata possibile onde determinare:
• le dimensioni del trombo;
• valutare l’estensione del trombo (per un possibile coinvolgimento delle vene profonde);
• studiare tutto il sistema venoso (per un possibile coinvolgimento di vene profonde non contigue);
• studiare le giunzioni safeno-femorali e safeno-poplitee e le
vene perforanti (poiché una TVS estesa fino a 2-3 cm dalle
giunzioni o in prossimità di una perforante va considerata e
quindi trattata come una TVP);
• studiare le caratteristiche morfostrutturali del trombo;
• studiare l’evoluzione anatomo-strutturale della TVS.
In sintesi l’approccio terapeutico non può essere univoco ma
mirato dal quadro clinico-strumentale e da quello etiopatogenetico.
Una TVS che insorge su vene varicose, e che interessa il tronco
della vena grande safena (VGS) o della vena piccola safena
(VPS) in prossimità della rispettiva crosse, andrà trattata con
EBPM a dosi profilattiche o intermedie, fermo restando che se
i controlli dimostrassero un’evoluzione prossimale bisogna
Sulodexide è uno dei glucosaminoglicani (GAG) appartenenti
alla categoria dei farmaci antitrombotici, essendo costituito
per l’80% da eparina a medio peso molecolare (EBPM) e per il
20% da dermatan solfato (DS).
Il glucuronil-glucosaminoglicano solfato (sulodexide) agisce a
livello dell’endotelio, inibendo la formazione e l’estensione del
trombo, potenziando l’azione del fattore anti-X attivato dell’antitrombina III; inoltre la molecola possiede un’attività antiaggregante e stimola la fibrinolisi.
Sulodexide (Treparin®) differisce da altri GAG per avere una
vita media più lunga e un’attività che non determina sanguinamento; mentre è abbastanza documentato il ruolo di tale
molecola nella prevenzione delle ricadute trombotiche, nel
trattamento adiuvante delle ulcere flebostatiche croniche, appare ancora incerto il ruolo nel trattamento delle tromboflebiti superficiali. Lo scopo di questo lavoro è quello di evidenziare quale possa essere il ruolo della sulodexide nel trattamento delle flebiti superficiali.
Le tromboflebiti superficiali
La tromboflebite superficiale è una malattia piuttosto frequente nei Paesi Occidentali, con una prevalenza che si aggira fra il
3% e l’11% e con un’incidenza non perfettamente conosciuta
ma che pare sia più elevata della trombosi venosa profonda
(TVP) e dell’embolia polmonare (EP).
Per lungo tempo questa condizione morbosa è stata erroneamente considerata una malattia benigna, quando invece i dati
di numerosi studi dimostrano che essa è potenzialmente pericolosa per la possibilità di diventare una TVP e quindi un’EP
(con percentuali che variano dal 6% al 33%).
I fattori di rischio comprendono:
• varici;
• gravidanza;
• ormonoterapia;
• decorso post-operatorio o comunque immobilizzazione;
• tumori;
• malattie autoimmunitarie;
12
R. DI MITRI, M. GUERRA, R. ROMANO
Tabella I. Classificazione delle TVS (da: SIAPAV Modello di percorso diagnostico terapeutico per la TVS).
TVS su vena varicosa
TVS su vena sana
SEDE
VGS
VPS
Collaterali
SEDE
Qualsiasi vena superficiale
Fattori predisponenti
Alterazioni strutturali dell’endotelio
Alterazioni assetto emodinamico
Fattori scatenanti
Traumi
Infezioni
Fattori predisponenti
Alterazioni bilancia coagulativa e fibrinolitica
Trombofilie congenite
Fattori scatenanti
Gravidanza
Terapie ormonali
Paraneoplastiche
TVS di Bürger
TVS di Bechet
TVS di Mondor
Alterazioni strutturali dell’endotelio
Altre
SEDE
Arti inferiori o superiori
TVS post-traumatiche
TVS da ustioni
TVS iatrogene
TVS settiche
Impiego clinico della sulodexide:
esperienza clinica
passare a uno schema posologico come da TVP. Oltre alla terapia eparinica hanno indicazione la terapia con FANS e la calza
elastica.
Le TVS che insorgono su vene precedentemente sane rappresentano un gruppo eterogeneo per patogenesi; le TVS in gravidanza (legate all’aumento del progesterone, deficit di Proteina S ecc.) e alle alterazioni emodinamiche secondarie alla
stasi e alla congestione pelvica, andranno trattate con EBPM
che non superino il filtro placentare e con la compressione
elastica. Le TVS da contraccettivi molto spesso sono concomitanti a anomalie genetiche della coagulazione. Oltre alla
terapia consueta andrà sospesa la terapia ormonale. Le TVS
paraneoplastiche, anche dette rivelatrici, vanno trattate con
terapia sia verso la trombosi sia verso la neoplasia che ne è
causa.
In questo lavoro abbiamo utilizzato sulodexide (Treparin®) a
dosaggio di 250 LRU x 2 cps/die in 20 pazienti consecutivi
giunti alla nostra osservazione negli ultimi 6 mesi con un quadro di tromboflebite superficiale su gozzi varicosi di gamba in
pazienti affetti da insufficienza venosa cronica (IVC) da incontinenza safenica.
Dei 20 pazienti, 12 sono erano donne e 8 uomini. L’età media era
di 65 anni. In 15 casi si è trattato di tromboflebite superficiale su
gozzo varicoso di gamba da insufficienza della safena interna e in 4
casi di tromboflebite superficiale su gozzo varicoso distale di gamba da insufficienza della safena esterna; in 1 caso di tromboflebite
superficiale su gozzo varicoso di varici extra-safeniche (ramo a
sciarpa ad origine da una vena perforante posteriore di coscia).
In 2 casi, data l’estensione del quadro tromboflebitico in associazione alla terapia farmacologica, i pazienti sono stati trattati con trombectomia in anestesia locale.
A tutti i pazienti è stata consigliata la deambulazione e la calza
elastica (Monocollant II Classe) oltre che l’utilizzo di FANS
(nimesulide o simili) per 7 giorni.
Il trattamento con sulodexide è durato per 1 mese con il dosaggio bi-giornaliero dopodiché si è continuato con sulodexide 1
cpr/die per 3 mesi allo scopo di ridurre i casi di retrombosi.
I pazienti sono stati studiati con ecocolordoppler al momento
della diagnosi di tromboflebite e, successivamente, a distanza
di 7-15 e 30 giorni, al fine di valutare un’eventuale estensione
del quadro, la sua evoluzione e il miglioramento dei sintomi
dopo trattamento.
Ruolo della sulodexide nelle TVS
Mentre esiste concordia nel ritenere utile e irrinunciabile
l’utilizzo di EBPM nelle forme di TVS sopra elencate, ancora
piuttosto nebuloso appare il comportamento che bisognerebbe assumere di fronte ad alcune forme quali le tromboflebiti insorte su rami varicosi safenici o extra-safenici; nelle
forme di TVS secondarie ad alterazioni endoteliali (Bürger,
Bechet, Mondor), e di quelle secondarie a traumi diretti, iatrogene da cateteri o ago cannule, infette e così via. In questi
casi l’utilizzo della sulodexide potrebbe trovare unanimemente un consenso.
Le TVS che insorgono in malattie come il Bürger sono generalmente a evoluzione benigna e quindi il loro trattamento potrebbe essere quello con i FANS in associazione con sulodexide, che agirebbe sul controllo dei sintomi e sulla guarigione e
stabilizzazione del processo tromboflebitico.
Risultati
Tutti i pazienti esaminati a 7 giorni dalla diagnosi e dall’inizio
13
RUOLO DELLA SULODEXIDE NEL TRATTAMENTO AMBULATORIALE DELLE FLEBITI SUPERFICIALI
del trattamento hanno riferito un netto miglioramento della
sintomatologia dolorosa e hanno evidenziato un netto miglioramento del processo infiammatorio periflebitico.
Il controllo ecocolordoppler, a 7 e 15 giorni, inoltre, non ha
mai evidenziato un’estensione del processo tromboflebitico
che è rimasto localizzato nella sede di esordio.
Solo in due casi abbiamo proceduto a evacuazione chirurgica
della trombosi che, spontaneamente, avrebbe comportato un
notevole allungamento dei tempi di guarigione (riassorbimento) per via della loro estensione.
I pazienti trattati sono guariti (sintomatologia, infiammazione
periflebitica ecc.) in 7-10 giorni; il riassorbimento della trombosi (con ricanalizzazione dei vasi trombizzati) è avvenuta in
tutti i casi in un periodo compreso fra 30 e 45 giorni.
Nessuno dei pazienti ha evidenziato intollerabilità alla terapia,
anzi la compliance è stata generalmente buona e nessun paziente ha sospeso il trattamento (neanche una volta guariti) data la
facilità di assunzione e l’assenza di manifestazioni collaterali.
La terapia antinfiammatoria è durata in genere 7 giorni ma circa il 40% dei pazienti ha dovuto sospenderla dopo 5 giorni per
la comparsa di disturbi gastrici (bruciore).
Il controllo ecocolordoppler, a distanza di 3 mesi dall’evento
acuto, non ha mai evidenziato casi di retrombosi.
Conclusioni
La tromboflebite superficiale è una manifestazione clinica
piuttosto frequente e che, in questi ultimi anni, ha visto un
cambiamento di atteggiamento terapeutico, data la sua potenziale pericolosità; mentre appare scontato l’utilizzo della calza
elastica (che fino a qualche anno fa rappresentava forse l’unica
forma di terapia) e della terapia antinfiammatoria per os o locale, appare ancora controverso l’utilizzo della terapia eparinica in tutti i casi. È solo un corretto inquadramento diagnostico dei diversi casi clinici che può portare al trattamento migliore dei pazienti e a una loro pronta guarigione; esistono
inoltre forme che dimostrano sin dall’inizio dell’esordio delle
caratteristiche benigne del quadro che possono beneficiare del
trattamento con sulodexide, poiché la sua azione sulla parete
venosa, sull’aggregazione piastrinica e sulla fibrinolisi riducono i tempi di guarigione e in particolare le recidive.
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14
Ruolo della sulodexide nel
trattamento ambulatoriale delle
flebiti superficiali
Augusto Farina, Antonio Riva
UO Chirurgia Vascolare, Azienda Ospedaliera Ospedale Maggiore, Crema
Trattamento
La trombosi venosa superficiale (TVS) è una condizione clinica relativamente frequente, la cui prevalenza varia dal 3%
all’11% nella popolazione occidentale (Decousus H, Leon L);
l’incidenza è sicuramente sottostimata, ma notevolmente più
elevata della trombosi venosa profonda (TVP) (1-2 nuovi casi/1000 abitanti/anno) e dell’embolia polmonare (EP). Anche
questi dati sono comunque da ritenere sottostimati, in quanto
si riferiscono per lo più a casistiche ospedaliere.
Queste tre entità nosologiche possono avere un nesso comune,
proprio a partire dalla TVS, con estensione di quest’ultima al
sistema venoso profondo attraverso la giunzione safeno-femorale, le vene perforanti di gamba o di coscia e la conseguente
possibile grave embolizzazione fino al polmone.
Una percentuale di pazienti affetti da TVS compresa tra il 6%
e il 36% (Decousus H, 2005) presenta, all’esame ecocolordoppler, una TVP in atto, spesso asintomatica, soprattutto se distale di gamba, e una concomitante EP, anch’essa per lo più asintomatica. Il controllo sistematico con ecocolordoppler delle
TVS ha portato al riscontro di un alto numero di TVP prima
non sospettate, in quanto, come già evidenziato, sono per lo
più clinicamente silenti.
Vari studi hanno confermato, su vasti numeri, la presenza di
TVP in corso di TVS, tra cui nel 24,9% per lo studio POST,
nel 28,8% per lo studio OPTIMEV, lo studio CALISTO condotto su 3000 pazienti presenta nel gruppo placebo un 6,3%
di TVP, ma va precisato che erano esclusi dallo studio i pazienti ad alto rischio per neoplasie, tromboembolismo venoso (TEV) recente, TVS a 3 cm dalla giunzione safeno-femorale.
Le possibilità di intervento sono molteplici e comprendono
un trattamento medico (farmacologico), fisico (compressivo)
e, in casi selezionati, chirurgico. La strategia di trattamento di
questi pazienti è, in molti casi, analoga a quella prevista per
tutte le forme di TEV ma deve tener conto dei seguenti elementi:
• condizioni della vena interessata (sana o varicosa);
• localizzazione della trombosi (coinvolgimento della grande
safena fino a 2-3 centimetri dalla confluenza o meno);
• presenza di fattori di rischio circostanziali, concausali e stati
trombofilici.
Il medico di medicina generale (MMG) e lo specialista vascolare
sono i principali riferimenti perché il paziente con TVS riceva un
trattamento corretto e adeguato al suo stato di malattia. Il MMG
valuta, in prima istanza, il paziente e procede alla diagnosi clinica di certezza o di sospetto alla luce di quanto è già a sua conoscenza anche rispetto a comorbilità e precedenti anamnestici. Il
MMG procederà, nei casi ritenuti necessari per sede, estensione e
condizioni del singolo paziente, all’approfondimento diagnostico inviandolo, mediante richiesta di consulenza, allo specialista
vascolare; quest’ultimo provvederà all’approfondimento clinico
strumentale (ecocolordoppler), anche per accertare un eventuale coinvolgimento del sistema venoso profondo.
Classificazione
Numerose sono le classificazioni riscontrate in letteratura;
quella che noi utilizziamo è di tipo clinico-patogenetica, che
distingue le TVS:
• su vena varicosa;
• su vena sana (talvolta TVS paraneoplastica o rivelatrice di altre patologie);
• non classificabili nei primi due gruppi.
La diagnosi di TVS è generalmente stabilita sulla base dei segni
clinici classici (rubor, calor, tumor, dolor) lungo il decorso anatomico delle vene superficiali e/o dalla presenza di un cordone
sottocutaneo palpabile, duro, caldo e dolente. La valutazione
con ecocolordoppler è importante per verificare l’estensione
Fattori di rischio
I fattori di rischio per la TVS sono gli stessi dimostrati per la
malattia tromboembolica venosa, e comprendono varici, gravidanza, stati post-operatori, immobilizzazione, neoplasie maligne, malattie autoimmunitarie, obesità, traumi, uso di contraccettivi orali o di terapie ormonali, precedenti episodi di
TEV, uso di catetere venoso centrale (CVC), infusione di soluzioni ipertoniche o sostanze endotelio-lesive.
15
RUOLO DELLA SULODEXIDE NEL TRATTAMENTO AMBULATORIALE DELLE FLEBITI SUPERFICIALI
del trombo e il possibile coinvolgimento delle vene profonde.
Le TVS possono ancora essere suddivise in 3 grandi categorie:
1) quelle che coinvolgono un piccolo segmento non varicoso,
spesso associate a malattie sistemiche che vanno individuate (marker tumorali ecc.);
2) quelle che coinvolgono un piccolo segmento varicoso, che necessitano di trattamenti farmacologici ed elastocompressivi;
3) quelle safeniche, che coinvolgono un segmento esteso; l’esame ecocolordoppler è fondamentale e la terapia medica dipenderà dall’estensione e dalla sede della trombosi.
La terapia delle TVS non può essere attuata secondo uno schema univoco e generalizzato. L’approccio terapeutico, come abbiamo sottolineato, deve essere mirato e non può prescindere,
oltre che dal quadro clinico, anche da quello etiopatogenetico.
Il protocollo che utilizziamo prevede:
• TVS su vena “sana”, terapia con eparina a basso peso molecolare (EBPM) 4000 UI/sc da subito, elastocompressione K1,
screening ematochimico completo con marker tumorali;
• TVS su un tratto di segmento di vena non safenico, le più frequenti, terapia farmacologica (sulodexide 250 LRU capsule),
elastocompressione K1, deambulazione;
• TVS safene, terapia con EBPM 4000 UI/sc da subito, controllo ecocolordoppler dopo 7-10 giorni.
Si segnala l’importanza della deambulazione, con tutore elastico adeguato (K1). È meglio evitare il riposo a letto e l’immobilità per ridurre il rischio di TVP.
Riportiamo l’esperienza con questo protocollo, riferendo di 3
casi di TVS su varici di gamba, senza interessamento delle safene, CEAP 2, inviati dal MMG per valutazione con ecocolordoppler, che ha confermato la diagnosi clinica di TVS su un
tratto di varice di gamba, senza ulteriore estensione.
I 3 pazienti, di età tra i 65 e i 72 anni, 2 donne e 1 uomo con varici recidive a un intervento di safenectomia eseguito 23 anni
prima, erano tutti al primo episodio di TVS, anamnesi familiare negativa per TVP o EP, hanno eseguito, nel corso della prima visita, un esame ecocolordoppler.
Sono stati posti subito in trattamento con sulodexide* 250 due
volte al dì, che hanno proseguito per 1 mese, associato a elastocompressione K1 a gambaletto.
Abbiamo eseguito controlli clinici e con ecocolordoppler dei 3
pazienti dopo 8 giorni e dopo 30 giorni. Si è riscontrato in tutti i pazienti:
• scomparsa della sintomatologia già dalla 2ª-3ª giornata di terapia;
• non estensione del trombo in senso caudale o craniale a 8 giorni;
• ricanalizzazione della vena a 30 giorni;
• ottimo risultato clinico a 30 giorni, senza recidive.
Al paziente con varici recidive è stato proposto un trattamento
sclerosante con mousse, da effettuarsi dopo 3 mesi.
Alle altre 2 pazienti si è proposto un trattamento chirurgico
delle varici, come di seguito indicato.
• Caso 1: vista la concomitante insufficienza della crosse safeno-femorale e i reflussi della grande safena con vena perforante di rientro alla gamba, si è proposto un intervento emodinamico (crossotomia e flebectomia di gamba, con conservazione della vena perforante di rientro).
• Caso 2: paziente con importante sovrappeso, incontinenza
della crosse safeno-femorale e reflussi della grande safena fino al 3° medio di gamba, si è proposta l’occlusione della
grande safena con radiofrequenza (per evitare l’incisione
chirurgica all’inguine e i rischi di linforrea e infezione), associata a flebectomia di gamba.
Conclusioni
In conclusione tutti e 3 i pazienti hanno presentato una pronta
risoluzione della sintomatologia, una ricanalizzazione della vena, anche se varicosa, a 30 giorni (conferma ecografica), un’ottima tollerabilità al farmaco, senza lamentare effetti collaterali.
In merito alle differenze etiopatologiche importanti, come sopra evidenziato, non tutte le TVS sono uguali, pertanto i trattamenti devono esseri vari secondo il tipo di TVS e non possono essere standardizzati. Le TVS minori su vene varicose, comunque le più frequenti, rispondono efficacemente a una terapia per os con soludexide.
*Sulodexide è un glucosaminoglicano (GAG) dotato di attività farmacologica antitrombotica, mediante l’inibizione del fattore X attivato, la riduzione dell’adesività piastrinica, l’attivazione del sistema fibrinolitico e l’inibizione diretta del fibrinogeno stesso.
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16
Ruolo della sulodexide nel
trattamento ambulatoriale delle
flebiti superficiali
Francesco Mezzasalma
Chirurgia Generale-Angiologia, Istituto Clinico S. Ambrogio (ICSA), Milano
Le flebiti superficiali rappresentano, nell’ambito della patologia
vascolare venosa, una porzione importante delle patologie che
giungono all’osservazione e alla cura dell’angiologo presso il suo
ambulatorio. Gli eventi flebitici, nei pazienti affetti da insufficienza venosa cronica (IVC), sono una condizione clinica invalidante a causa:
• dei costi derivati dall’iter diagnostico terapeutico;
• delle difficoltose condizioni di vita sociale associate alla patologia;
• dell’incidenza economica legata alla perdita di giornate lavorative.
Le tromboflebiti superficiali costituiscono circa il 20% di tutte
le patologie trombotiche degli arti e, solo nel 10% dei casi, si associano a trombosi venose profonde (TVP); si possono manifestare anche in altri distretti anatomici quali collo, torace e addome e, classicamente, si dividono in tromboflebiti superficiali
primitive e secondarie (le prime, in particolare, quando sono di
natura idiopatica, si manifestano molto spesso in assenza di una
chiara etiologia e la cura è quasi sempre sintomatica). Le tromboflebiti superficiali migranti colpiscono, in larga maggioranza,
il distretto venoso degli arti inferiori, riconoscendo varie etiologie (quali malattie neoplastiche, malattie infettive, mesenchimopatie, vasculiti, gravidanza, obesità, esiti recenti di interventi ortopedici, traumi) e colpiscono uno o più distretti venosi. La
sindrome di Virchow, già nota dal lontano 1845 (danno endoteliale, alterazione del flusso del sangue, ipercoagulabilità) risulta ancora oggi centrale nel razionale della patologia. La sintomatologia raramente è caratterizzata da febbre, algie localizzate o diffuse, aumento di volume delle stazioni linfonodarie,
crampi ed è quasi sempre espressione delle malattie primitive,
ma non per questo deve essere sottovalutato il quadro clinico e
si instaura, molto spesso, su un preesistente quadro di IVC con
varici evidenti. La cute delle tromboflebiti superficiali è edematosa e iperemica e si associa a ipertermia e ad aree discromiche
cutanee. Non è raro osservare, in taluni casi a livello delle gambe, aree con alterazione del trofismo tali da manifestare la tendenza ulcerativa. La fase diagnostica si basa, dopo un accurato
esame clinico, sull’esecuzione di esami ematochimici con studio dei parametri coagulativi e di un ecocolordoppler venoso
per poter pianificare il trattamento medico-chirurgico seguen-
te. L’esplorazione mediante ecocolordoppler viene realizzata
sempre con pazienti in ortostatismo e con sonde da 7,5 a 10-13
MHz, utilizzando manovre di compressione del reticolo venoso superficiale per mettere in evidenza il reflusso venoso o
trombosi al doppler pulsato o mediante l’immagine colore allo
scopo di escludere anche malformazioni vascolari o TVP associata o insufficienza venosa profonda primitiva. Come è noto il
principale presidio diagnostico è da considerare l’elastocompressione, così come oggi è modernamente applicato mediante
calze elastiche terapeutiche o da bendaggi elastici con ossido di
zinco attuati in prima persona dal personale sanitario. La terapia farmacologica assume un ruolo fondamentale, sia per la cura dell’evento principale sia per il sollievo della sintomatologia
correlata: in particolare, negli ultimi 3 anni, abbiamo utilizzato
sulodexide 250 LRU/die nella terapia e nella cura di un gruppo
selezionato di pazienti affetti da trombloflebiti superficiali; tale
farmaco si è rivelato utile poiché capace di agire a livello dell’endotelio inibendo l’accrescimento del trombo e stimolando la fibrinolisi locale.
Casi clinici
Nel periodo compreso tra il gennaio 2009 e il dicembre 2011 sono stati visitati, presso l’ambulatorio di Chirurgia Vascolare ICSA, circa 4536 pazienti, giunti all’osservazione con IVC, e sono
stati analizzati i risultati derivati dai trattamenti medici e chirurgici a medio termine. Dei 4536 pazienti sottoposti a prima visita,
973 (21,5%) erano affetti da sindrome varicosa agli arti inferiori
con elevato rischio tromboembolico; di tali pazienti 260 (26,7%)
giungevano all’osservazione con sindrome tromboflebitica superficiale primitiva e secondaria, 61 (6,2%) con TVP profonda in
molti casi associata a tromboflebite superficiale; 621 pazienti
(63,8%), affetti da sindrome varicosa, sono stati operati in elezione ed è stata prescritta la terapia con eparina a basso peso molecolare (EBPM) a dosi di profilassi nel decorso il giorno prima
dell’atto operatorio e nel decorso post-operatorio per 12 giorni,
tranne 7 casi di insufficienza renale a cui è stata somministrata
una terapia con sulodexide 250 LRU 2 volte al giorno 2 giorni
prima dell’intervento e per 12 giorni dopo l’intervento.
17
RUOLO DELLA SULODEXIDE NEL TRATTAMENTO AMBULATORIALE DELLE FLEBITI SUPERFICIALI
Al termine della terapia con EBPM, ai 621 pazienti è stata prescritta una terapia con sulodexide 250 LRU (1 cps al mattino per
90 giorni); dei 621 pazienti trattati chirurgicamente in elezione
sono risultati tutti guariti e in assenza di complicanze tromboemboliche a 30 giorni dal trattamento chirurgico. Per i 61 pazienti giunti all’osservazione in TVP, con concomitanti cause patologiche (oncologiche, obesità, traumi), si è deciso di effettuare il
trattamento iniziale ad alti dosaggi con EBPM sino a introdurre,
per la maggiorparte di loro, la terapia con dicumarolici (terapia
anticoagulante orale - TAO); in questo caso è stata fondamentale la collaborazione con i colleghi oncologi, ortopedici, internisti. Dei 260 casi di pazienti affetti da tromboflebite superficiale venosa primitiva e secondaria dopo esame clinico, esami
ematochimici, ecocolordoppler e consulenze specialistiche associate (infettive, ematologiche, reumatologiche, dermatologiche, diabetologiche, ginecologiche) si è optato in tutti i casi per
un trattamento medico che prevedeva 12 giorni di EBPM a dosaggi terapeutici, con sospensione, ove necessario, di terapia
ASA, associata a elastocompressione effettuata mediante calze
elastiche a dosaggio graduato. Alla fine dei 12 giorni di EBPM
si sostituiva la stessa con sulodexide 250 LRU 1 cps 2/die per 15
giorni e successivamente 1/die per 3 mesi. Di tutti i pazienti di
questo gruppo 118, alla fine del trattamento, venivano sottoposti a terapia chirurgica con asportazione di varici residue e
per tale motivo, come da protocollo, effettuavano 1 giorno prima EBPM a dosi preventive e 12 giorni successivi con EBPM e
sulodexide 250 LRU 1/die x 60 giorni. I 112 pazienti non sottoposti a trattamento chirurgico hanno invece continuato il
trattamento con sulodexide 250 LRU per ulteriori 3 mesi e non
si sono verificate recidive.
reazioni di intolleranza al farmaco, possiamo affermare che sulodexide si pone come ottima scelta nel trattamento delle flebiti superficiali primitive e/o secondarie. Sulodexide, inibendo
la formazione del trombo a livello prossimale al di sopra del ginocchio, è da considerare come ottimo farmaco post-operatorio dopo asportazione di varici degli arti inferiori che hanno
manifestato episodi di flebotrombosi. Non abbiamo ottenuto,
infatti, nel campione dei pazienti trattati chirurgicamente,
tromboflebiti recidive nel distretto sede di patologia; inoltre
tale sostanza è risultata utile anche nella cura delle flebotrombosi non trattate chirurgicamente poiché, agendo sull’endotelio, inibendo i fattori coagulativi e stimolando la fibrinolisi locale, rende stabile, con un uso costante nel tempo (6 mesi), il
risultato finale in assenza di recidive. Sulodexide può essere anche aggiunta, con il raggiungimento di buoni risultati, ad altre
terapie tipiche di pazienti più anziani portatori di patologie come diabete, ipertensione, insufficienza renale cronica e arteriopatia multidistrettuale. Tale farmaco può anche essere associato al trattamento nei pazienti che fanno uso di terapia antiaggregante, senza per questo interrompere la somministrazione
di ASA, ticlopidina o clopidogrel, contribuendo in modo attivo,
con la sua attività anticoagulante, a migliorare la sintomatologia; peraltro il costo della sostanza appare accettabilmente calmierato e, in momenti di crisi economica e sociale, costituisce
un ulteriore aspetto da non ritenere secondario per l’utilizzo del
farmaco in questione.
In conclusione, in relazione alle migliori tecniche di diagnosi e
cura e alla sempre migliore conoscenza dell’emodinamica e
dell’attività anticoagulante e fibrinolitica, si può affermare che
sulodexide può essere il farmaco di scelta nel trattamento delle flebiti superficiali e delle complicanze delle stesse e che può
garantire, insieme all’elastocompressione, un’adeguata stabilizzazione e cura delle tromboflebiti superficiali con grande efficacia, determinando una riduzione dell’incidenza di recidive.
Conclusioni
Dalla disamina dei risultati ottenuti, in relazione all’ottima tollerabilità della molecola esaminata, non avendo mai rilevato
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18
Insufficienza venosa cronica: sue
complicanze e diagnosi differenziale
con la tromboflebite superficiale
Giovanna Salmistraro
UOC Angiologia, Azienda Ospedaliera di Padova
Introduzione
trombosi capillari, emoconcentrazione, aumento della permeabilità vasale, cuffia di fibrina pericapillare, alterazioni della reologia leucocitaria ed eritrocitaria con incremento delle
cellule infiammatorie, stasi del microcircolo e ridotto drenaggio, anche linfatico; la matrice extra-cellulare delle vene, inoltre, subisce una progressiva degradazione ad opera di una serie
di enzimi proteolitici: i più importanti sono le metalloproteinasi (MMPs), che vengono prodotte soprattutto durante l’infiammazione vascolare; tutti i fattori sopra descritti, inoltre,
data anche la presenza di stasi favorita dall’aumento del diametro delle vene varicose, predispongono alle trombosi venose
superficiali (TVS).
Spesso il quadro clinico non è chiaro e si deve stabilire una diagnosi differenziale tra una fase di scompenso dell’IVC e una
forma di TVS; come sopra indicato diventa indispensabile avere a disposizione farmaci validi e con minimi effetti collaterali.
Sulodexide risponde a tutti questi requisiti ed esplica la sua
azione mediante un’attività antitrombotica sia sul versante arterioso che venoso; grazie all’inibizione dose-dipendente di alcuni fattori coagulativi, soprattutto il fattore X attivato, ha dimostrato un’attività antitrombotica pur non mostrando effetti di tipo anticoagulante; è inoltre un fisiologico attivatore dell’antitrombina III, ed è coinvolto nel mantenimento del potenziale antitrombotico dopo danno endoteliale.
La sua attività antitrombotica è ulteriormente sostenuta anche
dall’inibizione dell’adesitività piastrinica ed è infine in grado
di modulare l’attività enzimatica delle MMPs leucocitarie.
Considerando i meccanismi d’azione della sulodexide possiamo affermare che non solo è un farmaco di sicura efficacia nel
trattamento dell’IVC e nelle forme iniziali di TVS, ma che trova il suo utilizzo anche dopo la sospensione della terapia anticoagulante dopo TVP o TVS: numerosi studi, infatti, confermano che il trattamento con sulodexide potrebbe prevenire
dal 40% al 60% delle recidive di tromboembolismo venoso
(TEV) nei due anni successivi alla sospensione della terapia
con anticoagulanti (altri studi in questo senso sono tutt’ora in
corso).
Anche la tromboflebite superficiale va trattata con eparine per
L’insufficienza venosa cronica (IVC) costituisce una condizione clinica di rilievo sociale in quanto, colpendo ampie fasce di
popolazione (stime sicuramente in difetto parlano di un interessamento dal 10% al 50% della popolazione adulta maschile
e dal 50% al 55% della popolazione adulta femminile) comporta un alto costo di gestione in termini sia di accertamenti
diagnostici sia di cura sia, non ultimo, in assenza dall’attività
lavorativa; tale stato patologico è quindi invalidante per il paziente, ma anche di interesse economico per la società. Diventa molto importante, quindi, cercare di affinare le capacità dei
medici specialisti, puntando sia alla capacità di effettuare diagnosi circostanziate, precise e tempestive, sia al saper porre la
diagnosi differenziale nelle varie fasi cliniche dello scompenso
dell’IVC (fatti spesso misconosciuti e/o trattati come flebiti superficiali); importante, inoltre, sarà cercare la disponibilità di
presidi farmacologici validi, efficaci e ampiamente studiati per
limitare al massimo gli effetti collaterali tipici di ogni terapia.
L’IVC è una patologia a etiologia plurifattoriale, inesorabilmente evolutiva, caratterizzata da un alterato ritorno venoso
dagli arti inferiori con conseguente ipertensione venosa distrettuale; è caratterizzata da una varietà di segni clinici e sintomi: la progressiva deformazione e dilatazione delle vene periferiche provoca insufficienza valvolare e reflusso, con sviluppo di ipertensione superficiale. Tale situazione rimane inizialmente a livello subclinico, trovando un suo compenso emodinamico a livello del microcircolo venoso e linfatico, ma successivamente, e quasi inevitabilmente, tende al peggioramento,
con conseguente perdita dell’equilibrio prima descritto, ipertensione venosa (anche profonda) e la comparsa della sintomatologia tipica; avverranno, infatti, una serie di alterazioni
del microcircolo con aumento della permeabilità capillare,
edema interstiziale e sovraccarico venoso e successivamente
linfatico.
A causa del sovraccarico venoso distrettuale si determineranno
una serie di sintomi e i più caratteristici sono: edema, dolore, aumento della temperatura locale, arrossamento cutaneo, prurito.
L’insufficienza venosa produce una ridotta fibrinolisi, micro-
19
INSUFFICIENZA VENOSA CRONICA: SUE COMPLICANZE E DIAGNOSI DIFFERENZIALE CON LA TROMBOFLEBITE SUPERFICIALE
un periodo che può variare a seconda del caso (salvo l’interessamento del tronco safenico in prossimità della crosse che va
trattato in modo similare alla TVP) e il trattamento terapeutico, poi, può proseguire con sulodexide; in questo modo non
solo si riduce il rischio di una recidiva trombotica ma anche,
e soprattutto, vengono migliorati i sintomi legati all’IVC che
ne possono conseguire (riduzione dell’edema alla caviglia,
dell’ipodermite e della pigmentazione cutanea). È importante
precisare che l’incidenza di recidiva varia significativamente
in funzione delle cause che hanno portato all’insorgere iniziale della patologia (cause che, di conseguenza, devono essere
valutate per la definizione delle strategie di prevenzione secondaria).
Figura 1. Zona eritematosa perimalleolare interna, ridotta dopo terapia.
Caso clinico
niva trattata con bendaggi fissi anelastici con cortisone e ossido
di zinco topico in occlusione, con il duplice scopo di ridurre
l’edema dell’arto e di ridurre la forma infiammatoria cutanea.
Nonostante queste misure terapeutiche, si notava solo un leggero miglioramento dell’edema e una altrettanto moderata riduzione dell’eritema, segno clinico inequivocabile che, pur migliorando il ritorno venoso con questo presidio, non si era ottenuto
un progresso dello stato clinico e che, quindi, verosimilmente la
natura dell’edema e dell’arrossamento cutaneo non riconosceva, in modo prevalente, una patogenesi di tipo emodinamico; si
notava, altresì, una lieve riduzione delle dimensioni delle formazioni anecogene intramuscolari rilevate all’ecografia.
In accordo con il collega radiologo si sottoponeva la paziente a
un esame di ago aspirato ecoguidato delle suddette zone, con
successivo studio della citologia, che risultava compatibile con
linfocele; si tratta quindi di un caso molto particolare, con presenza di insufficienza venosa e di stasi linfatica verosimilmente su base dismorfica.
Note anamestiche
Paziente di 72 anni, sesso femminile, con familiarità per varici
e TVS, affetta da IVC superficiale trattata chirurgicamente con
safenectomia interna bilaterale circa 20 anni fa, continua a presentare edema agli arti inferiori soprattutto durante la stagione primaverile-estiva; è affetta, inoltre, da lieve ipertensione
arteriosa, farmacologicamente controllata, dislipidemia e lieve
distiroidismo; nega pregressi episodi di TVP e/o TVS agli arti
inferiori.
Quadro clinico
Un’ecocolordoppler, eseguito nel 2008, non dimostrava segni
di insufficienza venosa profonda, né segni di pregressa TVP o
TVS, mentre metteva in evidenza la presenza di modeste varicosità recidive senza segni di impegno e tensione endovasale di
rilievo. La sintomatologia, accusata dalla paziente, tendeva a
peggiorare negli anni fino alla comparsa, nel 2011, di una lesione eritematosa in sede perimalleolare interna.
La paziente veniva trattata, dal medico di base, con terapia eparinica nel sospetto di una forma di TVS, senza apparente successo; in seguito, all’accentuarsi della sintomatologia, veniva
trattata con terapia antibiotica nel sospetto di una forma erisipelatosa ancora senza un evidente miglioramento; veniva
quindi inviata allo specialista angiologo.
La valutazione angiologica clinico-strumentale con ecocolordoppler confermava la stessa situazione anatomica descritta anni addietro, quindi l’assenza di forme trombotiche e/o tromboflebitiche, di IVP e di insufficienza venosa superficiale di rilievo
emodinamico, mentre confermava la presenza di varicosità collaterali residue senza reflussi emodinamicamente significativi.
Si confermava ecograficamente la presenza di un edema sottocutaneo, con lacune anecogene sottocutanee tipiche dell’edema
di prevalente natura linfatica; si visualizzavano, inoltre, delle formazioni anecogene rotondeggianti nel contesto della muscolatura del polpaccio. Nell’ottica di una forma di dermite reattiva a
una fase di scompenso dell’insufficienza venosa, la paziente ve-
Trattamento
Veniva proposta una terapia con sulodexide 1 cps 2/die per limitare i danni dell’IVC, prosecuzione dell’elastocompressione
terapeutica con calza I classe e veniva suggerito, inoltre, alla paziente di sottoporsi a dei cicli di linfodrenaggio manuale (previo contatto mirato con il fisioterapista di riferimento per le
spiegazioni del caso). A distanza di mesi si nota un netto miglioramento della situazione, con riduzione dell’edema e con
diminuzione della zona eritematosa.
Il duplice trattamento, infatti, pur non risolvendo la situazione e trattandosi comunque di una forma cronica, portava a:
• miglioramento della funzionalità del microcircolo;
• aumento del tono venoso;
• riduzione dell’edema e dell’ipertensione venosa;
• riduzione dell’attivazione leucocitaria con conseguente diminuzione, grazie all’utilizzo della sulodexide, dell’azione
della cascata infiammatoria e procoagulativa;
20
G. SALMISTRARO
• miglioramento del drenaggio venoso e linfatico (grazie al
linfodrenaggio manuale), con conseguente minore stasi linfatica sia in sede sottocutanea che nelle zone di raccolta intramuscolare.
Pur permanendo uno stato dismorfico linfatico, aggravato dall’IVC, il trattamento ha quindi permesso di ottenere un netto
miglioramento della sintomatologia clinica della paziente e
una riduzione dell’iniziale lesione cutanea (Fig. 1).
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21
Ruolo della sulodexide nel
trattamento ambulatoriale delle
flebiti superficiali
Maria Alessandra Scomparin
UO di Angiologia (Dipartimento ad Attività Integrata Sperimentale DAIS),
Azienda Ospedaliera di Padova
L’impiego della sulodexide, un glucosaminoglicano (GAG)
composto da un unico principio attivo, il glucuronil glucosamminoglicano solfato, farmaco della categoria farmacoterapeutica degli antitrombotici (BO1AB11) permette al medico ambulatoriale, sia specialistico che di medicina generale, di avere, nel
suo bagaglio terapeutico, una validissima arma che protegge ed
esplica azioni sull’endotelio vasale e sulla crasi ematica (1,2).
Il meccanismo d’azione della molecola della sulodexide inibisce la trombogenesi, bloccando anche la deposizione di trombi sugli endoteli attivati, stimola la fibrinolisi locale permettendo il ripristino della funzionalità endoteliale, accelera la fibrinolisi prevenendo la formazione di microtrombi.
Riducendo la proteina C reattiva può essere impiegato sia nelle
patologie flebitiche, non permettendo un’anticoagulazione classica, sia nelle sindromi post-trombotiche venose superficiali e/o
profonde, sia nelle lesioni trofiche dovute a uno stato ipertensivo scompensato da insufficienza venosa cronica (IVC) primitiva e/o secondaria degli arti inferiori (3); studi di recente pubblicazione ne hanno poi dato un avallo scientifico (4) (Figg. 1, 2).
Alla luce di tali nuovi dati, presso l’ambulatorio vascolare angiologico dell’UO di Angiologia di Padova, sono stati selezionati alcuni soggetti che richiedevano una continuità terapeutica
post-flebitica (post-eparinica e warfarinica) agli arti inferiori,
in quanto presentavano una flebopatia da IVC scompensata.
Tali pazienti presentavano un scarso utilizzo della terapia elastocompressiva sia per motivi socio-economici sia per scarsa compliance collaborativa (dovuta a difficoltà stagionali nel periodo
estivo a indossare un tutore elastico). Tali pazienti si presentavano al nostro ambulatorio per algie, edema (CEAP C3) e stadio
CEAP (C4-C6) ulcere attive e/o pregresse con dermoipodermiti.
Figura 1. Cause favorenti la trombosi (Virchow’s triade 1865).
Anomalia
dell’endotelio
TROMBOSI
Ipercoagulabilità
Modificazioni
del flusso
ematico
Figura 2. Attività antitrombotica e profibrinolitica della sulodexide.
SULODEXIDE
Inibizione della formazione
di trombina
Inibizione della trombina
adesa al trombo
Attivazione fibrinolisi
Caso clinico 1
ze elastiche a compressione 1KKL, controllo con diagnostica
vascolare non invasiva (ecocolordoppler che evidenziava
un’efficiente ricanalizzazione con presenza di residui trombotici di circa 2 mm lungo il decorso della vena safena magna di
sinistra). La paziente si presenta, ai nostri ambulatori, nel mese di giugno per edema all’arto inferiore sinistro. Dall’anamnesi si evince che la paziente ha usato saltuariamente calze elasti-
Soggetto di sesso femminile di anni 63 sovrappeso. Nel mese di
aprile 2011 presenta una flebite al 3° inferiore di coscia e al 3°
superiore di gamba della vena safena magna di sinistra da probabile traumatismo in incontinenza della vena safena magna.
Trattata con eparina a basso peso molecolare (EBPM) per 30
giorni, esclusi altri fattori favorenti la trombosi, prescritte cal-
22
M.A. SCOMPARIN
che e riferisce un’intolleranza a indossarle. Viene prescritta, per
tale motivo, l’assunzione di terapia con sulodexide 250 LRU 1
cps 2/die e la rivalutazione, dopo l’estate, o urgente in caso di
peggioramento sintomatologico. La paziente si presenta dopo
l’estate riferendo un’asintomaticità per flebopatia scompensata
(non più algie né edema dopo assunzione della terapia continuativa con sulodexide 250 LRU 1 cps 2/die).
250 LRU 1 cps 2/die. Al controllo, avvenuto dopo un intervallo di 2 mesi, vengono riferiti benessere e asintomaticità.
Conclusioni
Possiamo affermare che l’uso della sulodexide ha escluso il
quadro sintomatologico-clinico di scompenso venoso da
ipertensione venosa distrettuale agli arti inferiori, causa spesso di nuovi episodi di flebite e/o di recidive flebitiche, poichè
il farmaco agisce migliorando il tessuto microvascolare, aumentando il tono venoso e il drenaggio linfatico. Interviene,
inoltre, sulla cascata infiammatoria e procoagulativa e sull’attività leucocitaria permettendo, così, la gestione di malati che
presentano una scarsa compliance (non si attengono in maniera corretta all’indicazione di indossare calze elastiche adeguate e attuano una scarsa osservanza di norme per flebopatici); tuttavia presentano problematiche multifattoriali e abitudini
di vita scarsamente correggibili (Figg. 3, 4).
Caso clinico 2
Soggetto maschio di anni 45 sovrappeso, con epatopatia, sottoposto a nefrectomia sinistra per rene grinzo in età giovanile. Affetto da sindrome post-trombotica e ulcera attiva pretibiale
post-traumatica al 3° medio di gamba presente da 4 mesi antecedenti alla prima osservazione (ottobre 2011) e curata in altra
sede senza beneficio; lo stato socio-economico non permetteva
la possibilità di acquistare una calza elastica terapeutica. Instaurato un ciclo di bendaggi multistrato e medicazioni avanzate, la
lesione procedeva a fasi alterne con un lento ma progressivo miglioramento alternato a fasi di peggioramento (aumento dell’essudato, della carica batterica di fibrina e algie). Il soggetto, alle
successive visite di controllo, si presentava spesso con fasciature
rimosse o non più in sede con edema persistente associato a discromie e ipoedermite alla gamba sinistra. Instaurata terapia
continuativa con sulodexide 250 LRU 2 cps 2/die, si assisteva alla risoluzione dell’edema e alla guarigione della lesione trofica
pur in presenza di saltuario uso di corretta contenzione elastica.
Figura 3. Intrappolamento leucocitario al microscopio elettronico.
Caso clinico 3
Soggetto di sesso femminile di anni 49 fumatrice; angina da
sforzo da 1 anno; menopausa da 2 anni, safenectomizzata bilateralmente circa 15 anni fa; sovrappeso con recidiva di flebite
all’arto inferiore sinistro in terapia con atenalolo, non usa calze
elastiche. Si presenta in ambulatorio per comparsa, da circa 3
giorni, di una zona calda, arrossata e pruriginosa, edema perimalleolare all’arto inferiore sinistro con sospetto di flebite all’arto inferiore sinistro. All’ecocolordoppler, eseguito nella stessa giornata, si evidenziava la presenza di una recidiva varicosa
in territorio safenico, con formazione di neo-crosse in entrambi i lati e presenza di vene perforanti incontinenti al lato sinistro; non sono state registrate recidive di flebite superficiali e/o
profonde evidenziate. Viene eseguito un bendaggio multistrato
tenuto per 3 giorni; al controllo successivo alla situazione di
scompenso da ipertensione venosa distrettuale all’arto inferiore sinistro è migliorata e vengono prescritte calze elastiche 1
KKL che, però, ai successivi controlli, la paziente non aveva
ancora acquistato. Viene istaurata una terapia con sulodexide
Figura 4. Quadro istologico di cute periulcerosa con evidenti fenomeni di microtrombosi.
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23
Occlusioni venose retiniche:
gestione medica ambulatoriale.
Ruolo della sulodexide
Pia Allegri
S.C. Oculistica, S.S. Uveiti, Ospedale di Rapallo, Genova
logicamente esiste un equilibrio tra fattori inibitori e attivatori della stessa cascata; quando prevale il meccanismo procoagulativo si forma un trombo, processo che richiede una lesione a carico dell’endotelio vasale correlata a patologia degenerativa o infiammatoria della parete vasale e a turbolenza o rallentamento del flusso ematico (9-11).
Le occlusioni venose centrali si possono presentare come forme ischemiche o non ischemiche. Le prime rappresentano fortunatamente solo il 20% del totale e hanno, come caratteristiche, un peggiore visus all’esordio, peggiore prognosi funzionale e anatomica, precoce comparsa di gravi complicanze (neovascolarizzazioni preretiniche estese e glaucoma neovascolare). Le seconde, a prevalenza edematosa, sono le più frequenti,
con migliore acuità visiva all’esordio e, di conseguenza, migliore prognosi anatomo-funzionale, anche se gravate dal rischio
di evoluzione tardiva in forma ischemica (1,2,4,12).
Le occlusioni venose di branca sono tre volte più frequenti di
quelle centrali e quando interessano le branche principali sono
più frequenti nelle donne; anch’esse sono per lo più monolaterali, ma è stato dimostrato un rischio del 6,6% di poter sviluppare un’occlusione anche nell’occhio controlaterale nell’arco
dei primi 4 anni. La prognosi visiva è prevalentemente benigna
e oltre il 50% dei pazienti conserva un visus superiore ai 5/10,
ma alcune forme sono gravate da edema maculare cistoide o da
neovascolarizzazione preretinica o da distacco di retina trazionale o da emovitreo (8,10).
Fattori predisponenti di queste forme sono gli incroci arterovenosi, la cui caratteristica anatomica è una comune guaina avventiziale che avvolge il ramo arterioso e venoso; di conseguenza un ispessimento della parete dell’arteriola, da modificazioni correlate all’ipertensione arteriosa e/o all’arteriolosclerosi, esercita una compressione meccanica sulla debole parete
venosa, con conseguente riduzione del lume vasale, turbolenza
di flusso a valle della stenosi e alterazione del normale flusso
“laminare”, in cui le piastrine occupano la parte centrale della
colonna ematica, rimanendo di conseguenza isolate dalla parete endoteliale. A questo livello non sono più diluiti i fattori attivanti l’emostasi che, grazie al danno prodotto dalla turbolen-
La trombosi venosa retinica è un’evenienza abbastanza frequente, che provoca danni anatomici e funzionali di varia entità; da forme localizzate di occlusione di ramo di piccolo calibro (che se in sede maculare può indurre un importante deficit visivo correlato all’edema maculare), a forme di occlusione
di branca venosa, sino a trombosi della vena centrale retinica
(prevalenza tra la popolazione adulta in percentuale variabile
dallo 0,1% allo 0,5%) con estesa ischemia, grave e permanente
deficit visivo. Numerosi studi hanno via via proposto vari trattamenti medici o chirurgici (dalla vitrectomia al trattamento
intra-vitreale con sostanze anti-VEGF [vascular endotelial
growth factor] o al trattamento fotocoagulativo) (1-5).
Nella definizione di trombosi venosa retinica sono incluse eterogenee malattie vascolari retiniche, che si differenziano per
molteplici caratteristiche cliniche ed eziopatogenetiche.
Il blocco della circolazione di una vena retinica provoca un
completo scompaginamento strutturale con comparsa di
emorragie retiniche, formazione di aree ischemiche o non perfuse (più o meno estese) e di iperpermeabilità capillare responsabile di edema retinico diffuso o localizzato al polo posteriore (edema maculare a evoluzione frequentemente cistoide);
tardivamente possono comparire essudati in ambito retinico
ed emorragie vitreali (emovitreo) correlate alla presenza di
neovasi preretinici a insorgenza dalle aree di ipo- o non perfusione retinica e, quale temibile complicanza difficilmente trattabile, il glaucoma neovascolare con conseguente perdita del
visus (1,2,6-9).
L’occlusione venosa retinica riconosce una genesi multifattoriale, in cui diversi fattori di rischio (che includono glaucoma,
ipertensione arteriosa, diabete mellito, deficit di proteina C e
resistenza alla proteina C attivata, discoagulie, tra cui spicca
l’iperomocisteinemia) favoriscono, in un soggetto geneticamente o meno predisposto, il rischio di sviluppare un evento
occlusivo retinico. Tra i fattori di rischio attualmente chiamati
maggiormente in causa, rivestono notevole interesse le turbe
del sistema emo-coagulativo (in senso sia attivatorio sia inibitorio). I principali fattori che bloccano la cascata coagulativa
sono l’antitrombina III e le proteine coagulative C ed S. Fisio-
24
P. ALLEGRI
Tavola A. Protocollo di studio delle trombosi venose retiniche in uso presso la ASL 4 – Chiavarese.
za di flusso sull’endotelio vasale, inducono l’innesco della cascata coagulativa con formazione di trombo che si va a localizzare non in corrispondenza dell’incrocio A-V ma a valle di
questo. A monte di tale occlusione si verifica un aumento della pressione intra-vasale, vasodilatazione riflessa e aumento
della permeabilità capillare, che porta all’edema più o meno
diffuso e più o meno cronicizzato a valle dell’occlusione e a
formazione di circoli collaterali di compenso.
Un meccanismo protrombotico indiretto, recentemente individuato, che si associa a quello primitivo emodinamico, è lo
stimolo sulle cellule della parete vasale alla vasodilatazione.
Questi processi di rimodellamento del lume vasale e di rimaneggiamento del trombo solitamente impiegano 3-4 settimane
per essere completati con successivo tentativo di ripristino della circolazione a valle del distretto occluso (1,2,8).
La diagnostica si basa su indagini specifiche oftalmologiche
(esame del fundus, fluorangiografia, OCT [optical coherence
tomography]) e indagini sistemiche.
Il nostro protocollo personale d’indagine, studiato con gli specialisti ematologi (Tav. A), include anzitutto un’anamnesi ac-
25
OCCLUSIONI VENOSE RETINICHE: GESTIONE MEDICA AMBULATORIALE. RUOLO DELLA SULODEXIDE
curata, riguardante le caratteristiche dell’occlusione (arteriosa,
venosa, centrale, di branca, parcellare, combinata), le patologie
oculari concomitanti (vasculopatia ipertensiva, diabetica,
glaucoma ecc.) e i fattori di rischio sistemico (dislipidemia familiare, malattie autoimmuni, malattie ematologiche, fumo
ecc.), quindi esami ematochimici (basali, coagulativi, autoimmunitari), indagini genetiche di II livello (mutazione fattore II,
fattore V di Leiden e polimorfismo C677T del gene MTHFR)
ed esami strumentali (ECG, ecocardiogramma, ecocolordoppler degli AAII e dei TSA).
Il trattamento delle occlusioni venose retiniche ha due scopi:
curare le alterazioni oculari indotte dall’occlusione venosa,
identificare e trattare le cause sistemiche all’origine della patologia. L’individuazione di eventi, spesso misconosciuti dal soggetto (frequentemente anziano), quali dislipidemia, ipertensione arteriosa, diabete, malattie cardiovascolari, induce a un
trattamento di queste riducendo il rischio di mortalità e di
morbidità; nel soggetto con età inferiore ai 50 anni i fattori
precedentemente descritti hanno poco peso e si dovranno ricercare anomalie emocoagulative congenite o acquisite che, associandosi ad altri fattori di rischio (obesità, fumo, stress, uso
di contraccettivi per os) portano alla produzione di un evento
trombotico retinico (5,9,12,13).
Il trattamento oftalmologico degli esiti di un’occlusione venosa
retinica ha lo scopo di prevenire le più frequenti complicanze,
quali il glaucoma neovascolare e l’edema maculare cistoide cronicizzato e, dall’altro, conservare e, se possibile, migliorare la funzione visiva del soggetto affetto. Oltre all’uso della fotocoagulazione laser disseminata o focale, come anche “a griglia” maculare, che si sono dimostrate tappe fondamentali nel trattamento
delle stesse secondo il Central Retinal Vein Occlusion Study, studi più recenti hanno evidenziato che l’iniezione di farmaci (steroidei o anti-VEGF) intra-vitreali ha potenziato i risultati ottenuti con il trattamento “a griglia”, agevolandone l’efficacia grazie alla riduzione dello spessore dell’edema con un complicato meccanismo di inibizione della produzione di VEGF da parte dell’endotelio dell’area ischemica (sono necessarie però, ripetute somministrazioni intra-vitreali di tali farmaci per ottenere una stabilizzazione del quadro anatomo-funzionale, non è ancora standardizzato il timing per la loro somministrazione e neppure il
dosaggio per raggiungere un end-point ottimale) (1,2,5,13,14).
Sono anche stati proposti differenti trattamenti chirurgici specifici per i vari tipi di occlusione venosa retinica:
• vitrectomia via pars plana associata o meno al peeling della
membrana limitante interna e all’incisione della guaina che
riveste il vaso nel punto di occlusione;
• induzione chirurgica di anastomosi corioretinica;
• neurotomia ottica radiale;
• iniezione di TPA (tessuto attivatore del plasminogeno) all’interno dei vasi venosi.
Peraltro tutte queste tecniche non hanno dimostrato un’efficacia su grossi numeri di pazienti e, seppur valide, vanno riserva-
te a particolari situazioni cliniche in cui un’evidente compartecipazione vitreale ne giustifichi l’utilizzo (1,2,5).
Dal punto di vista farmacologico i farmaci fibrinolitici, utilizzati in fase acuta, non si sono dimostrati validi a modificare il
decorso del processo trombotico oculare e hanno causato, in
soggetti predisposti, un notevole rischio di eventi emorragici,
talora letali. L’emodiluizione, applicata venti anni fa e successivamente abbandonata, si è dimostrata, in un recente studio di
Coscas, una valida alternativa terapeutica nelle prime fasi dell’occlusione, ma si devono escludere tutti quei pazienti (e sono
molti) affetti da patologie cardiovascolari, diabete, turbe renali e anemia (5). L’uso di farmaci reologici antiaggreganti o anticoagulanti è tuttora controverso, non essendo stato eseguito,
sino a oggi, uno studio randomizzato in grossi numeri di soggetti. Recenti studi in doppio cieco, che prevedevano eparina a
basso peso molecolare (EBPM) e ASA come controllo, sono risultati significativi a favore delle eparine, confermando un migliore visus e un ridotto edema maculare in un follow-up a lungo termine. Secondo i più recenti studi le EBPM vanno preferite alle eparine standard nel trattamento delle trombosi venose, poiché sembrerebbero più efficaci nella prevenzione della
progressione dell’occlusione; sono infatti più efficaci anche nel
ridurre le dimensioni dello stesso trombo, permettendo, quindi, una monosomministrazione domiciliare sottocutanea extra-ospedaliera (15-25).
In un secondo tempo, successivamente al trattamento della fase acuta con EBPM, l’utilizzo di farmaci profibrinolitici e antitrombotici, quali sulodexide, trova supporto in recenti studi
che ne hanno dimostrato l’efficacia sulle cellule endoteliali.
Sulodexide ha dimostrato:
• attività antiproliferativa sui miociti della muscolatura vascolare arteriosa correlata al restringimento del calibro vasale e
all’abnorme reattività vascolare;
• attività antiflogistica con dimostrata riduzione della proteina C reattiva;
• attività profibrinolitica con azione diretta sul TPA ricombinante e sull’inibitore dell’attivatore del TPA;
• attività nella riduzione della formazione di trombi con inibizione della trombogenesi, accrescimento del trombo, aggregazione piastrinica e viscosità ematica;
• attività di ripristino della funzione endoteliale;
• azione sulle membrane basali e sui glucosaminoglicani
(GAG) endoteliali.
Questo farmaco non agisce sullo stato coagulativo del soggetto
ma ha un’attività profibrinolitica; pertanto somministrato nel
nostro protocollo, successivamente a 15 giorni di trattamento
con EBPM, “cronicamente” per os alla dose di 2 cp/die (1
cp=250 LRU) per almeno 6 mesi, induce, nella nostra esperienza clinica, un ridotto rischio di recidive occlusive in altre sedi e
un migliore ripristino circolatorio a livello dell’area colpita dall’occlusione, oltre a presentare, non ultimo, un ridottissimo rischio di effetti collaterali o di intolleranza (26-37).
26
P. ALLEGRI
Caso clinico
glicemia, transaminasi, GGT, ionogramma, azotemia creatininemia, PT, INR, PTT, antitrombina III, D-Dimero, fibrinogeno (286 mg/dL), proteina C ed S, omocisteina (20 µm/L), LAc,
ACA e anti β-2 glicoproteina (IgG e IgM), ormoni tiroidei. Alterati: lipidogramma (Col 282, HDL 77, Tg 190, non HDL 205
mg/dL). Mutazioni II e V fattore: assenti.
La FAG (fluorangiografia) evidenziava in OD: esiti di occlusione della vena centrale retinica con marcata congestione e tortuosità dei vasi all’emergenza papillare, iperpermeabilità capillare a livello della papilla e del polo posteriore responsabile di
edema della papilla ottica e della macula (Fig. 1 A, B); in OS
tortuosità dell’albero vascolare retinico.
L’OCT evidenziava in OD: alterazione dello spessore (656 µ
quando il normale spessore foveale è di 280 µ circa), del profilo maculare, che da concavo era divenuto convesso, della reflettività con scompaginamento dei normali strati retinici con evidenza di cisti di edema intra-retinico (Fig. 2 A); in OS: normali profilo, spessore e reflettività. L’esame RNFL (retinal nerve fiber layer) evidenziava: in OD, alterazione dei settori temporali superiori e inferiori con marcato aumento dello spessore delle fibre del nervo ottico (Fig. 2 B) e normalità delle fibre all’emergenza papillare in OS.
Il follow-up dell’OCT (Fig. 3) ha evidenziato, dopo un mese, il
riappianamento dell’edema centrale (fovea 332 µ) seguendo
un trattamento di mantenimento con ASA 100 mg/die, con
successiva ripresa dell’edema a giugno 2011 (spessore foveale
476 µ); a questo punto si intraprendeva una terapia con sulodexide 2 cp/die e a settembre 2011 era presente solo una modesta regressione dell’edema; si prosegue la terapia con 2
cp/die della sulodexide e monitoraggio dei fattori di rischio
(ipercolesterolemia e ipertensione arteriosa); al controllo del
Anamnesi generale
G.O., sesso femminile, età 72 anni. Ipertensione arteriosa trattata con 1 cp/die di valsartan 80 mg + idroclorotiazide 12,5 mg.
Safenectomia destra 10 anni fa.
Anamnesi oculare
Si presenta al PS oculistico (marzo 2011) riferendo, al risveglio,
un brusco annebbiamento visivo in OD progredito durante la
giornata precedente, preceduto alcuni mesi prima da transitorie amaurosi nello stesso occhio.
L’esame obiettivo evidenziava: OO segmento anteriore normale con lieve sclerosi lenticolare. OO tono 16 mmHg (Apl).
ODV con correzione 1/10 non migliorabile. OSV: con correzione 9/10. OD fundus: emorragie sparse al polo posteriore,
più evidenti in sede peripapillare, edema del nervo ottico e del
polo posteriore, marcata congestione e tortuosità dell’albero
vascolare retinico all’emergenza papillare compatibile con
trombosi della vena centrale retinica. OS fundus: vasculopatia
ipertensiva di II grado con alcuni incroci artero-venosi.
Si instaura una terapia con enoxaparina 6000 UI 1 f s.c./die x
15 giorni e nell’arco di una settimana si programmano: fluorangiografia e OCT.
Si eseguono: visita cardiologica con ECG ed ecocardiogramma
(PA: 135/80, normali per l’età; assenza di cardiopatia strutturale), ecocolordoppler TSA (tronchi sovraortici) (asse carotideo
con vasi pervi, diffuso e modesto ispessimento mio-intimale
lamellare; asse succlavio vertebrale privo di alterazioni emodinamicamente significative); esami ematochimici ed emocoagulativi (normali: emocromo, elettroforesi e basali, VES e PCR,
Figura 1. Fluorangiografia: fase precoce (A) e tardiva (B) che evidenziano l’estrema congestione dei vasi all’emergenza papillare con edema da stasi della papilla ottica
e della macula.
A
B
27
OCCLUSIONI VENOSE RETINICHE: GESTIONE MEDICA AMBULATORIALE. RUOLO DELLA SULODEXIDE
Figura 2. OCT: alterazione dello spessore del profilo e della riflettività con evidenza di edema maculare microcistico (A); all’analisi RNFL (retinal nerve fiber layer) marcato
ispessimento ed edema delle fibre all’emergenza del nervo ottico (B).
A
B
si importanti effetti collaterali sistemici, tra cui non è da dimenticare la piastrinopenia indotta; inoltre, le EBPM hanno
una notevole attività anticoagulante nettamente superiore a
quella dei GAG e sono difficilmente assorbibili per os, caratteristica, invece, della sulodexide, che ha un ampio assorbimento orale rispetto all’eparina. L’azione antitrombotica e anticoagulante dei GAG è correlata all’interazione con il cofattore II
dell’eparina e con l’antitrombina III, che portano all’inibizione della formazione della trombina e all’azione proteolitica.
Sulodexide, pertanto, prolunga il tempo di coagulazione della
trombina e il tempo di protrombina totale (aPTT), ritardando
formazione e la crescita del trombo. Altre azioni favorevoli sono correlate alla riduzione del danno endoteliale cronico, all’attività antiflogistica, antilipidemica plasmatica e tissutale
(22,30,36-40).
Recenti studi confermano il rischio che i farmaci ASA-simili
(aspirina) non siano efficaci, anzi peggiorino l’acuità visiva, in
20 marzo 2012 (ultimo follow-up), l’edema maculare risultava
nettamente ridotto sino a valori vicini alla norma (299 µ) con
riduzione dell’edema maculare di circa 250 µ (Fig. 4). La FAG
evidenziava una modica tortuosità vascolare bilaterale e una
lievissima iperpermeabilità capillare perifoveale in fasi molto
tardive a gennaio 2012 (Fig. 5 A, B) e un completo ripristino
delle barriere ematoretiniche e del flusso a marzo 2012 (Fig. 6).
All’esame RNFL (Fig. 7), si verifica il ripristino della normalità delle fibre del nervo ottico. Il visus corretto finale era in OD:
9-10/10 e in OS 10/10.
Conclusioni
I GAG sono composti presenti in natura dimostratisi utili nel
trattamento e nella prevenzione delle trombosi; le caratteristiche differenziali favorevoli, rispetto alle eparine standard, permettono di affermare che, di fronte a un miglioramento emoreologico, nel trattamento con queste ultime, si assiste a diver-
28
P. ALLEGRI
Figura 3. OCT follow-up: evidenza dell’esito favorevole con scomparsa dell’edema maculare a 1 anno dall’esordio.
pazienti affetti da edema maculare correlato all’occlusione venosa centrale non ischemica (37); questo per ribadire ulteriormente che questi pazienti non necessitano di attività farmaco-
logica anticoagulante/antiaggregante piastrinica, ma di un farmaco con molteplici effetti emoreologici quale la sulodexide.
Di fronte a un’attuale controversa strategia terapeutica verso
29
OCCLUSIONI VENOSE RETINICHE: GESTIONE MEDICA AMBULATORIALE. RUOLO DELLA SULODEXIDE
Figura 4. A 1 anno dall’esordio dell’occlusione della vena centrale della retina: OCT della regione maculare normale con riduzione dello spessore centrale di circa 250 µ.
Figura 6. Fluorangiografia finale: completo ripristino del normale flusso retinico a
livello papillare e maculare.
Figura 5. Fluorangiografia dopo 4 mesi dall’esordio: permangono modesto edema maculare e papillare.
A
un’occlusione venosa retinica, la nostra esperienza positiva in
una notevole percentuale di casi sull’uso della sulodexide, in
occasione di fenomeni occlusivi venosi retinici, fa propendere
per un utilizzo routinario della sulodexide, tenendo presente
che, di fronte a una dimostrata efficacia, assistiamo a uno scarsissimo rilievo di effetti collaterali importanti, da cui l’evidenza di un elevato profilo di efficacia/sicurezza. Sono necessari
studi clinici randomizzati con elevati numeri di pazienti per
confermarne scientificamente la durata del trattamento e il dosaggio ottimale.
B
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P. ALLEGRI
Figura 7. Esame RNFL, scansione papillare e mappa con grafico percentuale: (A) all'esordio, (B) al termine del follow-up con ripristino dei valori di normalità.
A
B
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OCCLUSIONI VENOSE RETINICHE: GESTIONE MEDICA AMBULATORIALE. RUOLO DELLA SULODEXIDE
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Triade
®
Diosmina, Esperidina,Troxerutina
RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
5. PROPRIETA’
®
1. DENOMINAZIONE DEL PRODOTTO
TRIADE®
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA
Una compressa contiene:
Diosmina
300 mg
Esperidina
100 mg
Troxerutina
300 mg
3. FORMA
Compresse per uso orale
4. INFORMAZIONI
4.1 Indicazioni
TRIADE® è indicato come coadiuvante nella flebopatia ipotonica
costituzionale, nell’insufficienza
venosa cronica e nelle sue
complicanze, in tutte le manifestazioni di fragilità capillare e nella
sindrome emorroidaria.
La stasi venosa, conseguenza di determinate condizioni (stazione
eretta prolungata, sedentarietà, sovrappeso, sbalzi termici,
eccessiva vicinanza a fonti di calore, uso di anticoncezionali,
menopausa) altera la permeabilità venulo-capillare e l’omeostasi
micro-vasculo-tissutale, con eccessivo passaggio di acqua e
proteine nei tessuti, sino a provocare una condizione di
ipertensione che provoca alterazioni a livello delle cuspidi valvolari
e delle grandi vene. Segni e sintomi caratteristici sono edema,
gonfiore alle gambe, sensazione di pesantezza, dolore, crampi
notturni. La medesima sequenza fisiopatologica si ritrova a livello
del plesso emorroidario, sia nelle emorroidi croniche che nella crisi
emorroidaria.
TRIADE® contiene un’associazione sinergica e complementare di
bioflavonoidi con documentata azione su tono venoso, sistema
linfatico e microcircolo.
TRIADE® è espressamente formulato da Omikron Italia S.r.l. per
fornire un aiuto razionale e naturale contro le alterazioni
dell’omeostasi micro-vasculo-tissutale e può contrastare così: 1) la
degenerazione valvolare 2) il reflusso venoso e, di conseguenza 3)
il dolore e la sensazione di pesantezza degli arti inferiori.
4.2 Posologia e modo d’impiego
Salvo diversa prescrizione medica, si consiglia l’assunzione di 1
compressa al dì, con un sorso d’acqua, dopo uno dei pasti principali.
4.3 Avvertenze
Non assumere durante la gravidanza e l’allattamento.
Tenere fuori dalla portata dei bambini al di sotto dei 3 anni.
Salvo diverso parere medico, non superare la dose giornaliera
consigliata. Gli integratori non vanno intesi come sostitutivi di una
dieta variata. Conservare a temperatura ambiente e lontano da fonti
dirette di calore e umidità. La data di scadenza si riferisce al
prodotto integro, correttamente conservato.
4.4 Gravidanza ed allattamento
Non assumere durante la gravidanza.
Sinergia dei 3 componenti di TRIADE
Proprietà attribuite ai singoli nutrienti dalla Letteratura
Internazionale:
Diosmina:
È il più efficace tra i flavonoidi nel normalizzare la permeabilità
venulo-capillare (edema) mediante l’aumento del tono venoso e la
riduzione della risposta dei recettori alle catecolamine.
Aumenta, inoltre, la deformabilità delle emazie e possiede una
potente azione antiflogistica per il blocco della lipo-ossigenasi e
quindi dei leucotrieni (dolore).
Esplica infine un’azione protettrice nei confronti dei radicali liberi.
Esperidina:
È tra le molecole più potenti in senso assoluto nell’incrementare la
resistenza venulo-capillare e nell’azione antiossidante. Migliora il
trofismo del collagene interstiziale rendendolo più stabile e inibisce
la formazione degli enzimi lisosomiali responsabili del
danneggiamento della parete endoteliale. Possiede inoltre un effetto
antistaminico, anti-bradichininico, anti-prostaglandinico e di
conseguenza antiflogistico.
Troxerutina:
Corregge le alterazioni del metabolismo glucidico.
Possiede un’azione trofica sulla parete venulo-capillare e sulla
guaina perivascolare dei proteoglicani. Pubblicazioni internazionali
ne hanno dimostrato la capacità di migliorare nettamente la
deformabilità delle emazie e la funzionalità del microcircolo.
®
TRIADE riequilibra sinergicamente l’omeostasi micro-vasculo-tissutale
Sistema linfatico
Tono venoso
®
TRIADE
Diosmina, Esperidina, Troxerutina
Microcircolo
6. ULTERIORI INFORMAZIONI
6.1 Elenco degli eccipienti
Calcio fosfato bibasico, magnesio stearato vegetale, silicio biossido
6.2 Periodo di validità
24 mesi in confezione integra e correttamente conservata.
6.3 Speciali precauzioni per la conservazione
Conservare a temperatura inferiore a 30° C, lontano da fonti dirette
di calore e umidità.
6.4 Natura e contenuto della confezione
Astuccio contenente 2 blister da 15 compresse.
TRIADE® è un marchio di Omikron Italia s.r.l.
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