Servizio Nazionale Studi e documentazione sull'ambiente di lavoro Elisabetta Ceroni Valutazione e Gestione dei rischi psicosociali da stress lavoro–correlato: una premessa. (Ai sensi dell’art. 28 – Commi 1e 1bis - Decreto legislativo 9-Aprile -2008- n. 81 e s .m. i.; Decreto Legislativo 3 agosto 2009, n. 106. Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro). La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività – art. 32 della Costituzione italiana. “ Saper individuare i limiti , i rischi e il loro fronteggiamento è condizione essenziale per attuare con equilibrio qualsiasi performance”. Valutazione e Gestione dei rischi psicosociali da stress lavoro–correlato: una premessa. Di Elisabetta Ceroni Edizione curata dal Servizio Nazionale Studi e documentazione sull'ambiente di lavoro www.rs-ergonomia.com 2015 I contenuti di questo libro possono essere riprodotti con sistemi elettronici, meccanici o altri, purché venga citata la fonte. Indice Presentazione………………………………….......................5 Introduzione……………………………..…………..............6 Cap. 1: Prospettiva analitica psicosociale …………..12 Cap. 2: Visione umanistica del metodo scientifico: Abram Maslow e la Psicologia della Terza Forza …... ………………………...……...............................18 Cap.3: Pregiudizi e stereotipi ……….........................20 Cap. 4: Un paradigma analitico: Pragmatica della comunicazione ….......................................................23 Cap. 5: Una prospettiva filosofica: Mind- body problem ………………………………......................26 Cap. 6: Analisi neuroscientifica: la Teoria dei neuroni specchio…………………………...............................30 Cap.7: Punto di vista della psicoanalisi……………..33 Cap.8: Un modello analitico: lo Spazio Extralinguistico Intenzionale (S.E.I.) ………………………...............40 Glossario……………………………...……….....................46 Bibliografia………………………………………................52 Presentazione “Il testo della dr.sa Ceroni è un utile excursus su metodi e finalità della ricerca sullo stress da lavoro, nella grande mutazione produttiva e sociale che stiamo vivendo”. Luigi Prioreschi Introduzione Molte malattie della nostra epoca sono legate eziologicamente a un eccesso di stress, spesso connesso all’organizzazione della società moderna. Ci pare opportuna una riflessione generale quale framework per sviluppare la tecnica operativa in oggetto di studio, spesso finalizzata solo all’adempimento degli obblighi legislativi. L’intenzione non è quella di esporre metodologia e tecniche, che bravi colleghi padroneggiano egregiamente; si vuole solo offrire a un pubblico di esperti-lettori una traccia di riflessione. La complessità caratterizza le pratiche di assessment; in esse si cerca sempre di andare al di là dei sintomi manifesti, mantenendo una visione dinamica dei fatti; obiettivo fondamentale è rimanere in un’ottica generale gestaltica, sistemica, ma soprattutto integrata. Secondo il paradigma evolutivo, è necessario considerare i sistemi (aziendali, nel nostro caso) in continua evoluzione. Spesso si parla di stress come se fosse solo un problema individuale sottovalutando l’incidenza delle strutture organizzative, dei ruoli, delle mansioni, delle reti comunicative, considerando tutti questi fattori variabili secondarie e non invece fonti di stress. Sappiamo che lo stress è la risposta di un organismo in crisi e che se la crisi non viene risolta, la risposta può diventare risposta patologica, malattia. Così è anche per il complesso aziendale nella sua dimensione globale e psicosociale; gli stimoli psicosociali di cui è permeato un contesto lavorativo sono spesso altamente stressogeni. La capacità di lavoro è determinata dalla capacità del soggetto, di fronte all’ansia e all’incertezza, di sostenere le proprie funzioni, di mantenere il principio di realtà, di sforzarsi di rendere conscio l’inconscio: il rischio di condizioni ambigue nella vita organizzativa è costante. Avallone e Paplomatas (2005) definiscono la salute organizzativa come: “L’insieme di nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzative che animano la convivenza nei contesti di lavoro promuovendo, mantenendo e migliorando il benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità lavorative.” Le condizioni socioeconomiche in cui si trovano le aziende sono l’espressione delle continue trasformazioni sociali e politiche. Tali condizioni sono in parte determinate dalle dinamiche psicosociali delle persone che lavorano. Risulta dunque importante riflettere sulle modalità dell’esperienza: la sua qualificazione, il suo campo di variazione. Tuttavia il consulente-terapeuta può determinare la generazione proprio di "quei" dati con l'interpretazione teorica, la suggestione, gli stimoli di rinforzo sottili e selettivi. Ciascun esperto sembra quasi produrre dati in sintonia con la propria posizione teorica. Ogni teoria tende cioè a confermarsi. Entro l’ambito esperienziale cade non solo il dato sensibile, ma anche l’emozionalità, la realtà affettiva, il linguaggio e la percezione di un senso della nostra attività. Ci proponiamo di conseguire una visione il più possibile onnicomprensiva delle prassi lavorative e delle loro conseguenze. Lo stato presente delle cose non è ineluttabile e il futuro va pensato come possibilità. Lo spirito conduttore delle riflessioni che proponiamo risiede nella ricerca di chiarezza; la valutazione dei fattori psicosociali propri dello stress correlato al lavoro, riconosce la rilevanza della comunicazione per lo studio dello stress. Si è classicamente definita la comunicazione come “l’atto di mettere in relazione”; nello scambio comunicativo è insita la condivisione di valori e regole sociali; l’uomo è un animale sociale e la vita di gruppo esige rispetto di regole e credenza in valori morali. La comunicazione ragionevole permette che tali norme si sviluppino e siano trasmesse all’interno della collettività. A questo proposito sono fondamentali le riflessioni filosofiche di Karl Otto Apel (1992) intorno all’Etica della comunicazione. Secondo Apel la partecipazione al linguaggio, nelle sue forme di argomentazione razionale, presuppone il riconoscimento di forme etiche fondamentali come la comprensibilità, la verità, la veridicità, la giustezza normativa, le quali, in quanto regole ideali della comunicazione, rappresentano le condizioni di base per la costruzione di una comunità ideale. “ Emerge così, in primo luogo, il problema filosofico del rapporto tra essere e dover essere, ovvero tra razionalità scientifica (neutrale rispetto ai valori) e razionalità etica; in secondo luogo, il problema dell’affidabilità delle informazioni che gli esperti del sapere scientifico, la cui autorità non veniva prima quasi mai messa in questione, potrebbero fornire agli uomini in quanto soggetti della responsabilità (affidabilità che condiziona a sua volta la possibile razionalità di un’etica della responsabilità); in terzo luogo, infine, il problema di come eventualmente compensare l’impotenza della responsabilità attribuibile agli individui, la quale si rende efficace solo nel quadro delle stesse istituzioni da trasformare, tramite una riorganizzazione della co-responsabilità per il cambiamento delle istituzioni”.1 Terremo sempre presente che i contesti lavorativi operano nella società dell’informazione (network society); le relazioni tra innovazione tecnologica e innovazione culturale sono in continuo mutamento. Il paradigma generale della società delle reti consiste proprio nel suo essere un’infinita cybersfera comunicativa fondata sulla produzione simbolica sempre più istantanea e condivisa. Nell’universo mediatico i rapporti, gerarchizzati o liberi, si sviluppano a seconda delle politiche di partecipazione; se apparentemente lo spazio della network society enfatizza la creatività emergente e i processi di innovazione, all’interno sottende un’antica struttura quotidiana, basata sia sulle fatiche 1 Apel, O.K. (1992). Etica della comunicazione. Milano: Jaca Book, pp. 16 - 17. del lavoro che da sempre reggono le economie locali e globali, sia sulle competenze culturali e linguistiche di antica tradizione. Nella pratica di valutazione dei fattori di rischio stress correlato al lavoro, è importante tener conto di entrambe le angolazioni analitiche. È quello che richiede anche la filosofia del “New people management”, con il suo obiettivo dell’impresa snella. Il percorso analitico si sviluppa in modo simile a una navigazione in rete; in direzione di approfondimenti come, ad esempio, le relazioni psiche-soma. Non entreremo nel merito di questioni tecniche oggettivoaziendali, ma svilupperemo un’analisi valutativa generale, a monte dei fatti e dei dati aziendali veri e propri, conducendo una riflessione sui molteplici aspetti soggettivi, psichici e sociali che caratterizzano i fattori di rischio stress da lavoro. All’esordio degli studi sullo stress, la reazione fisiologica era identificata nell’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisicorticosurrenale; la reazione adattiva diventa patogena se protratta con eccessiva intensità per lunghi periodi. L’eccesso di stimoli rappresenta il pericolo; quando supera le capacità di adattamento causa le malattie dello stress. I differenti sistemi biologici, psichici e sociali adottano i meccanismi per fronteggiare lo stress; cercheremo di analizzarne modalità e approcci. Oggetto d’interesse sono anche la varietà e la specificità delle situazioni soggettive. Spesso si devono affrontare perdite, competizioni e minacce; attacchi di natura diversa producono sentimenti ed emozioni che compromettono l’equilibrio emozionale e somatico, e di conseguenza l’equilibrio aziendale complessivo. Nell’analisi si dovrà tener conto anche dell’angolazione psicanalitica poiché l’Io rappresenta l’istanza di sintesi e regolazione. È anche indispensabile considerare le influenze dei fattori psicosociali che provocano un aumento dello stress generato dal lavoro. Per la definizione della sindrome: “G.A.S. General Adiction Sindrome”2 . Anche la mancanza di agenti immunogeni comportamentali che producono benessere e promuovono la salute ci conduce alla cronicizzazione del quadro patologico. Il fine dei nostri studi risiede nel cogliere le relazioni di dipendenza tra questi fattori per diminuire i rischi. Lo studio e il pensiero a monte della pratica operativa dovrebbero essere di ampio respiro, e abbracciare tutte le prospettive analitiche: psicosociale in primis, filosofica, psicanalitica, medica. 2 Si veda: Elisabetta Ceroni, “Conoscere e combattere lo stress correlato al lavoro - Tecniche di comunicazione, risorse di self-assessment e self empowerment” - Edizione curata dal Servizio Nazionale Studi e documentazione sull'ambiente di lavoro (www.rs-ergonomia.com), 2013. 1. Prospettiva analitica psicosociale La società attuale è caratterizzata da diffusissime condizioni di stress da autoconservazione. Ciò si manifesta chiaramente nei grandi corpi politici, i quali si profilano come sistemi autostressanti. Questo stato ci richiede sempre di più abilità nel fronteggiamento di prestazioni straordinarie ed emergenze. Siamo alla ricerca del principio che produce il benessere organizzativo, cioè quella condizione di vita lavorativa che consente a tutte le persone che lavorano in un'impresa di poter raggiungere i propri obiettivi di miglioramento, restituendo all'impresa stessa un'alta qualità della prestazione professionale e una condivisione della visione aziendale di lunga durata. In un’azienda il più grande patrimonio sono gli individui; sappiamo che la passione per la ricerca e l’innovazione migliora in maniera considerevole il flusso aziendale nel suo complesso. I cambiamenti aziendali (organigrammi, quantità e qualità di lavoro, status sociale delle risorse umane, ecc). Sono fenomeni riconducibili a una risposta protettiva nei confronti del rischio; si presentano come rottura di un equilibrio precedente e come esigenza di ricostruzione. Qualcosa di estraneo entra in circolo provocando una sorta di contagio e quello che prima era sano, ora può essere esposto a rischio di contaminazione. In qualsiasi organizzazione umana l’esigenza immunitaria costituisce il nocciolo attorno cui ruota ogni aggregazione. Quello che spaventa oggi è il fenomeno della contaminazione incontrollata e inarrestabile presente in tutti i centri produttivi della vita. “Quanto più il pericolo da cui la vita è incalzata circola indistintamente in tutte le sue pratiche, tanto più la risposta converge negli ingranaggi di un unico dispositivo: al rischio sempre più diffuso del comune risponde la difesa sempre più serrata dell’immune”.3 Mi sembra dunque importante, ai fini della presente analisi, indagare la relazione tra immunità e organizzazione. Il sostantivo latino immunitas, come del resto l’aggettivo corrispondente immunis, è un vocabolo privativo; deriva cioè il proprio senso da ciò che nega o di cui risulta privo: il munus. Il munus rappresenta l’incarico, l’onere, il dovere: immunitas è il termine opposto. L’immunità è un’eccezione rispetto a una regola; è un concetto essenzialmente comparativo, esplicitato come diversità rispetto alla condizione altrui. In questo lavoro, ipotizzeremo che il senso d’immunità non sia “assenza di munus”, bensì communitas di coloro che lo portano. La privazione riguarda il munus; il cum generalizza nella forma “communitas”. L’immunità è dunque una condizione di particolarità del singolo individuo o di un gruppo; il suo carattere è antisociale e interrompe il senso di donazione reciproca cui invece 3 Esposito R. (2002).”Immunitas”Torino, Einaudi. p.7 rimanda communitas. In quest’accezione immune è chi si mette al dì fuori della comunità. In senso bio-medico per immunità s’intende la condizione di refrattarietà dell’organismo rispetto al pericolo di contrarre una malattia contagiosa. Tra il XVIII e il XIX secolo il concetto si evolve grazie alle scoperte della batteriologia; particolarmente interessante è il passaggio dall’immunità naturale all’immunità acquisita: una forma attenuata d’infezione protegge da una più virulenta dello stesso tipo. Il rischio d’infezione giustifica la misura profilattica. Entra così in gioco il “pharmacon” inteso nel doppio senso originario di medicina e veleno. Così la metafora immunitaria ben si presta, per esempio, all’analisi dei rischi psicosociali da stress correlato al lavoro nelle organizzazioni, spesso caratterizzate da ipertrofia degli apparati di sicurezza. L’analisi dello stress psicosociale lavoro-correlato deve necessariamente muovere dal paradigma protezione/esposizione; infatti è il concetto di protezione che chiama in causa l’immunità: nel lavoro siamo sempre di fronte a rischi da cui tendiamo a proteggerci. Il rischio psicosociale di stress lavoro-correlato è stato a lungo sottovalutato. Oggi è chiaro che il processo d’immunizzazione permette di bilanciare l’azione del “negativo. La vita pulsionale si può gestire attraverso il ri-orientamento delle energie. Le istituzioni, come sistemi di controllo, devono garantire la “normalità”. La “società del controllo” col suo management del rischio tende a prevenire il presentarsi del disordine; è il mito del rischio zero come “neutralizzazione preventiva”. Ma, come già detto, il sistema immunitario deve la sua vittoria alla capacità di dialogare con il negativo e positivizzarne la portata distruttiva. Ecco perché il vero rischio del management del controllo può essere quello di esporre il corpo sociale all’esplosione ciclica di fenomeni “autoimmunitari” suicidi; ad esempio nei fallimenti, quando l’organismo inizia a distruggere se stesso e le proprie protezioni, vale a dire a immunizzarsi dalla propria immunità. Nei sistemi socio-economici contemporanei sempre più emerge l’imperativo della sicurezza, ma spesso la stessa protezione genera il rischio. Il filosofo francese Foucault ci esorta a considerare come modo di vita un ethos utile a sospendere momentaneamente i meccanismi di controllo per attuare invece il principio sartriano secondo il quale il soggetto è colui che fa qualcosa di quello che gli altri hanno fatto di lui. Per non cadere nella prigione sartriana l’atteggiamento più giusto è ri-creare incessantemente se stessi. Analizzando le sensibilità umane potremo affrontare le responsabilità della valutazione dei rischi con maggior garanzia di successo. Ogni epoca ha le sue malattie. Il XXI secolo in occidente vede una grande diffusione di patologie neurologiche come la Depressione, la Sindrome da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD), il Disturbo di Borderline di Personalità (BPD) o la Sindrome di Burnout (BD). Sono disturbi determinati da un sovraccarico di richieste che nel seguito definiremo “eccesso di positività”. Nella ricerca dell'Immunitas le strategie erano caratterizzate da attacco e difesa; l'obiettivo della difesa immunitaria risiedeva nell'estraneità in quanto tale. Nel nuovo paradigma l'alterità/estraneità è sostituita dal concetto della differenza; la differenza non provoca nessun reazione immunitaria. L’attuale società globalizzata è priva di mappe che permettano di identificare chiaramente i fattori di rischio e di elaborare protezioni. Se in tempi o in contesti di estrema povertà ci si preoccupava di “assimilare”, oggi ci si scontra con gli uguali. Il rigetto determinato dalla positività eccessiva non è più la rassicurante reazione immunitaria di una volta, ma semplicemente la nausea, molto più difficile da combattere. I nostri iperattivi neuroni devono fare, produrre, guadagnare, consumare. Diventa imperativo riflettere per non generare a nostra volta quella società della prestazione in cui l'inconscio è impegnato a massimizzare i fatturati, con esiti di depressione, frustrazione, stress cronico. Quando il soggetto non è più in grado di poter-fare, di affrontare lo stress, esplode la depressione come malattia provocata dall'eccesso di positività di un'umanità che fa guerra a se stessa. Nella comunicazione contemporanea è importante chiarire che il “prendersi cura” non è “il curare del medico. La comunicazione è lo strumento di cui ci serviremo per prenderci cura delle forme vitali; il Lebenswelt diviene un aspetto fondamentale di ogni expertise professionale. Occorre rafforzare la consapevolezza che ogni fenomeno psichico è intenzionale; si sostiene l’istituzione di linguaggi comuni coi quali i soggetti sociali siano sempre pronti a interpretare e negoziare. Il concetto di governance, ad esempio, può diventare l’emblema di rinnovamento e qualificazione delle politiche sociali e sanitarie del nostro paese; dall’idea gerarchico – direttiva di government si approda a una prospettiva sistemica, circolare, democratica di governance. Solidarietà e associazionismo, oggi più che mai, sono le parole chiave. Si crede, inoltre, nella sussidiarietà cooperativa come una reale prospettiva emergente. In essa i livelli superiori stimolano i livelli inferiori alla partecipazione; ognuno contribuisce alla cura e al benessere sociale. 2. Visione umanistica del metodo scientifico: Abram Maslow e la Psicologia della Terza Forza “Una buona gestione della vita lavorativa degli esseri umani, del modo in cui si guadagnano da vivere, li può rendere migliori e migliorare il mondo e, in questo senso, può essere una tecnica utopistica e rivoluzionaria.” Abram Maslow Abram Maslow (1908-1970) psicologo e grande conoscitore della motivazione come base del comportamento umano, è definito il padre della Psicologia della Terza Forza. Il fine evolutivo dell’uomo secondo Maslow (Teoria della motivazione, esplicata nella nota “scala dei bisogni”) è l’autorealizzazione, la tendenza a divenire quello che si è in potenza. Le persone costituiscono la risorsa aziendale più importante; dunque, secondo Maslow è necessario massimizzare i contributi delle persone. Se accettiamo questo principio, interiorizziamo il processo di autorealizzazione che diventa così autoterapeutico. Sappiamo come alcuni fattori di stress lavoro-correlato tipici del management aziendale conducano alla disintegrazione dell’azienda anziché alla sua integrazione; è invece fondamentale valutare sia l’individuo, sia l’azienda nel suo complesso come una totalità integrata. Il livello delle prestazioni aziendali è direttamente proporzionale alla capacità del management di liberare il potenziale umano. Sviluppando pratiche di management “umanistico” progredisce anche la sinergia; più è integrata la persona, più è in grado di percepire l’integrazione del mondo, e più il mondo diventa integrato. 3. Pregiudizi e stereotipi Si tratta ora di riflettere su due concetti base riguardanti gli atteggiamenti di non accettazione entro le interazioni lavorative. L’ostilità nei confronti del diverso è un tratto tipico di tutte le specie, ed è espressione dell’istinto di conservazione. Pregiudizi e stereotipi sarebbero un modo sofisticato di esprimere tale istinto. Il pregiudizio indica un giudizio precedente all’esperienza, emesso in assenza di dati sufficienti, sovente unito a emotività e a resistenze al cambiamento. Spesso il pregiudizio si trasforma in un’abitudine verbale condivisa dal gruppo: barzellette, nomignoli, comportamento di disconferma e allontanamento, discriminazione nell’esercizio di diritti o nell’uso di beni, violenze fisiche; è il cosiddetto mobbing, bulling, bossing, stalking ecc. Lo stereotipo invece indica il nucleo cognitivo del pregiudizio, una descrizione elaborata per produrre pregiudizio. I due stereotipi sociali più diffusi sono l’obbedienza e il conformismo. Il termine fu coniato alla fine del Settecento per indicare la riproduzione d’immagini a stampa per mezzo di forme fisse; fu poi usato in psichiatria con riferimento a comportamenti patologici caratterizzati da ossessiva ripetitività di gesti ed espressioni. Quando parliamo di stereotipi ci riferiamo alle immagini relative ai gruppi sociali e a loro caratteristiche ritenute negative, ad es. su questione femminile, provenienza etnica/razziale, antisemitismo, marginalità, omosessualità, tossicodipendenza, età, disabilità. Lo stereotipo è una conoscenza semplificata o falsa che tende a cristallizzarsi; è il risultato della generalizzazione, è come un pensiero distorto, spesso attribuente le caratteristiche di alcuni a tutta una categoria, oppure a un singolo caratteristiche della categoria cui appartiene. La spiegazione cognitiva dei pregiudizi si deve allo psicologo americano Gordon W. Allport (1954). L’idea fondamentale è che il sistema cognitivo, di fronte alla complessità dei dati, ha necessità di ridurre e semplificare; così raggruppa i dati in sistemi omogenei trattati come un tutto unico; è così che per esempio le donne vengono considerate sensibili, gli scozzesi avari, i tedeschi ordinati. Il risultato è spesso la tensione fra il gruppo di appartenenza e gli altri gruppi. Il concetto di etnocentrismo, analizzato dall’antropologia fino alla socio/biologia, sembra essere lo stereotipo più diffuso: si considera la propria cultura come centro dell’universo. Pregiudizi e stereotipi risultano essere prodotti da un processo collettivo di assegnazione di senso alla realtà. In particolare nella struttura retorica degli scambi comunicativi tali atteggiamenti acquistano peso e diffusione sfruttando gli artifici classici della comunicazione persuasiva. È nelle argomentazioni usate per interpretare certi fatti, soprattutto nei gruppi, che si costituisce il modo collettivo di rapportarsi a eventi significativi. Se l’impegno dell’esperto rende espliciti i meccanismi di produzione e riproduzione del pregiudizio (in ambito interpersonale o sociale), si potrà produrre una strategia di controllo. Un sistema efficace per il superamento di pregiudizi e stereotipi è quello di fornire uno schema alternativo. Il fenomeno della profezia che si autoavvera è in questo senso significativo. Un semplice esempio, in ambito aziendale, è quello definito dell’effetto pigmalione, un complesso di atteggiamenti di rinforzo che produce buoni risultati sui giovani lavoratori. Ricordiamo infine come nei processi di assimilazione e fusione delle differenze culturali, sempre più presenti nei contesti aziendali, sia necessaria la strategia di pluralismo culturale, mirante a mantenere le differenze e a valorizzarle. 4. Un paradigma analitico: Pragmatica della comunicazione Questo importante paradigma è utile per comprendere l’effettiva presenza dei fattori psicosociali di rischio-stress nelle relazioni interne all’organizzazione. Mentre nelle catene comunicative lineari e progressive ha senso parlare di principio e di fine di una catena, tali termini sono privi di significato in sistemi con circuiti di retroazione. Non c’è fine né principio in un cerchio. La logica di tali sistemi ci costringe ad abbandonare la nozione che l’evento a), per esempio, viene per primo e che l’evento b) è determinato dal verificarsi di a). E allora è patologica la comunicazione aziendale perché qualche suo membro propone schemi patologici, o alcuni membri sono patologici perché la comunicazione aziendale è patologica? La teoria della comunicazione considera sintomo di stress anche un messaggio non verbale. Non sono io che non voglio o che voglio fare questo, è qualcosa che non posso controllare; ad esempio i nervi, la malattia, l’ansia, un difetto della vista, l’alcol, l’organizzazione lavorativa, i superiori, mio marito. Questi messaggi non verbali sono spesso invocazioni di relazione, proposte che riguardano regole future della relazione. È molto difficile provocare un cambiamento in sistemi rigidamente definiti in cui i partecipanti vorrebbero piuttosto sopportare i mali che hanno, che non affrontarne altri che non conoscono. Un corpo sociale come un’organizzazione non è l’aggregazione di parti o processi elementari, ma una gerarchia integrata di sotto-insiemi autonomi, costituiti a loro volta di sotto-insiemi aperti. Qualunque cambiamento di una parte causa cambiamento in tutte le parti e in tutto il sistema; il sistema si comporta come un tutto. Un sistema aperto non coincide con la somma delle sue parti. È poi necessario impiegare gli strumenti dell’analisi della Gestalt; l’analisi formale dei segmenti isolati artificialmente potrebbe risultare limitante. Il concetto stesso di organizzazione è equiparabile al concetto di Gestalt. Terremo inoltre sempre presente il concetto di qualità emergente dall’incontro di due o più connotazioni individuali come ruolo, valori, aspettazioni, motivazioni. Il modello causale appropriato per l’analisi dei sistemi organizzativi interattivi è il modello cibernetico della comunicazione, con i suoi concetti di retroazione e circolarità In un sistema circolare autoregolantesi i risultati sono determinati dalla natura dei processi in corso; è il comportamento equifinale. Nei sistemi aperti, le caratteristiche organizzative di sistema possono operare anche nell’indipendenza totale dalle condizioni iniziali. Il fine è mantenere l’omeostasi, la stabilità. Il termine omeostasi ha un duplice significato: a) è uno stato di costanza di fronte al cambiamento esterno; b) è un mezzo che, attraverso i processi di feedback, minimizza i fattori di rischio legati ai cambiamenti. L’organizzazione è un sistema di regole; la calibrazione è la messa a punto del sistema o regola. Se dalla verifica degli stati di fatto emergono livelli di rischiostress anche minimi, è necessario cambiare la calibrazione su cui si fonda l’omeostasi dell’organizzazione. Proprio per aumentare e migliorare la produttività si rende necessario un cambio di marcia, una ricalibrazione. Meccanismi omeostatici entrano in funzione in risposta alla deviazione da certe regole; distruggono un modello e ne ricostruiscono un altro a un livello più elevato; è la messa a punto del sistema. 5. Una prospettiva filosofica: Mind- body problem La problematica del corporeo sottende tutta l’indagine presente. La ricerca filosofica contemporanea è influenzata dagli studi condotti in campo neurologico. Lo studio del cervello ha compiuto importanti progressi. Uno dei più importanti dibattiti filosofici è il problema del rapporto tra mente e corpo, il Mind - body problem. “L’espressione mindbody, infatti, suggerisce in modo del tutto erroneo l’idea che un qualcosa chiamato mind (mente) si accompagni a qualcos’altro chiamato body (corpo); si dovrebbe dire più precisamente che qualcosa entra in relazione con il cervello o con il sistema nervoso centrale dell’organismo umano. Le stesse scienze cognitive si sono imbattute in questo scoglio, finendo per ammettere che il modello informatico della mente come sistema di elaborazione delle informazioni non permetteva di spiegare una serie di fenomeni cognitivi e comunicativi. Il rapporto delle facoltà mentali con loro sostrato fisiologico viene spesso paragonato a quello del software di un computer con l’hardware. Le indagini neurofisiologiche hanno messo in luce che si dà una dimensione dell’umano non riducibile alla corporeità. Tale dimensione è quella della mente o del “mentale”, che sembra avere una sua autonomia, anche se non un’indipendenza rispetto al corpo.”4 4 D’Alessandro P. (2002). Critica della ragione telematica. Milano: Led. pp. 131-132 Il “mentale” fa sempre riferimento all’homo persona e non all’homo natura. Anche se questo uomo rimane legato all’istintualità naturale, si rivela al tempo stesso homo artificialis, nel senso che i suoi sentimenti, desideri, progetti e ideali si sono costituiti in sede non puramente naturale, ma storico-sociale e culturale; i suoi pensieri non sono deducibili o spiegabili mediante lo studio delle sue strutture biofisiche. Gli atti della mente hanno a che fare con significati piuttosto che con fatti, ma il loro supporto è comunque di natura fisica. Un chiarimento notevole rispetto a questa problematica, lo dobbiamo ad Antonio Damasio, un neurologo portoghese contemporaneo che ha criticato il dualismo cartesiano tra res cogitans (mente, pensiero) e res extensa (corpo, cervello). Damasio individua l’ errore di Cartesio nell’ avere ritenuto che la vita possa essere studiata come un meccanismo: i processi vitali sarebbero automatici. Ma l’errore ancora più grave di Cartesio, secondo Damasio, consiste nell’aver teorizzato una distinzione radicale tra corpo e mente, tra la materia del corpo che ha un’estensione ed è pertanto misurabile e meccanica e la mente, che è invece priva di dimensioni e non divisibile, da indagare pertanto con tutt’altro metodo rispetto a quella corporea. Oggi sappiamo che la mente è da correlare in modo diretto con l’attività del cervello; i neuroni hanno un comportamento ed entrano in connessione con tutto l’organismo umano e con l’ambiente mediante il sistema nervoso periferico. Avremo dunque interazione e connessione tra sfera mentale e sfera del corporeo, tra pensiero e materia. Utile per la riflessione sulla coscienza come complessità, è l’”Analisi rappresentazionale della prospettiva in prima persona” del filosofo contemporaneo tedesco Thomas Metzinger. Metzinger ha come oggetto di ricerca la filosofia analitica della mente e gli aspetti filosofici ed etici delle neuroscienze e delle scienze cognitive. Questa prospettiva analitica è strettamente collegata alle ultime scoperte scientifiche. La teoria è fondata sul modello fenomenico del sé PSM (phenomenal self model) e sul modello fenomenico della relazione intenzionale o PMIR (phenomenal model of intentional relation). L’essere un soggetto cosciente è caratterizzato da tre proprietà: a) Egoicità (le azioni volontarie determinate da me stesso); b) Ipseità (intimità pre-riflessiva del sé; il contenuto della coscienza fenomenica come coerente unità; c) Prospetticità, che è una (proprietà dello spazio fenomenico globale). Il sé fenomenico è il centro dell’ esperienza soggettiva del mondo e degli stati mentali. Le strutture di coscienza del sé sono in parte basate su contenuti primitivi, non categorizzabili e non accessibili cognitivamente; innervate alla consapevolezza corporea. Si potrebbe in sintesi affermare che il modello del sé viene attivato in modo computazionale ed è funzionale alla regolazione del sistema relazionale. “Il PSM di homo sapiens consente a un organismo la consapevolezza di se stesso (e degli altri). Esso permette all’organismo di interagire con il proprio mondo interno e con l’ambiente esterno. Gli animali sono per la maggior parte dotati di coscienza, sia pure a diverso grado, ma il loro PSM è diverso dal nostro. Il nostro evoluto modello cosciente del sé è prerogativa unica del cervello umano: rappresentando il processo stesso di rappresentazione, riusciamo a cogliere noi stessi, per dirla con Antonio Damasio, nell’atto del conoscere. Rappresentiamo mentalmente noi stessi come sistemi rappresentazionali, in tempo reale fenomenologico. Quest’abilità ci ha trasformato in pensatori di pensieri e in lettori di menti e ha permesso all’evoluzione biologica di evolvere in quella culturale.5 5 Metzinger, T. (2010). Il tunnel dell’io. Milano: RaffaelloCortina. pp.4-5 6. Analisi neuroscientifica: la Teoria dei neuroni specchio La Teoria dei neuroni specchio condotta da Rizzolatti e Gallese6 offre spunti interessanti per la comprensione delle relazioni interpersonali e di conseguenza dei comportamenti fonti di stress acuto o cronico nel lavoro “Se lo scopo della nostra ricerca scientifica è capire cosa significhi essere umani, abbiamo allora bisogno della filosofia per chiarire quali sono gli argomenti in gioco, quali sono i problemi da risolvere, cosa è epistemologicamente fondato e cosa no. Le neuroscienze cognitive e la filosofia della mente affrontano gli stessi problemi, ma lo fanno adottando approcci e livelli di descrizione differenti. Molto spesso usiamo parole diverse per parlare delle stesse cose. Credo che tutti i neuroscienziati cognitivi dovrebbero prendere lezioni di filosofia e che i filosofi, almeno i filosofi della mente, dovrebbero imparare un po’ di più a proposito del cervello e di come funziona.”7 Sono stati scoperti neuroni nella corteccia premotoria del macaco, denominati neuroni specchio che si attivano non solo in 6 Vittorio Gallese è professore di Fisiologia umana al Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma. Nel 2007 è stato insignito del Grawemeyer Award for Psychology per la scoperta dei neuroni specchio. 6 Gallese, V. La molteplicità condivisa. In: Metzinger, T. (2010). Il tunnel dell’io. Milano: RaffaelloCortina. p. 210. 7 Gallese, V. La molteplicità condivisa. In: Metzinger, T. (2010). Il tunnel dell’io. Milano: RaffaelloCortina. p. 202 7 presenza delle azioni, ma anche quando il soggetto inferisce le azioni; sono risonanze motorie che incarnano rappresentazioni astratte dell’azione. Un meccanismo analogo di rispecchiamento è presente anche nel cervello umano; quando osserviamo azioni eseguite da altri con la bocca, la mano, il piede, attiviamo le medesime regioni del nostro sistema motorio fronto-parietale che entrano in gioco quando noi stessi eseguiamo azioni simili a quelle osservate: vediamo anche con il sistema motorio. “Abbiamo visto che i neuroni specchio danno origine ad uno spazio condiviso per le azioni e per le intenzioni di natura multimodale. Dati recenti mostrano che analoghe reti neuronali sono attive per generare spazi condivisi emozionali e sensoriali “noi-centrici”. Per dirla in parole povere, ogni volta che entriamo in relazione con altre persone, ci troviamo automaticamente ad abitare uno spazio noi centrico, all’interno del quale facciamo ricorso ad una serie di certezze implicite sugli altri. Questa forma implicita di conoscenza ci permette di comprendere in modo diretto cosa un altro sta facendo, perché sta facendo quello che sta facendo e come si sente in una data situazione.”8 Il sistema dei neuroni specchio è alla base della capacità di riconoscere e comprendere non solo le azioni altrui, ma anche le intenzioni che le hanno promosse. Il meccanismo di simulazione non è confinato però al dominio dell’azione, ma sembra essere una modalità di funzionamento 8 di base del nostro cervello quando siamo impegnati in una qualsivoglia relazione interpersonale . “Grazie all’attivazione di sistemi neuronali condivisi, che sono alla base di quello che gli altri fanno e provano e di quello che noi facciamo e proviamo, si realizza una forma diretta di comprensione dell’esperienza altrui”.9 Questi meccanismi di simulazione sono coinvolti nell’imitazione: in particolare nell’apprendimento imitativo di nuovi compiti motori; dovremmo prenderne coscienza e limitare l’effetto sociale invasivo, per concentrarci invece sulle potenzialità che tale scoperta offre in direzione di un nuovo percorso d’indagine scientifica. Oggi qualcosa di nuovo sta accadendo: le macchine sono coinvolte in una rigorosa espansione della conoscenza. La scienza, dice Thomas Metzinger, sta invadendo il tunnel dell’io. Molti studiosi contemporanei sono d’accordo nel ritenere che la costruzione di una grammatica dei neuroni specchio potrebbe rappresentare un strumento per combattere la disumanizzazione dilagante. 9 Gallese, V. La molteplicità condivisa. In: Metzinger, T. (2010). Il tunnel dell’io. Milano: RaffaelloCortina. p.203 7. Punto di vista della psicoanalisi La clinica psicanalitica, interessata a decifrare i significati delle manifestazioni della personalità, rappresenta una fonte ideale per ottenere strumenti di osservazione e dati. In particolare è utile nella fase di valutazione dei fattori psicosociali soggettivi. Quando esaminiamo lo status epistemologico dei dati raccolti nella nostra indagine sullo stress correlato al lavoro, dobbiamo tener conto per quanto è possibile del fatto che il nostro soggetto è una ricostruzione attuale di ciò che è avvenuto; cioè risultato di selezione, costruzione e distorsione. Non dimentichiamo inoltre che i sintomi e il comportamento di una persona sono spiegabili esclusivamente in relazione alla sua intenzionalità, ai suoi obiettivi, ai suoi desideri; Eagle (1980) lo definisce come: "Spiegazione motivazionale”. Agli inizi del Novecento Sigmund Freud iniziò ad analizzare il ruolo dell’inconscio nella vita collettiva, la solidarietà, l’ambivalenza dei sentimenti reciproci dei membri del gruppo e l’uso di codici gruppali. A questo proposito Freud elaborò un mito; nell’orda primitiva, comandata da un vecchio tiranno, i fratelli si uniscono per assassinare il padre; a cose fatte organizzano un banchetto a cui nessuno può sottrarsi. In questa comunicazione totemica si realizza l’identificazione con il padre morto, temuto e ammirato. È così che secondo Freud si fondano la legge, il senso morale, la società, le istituzioni e la cultura. Quello che interessa a noi è la considerazione che il gruppo è fondato sull’identificazione, che trasforma la gelosia in solidarietà. Nasce così il concetto di Super Io gruppale, come sintesi di negoziazioni e tensioni interne al gruppo, considerato un teatro di pulsioni e fantasie nel quale agiscono investimenti psichici e meccanismi di difesa. L’apparato psichico individuale risulta originato dal processo d’interiorizzazione della vita gruppale, di cui il soggetto fa esperienza. Molto spesso il processo d’identificazione tra i membri del gruppo protegge il gruppo da rischi di esplosione mantenendo basso il livello interno di aggressività. I soggetti con cui l'esperto si confronta, non presentano solo i classici problemi nevrotici di natura edipica, ma spesso hanno problemi che si possono definire schizoidi e narcisistici. I sintomi di gran lunga predominanti nel lavoratore contemporaneo riguardano i problemi del sé esperiti sotto forma di senso di inutilità, di vuoto, di depressione, mancanza di interessi, obiettivi, ideali, valori, motivazioni. Ai fini della nostra indagine la sfida più interessante è comunque quella freudiana: capire il rapporto tra il livello neurofisiologico e biochimico da una parte, e un desiderio o un programma o un'emozione dall'altra. Freud asserì che nei processi istintuali l'ES rappresenta l'aspetto mentale; la pulsione è invece considerata come il rappresentante psichico di forze organiche, aspetto limite tra lo psichico e il somatico. Una pulsione non può mai diventare oggetto della coscienza se intesa secondo il suo aspetto organico; solo l'idea che la rappresenta lo può. Allo stesso modo, l’attività dei neuroni non può mai diventare oggetto della coscienza. Solo il contenuto percettivo del complesso neuronale può diventare oggetto della coscienza. Le secrezioni ormonali non sono oggetti della coscienza, mentre lo sono i desideri e le fantasie sessuali. I processi fisiologici non vengono in se stessi rappresentati. Difficile rispondere alla domanda su come la secrezione ormonale o la stimolazione ipotalamica agiscano sul nostro comportamento. Secondo Freud la nostra struttura genetico - biologica, determina desideri, obiettivi e aspirazioni. Un desiderio istintuale equivale a qualsiasi altro desiderio e rappresenta un fattore dell'Io; non si può considerare una componente della personalità allo stesso livello delle intenzioni relazionali, ma influenza parimenti il nostro comportamento. Ecco che allora i livelli non sono più netti, si mescolano; risulta indispensabile, per capire l'organizzazione dell'Io, una considerazione dei fattori biologici, ma tali fattori non possono essere considerati allo stesso livello delle sensazioni e dei pensieri cui essi danno vita, proprio come non avrebbe senso considerare i processi cerebrali che determinano la percezione e il pensiero come una componente della personalità. I derivati dell'Es, resi impersonali dai processi della rimozione, sono nemici dell'integrità dell'Io, perché l'Io è un territorio avverso agli istinti. Si ipotizza spesso che una mancanza di rispecchiamento genitoriale porti alle attuali difficoltà dei soggetti sottoposti ad indagine, ma purtroppo non è sempre possibile effettuare un'indagine di follow back risalendo all'indietro nel tempo. Interessante chiave interpretativa del disagio della società contemporanea, viene proposta da Doi (1973) il quale identifica l'angoscia di separazione dalla figura materna e l'angoscia dell'estraneo (Hitomishiri), come cause di una società caratterizzata da legami distanti e formali quali quelli che si stabiliscono nei rapporti di affari. Non dimentichiamo che la psicanalisi è iniziata con lo studio di un fenomeno, la conversione, cioè una trasposizione del conflitto psichico (nel tentativo di risolverlo) in sintomi che interessano i nervi motori, come certe paralisi, o in sintomi sensoriali, come nel caso di insensibilità o dolori localizzati. Freud studiò tre tipi di patologie in un’ottica psicosomatica: la nevrosi di angoscia, la nevrastenia e l’ipocondria. Secondo lui, l’eziologia di queste nevrosi è somatica, mentre nell’isteria e nella nevrosi ossessiva è psichica. Nel 1963 Georg Groddeck fornisce una concezione nuova delle malattie somatiche. Il suo Es è somatico e psichico. Oltre all’inconscio del pensiero cerebrale, esisterebbero inconsci analoghi in altri organi, cellule, tessuti. Grazie allo stretto legame tra questi inconsci e l’organismo, analizzando l’inconscio cerebrale, si ottiene un’influenza curativa su ognuno di essi. Alcuni disturbi psicosomatici viscerali sono interpretati sulla base di meccanismi di conversione simbolica. L’Io adotta varie strategie per fronteggiare la portata ansiosa di un evento. Raramente i meccanismi di difesa intervengono separatamente: nella maggior parte dei casi sono combinati per dominare l'evento o l'effetto. I meccanismi di difesa sono funzioni di un Io stabile, servono a gestire le comuni richieste pulsionali sia interne, sia dell’ambiente lavorativo. Si tratta di funzioni fondamentali per l'adattamento. Oltre ai meccanismi di regolazione propri della vita quotidiana (atteggiamenti amorosi, affettuosi, riso, pianto, urlo, preghiera, attività onirica), tutti meccanismi che l’Io impiega per far fronte alle perturbazioni, esistono meccanismi di regolazione dello stress più forte: sono i meccanismi di regolazione omeostatica. L’Io, in un’ottica psicanalitica (Menninger, K.A. 1951), quando i meccanismi di risposta allo stress quotidiano vengono meno, sviluppa una serie di diverse reazioni. Esaminiamole brevemente: Meccanismi di regolazione del I livello Quando il potere di autocontrollo sembra venire meno, gli individui sviluppano ipersopressione; se è presente irrigidimento verso gli altri, è iperrepressione. L’ipervigilanza è caratterizzata da insonnia; lo stato iperemozionale si manifesta invece con riso isterico, attacchi di panico, rabbia e depressione. Il meccanismo d’ipercompensazione trasla l’aggressività su altri piani, per esempio, sognare a occhi aperti. Meccanismi di regolazione del II livello Sono caratterizzati da un parziale distacco dalla realtà; l’Io sacrifica alcune funzioni essenziali, ritirandosi, abbandonando il principio di realtà. La fuga attraverso la dissociazione avviene tramite modificazioni interne degli stati di coscienza, svenimento, amnesia; sono fughe passeggere che servono ad alleviare le pene. Nelle fughe per trasferimento l’Io di ogni individuo proietta le sue intenzioni aggressive su una persona innocente che gli serve per sbloccare le sue pulsioni aggressive. L’impiego di frasi o comportamenti rituali aiuta ad arginare l’istinto di distruzione, i comportamenti compulsivi, piromania o cleptomania permettono di gestire le tensioni. Sacrificio automutilazione, tossicomania, ipocondria, simulazione di malattie somatiche, permettono di stabilire un equilibrio tra le forze conflittuali della realtà, delle pulsioni e della coscienza. In sintesi, l’Io non considera questi meccanismi acquisizioni permanenti. Meccanismi di regolazione del III livello L’emergenza incontrollabile di pulsioni istintuali pericolose indotte dallo stress può portare a una rottura dell’Io, cioè ad una disorganizzazione psicosomatica dell’io. Gli individui si trovano di fronte a due tipi di eventi traumatizzanti: Stress permanente con effetti durevoli, cronico; Stress acuto o sequenziale con effetti episodici, temporanei, ricorrenti. Le reazioni sono caratterizzate da violenza o da esplosioni di rabbia incontrollate, rabbia che si può rivolgere contro se stessi o portare a suicidi o automutilazioni, o perversioni sessuali. Meccanismi di regolazione del IV livello La rottura disorganizzatrice dell’Io può essere irreparabile; l’istanza di regolazione appare esaurita o danneggiata in maniera semipermanente. Il senso di distruzione assume la forma di un ripudio totale della realtà, accompagnato a profondi disturbi nelle relazioni interpersonali, sparizione del desiderio sessuale, stati di delirio allucinatori psicotici, disturbi della parola, stati paranoici, epilessia. E’ a questo prezzo che si evita la catastrofe finale della dissoluzione dell’apparato psichico. Meccanismi di regolazione del V livello Gli istinti di morte e di esaurimento possono condurre alla morte. 8. Un modello analitico: lo Spazio Extralinguistico Intenzionale (S.E.I.) “I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”. Ludwing Wittgestein (1921) Il compito dell’esperto che si occupa della protezione e gestione dei fattori di rischio da stress correlato al lavoro è da ritenersi incluso in una prospettiva di “emergenza”, intendendo il termine sia come situazione allarmante, sia come necessità di attuare una visione analitica emergente, globale. Spesso ci si interroga sul grado di influenza che i sistemi linguistici non verbali hanno sui processi evolutivi e lavorativi. Tra i sistemi linguistici non verbali, il linguaggio visivo, il linguaggio cinesico, della danza, erotico, fisiognomico, gastronomico, grafologico, della moda, della magia, olfattivo, prossemico. Operando in simultaneità, i sensi sono in grado di cogliere nel medesimo ambiente diversi segni; ma ogni senso, attraverso il suo proprio linguaggio, compie delle decodificazioni specifiche, importanti per la previsione dei comportamenti di comunicazione e relazione. Comune a tutti i linguaggi non verbali esiste la categoria di intuizione come realtà dell’espressione in tutte le sue forme: foniche, plastiche, iconiche, grafiche, cinesiche, musicali, ecc. Riconoscere l’importanza dei linguaggi non verbali richiede capacità di simbolizzazione; è la sfera della “cultura non detta” o inconscia, in cui i fenomeni sono intuitivi, difficilmente quantificabili ma spesso di incidenza fondamentale sui fattori psicosociali di rischio stress correlato al lavoro. L’interpretazione simbolica, affermò Sperber (1974), si appoggia a un sapere implicito e ubbidisce a regole inconsce; le difficoltà si presentano nel trarre, da una massa di fatti empirici, le costanti che ci possano permettere di costruire dei significati formali. I linguaggi non verbali costituiscono strutture complesse che agiscono attraverso pratiche e campi di comunicazione specifici, diversamente organizzate rispetto a quelle tipiche del linguaggio fonico/denotativo codificato. Alcuni linguisti hanno ritenuto fondamentale l’ambito di tali linguaggi non verbali denominandolo ambito extralinguistico. I codici del suddetto ambito comunicativo si esplicano come riti, opere d’arte, semplici schemi operativi e lavorativi della vita quotidiana, ecc. I segni paralinguistici/parafonetici o vocali non verbali, sia spontanei sia intenzionali, risultano spesso determinanti nei processi di comunicazione. Questo aspetto del linguaggio è stato indagato inizialmente dalla sfera linguistica dei Tratti soprasegmentali o prosodia. La nuova sezione della linguistica denominata paralinguistica si occupa dello studio degli elementi fonici para o sopra linguistici, impostato sul concetto di intonazione linguistica. L’intonazione è il risultato delle varie componenti prosodiche microstrutturali come tonalità, accento, durata, sovrapposte e combinate ai timbri dei foni che costituiscono le sillabe. Si producono così macrostrutture prosodiche definite come: prominenza, ritmo, pause, velocità e gruppi ritmici pausali e intonativi. Tali aspetti influiscono sul significato delle espressioni verbali e non verbali; in particolare, sui linguaggi cinetici, cinesici e prossemici. Spesso l’accento della voce esprime l’appartenenza a un determinato gruppo o status sociale, e la sua qualità indica caratteristiche personali. Monosillabi o interiezioni o segregati vocali come ah, uhm, ehm, uh, uff, ecc., accompagnano le cinesiche, le comunicazioni olfattive, alimentari e i riflessi vocali come starnuti, sbadigli, tosse; indicano spesso l’umore dei partecipanti alle interazioni. La comunicazione extralinguistica è particolarmente interessata allo studio dei correlati fonetici delle emozioni; distingue tra emozioni spontanee ed emozioni modificate volontariamente o simulate a scopo d’inganno. Chi opera come valutatore e facilitatore negli ambiti lavorativi, deve essere consapevole dello spazio extralinguistico che caratterizza i rapporti umani. Sono nuclei di congiunzioni comunicative individuali che incontrano altri nuclei; è incontro di più universi simbolici. Forze centrifughe di differenziazione e forze centripete di assestamento e rafforzamento producono effetti che a volte annullano, a volte cambiano le morfologie biologiche; fattori inerenti ai linguaggi non verbali e agli insiemi linguistici extraverbali agiscono almeno in parte al di sotto del livello di co- scienza condizionando le potenzialità dei rischi da stress correlato al lavoro. Possiamo a questo punto della ricerca concepire un sistema di rappresentazione dello spazio extralinguistico intenzionato. Potremmo utilizzare un paradigma proprio della filosofia della mente e attuare un’analisi rappresentazionale, scegliendo di analizzare certe proprietà del problema che devono essere definite. Vengono descritti i sistemi coscienti come sistemi rappresentazionali e gli stati coscienti come stati rappresentazionali. Lo spazio extralinguistico intenzionale è lo spazio della comprensione, la competenza comunicativa, la costruzione delle attività organizzate e del concepimento delle invenzioni. Fig. 1 Rappresentazione del nucleo semiotico o elemento dello spazio extralinguistico Lo spazio extralinguistico intenzionale è raffigurato da una serie infinita di epicentri che lo occupano. Ogni nucleo è composto da un esauriente processo semiotico ben definito: gli input generali fluiscono in modo circolare intorno a tale centro e lo avvolgono; l’azione dinamica, caratterizzata da innumerevoli feedback, si evolve in output. Il flusso dell’agire compone il contesto: correlati intenzionali oggettivi, credenze filosofiche, percezioni mentali, intelligenza connettiva, memorie e sfere passionali. L’ego intenzionato codifica; il messaggio prodotto arriva all’ego ricevente, che decodifica. L’ambito extralinguistico intenzionale è composto di infiniti nuclei, ed è caratterizzato oltre che da innumerevoli feedback indispensabili ai nuovi output, dal processo di ricodificazione o codeswitching, cioè il passaggio da un codice all’altro. Sono i modi e i gradi della comprensione reciproca e tutti gli aspetti linguistici a essa collegati. Fig.2 S.E.I. La teoria si applicherà in un’ottica fenomenologica attraverso il concetto d’intenzionalità, poiché è tale astrazione che permette la formazione e la mediazione di senso. L’intenzionalità è un processo proprio della conoscenza; nel nostro modello teorico le intenzioni sono primariamente conoscitive e non pratiche. È perciò necessario educare alla piena consapevolezza del S.E.I. È un modello di comunicazione generativo emergente, funzionale ai processi di integrazione, adeguato alla regolazione delle comunicazioni. Il fine è di “inquadrare” il processo di adattamento. I problemi linguistici e della comunicazione sono ovunque e possono sicuramente deteriorare le energie sinergiche che circolano in un’azienda. Definiremo, in accordo con De Mauro (1982), questo tentativo “esplorazione”; se descrivere un linguaggio è descrivere una forma di vita, interpretare i suoi segni significa confondersi con la vita stessa; come avviene nel mimetismo degli animali, o ci si modifica o si è mangiati. Glossario Acting out Espressione della tensione emozionale mediante il comportamento in una situazione che non ha nulla a che fare con l’origine della tensione; comportamento impulsivo aggressivo asociale. Benessere organizzativo L’insieme dei nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzative che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro, promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità lavorative”. (Avallone 2003). Bossing Procedimento di molestia; il bossing è attuato da parte del diretto superiore, detto in questo caso mobber, nei confronti del dipendente. Comunicazione extralinguistica Insieme di fenomeni facenti parte delle strutture linguistiche, ma esterni alla struttura propria del linguaggio verbale, come la cultura in genere e tutti i fattori socio/psico/percettivi. Conflitto Incapacità di vivere una contraddizione; accumulo di ansietà che porta a respingere nell’inconscio una o più alternative di scelta. Confusione Rappresenta l’altra faccia dell’intenzionalità comunicativa; è comunicazione patologica e paradossale. Distress Con il termine distress si indica un fallimento cronico adattivo alla risposta psicofisiologica di stress. Eucrasia Si tratta di una situazione di stress ai limiti superiori della norma ma che viene rilevata dal soggetto come pura quotidianità. Eustress L’energia ben utilizzata permette una maggiore sintonia tra l’individuo e i suoi obiettivi rispetto all’ambiente. Eziologia Deriva dal greco (aitia = causa e logos = parola/discorso) ed è utilizzato in medicina, diritto, filosofia, fisica, teologia, biologia e psicologia in riferimento alle cause che provocano i fenomeni. In linea generale, si tratta dello studio e dell'approfondimento sul motivo per cui alcuni eventi o processi si verificano. Feedback Indica un meccanismo comunicazionale individuato in cibernetica e fisica; è un meccanismo psicologico e linguistico di autoregolazione, che presiede ai circuiti di controllo della comunicazione. Feeling management Dominio esercitato sui sentimenti. GAS General Adaptation Sindrome, Sindrome generale di adattamento; stress è una risposta generale aspecifica a qualsiasi richiesta proveniente dall’ambiente. Istinto Risposta organizzata che predispone all’azione automatica. L’istinto è la reazione tipica di una data specie che è filogeneticamente adattata a una determinata situazione ambientale, è un impulso innato che ci conduce ad azioni, un comportamento animale fissato dall’ereditarietà. Mastering Situazione di padronanza, di potere e di controllo dell’individuo sulla situazione. Motivazione Fattore dinamico o “spinta biopsichica” che appartiene al comportamento animale e umano. Questo fattore si traduce in energia e attiva o dirige un organismo verso una meta. Noise Rumore; indica segnali acustici, visivi, cinesici e termoelettrici, che si sovrappongono a quello che si vuole trasmettere. Disturbo nella comunicazione. Paralinguistica Studio degli elementi fonici non verbali che accompagnano la comunicazione, impostato sul concetto d’intonazione (tonalità della voce, forza, durata, emissione, qualità ecc.). Parologia Disturbo dei processi mentali che provoca illogicità nel pensiero. Percezione Attività che ci permette, attraverso la selezione e l’organizzazione degli stimoli sensoriali, di ordinare il mondo in insiemi dotati di senso e significato. Pulsione La componente psicologica più complessa del bisogno. Secondo Freud è il rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall’interno del corpo e pervengono alla psiche. Rischi psicosociali Aspetti di progettazione, organizzazione e gestione del lavoro, nonché i rispettivi contesti ambientali e sociali, che potenzialmente possono creare danni fisici o psicologici (Cox e Griffiths, 1995). Runway Perdita di stabilità di un sistema dovuta all’amplificazione incontrollata di una deviazione. Semiosfera Sfera di azione degli atti comunicativi; situazione, contesto, spazio semiotico, tempo mentale e immaginativo, sociosfera. Semiosi Atto di comunicazione semiotica. Relazione biunivoca tra forma dell’espressione e forma del contenuto che produce il segno linguistico; atto di produzione segnica, attività significativa, significazione. Sintomo Ogni evento connesso con un cambiamento dello stato fisiologico. Stalking occupazionale Una forma di stalking in cui l’effettiva attività persecutoria si esercita sulla vita privata della vittima, ma la cui motivazione proviene invece dall’ambito lavorativo da parte di uno stalker. Stimolo Qualsiasi manifestazione o variazione di energia all’esterno o all’interno dell’organismo. Strain Termine utilizzato in alternativa al termine stress come connotazione negativa di una situazione di stress per indicare lo sforzo psicologico e psicofisiologico di un individuo a fronte delle domande ambientali, in particolare lavorative, o a fronte di difficoltà adattive alle stesse. Straining Stress forzato costante su un aspetto lavorativo da parte di uno strainer. Stress lavoro-correlato (Work-related stress) costellazione di reazioni che si verificano in presenza di richieste lavorative non appropriate alle conoscenze, competenze e abilità dei lavoratori, e che mettono alla prova le loro capacità di farvi fronte. Stressors Agenti o cause che determinano lo stress; si è soliti in questo caso, parlare di stressors, accadimenti o agenti nocivi. Tecnostress Si utilizza il termine Tecnostress, quando si fa riferimento alle persone che lavorano in ambienti ad alta tecnologia e ci si riferisce a loro crisi di angoscia e depressioni, effetti di un ambiente disumanizzante. Il tecnostress assume forme diverse: dalla rapidità con cui chi lavora in un supermercato passa allo scanner l’etichetta di un prodotto, alla velocità di risposta degli operatori di callcenter. L’aumento di apparecchi elettronici, computers, telefoni cellulari, ecc. Agevola il contatto tra le persone in qualsiasi momento ma porta anche alla progressiva sparizione dei contatti. Personali. Quest’ambiente elettronico ha effetti vari sulla psiche. Trauma emozionale Emozione violenta che lascia un’impressione duratura nella mente. Bibliografia Aiello, Deitinger, Nardalla, Valutazione dei rischi psicosociali (VARP), Milano, FrancoAngeli, 2012 Aragona, M. - Di Geronimo, L., Il training autogeno e lo stress, Messina, EDAS, 1987 Aragona, F., - Aragona, M., Fisiopatologia dello stress, Melino- Nerella edizioni, 2009 Arcuri, F. P., - Ciacia, C., - Laureti, S., - Gentile, P. Manuale di utilizzo del sistema SVS per la valutazione del rischio stress lavoro-correlato, Roma, Edizioni Palinsesto, 2011 Argentero, Cortese, Piccardo, Psicologia del lavoro, Milano, RaffaelloCortina, 2008 Ascenzi, A., - Bergagio, G. L., Il mobbing, il marketing sociale come strumento per combatterlo, Torino, Giappichelli, 2000 Avallone, F., Psicologia del lavoro e delle organizzazioni, Roma, Carocci Editore, 2011 Avallone, F. – Paplomatas, A,. 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Una lettura assolutamente originale ed interessante che parte addirittura dagli antichi e in una carrellata di diversi stili di acconciature esplora i cambiamenti del costume e del linguaggio nonché della moda fino ai giorni nostri. Il libro è corredato da illustrazioni e immagini che lo rendono originale e gradevolissimo da leggere. €5.90 http://www.curciostore.com/ e-book http://www.rs-ergonomia.com/stress-lavoro-correlato/ ELISABETTA CERONI Ha insegnato Pedagogia, Psicologia e Tecniche delle Comunicazioni nella scuola secondaria; svolge dal 2008 la professione di Pedagogista.(ANPE) Esperta dei Linguaggi della Comunicazione, ha collaborato con la Cattedra di “Teoria e Tecniche delle Comunicazioni di Massa” dell’Università Degli Studi di Firenze. Counseling service, relazioni di aiuto alla persona, Valutazione dei fattori di rischio psicosociali stress lavorocorrelato.