Creatività e crisi dell`epoca in Nikolaj Aleksandrovič

CREATIVITÀ E CRISI DELL’EPOCA IN NIKOLAJ
ALEKSANDROVIČ BERDJAEV
DI ANDREA BOSCHET
LA CRISI DELL’EPOCA
1. La crisi: un proteo dalle molteplici facce
Stando così le cose, viviamo […] in un’era nella quale gestiamo
la produzione della nostra stessa distruzione
(ciò che non sappiamo è solo il momento in cui essa avverrà)1.
Lo spirito si chiude, e sono di nuovo un essere umano
sulla superficie della terra2.
Il riconoscimento e la fede nel valore assoluto della persona, fondato su
quello divino, costituisce il nodo a partire dal quale Berdjaev analizza il
processo storico in cui questo valore si è totalmente dissolto, generando
la crisi dell’uomo e della società, e sottolineando come l’aspetto politico
non è che la manifestazione più appariscente della grande crisi spirituale
dell’epoca: “La nostra epoca è caratterizzata da una tensione e da una crisi
della coscienza che si manifestano a tutti i livelli”3.
1
2
3
G. A NDERS, L’uomo è antiquato, Vol. II, Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza
rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 13.
O. SPENGLER, A me stesso, Adelphi, Milano 1993, p. 57.
N.A. BERDJAEV, Il senso della creazione. Saggio per una giustificazione dell’uomo, Jaca Book,
Milano 1994, p. 62.
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La causa fondamentale di tale crisi è lo spostamento del baricentro
dal divino all’umano, che provoca una naturalizzazione dell’uomo e la
secolarizzazione di ogni aspetto del reale, i cui esiti sono rinvenibili in un
presente in cui l’immagine dell’uomo si è completamente disintegrata, in
una realtà anch’essa atomizzata.
L’inizio di questo processo di deviazione, da cui consegue la crisi irreversibile della civiltà moderna, viene individuato da Berdjaev nell’umanesimo rinascimentale, nell’assurda pretesa prometeica dell’uomo di diventare autonomo creatore, emancipato da Dio, “l’uomo si è staccato dal
centro religioso al quale tutta la sua vita era stata sottomessa durante il
Medioevo. Ha voluto procedere per una via libera e indipendente”4. Ma la
totale e incondizionata fiducia in se stesso e nel proprio potere è, agli inizi
del Rinascimento, solo un sintomo di quella che poi sarà la tragedia del
mondo contemporaneo.
Con tono incalzante Berdjaev traccia quindi la parabola dell’umanesimo, dall’iniziale speranza post-medievale d’affermazione dell’uomo al
tramonto delle illusioni che si rivelano drammatiche e paradossali. Drammatiche perché scompare l’integrità dell’uomo che perde i propri confini
precipitando nel caos e riducendo la sua esistenza alla sola superficie unidimensionale, paradossali poiché nella presuntuosa ambizione di autoaffermarsi, negando la sua vera natura ad immagine e somiglianza di Dio,
l’uomo si perde invece di ritrovarsi, “Il libero vagabondaggio dell’uomo
che non riconosce più alcuna autorità superiore, lungi dal consolidare la
sua fede in se stesso, ha invece irrimediabilmente indebolito quella fede
e compromesso la coscienza che egli aveva della propria identità. L’umanesimo non ha rafforzato l’uomo, lo ha debilitato”5. La dialettica fatale
dell’umanesimo non si esaurisce allora solo nell’eliminazione di Dio, ma
culmina con la scomparsa stessa dell’uomo dal momento che, negando
Dio, si nega per effetto anche quel nucleo inviolabile di umanità dell’uomo
stesso che è fatto ad immagine e somiglianza del Creatore, “l’uomo senza
Dio cessa di essere uomo”6. L’apice di questa dimenticanza e rifiuto interiore dell’uomo, di questo processo di emancipazione umana, vengono
4
5
6
N.A. BERDJAEV, Nuovo medioevo, Fazi Editore, Roma 2004, p. 8.
N.A. BERDJAEV, Nuovo medioevo, Fazi Editore, Roma 2004, p. 6.
Ivi, p. 46.
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indicati dal Nostro in due correnti di pensiero: l’individualismo estremo
e il socialismo estremo, vale a dire rispettivamente Nietzsche e Marx. “In
Nietzsche l’umanesimo rinuncia a se stesso e si distrugge nella sua forma
individualista”7, Berdjaev trova tutto ciò espresso nelle parole di Zarathustra, per il quale 1’uomo è una vergogna e un disonore che deve essere superato. Tale superamento avviene nell’idea del superuomo il quale esprime
la negazione dell’uomo e l’esigenza appassionata di trovare una risposta
alla crisi dell’umanesimo. In Nietzsche allora, “carne della carne e sangue del sangue dell’umanesimo e insieme vittima sacrificata per i peccati
dell’umanesimo”8, si coglie l’estrema tensione di un pensatore che si sente
investito di un compito epocale e che vive e soffre una nuova concezione
del mondo. Il superuomo nietzschiano che “sostituisce il Dio perduto”9
ha le stesse sembianze del dostoevskiano «straordinario» Raskol’nikov, emblematica espressione della rovina a cui l’uomo è condannato allorquando
vuole affermare se stesso oltre ogni limite.
“Ugualmente l’uomo perisce nel sovrumano collettivista di Marx”10,
poiché la presunta liberazione dell’individuo dall’alienazione conseguente ai rapporti di produzione, si trasforma in realtà in un vero e proprio
annientamento all’interno di una collettivizzazione rigorosamente controllata e organizzata. Lo stesso amore per l’uomo risulta falso perché
“non era fondato sul vero rispetto dell’uomo, uguale e fratello nell’Unico
Padre; ma da una parte era compassione e pietà per l’uomo del popolo
e dall’altra si convertiva in culto dell’uomo e del popolo”11. Inoltre per
Berdjaev la rivoluzione autentica è quella spirituale, che dà luogo alla rigenerazione continua dell’uomo, e non quella storica della quale coglie
lucidamente i limiti e le conseguenze fallimentari, all’indomani della presa
di potere da parte dei bolscevichi. Il ruolo assegnato alla classe proletaria,
oppressa e schiavizzata, di annientare la società capitalistica e instaurare
un razionalismo sociale basato sui valori di giustizia e libertà è solo frutto
di un giudizio di valore e non una constatazione di fatto, considerato che
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11
Ivi, p. 28.
N.A. BERDJAEV, Il senso della storia, Jaca Book, Milano 1971, p. 130.
N.A. BERDJAEV, Nuovo medioevo, Fazi Editore, Roma 2004, p. 29.
Ibidem.
N.A. BERDJAEV, La verità filosofica e il vero dell’intelligencija, in La svolta. Vechi.
L’intelligencija russa tra il 1905 e il 17, Jaca Book, Milano 1970, p. 17.
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essendo il proletariato sfruttato e alienato nel presente, potrebbe essere,
una volta raggiunto il potere, sfruttatore e oppressore. L’azione, o meglio la re-azione, del proletariato è perciò simile a quella degli «schiavi »
di nietzschiana memoria. Essendo il singolo assorbito nel collettivismo
sociale, che costituisce un’alternativa divinità idolatrica - “la collettività
sostituisce in Marx il Dio perduto”12 - diviene immagine non più di Dio,
ma dell’ambiente sociale, della sua classe d’appartenenza. Come confermerà anche Heidegger, nel marxismo “l’uomo non esce dall’«animalitas»
perché l’umanesimo di Marx non si preoccupa di riconquistare l’essenza
dell’uomo quale riposa nella sua esistenza”13, conseguenza questa proprio
del fatto che la totalità della natura umana viene identificata solamente
con la sfera sociale, con la totalità dei bisogni. La scomparsa dell’uomo,
la perdita dell’unità e della vita si imprime in modo evidente non solo nei
rapporti che esso ha con l’ambito sociale, ma in tutte le sfere dell’essere.
Ne è esempio evidente la crisi che pervade la cultura, e in particolar
modo le produzioni dell’arte contemporanea, in cui non è più possibile
ritrovare l’immagine integra di un essere umano. Allontanandosi dalla
fonte religiosa, autentica espressione di quella creatività capace di trasfigurare e rigenerare la natura raggiungendo la Bellezza, viene meno una delle
caratteristiche fondamentali della produzione artistica, così ben espressa
dal poeta russo Brodskij, ovvero che “il potenziale positivo dell’uomo si
manifesta perfettamente nell’arte”14. “Ma la forza che agisce con maggior
violenza e deturpa realmente il volto della terra, che disumanizza e spersonalizza il popolo, non è il capitalismo in quanto sistema economico, è la
tecnica e i suoi miracoli”15.
Il rapporto che l’uomo instaura con la natura diviene essenzialmente conflittuale nel momento in cui egli tende sempre più a sfruttarla
tramite la tecnica. L’uomo contemporaneo diviene completamente assuefatto dall’onnipotenza della tecnica da lui stesso creata, la trasforma in
un idolo cui può sacrificare ogni cosa, in nome di un’incondizionata fede
ottimistica.
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13
14
15
N.A. BERDJAEV, Nuovo medioevo, Fazi Editore, Roma 2004, p. 29.
M. HEIDEGGER , Lettera sull’umanismo, Adelphi, Milano 1995, p. 46.
I.A. BRODSKIJ, Meno di uno, in Fuga da Bisanzio, Adelphi, Milano 2004, p. 213.
N.A. BERDJAEV, Il destino dell’uomo nel mondo contemporaneo, Bompiani Editore, Milano
1947, p. 66.
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Nell’analisi di Berdjaev, la tecnica assume le sembianze della illusoria «gabbia d’acciaio» weberiana proprio perché prima si presenta, con
le sue conquiste, come « il mantello » del miracolo che protegge l’uomo e
ne allevia le molteplici fatiche quotidiane, e poi come una «gabbia » che lo
imprigiona col suo potere sovrumano, sottomettendolo ad una schiavitù
umiliante. La tecnica si ritorce contro l’uomo, con uno sguardo distaccato, freddo, che tende a reificarlo, ad oggettivizzarlo, rendendolo cosa
fra le cose.
Inoltre nella crisi dell’epoca contemporanea si presenta un’ulteriore
sproporzione, ovvero quella tra l’incessante produzione del superfluo e ciò
di cui realmente si necessita. Sintomo questo di una costante confusione,
che non permette più all’uomo di discernere l’essenziale dall’eccedente.
Con il tono sorprendentemente profetico della sua analisi critica sul dominio della tecnica, il filosofo di Kiev sembra anticipare di parecchi anni
quello che il pensatore tedesco Günther Anders definirà, nelle sue riflessioni sul tecno-totalitarismo, «dislivello prometeico» ossia il netto divario tra
ciò che produciamo e quello che possiamo usare, “tra il massimo di ciò
che possiamo produrre e il massimo (vergognosamente piccolo) di ciò di
cui possiamo aver bisogno”16. […]
L’alternativa prospettata dal Nostro è pertanto quella di affidare allo
spirito il compito di definire il proprio rapporto con la tecnica, di spiritualizzare l’agire tecnico, dovere questo cui è esortato l’autentico cristiano
che, riscoprendo le proprie radici e ristabilendo il contatto con il divino, è
in grado di indirizzare in modo creativo l’atteggiamento verso una nuova
realtà, “lo spirito può essere organizzatore, può dominare la tecnica per i
propri fini spirituali, ma dovrà opporsi a tutto ciò che vuole trasformarlo
in uno strumento del processo tecnico organizzativo”17.
16
17
G. A NDERS, L’uomo è antiquato, Vol. II, Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza
rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 12.
N.A. BERDJAEV, La condizione spirituale del mondo contemporaneo, in Pensieri controcorrente,
La Casa di Matriona, Milano 2007, p. 52.
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2. Una menzogna che deforma
È a voi stesso che non dovete mentire, soprattutto. Chi mente a se stesso e ascolta le
proprie menzogne, arriva al punto di non poter più distinguere la verità,
né dentro né fuori, né intorno a sé, e così comincia
a non avere più stima né di se stesso, né degli altri18.
Il rifiuto di partecipare personalmente alla menzogna.
Anche se la menzogna ricopre ogni cosa, anche se domina dappertutto, su un punto
siamo inflessibili: che non domini per opera mia!19.
Nell’efferatezza del primo conflitto mondiale e nella successiva ascesa al
potere dei regimi totalitari, Berdjaev trova conferma della fallimentare impresa della storia moderna, di quanto la persona umana avesse cessato di
essere non soltanto un valore superiore, ma un valore qualunque. In una
società che è sempre meno religiosa e nella quale il centro di gravità si sposta dalla vita interiore a quella esteriore, manipolando lo spirito secondo
le leggi della materia, si attua il “passaggio dalla Kultur alla Zivilisation”20.
Questa coppia opposizionale, già usata da Spengler nella sua opera Il tramonto dell’occidente, esprime quel processo di declino cui è destinata la cultura occidentale in ogni sua forma, dato che la «Kultur» si riferisce alla
somma dei valori e dell’identità spirituale, e ad un momento di ascesa e di
fioritura di un popolo, mentre la «Zivilisation» è indice solo del progresso
materiale, dell’avanzamento scientifico e del padroneggiamento tecnico
del mondo. Affermare allora il trionfo di una civilizzazione “senza anima
e senza Dio”21 vuol dire segnare contemporaneamente il tramonto della
cultura. […]
18
19
20
21
F.M. DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov, Vol. I, Edizioni San Paolo, Cinisello
Balsamo (Mi) 1995, p. 74.
A.I. SOLŽENICYN, Vivere senza menzogna, in La verità è amara, Maurizio Minchella
Editore, Milano 1995, p. 5.
N.A. BERDJAEV, Nuovo medioevo, Fazi Editore, Roma 2004, p. 83.
N.A. BERDJAEV, Il senso della storia, Jaca Book, Milano 1971, p. 173.
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Ma la forma estrema di oggettivazione dell’esistenza umana si ha
nel regime totalitario, che impone una dittatura ideologica sullo spirito, e
concretizza un’uguaglianza-negativa, poiché invece di tendere ad un’elevazione «universale-aristocratica» dello spirito, conferendo reale dignità all’uomo, proietta quest’ultimo verso l’esterno, verso la superficie del
mondo, attuando un inutile ed illusorio livellamento generale. Il comunismo e il nazional-socialismo sono le due varianti del fenomeno totalitario
caratterizzante il ventesimo secolo, che si distinguono per le rispettive
ipotesi - trasformate poi attraverso la menzogna in dati di fatto, in realtà
condivise - sulle quali costruiscono il proprio dominio ideologico.
La critica al totalitarismo si sostanzia, in Berdjaev, nella rivendicazione della dimensione metafisico-assiologica del singolo, soffocato dalla
morsa ideologica che rende la sua vita unidimensionale. Il riconoscimento del valore assiologico non è dunque un’idea astratta, ma è, al contrario,
strettamente connessa alla realtà concreta della vita, poiché il principio
spirituale che lo costituisce determina effettivamente l’unità e l’integralità interiore dell’uomo. Sono proprio tali caratteristiche che rafforzano,
per il Nostro, il concetto di persona, e solo come persona l’uomo - ad
immagine di Dio - avverte e vive il dramma dell’aspirazione all’infinito
attraverso il continuo superamento del finito, solo come persona l’uomo
è libero ed autentico creatore che trascende ripetutamente la contingenza
del mondo materiale. È da notare però che la concezione berdjaeviana
di apertura all’infinito non implica solamente la proiezione verso la dimensione trascendente, ma coinvolge in sé anche l’attraversamento di
«questo mondo» e quindi la realizzazione nel finito; proprio in tal senso
l’uomo si pone come punto di intersezione tra due mondi e la sua vita si
esprime in una “continua lotta tra spirito e natura, libertà e necessità, tra
indipendenza e dipendenza”22 . Viceversa l’individuo plasmato e plagiato
dal potere della menzogna totalitaria è un uomo che non vive, ma si
limita a sopravvivere, omologandosi e conformandosi ad una realtà data,
costruita artificiosamente, che ne atomizza e deforma l’immagine e lo
rende schiavo della necessità, non permettendogli di scoprire la ricchezza
spirituale di cui è potenzialmente portatore. […]
22
N.A. BERDJAEV, Schiavitù e libertà, Comunità, Milano 1952, p. 19.
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In questa atmosfera critica, Berdjaev indica la menzogna come il potente ed efficace strumento utilizzato dal dominio totalitario per portare
a compimento il proprio abietto scopo: trasformare la condizione umana
rimodellando l’uomo ad immagine di un’unica umanità, nella quale non
sia più possibile distinguere i suoi molteplici appartenenti, “La menzogna è
il fondamento primo dei cosiddetti Stati totalitari, che senza la menzogna
organizzata non avrebbero mai potuto essere edificati”23. Nella menzogna
totalitaria avviene dunque una vera e propria manipolazione della realtà.
Berdjaev intuisce quindi una notevole differenza tra la menzogna «tradizionale-machiavellica» e quella «socialmente utile» del regime totalitario;
di fatto mentre la prima non viene affatto riconosciuta come un principio
supremo e riguarda segreti e asserzioni false, alle quali comunque si oppone
una verità rivelatrice, nella seconda la coscienza dell’uomo viene deformata
a tal punto “che si pone il problema di un radicale cambiamento nel rapporto con la verità e la menzogna, il problema della scomparsa del criterio
stesso di verità”24. La menzogna totalitaria perciò non si propone solamente
di ingannare l’uomo, ma di agire riconfigurando la realtà stessa, ridefinendone i confini. Il dominio totalitario riesce di fatto a far sparire la realtà data
sotto quell’idea che funge da premessa indiscussa del progetto ideologico; e
che l’idea sia quella della razza superiore ariana che deve dominare la terra,
o quella di una società senza classi, il fine del regime totalitario consiste
sempre nell’eliminare ciò che potrebbe, anche minimamente, contraddire
l’assunto di partenza. Una simile menzogna, così sofisticatamente artefatta,
si rivela, secondo Berdjaev, al contempo costruttiva e distruttiva, difatti essa
ri-costruisce una realtà a suo favore, ma annienta il criterio di verità, e con
esso la struttura autentica della coscienza umana, “la menzogna può favorire l’organizzazione della società e dello Stato. Ma distrugge interiormente
la persona”25. Si può affermare allora che nel regime totalitario si presenta
un vero e proprio capovolgimento di ruoli: non più con la forza si infonde
la menzogna, ma con la menzogna si acquisisce la forza, il potere; “il potere
non è del più forte, ma dell’incantatore”26. […]
23
24
25
26
N.A. BERDJAEV, Il paradosso della menzogna, in Pensieri controcorrente, La Casa di
Matriona, Milano 2007, p. 19.
Ivi, p. 18.
Ivi, p. 21.
A.D. SINJAVSKIJ, Una voce dal coro, Garzanti, Milano 1975, p. 145.
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Facendo sua la lezione di Dostoevskij, Berdjaev tende, con queste
riflessioni, a spostare l’asse del discorso dal piano prettamente morale a
quello ontologico, sottolineandone le conseguenze.
Il Nostro osserva infatti come la reiterazione sistematica della
menzogna fa perdere anche all’ingannatore stesso il contatto con il mondo reale, con la verità. L’uomo menzognero fi nisce ad un certo punto
per essere travolto dalla sua stessa menzogna, ancora una volta, come
nella tecnica, diviene vittima del suo prodotto. È dunque la struttura
ontologica dell’uomo ad essere deformata, la sua coscienza personale
ad essere modificata, adombrando così il prezioso ed irripetibile nucleo
inviolabile della propria personalità, e facendo irrimediabilmente venir meno quel punto di vista proprio cui Berdjaev, invece, non ha mai
rinunciato.
Di nuovo, dall’analisi di fi losofo russo, si evince la sua intensa
apprensione per il destino dell’uomo contemporaneo, per “un’epoca di
decadenza spirituale”27, per la crisi che tormenta e logora l’uomo lontano
da Dio, e contemporaneamente la sua incessante ricerca di trovare una
soluzione non tanto teoretica, ma bensì pratica, che permetta all’uomo
di salvarsi, di riunirsi alla Verità sovramondana - vincendo quella falsità
biblica della quale è padre il diavolo stesso28 - perché “anche se tutto il
mondo è contaminato dalla menzogna, esiste comunque la Verità pura
da qualsiasi macchia”29, e la fede in questa Verità salvifica deve essere incrementata non solo da un sentimento di fratellanza spirituale, ma anche
da quell’atto pratico e quotidiano di non scendere mai a compromessi
con l’inganno - da quel vivere autentico che, qualche anno più tardi, lo
scrittore Aleksandr Solženicyn chiamerà «fuori dalla menzogna» - pur
sapendo che “La cosa più difficile nella vita è vivere senza menzogna”30.
27
28
29
30
N.A. BERDJAEV, Nuovo medioevo, Fazi Editore, Roma 2004, p. 7.
Cfr. Gv. 8,44.
N.A. BERDJAEV, Il paradosso della menzogna, in Pensieri controcorrente, La Casa di
Matriona, Milano 2007, p. 25.
F.M. DOSTOEVSKIJ, I demoni, vol. 2, Feltrinelli, Milano 2000, p. 853.
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3. Verso un’epoca notturna
«
Sentinella, a che punto è la notte? Sentinella, a che punto è la notte?»
La sentinella risponde: «Viene il mattino, poi ancora la notte.
Se volete domandare, convertitevi, fate ritorno al Signore! »”31.
Quando la luna sfavilla nella notturna foschìa
Con la sua falce tenera e lucente,
la mia anima aspira ad un altro mondo,
ammaliata da lontananze infinite […]32.
Nonostante la sua diversa formazione intellettuale, segnata dai caratteri
orientali della tradizione russa, con le riflessioni suddette Nikolaj Berdjaev
si inserisce in piena sintonia nell’atmosfera culturale europea che vedeva
una civiltà ormai estenuata e destinata alla dissoluzione. Il suo lavoro Nuovo Medioevo fa dunque parte di tale filone di pensiero, nel quale si includono
l’opera già citata di Oswald Spengler Il tramonto dell’occidente (1918-1922),
dove viene diagnosticato l’esaurimento della vitalità plurisecolare della società europea e le Considerazioni di un impolitico (1918) di Thomas Mann, che
svilisce l’esausto e inerme mondo democratico-liberale. È proprio la sua
diversa formazione intellettuale però che permette al filosofo russo di non
percepire la crisi dell’epoca contemporanea con il solito pessimismo senza
speranza, tipico del profeta di sciagure.
Grazie ad una prospettiva rovesciata, di cui è contrassegnata per
l’appunto la cultura russa, Berdjaev non si perde nell’ingenuo tentativo di
celare la gravità di una così profonda crisi spirituale, ma è assolutamente
convinto che quanto più l’uomo si avvicina al pericolo, tanto più aumentano le sue possibilità di salvarsi; entrando nella metafora berdjaeviana della
notte, si potrebbe asserire che quanto più la luce si assopisce, tanto più è
destinata a rinascere ed a risplendere di nuovo. Di certo con i regimi totalitari la civiltà occidentale ha raggiunto il suo culmine di disumanizzazione,
ma dalle conseguenti catastrofi storiche, Berdjaev intuisce che il mondo
sta sperimentando un momento di complessa transizione dalla modernità
ad un’epoca radicalmente diversa, ad un «nuovo Medioevo» come lo chia31
32
Isaia 21, 12.
K. BAL’MONT, A lume di Luna, in Poesia russa del novecento, Guanda, Parma 1954, p. 29.
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ma lui, vale a dire da una civiltà senza Dio a una civiltà finalmente capace
di ricercare il divino, e dunque l’umano, “un’immensa nostalgia pervade
la parte migliore dell’umanità. È il segno dell’avvento di una nuova epoca
religiosa”33.
Il fallimento plurisecolare dell’uomo moderno diviene pertanto
prodromo di una possibile e probabile rinascita, attraverso una rivoluzione dello spirito. La forza di questa intuizione berdjaeviana non è meglio
esprimibile se non citandola: “Quando si sente che tutto è stato sperimentato ed esaurito, quando la terra cede sotto i piedi come succede ai giorni
nostri, […] quando tutto è messo a nudo e smascherato – allora i tempi
sono maturi per un movimento religioso nel mondo. Siamo arrivati a questo punto, e sarebbe bene che ce ne rendessimo conto”34. […]
Nella sua filosofia della storia, di cui ha una concezione escatologica, il progetto prometeico dell’uomo di rendersi da solo libero e sostituirsi
a Dio, viene reputato quasi come un passaggio necessario, se non altro
fondamentale, che permette un’autentica rinascita dello spirito. È il paradosso cristiano del perdersi per ritrovarsi. Il filosofo sembra quindi seguire quel forte e profetico messaggio di San Paolo presente nella seconda
lettera ai Tessalonicesi: “Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti
dovrà avvenire l’apostasia e dovrà essere rivelato l’uomo iniquo, il figlio
della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere
che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio,
additando se stesso come Dio”35.
Si capisce allora come la filosofia della storia sia, per Berdjaev,
intrinsecamente e storicamente cristiana, antropologicamente orientata a
scoprire il significato spirituale degli eventi storici, del destino dell’uomo
sulla terra.
Solo nel cristianesimo si realizza di fatto quella rottura ciclica
della storia e si attua la concreta possibilità di un fine teleologico; rottura
manifestata dall’avvento di Cristo, in cui i piani divino-umano e metafisico-storico si uniscono. Secondo Berdjaev dunque, il cristianesimo, per
quanto secolarizzato, rimane tuttavia il paradigma fondante dello spirito
33
34
35
N.A. BERDJAEV, Nuovo medioevo, Fazi Editore, Roma 2004, p. 49.
Ivi, p. 189.
2 Tessalonicesi, 2, 3-4.
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umano e in esso l’immagine dell’uomo viene potenzialmente conservata, permettendogli di svolgere la propria vita su due dimensioni, quella
naturale-sociale e quella spirituale, corrispondenti al regno della necessità
e a quello della libertà, al «regno di Cesare» e al «regno di Dio». […]
Berdjaev non si riduce mai a preconizzare un’epoca catastrofica,
in cui il degenerarsi dell’umano rappresenta l’unico processo dotato di
movimento, mentre tutto il resto viene tacciato di immobilità, ma al contrario il suo spirito aristocratico e rivoluzionario gli permette sempre di
osservare gli eventi da una diversa prospettiva, e proporre di conseguenza
interpretazioni e soluzioni alternative. La fioca luce del crepuscolo non
simboleggia allora, per Berdjaev, l’ultimo invito heideggeriano di ripercorrere a ritroso i sentieri che conducono alla smarrita luce del giorno, ma
piuttosto il barlume finale di una luce menzognera, lo squarcio irreversibile sul razionalista velo diurno della storia moderna, ed il conseguente desiderio di entrare nella notte. Alla posteriore affermazione di Heidegger:
“la notte del mondo distende le sue tenebre. Ormai l’epoca è caratterizzata
dall’assenza di Dio, dalla mancanza di Dio […] Il tempo della notte del
mondo è il tempo della povertà perché diviene sempre più povero. E’
già diventato tanto povero da non poter riconoscere la mancanza di Dio
come mancanza”36, si contrappone quella di Berdjaev: “La notte non è
meno meravigliosa del giorno, non è meno divina; di notte risplendono
luminose le stelle, e si hanno rivelazioni che il giorno ignora. La notte è
più prossima alle cose prime e agli elementi della natura di quanto lo sia
il giorno”37.
È proprio il tempo della notte che, cancellando i contorni netti e
definiti delle forme, restituisce all’uomo la possibilità di afferrare il mistero della vita, di porsi davanti a Dio. Nella notte del nuovo Medioevo,
l’uomo potrà di nuovo ritrovare lo spazio della contemplazione, dell’introspezione, quello spazio così indebitamente sottrattogli dalla parabola,
ormai giunta a termine, della storia moderna.
Il sopraggiungere della notte è perciò la metafora dell’avanzare di
un nuovo Medioevo, che riaccende la tensione spirituale dell’uomo per il
36
37
M. HEIDEGGER, Perché i poeti?, in Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1968, p.
247.
N.A. Berdjaev, Nuovo medioevo, Fazi Editore, Roma 2004, p. 60.
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trascendente. Berdjaev sottolinea come questa nuova epoca non è da lui
intesa nel senso delle “«tenebre del Medioevo» inventate dagli illuministi
dei tempi moderni, bensì nel senso più profondo e ontologico della parola. Chiamo nuovo Medioevo […] il passaggio dal razionalismo dei tempi
moderni a un irrazionalismo, o a un super-razionalismo, di tipo medievale38.
Nell’epoca notturna, nella quale si spalanca l’abisso che il giorno copriva
con un velo - nella quale l’uomo riscopre la profondità del vivere in armonia col divino, da troppo tempo nascosta - sembra allora riecheggiare quel
grido d’amore profetico che Dmitrij Karamazov, condannato ingiustamente ai lavori forzati proprio nel sottosuolo, rivolge a suo fratello Alëša:
“Se loro scacceranno Dio dalla terra, noi lo ritroveremo sottoterra!”39. […]
L’avvento del nuovo Medioevo deve essere considerato allora
come una vera e propria rivoluzione spirituale, e non un mero movimento
reazionario, non un convulso tentativo di restaurazione. Su questo punto,
sottolinea giustamente Clément che per Berdjaev “non si trattava affatto
di ritornare al Medioevo, se con Medioevo si intendeva quella cristianità
medievale che troppo spesso aveva affermato il divino contro la tolleranza
e la libertà; si trattava di uscire dalla logica del contro - prima Dio contro
l’uomo, poi l’uomo contro Dio”40.
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N.A. BERDJAEV, Nuovo medioevo, Fazi Editore, Roma 2004, p. 60.
F.M. DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov, Vol. IV, Edizioni San Paolo, Cinisello
Balsamo (Mi) 1995, p. 937.
O. CLÉMENT, La strada di una filosofia religiosa: Berdjaev, Jaca Book, Milano 2003, p.
82.
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LA CREATIVITÀ
1. Il creatore ad immagine del Creatore
Se la Russia è chiamata a dire la sua parola al mondo, questa parola
non risuonerà dalle brillanti regioni dell’arte e delle lettere,
né dalle superbe altezze della filosofia e della scienza,
ma dalle cime umili e sublimi della religione41.
Il mondo creaturale non è soltanto creaturale ma anche creatore,
la creaturalità porta impressa l’immagine e la somiglianza del Creatore 42.
“Il tema dell’attività creatrice, della vocazione dell’uomo a creare, è stato
sempre il tema fondamentale della mia vita”43: con questa dichiarazione
Berdjaev confessa, ad anni di distanza, la sua originale intuizione filosofica pervenutagli, come sottolinea egli stesso, non da estenuanti riflessioni,
ma da un’esperienza interiore, da un’illuminazione.
L’avvio di una nuova antropologia cristiana, di una nuova fede
nell’uomo e le sue potenzialità, rivendicata da Berdjaev, si rende indispensabile, a suo avviso, dal momento che il cristianesimo storico nel porre
l’accento soprattutto sull’umanità del Cristo, non è stato in grado col tempo di valorizzare la divinità dell’uomo, l’altro polo di quell’adagio patristico ripetuto in molteplici formule dai Padri della Chiesa, ovvero che:
«il Verbo di Dio si è fatto uomo, affinché tu impari come l’uomo possa
diventare Dio» (Clemente Alessandrino); «Cristo diventò uomo per divinizzarci» (Gregorio Nazianzeno).
La causa di ciò è indicata, dal Nostro, nell’eccessiva insistenza di
ricordare all’uomo solo la sua condizione di peccatore e dunque la necessità della redenzione. Persino la stessa antropologia patristica, che ha sviluppato il «mito» teandrico, rimane troppo condizionata dalla coscienza della
caduta dell’uomo e preoccupata soltanto della liberazione dal peccato, non
assegnando così il giusto spazio al mistero creatore della natura umana.
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V.S. SOLOV’ËV, La Russia e la Chiesa Universale, Comunità, Milano 1947, p. 59.
N.A. BERDJAEV, Il senso della creazione. Saggio per una giustificazione dell’uomo, Jaca Book,
Milano 1994, p. 168.
N.A. BERDJAEV, Autobiografia spirituale, Vallecchi, Firenze 1953, p. 237.
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Tutto il valore della coscienza patristica stava nella lotta eroica
contro il Vecchio Adamo e contro le passioni del mondo”44. Questo incessante evidenziare però la potentia oboedientialis si traduce in una parziale e
non totale esplicitazione della verità antropologica del cristianesimo, che
conduce ad un’umiliazione dell’uomo e ad un soffocamento delle sue potenzialità creative.
Tale condizione protrattasi sino al Medioevo, sfocia nella comparsa, quasi istintiva, dell’antropologia umanista, svincolata da ogni legame
con la divinità. Ma come si è già osservato, neanche la volontà di affrancamento dal divino consente all’uomo l’autentica riappropriazione della
natura umana, poiché una simile volontà si caratterizza come la ribellione
del servo che però continua a rimanere tale, “l’umanesimo conosce l’uomo solo come oggetto naturale, mentre non ha alcuna nozione dell’uomo
come soggetto sovrannaturale”45.
A questo punto Berdjaev si domanda se il mistero della vita
dell’uomo si esaurisca esclusivamente nel mistero della redenzione e se il
fine ultimo della vita “è davvero e soltanto la salvezza dal peccato?”46 e
la risposta è evidentemente «negativa», poiché una simile comprensione
della natura umana svilirebbe l’immagine divina che è presente nell’uomo e ne fonda la dignità. Perciò se da un lato le esperienze del peccato e
della redenzione rappresentano un momento inevitabile lungo il cammino dello spirito umano, e precedono l’illuminazione e la rinascita dello
spirito, dall’altro un ostinato approfondimento di queste può “risolversi
in un perpetuo infoltirsi delle tenebre”47. Se è vero dunque che l’uomo è
l’unico essere che muore anelando alla salvezza, è altrettanto vero che egli
è l’unico essere ad immagine e somiglianza di Dio e dunque per sua natura
creatore, edificatore, costruttore di vita.
Per Berdjaev è decisamente errato sostenere che, nello status di
peccatore, la pretesa dell’uomo di conoscere il mistero dell’essere e di creare la bellezza sia una mancanza di umiltà e una forma di superbia, dato
che “ogni autentica conoscenza ed ogni autentica creazione di bellezza è
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Ivi, p.117.
Ivi, p.119.
Ivi, p.129.
N.A. BERDJAEV, Autobiografia spirituale, Vallecchi, Firenze 1953, p. 238.
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già, infatti, una vittoria sul peccato e un’autentica trasfigurazione”48. Non
si può elevare l’umiltà e indicarla come unica via di salvezza, affermando
che la nostra conoscenza e la nostra creatività sono deformate dal peccato
e portano su di esse il marchio dell’imperfezione, perché la stessa cosa
accade all’umiltà che, deformata, si converte in una forma di schiavitù,
in una organizzazione della vita che mortifica la persona, in un egoismo
trascendente, frutto di un errata comprensione del cristianesimo inteso come
salvezza individuale e che, di conseguenza, non permette l’amore disinteressato verso Dio, verso il prossimo, tramite la donazione totale di sé,
“quando si ha una concezione ascetico-individualista del cristianesimo
[…] ci si preoccupa soltanto della propria anima, mentre la Risurrezione
di tutte le creature non viene né capita né considerata necessaria”49.
Nel pensiero di Berdjaev si delinea una nuova antropologia cristiana, che non sostituisce ma integra quella patristica e quella scolastica,
ritenute, dopo una così radicale atomizzazione dell’uomo, incomplete e
inadeguate a svolgere il decisivo compito di rinnovare la coscienza spirituale e rivestire l’uomo nuovo ad immagine del suo Creatore50. Allora soltanto un pensiero religioso e filosofico creatore è in grado di compiere
un’azione purificatrice, di ri-elevare l’uomo dalla condizione disperante in
cui si trova, di rigenerare il suo nucleo inviolabile di umanità valorizzando
la sua divinità.
Questa trasfigurazione cristiana della vita presuppone un moto
creativo all’interno della Chiesa che è “cosmo cristianizzato”51, “società spirituale”52 ed ha la funzione di essere il centro da cui emanare una
spiritualità permeante ogni ente. La Chiesa, anch’essa rinnovata, diviene
espressione collettiva dell’uomo nuovo, e come colonna e base della verità53
deve cessare di essere semplice tempio nel quale celebrare un rituale che
manifesta i segni, ormai evidenti, di un’avvenuta lacerazione tra uomo in48
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N.A. BERDJAEV, Il senso della creazione. Saggio per una giustificazione dell’uomo, Jaca Book,
Milano 1994, p. 13.
Ivi, p.16.
Cfr. Colossesi 3, 10.
N.A. BERDJAEV, Nuovo medioevo, Fazi Editore, Roma 2004, p. 96.
N.A. BERDJAEV, Il senso della creazione. Saggio per una giustificazione dell’uomo, Jaca Book,
Milano 1994, p. 21.
Cfr. 1. Timoteo 3, 15.
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teriore e uomo esteriore, e diventare luogo della “trasfigurazione della
pienezza cosmica della vita”54. Il nuovo cristianesimo, rigenerato dalla rinascita spirituale non passerà più allora né per la via dolorosa dell’espiazione
tipica del pietismo, né per quella di un farisaico moralismo, ma percorrerà
la strada dell’attività creatrice e si riscoprirà e riaffermerà come religione
della libertà, dello Spirito e della vita autentica. […]
Con l’atto creatore, quindi, l’uomo non solo ristabilisce il suo
contatto con Dio, ma ne diviene il prediletto collaboratore che tende al
completamento e all’arricchimento della creazione divina. Il processo di
questo mondo non può allora configurarsi semplicemente come il superamento e la redenzione dal peccato, ma deve essere il proseguimento della
Creazione tramite l’attività creatrice dell’uomo, “il processo del mondo è l’ottavo
giorno della creazione, è la creazione che continua”55. […]
Nella creatività l’uomo ha dunque la libera possibilità di realizzare
maggiormente la propria somiglianza con il divino, giacché in essa gli è
possibile “innalzarsi al di sopra di se stesso”56 di trascendere il mondo
attraverso il mondo, di uscire dagli “angusti limiti del proprio io”57. La
creatività berdjaeviana permette all’uomo di scoprire la forma e la somiglianza divina, di esteriorizzare la potenza divina che ha dentro di sé, e
d’altra parte però questa divinizzazione dell’uomo non consiste affatto in
un’alienazione per diventare un Dio trascendente - ovvero ciò che egli non
è - ma in un divenire poco a poco persona, che come osserva finemente
Clément vuol dire “passare dall’«immagine» (di Dio) alla «somiglianza»,
che è a un tempo incontro e partecipazione”58. Un simile processo non è
mai definitivamente compiuto, la persona deve continuamente adempiere
al suo compito di deificarsi, “di accogliere in sé, in forma individuale,
l’universale, la pienezza”59.
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N.A. BERDJAEV, Nuovo medioevo, Fazi Editore, Roma 2004, p. 96
Ivi, p.179.
N.A. BERDJAEV, Il problema dell’uomo, in Pensieri controcorrente, La Casa di Matriona,
Milano 2007, p. 124.
Ibidem.
O. CLÉMENT, La strada di una filosofia religiosa: Berdjaev, Jaca Book, Milano 2003, p.
128.
N.A. BERDJAEV, Il problema dell’uomo, in Pensieri controcorrente, La Casa di Matriona,
Milano 2007, p. 129.
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La creatività umana quindi, pur essendo deiforme, si distingue da
quella di Dio perché agisce su «questo» mondo, che riflette la condizione
decaduta dell’essere, “la sottomissione alla necessità esteriore”60, un mondo che deve essere costantemente superato e vinto. […]
Come si è già detto, la crisi spirituale contemporanea, intensamente avvertita, non pone Berdjaev in una condizione di totale pessimismo e supina accettazione, ma, al contrario, egli è convinto che
proprio da una tale situazione possa rinascere una profonda spiritualità. “La farfalla emerge quando il bruco ha raggiunto la sua massima
degenerazione”61, la fi losofia religiosa di Berdjaev sembra in qualche
modo ispirarsi a questa metafora, e nelle catastrofi del XXI secolo egli
ravvisa sì il degenerarsi dell’immagine umana, il deturparsi della bellezza del volto, ma anche la concreta speranza di un rinnovamento tramite
un’autentica coscienza cristologica, tramite il Volto visibile dell’invisibile, il Volto di tutti i volti, il Cristo.
Il problema dell’uomo è indicato, da Berdjaev, nella perdita della
libertà spirituale, nella mancata coscienza della responsabilità e di quel
suo significato originario, ovvero ‘sponsor rei’, ‘sposare le cose’. All’esserlibero, l’uomo ha sostituito l’esser-in-libertà, privilegiando la falsa e misera felicità del Grande Inquisitore dostoevskijano alla profonda verità del
Cristo.
Il ritorno dell’uomo, tanto atteso da Dio, può concretamente avvenire con l’attività libera e creatrice. Il Dio di Berdjaev è allora un Dio
che “attende dall’uomo la libertà suprema, la libertà dell’ottavo giorno
della creazione. Questa attesa divina implica per l’uomo una grande responsabilità. La virtù che caratterizza la piena maturità religiosa è quella
della libertà ultima e definitiva, della libertà che ha il coraggio di portare
il proprio peso.
Concludendo si può affermare che, secondo il filosofo di Kiev,
giungere alla piena maturità religiosa significa riconoscere la libertà
ultima”62; e se l’uomo può anche rinunciare alla sua autentica libertà spi60
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Ivi, p.185.
P.K. FEYERABEND, Contro il metodo, Feltrinelli, Milano 1995, p. 151.
N.A. BERDJAEV, Il senso della creazione. Saggio per una giustificazione dell’uomo, Jaca Book,
Milano 1994, p. 202.
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rituale “ è Dio, Dio e non l’uomo, che non può e non è disposto a fare a meno della
libertà dell’uomo. Dio ha bisogno della libertà dell’uomo e della libertà del mondo. È
appunto in questo che Dio stesso ha posto il senso della vita dell’uomo e
del mondo”63.
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Ivi, p. 412.
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