QUESTO VOLUME È ANCHE ONLINE Consultalo gratuitamente ne “La Mia Biblioteca”, la prima biblioteca professionale in the cloud con le pubblicazioni di CEDAM, UTET Giuridica, IPSOA. Grazie al suo evoluto sistema di ricerca puoi accedere ai tuoi scaffali virtuali e ritrovare tra i tuoi libri la soluzione che cerchi da PC, iPad o altri tablet. Ovunque tu sia. Per conoscere le modalità di accesso al servizio e consultare il volume online collegati a www.lamiabiblioteca.com e clicca su “Richiedi la tua password”. La consultazione online viene offerta all’acquirente del presente volume a titolo completamente gratuito ed a fini promozionali del servizio “La Mia Biblioteca” e potrebbe essere soggetta a revoca da parte dell’Editore. PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © 2012 Wolters Kluwer Italia S.r.l Strada I, Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (MI) ISBN: 97888217xxxxx Il presente file può essere usato esclusivamente per finalità di carattere personale. I diritti di commercializzazione, traduzione, di memorizzazione elettronica, di adattamento e di riproduzione totale o parziale con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi. La presente pubblicazione è protetta da sistemi di DRM. La manomissione dei DRM è vietata per legge e penalmente sanzionata. L’elaborazione dei testi è curata con scrupolosa attenzione, l’editore declina tuttavia ogni responsabilità per eventuali errori o inesattezze. PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © 2015 Wolters Kluwer Italia S.r.l Strada I, Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (MI) ISBN: 9788821751950 Il presente file può essere usato esclusivamente per finalità di carattere personale. I diritti di commercializzazione, traduzione, di memorizzazione elettronica, di adattamento e di riproduzione totale o parziale con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi. La presente pubblicazione è protetta da sistemi di DRM. La manomissione dei DRM è vietata per legge e penalmente sanzionata. L’elaborazione dei testi è curata con scrupolosa attenzione, l’editore declina tuttavia ogni responsabilità per eventuali errori o inesattezze. Gli Speciali Immobili & proprietà Comprar casa al tempo della crisi di Mariagrazia Monegat - Avvocato in Milano I dati statistici rivelano che il 65% degli italiani ha una proprietà immobiliare, il risultato conferma che l’investimento in immobili pare essere da sempre quello preferito nel nostro Paese: “il mattone” per molto tempo è parso il bene più sicuro. Da qualche anno a questa parte, però, il mercato immobiliare ristagna e gli immobili non appaiono più come un bene rifugio. Vi è una massiccia offerta ma la domanda è ferma mentre le aste conseguenti alle esecuzioni vanno deserte. Il possesso di immobili è divenuto gravoso sotto il profilo fiscale e la loro redditività non è più interessante. Pur tuttavia l’acquisto della casa rimane un momento importante per molti soggetti, privati e istituzionali, sia che si tratti dell’abitazione principale o della casa di vacanza, sia che concerna l’immobile destinato allo svolgimento dell’attività professionale o imprenditoriale. La compravendita di un immobile va però condotta sempre con cautela ricorrendo all’ausilio di seri e competenti professionisti perché numerose sono le regole da conoscere sia per evitare di incorrere in spiacevoli sorprese sia per utilizzare al meglio le diverse forme contrattuali e le agevolazioni fiscali. A maggior ragione in periodi di difficoltà finanziarie come l’attuale è indispensabile prestare la massima attenzione sin dalle prime fasi delle trattative: tali e tante sono le questioni che possono insorgere in relazione alla contrattazione immobiliare che è essenziale un approccio professionale. Con questo “Speciale” Immobili & Proprietà offre ai propri lettori una panoramica degli aspetti giuridici e fiscali inerenti la compravendita immobiliare. Gli Autori esaminano ogni aspetto della negoziazione immobiliare a partire dalla individuazione dell’oggetto del contratto, l’immobile con le sue caratteristiche tecniche talvolta sottostimate. La corretta individuazione del bene oggetto del contratto, sotto il profilo urbanistico e catastale oltre che la Immobili & proprietà 2015 sua conformità anche in riferimento agli impianti di cui è dotato, assume una rilevante importanza, ben superiore a quella relativa agli aspetti estetici e logistici: una bella casa in un bel quartiere non è un grande affare se è dotata di impianti non a norma o se la sua categoria catastale è sbagliata. Diverse e particolari sono le problematiche che riguardano l’acquisto di immobili di nuova costruzione, rispetto al patrimonio immobiliare esistente, eventualmente da ristrutturare. Di recente, infatti, sono cambiate le regole per l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione per i quali non sono più necessarie particolari autorizzazioni: per interventi di manutenzione straordinaria finalizzati a rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienicosanitari e tecnologici, ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio, l’interessato si limita a trasmettere all’amministrazione comunale la comunicazione di inizio dei lavori (CIL) asseverata da un tecnico abilitato, il quale attesterà, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti. La comunicazione dovrà anche riportare i dati identificativi dell’impresa incaricata di eseguire i lavori. Questa semplificazione suggerisce l’acquisto di immobili già esistenti nella prospettiva di una più agevole modificazione della loro consistenza. Gli aspetti giuridici inerenti il contratto sono altrettanto rilevanti giacché la compravendita immobiliare è caratterizzata da una negoziazione articolata in più fasi, dalla proposta al contratto definitivo che trasferisce il diritto reale, l’intero iter dà luogo ad una serie di accordi a formazione progressiva, conseguentemente i diversi momenti implicano l’assunzione di obblighi differenziati. Nella proposta irrevocabile, nel preliminare del preliminare e 1 Gli Speciali Immobili & proprietà nel contratto definitivo diverse e particolari sono le obbligazione che le parti assumono e i diritti che ne conseguono. Particolare attenzione è riservata anche ai momenti patologici, sia in relazione al bene oggetto di compravendita, sia in riferimento all’inadempimento delle obbligazioni assunte da parte del venditore o del compratore. Sono esaminati ed illustrati i rimedi pattizi e le soluzioni offerte dalla giurisprudenza. Inoltre, sono evidenziate le particolari e nuove fattispecie negoziali che caratterizzano il momento attuale: come il “rent to buy”, una soluzione preparatoria alla compravendita che consente di entrate subito nell’immobile scelto dapprima in locazione (rent) e poi in proprietà (buy), al termine del percorso previsto in cui è previsto un canone, pattuito in misura maggiore rispetto al normale valore di mercato, che viene imputato in parte al corrispettivo del prezzo di vendita ed in parte alla locazione, così che al termine della durata del programma, al momento del rogito, all’acquirente resterà da saldare il restante prezzo accedendo ad un mutuo che avrà liberamente scelto. Proprio in un momento come l’attuale caratterizzato da una stagnazione economica e da difficoltà finanziarie può essere interessante alienare la nuda proprietà riservandosi l’usufrutto o l’uso abitazione: soluzioni che vengono incontro alle esigenze di Immobili & proprietà 2015 chi necessità di liquidità e a chi intende solo investire, ma che comportano un’alea in termini di durata nonché oneri in relazione alle novità in materia di obbligazioni condominiali. Numerosi e di gran rilievo sono gli aspetti fiscali connessi alla compravendita immobiliare ai quali è dedicata una trattazione puntuale ed esaustiva. In particolare, sono esaminate le recenti novità a partire dal decreto “Sblocca Italia” (D.L. n. 133/2014, entrato in vigore il 12 novembre 2014) che ha introdotto numerose misure concrete e positive per agevolare il mercato immobiliare, per finire con l’ultima manovra governativa (legge di stabilità, in corso di approvazione) in tema di IMU prima casa. L’acquisto di immobili da parte di persone fisiche che non esercitano attività commerciali consente una nuova deduzione dal reddito complessivo Irpef quando l’oggetto dell’acquisto è un’unità immobiliare residenziale da destinare alla locazione. Da ultimo, vi è la proposta di legge di esentare la prima casa dal pagamento dell’IMU. Conoscere le novità normative, le prassi e gli orientamenti giurisprudenziali agevola senza dubbio lo svolgimento delle contrattazioni e fornisce un valido aiuto ai professionisti del settore e a chiunque si appresti a definire un acquisto o una vendita immobiliare. 2 Gli Speciali Immobili & proprietà L’acquisto immobiliare oggi: inquadramento istituzionale di Antonio Testa - Notaio in Monza Una breve digressione critica sul moderno inquadramento del contratto di compravendita immobiliare negli aspetti peculiari dell’attività notarile alla quale, di necessità, si accompagna la considerazione degli effetti del contratto preliminare e della più recente rivisitazione giurisprudenziale della sequenza preliminaredefinitivo alla luce dell’ammessa legittimità della conclusione di una doppia fase preparatoria. Il contratto di compravendita L’impegno a scrivere un inquadramento istituzionale del contratto di compravendita dovrebbe condurre ad una serie di valutazioni talmente sterminate, da impedire una seria trattazione che, giocoforza, debba concludersi in poche pagine, utili ad una lettura immediata da parte dell’utenza. A ciò si aggiunga che il gravoso compito giammai potrebbe essere validamente ed efficacemente adempiuto, al cospetto di una dottrina accademica che ha scritto fiumi di inchiostro sulla fattispecie, senza, per ciò stesso che, nonostante la capacità degli Autori, tutti i dubbi e le incertezze sul tema possano considerarsi del tutto fugati e superati. L’umile tentativo che qui ci si propone, allora, per ragioni di spazio e di tempi a disposizione, anche in considerazione della funzionalità di quanto appresso elaborato, ad una lettura immediata che ponga in risalto i passaggi più importanti e rilevanti, soprattutto nel contesto dell’attività notarile, sarà quello di individuare gli elementi essenziali del contratto in generale, rinvenibili nei requisiti per esso richiesti dall’art. 1325 c.c., tentandone una coerente lettura con le caratteristiche tipiche del contratto di compravendita immobiliare nella sua evoluzione più moderna. Sicuramente, infatti, il punto dal quale prendere le mosse, è quello di individuare immediatamente nella compravendita l’essenza più tipica del contratto. Quando si pensa istintivamente ad un accordo con il quale, almeno due parti, intendano costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale, non può farsi a meno di recuperare alla Immobili & proprietà 2015 mente anzitutto il contratto di compravendita, ovvero quell’accordo, destinato a sortire effetti su rapporti giuridici patrimoniali, con il quale un soggetto dispone, a favore di altri, di un diritto appartenentesi alla propria sfera patrimoniale, in cambio di un corrispettivo, rappresentato sempre da un prezzo, e cioè da una prestazione pecuniaria. È fin troppo evidente come la vendita non possa prescindere da un rapporto negoziale che sia almeno bilaterale. Lo scambio di prestazioni che essa genera, infatti, preclude la possibilità di una assumibile unilateralità in quanto il contratto di compravendita può essere individuato solo in presenza di una prestazione, avente ad oggetto la dismissione di un diritto, e di una controprestazione in denaro. Se tali elementi fossero in teoria imputabili ad una medesima parte, essi stessi perderebbero il naturale significato giuridico derivante dall’inquadramento di questi obblighi negoziali nell’ambito del concetto di “prestazione” e di “controprestazione”. Si consideri, per inciso, quanto tale elemento assuma una sua essenziale consistenza anche in relazione alla fattispecie della rappresentanza volontaria ove, pur in presenza della duplicazione del concetto di parte in capo ad un medesimo centro di interessi (parte in senso formale e parte in senso sostanziale), l’Ordinamento esclude la possibilità, salvo eccezioni, fino a condurre all’annullamento contrattuale, che l’accordo che il rappresentante debba concludere, possa essere concluso con se stesso, in proprio, o come rappresentante di altra parte. In altri termini, la duplicazione delle sfere giuridico-patrimoniali, essendo interconnessa allo scambio che naturalmente caratterizza la compravendita, diventa il primo elemento del tutto imprescindibile 3 Gli Speciali Immobili & proprietà attraverso il quale è rinvenibile nella compravendita l’esistenza di quel primo e più essenziale requisito contrattuale che è costituito dall’accordo nel quale è insita la bilateralità che caratterizza necessariamente la fattispecie. In seconda battuta, tale accordo non è privo di una sua specifica caratterizzazione, senza la quale non è possibile accedere alla fattispecie “compravendita”. L’accordo funzionale al perfezionamento della compravendita consiste, infatti, nella contemporanea estinzione e costituzione di un rapporto giuridico patrimoniale. Sotto tale aspetto deve dirsi che la compravendita rientra senz’altro tra i contratti di alienazione funzionali a realizzare uno scambio di beni o, più in generale, di prestazioni. Assodato, a questo punto, come la compravendita rientri tra i contratti, costituendo, anzi, il più importante tra i contratti, a misura della propria funzione economica e del proprio valore paradigmatico all’interno della teoria generale del contratto, e spiegata la necessaria immanenza, a tale fattispecie, del requisito primario del contratto, costituito dall’accordo delle parti, è opportuno verificare come si atteggino, con riferimento più specifico al negozio di compravendita immobiliare, gli altri elementi presupposti, ovvero la causa, l’oggetto e la forma. Quanto alla causa, premessa l’acquisita distinzione scolastica, tra il concetto di “causa” e quello del “motivo”, è innegabile come, sia in dottrina, che in giurisprudenza, sia stata definitivamente imboccata la strada di far rilevare la causa in concreto, ravvisando in essa, non più la funzione economicosociale che il contratto è idoneo a produrre obbiettivamente ed in astratto, quanto, piuttosto, la funzione pratica che le parti concretamente perseguono mediante il tipo di accordo contrattuale che esse intendono perfezionare. Questo, sia beninteso, non determina un errato ed erroneo affastellamento tra il concetto di “causa” e quello, ben diverso, del “motivo”. Se, infatti, il “motivo” è costituito dall’interesse particolaristico che ciascuna parte intende perseguire e soddisfare mediante il congegno contrattuale posto in essere, la “causa” continua a chiamarsi estranea agli interessi specifici di ciascuna parte e agli scopi “privatistici” che esse intendono raggiungere, ma, d’altro canto, non rappresenta più un fenomeno generalizzato ed astratto, appartenentesi alla sola teoria generale del diritto. Oggi la “causa contrattuale” si attaglia specificamente al singolo tipo di contratto che venga perfezionato, indicando la funzione pratica che la singola fattiImmobili & proprietà 2015 specie è in grado di soddisfare in concreto. Sicché, nel contratto di compravendita immobiliare, la “causa” è rinvenibile nella corrispettività e nella coerenza economica delle prestazioni reciproche. Tanto che, come è ormai assodato, vi sono ipotesi in cui, l’eventuale mancanza di una congrua corrispettività, genera un’alterazione della causa, modificandone i termini puri ed originari e comportando un inquadramento causale, appunto, non più rispondente al singolo tipico contratto (come avviene, ad esempio, nel caso di una vendita il cui corrispettivo è rappresentato da una prestazione pecuniaria molto più bassa del valore effettivo del bene ceduto, che dà luogo al negotium mixtum cum donatione). Alla luce di queste considerazioni deve affermarsi che l’acquisto immobiliare è retto da una causa concreta che consiste nella funzione pratica di sostituire, nel contesto di una determinata sfera patrimoniale (quella del venditore), l’esistenza di un bene immobile, con l’introduzione di un valore monetario che soddisfi il venditore alienante il bene e, d’altro canto, nel contesto della sfera patrimoniale dell’acquirente, determini la fuoriuscita di un ammontare pecuniario in funzione della sua sostituzione con il bene immobile acquistato. Tutto ciò, si intende, nulla ha a che vedere, con le specifiche ragioni che abbiano indotto, rispettivamente, il venditore a disfarsi del bene immobile alienato, e l’acquirente ad acquistarlo; il che fuoriesce dal concetto di “causa”, determinando esclusivamente la definizione del diverso concetto dei “motivi” che inducono le parti al perfezionamento del contratto di compravendita immobiliare. Mentre, la causa, pur nella sua nuova “concreta” accezione attribuita da dottrina e giurisprudenza più da recente, continua a rappresentare la funzione pratica astrattamente collegata a ciascuna attività negoziale, disegnando le conseguenze che da essa derivano sul campo giuridico e patrimoniale delle sfere personali coinvolte. In relazione all’oggetto, non può negarsi come tale, apparentemente univoco, concetto, venga spesso istintivamente fatto coincidere con il bene oggetto dell’operazione economica. Quindi il contratto di compravendita immobiliare avrebbe per oggetto il bene che determina la traslazione, dal soggetto venditore, a quello acquirente. Invero costituisce oggetto immediato del contratto, non il bene (rectius: il diritto) oggetto di negoziazione, ma l’operazione economica voluta dalle parti con il contratto di vendita immobiliare, consistente 4 Gli Speciali Immobili & proprietà nella traslazione del diritto di proprietà, o di altro diritto reale, (su un bene). In tal senso, usualmente, si è cercato di distinguere l’oggetto immediato del contratto, da quello mediato, quest’ultimo essendo costituito dal bene (ovvero dal diritto) sul quale si estrinseca l’operazione economica traslativa posta in essere. Con l’ovvia conseguenza che i requisiti che l’art. 1346 c.c. richiede per l’oggetto, ovvero: la possibilità, la liceità, la determinatezza o la determinabilità, salvaguardano la validità del contratto di compravendita immobiliare, non solo a patto che il bene immobile oggetto (mediato) del contratto, sia possibile in senso materiale e giuridico (ad esempio non è possibile che oggetto del contratto sia un bene immobile appartenente al demanio dello Stato), lecito (in quanto il bene immobile oggetto del contratto costituisca un bene pienamente commerciabile), determinato o determinabile (in quanto il bene immobile sia perfettamente descritto nella sua effettiva essenza o, essendo costituito da un bene futuro, sia stato definito con quei criteri minimi di determinazione che possano renderlo comunque individuabile al momento della sua venuta ad esistenza), occorrendo che identiche caratterizzazioni di possibilità, liceità, determinatezza o determinabilità, assuma anche l’operazione economicogiuridica che le parti hanno programmato attraverso la manifestazione volontaristica contrattuale che esse intendono perfezionare. Sicché deve concludersi, sempre con specifico riferimento alla contrattazione immobiliare che anche il contenuto del contratto debba essere possibile, lecito, determinato o determinabile. È possibile chiedersi, a tal riguardo, in che modo una compravendita immobiliare, il cui contenuto sostanziale coincida con la traslazione di un bene immobile dal patrimonio di un soggetto, al patrimonio di altro soggetto, dietro pagamento di un corrispettivo, determinando l’esplicazione concreta della stessa causa contrattuale, possa poi realizzare una fattispecie non rispettosa dei criteri anzidetti. A tal fine occorre distinguere l’elemento causale estrinsecantesi in una determinata operazione che astrattamente giustifica la funzione per la quale un certo contratto viene posto in essere, con l’effettiva operazione che le parti intendono in concreto esplicare attraverso l’accordo contrattuale. Così, se la compravendita immobiliare svolge la sua funzione economica pratica nella modificazione degli elementi patrimoniali della sfera giuridica di una parte e di quella dell’altra e se, sotto questo profilo, l’operazione è giuridicamente valida in quanto soImmobili & proprietà 2015 stenuta da una causa del tutto rispondente agli interessi delle parti legittimamente tutelabili, altrettanto non può dirsi allorché quell’elemento causale desse luogo, nel concreto, ad un’operazione economica che, ad esempio, contempli il trasferimento di un immobile urbanisticamente abusivo. Il che, come è ovvio, determinerebbe il venir meno, sia del requisito della possibilità, che di quello della liceità. Analogamente, non è realizzabile una struttura convenzionale di compravendita immobiliare in assenza di un’operazione economica di traslazione di diritti reali, dalla sfera giuridica di un soggetto, a quella di altro soggetto, che non sia esattamente determinata (o quanto meno) determinabile nella sua effettiva essenza. Non bisogna dimenticare, a tal riguardo, come la determinazione dell’oggetto (tale intendendosi quanto sopra chiarito), costituisce elemento che, in generale, è direttamente ed indirettamente rilevante anche con riferimento agli effetti del contratto. Nell’ambito della compravendita con intervento notarile, quindi, è essenziale che il notaio presti particolare attenzione al requisito della determinazione dell’oggetto in relazione ai profili di efficacia del contratto. L’indagine sulla esatta volontà delle parti, risulta a questo punto particolarmente delicata, laddove - ad esempio - si pensi alla vendita di cose potenzialmente fungibili in quanto appartenenti ad un genus. La determinatezza attuale o la determinabilità futura, come si vede, modifica la natura e gli effetti stessi della compravendita, in quanto il diverso approccio volontaristico rispetto all’oggetto, potrà condurre verso una vendita di cose generiche, oppure verso una vendita di cose specifiche. In conclusione si può dire, tornando al riferimento della distinzione tra “oggetto mediato” ed “oggetto immediato” del contratto che, contrariamente a quanto d’istinto possa ritenersi, non è dunque la sola indeterminatezza del bene oggetto mediato del contratto a poter compromettere la validità dello stesso. Analoga invalidità, infatti, deriverebbe da una compravendita immobiliare perfettamente determinata nel bene immobile che costituisca l’oggetto (mediato) dell’operazione, allorché i criteri redazionali del contratto non abbiano rispettato la esatta circoscrizione di tutti gli elementi (prezzo e modalità di pagamento in caso di corrispettivo dilazionato, tempi di consegna dell’immobile, momento della traslazione del possesso del diritto sullo stesso, modalità di esercizio del diritto trasferito e suoi eventuali limiti, eventuali limitazioni all’esercizio del diritto acquistato, derivanti da di5 Gli Speciali Immobili & proprietà ritti di un terzo, durata del diritto acquistato, quando diverso dalla piena proprietà, etc. ...) che contribuiscono comunque alla definizione dell’intera economia dell’operazione patrimoniale che le parti hanno programmato e, per questa via, alla esatta definizione dell’oggetto immediato del contratto. Una specifica rilevanza, proprio con riferimento al contratto di compravendita immobiliare, assume la forma. In linea di principio, non va dimenticato come la compravendita in generale non abbia bisogno di forme particolari, almeno non di quelle richieste ad substantiam actus. Nella compravendita immobiliare, ad onta di un dettato normativo che esplicitamente riconnette, alla mancanza del rispetto della forma scritta, addirittura la sanzione della nullità (art. 1350 c.c.), risulta tutt’altro che inverosimile che, soprattutto con riguardo a taluni contesti geografici del nostro Paese, diversi trasferimenti di diritti reali su beni immobili siano stati conclusi, almeno nei tempi più risalenti, come si suol dire, “sulla parola” o, come è stato altrettanto frequente, “mediante una stretta di mano”, con tutte le conseguenziali ripercussioni sull’esatta identificazione dei titoli di provenienza. È evidente come, alla luce di un dettato normativo che sin dal ’42 prevedeva la sanzione della nullità di tali trasferimenti, sanzione effettivamente legalmente insanabile, si sia giunti a pratiche negoziali che hanno risolto tali nullità attraverso quella strana forma di “sanatoria a regime” che si riscontra mediante il pur distorto utilizzo dell’istituto dell’usucapione, mai documentalmente formalizzato. Non è raro, infatti, imbattersi in titoli notarili, non proprio risalenti ai tempi in cui l’impiegato principe del notaio era l’amanuense, nei quali, sul punto della provenienza è utilizzata la stereotipata formula per cui si attesta che: “Il bene è pervenuto alla Parte venditrice in base a giusti e legali titoli di provenienza antecedenti il ventennio” (!). Più di recente è stata sperimentata anche la diversa formula redazionale della scrittura privata semplice a cui faceva seguito, o il formale deposito, con tanto di verbale notarile, agli atti del notaio, oppure, nella migliore delle ipotesi, una ripetizione del contratto che seguisse la forma minima necessaria agli adempimenti pubblicitari, ovvero la forma della scrittura privata autenticata. Quanto in breve accennato conduce alla conclusione per cui la forma minima richiesta per la compravendita immobiliare è, di fatto, quella della scrittura privata autenticata, che è forma ad probationem e non ad substantiam, nel senso che l’utilizzo della stessa è unicamente collegato all’adempimento delImmobili & proprietà 2015 le formalità pubblicitarie, necessarie per rendere l’acquisto opponibile erga omnes nonché per consentire quella continuità delle trascrizioni che, nel formalismo del sistema pubblicitario “a base personale” (e non “reale”, come è nel sistema tavolare), rappresenta il principio cardine per consentire che l’opponibilità erga omnes dell’acquisto possa dispiegare i suoi effetti, non solo con riferimento ai titoli risalenti, ma anche in relazione ai diritti poi, di volta, in volta, acquistati dai futuri contraenti. Tuttavia, non è affatto secondario, riconoscere come, al di là dell’espresso dettato codicistico, l’elemento formale, proprio in relazione alla compravendita e, vieppiù, alla compravendita immobiliare, assuma una portata essenziale in dipendenza della causa che caratterizza tale fattispecie la quale, consistendo nello svolgimento della funzione economica della corrispettività delle prestazioni, non sarebbe in grado di poter dispiegare il proprio funzionamento, in assenza di una documentazione dell’avvenuto scambio di un consenso volontaristico contrattuale, volto a perfezionare uno scambio prestazionale tra le parti il quale, documentato, appunto, attraverso l’utilizzo di una specifica forma legale, consente poi di addivenire agli adempimenti pubblicitari che ne conseguono, laddove ci si trovi al cospetto di atti dispositivi di diritti reali immobiliari. Elemento che, però, spesso sfugge all’attenzione comune è che, sempre con riferimento alla compravendita e con riguardo alla forma, quest’ultima assume una funzione indispensabile in considerazione del principio consensualistico che regge la natura stessa della fattispecie contrattuale in discorso. Nessuno può più validamente dubitare che, in considerazione anche del riferimento alla norma generale contenuta nell’art. 1376 c.c., nella quale viene enunciato il principio del consenso traslativo, la vendita determini un contratto consensuale e ad effetto traslativo. “Consensuale” in quanto essa si perfeziona in dipendenza del consenso volontaristico manifestato dalle parti e indipendentemente dalla immissione dell’acquirente nella materiale detenzione del bene. “Ad effetto traslativo”, in quanto la vendita produce sempre il trasferimento di un diritto e mai il semplice sorgere di un’obbligazione del venditore avente ad oggetto il compimento di un successivo negozio di trasferimento a favore dell’acquirente (come è uso, per esempio, presso il diritto tedesco). Ora, se si fa caso alla centralità che nella vendita assume la manifestazione del consenso volontaristico, è ovvio ritenere come tale consenso perde6 Gli Speciali Immobili & proprietà rebbe o annacquerebbe notevolmente il proprio effetto giuridico allorché esso non potesse essere documentato attraverso, appunto, l’utilizzo di una forma che consacri nello scritto l’effettiva volontà dismissiva di una parte e acquisitiva dell’altra. Sotto questo aspetto non può negarsi come, al di là di prescrizioni codicistiche “sacrali” (come accade per il contratto di donazione), anche per la compravendita immobiliare deve richiamarsi il principio della forma, dovendosi concludere che essa costituisce un contratto formale per il quale la minima forma richiesta dal Codice della scrittura non è concretamente sufficiente al raggiungimento dei risultati effettivi e completi che si riconnettono alla prestazione del consenso, dovendosi - di fatto - essere utilizzata almeno la forma della scrittura privata autenticata. A tal proposito non si può omettere di notare come, da ultimo, si riscontri una speciale “agitazione” dottrinale e tecnica, che oggi pervade l’ambiente degli studiosi del diritto e dell’informatica giuridica, nella rivisitazione del requisito formale, al fine di offrire mezzi documentali che vadano oltre la carta scritta, suscettibile spesso di subire danni irreparabili, se non alterazioni perpetrabili anche in mala fede, verso l’acquisizione di un sistema in cui, il file informatico, diverrà, a breve, il definitivo sostituto dell’ormai logoro, superato e anacronistico, sistema cartaceo. In ultimo, tra le caratteristiche della natura del contratto di vendita, è opportuno soffermarsi con un solo cenno sulla qualificazione della fattispecie come fattispecie “ad effetti reali”. Tale accezione è direttamente collegata a ciò che appena sopra si è detto circa la caratteristica precipua della vendita, quale contratto ad effetto traslativo immediato e quindi al principio della consensualità. Affermare, infatti, che la compravendita sia un contratto ad effetti reali equivale a dire, sostanzialmente, che il contratto di compravendita produce il proprio effetto traslativo e fa sorgere, d’altro canto, l’obbligo al pagamento del corrispettivo, sin dal momento del perfezionamento dell’accordo contrattuale, indipendentemente dalla materiale datio rei, che potrebbe verificarsi anche in un momento successivo a quello del perfezionamento negoziale. L’assunto ha un rilievo non esclusivamente scolastico poiché gli effetti reali connaturati alla vendita determinano, quale conseguenza più immediata, l’individuazione del momento del passaggio dei rischi che, in ottemperanza al principio dell’immediato effetto traslativo, non potrà che coincidere con il momento dell’effettivo trasferimento Immobili & proprietà 2015 della proprietà, laddove presso altri Ordinamenti, il passaggio dei rischi viene a coincidere con il momento in cui avvenga la materiale consegna della cosa che costituisce l’oggetto mediato della vendita, dietro ulteriore prestazione di un consenso dettato dall’obbligo di adempimento di una precedente obbligazione assunta con il contratto di vendita. In dottrina, sul punto, occorre segnalare la tesi di chi sostiene che la compravendita, quando sia affetta da condizioni sospensive o da termini di efficacia iniziali, non possa considerarsi vendita “ad effetti reali”, al pari di ciò che accade quando la vendita avesse ad oggetto un bene futuro o una cosa altrui, laddove - sempre secondo Alcuni - devesi parlare di vendita obbligatoria. Si segnala, tuttavia, che l’“eventualità” legata all’oggetto mediato del contratto, secondo la migliore dottrina (Sacco, Bianca, Luminoso), non modifica la natura del contratto che rimane contratto ad effetti reali, sebbene si tratti di effetti reali differiti, producendosi, gli effetti della traslazione del diritto, appunto, non dal momento del perfezionamento dell’accordo, ma dal momento in cui, rispettivamente, dell’evento dedotto in condizione sospensiva si accerti la venuta ad esistenza, dal momento in cui il termine iniziale si sia verificato, dal momento in cui la cosa futura sia venuta ad esistenza, dal momento in cui il venditore di cosa altrui abbia acquistato il bene dall’originario titolare, in tal modo trasferendolo automaticamente al proprio avente causa. Invero, alcuni Autori parlano, in tal caso, di “vendita ad effetto traslativo mediato” nel senso che, gli effetti traslativi, seppure non collegati al momento originario del perfezionamento del contratto, sono tuttavia sempre riconducibili al consenso traslativo originariamente manifestato e non hanno bisogno, come invece accade nella vendita obbligatoria vera e propria, di un ulteriore consenso volontaristico che determini, proprio esso, l’effetto traslativo in adempimento dell’obbligo assunto col consenso originariamente prestato. Qualunque sia la tesi che si voglia condividere, la questione non sembra, da un punto di vista sostanziale, particolarmente rilevante se non sotto il profilo meramente definitorio. Ciò che in linea generale deve concludersi è che non sembra possano aversi eccezioni alla caratteristica della compravendita immobiliare quale contratto ad effetti comunque reali (che siano immediati o differiti, poco importa, sotto questo aspetto), ma giammai tale contratto può considerarsi assorbibile nella diversa fattispecie del contratto ad effetti obbligatori che richiede, 7 Gli Speciali Immobili & proprietà per finalità sostanziali (e non meramente collegate a profili di formalismo) un ulteriore prestazione di un consenso volontaristico al fine di perfezionare la fattispecie che determini la traslazione del diritto. Diversamente, invece, è a dirsi per quanto riguarda gli aspetti peculiari di tutti i cosiddetti “contratti preparatori” tra i quali, certamente per importanza, spicca - almeno con riguardo ai diritti reali immobiliari - il contratto preliminare. Il contratto preliminare Il nostro Ordinamento non si occupa del contratto preliminare se non in una sola norma che disciplina esclusivamente l’aspetto formale, laddove essa richiede la medesima forma che la legge richiede per la stipulazione del contratto definitivo. Nonostante la norma taccia sulla funzione del preliminare e sulla sua esatta nozione, non è difficile rimediare tali elementi direttamente con ricorso alla prassi quotidiana che fa, del preliminare, un contratto dal larghissimo utilizzo. Il preliminare è costituito da un accordo con il quale le parti intendono vincolarsi alla conclusione di un ulteriore contratto (definitivo) che, in adempimento a quanto dalle medesime parti statuito in seno al preliminare, consenta di rinviare gli effetti scaturenti dal contratto definitivo, vincolando, nel contempo, le parti ad addivenire all’adempimento dei propri rispettivi obblighi assunti col preliminare medesimo. La funzione del preliminare è dunque quella di assicurare la produzione degli effetti che si riconnettono alla stipulazione del contratto definitivo, consentendo che tali effetti possano essere procrastinati, tuttavia, ad un tempo successivo. È possibile che l’interesse a rinviare gli effetti che si producono solo con la stipulazione del contratto definitivo, siano solo di una parte. In altri termini, potrebbe capitare che una parte sia già pronta ad eseguire la propria prestazione, mentre sia la controparte a volerne rinviare gli effetti e quindi l’adempimento. Si parla, in tal caso di “contratto preliminare unilaterale”, e ciò, non perché al contratto partecipi una sola parte (altrimenti il preliminare smetterebbe la sua natura e la sua essenza contrattuale che, invece, vi è naturalmente connaturata), ma perché l’interesse a rinviare gli effetti giuridici ed economici dell’affare da concludere, sono solo di una parte. Ciò importa che, mentre la parte che sarebbe pronta ad eseguire anche immediatamente la propria prestazione, resta vincolata all’adempimento della propria prestazione, l’altra Immobili & proprietà 2015 parte resta arbitrariamente libera di decidere se concludere, o meno, il definitivo, senza che, in mancanza, possano richiedersi tutte quelle forme di tutela giuridica della parte adempiente contro quella eventualmente inadempiente, considerato che l’inadempienza della controparte è già contemplata nell’ambito della lex contractus caratterizzante l’accordo preliminare iniziale. La fattispecie appena considerata rappresenta una struttura assimilabile all’opzione, ma con la differenza che l’opzione costituisce un patto facente parte di un accordo complesso a formazione progressiva, laddove il preliminare è un contratto perfetto ed autonomo rispetto al contratto definitivo di cui si limita a promuoverne la conclusione. Quando, invece, gli interessi al rinvio degli effetti conclusivi dell’affare sono di entrambe le parti, il preliminare si definisce “bilaterale”; il che rappresenta l’ipotesi più tradizionale ed ordinaria. Quanto alla natura giuridica, nessuno più dubita che il preliminare sia un contratto di natura obbligatoria dal momento che, dallo stesso, non sorgono effetti ulteriori rispetto all’assunzione di obblighi in capo ad una o ad entrambe le parti, in ordine all’ulteriore (necessaria) prestazione di un consenso contrattuale che vada a costituire il contratto definitivo. Contrariamente a ciò che accade nella compravendita, ove gli effetti consensuali traslativi sono immediati (a prescindere dalla materiale dazione del bene costituente l’oggetto mediato del contratto), nel contratto preliminare non si determina alcuna modificazione immediata, almeno dal punto di vista materiale, delle sfere giuridico-patrimoniali dei contraenti. Da quanto accennato, è possibile evincere la conservazione nel preliminare, rispetto alla compravendita, della natura di contratto consensuale in quanto contratto il cui perfezionamento è unicamente legato alla manifestazione del consenso volontaristico delle parti coinvolte, a prescindere da alcuna prestazione materiale immediata. Ciò non esclude, come spesso avviene, che, al momento della stipulazione del preliminare, si assista ad un accordo nel quale sono contemplate prestazioni (totali o parziali) che dovrebbero riconnettersi al contratto definitivo (quali: versamento di un acconto prezzo, immissione nella materiale detenzione del bene promesso in vendita prima del perfezionamento del definitivo, etc. ...). Tuttavia, come è dato osservare, tali prestazioni, qualora ottemperate al momento della stipula del preliminare, non rispondono alla causa naturale del contratto preliminare e quindi agli interessi che hanno spinto i contraenti al perfe8 Gli Speciali Immobili & proprietà zionamento del contratto stesso. Si tratta, infatti, di prestazioni che rivestono il ruolo di “accessorietà” rispetto alle prestazioni naturalmente e giuridicamente legate al preliminare e che servono a rispondere ad esigenze particolaristiche volute dalle parti, ma che restano estranee alla causa contrattuale del preliminare e che, pertanto, non ne modificano la natura. È lecito chiedersi se il preliminare debba necessariamente costituire, dal punto di vista contenutistico, un’anticipazione letterale dell’accordo che sarà consacrato poi nel contratto definitivo. Per quanto si sia convinti che la delicatezza nell’affrontare la redazione di un contratto preliminare e l’inserimento di talune clausole, piuttosto che di altre, costituisca paradossalmente un impegno intellettuale e giuridico, se si può, ancora più virtuoso di quello normalmente richiesto per il contratto definitivo, non si può dire, d’altro canto, che il contratto definitivo debba risolversi in una mera “ripetizione” contrattuale del preliminare. Ciò che si intende affermare è che, se per un verso è vero che il contratto preliminare pone dei vincoli contrattuali difficilmente eliminabili e modificabili in seno al contratto di compravendita definitivo, talché l’attenzione che il notaio deve prestare nell’adempimento della sua funzione di adeguamento, rispetto al preliminare, è forse più incisiva di quella richiesta per il contratto definitivo, è altresì vero che alle parti sono lasciati ampi margini di discrezionalità nella scelta di introdurre, nell’ambito del definitivo, adeguamenti ed integrazioni che lascino ovviamente immutata la struttura contrattuale sostanziale, inizialmente ideata con il preliminare. Di guisa che, sebbene il contratto definitivo assuma una totale autonomia rispetto al contratto preliminare, ponendosi come unica fonte dei diritti e delle obbligazioni delle parti in relazione all’affare che esse hanno scelto di concludere, in tal modo facendo sì che il contratto preliminare resti definitivamente superato dal definitivo, ciò non consente che, rispetto al contratto preparatorio, costituito dal preliminare, il contratto definitivo possa, nell’autonomia legale di cui godono le parti, costituire una strutturazione dell’accordo completamente diversa dal contratto preliminare del quale, il definitivo, per sua natura, deve determinare il naturale adempimento e al quale, dunque, il definitivo è direttamente connesso quanto agli aspetti contenuti- Immobili & proprietà 2015 stici essenziali1. Ovviamente, ciò non impedisce alle parti, sempre nel contesto dell’autonomia privata di cui esse parti godono, di concludere un contratto di compravendita immobiliare che nulla abbia a che fare col contratto preliminare che esse parti avevano, a suo tempo, già stipulato. Ma questa possibilità farà in modo, se seguita, di annullare, tra le medesime parti, ogni rilievo che esse avevano inteso originariamente riferire al loro preliminare, non solo facendo in modo, come di regola, che il preliminare “functus est munere suo” (ovvero resti del tutto avulso ed autonomo rispetto al definitivo al quale pure è collegato), ma che il preliminare medesimo smetta ogni sua efficacia e sia considerato, nell’economia dell’affare che le parti intendano concludere, “tamquam non esset”, come, cioè, se non fosse stato mai perfezionato, in quanto privato di alcun addentellato obbligatorio rispetto al diverso contratto definitivo tra le stesse parti perfezionato. Con riguardo al contenuto del preliminare, è evidente che l’ambito di libertà riservato alle parti in base all’autonomia contrattuale di cui esse godono, consente un ampio spettro di scelte, Tuttavia vi sono dei punti che è opportuno focalizzare per una migliore comprensione di taluni aspetti. Così è per il termine di adempimento. Normalmente è previsto, pena la possibile indeterminatezza dell’oggetto contrattuale secondo quanto si è avuto modo di verificare con riguardo alla compravendita, la fissazione di un termine per la stipula del contratto definitivo. Non si tratta, a meno di apposita pattuizione in tal senso, di un termine che possa essere considerato essenziale nell’accezione di cui all’art. 1457 c.c., a meno che le stesse parti non lo abbiano voluto considerare come tale. Tuttavia, l’inutile decorso del termine fissato dalle parti, ma non essenziale, faculta comunque la parte pronta al proprio adempimento, a richiedere l’esecuzione in 1 Sull’aspetto della centralità del contratto definitivo deve registrarsi l’interessante voce del Montesano il quale ha più volte sostenuto che l’effettiva fonte della contrattazione immobiliare sia costituita, non dal definitivo, ma dal contratto preliminare. Ciò è dimostrato anzitutto dalla norma che il Codice civile dedica al preliminare, laddove richiede per lo stesso, la medesima forma che la legge richiederebbe per il contratto definitivo. Disposizione che, secondo l’Autore, se il preliminare non fosse, esso, la vera fonte del rapporto, non vi sarebbe necessità di rispettare. Inoltre, se si ammette che una sentenza (quella di esecuzione in forma specifica, ex art. 2932 c.c.) possa determinare e costituire gli effetti del non concluso contratto definitivo, ciò vuol dire che quegli effetti erano già insiti nel contratto preliminare, mentre il definitivo si limita a rappresentare una sorta di condicio juris per rendere efficaci gli effetti della stipulazione. 9 Gli Speciali Immobili & proprietà forma specifica sulla base dell’assunta inadempienza della controparte o, in alternativa, a richiedere la risoluzione giudiziale ai sensi degli artt. 1453 e 1454 c.c., dimostrando che il termine fissato costituiva elemento essenziale al rispetto degli interessi della parte non inadempiente. Laddove, invece, nessun termine fosse stato eccezionalmente previsto, fermi i principi dai quali possa addirittura farsi valere (dalla parte inadempiente) una potenziale indeterminatezza dell’oggetto, ove ne ricorrano i presupposti, è possibile il ricorso al giudice per la fissazione di un termine o, altrimenti, richiedere l’immediato adempimento contrattuale secondo la regola generale prevista dall’art. 1183 c.c.2. Analogamente è consentito alle parti di prevedere, in seno al preliminare, l’integrale pagamento del corrispettivo, il cui saldo, di norma, è riservato al momento della stipula del contratto di compravendita definitivo. Oppure, come qualche volta capita, di riconnettere, al momento del perfezionamento del preliminare, l’immissione del promissario acquirente nella materiale detenzione del bene oggetto del contratto definitivo. Si tratta in ogni caso di previsioni legalmente ammissibili e del tutto legittime, salvo le dovute considerazioni, soprattutto con riferimento ai profili fiscali, delle conseguenze di una anticipazione dei naturali effetti contrattuali che avrebbero dovuto riconnettersi al contratto definitivo. Il preliminare di preliminare e le questioni di legittimità Dal punto di vista pratico, si può dire che oggi la tradizionale sequela contrattuale preliminaredefinitivo è stata soppiantata, soprattutto con riguardo alle transazioni immobiliari in cui vi sia l’intervento di un mediatore professionale, da un triplice stadio di eventi negoziali. In prima istanza, infatti, la fase delle contrattazioni si apre con la cosiddetta “proposta di acquisto” che altro non è che una sorta di inversione camuffata degli interessi delle parti. A fronte, infatti, di un’offerta immobiliare, non è il venditore a promuovere l’offerta di vendita, ma è il potenziale acquirente, interessato all’immobile, a produrre, di solito all’agente immobiliare, una proposta di acquisto in cui vengono indicate le condizioni di massima (ivi compreso il prezzo) alle quali si intenderebbe chiudere l’affare. La proposta di acquisto as2 Sul punto risulta conforme Cass. n. 1642/1989. Immobili & proprietà 2015 sume la definizione tecnica di “contratto preliminare aperto” in quanto, partendo da un mero atto unilaterale (la proposta propriamente detta), assume le sembianze di un vero contratto quando essa si colleghi all’accettazione da parte del destinatario. A questo punto, però, è necessario individuare quale tipo di natura essa possa dirsi avere assunto. La dottrina notarile, negli anni, è stata divisa tra chi (Ravazzoni) ha visto in tali accordi un vero preliminare del preliminare, quale forma atipica del contratto preliminare con il quale viene riservata una fase preparatoria, non solo rispetto al contratto definitivo, come tradizionalmente accade, ma viene assicurata altresì una primitiva fase preparatoria rispetto al preliminare vero e proprio. Altra parte (Tassinari) ha individuato nella proposta di acquisto, una fase contrattuale che si svolge tra soggetti diversi da quelli che poi saranno effettivamente coinvolti dal preliminare vero e proprio e dal definitivo. La proposta, infatti, secondo tale tesi, va ad inserirsi in una fase pre-contrattuale dove il rapporto si svolge ancora nell’ambito dell’intervento diretto del mediatore, successivamente estraneo alle vere fasi precontrattuali, preparatorie del contratto definitivo. Non pare che entrambe le tesi manchino di spunti assai interessanti. Da un lato, infatti, seguendo la teoria per la quale la proposta contrattuale costituisce un’ulteriore fase preparatoria necessaria alle parti per addivenire ad un più approfondito controllo circa la situazione giuridica dell’immobile, a dilatare ulteriormente i tempi al fine di consentire maggiori margini cronologici nella ricerca di fonti di finanziamento per l’acquisto, di bloccare, nei suoi elementi essenziali, la trattativa, in attesa dell’intervento di un tecnico del diritto che possa confezionare il vero e proprio contratto preliminare con tutti gli elementi e le clausole che rispondano agli interessi complessivi delle parti, non si può disconoscere importanza ad una dilatazione, in due fasi, dello stadio preparatorio pre-contrattuale (rispetto al definitivo). Dall’altro lato la tesi che vede, nella proposta contrattuale, non una fase propriamente preparatoria del definitivo, ma una fase meramente promozionale nell’ambito dell’acquisto di un dato prodotto, conferma la rilevanza dell’ambito della mediazione rispetto all’ambito più precisamente destinato alla regolamentazione degli interessi delle parti nell’economia di un determinato affare. In ogni caso, sia che si voglia condividere l’una o l’altra delle tesi sopra esposte, diventa di fondamentale importanza comprendere le conseguenze 10 Gli Speciali Immobili & proprietà che possono richiamarsi nell’ipotesi in cui, effettuata una proposta contrattuale, ed essendo stata, questa, pienamente accettata, non si addivenisse poi alla conclusione del contratto preliminare che la proposta avesse promosso e, tanto meno, alla stipulazione del contratto definitivo. A seguire la tesi secondo cui la proposta altro non sarebbe se non “un preliminare di preliminare” se ne dovrebbe concludere nel senso che, al pari dell’inadempimento del contratto preliminare, si possa ricorrere al rimedio dell’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. Senonché la dottrina notarile ha avanzato forti riserve sull’applicabilità, alla proposta accettata, del rimedio dell’esecuzione in forma specifica. Quest’ultima, infatti, attraverso la sentenza costitutiva di esecuzione in forma specifica, si limita a riprodurre giudizialmente un regolamento contrattuale, già completo, del quale ordina l’esecuzione in via forzosa. Ma la proposta, in effetti, pur contenendo gli elementi più importanti destinati a definire una prima economia dell’accordo, manca di tutte quelle clausole e di tutti quegli accordi accessori che avrebbero dovuto essere integrati con il contratto preliminare vero e proprio. Sicché, di fatto, alla sentenza ex art. 2932 c.c. è impedito di sostituire un regolamento contrattuale in quanto questo non era ancora stato posto in essere e, d’altronde, mancano a questo tipo di intervento giudiziale i requisiti che possano consentire al giudice di sostituirsi alla mancata espressione volontaristica delle parti. La sentenza di esecuzione in forma specifica ha, infatti, la sola portata suppletiva rispetto ad un mancato adempimento, ma manca della funzione integrativa che sarebbe necessaria al fine di consentire l’adeguamento della proposta a tutti gli accordi che possano dirsi effettivamente completativi di un contratto preliminare vero e proprio. La soluzione unicamente percorribile, allora, nel caso in cui una proposta accettata dovesse restare inadempiuta, sarebbe quella di prevedere tale evento nel corpo della stessa proposta, magari inserendo, nella stessa, apposita clausola compromissoria idonea a demandare ad un collegio arbitrale l’integrazione del regolamento negoziale, sulla base di criteri oggettivi ricavabili dalla prassi e dal normale comportamento che le parti avrebbero dovuto tenere per il soddisfacimento dei reciproci interessi, alla luce del principio della buona fede contrattuale e pre-contrattuale. Di guisa che, per questa via, si possa giungere all’elaborazione “coattiva” di un preliminare chiuso suscettibile, poi, in caso di inadempimento, di essere sottoposto alle conseguenze Immobili & proprietà 2015 ordinarie previste per il caso di inadempimento del contratto preliminare. Nell’ambito di una esatta cronaca di queste vicende legate alla questione della proposta contrattuale che conduce ad un preliminare di preliminare, alla possibilità riconosciuta alle parti, di triplicare le fasi delle trattative contrattuali convenendo, prima ancora del vero preliminare, un ulteriore contratto che rappresenti una fase preparatoria dello stesso contratto preparatorio, è opportuno registrare quali sono state le posizioni assunte più di recente dalla giurisprudenza di legittimità. In prima battuta, con la sentenza Cass. 2 aprile 2009, n. 8038, la Suprema Corte aveva concluso nel senso di una nullità del “preliminare del preliminare”, qualunque fosse la forma esteriore adoperata dalle parti, per radicale mancanza di causa. I Giudici avevano supposto, infatti, che, al cospetto della causa astratta che distingue il contratto preliminare e che consiste nella prestazione di un consenso volontaristico finalizzato all’assunzione dell’obbligo di prestare un ulteriore consenso negoziale avente effetto traslativo, la duplicazione del momento preparatorio sarebbe stata priva di una seria causa contrattuale, rivelandosi “una mera ed inconcludente superfetazione, non sorretta da un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico”. Della questione sono state, di recente, investite le Sezioni Unite della Suprema Corte, alle quali la seconda sezione, con ordinanza del 4 marzo 2014, aveva rimesso la soluzione della problematica della validità del “preliminare del preliminare” sulla scorta della considerazione della causa contrattuale, non più in astratto, ma in concreto. In tale ottica i Giudici si sono espressi in maniera più puntuale, tacciando di invalidità quel contratto preparatorio che obblighi alla prestazione di un ulteriore consenso obbligatorio, senza nulla integrare o aggiungere rispetto alla prima regolamentazione contrattuale, ma, al contempo, conservando e prevedendo la piena validità di un “preliminare di preliminare” allorché il contenuto del vincolo scaturente dal secondo contratto non sia una mera ripetizione di quanto assunto nel primo contratto, ma valga ad integrare e a individuare aspetti che non siano stati trattati in prima battuta. Perciò, secondo le conclusioni delle Sezioni Unite, (Cass. sent. 6 marzo 2015 n. 4628) è pacifica la conservazione degli effetti del “preliminare del preliminare” quando, esclusa l’ammissibilità del “bis in idem”, il primo accordo sia volto all’assunzione 11 Gli Speciali Immobili & proprietà dell’obbligo di prestare un ulteriore consenso volontaristico, obbligatorio alla conclusione di un definitivo, ma in un contesto contrattuale che sia finalizzato a rifinire l’accordo originario, ad integrarlo in taluni suoi contenuti, a sostituire la previsione di un termine con un altro o ad escluderlo affatto, etc. E, pertanto, così come statuito dalle succitate Sezioni Unite, la configurabilità di un “preliminare di preliminare” resta pienamente accettata laddove, anche in presenza di un primo stadio prenegoziale avanzato, vi sia il legittimo interesse delle parti, meritevole di tutela, di giungere ad un ulteriore accordo preparatorio in funzione di attuare una formazione progressiva del contratto definitivo che sia basata, epperò, su una oggettiva differenziazione dei contenuti negoziali nelle diverse fasi di cui la formazione stessa dell’accordo consta. Sotto quest’ottica, allora, risulta pienamente am- Immobili & proprietà 2015 missibile la tradizionale tripartizione cui di recente si assiste che, modificando la primitiva dicotomia preliminare-definitivo, tende ad applicare una generalizzata bipartizione della fase preparatoria che, partendo dalla proposta accettata, conduce al contratto preliminare vero e proprio. Ed, in riferimento ad una tale progressione verso la stipula del contratto definitivo è ben valutabile il rilievo di un’eventuale violazione dell’accordo primario con conseguenziale inadempimento alla conclusione del preliminare in quanto comportamento contrario a buona fede che potrà dar luogo a responsabilità dell’inadempiente che la Suprema Corte ha definito “responsabilità contrattuale” per la volontaria rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale delle trattative culminate nella proposta accettata. 12 Gli Speciali Immobili & proprietà Aspetti relativi alla conformità urbanistica e catastale degli immobili. Il profilo della conformità degli impianti. La certificazione energetica di Antonio Testa - Notaio in Monza Il problema del concetto di conformità verificato nei diversi profili che esso può generare con riferimento agli edifici sotto l’aspetto urbanistico-edilizio, degli impianti e della materia energetica con particolare riguardo critico all’effettiva portata che tale concetto esplica oggi al cospetto di una legislazione solo formalmente tutelatrice degli interessi privati ma in concreto estranea ad ogni profilo di tutela sostanziale. Premesse Non è affatto casuale che l’acquisto immobiliare, almeno nel contesto storico-economico della società in cui viviamo, venga sempre più spesso collegato, in relazione alle problematiche e alle questioni che lo interessano, al concetto di “conformità” di quanto ne costituisca l’oggetto. Ciò, è evidente, non solo perché il legislatore stesso si è reso protagonista di un avvicendarsi normativo che, nell’arco dell’ultimo decennio, ha individuato nella “conformità”, sotto i diversi aspetti nei quali essa debba estrinsecarsi, una forma di garanzia sostanziale nell’ambito della circolazione degli immobili, a tutela dell’effettiva rispondenza del manufatto a certe regole legali che un tempo potevano essere, di fatto, facilmente eluse, ma soprattutto a causa dell’insorgenza di una nuova consapevolezza di legalità, collegata ad una sostanziale, e mai troppo abusata, tutela dell’utenza o, come è di moda affermare, “del consumatore”. Il problema è, però, quello di appurare se tali sistematici approcci normativi al concetto di “conformità”, nelle diverse essenze di cui, come si è detto, esso consta, siano effettivamente serviti, non solo, appunto, ad una maggiore e più continuativa regolarità formale del sistema di circolazione degli imImmobili & proprietà 2015 mobili, ma soprattutto ad attuare forme di tutela dell’utente che siano, da un lato, in linea con un sistema di contrattazione negoziale di tipo moderno e, dall’altro, consentano l’effettivo raggiungimento di un “metodo” negoziale capace di mettere l’acquirente, al riparo dai più frequenti rischi che la compravendita immobiliare comporta. Ora, se dal punto di vista strettamente “economicopatrimoniale”, taluni rischi naturalmente connessi alla contrattazione immobiliare, possono essere, in larga misura, eliminati o, quanto meno, attutiti dall’intervento notarile, si comprende facilmente come, in assenza di una regolamentazione della materia che attribuisca al notaio rogante, ad esempio sulla scorta del modello francese, un sostanziale controllo su tutti i profili tecnico-materiali attinenti l’immobile oggetto del negozio giuridico, laddove il solo sostanziale controllo notarile, oggi, si impernia sulle questioni pubblicitarie (libertà dell’immobile da pesi, vincoli, iscrizioni, trascrizioni pregiudizievoli, diritti di terzi in genere, continuità delle trascrizioni) e sulle modalità di pagamento del corrispettivo, oltreché sul trattamento fiscale dell’operazione in essere, risulta evidente come l’effettiva tutela dell’acquirente resti unicamente collegata a “dichiarazioni di conformità”, la cui veridicità sebbene sia più o meno documentale o più o meno docu13 Gli Speciali Immobili & proprietà mentabile, in ottemperanza a specifiche previsioni di legge, frequentemente è destinata a ricoprire un ruolo meramente formale, restando affidata unicamente all’onestà di chi certe dichiarazioni sia chiamato ad effettuare in atto. Qui di seguito si cercherà, sotto questa ottica, di trattare del problema della “conformità” sotto i diversi aspetti che legislativamente lo riguardano, con riferimento alla fattispecie della compravendita immobiliare, evidenziando, appunto, ove possibile, i limiti che una normazione, la quale richiede il rispetto di presupposti meramente formali, determina sull’efficacia di talune tutele sostanziali dell’acquirente. Né, in tal senso, si può dimenticare come una normativa, oggi povera di sanzioni, abbia comportato, nel tempo, un annacquamento, nella mente dell’operatore, di certi passaggi che sono stati ritenuti importanti ed imprescindibili solo quando essi si sono trovati al cospetto della sanzione della nullità dell’atto, in mancanza della quale, purtroppo, sembra che tutto quanto acceda alla questione “conformità” possa addirittura assumere un ruolo marginale ed esclusivamente formale e, come tale, suscettibile di deroga e/o di consapevole omissione. La conformità urbanistico-edilizia Nell’ambito della tematica appena accennata, assumono una rilevanza di non poco momento anzitutto le problematiche connesse alla conformità edilizia dell’immobile oggetto del negozio giuridico e quelle interagenti con la sua effettiva legale utilizzabilità dipendenti, queste ultime, dall’avvenuto rilascio della certificazione di agibilità. In relazione al complesso concetto di “conformità urbanistico-edilizia” dell’unità immobiliare, con la sola eccezione di quanto disposto dall’art. 36 del T.U. 380/2001, in ordine al cosiddetto “accertamento di conformità” (essenzialmente riproduttivo del procedimento da taluni definito di “sanatoria a regime” di cui al vecchio art. 13, L. n. 47/1985), non pare rintracciabile alcuna definizione che faccia esplicitamente riferimento a tale elemento. Piuttosto, sono rinvenibili diversi passaggi della normativa sulla regolarità edilizio-urbanistica in cui indirettamente, senza alcun riferimento esplicito ad una certificazione di conformità edilizia, si fa riferimento comunque al concetto di conformità dell’opera realizzata. Si tratta di una conformità che viene a rilevanza, anzitutto, nel procedimento disciplinante la denuncia di inizio attività, laddove essa assume, come vedremo, una duplice valenza, Immobili & proprietà 2015 una ex ante ed una ex post, ed - in secondo luogo nell’ambito della certificazione di agibilità di cui agli artt. 24 e 25 del T.U. alla quale deve riconoscersi la funzione di attestazione dell’idoneità di qualunque edificio, indipendentemente dalla propria destinazione, all’uso per cui esso è predisposto, sotto il profilo igienico-sanitario, della sicurezza e del risparmio energetico degli impianti in esso installati, così come espressamente affermato dal citato art. 24 e, quindi, in ultima analisi, la funzione di attestare la conformità dell’opera realizzata, ad un progetto che, in quanto assentito dalle competenti Autorità preposte, non può avere prodotto un manufatto non conforme alle disposizioni legali in materia edilizia. Partendo dal concetto di “conformità edilizia” collegato ai procedimenti di D.I.A. (ma similmente è a dirsi per la novella S.C.I.A. e, sotto certi aspetti, financo per la C.I.A.), la prima funzione di essa è rinvenibile nel giudizio di conformità che il progettista ha obbligo di attestare, al momento della instaurazione del procedimento, con apposita relazione in tal senso asseverata e depositata in accompagnamento alla D.I.A., con riguardo alla coerenza dell’intervento rispetto agli strumenti urbanistici adottati od approvati e ai vigenti regolamenti edilizi (art. 23, comma 1, T.U.E.). Analogamente, la seconda funzione dell’accertamento di conformità è quella rintracciabile al momento della definizione del procedimento, coincidente con l’ultimazione dei lavori, e sostanziantesi nel certificato di collaudo finale, che attesta l’effettiva conformità dell’opera, una volta che sia stata definitivamente realizzata, rispetto al progetto presentato con la D.I.A. (art. 23, comma 7, T.U.E.). Si comprende facilmente come la necessità di documentare ex ante un giudizio di conformità dell’intervento edilizio rispetto agli strumenti urbanistici vigenti e ai regolamenti edilizi, sia estraneo al “permesso di costruire” in quanto ultroneo rispetto ad esso, stante la natura evidentemente “concessoria” di tale permesso rispetto alla diversa natura “di parte” della D.I.A. Diversamente, sia nel caso di intervento edilizio abilitato con regolare permesso di costruire, che in quello regolamentato da D.I.A., resta necessario documentare un giudizio ex post di conformità di quanto realizzato rispetto al progetto originariamente assentito. Il che avviene con soluzioni diverse a seconda che l’intervento sia stato abilitato con D.I.A. oppure sia stato autorizzato con “permesso di costruire”. Nel primo caso, infatti, il certificato di collaudo finale, in cui si sostanzia il 14 Gli Speciali Immobili & proprietà giudizio di conformità, entra a far parte integrante dell’intero iter procedurale di abilitazione edilizia instauratosi con la D.I.A., definendo conclusivamente la regolarità urbanistica dell’intervento stesso (salvo, ovviamente, il problema di eventuali mendaci dichiarazioni, sul punto, da parte del progettista); nel secondo caso, in presenza di un intervento edilizio assentito con “permesso di costruire”, il giudizio di conformità dell’opera rispetto al progetto trova l’unico proprio sbocco documentale nel carteggio richiesto in accompagnamento alla domanda di rilascio del certificato di agibilità (art. 25, comma 1, lettera “b” T.U.E.). È probabile che la giustificazione di questo diverso trattamento sia rinvenibile nella diversa natura dei due iter abilitativi. L’uno, infatti, quello instaurato con la D.I.A., si caratterizza proprio per la natura procedimentale la cui definizione dipende da un documento, il certificato di collaudo finale, che rappresenta quasi la quadratura del cerchio, attestando appunto la piena conformità dell’edificato a quanto rappresentato progettualmente nella D.I.A. originariamente presentata in Comune; laddove la presenza di un permesso di costruire determina l’esistenza di un documento abilitativo che si perfeziona “istantaneamente” con il suo rilascio. In altri termini, è pensabile che, costituendo la D.I.A. una procedura di parte alla quale è estraneo almeno inizialmente qualunque controllo in funzione concessoria da parte della pubblica autorità, essa rende per ciò stesso necessaria una maggiore responsabilizzazione del beneficiario in ordine all’effettivo rispetto del progetto, da documentarsi appunto con il certificato di collaudo finale. Non è casuale e secondario, sotto l’aspetto che qui interessa sottolineare, che alla redazione di tale certificato di collaudo sia unicamente deputato il tecnico-progettista o comunque altro tecnico abilitato, e cioè un soggetto che, in base alle proprie specifiche attitudini professionali, sia idoneo a conferire maggiore pregnanza tecnica a quanto dichiarato rispetto ad una mera dichiarazione proveniente dal proprietario. Al contrario, nel caso in cui l’intervento sia stato assentito con “permesso di costruire”, la natura prettamente “pubblicistica” del provvedimento, determina un immediato e diretto controllo da parte della pubblica autorità circa la congruità urbanistica dell’intervento. Ciò fa sì che la funzione della dichiarazione di conformità, in tal caso e contrariamente a ciò che accade in presenza di D.I.A., non sia più, né quella di operare un controllo ex ante sul rispetto da parte dell’intervento degli strumenti urImmobili & proprietà 2015 banistici e dei regolamenti edilizi vigenti, né quella di determinare il perfezionamento di un procedimento (che invece qui è concluso istantaneamente con il rilascio del provvedimento abilitativo), ma sia confinata esclusivamente all’ambito dell’abilitazione legale dell’utilizzo del bene, e quindi al momento della richiesta della certificazione di agibilità. Sotto tale aspetto, come sarà evidenziato più oltre, si potrebbe concludere nel senso che la certificazione di agibilità assuma una valenza, non solo igienico-sanitaria, ma oltretutto urbanistica proprio in relazione ad un intervento che sia stato abilitato con “permesso di costruire”, laddove, in presenza di D.I.A., la questione urbanistica può dirsi conclusa e conchiusa all’interno del relativo procedimento la cui definizione ultima è lasciata al “certificato di collaudo finale”. Giova, tuttavia ricordare che, come si è avuto modo di accennare in premessa, tale “conformità”, per quanto attestata documentalmente, fuoriesce, da un lato, da alcun controllo notarile (non solo, come è ovvio, da un controllo diretto, considerato che il notaio non avrebbe quelle conoscenze tecniche idonee a rappresentare una sostanziale verifica del rispetto dei requisiti urbanistico-edilizi legalmente previsti, ma neppure indiretto, in quanto al notaio non è affidato alcun compito di controllare attraverso propri consulenti la sostanziale regolarità edilizia dell’immobile oggetto della contrattazione), e, dall’altro lato, esclude addirittura qualsiasi obbligatoria menzione in atto. La normativa, infatti, sotto gli aspetti della regolarità edilizia ed urbanistica del manufatto, si affida ad una mera dichiarazione di parte, che, seppure documentata ed inserita nel corpo dell’atto, è di nulla rilevanza sostanziale in quanto sprovvista ed esclusa da adeguati strumenti di controllo della sua veridicità. È interessante, sul punto, notare tuttavia come, un adeguato trattamento normativo della questione “agibilità dell’edificio”, avrebbe potuto condurre a risultati maggiormente soddisfacenti. Le funzioni che, secondo quanto sancito dall’art. 24 del T.U. 380/2001, sono riservate alla certificazione di agibilità, escludono, almeno sul piano letterale, qualsiasi valenza relativa all’attestazione di regolarità urbanistica del bene certificato agibile. Sembra anzi che, proprio in ciò, possa riscontrarsi la più incidente differenza tra l’attuale disciplina della certificazione di agibilità e la primitiva normativa in materia di agibilità ed abitabilità degli edifici recata dagli artt. 220, 221 e 222 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 (T.U. delle leggi sanitarie). È infatti opportu15 Gli Speciali Immobili & proprietà no considerare come l’art. 221 della norma da ultimo richiamata, oltre a prevedere il divieto espresso di abitare e di utilizzare edifici sprovvisti di certificazione di abitabilità od agibilità (divieto peraltro al tempo penalmente sanzionato con una specifica ammenda), sancisse, tra i presupposti ai quali era collegato il rilascio della certificazione, anzitutto l’obbligo del controllo di conformità edilizia del manufatto rispetto al progetto approvato. Anzi, nella disciplina recata da tale normativa sembra proprio che il giudizio di “conformità edilizia” finisse per assumere quasi un’importanza prioritaria rispetto agli altri elementi, di natura prettamente igienico-sanitaria, rilevanti per il rilascio dell’abitabilità e costituiti dal controllo dell’effettivo prosciugamento dei muri e dal controllo circa l’inesistenza di eventuali altre cause di insalubrità dei locali. La natura della funzione dell’abitabilità/agibilità, caratterizzata fin qui essenzialmente dalla prevalenza di un giudizio di natura urbanistico-edilizia su quello più specificamente igienico-sanitario, restava sostanzialmente immodificata anche con l’introduzione della novella recata in materia dal D.L. 5 ottobre 1993, n. 398 (convertito con modificazioni nella L. 4 dicembre 1993, n. 493) il cui art. 4, comma 10, integrando la portata della prima disciplina, aveva lasciato intatta la tipologia dei controlli da effettuare in funzione del rilascio della certificazione, conservando all’accertamento di conformità urbanistico-edilizia, una valenza ancora una volta preponderante rispetto agli elementi più strettamente igienico-sanitari. La situazione, invece, subisce un certo cambio di rotta a seguito dell’emanazione del d.P.R. 22 aprile 1994, n. 425 che, tornando sulla disciplina del procedimento per il rilascio del certificato di abitabilità/agibilità, provvedeva ad abrogare l’art. 221 del R.D. n. 1265/1934 ed il comma 10 dell’art. 4 del D.L. 5 ottobre 1993, n. 398, sia pure limitatamente alla disciplina procedimentale. Tale intervento normativo, se da un lato riconfermava perciò il divieto di utilizzare edifici che fossero sprovvisti della certificazione di abitabilità/agibilità, così come già previsto in origine dall’art. 221 del R.D. n. 1265/1934 (depenalizzandone peraltro la sanzione che diventava una ammenda amministrativa), dall’altro lato non prevedeva più (come era sotto il vigore della prima normativa) un accertamento diretto da parte della Pubblica Autorità della conformità urbanistico-edilizia di quanto realizzato stabilendo, in maniera ben più blanda, l’obbligo di predisporre sul punto una certificazione di parte, sia Immobili & proprietà 2015 pure redatta da un tecnico, quale è il direttore dei lavori. Inoltre, a riconferma della relatività della questione edilizia rispetto all’agibilità determinata dalla nuova normativa, va rilevato come il terzo comma dell’art. 4 del citato d.P.R. n. 425/1994 abbia disposto che il diniego dell’abitabilità si riferisca unicamente alla mancanza dei requisiti igienici della costruzione e non alla conformità estetica o urbanistico/edilizia dell’edificio. In conseguenza dell’introduzione dell’attuale T.U. 380/2001, l’evoluzione della disciplina della materia, a parte la novità terminologica (che ha riunito sotto il medesimo concetto di “agibilità”, sia gli immobili adibiti a destinazione abitativa, che quelli adibiti ad altri utilizzi), presenta due elementi che contribuiscono ad allontanare tale certificazione da qualunque valenza urbanistico-edilizia. In primo luogo, infatti, l’art. 24 esplicita in maniera espressa le esatte funzioni che si riconnettono all’agibilità, sostanziandole nell’accertamento della sussistenza, nell’edificio, delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico e, in secondo luogo, pur richiamando, tra i documenti preordinati al rilascio della certificazione di agibilità, la dichiarazione di conformità dell’opera rispetto al progetto approvato, si limita a richiedere una dichiarazione di parte che non è più nemmeno una dichiarazione tecnica proveniente dal direttore dei lavori, ma una semplice dichiarazione proveniente da chi ha presentato la richiesta di agibilità e quindi, in sostanza, proveniente dal privato proprietario. Tuttavia, al di là del dato letterale ricavabile dal primo comma dell’art. 24 T.U., il quale lascia supporre come gli obiettivi di pubblico interesse che il legislatore ha inteso perseguire nel subordinare l’utilizzabilità degli edifici al rilascio dell’apposita certificazione di agibilità siano collegati a funzioni di tutela della salute, pubblica incolumità e risparmio delle fonti energetiche, è innegabile come la valutazione delle documentazioni necessarie alla definizione del procedimento per il rilascio della certificazione non possano che portare alla conclusione di una certa rilevanza dell’agibilità anche sotto il profilo edilizio-urbanistico. L’art. 25, comma 1, lett. b), tra le documentazioni richieste in accompagnamento alla domanda di rilascio, pone, di fatto, su un medesimo piano la dichiarazione di conformità dell’edificio rispetto al progetto e la dichiarazione in ordine alla avvenuta prosciugatura dei muri e della salubrità degli ambienti, di guisa che contrariamente a quanto da molti sostenuto - non è affatto vero che la certificazione di agibilità non 16 Gli Speciali Immobili & proprietà svolgerebbe più alcuna funzione di verifica di conformità urbanistica ed anzi, almeno dal punto di vista delle disposizioni letterali contenute nel richiamato art. 25, finisce per porre su un medesimo piano la rilevanza degli aspetti igienico-sanitari rispetto a quella relativa agli aspetti urbanistico-edilizi. È vero che l’incidenza di una dichiarazione di conformità, che oggi proviene sostanzialmente dal privato, è certamente annacquata rispetto ad analoga certificazione che, nel passato, doveva provenire obbligatoriamente da un tecnico (il direttore dei lavori o altro tecnico abilitato), ma questa sorta di evoluzione regressiva di certo tecnicismo documentale si estende anche agli accertamenti igienicosanitari e sembrerebbe giustificata unicamente dalla volontà di semplificazione, insita nel legislatore più moderno e che si sviluppa attraverso la diffusa prassi di delegare al privato, in funzione autocertificativa, tutta una serie di accertamenti prima lasciati alla P.A. o a determinate competenze di tecnici della materia. Il problema è, piuttosto, quello di coniugare, nell’ambito della certificazione di agibilità, l’accertata rilevanza degli aspetti urbanistico-edilizi con le definizioni presenti nel primo comma dell’art. 24, le quali, come detto all’inizio, puntano l’obbiettivo sulla tutela di un pubblico interesse che sembrerebbe essere unicamente collegato all’esistenza di requisiti igienico-sanitari. Se, infatti, il certificato di agibilità è funzionalizzato ad attestare, come dice la norma, la sussistenza nell’edificio delle condizioni di igiene, salubrità e risparmio energetico, la conformità urbanistica dell’edificato sembrerebbe del tutto irrilevante rispetto a tali accertamenti. La conformità rispetto al progetto assentito, ancorché possa essere ampiamente indicativa in proposito, potrebbe in teoria nulla aggiungere o togliere rispetto alle effettive condizioni igieniche ed energetiche che consentano l’effettiva utilizzabilità dell’edificato. Nulla può infatti escludere che anche un manufatto che abbia rispettato alla lettera il progetto approvato, sia poi nel concreto mancante di quelle caratteristiche igieniche ed energetiche che ne consentano la libera utilizzabilità. Basti pensare al caso in cui particolari contingenze termiche e meteorologiche non abbiano consentito un tempestivo prosciugamento delle murature; oppure al caso in cui errori commessi nella realizzazione degli impianti termo-idraulici, non apparentemente visibili (come nel caso di un viziato ricircolo dell’acqua calda per uso sanitario che richiede energie termiche in esubero) abbiano a Immobili & proprietà 2015 determinare significativi sprechi energetici. Ed, infatti, il legislatore ha richiesto, in funzione delle indagini di natura igienico-sanitaria e degli accertamenti energetici, specifiche documentazioni del tutto autonome rispetto alla dichiarazione di conformità al progetto. Qual è, allora, l’esatta valenza della certificazione di conformità edilizia richiesta in funzione del rilascio dell’agibilità e, in altri termini, qual è l’effettiva funzione urbanistico-edilizia che oggi può considerarsi espletata attraverso il rilascio dell’agibilità? Per dare un’esauriente risposta a tale interrogativo, è opportuno partire dalla considerazione che il T.U.E., nel ribadire l’ambito operativo del certificato di agibilità, ne ha, di fatto, ampliato notevolmente gli aspetti tutelati ricomprendendovi, oltre al tradizionale aspetto igienico-sanitario, anche l’aspetto inerente le condizioni di sicurezza dell’edificio. Con ciò, il T.U.E., con riguardo alla valenza da riconnettere all’agibilità, ha introdotto una variabile ulteriore rispetto alla quale, e solo rispetto alla quale, assume rilevanza la conformità progettuale dell’edificato: la materia della sicurezza. Sicché è sotto questo unico aspetto, della sicurezza dell’edificio appunto, che assume rilevanza la conformità edilizia di quanto realizzato rispetto al progetto. Una rilevanza che, a parere di chi scrive, lascia sullo sfondo o, quanto meno in secondo piano, le tradizionali problematiche inerenti gli abusi edilizio-urbanistici per occuparsi, direi quasi esclusivamente, di elementi che, collegati al progetto, consentono la tutela di specifici interessi collettivi legati all’utilizzazione dell’edificio, quali la staticità e la sicurezza strutturale di quanto edificato. Perciò, se esiste certamente una rilevanza urbanistica collegata alla certificazione di agibilità, essa non poggia tanto sull’accertamento di un eventuale abuso, per la cui individuazione sono preposti ben altri e più pregnanti controlli e ben altri mezzi dissuasivi, quanto sull’evidenziazione del rispetto del progetto originario che, in quanto assentito, non può avere comportato la realizzazione di manufatti carenti sotto il profilo della sicurezza e della loro staticità. Il tutto al fine di apprestare unicamente una significativa tutela a quell’interesse generale rappresentato dalla difesa della pubblica incolumità rispetto al quale, invece, il problema di contrastare la circolazione di immobili abusivamente realizzati resta, nell’ottica della dichiarazione di agibilità, di mero sfondo. Ed è proprio questa particolare funzione urbanistica della certificazione di agibilità a spiegare la diversa 17 Gli Speciali Immobili & proprietà rilevanza della dichiarazione di conformità al progetto nell’ambito di un procedimento instaurato con D.I.A. rispetto ad un intervento assentito con regolare permesso di costruire. Nel primo caso la dichiarazione di conformità richiesta a corredo della documentazione per il rilascio dell’agibilità ha un suo pregresso nella certificazione di collaudo finale redatta dal tecnico progettista che, ai sensi del settimo comma dell’art. 23, serve a concludere il procedimento di “abilitazione “ edilizia instaurato con D.I.A. Nel secondo caso, invece, l’unico momento in cui viene documentalmente dichiarata la conformità è proprio nell’ambito del procedimento per il rilascio dell’agibilità. Sicché, per quanto paradossale possa sembrare, è proprio in presenza di un permesso di costruire che la certificazione di agibilità assume un particolare connotato urbanistico, sia pure sulla scorta di una dichiarazione di conformità che non è effettuata da un tecnico. Come dire che, proprio in presenza di quell’abilitazione edilizia considerata “principe” - quale è il permesso di costruire - sia lasciato proprio all’agibilità (e dunque ad un documento non proprio deputato alla funzione di controllo del territorio sotto l’aspetto urbanistico) il ruolo di verificare la coerenza urbanisticoedilizia di quanto realizzato. Ciò non deve poi stupire più di tanto per le ragioni sopra esposte per cui, in presenza di “permesso di costruire”, il controllo di conformità al progetto si pone ad un gradino necessariamente inferiore e più blando rispetto all’analogo controllo richiesto in presenza di D.I.A., in considerazione dei più stringenti controlli che caratterizzano sin dall’inizio il permesso di costruire rispetto a quelli necessari in presenza di un’attività procedimentale instaurata con D.I.A. Quest’ultima, infatti, basandosi essenzialmente su un procedimento che è di parte (non solo nel suo impulso iniziale, ma anche durante tutto il suo iter), necessita di un controllo di conformità realizzato da un tecnico che trova la sua naturale “ubicazione”, non nell’ambito dell’agibilità (ove pure la conformità è richiesta ma con mera dichiarazione di parte), per sua natura deputata a scopi che non sono propriamente quelli di un controllo urbanisticoedilizio, ma a conclusione del procedimento stesso, attraverso la certificazione di collaudo finale redatta dal progettista. Per quanto le disposizioni attualmente in vigore non contemplino alcuna previsione in ordine alla incidenza della certificazione di agibilità sulla contrattazione immobiliare né, tanto meno esistono norme che ne presuppongano il necessario rilascio Immobili & proprietà 2015 rispetto alla commercializzazione dell’immobile, limitandosi la legge a prevedere l’inutilizzabilità dell’immobile rispetto alla sua naturale destinazione in assenza di agibilità, pena l’irrogazione di specifiche sanzioni a carico di chi leda questo divieto, la copiosità della giurisprudenza sul tema fa intuire come la mancanza del requisito dell’agibilità non sia affatto priva di rilevanza nei rapporti negoziali. In linea di massima e al di là di taluni dati letterali rinvenibili dalle massime giurisprudenziali, non sempre puntuali, invero, nel rispecchiare le effettive dimensioni delle conclusioni cui i giudici sono giunti nell’affrontare la problematica, è possibile isolare tre principi posti dalla giurisprudenza in materia di agibilità: A) l’inesistenza della licenza di abitabilità (ma il discorso è evidentemente estensibile anche alle unità immobiliari diverse da quelle a destinazione abitativa) incide sull’esercizio e sulla disponibilità, in senso generale, del diritto di proprietà; B) l’inesistenza dell’agibilità non comporta alcuna limitazione alla legale circolazione dell’immobile e quindi alla validità dell’atto di trasferimento, incidendo unicamente su questioni inerenti l’adempimento della prestazione contrattuale; C) rispetto all’inesistenza dell’abitabilità/agibilità è del tutto irrilevante l’avvenuto perfezionamento dei procedimenti urbanistici abilitativi, ordinari o in sanatoria. Quanto al primo punto, è stato ampiamente evidenziato come l’agibilità si riconnetta al controllo di obiettivi di pubblico interesse costituiti dalla tutela della salute e della pubblica incolumità. Si tratta, pertanto, di elementi che sono sovracostituiti rispetto ai diritti e agli interessi che, collegati alla proprietà privata, sono come tali pur ritenuti meritevoli di tutela. Come si sa, il diritto di proprietà compendia una serie di libertà e di diritti che possono essere legittimamente esercitati e legalmente tutelati fino al limite estremo in cui essi non vadano ad intaccare diritti di terzi analogamente tutelati e, soprattutto, diritti legati all’ambito pubblicistico, costituzionalmente garantiti e, pertanto, di rango superiore. In questo campo bisogna rammentare come la certificazione di agibilità serva sostanzialmente a garantire che l’immobile sia in possesso di tutti i requisiti che ne accertino concretamente la possibilità del suo utilizzo senza rischi per la salute pubblica e l’incolumità, non solo di chi ne usufruisce, ma anche dell’intera collettività. Proprio per la tutela di tali finalità, non bisogna dimenticare che la norma 18 Gli Speciali Immobili & proprietà posta dal vecchio art. 221 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, abrogata per il resto dalle successive normative dettate in materia, è rimasta pienamente in essere per la parte in cui la stessa vieta l’utilizzo degli edifici sprovvisti della certificazione di agibilità. Sotto questo aspetto, allora, l’esercizio del diritto di proprietà che si concreti nell’utilizzo di un bene che non goda attualmente o, peggio, non possa mai godere dell’ottenimento di quella “patente”, costituita dal rilascio dell’agibilità, che ne garantisca l’immunità da vizi capaci di compromettere la sicurezza e la tutela della salute pubblica, non può che rappresentare un illegittimo esercizio della proprietà ed, anzi, un abuso di essa. Sicché la mancata concessione dell’agibilità costituisce, di fatto, una limitazione alle libertà che si riconnettono al diritto di proprietà, impedendone in concreto il legittimo esercizio. Tali considerazioni, però, non devono condurre al facile equivoco, in cui sovente si rischia di cadere, soprattutto attraverso una cattiva interpretazione di alcune conclusioni giurisprudenziali, secondo cui la mancanza dell’agibilità costituisce un insormontabile impedimento alla validità del trasferimento di diritti relativi all’immobile che ne sia sprovvisto. Una recente sentenza della Suprema Corte (Cass., Sez. III, 23 gennaio 2009, n. 1701) che, peraltro, ribadisce un concetto già ampiamente affermato nel passato da altre pronunce su analoghe problematiche, ha ricondotto la licenza di abitabilità a rango di “requisito giuridico essenziale ai fini del legittimo godimento e della commerciabilità del bene [...]”. Ma tale dato letterale, come ben spiegato altresì in diritto nel prosieguo della citata sentenza, non deve essere interpretato nel senso che la mancanza della agibilità determini una limitazione legale alla circolazione dell’immobile. Infatti, in ciò ricollegandoci al secondo principio sopra evidenziato, la licenza di agibilità non costituisce una condizione giuridica della validità del contratto ma, incidendo esclusivamente sull’attitudine del bene compravenduto a svolgere la sua naturale funzione economicosociale, ne rappresenta un elemento che contribuisce ad integrare l’identità dell’immobile. Di guisa che la mancanza dell’agibilità, rendendo il bene inidoneo alla sua naturale utilizzazione, rende di fatto impossibile il soddisfacimento delle esigenze che hanno condotto l’acquirente a contrarre, determinando, per questa via, una sostanziale incommerciabilità del bene stesso o, se si vuole, in altri termini, una inutilità dell’acquisto effettuato. Non si tratta, perciò, come si vede, di una “incommerciabiImmobili & proprietà 2015 lità” in senso giuridico, come da alcuni paventato, ma di una “incommerciabilità” in senso economico le cui conseguenze, come chiarito per l’ennesima volta anche da quest’ultima pronuncia della Cassazione, attengono ai profili dell’adempimento contrattuale e non si pongono in termini di condizionamenti alla validità del contratto, coinvolgendo, pertanto, tutta la casistica relativa all’inadempimento contrattuale con tutte le conseguenti azioni civili esperibili per tali fattispecie. È, invece, rimasta isolata una pronuncia dei giudici di merito (Trib. Venezia, 9 febbraio 1978, in Giur. it., 1979, I, 2, 234) secondo la quale la mancanza del certificato di abitabilità determinerebbe nullità del contratto di vendita per illiceità dell’oggetto. In effetti ad analoghe conclusioni è giunta anche qualche pronuncia della Suprema Corte che in termini di nullità per illiceità (rectius: sopravvenuta impossibilità) dell’oggetto si è pronunciata con riferimento ad immobili a destinazione diversa da quella abitativa (immobili produttivi o destinati comunque all’esercizio di una attività). In tal caso, a ben vedere, la mancanza dell’agibilità comporta la sopravvenuta impossibilità assoluta dell’oggetto del contratto e, perciò, per questa via la sua insanabile conseguente invalidità ai sensi dell’art. 1418 c.c. Di fronte a tali conclusioni è facile argomentare come la mancanza dell’abitabilità non rende illecito l’oggetto del contratto ma si limita a determinare l’inidoneità del “bene-oggetto” all’uso cui è destinato, nulla perciò sottraendo rispetto alla piena commerciabilità giuridica del bene. I limiti del ragionamento di chi asserisca l’invalidità del contratto in presenza di un bene sprovvisto dell’agibilità, sono facilmente individuabili sol che si consideri come nessuna norma, comunque, impedisca il trasferimento di immobili privi della certificazione di agibilità e come, tale deficienza, comporti, per espressa previsione di legge, soltanto l’impossibilità che l’immobile venga utilizzato per la destinazione sua propria per la quale, verosimilmente, era stato acquistato. Il che, come è ovvio, non determina una impossibilità sopravvenuta assoluta dell’oggetto del contratto che è e resta, come “oggetto del contratto” considerato in senso assoluto, del tutto integro anche quando non possa assolvere alla sua naturale funzione. Quando la Corte di Cassazione si è pronunciata per la nullità contrattuale scaturente dall’impossibilità assoluta dell’oggetto, lo ha fatto, e giustamente, con riguardo ai contratti di affitto di azienda nei quali l’immobile assurge ad una precisa funzione strumentale che, mi si consenta la forzatura, direi entra 19 Gli Speciali Immobili & proprietà a far parte dello stesso concetto di “oggetto del contratto”, nel senso che l’oggetto in tal caso non è determinato soltanto dal bene in quanto tale, ma da un bene caratterizzato da specifiche qualità e natura e per il quale dunque assume una rilevanza essenziale la sua destinazione in funzione del suo utilizzo strumentale rispetto all’attività aziendale. In conseguenza di ciò, l’impossibilità di utilizzazione dipendente dal mancato rilascio dell’agibilità, impedisce l’espletamento di quella funzione per il quale il bene stesso era entrato a far parte del contratto quale suo oggetto. Il che, coerentemente coi principi generali, genera una “deficienza” contrattuale tale da giustificare l’invalidità sancita dall’art. 1418 c.c. In altre fattispecie contrattuali, come nella vendita, invece, non vi è spazio per la considerazione di una sopravvenuta impossibilità dell’oggetto in termini assoluti in quanto la funzione che al “bene oggetto” si riconnette non entra a far parte del concetto legale di “oggetto”, limitandosi ad avere una sua rilevanza nell’ambito semmai della disciplina dell’errore, che può condurre, non alla nullità, ma all’annullabilità del contratto qualora all’errore commesso possano riconnettersi i requisiti di essenzialità e di riconoscibilità previsti dalla legge (artt. 1428 ss. c.c.) per la sua rilevanza. Quanto al terzo principio giurisprudenziale che si è tentato sopra di isolare, infine, a riprova della netta autonomia delle problematiche urbanistiche rispetto a quelle dipendenti dall’agibilità, le conclusioni giurisprudenziali chiariscono, secondo un’affermazione mantenutasi pressoché costante in tutta la giurisprudenza in materia, come la definizione di eventuali procedimenti urbanistici (ordinari o in sanatoria) sia del tutto irrilevante a giustificazione del perfetto adempimento contrattuale quando, comunque, non si fosse pervenuti all’ottenimento della certificazione di agibilità, essendo la consegna di tale certificazione, almeno di norma e salvo specifiche deroghe contrattuali tra le parti, un requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, in assenza del quale il bene viene meno alla naturale destinazione per la quale possa essere utilizzato. Questa conseguenza, direi automatica, discendente dalla mancanza della certificazione di agibilità/abitabilità, fa sì che, anche qualora si documenti una condizione dell’immobile tale per cui lo stesso risulti perfettamente conforme sotto l’aspetto urbanistico-edilizio, ciò non comporta l’esclusione dell’inadempimento contrattuale. Se, per quanto sin qui detto, la mancanza della certificazione di agibilità non incide sulla validità del Immobili & proprietà 2015 contratto di vendita, tuttavia le conseguenze, svolgendosi sul diverso piano dell’adempimento, possono determinare pesanti riflessi sulla responsabilità del venditore. Il principio generale dal quale partire per una valutazione delle conseguenze legali generate dalla mancanza dell’agibilità è, in materia di vendita, quello posto dal terzo comma dell’art. 1477 c.c. secondo cui costituisce obbligazione primaria del venditore quella di consegnare all’acquirente, tra l’altro, anche i documenti relativi all’uso della cosa venduta, tra i quali è ovviamente ricompresa la certificazione di agibilità, in funzione del legale utilizzo del bene. Ora, sebbene l’acquirente possa liberamente scegliere di acquistare un immobile anche in assenza del documento che lo renda atto al suo utilizzo, e ciò sulla base dell’autonomia negoziale delle parti, tutelabile dall’Ordinamento in assenza di alcuna norma imperativa che impedisca la commerciabilità degli immobili senza l’avvenuto conseguimento dell’agibilità degli stessi, è normale che, in mancanza di una disposizione negoziale tra le parti in senso contrario, la legittima aspettativa dell’acquirente si sostanzi nell’acquisto di un bene idoneo all’uso cui lo stesso è destinato. Di guisa che la mancanza della certificazione di agibilità impedisce la realizzazione della funzione economico-sociale legata al contratto di acquisto in quanto il perfezionamento del contratto, pur determinando la valida acquisizione del bene al patrimonio dell’acquirente, impedisce il soddisfacimento dei bisogni che hanno indotto l’acquirente ad effettuare l’acquisto, essendo il bene in concreto inutilizzabile rispetto allo scopo in funzione del quale l’acquisto stesso è stato perfezionato. Sulla base di quanto sin qui detto, è pacifico che il notaio non ha uno specifico obbligo di accertare l’esistenza della licenza di agibilità/abitabilità, né di effettuare in tal senso alcuna specifica menzione in atto, poiché tale menzione la legge non prevede e poiché, come più volte affermato, essa non disciplina alcun divieto o alcuna sanzione nei confronti di chi abbia alienato un immobile privo di agibilità. La problematica inerente eventuali specifici accorgimenti da utilizzare nell’ambito documentale della contrattazione immobiliare in tema di agibilità dell’edificio compravenduto, si svolge quindi tutta sul piano della mera opportunità, a meno che uno dei contraenti non abbia espressamente rimesso al notaio un incarico professionale relativo allo svolgimento di specifici accertamenti in materia. Le conseguenze che la giurisprudenza riconnette al 20 Gli Speciali Immobili & proprietà silenzio posto dalle parti in materia di agibilità e la necessità, che pure è insita nello svolgimento dell’attività notarile, di prevenire il contenzioso, consigliano il ricorso a delle specifiche clausole contrattuali che si occupino di regolamentare quanto attenga all’agibilità. Sarebbe apprezzabile che tali clausole non si limitassero soltanto ad una mera “ricognizione” di ciò che è attualmente lo stato di fatto, ma disponessero anche oltre, tendendo ad una regolamentazione quanto più completa possibile, che, soprattutto in assenza attuale della certificazione di agibilità, sia capace di chiarire e documentare l’effettiva volontà dei contraenti rispetto all’eventualità in cui qualità e natura, a questo punto apparenti, del bene oggetto del contratto, possano venire a non corrispondere più a realtà nel momento in cui si determinasse ad esempio l’impossibilità definitiva di conseguire l’agibilità. Partendo dal presupposto che la dichiarazione di abitabilità/agibilità “fotografa” una situazione attuale del bene rispetto al momento in cui viene rilasciata e posto che l’art. 26 del T.U. in materia edilizia pone sempre, in capo alla P.A., il potere di dichiarare la sopravvenuta inagibilità qualora verificasse la sopravvenienza di situazioni che abbiano eliminato le condizioni necessarie per l’agibilità, è anzitutto fondamentale chiarire, soprattutto in ordine agli immobili più datati, se qualunque garanzia prestata dall’alienante in ordine all’agibilità si riferisca ad una situazione storicamente isolata con riferimento ad un dato momento (per esempio a quello della costruzione o dell’avvenuto ottenimento della certificazione di abitabilità/agibilità), oppure venga contemplata in termini assoluti, nel senso di rappresentare una garanzia che, al di là del dato formale (la certificazione potrebbe infatti essere ormai superata, nella sua valenza sostanziale, in conseguenza di nuove normative che l’abbiano resa anacronistica), si sostanzi nell’obbligazione di garantire, anche con riferimento alla vigente legislazione, l’esistenza nell’immobile di tutti i requisiti atti a permetterne il suo legale utilizzo secondo la destinazione che gli è propria. In secondo luogo, per quanto possa sembrare apparentemente insito nella natura del bene quale fatta rilevare dalla definizione dello stesso contenuta nel contratto, è opportuno mettere in risalto l’esatta qualità del bene in relazione alla propria destinazione d’utilizzo con riferimento alla volontà contrattuale dell’alienatario, e ciò al di là dell’avvenuto rilascio, o meno, della certificazione di agibilità, alImmobili & proprietà 2015 lo scopo di stabilire l’effettivo dimensionamento dell’importanza della destinazione del bene in relazione alla manifestazione del consenso dell’acquirente. In altri termini è assolutamente opportuno far emergere dalla lex contractus se la volontà dell’alienatario è quella di pervenire comunque alla stipulazione del contratto, indipendentemente dalla effettiva realizzazione della qualità del bene in ordine alla sua destinazione, oppure se rappresentava una condizione implicita del contratto la legale utilizzabilità dell’oggetto secondo la destinazione emarginata in seno allo stesso. Questo primo riscontro contrattuale, che peraltro non è necessariamente implicito nella definizione del bene oggetto del contratto, assume poi una coerente rilevanza in ordine alle conseguenze che si determinino in mancanza di agibilità posto che la responsabilità dell’alienante sarà valutata in termini ben meno severi qualora potesse individuarsi una volontà dell’altro contraente al perfezionamento dell’operazione indipendente dalla reale destinazione del bene. Sarà poi opportuno stabilire se l’agibilità dell’edificio promessa dall’alienante, e dunque la legale utilizzabilità del bene secondo la sua naturale destinazione, venga da questi effettivamente garantita, o meno, e, in caso affermativo, se si tratti di una garanzia che attenga, sia al piano formale che a quello sostanziale o se, invece, tale garanzia si fermi al solo piano sostanziale. Nel primo caso il venditore dovrà, non solo garantire la presenza di tutti i requisiti necessari al rilascio dell’abitabilità, ma altresì obbligarsi a porre in essere tutta l’attività in funzione del rilascio della relativa certificazione. Nel secondo caso, invece, sarà sufficiente ad esonerare il venditore da qualunque responsabilità in relazione al materiale rilascio della certificazione, l’avvenuta prova che quanto oggetto del contratto sia in possesso effettivamente di tutte le condizioni per l’ottenimento dell’agibilità, restando, l’attività necessaria al rilascio della documentazione relativa, unicamente in capo all’alienatario, salvo la previsione di regolamentare in contratto la previsione della messa a carico dell’alienante degli oneri, anche economici, derivanti dalla eventuale necessità di realizzare le opere edilizie richieste per l’ottenimento dell’agibilità. In conclusione occorre ribadire che, al di là della specifica attività di consulenza incombente sul notaio nell’ambito della contrattazione immobiliare, per cui allo stesso compete un generale dovere di informazione circa le conseguenze derivanti dal mancato rilascio del certificato di agibilità, sia sotto 21 Gli Speciali Immobili & proprietà il profilo economico (sanzioni amministrative connesse), che sotto quello sostanziale (legale inutilizzabilità del bene secondo la sua naturale destinazione), è innegabile che, qualora si volesse pervenire ad un effettivo controllo circa l’esistenza, nel bene oggetto del contratto, di tutti gli elementi posti a garanzia dell’ottimizzazione del bene sotto i diversi aspetti, della regolarità urbanistica, della sicurezza degli impianti, della salubrità dei locali, del risparmio energetico, rilevanti comunque a tutela di interessi generali della collettività, basterebbe dare un rilievo oggettivo al perfezionamento dell’agibilità facendone condizione irrinunciabile di ricevimento dell’atto. La mole di documentazione, infatti, oggi prevista e richiesta in funzione del rilascio dell’agibilità, sarebbe sufficiente a documentare, da sola, tutti i diversi aspetti i cui singoli risultati sono oggi invece legati a specifiche certificazioni e dichiarazioni di parte rispetto alle cui necessità, in funzione del perfezionamento dell’atto, la legge appare attualmente alquanto convulsa e confusa. La diversa questione circa la conformità catastale Il comma 14 dell’art. 19 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con L. 30 luglio 2010, n. 122, ha introdotto una integrazione di significativa importanza relativamente alla normativa sulla disciplina tecnica del sistema della pubblicità immobiliare, portato dalla L. 27 febbraio 1985, n. 52, al cui art. 29 è stato aggiunto, in virtù della citata novella, il comma 1-bis. È da premettere che l’ambito normativo sul quale il legislatore ha inciso con la normativa appena richiamata è un ambito che non attiene, almeno in via diretta, a norme di diritto sostanziale di natura civilistica, sibbene a norme di diritto amministrativo, sia pur latamente inteso. Infatti la L. n. 52/85, sulla quale il testo del D.L. ha inciso, con proprie norme, integrative di quella, costituisce una normativa che, sebbene abbia modificato alcuni elementi del Libro VI del C.C., non ne ha stravolto alcun elemento sostanziale, essendo essa preordinata essenzialmente alla introduzione di nuove procedure di redazione delle note pubblicitarie, volte a permettere la realizzazione di un sistema di elaborazione automatica di dati presso le Conservatorie dei PP.RR.II., capace di determinare un effettivo ammodernamento di un sistema ormai per tanti versi considerato obsoleto e non al passo coi tempi. Ciò basti a far comprendere come non si possa reImmobili & proprietà 2015 cuperare, nelle intenzioni del legislatore della novella, alcuna volontà, nemmeno implicita, di modificare, o peggio abrogare, alcun istituto civilistico posto dal diritto vigente. La disposizione in discorso prevede essenzialmente due novità: a) l’obbligo, relativamente agli atti pubblici e alle scritture private autenticate portanti trasferimento, costituzione e/o scioglimento di comunione di diritti reali, allorché abbiano per oggetto fabbricati già esistenti costituenti unità immobiliari urbane, a pena di nullità, di identificare esattamente gli immobili che ne costituiscono oggetto, facendo riferimento ai loro dati catastali e facendo riferimento alle planimetrie che risultano ufficialmente depositate in catasto, introducendo, altresì nell’atto, ancora una volta a pena di nullità, una dichiarazione, resa dall’intestatario-disponente del diritto, circa la conformità allo stato effettivo, sia dei dati catastali indicati, sia delle richiamate planimetrie; b) l’obbligo per il notaio ricevente gli atti sopra elencati di verificare preventivamente coloro che risultino intestatari del bene secondo le intestazioni catastali e di constatarne la rispondenza con le risultanze dei registri immobiliari. Quest’ultima “attività”, alla quale, di fatto, il notaio era comunque da sempre chiamato, anche a prescindere dalla introdotta novella, non prevede alcuna menzione formale, a pena di nullità, ma esclude che si possa ricorrere al valido perfezionamento di un atto dispositivo, avente ad oggetto diritti reali su beni immobili urbani, in presenza di una eccezionale deroga pattizia agli obblighi notarili di accertamento ipo-catastali, nemmeno nelle ipotesi in cui dottrina e giurisprudenza ammettevano tale deroga. Tale obbligo, invero non strettamente legato alla tecnica redazionale del documento, quanto piuttosto all’attività notarile che precede la stipula vera e propria, sembrerebbe, dal tenore letterale della norma, rinvenirsi, non solo per gli atti aventi per oggetto fabbricati costituiti da unità immobiliari urbane, ma altresì per ogni altra fattispecie portante costituzione, trasferimento o modifica di diritti reali su fabbricati, anche diversi da quelli costituenti unità immobiliari urbane. Quanto così sommariamente accennato, induce ad affermare che, mediante tale novella legislativa, si sia inteso introdurre sostanzialmente, nell’ambito del sistema preposto alla disposizione di diritti reali su beni immobili, un generalizzato obbligo di documentazione e di verificazione della rispondenza tra le risultanze catastali e quelle effettive, sia in re22 Gli Speciali Immobili & proprietà lazione agli elementi oggettivi, sia in relazione agli elementi soggettivi che caratterizzano l’identificazione dell’immobile e la sua titolarità. In tal senso è evidente come lo scopo della novella sia quello di realizzare una perfetta rispondenza dei dati che individuano l’immobile, sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto quello soggettivo, al fine ultimo di conferire ai dati risultanti dal Catasto un peso ben maggiore rispetto al passato, facendo, del Catasto, un effettivo “data-base” le cui risultanze rappresentino concretamente il dato reale. Quanto all’ambito applicativo delle norme in discorso, è anzitutto importante partire da una attenta ricognizione del dettato letterale delle nuove norme. Sotto questo aspetto, la disposizione fa riferimento, quanto alla tipologia di atti dalla stessa interessati, alle stesse indicazioni formulate sul punto dalla prima legge sul condono edilizio. In sostanza si tratta degli atti costitutivi, traslativi o modificativi di diritti reali, per i quali è richiesto l’obbligo della trascrizione. Ne restano esclusi i contratti preliminari ed in genere tutti gli atti che non determinano effetti di natura traslativa (costituzione di garanzie reali, atti costitutivi di fondo patrimoniale senza trasferimento di diritti, contratti di locazione ultranovennali, vincoli di destinazione, accettazione dell’eredità, fusione, scissione e trasformazione di società). Per inciso è opportuno sottolineare come, all’indomani della introduzione della novella, più di un interprete ha immediatamente tacciato le novità normative di una palese dimenticanza, laddove, dagli obblighi posti dal testo normativo, risultano del tutto escluse le scritture private semplici. In effetti, tuttavia, se solo si presta una particolare attenzione alla causa giustificativa dell’intervento legislativo in commento, è possibile recuperare al legislatore una giustificatissima attenuante per quella che, a primo acchito, è stata considerata una abominevole dimenticanza. L’intera struttura della novella è infatti improntata ad un efficace ammodernamento di quella che avrebbe dovuto essere la funzione svolta dal Catasto e che non è mai stata. Il tentativo che la novella cerca di perseguire è il raggiungimento di una totale coerenza di dati tra il sistema catastale e quello risultante dai Registri Immobiliari, al fine di conferire al Catasto quella funzione che avrebbe dovuto essergli propria fin dalla sua nascita e che mai è stata: un serbatoio di dati che consenta l’effettuazione di un concreto monitoraggio, con finalità soprattutto fiscali, della titolarità dei diritti fondiari. Immobili & proprietà 2015 Connessa a questa primaria funzione resta, giocoforza, collegata la funzione di far emergere determinate titolarità immobiliari tenute occulte al fisco per ragioni legate alla avvenuta perpetrazione di abusi edilizi che, come tali, limitandosi a soddisfare il miglior godimento, da parte del proprio titolare, del bene che ne è stato oggetto, e quindi non essendo destinate, almeno in via immediata, ad entrare nel circuito commerciale delle compravendite, sono sfuggite ad oggi financo alle pur strette maglie delle norme edilizie ed urbanistiche. Ora, è intuitivo considerare come una scrittura privata semplice, pur consentendo una trasmissibilità, una costituibilità, una modificabilità, e perfino lo scioglimento, di diritti reali tra le parti, è insufficiente a rendere tali attività giuridiche opponibili nei confronti dei terzi, stante l’impossibilità, per la scrittura privata semplice, a pervenire ad alcuna forma pubblicitaria. Di guisa che, l’impossibilità del diritto reale, costituito, modificato, trasmesso, o sciolto, ad entrare in un circuito che ne consenta la valida commerciabilità con efficacia erga omnes, stante l’avvenuto ricorso alla insufficiente forma della scrittura privata semplice, proprio in dipendenza della mancanza del rispetto di quelle forme minime considerate necessarie dall’ordinamento per l’opponibilità ai terzi, ne svisa, per ciò stesso, la pratica rilevanza. La legge di conversione del D.L. che ha introdotto la Novella ha recato seco alcune novità. Tra le più rilevanti (insieme all’eliminazione, tra le tipologie di atti oggetto della normativa, degli atti costitutivi di diritti reali di garanzia) occorre segnalare quella relativa alla possibilità che la dichiarazione di parte, da rendersi dall’intestatario del bene, relativa alla rispondenza, allo stato dei fatti, dei dati catastali e delle planimetrie a cui il notaio ha fatto evidente riferimento documentale, possa essere sostituita da una attestazione di conformità resa da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Tale innovazione rispetto a quanto sancito, in prima battuta, dal decreto sembra assolutamente positiva perché consente almeno di raggiungere due vantaggi. In primo luogo bisogna considerare che se la dichiarazione di conformità dovesse necessariamente derivare esclusivamente dal soggetto parte dell’atto, essa potrebbe dar luogo a profili di dubbio sulla veridicità della stessa anche quando le mendacità non siano dipendenti da mala fede del dichiarante. Basti pensare a come possa essere di assoluta criticità una dichiarazione resa circa la conformità alla reale situazione di fatto quando, 23 Gli Speciali Immobili & proprietà ad esempio, si fosse in presenza di situazioni pregresse rispetto all’acquisizione della titolarità del diritto in capo al soggetto attualmente dichiarante di cui quest’ultimo potrebbe non essere del tutto edotto. In tal caso, invece, una dichiarazione ufficialmente resa da un tecnico esterno non lascia margini di dubbio circa l’effettiva rispondenza della attestazione effettuata rispetto alla realtà (salvo ovviamente le responsabilità cui il tecnico si espone in caso di attestazioni non veritiere). Analogamente, una tale attestazione “estranea” alle parti torna utile tutte le volte in cui, la controparte o addirittura lo stesso notaio, possano nutrire dubbi circa la veridicità della dichiarazione resa dal soggetto agente. Senonché, la nuova disposizione che consente una sostituzione della dichiarazione di parte, circa la conformità, con una attestazione da parte di un tecnico potrebbe indurre alcuni problemi di natura formale. La norma tace, infatti, sulla forma che tale attestazione debba ricoprire e sulle modalità esatte con le quali l’attestazione deve essere collegata all’atto. Sul primo punto, la mancanza di una diversa e circostanziata volontà del legislatore, impedisce di ritenere necessario il ricorso ad una dichiarazione giurata fatta alla presenza del notaio o comunque di una attestazione che segua formule particolari. La responsabilità dell’attestante, in fondo, è nella sottoscrizione che egli appone in calce alla attestazione stessa che ne attribuisce la paternità e che, unitamente alla professionalità di chi abbia effettuato la dichiarazione, vale ai fini del richiamo a responsabilità di chi la emette. Quanto alle modalità di collegamento all’atto, non pare che l’attestazione sia da rendere dal tecnico in seno all’atto e, quindi, quale comparente all’atto stesso, essendo sufficiente l’allegazione, al rogito stesso, di un documento originale che tale attestazione contenga. D’altronde non è pensabile ad una interpretazione della norma in termini così rigidi e peraltro non espressi (perché comunque la norma lascia del tutto indiscriminata l’individuazione di quali caratteri formali l’attestazione debba rivestire) da determinare un sostanziale blocco delle contrattazioni, in assenza di una attestazione priva di presunti crismi di ufficialità. Non pare condivisibile sul punto l’opinione di chi riconnette le richieste normative all’utilizzo di formule sacramentali attraverso le quali si dia atto dell’utilizzo di dati catastali corretti e dei riferimenti alle planimetrie depositate in Catasto e quindi della conformità a quelli e a queste. Tornando ai contenuti sostanziali della Novella, in relazione alla rilevanza dei dati catastali, è, come si Immobili & proprietà 2015 è detto, praticamente un obbligo quello della esatta individuazione dell’immobile anzitutto attraverso il ricorso ai dati catastali che lo identificano. Il riferimento agli esatti dati catastali individuanti il cespite oggetto del contratto non sembra affatto una novità redazionale, quanto meno dal momento in cui l’avvento del tecnicismo informatico delle conservatorie ha comportato l’adozione delle nuove modalità di redazione delle note le quali, contrariamente alle vecchie note cartacee, non sopportano più, come invece accadeva prima, il riferimento a descrizioni del bene più o meno fantasiose ed approssimative. Ma neppure sembra una grandissima novità il riferimento alle planimetrie catastali rispetto alle quali, se oggi è introdotto un vero e proprio obbligo legale di riferimento alle stesse, raramente, anche nel passato, poteva sfuggirsi ad una loro verifica da parte del notaio, quando non si desse addirittura luogo ad una allegazione di esse al contratto, al precipuo fine di meglio esemplificare la volontà dei contraenti in ordine all’effettivo bene dedotto nel negozio giuridico perfezionando. Una precisazione che ha destato più volte qualche perplessità, merita la questione se sia suscettibile di nullità un atto nel quale si sia fatto riferimento a delle planimetrie, poi materialmente allegate all’atto, senza dire che si tratti delle planimetrie ufficialmente depositate in Catasto. La materiale allegazione all’atto stesso permette di controllare l’effettiva provenienza delle stesse (dagli uffici catastali che le abbiano rilasciate), la data del rilascio, e l’indicazione dei dati di identificazione catastale dell’immobile che ne è oggetto, quali inseriti trasversalmente sulla planimetria stessa, in modo da sconfessare ogni dubbio circa l’ufficialità della planimetria. Diversamente è a dirsi per l’ipotesi in cui si sia semplicemente fatto riferimento (senza allegazione, peraltro - come detto - non obbligatoria) a delle planimetrie, senza aggiungere che il riferimento è proprio a quelle “ufficialmente depositate in Catasto”. La legge di conversione, invece, sembra avere perso l’occasione di chiarire un punto che risulta particolarmente importante in relazione alle unità immobiliari “in corso di costruzione”. L’ultima dizione contenuta nella norma di cui al comma 1-bis sembrerebbe far propendere per una esclusione di tale fattispecie dall’applicazione normativa, posto che, ai fini della cogenza di essa, non basta più che si tratti, come in una prima redazione della norma, di semplici “unità immobiliari urbane”, ma che, altresì, si tratti di “fabbricati già esistenti” e cioè di 24 Gli Speciali Immobili & proprietà fabbricati che siano, o già ultimati nella loro interezza, secondo la disciplina contenuta nell’art. 25, comma 1 del d.P.R. n. 380/2001, e che siano quindi in grado di ottenere l’agibilità, o di fabbricati considerabili come comunque venuti ad esistenza secondo la disciplina contenuta nell’art. 2645-bis c.c. Ora, la legge di conversione ha perso proprio l’occasione di chiarire se il significato da attribuire al “fabbricato venuto ad esistenza” è il primo, cioè quello che può evincersi dal T.U. sull’edilizia, oppure se, per “fabbricati in corso di costruzione” debbano intendersi, quelli rilevanti ai sensi della normativa applicabile in materia di trascrizione di preliminari di beni in corso di costruzione, e cioè quelli per i quali siano state completate le tamponature esterne ed il tetto di copertura. Qui, la conversione in legge del decreto, nulla ha aggiunto, potendo lamentare l’interprete, la mancanza, ad oggi, di una sicura indicazione circa l’adesione alla prima o alla seconda ricostruzione del concetto di “fabbricato già esistente” secondo il dettato normativo. Il che non potrà che lasciare spazio a scelte prudenziali, ma pur sempre mai di convenienza, sulla base della sensibilità propria di ognuno, pur con tutte le problematiche che restano, in tal modo, aperte in ordine alla effettiva validità di titoli di provenienza trattati in maniera difforme da come poi potrà essere trattato, di tempo, in tempo, il concetto stesso di “fabbricato già esistente”. Scendendo più nel particolare, come si accennava sopra, scopo della Novella è stato quello di introdurre sostanzialmente, nell’ambito del sistema preposto alla disposizione di diritti reali su beni immobili, un generalizzato obbligo di documentazione e di verificazione della rispondenza tra le risultanze catastali e quelle effettive, sia in relazione agli elementi oggettivi, sia in relazione agli elementi soggettivi che caratterizzano l’identificazione dell’immobile e la sua titolarità. Ciò, in modo da realizzare una perfetta rispondenza dei dati che individuano l’immobile, sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto quello soggettivo. Rispetto all’assunto è però opportuno chiedersi di che tipo di rispondenza si tratti e quali siano le conseguenze generate da una eventuale mancanza di conformità di tali dati. Sembra che, sulla questione, debba ravvisarsi una differenza sostanziale tra la natura di conformità cui fa riferimento la prima parte del comma 14 e quella a cui si riferisce la seconda parte dello stesso. Al di là di un dato testuale apparentemente analogo, in effetti, la dichiarazione di conformità cui è Immobili & proprietà 2015 chiamato l’intestatario del bene ha la natura di una corrispondenza bidimensionale nel senso che vi è la necessità di un preventivo adeguamento, sia quando il dato catastale risulti errato rispetto a quello apparente dalla realtà, sia quando sia avvenuto esattamente il contrario. All’inverso, la conformità che è tenuta ad attestare il notaio è data da una corrispondenza unidirezionale nel senso che egli è chiamato a verificare l’adeguamento delle risultanze del Catasto con quelle dei RR.II., e non viceversa. La prima parte del comma 14, nella quale è ravvisabile essenzialmente l’aspetto più complesso attinente la “conformità oggettiva”, richiede la verificazione di due tipi di corrispondenza, l’una attinente ai dati catastali che individuano l’immobile, l’altra relativa all’aspetto catastale grafico relativo all’immobile rispetto alla sua materiale ed effettiva consistenza. Ed entrambi tali verifiche vanno accertate con un duplice intervento. Il primo, di natura per così dire documentale, affidato in buona sostanza direttamente al notaio, il quale dovrà provvedere alla esatta individuazione catastale dell’unità immobiliare in contratto con indicazione in atto dei dati catastali che la riguardano e con riferimento alla planimetria “ufficialmente” depositata in Catasto ed individuante la rappresentazione grafica di essa. Non si richiede ovviamente né una allegazione documentale del certificato catastale dal quale siano stati desunti i dati identificativi, ma nemmeno l’allegazione della planimetria che risulta depositata in Catasto in corrispondenza di quei dati identificativi. Quanto alla individuazione catastale dell’immobile in atto, nulla cambia rispetto al passato, se non, come si accennava prima, l’ufficializzazione dell’obbligatorietà di un adempimento redazionale cui, nella prassi, ciascun notaio era comunque già praticamente obbligato, almeno sin dall’era dell’informatizzazione delle note pubblicitarie. Già da tempo, infatti, era praticamente impossibile ricorrere ad una descrizione, sia pur specifica, dell’immobile, che prescindesse dai dati identificativi catastali, necessari ai fini dell’esatto adempimento degli obblighi pubblicitari. Al notaio, oggi come ieri, incombe comunque l’obbligo di attenzionare l’esatta ricostruzione dei dati identificativi attuali, soprattutto quando essi risultino difformi rispetto a quelli evidenziati dai titoli di provenienza. Quanto alla valutazione planimetrica dell’unità immobiliare oggetto dell’attività negoziale dispositiva di diritti, sembra opportuna, sebbene non ne25 Gli Speciali Immobili & proprietà cessaria, l’allegazione documentale della planimetria, anche in funzione di consentire un materiale e documentato collegamento tra le risultanze della stessa e le dichiarazioni di conformità cui è chiamato l’intestatario del bene. Relativamente a tale ambito riservato all’indagine tecnico-notarile non vi è spazio per alcuna nullità dell’atto che non discenda dal mancato riferimento ai dati di identificazione catastale o dal mancato riferimento alla planimetria ufficialmente depositata in Catasto. Di guisa che, eventuali differenze, ad esempio, tra la categoria catastale del bene, quale risultante dalle ispezioni catastali correttamente effettuate dal notaio e l’effettiva diversa destinazione d’uso del bene, non conosciuta e non palesata al notaio, risulta del tutto irrilevante, come analogamente è del tutto irrilevante una discrepanza, anche sostanziale, tra la rappresentazione grafica dell’immobile rilevabile dalla planimetria di riferimento e la situazione reale del bene che il notaio non è tenuto a conoscere, a meno di una dichiarazione effettuatagli da una delle parti circa l’esistenza di situazioni di difformità. A tali accertamenti notarili, ai quali dovrà corrispondere una documentabilità degli stessi, sia pure estranea al contenuto dell’atto, si aggiunge un elemento redazionale nuovo rispetto al passato: la dichiarazione resa in atto dall’intestatario del bene volta a corroborare quanto dedotto dal notaio, e cioè: a) che vi sia una piena corrispondenza tra i dati catastali e lo stato di fatto del bene (e che cioè, sostanzialmente, non solo i dati individuanti l’immobile e costituiti da foglio, particella e subalterno, corrispondono al cespite oggetto del contratto, ma anche che l’intestazione della ditta catastale, la destinazione e la consistenza catastale del bene siano corrispondenti a quelli reali) ; b) che vi sia una piena corrispondenza tra la consistenza materiale del bene e la rappresentazione grafica dello stesso quale deducibile dalla planimetria depositata in catasto (ed opportunamente allegata all’atto). Anche qui la nullità dell’atto non deriva da eventuali mendacità, alle quali peraltro si ricollegano altre conseguenze di natura più che altro fiscale e per tanti versi ancora da stabilirsi, ma dalla effettiva mancanza di tali elementi contenutistico-redazionali. Qualche problema interpretativo potrebbe discendere dalla considerazione: a) di quali dati catastali occorre accertare la corrispondenza allo “stato di fatto”; b) chi debbano essere considerati gli “intestatari” chiamati a fare le dichiarazioni di rispondenza riImmobili & proprietà 2015 chieste dalla norma. In relazione al primo punto, stante la genericità del riferimento testuale, dovremmo concludere che qualunque dato catastale (intestazione della ditta, indicazione di foglio, particella e subalterno, indicazione toponomastiche e di ubicazione di piano, dati di classamento, riferimenti alla consistenza, rendita catastale) è rilevante ai nostri fini. Invero, occorre sempre collegare, ai fini di una equilibrata interpretazione della norma, quello che è il dato testuale con la effettiva ratio preposta alla norma stessa. Scopo della disposizione introdotta dal decreto legge in esame non è, come si avrà modo di esplicitare meglio più avanti, quello di determinare una pedissequa uniformità delle risultanze catastali alla realtà effettiva, quanto quello di evidenziare e correggere discrepanze di dati la cui rilevanza è collegata o collegabile a ragioni di natura fiscale, nell’ottica di approntare un sistema documentale che possa consentire all’Amministrazione dello Stato e, segnatamente al sistema erariale, un monitoraggio sulla titolarità e sulla consistenza fondiaria. Tali considerazioni inducono a ritenere che i dati catastali rilevanti ai fini dell’accertamento di conformità siano solo quelli che possano determinare eventuali alterazioni di quel sistema di controllo e delle peculiarità (fiscali appunto) a cui quel sistema di controllo è collegato. Sicché, non qualsiasi dato catastale difforme rispetto allo “stato di fatto” va ad incidere sulla dichiarazione di conformità da rendere da parte dell’intestatario e quindi sulla ricevibilità degli atti, ma solo quei dati la cui difformità possa avere un’incidenza di rilievo rispetto alla realizzazione di una adeguata indagine di natura fiscale. In tal modo, la semplice difformità del dato toponomastico (indicazione della denominazione della via e individuazione del civico) non assume alcun rilievo ai fini della conformità richiesta, allo stesso modo di come l’ubicazione del piano, l’indicazione (ove presente) della scala e del numero interno , dati questi spessissimo incoerenti rispetto alla realtà, non sembrano assumere rilievo sotto l’aspetto di quella specifica conformità richiesta dalla legge, per i fini per i quali essa viene richiesta. Quanto al problema di individuare chi debbano essere considerati gli “intestatari” per le finalità richieste dalla norma in esame, in ordine alle dichiarazioni da farsi, è opportuno considerare anzitutto che, quando il legislatore abbia inteso fare riferimento all’intestatario risultante dai dati catastali, lo ha detto espressamente, come avviene nella secon26 Gli Speciali Immobili & proprietà da parte del comma 14. Sicché, a tal fine, sembra potersi affermare che l’intestatario chiamato a fare la dichiarazione in atto non debba considerarsi colui che è tale dalle risultanze catastali. L’intestatario definito dalla norma sembra piuttosto individuarsi in colui che è sostanzialmente titolare del diritto oggetto dell’atto dispositivo ed, in primo luogo, ma non esclusivamente, colui che risulti titolare in base alle risultanze dei registri immobiliari. Tuttavia, non esistendo nel nostro sistema pubblicitario ordinario, quella sorta di “costitutività” di diritti che si riconnette, nel sistema tavolare, all’intavolazione, sembra potersi ammettere che, per “intestatario” devesi considerare colui che sia titolare sostanziale del diritto sul bene oggetto dell’atto di disposizione, anche se difforme dall’intestatario risultante dai Registri Immobiliari, se ciò non sia contrario a norme imperative. Il che, tra l’altro, consente di risolvere efficacemente la questione di non reputare colpito sistematicamente da nullità, per dichiarazione effettuata da chi non ne aveva titolo, l’atto di mutuo con concessione d’ipoteca che venga stipulato subito dopo l’avvenuta compravendita a favore del mutuatario. In tal caso, non essendo ancora stata ovviamente effettuata la trascrizione della vendita nei PP.RR.II., l’acquirente-mutuatario (non ancora intestatario presso i RR.II.) non avrebbe alcun titolo per effettuare la dichiarazione di rispondenza richiesta dal comma 1-bis in esame. Ma d’altronde non è pensabile ad una interpretazione della norma in termini così rigidi e peraltro non espressi (perché comunque la norma lascia del tutto indiscriminata l’individuazione di chi debba considerarsi come intestatario) da determinare un sostanziale blocco delle contrattazioni che certamente una razionale interpretazione della norma non sembra abbia inteso volere. Ciò che rileva dalla norma in esame è dunque la necessità di effettuare, prima dell’atto, ove dovuto, un allineamento dei dati catastali e della situazione graficamente rappresentata dalla planimetria, rispetto alla situazione reale del bene. Si tratta di un allineamento che, come si accennava più sopra, deve riguardare non soltanto il caso in cui, ad essere difformi, siano i dati catastali (errati rispetto alla situazione reale) , ma anche l’ipotesi in cui a dati catastali esatti corrisponda, in effetti, una realtà diversa. È questo, ad esempio, il caso in cui vi sia conformità piena tra la destinazione catastale del bene, rilevabile dalla categoria di appartenenza, e la sua destinazione d’uso, quale risultante dal progetto urbanisticamente assentito, mentre l’effettiva destinaImmobili & proprietà 2015 zione impressa al bene abbia travisato l’una e l’altra. Analogamente può accadere che la consistenza del bene, quale rappresentata dalla planimetria depositata in Catasto, sia conforme al progetto edilizio assentito, ma ne risulti difforme la situazione reale. Sotto questa ottica si è detto che il problema della corrispondenza, altrimenti definita dalla norma come “conformità”, non va visto solo in direzione univoca di un dato catastale errato rispetto alla situazione effettiva, ma anche nel senso di quella bidirezionalità cui si accennava prima attraverso la quale è possibile ravvisare uno spirito della norma volto, non soltanto, come possa apparire a primo acchito, ad un controllo prettamente fiscale del contesto fondiario in vista dell’interesse pubblico ad un maggior e più congruo gettito tributario, ma anche destinato a tutelare l’interesse sovraordinato alla tutela del territorio da abusi urbanistici capaci di arrecare non soltanto un danno economico indiretto, ma anche un immediato e diretto danno sociale. Per quanto da taluni considerato assai meno complesso del profilo oggettivo considerato dalla prima parte della norma, il sostanziale controllo di conformità tra l’individuazione degli intestatari catastali e quelli risultanti dai RR.II., richiesto dalla seconda parte del comma 14, in effetti, pone ben più complessi problemi, almeno sul piano dell’interpretazione della norma. Il cosiddetto preallineamento soggettivo anzitutto, in mancanza di una espressa formulazione della disposizione di segno contrario, deve dirsi applicabile sia agli atti aventi ad oggetto le unità immobiliari urbane, sia agli atti aventi ad oggetto edificati non costituenti unità immobiliari urbane. La norma che obbliga il notaio alla preventiva individuazione degli intestatari catastali e ad un raffronto con quelli che tali risultano dai PP.RR.II., non indica una sanzione come quella della nullità richiamata dalla norma precedente, ma si esprime in termini, più blandi, di obbligo di preventiva verifica notarile dalla quale evidentemente non può farsi discendere una nullità virtuale dell’atto ricevuto in assenza di una tale verifica, essendo, l’atto eventualmente ricevuto ad onta di una necessaria preventiva verifica di tal fatta, esclusivamente foriero di altre conseguenze in ordine alla responsabilità del notaio, diverse comunque da quelle discendenti dall’applicazione dell’art. 28 L.N., oggi, per giurisprudenza consolidata, ritenuto applicabile soltanto alle ipotesi di nullità sostanziale (e non formale) assoluta e testuale. 27 Gli Speciali Immobili & proprietà Ma, a prescindere da considerazioni accedenti ad un ambito meramente sanzionatorio, il problema principale creato dalla norma in questione è quello relativo all’esatta circoscrizione di cosa costituisca l’esatto compito del notaio rogante e di cosa, in particolare, debba intendersi per “risultanze dei registri immobiliari”. Quanto al primo quesito, non sembra che, come sembrerebbe da una lettura superficiale della disposizione, spetti al notaio un semplice obbligo di verifica preventiva, peraltro già incombente sull’attività notarile anche nel passato, in ordine alle indagini di natura ipotecaria e catastale, mirate alla individuazione del titolare sostanziale del diritto di cui si dispone e delle risultanze dei pubblici registri, siano essi i libri censuari del Catasto, siano essi i registri tenuti presso la Conservatoria. La verifica richiesta dalla norma è una verifica specifica, mirata ad un determinato e preciso scopo: quello di evidenziare la corrispondenza tra l’intestatario catastale del cespite in contratto, individuato attraverso la relativa visura, e l’intestatario del medesimo bene risultante dall’indagine esperita presso i PP.RR.II. Ciò induce a ritenere come non basti la mera verifica preventiva per consentire la piena ricevibilità dell’atto, ma occorre di più: che da quella verifica sia stata evidenziata la perfetta corrispondenza tra le risultanze dei due registri: quello catastale e quello fondiario, senza la quale l’atto comunque ricevuto potrebbe prestare il fianco alla applicazione, se non altro, di una responsabilità contrattuale a carico del notaio che non abbia ottemperato ad una verificazione della piena rispondenza dei due dati. Le conclusioni anzidette si inseriscono nello spirito specifico della novella, per mezzo della quale il legislatore si ripromette di perseguire lo scopo di un aggiornamento immediato, o quanto più immediato possibile, dei dati catastali rispetto alla reale situazione di titolarità dei beni, al fine di consentire il conseguimento, di dati catastali corretti, capaci finalmente di attribuire al Catasto quella prigenia funzione fiscale per il quale era nato e che, di fatto, fino ad oggi non è mai riuscito ad esplicare in tutta la sua effettiva consistenza. Quanto al secondo elemento evidenziato, cioè l’esatto dimensionamento del concetto di “risultanze dei registri immobiliari”, il problema va valutato sotto almeno due distinti aspetti. In primo luogo occorrerebbe stabilire se tali risultanze debbano considerarsi esclusivamente quelle attuali, come sembrerebbe da una lettura immediata della norma, oppure se le risultanze cui si fa cenno Immobili & proprietà 2015 debbano essere quelle sostanziali discendenti, non solo dall’attuale intestazione del bene, ma anche dalla considerazione della effettiva esistenza di una catena ininterrotta di trascrizioni capaci di dare certezza della titolarità del bene in capo all’attuale intestatario in ossequio al principio della continuità delle trascrizioni di cui all’art. 2650 c.c. E se così è, la domanda ulteriore è: fino a che punto, o meglio, fino a quale periodo sarà necessario estendere il controllo al fine di giustificare che le risultanze attuali dei RR.II. siano, oltreché formalmente, anche sostanzialmente, conformi ai dati desumibili dai pregressi trasferimenti di diritti sul bene considerato? In secondo luogo sarà necessario chiarire, almeno con riferimento a taluni fatti giuridici, oggetto di pubblicità, a quale tipologia di pubblicità sarà possibile fare riferimento per documentare e dichiarare l’effettiva rispondenza richiesta dalla seconda parte del comma 14 in esame. In altri termini, per comprendere il problema, l’eventuale intestazione pubblicitaria di un bene ereditario a nome dell’avente causa per diritto successorio discendente dalla mera pubblicità-notizia derivante dall’avvenuta trascrizione del certificato di avvenuta presentazione della denuncia di successione, effettuata a cura dell’Agenzia delle Entrate, può, o no, ad esempio, ritenersi sufficiente ad individuare l’avvenuta verifica di coincidenza tra l’intestazione catastale e quella sancita dai RR.II.? Per tentare di dare una risposta al primo quesito evidenziato, in ordine alla consistenza delle risultanze dei registri immobiliari che sia effettivamente rilevante per la norma in esame, per quanto, almeno allo stato attuale, sia effettivamente arduo dare alcuna certezza a tal riguardo, è opportuno partire dalla ratio legis informatrice della novella. L’intero art. 19 del D.L. n. 78/2010, di cui il comma 14 che ha integrato la disposizione contenuta nella L. 27 febbraio 1985, n. 52 costituisce solamente una piccola parte, è improntato a consentire - come detto una definitiva sistemazione dei dati catastali atta a fare, dello strumento del Catasto, un effettivo mezzo capace di “fotografare” la titolarità del patrimonio fondiario italiano, in funzione della creazione di quella “Anagrafe Immobiliare Integrata”, di cui è detto al comma 1 dello stessa articolo 19 del Decreto, quale contenitore di informazioni, riferibili al patrimonio immobiliare, dal quale sia desumibile, con attendibilità certa e priva di discrasie, la situazione di titolarità di diritti reali in relazione a ciascun immobile considerato. 28 Gli Speciali Immobili & proprietà Leggendo l’intero art. 19 dedicato espressamente a tale funzione, i diversi passaggi attraverso i quali la norma obbliga all’adeguamento dei dati lasciano intuire come il legislatore abbia avuto perfettamente chiaro che ciò che va adeguato e certamente integrato è proprio il dato catastale. In altri termini, l’impressione che se ne ricava dalla lettura delle norme è che il legislatore, partendo da un punto che considera certo (e guai se così non fosse!), quello delle notizie ricavabili dai PP.RR.II., si sia accorto della necessità di adeguare a tale contesto quelle che sono le risultanze, spesso palesemente inesatte ed errate, dei registri catastali. L’adeguamento dei dati che ne deriva, quindi, non è mai, nelle intenzioni di chi ha confezionato la novella, dei RR.II. nei confronti del Catasto, ma - al contrario - sempre del Catasto nei confronti di ciò che risulta dai RR.II. Si tratta dunque, come si diceva più sopra, di una verificazione funzionale ad un adeguamento unidirezionale, delle risultanze catastali rispetto alle risultanze contenute nei registri immobiliari. Ciò significa che la norma sembrerebbe perseguire sostanzialmente, non una finalità civilistica, ché altrimenti si dovrebbe pensare ad un lento percorso di modificazione del nostro sistema pubblicitario attraverso l’avvenuta creazione di un istituto molto simile a quello tavolare, ma essenzialmente una finalità fiscale, volta alla creazione di una banca dati che, prescindendo da problematiche giuridiche a volte complesse, e di cui le diposizioni contenute nel Decreto Legge in discorso non si occupano, consenta di far rilevare chi sia il soggetto al quale, sia pure in apparenza, ma con una apparenza documentata dalle risultanze dei registri immobiliari, appartenga il diritto su un determinato bene. L’idea che il legislatore ha avuto in mente non è quella di proporre un pedissequo accertamento della veridicità sostanziale di ciò che risulta dai RR.II., attraverso uno specifico controllo della corrispondenza di tali risultanze ai principi disposti in materia di continuità delle trascrizioni, ma quella assai più limitata di aggiornare il catasto in modo da uniformare quest’ultimo alle indicazioni fornite dai RR.II., e ciò secondo una logica che, essendo funzionalizzata alla prospettiva di assicurare un maggiore e più equilibrato gettito tributario nell’immediatezza, sembra prescindere del tutto da problematiche che si riconnettono invece a difficili e complicate indagini capaci di consentire l’individuazione di una specifica coerenza tra l’intestazione formale attualmente risultante dai RR.II., e la situazione sostanziale di titolarità relativa ad un certo diritto. In Immobili & proprietà 2015 altri termini, non si tratta di formare una banca dati capace di attestare una corrispondenza tra gli intestatari catastali e gli effettivi proprietari in base al titolo e alla serie continuata della catena di trascrizioni, ma esclusivamente di creare una integrazione delle banche dati disponibili presso l’Amministrazione, capace di eliminare ogni discrasia tra ciò che risulta dagli atti trascritti e ciò che risulta dalle effettuate volture catastali. Questa più limitata portata della norma lascia intuire come le “risultanze dei registri immobiliari” di cui si parla siano da considerare esclusivamente le risultanze attuali, con la conseguenza che la norma di cui alla seconda parte del comma 14 imporrebbe esclusivamente un preventivo allineamento tra il dato attualmente ricavabile dai PP.RR.II. ed il dato catastale, in maniera tale da consentire la coerenza delle risultanze delle banche dati che, con l’Anagrafe Immobiliare Integrata, si intende creare, restando estraneo al contenuto normativo qualunque elemento che sia relativo ad un problema di continuità di trascrizioni e quindi a qualsiasi problema relativo alla congruità delle risultanze dei registri immobiliari che potrebbero anche risultare meramente “apparenti”. Se così è, non si pone neppure alcun problema relativo all’estensione dell’indagine notarile relativamente a quella congruità. Dovendosi, infatti, ritenere che la trascrizione risultante dai RR.II. Si considera virtualmente efficace, stante l’esclusivo obiettivo fiscale della riforma, non occorre che ci si ponga, almeno sotto questo aspetto, alcun problema circa l’occorrenza di evidenziare la continuità delle trascrizioni entro il ventennio pregresso o anche oltre. Passando alla considerazione del secondo problema posto dalla norma di cui alla seconda parte del comma 14, e al quale sopra si accennava, quello di verificare a quali tipologie pubblicitarie bisogna fare riferimento al fine di potersi dire soddisfatta la verifica di conformità tra le risultanze catastali e quelle, appunto, dei registri immobiliari, la disposizione tace sul punto. Essa, infatti non chiarisce se, ai fini dell’accertamento di tale conformità, debbano ritenersi idonee soltanto le formalità pubblicitarie di natura costitutiva e dichiarativa o anche le formalità pubblicitarie attinenti all’ambito di una mera pubblicità-notizia. Ciò indurrebbe a ritenere che, almeno a primo acchito, tenendo buono il dato testuale in effetti silente sul punto, anche una intestazione pubblicitaria presso i RR.II. conseguente ad una forma di pubbli29 Gli Speciali Immobili & proprietà cità notizia, dovrebbe ritenersi sufficiente alla verifica e all’accertamento di quella conformità che la norma in esame richiede. Ad una più approfondita analisi, tuttavia, il compito che attribuisce la norma al notaio è quello di verificare la coerenza dell’intestazione catastale con quella risultante dai registri immobiliari al fine di assicurare un pre-allineamento della ditta catastale con le risultanze derivanti da questi ultimi. Ora, non pare sinceramente che qualsiasi risultanza dei pubblici registri costituisca giusta causa per un allineamento con l’intestazione catastale perché lo scopo ravvisabile nella norma in esame è quello di aggiornare nell’immediatezza i dati catastali rispetto alla situazione di titolarità effettiva dei beni al fine di conferire definitivamente alle banche dati catastali la loro reale funzione fiscale per la quale il Catasto stesso era stato creato e che, fino ad oggi, esso non è mai riuscito ad esplicare. Sotto tale aspetto, allora, non sembra potersi considerare sufficiente la valenza di una forma pubblicitaria che non abbia lo scopo di palesare erga omnes l’avvenuta acquisizione di un diritto in capo ad un soggetto e quindi non determini gli effetti tipici di cui all’art. 2644 c.c., ma abbia il ben più limitato effetto di portare a conoscenza dei terzi la rilevanza di determinati fatti. Le conclusioni cui si è giunti sopra in ordine all’effettivo scopo di mero monitoraggio fiscale che con la novella in esame il legislatore si è preposto, inducono alla valutazione di talune ipotesi particolari e al corrispondente comportamento di chi abbia a ricevere l’atto. a) L’atto dispositivo di un bene derivante da successione Un’ipotesi di pubblicità notizia la quale, ancorché abbia dato luogo ad una intestazione presso i registri immobiliari, tuttavia non sembra soddisfare la verifica di conformità richiesta dalla norma, è quella, ad esempio, della trascrizione del certificato di denunciata successione effettuata a cura dell’Agenzia delle Entrate. Come si sa, la dichiarazione di successione assume una valenza esclusivamente fiscale e la conseguente sua pubblicizzazione, a mezzo di trascrizione, non determina alcuno degli effetti che si riconnettono alla norma di cui all’art. 2644 c.c. Di guisa che, in presenza di un soggetto che disponga di un bene pervenutogli sulla base di una successione mortis causa, ci si può trovare dinanzi ad una duplice possibilità: o l’erede è Immobili & proprietà 2015 divenuto effettivamente tale, in conseguenza di una dichiarazione di accettazione espressa dell’eredità alla quale si riconnette l’onere pubblicitario della trascrizione dei beni ereditati a nome dell’avente causa, oppure, quando l’erede non abbia ancora effettuato alcuna dichiarazione espressa di accettazione, egli si trova ancora allo stadio di mero “chiamato all’eredità”. Nel primo caso, l’atto dispositivo posto in essere da colui che è erede, non pone alcun problema, né con riferimento alle dichiarazioni che questi dovrà rendere ai sensi della prima parte del comma 14, né, tanto meno, in relazione alla verifica notarile di conformità richiesta dalla seconda parte di esso. In entrambi i casi la preventiva effettuazione della voltura catastale a seguito dell’avvenuta trascrizione della denuncia di successione, e l’avvenuta intestazione del bene a nome dell’erede per effetto della avvenuta trascrizione della accettazione espressa dell’eredità, hanno determinato, al momento dell’atto dispositivo, una piena conformità tra l’intestazione catastale e quella sancita dalla pubblicità immobiliare effettuata, con riferimento al disponente del diritto oggetto dell’atto. Nel secondo caso, invece, quando non sia stata effettuata alcuna accettazione dell’eredità, l’avente causa non è ancora “erede”, trovandosi al momento nella posizione di “chiamato all’eredità”. L’atto dispositivo dallo stesso posto in essere, e determinante accettazione tacita dell’eredità, non pone problemi alla luce del disposto delle due norme in commento. L’intestatario (sostanziale) del bene oggetto del contratto dispositivo di diritti effettuerà una dichiarazione di conformità, ai sensi del comma 1-bis dell’art. 29 della L. 27 febbraio 1985, n. 52, con riferimento allo stato del bene al momento del decesso del proprio dante causa. Egli, infatti, trovandosi ancora nella posizione di “chiamato all’eredità” (almeno fin quando non si sia perfezionato l’atto dispositivo), non avrà conseguito ancora alcun diritto per ottenere l’intestazione del bene a proprio nome sui pubblici registri immobiliari. Dal punto di vista catastale, il bene dovrebbe ancora risultare in ditta al de cuius, almeno nel caso in cui non sia stata volturata l’eventuale denuncia di successione già presentata. Ma, anche quando fosse già stata effettuata la voltura catastale, l’intestazione catastale del bene al nome dell’erede (che ancora, in effetti non è tale), la quale di per sé non ha alcuna valenza sostanziale e probatoria della titolarità, ancor meno l’avrà in questo caso. Si tratta, infatti, di una intestazione che, non potendo essere accom30 Gli Speciali Immobili & proprietà pagnata da una trascrizione nei RR.II. (in quanto attualmente manca il titolo di erede) produce, al momento, una sorta di effetto, come dire, “prenotativo” di una intestazione sostanziale ancora di là da venire. E, a considerare quanto una tale intestazione catastale abbia una efficacia “aleatoria”, basti pensare a come, per effetto di una rinuncia all’eredità successiva alla presentazione della dichiarazione di successione volturata o, addirittura, di una accettazione tardiva dell’eredità, sempre successiva alla stessa, la medesima voltura catastale dovrà essere aggiornata. Sicché, in ogni caso (sia che sia stata effettuata la voltura catastale, sia che la stessa non sia stata ancora eseguita), la dichiarazione da rendersi da parte dell’intestatario sostanziale del bene (il chiamato all’eredità disponente del diritto che, in base all’atto compiuto, accetta tacitamente l’eredità), è una dichiarazione che fa stato al momento dell’apertura della successione, non essendosi prodotto, da quel momento e fino al perfezionamento dell’atto dispositivo da parte dell’erede, alcun effetto modificativo nella formale e sostanziale intestazione dei beni facenti parte dell’asse ereditario. Allo stesso modo, l’atto che il chiamato pone in essere, e che determina l’attribuzione allo stesso del titolo di erede, deve dirsi pienamente ricevibile da parte del notaio, anche alla luce della seconda parte del comma 14. Il notaio, infatti, per gli stessi motivi sopra esposti, dovrà limitarsi a verificare la corrispondenza tra l’intestatario catastale e quello risultante dai RR.II., con riferimento al momento del decesso del dante causa. Ancora una volta, l’eventuale eseguita voltura catastale per effetto della presentazione della denuncia di successione, non ha determinato alcuna modificazione sostanziale nella effettiva intestazione del bene, posto che la dichiarazione di successione (e la sua volturazione catastale, prima della sostanziale intestazione a nome dell’erede nei registri immobiliari) sortisce esclusivamente effetti di natura eminentemente fiscali e non sostanziali. È dunque vero che, prima della trascrizione della accettazione tacita dell’eredità, a seguito della trascrizione dell’avvenuto atto dispositivo da parte del chiamato, ora erede, non si ha (almeno quando sia già stata effettuata la voltura della denuncia di successione) formale coincidenza tra intestatario catastale ed intestatario del bene nei RR.II., ma è anche vero come ad una tale conformità si perverrà a seguito della successiva trascrizione dell’atto dispositivo e della relativa accettazione tacita di eredità. Immobili & proprietà 2015 Ma una tale discrepanza non può intendersi come “mancanza di conformità” nel senso che si appalesa dalle norme della novella rispetto al cui scopo, più volte evidenziato, la sostenuta irricevibilità dell’atto darebbe luogo ad una conseguenza davvero sproporzionata che, portata alle estreme conseguenze, dovrebbe determinare l’abrogazione stessa dell’istituto civilistico dell’accettazione tacita dell’eredità e della rilevanza della sua trascrizione. b) Il problema degli atti di disposizione su beni altrui Per quanto il contratto dispositivo di diritti su cosa altrui sia alquanto raro nella pratica quotidiana, si tratta di una fattispecie pur sempre prevista nel nostro Ordinamento che, come tale, non può dirsi abrogata per effetto di una norma che non sembra avere lo scopo di innovare il codice civile, quanto il più limitato effetto di promuovere un aggiornamento dei dati risultanti dalle intestazioni, catastali e sostanziali, dei beni, al fine di rendere possibile l’elaborazione di una banca dati, come quella che ci si auspica con la prossima creazione dell’Anagrafe Immobiliare Integrata, capace di creare un contenitore di notizie, quanto più affidabile e coerente, circa l’effettiva titolarità fondiaria. Nell’atto dispositivo su cosa altrui, se nessun problema si pone, con riferimento alla disposizione di cui alla seconda parte del comma 14, posto che, in assenza di discrepanze pregresse, al notaio non è impedito l’accertamento della verifica della piena rispondenza tra “intestatario catastale” e “risultanze dei registri immobiliari”, ben più grossi problemi si pongono con riferimento alla disposizione di cui alla prima parte del comma in esame. Qui a rendere l’atto nullo e quindi irricevibile non sarebbe tanto il fatto di una presunta discrepanza tra dati catastali e stato di fatto perché, invero, l’intestazione della ditta catastale a nome dell’effettivo titolare del bene, quale risulta dai RR.II., esiste. Non si tratta, quindi, dell’impossibilità oggettiva di far compiere una determinata dichiarazione, ma il fatto che quella dichiarazione non potrà, per ragioni soggettive, essere “resa in atti dagli intestatari”. E, pertanto, a seguire il rigore letterale della norma, delle due, l’una: o immaginiamo che all’atto dispositivo di cosa altrui partecipi anche l’effettivo intestatario del bene, oppure dovremmo considerare l’atto irricevibile perché colpito dalla nullità discendente dall’inesistenza del soggetto capace di rendere la dichiarazione di cui alla prima parte della norma 31 Gli Speciali Immobili & proprietà in esame. Per la soluzione del problema, allora, dovremmo pensare di risalire alla natura e al meccanismo della vendita di casa altrui. Dal contratto, come si sa, non si verifica alcun effetto reale, ma meramente obbligatorio, determinando, il perfezionamento del contratto, non il trasferimento di un diritto, ma soltanto un obbligo, in capo al venditore di cosa altrui, di procurare la titolarità del bene all’acquirente mediante l’acquisizione del bene dall’attuale titolare. In altri termini, e con i dovuti distinguo, è come se gli effetti reali della vendita fossero condizionati alla preventiva avvenuta attribuzione della titolarità in capo all’attuale venditore-disponente di guisa che è possibile individuare, nel disponente del diritto, una sorta di intestatario sub condicione. In buona sostanza, nella vendita di cosa altrui il fatto che chi dispone del diritto si definisca “venditore” è una fictio iuris perché, mancando in lui le caratteristiche di effettivo titolare del bene, egli non è venditore, nel senso di effettivo disponente di un diritto di cui egli è titolare, ma riveste la specifica qualifica di “venditore di cosa altrui”. Analogamente, se non può dirsi tecnicamente che egli, al momento dell’atto dispositivo, sia “intestatario del bene”, tuttavia egli potrà definirsi tale “ora per allora”, con riferimento al momento in cui si sarà completata, con l’acquisizione del bene in capo all’attuale disponente, la fattispecie a formazione progressiva della vendita di cosa altrui. E, pertanto, nulla aggiungendo la norma del comma 14 per una più specifica qualificazione di colui che viene definito “intestatario”, potrà concludersi nel senso che, con analoga finzione giuridica utilizzata per qualificare il venditore di cosa altrui comunque come “venditore”, anche il disponente di cosa altrui potrà, al momento del compimento dell’atto, qualificarsi come “intestatario” che, come tale, potrà emettere la dichiarazione di conformità richiesta dalla norma tra lo stato di fatto, le planimetrie ed i dati catastali. c) Il problema delle unità in corso di costruzione Per quanto attiene alle unità immobiliari “in corso di costruzione”, l’ultima dizione contenuta nella norma di cui al comma 1-bis sembrerebbe far propendere per una esclusione di tale fattispecie dall’applicazione normativa, posto che, ai fini della cogenza di essa, non basta più che si tratti, come in una prima redazione della norma, di semplici “unità immobiliari urbane”, ma che, altresì, si tratti di Immobili & proprietà 2015 “fabbricati già esistenti” e cioè di fabbricati che siano, o già ultimati nella loro interezza, secondo la disciplina contenuta nell’art. 25, comma 1 del d.P.R. n. 380/2001, e che siano quindi in grado di ottenere l’agibilità, o di fabbricati considerabili come comunque venuti ad esistenza secondo la disciplina contenuta nell’art. 2645-bis c.c. Ora, se il significato da attribuire al “fabbricato venuto ad esistenza” è il primo, cioè quello che può evincersi dal T.U. sull’edilizia, è chiaro che il caso degli immobili in corso di costruzione resta estraneo all’applicazione della novella. Qualora, invece, per “fabbricati in corso di costruzione” debbano intendersi, ai sensi della normativa applicabile in materia di trascrizione di preliminari di beni in corso di costruzione, quelli per i quali siano state completate le tamponature esterne ed il tetto di copertura, allora un problema potrà porsi, almeno in riferimento alla perfetta applicabilità della norma considerata, nella parte relativa alla necessaria dichiarazione di conformità resa dall’intestatario. In tal caso, come già affermato da qualche Autore, nonostante la possibilità di pervenire ad un accatastamento al rustico, l’assenza di planimetria e anzi l’impossibilità di essa, impedisce qualsiasi dichiarazione di conformità che si occupi della corrispondenza tra planimetria e stato di fatto. Non sembra, tuttavia, che, stante la particolarità della situazione nella quale l’assenza di planimetria è ampiamente giustificata, l’atto debba considerarsi colpito da nullità, a condizione, ovviamente che l’intestatario formuli una dichiarazione di conformità tra i dati catastali e lo stato di fatto, mentre - in relazione allo “stato planimetrico” - sarà opportuno e sufficiente far prestare una dichiarazione dell’intestatario circa la causa giustificatrice dell’assenza della planimetria. Quanto poi all’intervento della verifica notarile di conformità di cui alla seconda parte della norma, tale verifica di conformità che il notaio dovrà attestare, non potrà ovviamente prescindere da un preventivo obbligatorio accatastamento al rustico che è comunque poi necessario al fine di consentire l’adempimento degli obblighi pubblicitari. La conformità degli impianti a norma del D.M. n. 37/2008 Il complesso di disposizioni introdotte dal D.M. n. 37/2008 si interfacciava inizialmente con l’attività notarile essenzialmente per una norma: l’art. 13. La disposizione in parola, sebbene non sembrasse comminare ipotesi sanzionatorie di nullità degli atti 32 Gli Speciali Immobili & proprietà di trasferimento, poneva, nell’ambito della contrattazione avente ad oggetto il trasferimento di un immobile, tre prescrizioni diverse: 1) - l’obbligo di consegna all’avente causa, in caso di trasferimento dell’immobile a qualsiasi titolo, della documentazione tecnica e amministrativa nonché del libretto di uso e manutenzione di tutti gli impianti considerati rilevanti ai sensi dell’art. 1 del decreto medesimo; 2) - l’obbligo di allegare, all’atto di trasferimento (a qualsiasi titolo) dell’immobile, la “dichiarazione di conformità” o la “dichiarazione di rispondenza”, salvo deroga a tale obbligo derivante da espresso patto contrario intercorso tra le parti; 3) - la prestazione di garanzia da parte del venditore (quindi esclusivamente in presenza di un contratto di trasferimento a titolo oneroso) in ordine alla conformità degli impianti alle vigenti normative in materia di sicurezza. L’art. 35 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, pubblicato sulla G.U. n. 147, Suppl. Ord. n. 152 del 25 giugno 2008, entrato in vigore a far data dal medesimo giorno di pubblicazione, abroga l’art. 13, senza che, sul punto vi siano stati ulteriori deroghe poste dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133. L’abrogazione di tale norma renderebbe apparentemente superflua qualsiasi digressione notarile inerente la fattispecie “impianti”, in quanto esonererebbe le parti contraenti da qualsiasi documentazione relativa agli impianti in qualche modo collegata al momento del trasferimento di proprietà. Tuttavia, ad una analisi appena più approfondita, non sembra del tutto fuor di luogo un approccio ragionato sulla materia. Quanto all’obbligo di consegna all’avente causa della documentazione tecnica ed amministrativa, nonché del libretto di uso e manutenzione degli impianti, l’abrogazione dell’articolo 13 sembrerebbe aver determinato la venuta meno di tale obbligo, anche in considerazione del fatto che analoga disposizione era rinvenibile, precedentemente, nell’art. 9, comma 3 del d.P.R. n. 447/1991, abrogato a partire dall’entrata in vigore del D.M. n. 37/2008 (ai sensi dell’art. 3 del D.L. 28 dicembre 2006, n. 300, convertito con L. 26 febbraio 2007, n. 17 come modificato dall’art. 29-bis del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito dalla L. 31 dicembre 2007, n. 248). Non può omettersi, tuttavia, come il secondo comma dell’art. 8 del D.M. n. 37/2008 imponga al proprietario dell’impianto di adottare tutte le misure necessarie per conservare le caratteristiche di sicuImmobili & proprietà 2015 rezza degli stessi, tenendo anche conto delle istruzioni per l’uso di essi; il che, di fatto, rende opportuno che il proprietario possa dimostrare di avere ottemperato alle prescrizioni in materia di sicurezza, implicitamente dimostrate, come avremo modo di spiegare appresso, nell’essersi giovato, al momento dell’installazione, di imprese all’uopo abilitate alla installazione degli impianti in discorso. Quindi, al fine di dimostrare che le imprese installatrici siano state effettivamente quelle abilitate per legge (le uniche in grado di consegnare tutta la regolare documentazione tecnica ed amministrativa, così come per legge previsto), sarà opportuno che il proprietario, verosimilmente in possesso di tale documentazione, faccia consegna della stessa all’avente causa. Tale consegna assume un rilievo particolarmente importante in considerazione delle previsioni di cui al combinato disposto dei commi 3 e 4 dell’art. 8 che impongono all’utente di consegnare, agli enti erogatori dell’energia, copia della documentazione di conformità o di rispondenza in caso di nuovi allacciamenti o di richieste di potenziamento degli impianti. Sicché, nonostante la mancanza esplicita della previsione di alcuna menzione, da inserire nell’atto di trasferimento, circa l’ottemperanza a tale obbligo, nonostante l’abrogazione dell’art. 13, continuerebbe a perpetuarsi l’opportunità che il notaio dia notizia nel corpo dell’atto dell’avvenuta consegna di tale documentazione, eventualmente segnalando, perciò, l’indisponibilità della documentazione stessa presso il dante causa. Epperò, in quest’ultimo caso, potrebbe determinarsi un principio di allarme circa l’effettivo intervento, al tempo dell’installazione, di imprese realmente abilitate a norma delle disposizioni di cui alla L. n. 46/1990, facendo sorgere una conseguenziale presunzione di difformità degli impianti alle norme di sicurezza, almeno per quegli impianti installati dopo l’entrata in vigore della detta legge. L’obbligo di consegna scatterebbe, per logica analogia a quanto si è affermato sotto il vigore dell’art. 13 abrogato, in presenza di un atto di trasferimento a qualsiasi titolo, quindi, non solo in presenza di una vendita, ma anche nelle ipotesi di qualsiasi altra fattispecie di trasferimento, anche a titolo gratuito. Qualche dubbio può proporsi in presenza di un contratto di divisione che, come è noto, di per sé implica il ricorrere di una attività negoziale di natura meramente dichiarativa e non traslativa di diritti, fatta eccezione per l’ipotesi di una divisione con 33 Gli Speciali Immobili & proprietà conguagli, laddove al tipico effetto distributivoattributivo della divisione si accompagna un parziale effetto traslativo (a titolo oneroso) a favore della parte condividente che abbia corrisposto il conguaglio; per cui in tale tipo di divisione, a seguire le conclusioni appena riportate, la consegna della documentazione diverrebbe imprescindibile. L’obbligo di consegna accede, poi, sia agli impianti che siano installati nell’unità immobiliare oggetto del contratto, sia anche a quegli impianti condominiali ai quali comunque l’utilizzatore dell’unità immobiliare in contratto ha accesso in quanto costituente impianto posto a servizio anche dell’unità immobiliare considerata. Quanto all’obbligo di allegare all’atto la “dichiarazione di conformità” o la “dichiarazione di rispondenza”, si trattava di un obbligo meramente documentale, peraltro già suscettibile di apposita deroga per espressa previsione normativa, e che adesso, in assenza di una prescrizione specifica sul punto (stante l’avvenuta abrogazione della norma che lo prevedeva), non dovrà essere più rispettato in atto, nemmeno in termini di mera menzione della concertata deroga tra le parti contraenti. Più complesso, invece, il discorso relativo alla prestazione espressa di una garanzia circa la conformità degli impianti alle norme di sicurezza il cui obbligo era previsto espressamente, in presenza di atti di trasferimento a titolo oneroso, dall’art. 13, ora abrogato. È innegabile che, per quanto sin qui detto, l’art. 13 abbia avuto una portata meramente formale, caratterizzata da una serie di previsioni inerenti la fase della documentazione e della documentabilità di determinati comportamenti che, comunque in buona sostanza, prima e dopo l’introduzione dell’art. 13, prima e dopo la sua abrogazione, andavano e vanno comunque rispettati. A ben guardare, l’unica effettiva novità sostanziale rispetto al passato, imputabile all’art. 13, sta nell’aver esso previsto, in maniera espressa, per la prima volta, un obbligo di garanzia assunto dal venditore in ordine alla conformità degli impianti alle normative in materia di sicurezza. Sotto tale aspetto non sembra, invece, che le norme pregresse dettate in materia di sicurezza degli impianti si fossero espresse con altrettanta incisività. Invero, la prima norma che si è occupata in maniera organica delle problematiche inerenti la sicurezza degli impianti è stata la L. 5 marzo 1990, n. 46 alla quale ha fatto seguito il suo regolamento di attuazione, portato dal d.P.R. 6 dicembre 1991, n. 447. Immobili & proprietà 2015 Tuttavia in nessuno dei due provvedimenti legislativi è rinvenibile, in maniera chiara, un obbligo, a carico del venditore o più genericamente del dante causa, relativo all’assunzione di una garanzia circa la conformità degli impianti a specifici dettami di sicurezza imposti dalla legge stessa. Sembra, piuttosto, che l’intero impianto normativo in materia sia permeato dalla esclusiva preoccupazione di determinare i requisiti richiesti nei confronti delle imprese che si occupino dell’esecuzione dei lavori inerenti l’impiantistica. In altri termini, sembra che il legislatore non si sia tanto preoccupato di introdurre una esplicita garanzia circa lo stato di sicurezza degli impianti a carico del dante causa ma abbia, piuttosto, presuntivamente ricollegato la conformità degli impianti alle norme di sicurezza alla installazione degli stessi da parte di imprese dotate di specifici requisiti tecnico-professionali ad esse riconosciute, in considerazione del fatto che tali imprese hanno l’obbligo di utilizzare materiali e componenti certificati conformi dagli enti svolgenti attività di normazione tecnica (segnatamente l’U.N.I., Ente Italiano di Unificazione, ed il C.E.I. Comitato Elettrotecnico Italiano), costringendo di fatto, in tal modo, l’utenza a servirsi, nella realizzazione e nella manutenzione degli impianti, di siffatte imprese, attraverso la previsione dell’unica norma che espone a responsabilità l’utente, qualora egli si fosse servito di imprese prive di tali indicate caratteristiche. Si tratta della previsione contenuta nell’art. 10 della L. n. 46/1990 relativa al “proprietario” o al “committente” (e quindi a persone che si trovino comunque a gestire l’immobile, a prescindere da qualsiasi attività negoziale di compravendita) che, in caso di installazione, trasformazione, ampliamento e manutenzione degli impianti, si siano, per avventura, serviti di soggetti diversi dalle imprese all’uopo abilitate, nei confronti dei quali scatta, a norma dell’art. 16 della stessa legge, la sanzione amministrativa da lire centomila a lire cinquecentomila (norma, peraltro, la cui previsione è ripetuta dal testo dell’attuale art. 8 del D.M. n. 37/2008). Perciò, prima dell’introduzione dell’art. 13, oggi abrogato, non si rinviene un obbligo di garantire, da parte del proprietario, il rispetto - in relazione ai propri impianti - dei criteri di normazione tecnica ad essi relativi, essendo, di fatto, questa garanzia, assorbita dal rispetto dell’obbligo di servirsi, per qualsiasi opera inerente l’impiantistica, delle imprese abilitate secondo le prescrizioni di legge. Per inciso occorre dire che ciò spiegherebbe, altresì, la ragione per cui l’intero sistema sanzionatorio 34 Gli Speciali Immobili & proprietà predisposto dalla L. n. 46/1990, prima e poi sostanzialmente confermato dall’art. 15 del D.M. n. 37/2008, tutt’oggi in vigore, sia appannaggio di enti (oggi le Camere di Commercio, ex art. 15, comma 6, D.M. n. 37/2008 e, sotto il vigore della L. n. 46/1990, gli uffici provinciali dell’industria, del commercio e dell’artigianato, ex art. 10, comma 6, del d.P.R. n. 447/1991) notoriamente estranei alla irrogazione di sanzioni nei confronti dei privati. La ragione di ciò risiede nel fatto che il legislatore, al di là di certo dato letterale, allora come oggi, ha inteso sanzionare in via diretta, non l’elusione di uno specifico obbligo di garanzia previsto in capo al privato, quanto il fatto dell’affidamento dei lavori di installazione degli impianti (in spregio alla disposizione dell’art. 10 della L. n. 46/1990 allora vigente, ed oggi in spregio all’art. 8 del D.M. n. 37/2008) a soggetti non abilitati, con la sola differenza che, mentre sotto il vigore della L. n. 46/1990, vi era una sanzione espressamente prevista in capo all’utenza (il “proprietario” o il “committente”) che si fosse avvalsa dell’opera di soggetti non specializzati (ex art. 16 L. n. 46/1990), con la medesima specificità non è rinvenibile analoga sanzione nell’impianto del D.M. n. 37/2008, a meno che non si voglia far riferimento alla previsione di quella generica sanzione residuale, relativa alla violazione di tutti gli altri obblighi previsti dal decreto, contenuta nel comma 2 dell’art. 15, la quale tuttavia essendo esclusivamente irrogabile dalla Camera di Commercio (come previsto dal comma 6 della medesima norma) non è pensabile possa essere azionata contro il privato. Piuttosto si potrebbe ritenere che la violazione dell’art. 8, lasciando impunito il privato, determini l’irrogazione della sanzione nei confronti del soggetto che, senza esservi abilitato, abbia provveduto a realizzare o a manutenere gli impianti. Tornando al nostro problema, circa la perpetuazione, o meno, dell’obbligo di garantire la conformità degli impianti alle norme di sicurezza, perciò, dovremmo - almeno a primo acchito - concludere che, soppressa la formulazione normativa che espressamente imponeva un tale obbligo, ma conservato l’intero impianto normativo che obbliga sostanzialmente l’utenza a servirsi, per le opere relative all’impiantistica, di imprese all’uopo abilitate, a garanzia del rispetto dei criteri di normazione tecnica previsti dalla legge, la prestazione della garanzia andrebbe formulata in termini diversi. Non si tratterebbe più di far dichiarare una conformità degli impianti alle norme di legge (all’epoca dettate o atImmobili & proprietà 2015 tualmente vigenti) in materia di sicurezza, ma piuttosto di dare atto che l’installazione, la manutenzione ed eventuali ampliamenti degli impianti presenti, siano stati effettuati da imprese specificamente abilitate ed in possesso dei requisiti previsti dall’art. 3 del D.M. n. 37/2008. A tali conclusioni è verosimilmente obiettabile che, nonostante l’avvenuta prova della abilitazione da parte delle imprese che abbiano effettuato i lavori sull’impianto, la effettiva mancanza dei requisiti di sicurezza degli impianti stessi verrebbe a determinare una totale o parziale impossibilità di utilizzare il bene secondo la sua naturale destinazione, con la conseguenza che il bene acquistato potrebbe anche essere privo di quelle qualità richieste per il normale utilizzo dello stesso. Tale obiezione, che ha riscosso un notevole successo sotto il vigore dell’art. 13, ha condotto a richiamare i principi in materia di mancanza delle qualità promesse o essenziali all’uso della cosa, di cui all’art. 1497 c.c. nonché quelli previsti in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui agli artt. 1490 ss. c.c. Da più parti è stato, infatti, affermato che la garanzia di conformità degli impianti, altro non sarebbe che una naturale estensione della garanzia per i vizi. A riprova di tale identità di principi, si è detto, il fatto che, al pari della garanzia per i vizi, la garanzia di conformità, costituisce garanzia derogabile dalle parti, così come anche espressamente concludeva il parere del Ministero dello Sviluppo economico reso in data 26 marzo 2008. In effetti, però, in caso di deroga alla garanzia per i vizi, viene a determinarsi un annullamento della garanzia stessa “per facta concludentia”, perché il passaggio della garanzia dal soggetto venditore (che sarebbe chiamato codicisticamente a prestarla) al soggetto acquirente (che si accollerebbe il rischio della mancanza delle qualità e dunque dei vizi della cosa venduta) dà luogo ad una pratica coincidenza del soggetto garante e del soggetto garantito, con conseguenziale annullamento della garanzia per confusione, appunto, tra soggetto garante e soggetto garantito. Tali conseguenze sono, invece, inaccettabili in materia di garanzia inerenti il rispetto dei dettami di sicurezza degli impianti. Mentre nel caso di qualità mancanti della cosa venduta che generino dei vizi della stessa, vi è una incidenza delle relative conseguenze unicamente, almeno di norma, sull’acquirente, l’eventuale mancanza dei dettami di sicurezza relativi agli impianti inciderà, non solo sull’interesse dell’utilizzatore, ma anche sull’interesse generale della collettività, individua35 Gli Speciali Immobili & proprietà bile nel fatto che, da impianti non in regola, possano derivare danni alla salute delle persone. Di più: eventuali danni patiti dalla collettività, per una effettiva tutela della stessa, hanno bisogno della esatta individuazione del soggetto che, di quei danni, possa rispondere. Ecco che, allora, in materia di caratteristiche degli impianti, la presenza di una clausola di garanzia diventa davvero imprescindibile nella sua previsione contrattuale, ancorché negoziabile quanto ai suoi elementi contenutistici in riferimento alla possibilità di determinare il soggetto a cui tale garanzia spetti. Tale negoziabilità non va letta in termini di deroga pattizia alla garanzia per i vizi della cosa venduta la quale, laddove derogata, finisce di fatto, come si è visto, di spiegare ogni suo effetto, ma va letta in termini di accordo pattizio volto esclusivamente a modificare la determinazione del soggetto a carico del quale essa spetti, in tale ambito potendosi anche operare attraverso l’applicazione - ma solo in via analogica - delle norme sulla garanzia per i vizi. La portata dell’art. 13 allora è stata, sia pure indirettamente, davvero innovativa in tale contesto, dando coscienza della necessità che si pervenga alla individuazione di un soggetto, indifferentemente scelto tra venditore ed acquirente, al quale imputare la responsabilità conseguente ai danni che un impianto non in regola possa generare. E, sotto questo aspetto, l’abrogazione della norma non potrà cancellare un principio di portata così generale. Pertanto, se i termini letterali della garanzia vanno, per come sopra detto ed in conseguenza dell’abrogazione dell’art. 13, riscritti nelle formulazioni da utilizzare, poiché non si tratterà più di garantire la conformità degli impianti ma l’avvenuta installazione degli stessi da parte di imprese dotate dei requisiti e delle abilitazioni previste dalla legge, non si potrà comunque prescindere dalla individuazione di un soggetto che, delle eventuali violazioni inerenti il rispetto delle norme di sicurezza di tali impianti, assuma la responsabilità. Il che è un obbligo che risiede in una norma non scritta (come non lo era neppure sotto il vigore dell’art. 13) ma risiede in un principio superiore direttamente collegato all’interesse generale della collettività. Ma tale garanzia non rappresenta, come si è avuto modo di affermare sopra indirettamente, una estensione della garanzia per i vizi, concludendosi in una garanzia autonoma che trova la propria causa nell’interesse legittimo della collettività a che non abbiano a circolare immobili dotati di impianti poImmobili & proprietà 2015 tenzialmente pericolosi e quantomeno, nell’impossibilità di porre in essere una generalizzata campagna di forzoso adeguamento di tutti gli immobili, sia idonea a consentire l’individuazione del soggetto che del funzionamento di tali impianti e delle conseguenze di eventuali eventi dannosi, ne sia il responsabile. Ovviamente la garanzia si atteggia in maniera differente a seconda che gli impianti siano risalenti a prima dell’entrata in vigore della L. n. 46/1990, allorché non erano ancora state previste obbligatorie abilitazioni per le imprese installatrici. In tal caso occorrerà notiziare l’acquirente circa l’esistenza, nell’impianto elettrico, almeno dei requisiti previsti dall’art. 6, comma 3, del D.M. n. 37/2008, in mancanza di che andrà comunque individuato il soggetto che si assuma l’onere di condurre gli impianti a norma o, in alternativa, di assumersi le responsabilità relative. Quanto agli edifici che possono dirsi interessati dalla norma, essi sono tutti gli edifici, indipendentemente dalla loro destinazione, ma purché in essi siano presenti impianti, a servizio degli stessi, considerati rilevanti ai fini dell’applicazione della normativa e a tale uopo classificati nell’art. 1 del D.M. stesso. Poiché l’obbligo di garanzia è comunque correlato alla esistenza di una impiantistica e di una impiantistica posta in grado di poter funzionare, è scontato che restano escluse dall’applicazione della normativa gli immobili in cui non esistano impianti. Qui, essendo escluso ogni pericolo correlato all’utilizzo degli stessi, ne deriva l’esclusione della garanzia. Ove, invece, vi siano impianti che, per la mancanza di sottosistemi deputati al loro funzionamento, non siano posti in grado di poter funzionare, sembrerebbe opportuno dare contezza comunque dell’esistenza di tali impianti e, relativamente alle parti di essi la cui installazione sia già stata completata, fare effettuare la dichiarazione di garanzia nei termini sopra riportati. Dubbi erano poi sorti, già sotto la vigenza dell’art. 13, circa l’effettiva natura di tale garanzia e, in particolare, sul modo di atteggiarsi della stessa, soprattutto quando gli impianti manchino dei requisiti di sicurezza. In tal caso sono tre i punti fondamentali che è possibile richiamare anche dopo l’abrogazione della più volte richiamata norma dell’art. 13: - a) l’immobile conserva comunque la sua commerciabilità; - b) non sorge alcun obbligo di adeguamento degli impianti in nessuna tipologia di fabbricato; - c) la garanzia va comunque disciplinata. 36 Gli Speciali Immobili & proprietà Quanto al punto sub a), la conclusione appare abbastanza ovvia sol che si consideri come una norma portata da un decreto ministeriale non può modificare in modo sostanziale norme civilistiche, ponendo extra commercium tutti gli immobili sforniti della dichiarazione di conformità. Peraltro una conseguenza talmente grave avrebbe dovuto, quanto meno, essere prevista dalla stessa norma, il che non pare la disposizione abbia disposto. Quanto al punto sub b), la nota ministeriale è stata chiarissima nell’evidenziare che non esistono norme rintracciabili nel D.M., ma neanche altrove, che pongano, un generale obbligo di adeguamento degli impianti preesistenti che siano conformi alle norme di sicurezza applicabili all’epoca della loro realizzazione. Naturalmente, qualora l’impianto non fosse a norma neppure in relazione ai dettami di sicurezza vigenti all’epoca della sua realizzazione, vi sarà un obbligo di adeguamento comunque indipendente dalla commerciabilità dell’immobile. Quanto al punto sub c), infine, si è ampiamente spiegato che la garanzia è inderogabile quanto alla sua previsione e quanto ai suoi essenziali contenuti, salva la possibilità di derogare in relazione alla determinazione di un soggetto diverso dal venditore (rectius: dal dante causa) a carico del quale la garanzia debba essere posta. Gli effetti della garanzia possono essere poi diversi anche a seconda dalla conoscenza o dalla conoscibilità dei vizi degli impianti attinenti elementi di sicurezza che ne abbia il venditore e l’acquirente, soprattutto in considerazione della possibilità, in caso di dolo del venditore, di una automatica responsabilità, in capo a quest’ultimo, anche nel caso in cui alla prestazione di garanzia da parte dello stesso si sia derogato. La tutela discendente dalla certificazione energetica dell’immobile La stipulazione del Protocollo di Kyoto, avvenuta tra i Paesi più industrializzati l’11 dicembre 1997, ha determinato l’instaurarsi di politiche legislative del tutto nuove nell’ambito del contenimento e del controllo delle emissioni inquinanti. Il trattato, infatti, ha previsto, in capo ai Paesi aderenti, l’obbligo di operare una riduzione delle emissioni nocive per l’ambiente, da attuarsi anzitutto attraverso il ricorso a meccanismi di mercato (il principale dei quali è il Meccanismo di Sviluppo Pulito) tesi a massimizzare le riduzioni inquinanti a parità di investimento economico. Immobili & proprietà 2015 Da qui la necessità di attuare una serie di interventi normativi funzionalizzati alla razionalizzazione delle fonti energetiche e dei consumi e al controllo della misura delle emissioni nocive. La consapevolezza che, in questo ambito, una discreta parte di elementi inquinanti per l’atmosfera deriva, non solo dall’utilizzo degli impianti di produzione industriale, ma altresì dal normale e più banale utilizzo degli impianti, per così dire, domestici, immanenti all’uso standard degli edifici civili e commerciali, ha condotto alla emanazione della Direttiva Comunitaria 2002/91/CE che ha imposto, ai Paesi dell’Unione, l’adozione di specifiche normative sul rendimento energetico nell’edilizia. L’Italia, in effetti, ben prima dello stesso Protocollo di Kyoto, aveva intrapreso i primi passi legislativi in questo settore con la L. 9 gennaio 1991, n. 10 recante: “Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia” alla quale era succeduta, a tredici anni di distanza, la L. 23 agosto 2004 n. 239 portante “Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia”. Ed è proprio in attuazione di questa delega, oltreché della succitata Direttiva Comunitaria, che viene adottato il D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192 (in G.U. n. 222 del 23 settembre 2005) entrato in vigore il giorno 8 ottobre 2005. La ratio che informa l’intera materia è essenzialmente quella di introdurre, nell’ampio e complesso iter burocratico-amministrativo che consente la realizzazione, il godimento e quindi la commercializzazione degli edifici, un nuovo documento, prima del tutto sconosciuto, che va sotto il nome di “Attestato di Certificazione Energetica” (ACE), idoneo a dare all’utente una rappresentazione delle caratteristiche energetiche dell’unità immobiliare in relazione all’uso standard della stessa, dipendente dalla propria destinazione urbanistica, con conseguente attribuzione di un preciso classamento energetico dell’unità immobiliare considerata, unitamente ad indicazioni circa eventuali interventi migliorativi degli impianti, tali da consentire risparmi di energia o il potenziamento delle capacità prestazionali, a parità di costi. Ciò consente di mettere l’utente finale del settore edile nella diretta possibilità di conoscere esattamente, attraverso appunto l’Attestato di Certificazione Energetica, le caratteristiche energetiche dell’unità immobiliare in suo possesso, consenten37 Gli Speciali Immobili & proprietà done un paragone con i parametri energetici medi di legge e, per questa via, scoraggiandone l’acquisto, allorché l’unità immobiliare in oggetto sia, per così dire, “sparametrata” rispetto ai normali canoni energetici nazionali. In tal modo il legislatore, da un lato, agendo in via diretta, introduce norme che impediscono nuove realizzazioni edilizie che siano sfornite di determinati parametri energetici minimi e che, come tali, sono potenzialmente nocive a causa delle eccessive emissioni inquinanti che ne deriverebbero; dall’altro lato, attraverso il meccanismo della certificazione energetica, indirettamente, agisce conducendo potenzialmente fuori mercato quegli immobili che non rispondano più ai moderni criteri energetici. Tutto questo dovrebbe indurre ad un adeguamento degli impianti più vecchi, necessario a far tornare appetibili sul mercato le unità immobiliari altrimenti svalutate a causa della vetustà e del mancato “allineamento energetico” dei propri impianti rispetto ai parametri di legge. La funzione della certificazione energetica è quindi, sotto questo aspetto, quella di consegnare a ciascuna unità immobiliare una sorta di “patente di salubrità” che abbia a determinarne una particolare valorizzazione sul mercato, rispetto ad altre unità immobiliari aventi caratteristiche energetiche scadenti. L’impatto che la disciplina sulla certificazione energetica ha avuto nell’ambito delle attività negoziali di compravendita e di locazione degli immobili ha causato non pochi problemi all’operatore del diritto e all’interprete in relazione alla esatta e corretta applicazione della normativa. È innegabile, infatti, che la disciplina della materia non brilla certo per chiarezza espositiva e ciò, non tanto per l’utilizzo di un impianto non sempre univoco nelle sue definizioni e nelle sue determinazioni, ma soprattutto perché il legislatore della materia si è giocoforza - trovato al cospetto di due problematiche dalla natura diversissima: da un lato la problematica posta da aspetti strettamente tecnici e, dall’altro lato, la problematica della ricerca di un amalgama di questa con questioni di ordine più strettamente giuridico. La complessità della strutturazione normativa sulla certificazione energetica, deriva poi dal fatto che l’intera materia viene giocata attraverso un’ipotesi di competenza normativa, di fatto, concorrente tra Stato e Regioni. Sotto questo profilo occorre ricordare come l’art. 117 Cost., nel testo riformato dalle innovazioni subite dall’intero Titolo V, sancisca una ripartizione di competenza legislativa tra Stato Immobili & proprietà 2015 e Regioni tale che, per talune materie, tassativamente individuate dalla stessa norma, prevede una competenza, a seconda dei casi, esclusiva dello Stato o ripartita tra Stato e Regioni, lasciando che, nelle altre materie residuali, non espressamente riservate alla legislazione dello Stato, la potestà legislativa, sia appannaggio esclusivo delle Regioni. La materia della certificazione energetica degli edifici, occupandosi direttamente di questioni attinenti il rendimento energetico nell’edilizia, non è stata invero considerata propriamente come appartenente alla sfera delle normative preposte alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (materia di competenza esclusiva dello Stato, ex art. 117, comma 2, lett. “s)”, Cost.), ma, piuttosto, come appartenente ad un ambito legislativo autonomo che, non rientrando in alcuna altra specifica materia lasciata alla competenza esclusiva dello Stato o alla competenza ripartita Stato-Regioni, ai sensi del comma 4 dello stesso art. 117 Cost., spetta residualmente alla competenza regionale. Il comma 5 dello stesso art. 117, nelle materie di competenza residuale esclusiva delle Regioni, conferisce, poi, alle Regioni stesse il potere di dare attuazione ed esecuzione diretta agli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme procedurali statali le quali si cureranno di disciplinare anche l’eventuale potere legislativo sostitutivo dello Stato, nel caso in cui il potere legislativo locale sia rimasto inadempiente. Questa strutturazione relativa alle fonti normative capaci di legiferare in materia, espressamente richiamata, in seno al D.Lgs. n. 192/2005, dalla cd. “Clausola di cedevolezza” di cui all’art. 17, consente di concludere circa l’indubbia appartenenza della competenza legislativa regionale in materia di certificazione energetica degli edifici. Il che avrebbe potuto condurre, addirittura, le Regioni ad intervenire in diretta attuazione della Direttiva Comunitaria, senza il filtro della normativa nazionale e a prescindere dall’esistenza, quale presupposto, di una struttura normativa statale. Tuttavia in Italia nessuna regione ha adottato norme che, a prescindere da disposizioni normative nazionali, provvedessero al diretto recepimento della Direttiva Comunitaria in materia di certificazione energetica degli edifici. Per cui, il quadro che si è venuto a creare ha determinato: a) casi di regioni (la maggior parte!) nelle quali, non essendo stata disposta alcuna normativa “locale”, attuativa di quella statale, è rimasta applicabile l’intera legislazione nazionale emanata in materia, da applicare, dunque, sia nelle sue disposizioni di 38 Gli Speciali Immobili & proprietà principio, che in quelle di dettaglio (queste ultime, peraltro a lungo inesistenti, stante la perpetuata latitanza delle cd. Linee Guida Nazionali e dei Decreti Attuativi previsti in seno al D.Lgs. n. 192/2005 ed emanati con circa cinque anni di ritardo); b) l’esistenza di interventi normativi regionali, emanati comunque sempre in attuazione dell’intervento statale, e che, come tali, avrebbero dovuto essere rispettosi dei principi fondamentali posti dalla legislazione nazionale. Resta, tuttavia, il legittimo dubbio che le disposizioni locali che abbiano dettato norme sulla certificazione energetica, avendo spesso allargato l’ambito della propria disciplina ad elementi non propriamente attuativi della legislazione nazionale, addirittura introducendo principi (come l’obbligo di allegazione agli atti di trasferimento a titolo oneroso, laddove in alcuni passaggi normativi non più previsto dalla legislazione nazionale che si è succeduta nel tempo) estranei alla legislazione statale, abbia esondato rispetto ai limiti di normazione costituzionalmente garantiti. La reazione del legislatore italiano di fronte alle disposizioni contenute nella normativa comunitaria è stata, dunque, quella di emanare una specifica disciplina in materia di certificazione energetica la quale ha introdotto, con il D.Lgs. n. 192/2005, nell’ambito della contrattazione immobiliare, un nuovo documento, prima sconosciuto al settore contrattuale edilizio che va sotto il nome di Attestato di Certificazione Energetica. L’introduzione “a regime” di questa novità documentale avviene, secondo le disposizioni contenute nella prima normativa di riferimento (il D.Lgs. n. 192/2005, appunto), attraverso un calendario temporale ed una casistica tese ad assicurare una graduale obbligatorietà di tali novità. Secondo il combinato disposto dell’art. 6, comma 1 e dell’art. 3, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 192/2005, devono essere dotati di ACE: a) gli edifici di nuova costruzione (tali intendendosi quelli per i quali la D.I.A. sia stata presentata, o il permesso di costruire sia stato richiesto, in data successiva l’8 ottobre 2005, cioè un anno dopo l’entrata in vigore del decreto); b) gli edifici già esistenti, di superficie utile superiore a mille metri quadrati, che siano stati oggetto di “ristrutturazione integrale degli elementi edilizi costituenti l’involucro”; c) gli edifici già esistenti, di superficie utile superiore a mille metri quadrati, che siano stati oggetto di “demolizione e ricostruzione in manuImmobili & proprietà 2015 tenzione straordinaria”; (in questi ultimi due casi sempreché i relativi provvedimenti abilitativi fossero stati richiesti o presentati dopo la data dell’8 ottobre 2005). Il successivo art. 6, comma 3, sancisce, poi, l’obbligo di allegazione, in originale o in copia autentica, dell’ “Attestato di certificazione energetica” agli atti di compravendita, sanzionando, l’eventuale mancata allegazione, con la nullità relativa dell’atto, ai sensi dell’art. 15, comma 8. Gli obblighi di dotare gli edifici dell’Attestato di certificazione energetica e di allegare lo stesso agli atti di compravendita immobiliare sono rimasti - ad onta dell’entrata in vigore della norma che li aveva previsti - di fatto procrastinati “sine die” a causa della mancata emanazione dei Decreti presidenziali attuativi (previsti dall’art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 192/2005) e delle “Linee guida nazionali” (previste dall’art. 6, comma 9, D.Lgs. n. 192/2005) preposti alla determinazione delle modalità e dei criteri di massima per il rilascio della certificazione energetica. Avendo, la fonte normativa primaria (il Decreto Legislativo), fatto riferimento a fonti delegificate, l’assenza delle stesse ha determinato l’inattuabilità della medesima fonte primaria la quale è rimasta, pertanto, “provvedimento ad applicazione sospesa”. A questa “impasse” legislativa ha rimediato il successivo D.Lgs. 29 dicembre 2006, n. 311 (pubblicato sulla G.U. del 1° febbraio 2007) entrato in vigore il giorno 2 febbraio 2007 che ha introdotto alcune novità nella materia. La novità principale è contenuta nell’art. 5 che, all’art. 11 dell’originario D.Lgs. n. 192/2005, ha aggiunto il comma 1-bis il quale sancisce che, in assenza delle “Linee Guida Nazionali” e fino alla loro emanazione, l’“Attestazione di certificazione energetica” è sostituita - a tutti gli effetti dall’“Attestazione di qualificazione energetica”. In secondo luogo l’art. 2 del D.Lgs. n. 311/2006, modificando il comma 3 dell’art. 6 del D.Lgs. n. 192/2005, prevede (con effetto a partire dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 311/2006, e cioè a partire dal 2 febbraio 2007), l’obbligo di allegazione della certificazione energetica, non più soltanto agli atti di compravendita, ma altresì a tutti gli atti di trasferimento dell’immobile a titolo oneroso. In terzo luogo, per effetto dell’aggiunta, ad opera dell’art. 2 del D.Lgs. n. 311/2006, dei commi 1-bis, 1-ter, 1-quater, all’art. 6 del D.Lgs. n. 192/2005, gli obblighi di dotazione della certificazione energetica e di allegazione della stessa agli atti di trasferimento a titolo oneroso vengono estesi ad una serie di al39 Gli Speciali Immobili & proprietà tre fattispecie anche in funzione di un ulteriore proposto calendario temporale che prevede una serie di date successive a partire dalle quali gli obblighi stessi vanno inderogabilmente applicati. Improvvisamente, però, di fronte alle pressanti critiche e alle innegabili problematiche poste dall’obbligo di allegazione della certificazione energetica agli atti di trasferimento a titolo oneroso, il comma 2-bis dell’art. 35 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, aggiunto in sede di conversione, con la L. 6 agosto 2008 n. 133, entrata in vigore il 22 agosto 2008, ha abrogato i commi 3 e 4 dell’art. 6 e i commi 8 e 9 dell’art. 15 del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, così come modificato dal D.Lgs. n. 311/2006, abrogando l’obbligo di allegazione, nonché l’obbligo di effettuare consegna della certificazione al conduttore, in caso di locazione dell’immobile che ne fosse dotato, e le conseguenti norme che sanzionavano con la nullità relativa il contratto di vendita e di locazione il cui perfezionamento avesse trasceso dai previsti indicati obblighi. Ora, l’abrogazione dell’obbligo di allegazione del certificato energetico all’atto di trasferimento dell’immobile a titolo oneroso, a pena di nullità, e dell’obbligo di consegna del certificato stesso all’inquilino, in caso di locazione immobiliare, fa sorgere due ordini distinti di problemi. Da un lato quello di coniugare l’abrogazione dei detti obblighi, ad opera di una norma legislativa nazionale, con la previsione specifica dei medesimi obblighi da parte di norme di rango legislativo o regolamentare regionali. Dall’altro, quello di considerare se la descritta abrogazione non abbia determinato addirittura la violazione di un vincolo comunitario, quello posto dalla Direttiva 2002/91/CE, il cui art. 7, comma 1 prevede l’obbligo, per ciascun Stato membro, di attuare disposizioni legislative volte ad assicurare che in fase di costruzione, compravendita o locazione di un edificio, “l’attestato di certificazione energetica sia messo a disposizione del proprietario [...], del futuro acquirente o locatario”. In relazione al primo problema, è evidente (ed in ciò le disposizioni regionali si sono, via, via, uniformate) come la sanzione della nullità possa essere introdotta (e quindi abrogata) unicamente da una norma statale (e non da una disposizione normativa locale). La sanzione di nullità, infatti, ponendo dei vincoli alla libertà della forma degli atti, e quindi della circolazione dei beni, resta materia di appannaggio esclusivo della legge statale, anche quando, ai sensi del novellato disposto dell’art. 117 Cost. si trattasse di materie riservate (anche) alla competenImmobili & proprietà 2015 za legislativa locale. Quanto al secondo problema, invece, la risposta non può essere data che in termini positivi, tanto che l’Italia è stata sottoposta ad una specifica procedura sanzionatoria da parte della Comunità Europea, proprio in quanto Paese che non è stato in grado di provvedere, con specifiche norme, ad una applicazione generalizzata dei principi introdotti dalla prima Direttiva Comunitaria sul tema, la 2002/91/CE. Sicché la Corte di Giustizia UE con sentenza 13 giugno 2013 è pervenuta alla condanna della Repubblica Italiana nella procedura di infrazione contro la stessa instaurata per la mancata ottemperanza alle disposizioni recate, in materia di certificazione energetica degli edifici, ai sensi della Direttiva Comunitaria 2002/91/CE. Come si evince dalla sentenza di condanna medesima, il capo di imputazione relativo alla procedura di infrazione fa riferimento, pressoché esclusivo, alla mancata previsione, da parte delle norme nazionali in materia, dell’ “obbligo di consegnare un attestato relativo al rendimento energetico in caso di vendita o di locazione di un immobile, conformemente agli articoli 7 e 10 della Direttiva 2002/91/CE [...]”. Nel frattempo, alla prima Direttiva Comunitaria, appena citata, viene sostituita una nuova Direttiva, la 2010/31/UE, che propone disposizioni sempre più stringenti in materia di certificazione energetica degli edifici rispetto alle quali l’emanazione delle prime “Linee Guida Nazionali” del giugno del 2009 non sono più rispondenti. Mentre, all’interno della normazione statale, ripresa presso le singole regioni che avevano già legiferato in materia, viene introdotta una nuova denominazione dell’Attestato energetico che, più precisamente, definisce la certificazione energetica come “Attestato di Prestazione Energetica” (APE). Si giunge così ai più recenti provvedimenti. Lo Stato, temendo l’apertura di un’ulteriore procedura di infrazione da parte della Comunità Europea per mancato adeguamento alla nuova Direttiva Comunitaria, con il recente Decreto Interministeriale 26 giugno 2015, ha provveduto ad una rivisitazione, non tanto delle norme di principio (che continuano ad essere quelle recuperabili dal D.Lgs. n. 192/2005 come modificato dal D.Lgs. n. 311/2006 e dalla L. n. 90/2013), ma delle “Linee Guida Nazionali” in materia di certificazione energetica degli edifici, con l’introduzione di alcuni punti di novità ai quali, giocoforza, dovranno poi attenersi anche le Regioni e le Province Autonome, trattandosi di elementi che, sebbene facenti parte di quella materia “di det40 Gli Speciali Immobili & proprietà taglio” che, in base alla sopra ricordata “clausola di cedevolezza” avrebbe dovuto vedere una piena autonomia locale, vengono regolamentati dalla fonte primaria costituita dalla Direttiva Comunitaria la quale, come tale, non può non vedere un pieno adeguamento anche da parte delle autonomie locali. La nuova normativa guida nazionale introduce: a) l’obbligo di pervenire, entro la data del 31 dicembre 2018, per gli edifici pubblici, ed entro la data del 31 dicembre 2020, per gli edifici privati, ad un parametro energetico “quasi zero”. Il significato di ciò consiste, in relazione ad edifici di nuova realizzazione o soggetti ad integrale ristrutturazione, una progettazione adeguata a consentire che il fabbisogno energetico di tali edifici sia vicina allo zero, nel senso che le progettazioni tecniche degli impianti (elettrico, idrico-sanitario, di riscaldamento, di raffrescamento, di climatizzazione) devono prevedere sistemi capaci di consentire una sorta di “autarchia” del fabbisogno energetico secondo cui, l’energia di cui l’edificio ha bisogno per essere utilizzato secondo la destinazione che è sua propria, deve essere ricavata con la minima dispersione di elementi inquinanti per l’ambiente esterno; b) di conseguenza nuove modalità di calcolo dovranno essere applicate per l’identificazione delle diverse classi energetiche di appartenenza dell’edificio e della singola unità immobiliare, con la conseguenziale introduzione di nuovi software di calcolo ai quali i certificatori dovranno fare riferimento; c) una parametrizzazione generale all’“edificio ideale” caratterizzato da emissioni zero, rispetto al quale, l’edificio concretamente considerato (sia esso, “vecchio” o “nuovo”), avrà un certo grado di lontananza, con la conseguenza che maggiore è la lontananza dal parametro ideale, minore sarà l’efficienza energetica attribuita, mentre maggiore sarà la vicinanza al parametro ideale, migliori saranno le prestazioni energetiche documentabili; d) nuovi requisiti minimi di efficienza energetica degli edifici che conducono alla previsione, non più di classi energetiche “fisse” e genericamente standardizzate, ma a classi energetiche “variabili” che saranno riferite con la naturale relativizzazione alle caratteristiche del singolo involucro edilizio considerato, con la conseguenza che non sarà più possibile parametrare un edificio ad un altro avente caratteristiche apparentemente similari (sicché, ad esempio, la classe “A” conseguita dal mio appartamento non necessariamente induce a ritenere che il mio appartamento abbia prestazioni energeticamente migliori di altro appartamento limitrofo che, pur Immobili & proprietà 2015 avendo conseguito solo la classe “B”, per il miglior stato in cui trovasi, è “costretto” in quella classe in quanto, per le proprie caratteristiche, avrebbe dovuto avere una maggiore vicinanza a quell’”edificio ideale” caratterizzato da emissioni pari a zero); e) nuovi sistemi di accreditamento per i certificatori energetici; f) l’eliminazione della marcatura temporale della firma del certificatore sull’APE. Tutto questo, sostanzialmente, impone nuove metodologie progettuali, utilizzo di sistemi all’avanguardia, ricerca di fonti energetiche realmente alternative a quelle tradizionali, in pratica sin dall’immediato, posto che al progetto edilizio compatibile con il rilascio del permesso di costruire, ove dovuto, o con la S.C.I.A., nei casi di ristrutturazioni che non comportino la realizzazione di un edificio del tutto differente da quello originario, devesi accompagnare una relazione tecnica rappresentata da una certificazione energetica “ante litteram” che dia contezza, ancor prima dell’effettiva realizzazione edilizia da compiersi, di quali saranno i risultati da conseguire una volta che l’opera sia finita, con relativo possibile diniego della certificazione di agibilità qualora, nella definizione della realizzazione medesima, il progettista non abbia poi rispettato i presupposti indicati nella relazione energetica acclusa al progetto. Pare evidente come, nell’ambito strettamente correlato all’operatività del notaio e alle contrattazioni immobiliari, non si scorgano eclatanti novità rispetto al passato, se non quelle relative all’impossibilità di servirsi di certificazioni energetiche facenti riferimento ai vecchi parametri, a partire da un preciso calendario che parrebbe coincidere con le suesposte date del 31 dicembre 2018 (edifici pubblici) e del 31 dicembre 2020 (edifici privati) per gli edifici di nuova costruzione. Per gli edifici già esistenti resta fermo il principio secondo il quale, se essi sono già dotati di certificazione energetica, la stessa continua ad essere pienamente utilizzabile fino alla sua naturale scadenza decennale (salvo, ovviamente, che non siano di ostacolo ipotesi di decadenza della certificazione stessa, di invalidità o di inefficacia sopravvenute derivanti, ad esempio, da una radicale modificazione degli ambienti, da una integrale sostituzione degli infissi, da interventi atti ad aumentare l’isolamento termico o ad alterare la trasmittanza termica, da interventi di sostituzione di impianti idrico-sanitari utilizzanti acqua riscaldata o di sostituzione degli impianti termici, etc. ...). Se, invece, manchino ancora della dotazione, la 41 Gli Speciali Immobili & proprietà nuova certificazione necessaria ad essere allegata all’atto notarile, nelle ipotesi legalmente previste, dovrà rispettare i nuovi parametri, nonché le nuove procedure di calcolo. Se, fin qui, si è cercato di dare un panorama complessivo della situazione normativa relativamente alla certificazione energetica, alla sua funzione e alla sua evoluzione, il compito che brevemente ci si propone è quello di verificare quanto sia il peso effettivo che tale nuova documentazione possa assumere in relazione alla tutela degli interessi dell’utenza del mercato immobiliare, in considerazione proprio di quel giudizio di “conformità” dal quale si è partiti, in funzione di assicurare, attraverso l’osservanza della “conformità”, appunto, a dei parametri di massima o, se si vuole, a dei presupposti di principio, la reale tutela di taluni interessi dell’acquirente immobiliare. È evidente come la “ratio” dalla quale il legislatore italiano è partito, in dipendenza di quanto assunto nel Protocollo di Kyoto e di quanto poi fatto suo in dipendenza del panorama normativo delle Direttive Comunitarie che si sono succedute in materia energetica e di tutela dell’ambiente, sia del tutto encomiabile. Come si è già accennato, la funzione della certificazione energetica, oggi, è duplice: eliminare, da un lato, nuove realizzazioni edilizie non rispondenti ai parametri di inquinamento massimo consentito e ai parametri di tutela ambientale, mediante l’approntamento di progetti edilizi che, accompagnati da una certificazione virtualmente rispondente ai risultati che la progettazione stessa andrà a generare, consentano la nascita di un panorama immobiliare davvero moderno, in quanto coerente con le necessità di limitare l’inquinamento atmosferico e l’inutile dispendio di energie nocive per l’ambiente. Dall’altro lato, attraverso la certificazione energetica messa a disposizione dell’utente, tentare di incanalare la scelta dell’unità immobiliare da acquistare, a parità di prezzo, verso immobili che offrano energeticamente parlando, migliori “performance”. Il problema è che una tale evoluzione che oserei definire di portata “civica” e “sociale” continua a risultare mal digerita proprio da quella stessa utenza in funzione degli interessi della quale, la certificazione energetica medesima è stata introdotta. E non a torto! Se, infatti, avessimo potuto immaginare che il certificato energetico avrebbe dovuto accompagnarsi unicamente agli interventi di nuova realizzazione o di restauro integrale, l’intera strutturazione della fattispecie avrebbe assunto, anche agli occhi dei Immobili & proprietà 2015 meno esperti, un significato sostanziale. In parole povere, così come quando mi accingo ad acquistare un elettrodomestico di nuova fattura, ho il diritto di conoscere gli elementi prestazionali dello stesso sotto l’aspetto del dispendio energetico e delle prestazioni, analogamente, allorché mi accingo a realizzare l’acquisto forse più importante della vita: cioè la casa da adibire a residenza familiare o l’edificio destinato a svolgere funzione strumentale alla mia attività, avrò il diritto di conoscere tutte le caratteristiche, in esse comprese, ovviamente quelle attinenti al fabbisogno energetico necessario per l’utilizzo standard dello stesso. E qui, a parità di costi e di caratteristiche generali che mi hanno indotto verso una certa tipologia immobiliare, andrò a preferire l’unità immobiliare che presenti caratteristiche energetiche rispondenti ai migliori dettami. Ma, quando l’acquisto avesse ad oggetto un immobile risalente, la vetustà dello stesso, per sua stessa natura, a causa delle diverse e superate tecniche costruttive, in dipendenza di una impiantistica e di rifiniture interne ed esterne che non possono dirsi appunto moderne, non potrò attendermi che, dalla certificazione energetica rilasciata, possano giungere risultati confortanti. In altri termini, per fare solo un esempio, è come se volessi dotare la mia cucina di un vecchio frigorifero a porta bombata, di quello stile americaneggiante, tanto in voga negli anni ’50 e ’60, e pretendessi di acquistarne un esemplare funzionante che attestasse le proprie caratteristiche energetiche in classe “A” o, addirittura “A++”! È palese, allora, come la funzione della certificazione energetica viva una doppia essenza. Per gli immobili più datati, essa viene considerata come un inutile appesantimento, burocratico ed economico, alla contrattazione, idonea solo a mettere un ennesimo balzello tra gli interessi di chi vende e quelli di chi compra. Laddove, al contrario, tale certificazione comincia, ma solo da recente, ad acquisire certo apprezzamento nella contrattazione di unità immobiliari nuove. Mercato ove, tra l’altro, la crisi economica imperante, induce l’utenza a considerazioni “latu sensu” economiche, con riferimento all’effettiva esistenza di un rapporto coerenziale tra l’ammontare della spesa cui si va incontro e le effettive aspettative derivanti dall’acquisto effettuando, che non mettono affatto da parte anche gli aspetti legati agli impianti termici, idrici e sanitari, nonché alle modalità di coibentazione degli ambienti, dei piani di calpestio, del tetto e dei muri perimetrali. A codesti limiti, va aggiunta l’insensibilità di un le42 Gli Speciali Immobili & proprietà gislatore che, se per una parte, ha dettato norme piuttosto rigide sul tema energetico e sulle modalità di realizzazione delle relative certificazioni, omette, in maniera sistematica, quei pressanti controlli su taluni autori delle certificazioni stesse che hanno consentito, ad oggi, perfino la redazione di certifica- Immobili & proprietà 2015 zioni energetiche compiute “a distanza”, senza alcun tipo di sopralluogo sullo stato reale dell’immobile ma semplicemente acconsentendo ad una mera immissione di dati (teorici) in un software informatico che poi, naturalmente, non potrà che generare certificazioni prive di una sostanziale veridicità. 43 Gli Speciali Immobili & proprietà Le patologie dell’oggetto del contratto in ipotesi di ritardata consegna di Antonio Scarpa - Consigliere della Corte di cassazione L’obbligo essenziale del venditore è quello di “consegnare la cosa al compratore”, sicché egli è obbligato a custodirla e risponde per gli eventuali deterioramenti. Obbligo di consegna della cosa L’obbligo fisionomico incombente sul venditore quale effetto del contratto di compravendita non è, a ben vedere, quello di “far acquistare la proprietà della cosa o il diritto” al compratore, essendo questa conseguenza tipica discendente in via automatica dalla conclusione del negozio nella sua normale veste traslativa, quanto quello di “consegnare la cosa al compratore” stesso, come stabilisce l’art. 1476, n. 1, c.c. È, infatti, la consegna l’unico comportamento dovuto dall’alienante in funzione dell’esercitabilità del diritto trasferito all’acquirente1, a meno che la cosa non si trovi già nella disponibilità di quest’ultimo al momento della stipula; così come il pagamento del prezzo costituisce l’unico obbligo incombente sul comparatore. L’art. 1477 c.c. aggiunge che la cosa deve essere consegnata nello stato in cui si trova al momento della vendita, con gli accessori, le pertinenze ed i frutti ad essa relativi, salvo che questi siano stati espressamente esclusi. In particolare, l’obbligazione del venditore di consegnare l’immobile alienato all’acquirente (la quale non prevede, peraltro, forme solutorie vincolate) è da qualificarsi “querable”, in quanto va eseguita nel luogo ove è sito il bene, se sia stata convenuta una consegna effettiva, oppure nel domicilio del medesimo venditore, se è stata convenuta una consegna simbolica (mediante passaggio delle chiavi)2. È, 1 Cfr. G. Mirabelli, La vendita, Torino, 1988, 41 ss. 2 Il Codice civile del 1865 esplicitava le modalità di adempimento dell’obbligo di consegna del venditore di immobili: art. 1464 - Immobili & proprietà 2015 perciò, necessaria la costituzione in mora tramite intimazione o richiesta scritta per far valere il relativo inadempimento3. Essendo la consegna condotta soltanto attuativa del contratto di compravendita già perfezionato, essa non può in alcuna misura rilevare allo scopo di delimitare l’esatto oggetto dell’alienazione4. Allorché il contratto preveda un termine per il solo pagamento del residuo prezzo e non anche per la consegna del bene oggetto di compravendita, deve desumersi, pertanto, che il venditore non possa rifiutare di trasferire materialmente all’acquirente il potere di fatto sul bene, incorrendo altrimenti nella violazione degli artt. 1476 n. 1 e 1477 c.c., laddove l’acquirente legittimamente potrebbe ritardare il versamento del corrispettivo5. La giurisprudenza esclude che l’obbligazione di consegna della cosa venduta spettante al venditore determini un automatico trasferimento del possesso a favore del compratore, come se si trattasse di un costituto possessorio implicito nel negozio traslativo, sicché, ove l’alienante conservi la disponibilità del bene, occorre accertare caso per caso, in base al “Il venditore adempie l’obbligazione della consegna degli immobili, quando ha rimessi i documenti della proprietà venduta, e le chiavi se trattasi di un edificio”. La consegna delle chiavi, di solito considerata come riconsegna della cosa, non equivale, tuttavia, ad automatica estinzione dell’obbligazione ex art. 1476, n. 1, c.c., ove ad essa non corrispondano l’effettivo rilascio dell’immobile e l’accertata insussistenza di impedimenti al recupero della sua piena disponibilità: cfr. G. Santarcangelo, La compravendita, Milano, 2000, 281. 3 Cass. 14 dicembre 1970, n. 2676, in Foro it., 1971, I, 392 ss. 4 Cass. 20 ottobre 1976, n. 3651. 5 Cass. 18 gennaio 1983, n. 460. 44 Gli Speciali Immobili & proprietà comportamento delle parti ed alle clausole contrattuali, che non siano di mero stile, se la continuazione dell’esercizio di fatto sulla res sia accompagnata dall’animus rem sibi habendi, o configuri, piuttosto, una mera detenzione nomine alieno6. È incontestabile, però, che l’obbligazione legale di consegna, in quanto diretta a soddisfare l’interesse concretamente avuto di mira dal compratore con l’acquisizione della res, potrà dirsi adempiuta soltanto allorché questi abbia conseguito l’effettivo possesso della cosa stessa. Se le parti non hanno concordato i tempi e i modi dell’esecuzione dell’obbligazione di consegna ex art 1476, n. 1, c.c., il dato fattuale del permanere della materiale disponibilità della cosa ad opera del venditore assume, in sostanza, un significato neutro, potendo rilevare sia come inadempimento, sia anche come forma di detenzione in nome del compratore, legittimata dalla stipulazione di un negozio giustificativo collegato o successivo alla vendita (quale, ad esempio, una locazione, un comodato o un deposito), ovvero da una funzione di garanzia dell’obbligo differito di pagamento del prezzo7. Gli artt. 1476, n. 1 e 1477 c.c., peraltro, connotano tipicamente in termini di detenzione la relazione materiale corrente tra il venditore e il bene trattenuto, in quanto strumentale all’attuazione della prestazione di consegna, senza che occorra dar prova di un’apposita ulteriore convenzione ad effetti obbligatori fra i contraenti8. Sicché neppure si comprende a pieno la cautela della giurisprudenza allorché raccomanda di accertare caso per caso, sulla base delle pattuizioni espresse, se il venditore che ritardi la consegna della cosa ne mantenga così il possesso o la semplice detenzione, in quanto una conservazione negoziale del possesso del bene sa6 Cass. 18 marzo 1981, n. 1613; Cass. 21 dicembre 1993, n. 12621; Cass. 24 giugno 1994, n. 6095; Cass. 15 febbraio 1996, n. 1156; Cass. 18 aprile 2003, n. 6331; Cass. 21 marzo 2014, n. 6742; Cass. 24 marzo 2014, n. 6893. 7 Cass. 12 dicembre 1975, n. 4080. 8 Cfr. in dottrina, per le diverse posizioni, R. Omodei Salè, A proposito di talune ricorrenti massime giurisprudenziali in materia possessoria, in Riv. dir. civ., 2013, 4, 989 ss.; A. Luminoso, La compravendita. Corso di diritto civile, VI ed., Torino, 2009, 140; G. B. Ferri, La vendita. Le obbligazioni del venditore e del compratore, in Tratt. Rescigno, 11, III, II ed., Torino, 2000, 537; M. Bianca, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile, a cura di F. Vassalli, Torino, 1993, 408; G. Ruoppolo, Trasferimento implicito del possesso nell’alienazione del diritto di proprietà, nota a Cass. 18 dicembre 1964, n. 2918, in Giust. civ., 1965, I, 747; D. Rubino, La compravendita, II ed., in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu e Messineo, XXIII, Milano, 1962, 483. Immobili & proprietà 2015 rebbe di per sé incompatibile con la volontà di trasferimento della proprietà, elemento essenziale della compravendita. Responsabilità del venditore fino alla consegna Dagli artt. 1465 (che regola gli effetti dell’impossibilità sopravvenuta nei contratti con effetti traslativi), 1476, n. 1, e 1177 (che specifica come l’obbligazione di consegnare una cosa determinata includa sempre quella di custodirla fino alla consegna) del codice civile si ricava che il venditore, il quale, pur avendo trasferito al compratore la proprietà del bene a mezzo di semplice consenso, non l’abbia ancora consegnato, è tenuto a custodirlo e conservarlo con la diligenza del buon padre di famiglia, in modo da essere in grado di effettuarne la traditio all’acquirente al tempo convenuto. Di tal che, ove il venditore non possa poi consegnare la cosa per sopravvenuta distruzione o perdita, si libererà del suo obbligo solo provando che tali eventi siano dovuti a caso fortuito o a forza maggiore, rimanendo in tale ipotesi, nonostante il perimento, creditore per il pagamento del prezzo pattuito. Allorquando, invece, il venditore non abbia conservato la cosa con la prescritta diligenza ed abbia, perciò, reso impossibile la prestazione dovuta per suo fatto colposo, non solo non potrà legittimamente pretendere dalla controparte il pagamento del corrispettivo, ma sarà altresì tenuto a risarcire i danni eventualmente cagionati al compratore con la sua inadempienza9. Il venditore che continui a custodire la cosa dopo la conclusione del contratto deve, quindi, rispondere per gli eventuali deterioramenti di quella, ma non per effetto della garanzia per vizi (la quale si riferisce ai soli difetti già esistenti al momento della stipula), quanto in forza dell’ordinaria responsabilità contrattuale per inesatto adempimento. La responsabilità del venditore custode suppone, pertanto, la sua colpa, mentre il compratore non è soggetto per quei deterioramenti ad alcun onere di denunzia preventiva, né alla prescrizione annuale. Ciò vale pure in ipotesi di vendita di cosa futura (ad esempio, immobile da costruire), nel senso che il venditore, che sia inadempiente rispetto all’obbligo contrattualmente assunto di consegnare il bene entro un dato termine, sopporta ogni rischio dovuto al 9 Cass. 28 aprile 1976, n. 1518. 45 Gli Speciali Immobili & proprietà ritardo nell’adempimento10. Nella prestazione di facere, relativa all’obbligo di consegna della cosa venduta, e che già comprende, come visto, ogni attività necessaria a far conseguire al compratore il possesso del bene, rimane così compreso l’obbligo del venditore di custodire la cosa stessa, a sua volta tipizzato dall’art. 1177 c.c. L’obbligo di custodia non si pone come particolare criterio di responsabilità, ma concreta un’ulteriore prestazione di facere, da valutarsi sulla base del regime previsto dall’art. 1218 c.c. Meglio ancora, poiché l’obbligo di custodia costituisce una prestazione accessoria del venditore rispetto all’obbligazione in cui si sostanzia il contratto di compravendita, non si applicano le regole sulla responsabilità ex recepto, aventi natura eccezionale, bensì quelle ordinarie sulla responsabilità per colpa, le quali prevedono come normale, da parte dell’obbligato, la diligenza del buon padre di famiglia11. Se il compratore non compie quanto necessario per rendergli possibile la consegna, il venditore può costituirlo in mora accipiendi, liberandosi dalla sua obbligazione, ove si tratti di immobile, mediante il ricorso alla procedura di cui agli artt. 1216 e 1209, comma 2, c.c. Il carattere strumentale dell’obbligo di custodia del venditore rispetto a quello di consegna, perdurante finché la cosa non venga trasferita materialmente al compratore, postula che il bene sia conservato nella consistenza materiale e giuridica sussistente all’epoca del contratto. In tal senso, l’obbligazione di custodire la cosa venduta viene descritta non come obbligazione autonoma, ma come dovere di condotta intrinseco all’obbligo di consegna, visto che, chiamando l’art. 1477 c.c. il venditore a consegnare il bene nello stato in cui si trovava al momento della vendita, rimangono a carico di questo pure tutte le attività necessarie a conservare tale stato12. Ci si domanda, in verità, se l’obbligazione di custodire gravante sul venditore sia davvero limitata alla conservazione dello stato materiale del bene, o non si estenda, piuttosto, al dovere di impedire mutamenti giuridici pregiudizievoli della condizione dello stesso13. 10 11 Cass. 30 settembre 2009, n. 20998. Cass. 27 ottobre 1981, n. 5618. 12 Ancora una volta, non sembra necessario ravvisare un distinto fatto negoziale costitutivo della detenzione del bene mantenuta dal venditore, in maniera da ricondurre l’obbligo di custodia per conto del compratore alla stipulazione di un vero e proprio contratto di deposito fra le parti14. Né è dovuto dal compratore alcun compenso, distinto dal prezzo di vendita per la custodia della cosa prestata dal venditore, a meno che non sia così previsto in apposito patto15. La stesse spese della custodia, in quanto spese per la consegna, sono, salvo patto contrario, a carico del venditore. La custodia del venditore, quanto meno nella vendita immediatamente traslativa, non consente al medesimo di far uso della cosa, seppur da esso non derivi alcun danno effettivo al bene16. Risponde, indicativamente, di inadempimento all’obbligazione di adeguata custodia, in relazione alla responsabilità per furti o rapine commessi all’interno dell’immobile alienato ma ancora non consegnato, il venditore che non offra prova liberatoria, dimostrando di aver adottato tutte le precauzioni suggerite dall’ordinaria diligenza17. Essendo l’obbligazione di custodia del venditore accessoria e connessa con quella principale, consistente nell’impegno di mantenere la cosa venduta nello stesso stato in cui si trovava al momento del contratto, egli dovrà, invero, evitare non solo le azioni od omissioni personali ma anche, in esplicazione del cosiddetto dovere di protezione, gli accadimenti esterni, sia pure riconducibili al fatto doloso di terzi, che possano determinarne la perdita, il perimento o il deterioramento. L’alienante mantiene, inoltre, la legittimazione passiva in relazione all’azione dell’acquirente per il risarcimento dei danni derivanti dal mancato godimento del bene compravenduto, seppure lo stesso venga poi trasferito a terzi ancor prima dell’adempimento dell’obbligazione di consegnarlo all’originario compratore18. la prassi notarile, nella stipula delle compravendite immobiliari, adopera la clausola di stile secondo cui il bene viene ceduto “nello stato di fatto e di diritto in cui esso attualmente si trova”: cfr. al riguardo G. Iaccarino, Clausole sul “possesso” nella prassi notarile, in Notariato, 2002, 1, 64 ss. 14 Cass. 28 aprile 1976, n. 1518. 15 D. Rubino, La compravendita, 496. 16 D. Rubino, La compravendita, 498. Cfr. G. Mirabelli, La vendita, cit. 46. Si veda anche M. Dell’Utri, Dovere di custodia, obbligazioni accessorie e causa del contratto, in Giur. it., 1993, I, 2, 816 ss., nota a Trib. Verona 2 novembre 1992. Cass. 30 settembre 2009, n. 20995, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, 213 ss., 1593 ss., con nota di M. Mattioni, Obblighi di custodia nell’appalto e art. 1177 cod. civ. 13 18 D. Rubino, La compravendita, 498. Al riguardo, è noto come Immobili & proprietà 2015 17 Cass. 29 marzo 2013, n. 7957. 46 Gli Speciali Immobili & proprietà È, inoltre, il venditore che non abbia ancora realizzato la consegna definitiva del bene, in adempimento dell’art. 1476, n. 1, c.c., ad esercitare, benché non più proprietario, il potere fisico sulla cosa, cui inerisce il dovere di custodirla ai fini della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c.19. 19 Cfr. Cass. 9 ottobre 1996, n. 8818, in Giust. civ., 1997, I, 1895 ss., con nota di M. Proto, Spunti per una rilettura del contratto preliminare di compravendita con consegna anticipata. Immobili & proprietà 2015 47 Gli Speciali Immobili & proprietà Le patologie del contratto (inadempimento, vizi, risoluzione) di Alberto Celeste - Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di cassazione Talvolta, nel concreto assetto negoziale, non tutto va come dovrebbe andare, poiché si registrano diverse patologie (impreviste o meno) che si verificano nel momento genetico del contratto o sul versante funzionale del rapporto, ed i soggetti coinvolti si adoperano in vario modo o per mantenere il riequilibrio del sinallagma oppure per liberarsi definitivamente dagli impegni assunti; segnatamente, i rimedi approntati dal codice civile nei confronti dell’inadempimento vanno ricostruiti considerando la disciplina generale dell’obbligazione e discendendo, poi, fino al reticolo della regolamentazione specifica dei singoli contratti; in quello di compravendita, soprattutto qualora oggetto dell’accordo sia un bene immobile, occorre tenere conto, inoltre, dei principi elaborati nel tempo dalla giurisprudenza, con approdi ermeneutici non sempre collimanti, sicché, da tale integrazione, l’indagine conduce all’elaborazione di regole giuridiche che riflettono la combinazione di diverse disposizioni; trattasi di un lungo e progressivo fenomeno di adattamento e stratificazione che comporta attualmente un sistema complesso ed articolato, che non può essere ridotto all’apparente schematica alternativa tra domanda di adempimento e domanda di risoluzione (salva comunque la pretesa risarcitoria), riservando a tale originario modello ipotesi operative alquanto marginali. I vizi redibitori dell’immobile venduto Il venditore, in forza dell’art. 1490 c.c., “è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore”. Circa la natura giuridica della garanzia per vizi, si discute se essa sia da ricondurre alla garanzia in senso tecnico o, invece, all’ordinaria azione di responsabilità per inadempimento; quest’ultima è la tesi seguita dalla dottrina prevalente: segnatamente, riguardo al contratto di compravendita, trattasi di “una speciale responsabilità contrattuale del venditore, il cui fondamento è costituito dalla (oggettiva) imperfetta realizzazione del risultato traslativo dipendente da un’inidoneità materiale della cosa venduta, preesistente alla conclusione del contratto”1; a ben vedere, siamo in presenza di una garanzia collegata a cause preesistenti al contratto e, spesso, indipendenti dal comportamento del venditore e, quindi, difficilmente ricollegabili ad un inadempi- mento tout court di quest’ultimo; comunque, si è ritenuto che la stessa rientri nell’inadempimento di natura “contrattuale”, riconducibile all’analogo fondamento della garanzia per evizione, ossia ad una violazione dell’impegno translativo considerato comprensivo dell’obbligo del venditore di verificare che il bene trasferito abbia i requisiti necessari alla sua utilizzazione2. Ad ogni buon conto, i vizi - per cui il bene non è “diverso”, ma appunto solo difettoso - consistono in quelle “imperfezioni del processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione” che rendono la cosa inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore; in questo senso si esprime la giurisprudenza3 la quale è, altresì, ferma nel ribadire che tali vizi devono preesistere alla vendita, almeno relativamente alle cause generatrici, perché il difetto successivo si risolve in un normale inadempimento contrattuale 2 Galgano, Diritto commerciale e civile, II, Le obbligazioni e i contratti, Padova, 2004, 348. 3 1 Luminoso, La compravendita, Torino, 1991, 191; Capozzi, Dei singoli contratti, Milano, 1988, 72. Immobili & proprietà 2015 Cass. 13 gennaio 1997, n. 244., in Foro it., Rep. 1997, voce Vendita, n. 58; Cass. 19 ottobre 1994, n. 8537, in Arch. circolaz., 1995, 391. 48 Gli Speciali Immobili & proprietà che, come tale, dà vita alle ordinarie azioni di esecuzione e risoluzione, e non alle azioni tipiche previste dall’art. 1492 c.c.4. Riguardo alla compravendita immobiliare - senza la pretesa di esaustività - possono annoverarsi tra i vizi di cui sopra quelle carenze concernenti: l’errata pendenza della rete fognaria; l’inadeguatezza recettiva dello scarico delle acque; le infiltrazioni d’acqua dal tetto, dal lastrico solare o dai muri; il distacco di intonaco, di rivestimento esterno, di piastrelle, o di pavimenti; il cedimento dei balconi; l’inidoneità dell’impianto di riscaldamento. I vizi di cui parla l’art. 1490 c.c. sono diversi dalla mancanza delle “qualità promesse o essenziali”, ipotesi disciplinata dall’art. 1497 c.c., e che si caratterizza per l’assenza di “tutti quegli elementi sostanziali che, nell’àmbito del medesimo genere, influiscono sulla classificazione della cosa in una specie piuttosto che in un’altra”5 (senza escludere che il difetto di qualità potrebbe legittimare anche un’azione di annullamento per errore o dolo). Un’altra distinzione che si impone è la diversa fattispecie della consegna di aliud pro alio, che si ha quando la cosa “appartenga ad un genere del tutto diverso o presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti”6. La garanzia per vizi costituisce un effetto naturale del contratto di compravendita, ma, vertendosi in materia di diritti disponibili, sono senz’altro consentiti accordi di natura derogatoria. Tali accordi, innanzitutto, possono avvantaggiare il compratore, ampliando gli strumenti a sua disposizione, e cioè prevedendo l’aggiunta della normale azione di esecuzione del contratto alle tipiche azioni ex art. 1492 c.c., sicché il compratore potrebbe anche richiedere la sostituzione del bene consegnatogli7, sostituzione che, in mancanza di esplicito patto, non è consentita, dato che le obbligazioni tipiche del venditore non hanno ad oggetto un facere relativo alla materiale struttura della cosa venduta8. 4 Cass. 19 luglio 1983, n. 4980, in Foro it., 1984, I, 780, con nota di Troiano. 5 Cass. 21 marzo 1994, n. 2681, in Foro it., Rep. 1994, voce Vendita, n. 65. 6 Cass. 31 marzo 1987, n. 3093, in Foro it., Rep. 1987, voce Vendita, n. 73. Di solito, comunque, gli accordi derogatori sono sfavorevoli al compratore, nel senso che comportano esclusioni o limitazioni alla responsabilità del venditore; l’autonomia delle parti, in materia, incontra alcune limitazioni, e non solo quelle ordinarie legate all’applicazione degli artt. 1229 e 1341, comma 2, c.c.9: invero, secondo il comma 2 dell’art. 1490 c.c., il patto di esclusione o limitazione della garanzia per vizi “non ha effetto se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa”; il legislatore, in buona sostanza, sanziona il comportamento scorretto del venditore e, parlando di mala fede, finisce con il ricollegarsi alla regola generale dell’art. 1229 c.c., che appunto nega la liberazione del debitore responsabile per dolo (oltre che per colpa grave); ciò posto, va precisato che è il compratore, parte interessata, che deve provare l’esistenza dei presupposti di cui all’art. 1490, comma 2, c.c., tra cui la mala fede del venditore, o meglio del venditore e di chi agisca per lui, come il commesso o il rappresentante. Oltre che per scelta delle parti, la garanzia è esclusa “se al momento al contratto il compratore conosceva i vizi della cosa”, ovvero se questi “erano facilmente riconoscibili, salvo, in questo caso, che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi”: così si esprime l’art. 1491 c.c. che, in fondo, detta una disciplina analoga a quella prevista per l’appalto, ove appunto la garanzia non è dovuta per i vizi conosciuti o riconoscibili al momento della consegna dell’opera, tranne se detti vizi siano stati in mala fede taciuti dall’appaltatore; nella vendita, però, alla riconoscibilità si sostituisce la “facile riconoscibilità” e, soprattutto, alla mala fede dell’appaltatore si sostituisce la dichiarazione del venditore il quale, sottolineando l’assenza dei vizi, rende irrilevante l’altrui conoscenza o conoscibilità dei vizi stessi. Ciò premesso, va sottolineato che il vizio “facilmente riconoscibile” è quello accertabile con la minima diligenza, attraverso un esame superficiale del bene, con la conseguenza che, negli altri casi, la garanzia sarebbe ugualmente dovuta; tale tesi limita molto la responsabilità del compratore, esonerato da ogni sforzo aldilà delle circostanze emergenti ictu oculi dall’esame del bene e delle quali sia in grado di rendersi conto, ma il compratore non è certo tenuto ad un accertamento che implichi l’impiego 7 Cass. 4 settembre 1991, n. 9352, in Giust. civ., 1992, I, 3139, annotata da Antinori. 8 Cass. 5 agosto 1985, n. 4382, in Foro it., Rep. 1985, voce Vendita, n. 73. Immobili & proprietà 2015 9 Cass. 23 dicembre 1993, n. 12759, in Foro it., Rep. 1993, voce Contratto in genere, n. 296; Cass. 23 marzo 1993, n. 3418, in Foro it., 1993, I, 2517. 49 Gli Speciali Immobili & proprietà di nozioni e mezzi tecnici, tranne forse il caso in cui sia già in possesso di tali nozioni, anche se, ragionando in questo modo, vi è il rischio di soggettivizzare completamente la valutazione. La dichiarazione del venditore deve essere “espressa”, non rilevando un comportamento concludente dell’alienante, né le generiche rassicurazioni di quest’ultimo sulla bontà della cosa. Infine, sotto il profilo probatorio - analogamente al contratto di appalto - deve ritenersi che spetti al venditore provare il fatto “positivo ed impeditivo” della riconoscibilità dei vizi, mentre spetta al compratore provare l’esistenza della dichiarazione del venditore. L’art. 1495 c.c. prevede un altro caso in cui la garanzia per vizi non sia dovuta, stabilendo che “il compratore decade dal diritto alla garanzia, se non denunzia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge”. Dunque - anche in questo caso come per l’appalto il compratore, a pena di decadenza, ha l’onere di denunciare i vizi del bene acquistato entro un congruo termine che, se stabilito dalle parti, non può rendere eccessivamente oneroso l’esercizio del diritto, in virtù della regola generale fissata dall’art. 2965 c.c. (trattandosi di un termine di decadenza, non è suscettibile di interruzione o sospensione, salvo che le parti non abbiano convenzionalmente contemplato un termine più ampio). La “denuncia” è un atto giuridico in senso stretto, è a forma libera (potendo essere effettuata anche a mezzo telefono10), può provenire dal compratore o anche da un terzo, e deve essere rivolta al venditore o ad altra persona autorizzata a riceverla (come un rappresentante); inoltre, non è necessario che essa contenga una specifica indicazione dei vizi, che possono essere indicati in un successivo momento11; anzi è preferibile che il committente si limiti ad una denuncia generica, perché, se precisa solo alcuni vizi, deve ritenersi che per i vizi non elencati incorra nella decadenza12; di contro, se non denuncia tempestivamente alcuni vizi, deve escludersi che, per questi ultimi, possa essere rimesso in ter10 Cass. 15 gennaio 1991, n. 328, in Foro it., Rep. 1991, voce Vendita, n. 48. mini dal sopravvenire di nuovi vizi. Circa il dies a quo di decorrenza del termine per effettuare la denuncia, la legge parla genericamente del giorno della “scoperta” dei vizi, sicché occorre una più dettagliata distinzione tra l’ipotesi in cui il vizio sia “riconoscibile” - e non “facilmente riconoscibile”, condizione che esclude in radice l’operatività della garanzia - oppure sia “occulto”: nel primo caso, infatti, il termine decorre dal giorno della consegna del bene, momento in cui il compratore è posto in grado di verificare la cosa venduta13, o addirittura decorre anche prima, se il bene è stato già mostrato e sottoposto all’attenzione dell’acquirente14. Passando ai vizi occulti, va rilevato che la decorrenza del termine di decadenza corrisponde al giorno della “scoperta” del vizio - non potendosi ragionevolmente pretendere che l’acquirente possa denunciare un difetto che ancora non conosce - che non si realizza con la nascita di un semplice “sospetto” dell’esistenza del vizio, ma presuppone l’acquisizione della certezza obiettiva e completa dei vizi15. Qualora il vizio sia costituito da un’imperfezione, per la cui individuazione sia necessaria una qualche competenza di carattere tecnico, il concetto di “scoperta” va inteso come un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dell’imperfetta esecuzione dell’opera16, sicché, in queste ipotesi, il termine di decadenza, dal quale decorre il successivo termine di prescrizione, inizia a decorrere soltanto dall’acquisizione della relazione del tecnico. Secondo la giurisprudenza, in caso di contestazione, spetta al compratore dimostrare l’esistenza e la tempestività della denuncia, la quale rappresenta una condizione dell’azione17; al contempo, è pacifico che la decadenza dalla denuncia non sia rilevabile d’ufficio, ma debba essere eccepita dall’appaltatore, 13 Cass. 26 agosto 1993, n. 9008, in Foro it., Rep. 1993, voce Vendita, n. 86 14 Cass. 13 aprile 1981, n. 2190, in Foro it., Rep. 1981, voce Vendita, n. 87. 15 Cass. 14 febbraio 1994, n. 1458, in Foro it., Rep. 1994, voce Vendita, n. 61; Cass. 14 maggio 1990, n. 4116, in Foro it., Rep. 1990, voce Vendita, n. 66. 16 11 Cass. 25 maggio 1993, n. 5878, in Foro it., Rep. 1993, voce Vendita, n. 68. V., sia pure in tema di appalto, Cass. 13 gennaio 2005, n. 567, in Foro it., Rep. 2005, voce Appalto, n. 60; Cass. 20 marzo 1998, n. 2977, in Danno e resp., 1998, 773, con nota di Predazzi. 12 17 Cass. 7 dicembre 1981, n. 6479, in Foro it., Rep. 1981, voce Appalto, n. 80, relativa alla fattispecie analoga in materia di appalto. Immobili & proprietà 2015 Cass. 28 gennaio 1997, n. 844, in Foro it., 1997, I, 1472; Cass. 12 marzo 1994, n. 2394, in Foro it., Rep. 1994, voce Vendita, n. 60. 50 Gli Speciali Immobili & proprietà in conformità con la stessa regola generale di cui all’art. 2969 c.c.18. La giurisprudenza sembra oscillante sulla natura dell’eccezione, se cioè “eccezione in senso proprio” o “mera difesa”; sul punto, comunque, mutuando quanto rilevato in materia di appalto, appare preferibile la tesi che si tratterebbe di eccezione in senso proprio, ed analogo rinvio va fatto con riguardo al risultato pratico della distinzione, che comunque lascia a carico del compratore l’onere di dimostrare la tempestività della denuncia; idem circa gli effetti pratici dell’affermazione circa la sussistenza di un’attività di deduzione ed allegazione in capo al venditore, tenuto ad allegare il decorso del termine utile tra il giorno della scoperta del vizio ed il momento della denuncia: invero, in questa prospettiva, sembra cadere l’apparente contraddizione delle sentenze che, discostandosi dall’orientamento dominante, ritengono che spetti al venditore dimostrare il fondamento dell’eccezione19, poiché, alla fine, reputano necessario che il compratore fornisca la prova contraria e, quindi, in termini concreti, aderiscono all’orientamento che pone a carico del compratore l’onere di provare la tempestività della denuncia. Così come nell’appalto, vi sono casi in cui la denuncia non è necessaria. Il primo di questi casi è rappresentato dall’ipotesi in cui l’onere di denuncia sia convenzionalmente escluso, evenienza senz’altro ammessa nel settore de quo, ove non si verte in materia di diritti indisponibili. In aggiunta a quest’ipotesi pattizia, vi è quella stabilita dal legislatore che, al comma 2 dell’art. 1495 c.c., esclude l’onere della denuncia “se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del vizio o l’ha occultato”. Il “riconoscimento” dei vizi può provenire sia dal venditore che da un suo rappresentante e può essere rivolto sia al compratore che ad un terzo; inoltre, esso è un atto “a forma libera”, che può manifestarsi anche in forma tacita o per facta concludentia (ad esempio, allorquando il venditore provveda a riparare la sa20), e che non presuppone l’ammissione della propria responsabilità per il vizio riscontrato, ammissione rilevante solo nell’ottica dell’interruzione della prescrizione di cui al comma 3 dell’art. 1495 c.c.21. Invece, se il venditore ammetta la propria responsabilità e si impegna ad eliminare i vizi, non solo si ha un riconoscimento del debito avente efficacia interruttiva della prescrizione annuale di cui all’ultimo comma dell’art. 1495 c.c., ma sorge addirittura un nuovo obbligo del venditore, svincolato dai termini della vendita e soggetto all’ordinaria prescrizione decennale22; in altri termini, qualora il venditore si impegni ad eliminare i vizi e l’impegno sia accettato dal compratore, sorge un’autonoma obbligazione di facere, che, ove non estingua per novazione la garanzia originaria, a questa si affianca, rimanendo ad essa esterna e, quindi, non alterandone la disciplina, conseguendone, in tale ipotesi, anche considerato il divieto dei patti modificativi della prescrizione, sancito dall’art. 2936 c.c., che l’originario diritto del compratore alla riduzione del prezzo ed alla risoluzione del contratto resta soggetto alla prescrizione annuale, di cui all’art. 1495 c.c., mentre l’ulteriore suo diritto all’eliminazione dei vizi ricade nella prescrizione ordinaria decennale23. Infine, va ribadito che la legge non pone alcun limite temporale al riconoscimento, che, oltretutto, deve ritenersi possa essere validamente effettuato anche dopo il decorso del termine di otto giorni per la semplice ragione che esso si concreta in una “rinuncia successiva” all’eccezione di decadenza, sicché, per svolgere la sua funzione effettiva, non può essere vincolato al rispetto degli otto giorni24. Quanto all’ “occultamento” dei vizi, tra i due orientamenti esistenti, appare preferibile quello secondo cui occorre una specifica attività diretta a nascondere i difetti, non essendo sufficiente il mero “silenzio”25; invero, una diversa soluzione comporta il ri21 Cass. 13 giugno 1996, n. 5434, in Corr. giur., 1996, 1380, con nota di Maienza; Cass. 25 marzo 1988, n. 2586, in Foro it., Rep. 1988, voce Vendita, n. 56. 22 Cass. 29 agosto 1997, n. 8234, in Foro pad., 1998, I, 344. 23 Come ribadito, di recente, da Cass. S.U. 13 novembre 2012, n. 19702, che può leggersi, tra le altre, in Giust. civ., 2013, I, 1027, annotata da Vagni. 24 Cass. 13 gennaio 1995, n. 381, in Corr. giur., 1995, 607, con il commento di Colombo. 18 Cass. 10 luglio 1987, n. 6031, in Foro it., Rep. 1987, voce Vendita, n. 69. 19 V., tra le altre, Cass. 11 agosto 1990, n. 8194, in Foro it., Rep. 1990, voce Vendita, n. 65. 20 Cass. 20 febbraio 1997, n. 1561, in Foro it., Rep. 1997, voce Vendita, n. 77; Cass. 12 giugno 1991, n. 6641, in 1991, voce Vendita, n. 52. Immobili & proprietà 2015 25 Cass. 4 marzo 1993, n. 2660, in Foro it., Rep. 1993, voce Vendita, n. 75; cui adde Cass. 13 agosto 1997, n. 7545, in Foro it., Rep. 1997, voce Vendita, n. 75, precisando che, perché si possa avere occultamento dell’esistenza del vizio, non basta che il venditore lo abbia taciuto, ma è necessario che egli abbia compiuto interventi volti a renderne difficile la scoperta, essendo all’uopo necessaria un’attività diretta, con adeguati accorgimenti, a nascondere il vizio del bene venduto. 51 Gli Speciali Immobili & proprietà schio di rendere praticamente inutile l’eccezione di decadenza dall’azione, poiché il committente potrebbe facilmente paralizzare tale eccezione deducendo l’atteggiamento omissivo dell’appaltatore; va, poi, sottolineato che l’attività del venditore deve essere tale da rendere impossibile al compratore di avvedersi del vizio. Oltre al termine di decadenza, la legge contempla un termine di prescrizione dell’azione che, a mente dell’ultimo comma dell’art. 1495 c.c., è di un anno (e, quindi, dimezzato rispetto a quello vigente in materia di appalto); ovviamente, il decorso del termine prescrizionale può interrompersi solo con l’esercizio giudiziale del diritto, in pratica notificando al venditore l’atto di citazione, non essendo sufficiente che il compratore invii una semplice richiesta, formulata in via stragiudiziale mediante lettera, di eliminazione del vizio o di riduzione del prezzo. Va ricordato che l’art. 1495, ultimo comma, c.c. fa decorrere il termine annuale di prescrizione dalla “consegna del bene”, concetto questo abbastanza chiaro, che tuttavia non si applica allorquando la consegna abbia preceduto la conclusione del contratto, poiché, in questo caso, è a tale ultimo momento che bisogna fare riferimento, considerato che il richiamo normativo alla consegna presuppone la perfetta coincidenza tra tale evento e la stipula del negozio26. Sotto altro profilo, non sembra revocarsi in dubbio che il termine annuale di prescrizione sia assoggettato alle normali cause di sospensione ed interruzione della prescrizione27; in particolare, si è visto che il riconoscimento dei vizi ad opera del venditore, se accompagnato dal riconoscimento della propria responsabilità in merito a tali vizi, costituisce un riconoscimento del debito che, come tale, interrompe la prescrizione a norma dell’art. 2944 c.c. Infine, non va dimenticato che l’efficacia di un atto interruttivo come l’atto di messa in mora o la domanda giudiziale non può valere per tutti i rimedi di cui all’art. 1492 c.c., ma solo per quelli espressamente menzionati nell’atto; analogamente a quanto prescritto in favore del committente dall’ultima parte dell’art. 1667, comma 3, c.c., anche l’ultima parte dell’art. 1495, comma 3, c.c. pre- vede una norma di chiusura in favore del venditore, il quale, nonostante non possa più esercitare (quale attore o convenuto in riconvenzionale) le azioni ex art. 1492 c.c. per il decorso del termine annuale di prescrizione, può sempre paralizzare l’avversa pretesa di pagamento del prezzo di vendita se abbia denunciato il vizio della cosa “entro otto giorni dalla scoperta e prima del decorso dell’anno dalla consegna”; trattasi di due requisiti temporali che non sono alternativi ma complementari, la cui presenza consente, però, l’esercizio di un’opportuna eccezione di inadempimento, che può spingere il venditore ad eliminare i vizi. L’aliud pro alio Prima di concludere il discorso sull’art. 1495 c.c., occorre ribadire che tale articolo si applica solo allorquando si è in presenza di “vizi” della cosa venduta, o, per effetto del richiamo operato dall’art. 1497 c.c., qualora la cosa venduta sia priva delle “qualità promesse” o di “quelle essenziali per l’uso a cui è destinata”; di contro, l’art. 1495 c.c., che è norma di stretta interpretazione, per la sua specialità e per le preclusioni che comporta, non si applica alla fattispecie della vendita di aliud pro alio, così come non si applica ai vizi successivi, che non rientrano nella nozione di cui all’art. 1490 c.c., ed ancora, non si applica all’ordinario inadempimento del venditore (che, per esempio, non abbia consegnato in tutto o in parte la cosa). La giurisprudenza, peraltro, tende ad estendere la nozione di aliud pro alio, ravvisando la fattispecie non solo quando la cosa consegnata appartiene ad un genere diverso da quello convenuto, ma anche quando la cosa difetti delle particolari qualità necessarie per assolvere alla sua naturale funzione economico-sociale28, o a quella particolare funzione che le parti abbiano assunto come essenziale29. Conseguentemente, diventa più difficile in concreto distinguere l’aliud pro alio dalla mancanza di qualità: ad esempio, si è parlato di aliud pro alio in caso di vendita di un terreno edilizio rivelatosi poi inedificabile30, e di consegna di un immobile privo 28 Cass. 3 agosto 2000, n. 10188, in Contratti, 2001, 262, con nota di Enriquez. 29 26 Cass. 11 settembre 1991, n. 9510, in Foro it., Rep. 1991, voce Vendita, n. 57. 27 Cass. 6 febbraio 1989, n. 724, in Giur. it., 1989, I, 1, 1723; Cass. 11 marzo 1981, n. 1384, in Foro it., Rep. 1981, voce Vendita, n. 88. Immobili & proprietà 2015 Cass. 23 marzo 1999, n. 2712, in Foro it., Rep. 1999, voce Vendita, n. 67. 30 Cass. 21 dicembre 1994, n. 11018, in Giust. civ., 1995, I, 917; v., però, di recente, Cass. 30 maggio 2013, n. 13612, in Contratti, 2014, 369, annotata da Rizzo, ad avviso della quale, in caso di compravendita di un’area fabbricabile in funzione di un determinato progetto edilizio, rivelatosi inattuabile per la mi- 52 Gli Speciali Immobili & proprietà di licenza di abitabilità31. Sotto quest’ultimo aspetto, di recente, si è avuto modo di puntualizzare che, nella vendita di immobili destinati ad abitazione, la mancata consegna della licenza di abitabilità impone un’indagine tendente ad accertare la causa effettiva di tale situazione, posto che il suo omesso rilascio può dipendere da molteplici cause, quali una grave violazione urbanistica, la necessità di interventi edilizi oppure dall’esistenza di meri impedimenti o ritardi burocratici che non attengono all’oggettiva attitudine del bene ad assolvere la sua funzione economicosociale, sicché l’eventuale relativo inadempimento del venditore può assumere connotazioni di diversa gravità senza necessariamente esser tale da dare luogo a risoluzione del contratto32. Anche in dottrina è stato molto acceso il dibattito che ha riguardato il rapporto (non agevole) tra vizio, mancanza di qualità ed aliud pro alio; comunemente si definisce vizio “un’imperfezione materiale che incide sul valore o sulle possibilità di utilizzazione della cosa e dipende da anomalie del processo di fabbricazione, di produzione, di conservazione”33; si ritiene, poi, che vi sia mancanza di nore potenzialità edificatoria del fondo rispetto a quella sulla quale il compratore aveva fatto affidamento, la responsabilità del venditore, derivante dalla situazione di fatto prospettata, non corrisponde ad un’ipotesi di vendita di cosa diversa da quella pattuita, essendo il bene immutato sia nella sua materialità sia nella sua idoneità ad essere edificato, mentre la circostanza che sul suolo acquistato possa essere costruito un edificio di superficie minore rispetto a quella stimata incide unicamente sulle qualità promesse. 31 Cass. 11 febbraio 1998, n. 1391, in Riv. notar., 1998, 1008; nel senso che il venditore di un immobile destinato ad abitazione ha l’obbligo di consegnare all’acquirente il certificato di abitabilità, senza il quale l’immobile stesso è incommerciabile, e che la violazione di tale obbligo non è sanata dalla mera circostanza che il venditore, al momento della stipula, avesse già presentato una domanda di condono per sanare l’irregolarità amministrativa dell’immobile, v., di recente, Cass. 23 gennaio 2009, n. 1701, in Riv. notar., 2009, 1280, commentata da Casu; v., però, Cass. 18 marzo 2010, n. 6548, in Guida al diritto, 2010, n. 17, 38, con nota di Pirruccio, secondo cui, nel caso di compravendita di un’unità immobiliare per la quale, al momento della conclusione del contratto, non sia stato ancora rilasciato il certificato di abitabilità, il successivo rilascio di tale certificato esclude la possibilità stessa di configurare l’ipotesi di vendita di aliud pro alio e di ritenere l’originaria mancanza di per sé sola fonte di danni risarcibili. 32 Cass. 22 novembre 2006, n. 24786, in Foro it., Rep. 2006, voce Vendita, n. 105: nella specie, si era confermata la sentenza di merito che aveva ravvisato un’ipotesi di consegna di aliud pro alio in relazione alla circostanza che il rilascio del certificato, di cui l’immobile mancava, avrebbe comportato la ristrutturazione completa del tetto, con una spesa pari a trenta milioni di lire, equivalente a quasi la metà del prezzo di vendita dell’immobile. 33 Così Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1992, 127. Immobili & proprietà 2015 qualità “quando la cosa, pur essendo quella sulla quale le parti si sono accordate, non ha tutti i requisiti che in essa dovrebbero sussistere, secondo il contenuto del contratto”, ed aliud pro alio quando viene consegnato un bene di genere diverso da quello pattuito34. La differenza tra le varie qualificazioni non rileva solo sul piano concettuale, bensì si riflette sul piano dei rimedi esperibili secondo la disciplina codicistica, anche se vi è una certa tendenza ad uniformare per quanto possibile la disciplina. L’azione di risoluzione del contratto Nello specifico, l’esistenza dei vizi legittima il compratore all’esercizio di varie azioni contrattuali, che, in virtù degli art. 1492 e 1494 c.c., sono: a) l’azione di risoluzione del contratto, b) l’azione di riduzione del prezzo, e c) l’azione di risarcimento del danno35. Dunque, il legislatore, per la compravendita, ha previsto una disciplina specifica che, però, si ricollega ai principii generali, pur essendo connotata da qualche peculiarità. In particolare, va rilevato che, a prima vista, la pretesa risolutoria non presuppone la “gravità” dell’inadempimento, ma è posta in linea meramente alternativa all’azione di riduzione del prezzo, la quale, a sua volta, non è un’azione contemplata dagli artt. 1453 ss. c.c.; e la più recente giurisprudenza, basandosi sul dato normativo, ha evidenziato la deroga della disciplina speciale rispetto alla regolamentazione fissata dall’art. 1455 c.c.36. Al contempo, la perfetta uguaglianza delle due azioni edilizie, vincolate agli stessi requisiti e alternative l’una all’altra, sembra escludere l’identificazione della domanda di riduzione di prezzo nell’àmbito della normale domanda di adempimento del contratto37. Un’interessante puntualizzazione al riguardo è arrivata di recente dalle Sezioni Unite38, ad avviso delle quali, in tema di compravendita, la disciplina della garanzia per vizi si esaurisce negli artt. 1490 ss. 34 Ferri, Trattato di diritto privato, Torino, 1984, III, 249. 35 In dottrina, tra i vari contributi sull’argomento, Rubino, La compravendita, in Trattato di diritto civile e commerciale fondato da Cicu e Messineo, Milano, 1962, 849. 36 Cass. 11 aprile 1996, n. 3398, in Corr. giur., 1997, 75, con nota di Gasparini. 37 Cass. S.U. 25 marzo 1988, n. 2565, in Corr. giur., 1988, 621, con il commento di Carbone. 38 Cass. S.U. 13 novembre 2012, n. 19702, in Giur. it., 2013, 2257, con nota di Calvo. 53 Gli Speciali Immobili & proprietà c.c., che pongono il venditore in una situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all’iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od alla sua caducazione mediante l’esperimento, rispettivamente, della actio quanti minoris o della actio redhibitoria; ne consegue che il compratore non dispone - neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica - di un’azione “di esatto adempimento” per ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge (garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo) o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene. Ad ogni modo, il reale elemento di novità insito nelle “azioni edilizie” di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo è rappresentato dal fatto che esse sono del tutto svincolate dall’elemento della colpa (principio che appare dominante), anche se, sotto il profilo pratico, questa diversità non comporta alcuna conseguenza rilevante, poiché incide solo sulla proponibilità dell’azione di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, non esperibile appunto per l’impossibilità da parte del debitorevenditore di dimostrare che l’inesatta prestazione è dipesa da causa a lui non imputabile; l’altro corollario dell’affermazione dell’irrilevanza della colpa è che l’eventuale clausola di esonero da responsabilità varrebbe solo per l’azione risarcitoria, la quale è l’unica azione condizionata dall’esistenza della colpa, che è solo “presunta”, in attuazione del principio guida dell’art. 1218 c.c., atteso che spetta al venditore-debitore, ex art. 1494, comma 1, c.c., dimostrare “di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa”39. Prima di passare ad analizzare le singole azioni, occorre ricordare quanto già detto, ossia che le ipotesi di normale inadempimento del venditore, di vizi successivi del bene, di consegna di aliud pro alio, di inadempimento del venditore non rientrano nell’àmbito di applicabilità degli artt. 1490 ss. c.c. Più complesso è il discorso per l’inadempimento consistente nel difetto delle “qualità promesse o essenziali”, inadempimento che se, da un lato, presuppone il rispetto delle condizioni e dei termini di 39 La giurisprudenza si rivela abbastanza concorde nel distinguere l’azione risarcitoria dalle altre azioni edilizie appunto facendo leva sulla necessità nel primo caso del requisito della colpa, seppur presunta, v., tra le altre, Cass. 20 maggio 1997, n. 4464, in Foro it., Rep. 1997, voce Vendita, n. 69; Cass. 19 luglio 1995, n. 7863, in Foro it., Rep. 1995, voce Vendita, n. 50. Immobili & proprietà 2015 cui all’art. 1495 c.c., dall’altro, legittima l’esercizio della sola azione risolutoria, che è l’unica richiamata dall’art. 1497 c.c. e che, nel caso di specie, è diretta espressione della regola generale degli art. 1453 ss. c.c.40; quanto all’applicabilità delle altre norme di cui agli artt. 1490 ss. c.c. nella peculiare ipotesi della “mancanza di qualità”, bisogna distinguere le norme quali l’art. 1492, comma 3, c.c. e l’art. 1494 c.c., ugualmente applicabili siccome rispondenti a principii generali41, rispetto alle norme quali l’art. 1491 c.c., non applicabili in quanto speciali. Da ribadire, altresì, è che le azioni edilizie, aventi chiara natura contrattuale, spettano solo al compratore, non potendo essere esercitate da un terzo, per esempio il successivo acquirente del bene, il quale non ha alcun rapporto negoziale con il venditore42. Venendo all’azione di risoluzione del contratto che, per gli immobili presuppone che i difetti siano “strutturali” - si noti che essa, in base all’inciso dell’ultimo comma dell’art. 1492, comma 1, c.c., è esclusa ove, “per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione”, laddove tale richiamo sembra avere un significato evidente, sottintendendo la volontà del legislatore di volere evitare la risoluzione per quei vizi che, nella prassi, non siano così gravi da legittimare lo scioglimento del vincolo contrattuale, anche se, su queste premesse, torna in gioco il problema del collegamento dell’azione redibitoria ai principi generali dell’art. 1453 c.c. (problema che sembra risolto in senso negativo dalla giurisprudenza più recente). Aldilà di tale questione, la fondamentale differenza rispetto alla normativa generale è che, in tema di vendita, l’alternativa non è tra risoluzione ed adempimento coattivo del contratto, ma tra risoluzione e riduzione del prezzo, rimedio specifico che rappresenta un modo pratico per garantire il mantenimento del contratto attraverso il riequilibrio sinallagmatico delle prestazioni; in buona sostanza, nella prima (azione redibitoria), la finalità è quella di porre nel nulla il contratto, con il conseguente obbligo del venditore di restituire il corrispettivo ricevuto e per l’acquirente di restituire il bene oggetto della vendi40 Cass. 10 gennaio 1981, n. 247, in Foro it., Rep. 1981, voce Vendita, n. 98. 41 V., rispettivamente, Cass. 23 gennaio 1988, n. 521, in Riv. notar., 1989, 470, e Cass. 14 maggio 1981, n. 3190, in Foro it., Rep. 1981, voce Vendita, n. 84. 42 Cass. 21 giugno 1993, n. 6855, in Contratti, 1994, 41, con nota di Inzitari; Cass. 28 luglio 1986, n. 4833, in Nuova giur. civ. comm., 1987, I, 241, annotata da Moretti. 54 Gli Speciali Immobili & proprietà ta, mentre, nella seconda (azione estimatoria), il contratto mantiene la propria efficacia, nel senso che l’acquirente accetta il bene viziato ma pretende che tale vizio sia valorizzato sul piano economico, con la condanna del venditore a restituire una parte del corrispettivo versato a titolo di prezzo. In base al comma 2 dell’art. 1492 c.c., la scelta tra le due azioni edilizie “è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale”; in buona sostanza, il legislatore non ha voluto dubbi interpretativi e, andando oltre allo stesso art. 1453 c.c. - che prevede l’immutabilità della domanda risolutoria in domanda di adempimento - si è preoccupato di stabilire in via assoluta il principio dell’irreversibilità della scelta giudiziale, rendendolo operante in senso “biunivoco”, indipendentemente dal tipo di azione proposta (e, a fronte di tale rigore legislativo, parte della giurisprudenza43 ha negato la stessa possibilità della proposizione delle due azioni l’una subordinatamente all’altra). Tuttavia, vi è un caso in cui sembra possibile il mutamento di domanda in corso di giudizio, cioè allorquando la cosa consegnata sia “perita in conseguenza dei vizi” ed il compratore sia esente da colpa; l’ipotesi ordinaria, contemplata dall’ultimo comma dell’art. 1492 c.c., si riferisce al perimento precedente all’inizio del giudizio, ma il principio secondo il quale tale evento legittima l’azione di risoluzione del contratto deve essere senz’altro applicato qualora il perimento derivi da colpa esclusiva del venditore ed il compratore incolpevole abbia già proposto azione di riduzione del prezzo, poiché altrimenti si premierebbe il venditore responsabile del perimento e verrebbe addossato al compratore il rischio della durata del processo44. Il compratore non è legittimato a proporre l’azione redibitoria, ma solo l’azione estimatoria, allorquando la cosa “perisce per caso fortuito o per colpa del compratore, o se questi l’ha alienata o trasformata”, secondo quanto disposto dall’ultima parte dell’art. 1492, comma 3, c.c. il quale, rispondendo ad un principio logico, nega la risoluzione se sia impossibile la restituzione del bene e ciò non sia addebitabile, nemmeno in parte, all’alienante; peraltro, l’inammissibilità della risoluzione nei casi di alienazione e trasformazione del bene non deve essere ricondotta all’impossibilità di ripristinare la situazione nello stato vigente al momento della conclusione del contratto, bensì si deve ricollegare alla volontà dell’acquirente di accettare la cosa sebbene viziata, ragion per cui ogni utilizzazione del bene che sia indicativa di tale volontà della parte acquirente preclude l’azione risolutoria45. Dalla risoluzione del contratto derivano gli ordinari effetti restitutori previsti dall’art. 1458 c.c. e, specificamente, dall’art. 1493 c.c., effetti che tendono a ripristinare ex tunc la situazione antecedente al contratto di compravendita, ma è pur sempre necessaria una specifica domanda ad hoc, non essendo implicite le domande restitutorie nella richiesta di risoluzione del contratto46. Dunque, da un lato, il venditore è tenuto a restituire il prezzo ricevuto, e, dall’altro, il compratore è tenuto alla restituzione della res; il debito del venditore è un debito di valuta, da integrare con gli interessi legali dal momento del versamento47 e soggetto a rivalutazione monetaria solo in caso di prova del “maggior danno”48; di contro, il debito del compratore di restituire la res sussiste solo qualora questa non sia “perita in conseguenza dei vizi”, così dispone il comma 2 dell’art. 1493 c.c., mentre in quest’ultimo caso soccorre l’art. 1492, comma 3, c.c. Altro problema che sorge dalla risoluzione del contratto di compravendita di bene immobile deriva dalla circostanza che il venditore, per il periodo di vigenza del contratto, non gode del bene che abbia consegnato al compratore e, quindi, subisce un indubbio depauperamento, consistente nella mancata percezione del reddito prodotto dal bene immobile; 43 In tal senso, le citate Cass. n. 3398/1996 e Cass. S.U. n. 2565/1988; contra, le citate Cass. n. 4444/1996 e Cass. n. 1457/1995. 47 Tale tesi appare dominante, fondata sul carattere ripristinatorio ex tunc della risoluzione, v., tra le altre, Cass. 18 gennaio 1991, n. 447, in Vita notar., 1991, 535. 44 48 Cass. 8 novembre 1991, n. 11892, in Corr. giur., 1992, 295, con nota di Salomoni, la quale ha anche sottolineato che spetta al compratore provare la propria assenza di colpa; cui adde Cass. 12 maggio 1981, n. 3137, in Foro it., Rep. 1981, voce Vendita, n. 83. Immobili & proprietà 2015 45 A tale “rinuncia” alla risoluzione fa riferimento la giurisprudenza, v. Cass. 4 aprile 1998, n. 3500, in Guida al diritto, 1998, n. 16, 120, con il commento di Piselli; Cass. 8 giugno 1994, n. 5552, in Arch. civ., 1995, 48; d’altronde, il naturale corollario di tale orientamento è che, se non vi fosse tale volontà di rinuncia, si avrebbe la risoluzione e la restituzione del bene andrebbe fatta per equivalente. 46 In termini generali, v. Cass. 5 aprile 1990, n. 2802, in Foro it., Rep. 1990, voce Contratto in genere, n. 307; Cass. 9 dicembre 1988, n. 6677, in Foro it., Rep. 1988, voce Contratto in genere, n. 402. Cass. S.U. 4 dicembre 1992, n. 12942, in Corr. giur., 1993, 322, annotata da Di Majo, la quale, risolvendo il contrasto giurisprudenziale esistente in materia, ha escluso la rivalutazione monetaria quale sanzione dell’inadempimento colpevole del venditore. 55 Gli Speciali Immobili & proprietà orbene, se la risoluzione del contratto sorge dall’inadempimento del compratore, è evidente che questi sarà tenuto al risarcimento del danno commisurato al mancato godimento del bene da parte del venditore, danno sempre esistente e che, nella prassi, è definito come “danno figurativo”; peraltro, secondo la giurisprudenza49, tale danno non va compensato con l’eventuale aumento di valore nel tempo dell’immobile, perché il principio della compensatio lucri cum damno postula che il vantaggio patrimoniale conseguito dal danneggiato sia effetto immediato dell’inadempimento o del comportamento illecito; ma un analogo diritto al rimborso sembra spettare al venditore anche se il contratto si risolva per i vizi del bene, per difetto di qualità della res, per consegna di aliud pro alio o, comunque, per altri inadempimenti imputabili al venditore; in quest’ultimo caso, però, non si può ragionare in termini di risarcimento del danno, non essendoci un illecito del venditore, ma piuttosto bisogna rapportare la domanda al principio dell’indebito arricchimento, con l’evidente corollario che il venditore nulla può ottenere se agisce a titolo di risarcimento danni, ma è necessario che, quantomeno, prospetti in fatto l’azione di indebito arricchimento, a prescindere poi dalla sua esatta qualificazione giuridica. L’actio quanti minoris Venendo all’azione di riduzione del prezzo (actio quanti minoris), va ribadito che essa, quale alternativa dell’azione redibitoria, è legittima anche in presenza di vizi gravi50; questa è una sostanziale differenza con l’ipotesi dell’appalto, in cui vi è una graduatoria tra le azioni, mentre, per il resto, si registrano analogie, in primo luogo, in ordine al fatto che, così come il committente, è il compratore, parte interessata, che deve provare la diminuzione di valore del bene conseguente alla presenza dei vizi; inoltre, la riduzione di prezzo, proprio perché ha lo scopo di salvaguardare l’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni, deve nascere dall’applicazione di criteri oggettivi, nel senso che la riduzione del prezzo deve essere rapportata alla percentuale di disvalore della cosa derivante dall’esistenza dei vizi51; infine, va segnalato che, una volta effettuata la riduzione di valore, l’eventuale surplus di prezzo 49 Cass. 9 gennaio 1993, n. 139, in Arch. civ., 1993, 411. 50 Così testualmente Cass. 21 agosto 1985, n. 4471, in Foro it., Rep. 1985, voce Vendita, n. 72. 51 Cass. 21 luglio 1984, n. 4278, in Riv. giur. edil., 1985, I, 29. Immobili & proprietà 2015 pagato deve essere restituito secondo le regole dei debiti di valuta e, quindi, non va rivalutato se non sussista la prova del “maggior danno” richiesta dall’art. 1224, ultimo comma, c.c.52. In pratica, la riduzione del prezzo convenuto o versato avviene previo accertamento della misura percentuale di incidenza del difetto rispetto al valore del bene qualora quest’ultimo fosse risultato integro e funzionante, con relativa diminuzione sulla base di tale percentuale; in proposito, la legge non impone particolari criteri da seguire per la determinazione della somma dovuta per riduzione di prezzo in relazione ai vizi della cosa venduta, ed il ricorso a criteri equitativi e al prudente apprezzamento del giudice, ancorché non previsto espressamente dal legislatore nella disciplina normativa della vendita, è consentito in questa materia sia in conformità all’origine e alla tradizione storica dell’actio quanti minoris, sia in applicazione di un principio generale, di cui la disposizione contenuta nell’art. 1226 c.c. costituisce una particolare specificazione in tema di risarcimento del danno53. L’actio quanti minoris, peraltro, può accompagnarsi alla domanda di risarcimento del danno, che comprende sia il danno emergente, consistente nelle spese necessarie per l’eliminazione dei vizi ed il minor valore del bene, sia il lucro cessante, dimostrabile anche con presunzioni, derivanti dalla mancata disponibilità per l’acquirente della maggior somma corrisposta per l’acquisto e dall’impossibilità di avvalersene secondo le proprie abituali scelte economiche. L’azione di risarcimento danni prevista dall’art. 1494, comma 1, c.c. presuppone, invece, la colpa del venditore, responsabile per non essersi avveduto dei vizi del bene e che, appunto, per sottrarsi a tale responsabilità, è tenuto a fornire la prova liberatoria di “avere ignorato senza colpa” tali vizi, non accertati pur avendo prestato la dovuta diligenza; ciò premesso, va sottolineato che anche tale azione è condizionata dal rispetto delle condizioni e limiti di cui all’art. 1495 c.c., trattandosi di azione nascente comunque dai vizi di cui all’art. 1490 c.c. Sotto altro profilo, va ribadito che l’azione risarcitoria è destinata a tutelare il compratore laddove non soccorra l’azione estimatoria (ad esempio, per 52 Cass. 6 febbraio 1989, n. 724, in Giur. it., 1989, I, 1, 1723; Cass. 6 febbraio 1985, n. 846, in Foro it., Rep. 1985, voce Vendita, n. 76. 53 Cass. 6 ottobre 2000, n. 13332, in Foro it., Rep. 2000, voce Vendita, n. 53. 56 Gli Speciali Immobili & proprietà gli utili derivanti dall’utilizzazione del bene se non viziato), sicché non è possibile accogliere una domanda di risarcimento danni che sia diretta ad ottenere la mera riduzione del prezzo, fatta salva la possibilità di qualificare in termini di azione estimatoria la domanda del compratore. Un cenno a parte merita l’ulteriore profilo risarcitorio previsto dall’art. 1494, comma 2, c.c., secondo il quale il venditore è tenuto risarcire il compratore anche i “danni derivati dai vizi della cosa”; trattasi di danni ulteriori a quelli contemplati dal comma 1, in quanto consistono in eventi lesivi ulteriori legati alla difettosità del bene, quali, per esempio, il rallentamento dell’attività aziendale, ferimenti, ecc.; ed è interessante rilevare come, nel caso di specie, non soccorre il requisito della colpa, nel senso che la responsabilità sembra avere carattere “oggettivo”, parlandosi soltanto del nesso di causalità tra i danni ed i vizi della cosa; ad ogni modo, sia o meno di responsabilità oggettiva, si verte sempre nell’àmbito di un’azione contrattuale, nascente dal contratto di vendita, che, come tale, non può tutelare diritti soggettivi assoluti54, con la conseguente novità di una domanda formulata nel corso del giudizio in una prospettiva extracontrattuale ex art. 2043 c.c. L’applicabilità nell’ipotesi del preliminare Per completezza, va accennato alla questione relativa al contratto preliminare, nel senso dell’applicabilità o meno delle azioni previste in materia di compravendita nelle ipotesi di bene, oggetto della promessa, affetto da vizi. In un primo momento, la giurisprudenza55 ha affermato che l’unico rimedio concedibile era quello della risoluzione per inadempimento, in quanto l’azione di riduzione del prezzo (o quello di eliminazione dei vizi, se ammissibile) costituiva un rimedio previsto esclusivamente in materia di compravendita. Con una prima sentenza a metà degli anni ‘70, in un caso di preliminare c.d. ad effetti anticipati, la Suprema Corte56 ha ammesso il diritto del promissario acquirente di domandare l’esatto adempimen54 Cass. 2 agosto 1990, n. 7727, in Foro it., Rep. 1990, voce Cassazione civile, n. 69. 55 In tal senso, le sentenze fino alla metà degli anni ’70, cui si aggiungono talune isolate pronunce, v. Cass. 20 marzo 1999, n. 2613, in Foro it., Rep. 1999, voce Contratto in genere, n. 486; Cass. 8 gennaio 1992, n. 118, in Giur. it., 1992, I, 1, 1462. 56 Cass. 28 novembre 1976, n. 4478, in Foro it., 1977, I, 669. Immobili & proprietà 2015 to dell’obbligazione di consegna della cosa oggetto del preliminare, chiedendo la condanna del promittente venditore all’eliminazione dei vizi della cosa; ciò sarebbe ammissibile anche da parte di coloro che pur escludono l’esatto adempimento per la compravendita definitiva, in quanto, nell’obbligazione di stipulare il contratto definitivo, deve ritenersi inclusa tutta l’attività necessaria ad assicurare la realizzazione dell’attribuzione patrimoniale traslativa. A partire dagli anni ’80, la giurisprudenza si è orientata, invece, nel senso di ritenere che, in presenza dell’inadempimento del promittente venditore consistente nella presenza di vizi nella cosa oggetto della promessa, il promissario acquirente può o domandare la risoluzione del contratto preliminare, oppure chiedere l’esecuzione coattiva del contratto non concluso e, contestualmente, la riduzione del prezzo dovuto in proporzione al minor valore conseguente alla presenza dei vizi della cosa. A fronte di ulteriori pronunce all’insegna del c.d. dogma dell’intangibilità del preliminare, si giunge al pronunciamento delle Sezioni Unite57, le quali, sanando il precedente contrasto giurisprudenziale, hanno precisato le condizioni in presenza delle quali, nell’ipotesi di preliminare di cosa da costruire, è possibile fare ricorso all’azione ex art. 2932 c.c., e sempre che il rimedio dell’esecuzione specifica non sia escluso dal titolo: a) la predeterminazione della cosa oggetto del trasferimento; b) l’avvenuta costruzione del bene; c) la sua sostanziale identità con quello previsto nel preliminare; d) la mancanza di impedimenti di fatto o di diritto, come la sopravvenuta distruzione del bene o l’alienazione dello stesso a terzi; e) l’esecuzione della prestazione a carico della parte che agisce o la valida offerta della stessa, per la quale è sufficiente anche un’offerta secondo gli usi. Quanto alla sostanziale identità del bene realizzato con quello previsto nel preliminare, gli ermellini hanno osservato che, soltanto se la difformità è di portata tale da incidere sulla struttura e funzione del bene o sulla possibilità di destinarlo all’uso pattuito, l’esecuzione coattiva ex art. 2932 c.c. verrebbe effettivamente ad operare il trasferimento di un bene diverso da quello su cui si è formato il consenso delle parti, modificando o sostituendo così la volontà espressa dalle parti nel contratto preliminare. Viceversa, quando le difformità non siano sostanziali ed i vizi non incidano sull’effettiva utilizzabi57 Cass., Sez. Un., 27 febbraio 1985 n. 1720, in Giust. civ., 1985, I, 1630. 57 Gli Speciali Immobili & proprietà lità del bene secondo le previsioni contrattuali, ma soltanto sul valore del bene e su modalità secondarie di godimento, negare al promissario acquirente la pronuncia costitutiva significherebbe consentire al promittente venditore di sottrarsi agevolmente al rispetto degli obblighi assunti, specie quando, per puro calcolo economico, dettato dalle mutate condizioni di mercato, reputi conveniente lo scioglimento del vincolo, sia pure con il risarcimento del danno. Viene ammessa, così, la possibilità di cumulare l’azione di esecuzione in forma specifica del contratto non concluso con l’azione di riduzione del prezzo; quest’azione - secondo il supremo consesso decidente - non è un’azione esclusiva del contratto di compravendita, ma un rimedio di carattere generale per i contratti a prestazioni corrispettive, volto a salvaguardare l’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni, come avviene, ad esempio, nel caso dell’impossibilità sopravvenuta parziale, che attribuisce, in primo luogo, un diritto della controparte a domandare soltanto una corrispondente riduzione della controprestazione. La soluzione accolta dalla Cassazione è condivisibile, perché porre la parte non inadempiente di fronte all’alternativa secca tra agire per l’adempimento coattivo ex art. 2932 c.c. e domandare la risoluzione del contratto significava lasciare talune situazioni concrete prive di tutela giuridica, oppure costringere la parte ad accettare una cosa affetta da vizi. La risoluzione per inadempimento, infatti, può essere domandata soltanto quando l’inadempimento di una parte abbia non scarsa importanza avuto riguardo all’interesse dell’altra; può accadere che la difformità sia tale da non consentire la risoluzione per inadempimento per mancanza del presupposto di cui all’art. 1455 c.c. ma che, contemporaneamente, tale difformità faccia sì che il contenuto del preliminare risulti diverso da quello della sentenza costitutiva; se, in questi casi, non si consentisse ugualmente alla parte di agire ex art. 2932 c.c. e di chiedere la riduzione del prezzo, non vi sarebbe rimedio allo squilibrio determinatosi tra le prestazioni corrispettive. Sembra, però, che la giurisprudenza successiva si sia soltanto parzialmente adeguata ai principi affermati dalle Sezioni Unite. Invero, si registrano pronunce58 che negano comple- tamente l’applicabilità analogica al contratto preliminare dei rimedi previsti in materia di compravendita definitiva, sicché il promissario acquirente, in alternativa alla risoluzione del contratto, può domandare l’eliminazione dei vizi della cosa, al fine di ottenere poi l’esecuzione in forma specifica. Un secondo gruppo di pronunce59 aderisce ad un’interpretazione di maggiore tutela del promissario acquirente, il quale, contestualmente e cumulativamente all’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, può domandare alternativamente l’eliminazione dei vizi o la riduzione del prezzo; in senso favorevole all’applicazione al contratto preliminare dell’azione di esatto adempimento (nella forma dell’azione di condanna all’eliminazione dei vizi), è stato, altresì, osservato in dottrina60 che dalla promessa di vendere sorge, in realtà, a carico del promittente un’obbligazione ad ampio spettro che include qualunque prestazione, anche di “fare”, necessaria ad assicurare la realizzazione del risultato finale conforme, anche sotto il profilo qualitativo, a quello programmato con il preliminare, sicché dovrebbe coerentemente ammettersi anche l’azione di esatto adempimento. Vi è, inoltre, l’orientamento61 che, più fedelmente, si riporta all’insegnamento delle Sezioni Unite, secondo cui, stante l’incompatibilità tra domanda di esecuzione in forma specifica e richiesta di eliminazione dei vizi, il promissario acquirente, in luogo della risoluzione del contratto, può proporre, oltre alla richiesta di sentenza costitutiva degli effetti del contratto definitivo, la domanda di riduzione del prezzo62. 1993, voce Contratto in genere, n. 448. 59 Cass. 15 febbraio 2007, n. 3383, in Foro it., Rep. 2007, voce Contratto in genere, n. 483, specificando che la presenza di irregolarità edilizie dell’immobile, non conosciute dal promissario acquirente, integra vizi che legittimano la domanda intesa alla loro eliminazione o alla riduzione del prezzo ragguagliabile alla spesa sostenuta per la sanatoria; Cass. 15 dicembre 2006, n. 26943, in Foro it., Rep. 2006, voce Vendita, n. 66; Cass. 16 luglio 2001, n. 9636, in Contratti, 2002, 444, con nota di Besozzi; Cass. 20 maggio 1997, n. 4459, in Riv. giur. edil., 1997, I, 889; Cass. 26 aprile 1993, n. 4895, in Dir. e giur., 1994, 460, commentata da Salvatore; Cass. 17 novembre 1990, n. 11126, in Giust. civ., 1991, I, 2751, annotata da Iannaccone. 60 Luminoso, cit., 26. 61 Cass. 19 aprile 2000, n. 5121, in Riv. giur. edil., 2001, I, 577; Cass. 5 febbraio 2000 n. 1296, in Contratti 2000, 437; Cass. 26 gennaio 1995, n. 947, in Foro it., Rep. 1995, voce Contratto in genere, n. 379; Cass. 24 novembre 1994, n. 9991, in Corr. giur., 1995, 839, con nota di De Cristofaro. 62 58 Cass. 29 aprile 1998, n. 4354, in Foro it., Rep. 1998, voce Vendita, n. 52; Cass. 22 luglio 1993, n. 8200, in Foro it., Rep. Immobili & proprietà 2015 In argomento, di recente, Cass. 30 agosto 2013, n. 19984, in Foro it., Rep. 2013, voce Contratto in genere, n. 436, ha puntualizzato che proposte, cumulativamente e contestualmente, 58 Gli Speciali Immobili & proprietà Secondo una pronuncia63, poi, il promissario acquirente può anche limitare la sua domanda giudiziale alla sola richiesta di riduzione del prezzo, per procedere così alla stipulazione del contratto definitivo solo successivamente sulla base del minore corrispettivo fissato dal giudice. Non si è mancato, infine, di statuire64 che, nell’ipotesi di preliminare di vendita di un appartamento, la presenza di vizi dell’immobile, consegnato prima della stipula dell’atto definitivo, abilita il promissario acquirente, senza che sia tenuto al rispetto del termine di decadenza di cui all’art. 1495 c.c., ad opporre l’exceptio inadimpleti contractus al promittente venditore - che gli chieda di aderire alla stipulazione del contratto definitivo e di pagare contestualmente il saldo del prezzo - oppure a domandare, in via alternativa, la risoluzione del preliminare per inadempimento, o la condanna del medesimo promittente venditore ad eliminare a proprie spese i vizi della cosa. una domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto di vendita ed una domanda di riduzione del prezzo per vizi della res, l’offerta del prezzo, prevista dal comma 2 dell’art. 2932 c.c., non è necessaria, ove il pagamento, quale che risulti il prezzo ancora dovuto all’esito dell’accertamento sull’esistenza dei vizi della cosa venduta, non sia esigibile prima della conclusione del contratto definitivo. 63 Cass. 18 giugno 1996, n. 5615, in Corr. giur., 1997, 48, annotata da Palmieri. 64 Cass. 11 ottobre 2013, n. 23162, in Foro it., Rep. 2013, voce Vendita, n. 61; Cass. 31 luglio 2006, n. 17304, in Immob. & diritto, 2007, fasc. 5, 77, con nota di De Tilla. Immobili & proprietà 2015 59 Gli Speciali Immobili & proprietà Compravendita di immobili: aspetti fiscali di Paola Aglietta - Dottore Commercialista e Revisore Legale in Torino Al momento della stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare la legislazione tributaria prevede siano applicate alcune imposte e tasse, il cui pagamento è contestuale alla stipula del contratto ed il notaio è incaricato di esigerle. L’acquisto di un immobile rappresenta un momento impositivo giacché indirettamente manifesta una “ricchezza” da parte dell’acquirente e quindi giustifica a suo carico l’imposizione indiretta. In determinate e specifiche ipotesi, anche per il venditore si verifica un aumento di ricchezza (il c.d. plusvalore) che giustifica l’imposizione diretta. Il contratto preliminare Con il contratto preliminare il venditore e il compratore si obbligano reciprocamente a stipulare un successivo e definitivo contratto di compravendita. Il trasferimento del diritto di proprietà sull’immobile avviene solo alla firma di quest’ultimo. Obbligo di registrazione e imposte Il contratto preliminare di compravendita deve essere registrato entro venti giorni dalla sottoscrizione. Se il preliminare è stipulato con atto notarile, la registrazione viene eseguita dal notaio entro trenta giorni. Ai fini della registrazione sono dovute: - l’imposta di registro in misura fissa pari a € 200; - l’imposta proporzionale di registro dello 0,50% sulle eventuali somme previste a titolo di caparra confirmatoria; - l’imposta proporzionale di registro del 3% sulle eventuali somme previste a titolo di acconto sul prezzo di vendita; - l’imposta di bollo di € 16 ogni 4 facciate e comunque ogni 100 righe. Pertanto, nel caso in cui nel contratto preliminare sia previsto il versamento di una somma a titolo di caparra, all’imposta fissa dovrà aggiungersi l’imposta dell’0,50% in proporzione al valore versato dal promissario acquirente al promittente venditore. Analogamente si procede nel caso di versamento di acconto prezzo per il quale l’imposta proImmobili & proprietà 2015 porzionale è del 3 per cento. Le imposte di registro proporzionali pagate in presenza di caparra confirmatoria o di acconti sul prezzo sono successivamente detratte dall’imposta dovuta per la registrazione del contratto definitivo di compravendita. Nel caso invece in cui le parti non concludano il contratto definitivo, ovvero il preliminare sia risolto per mutuo consenso, non vi è alcuna possibilità di ottenere la restituzione o di recuperare l’imposta pagata: infatti, l’imposta di registro versata è da intendersi quali corrispettivo di un servizio erogato dallo Stato. Attenzione Se per le somme versate in occasione della stipula del contratto preliminare manca una espressa qualificazione, oppure se è dubbia l’intenzione delle parti sulla natura delle stesse, le somme vanno considerate acconti di prezzo. ESEMPIO: imposte di registro per la registrazione del contratto preliminare Contenuto del contratto Imposte Il contratto contiene il solo impegno del promittente venditore a vendere e l’obbligazione del promissario acquirente di comprare ad una data futura Contestualmente alla sottoscrizione del contratto preliminare, viene versato a titolo di caparra l’importo di € 10.000,00. L’imposta di registro è pari a € 200,00. L’imposta di registro è pari a: € 200,00 (imposta fissa) € 50,00 (0,5% di € 10.000,00) 60 Gli Speciali Immobili & proprietà Contestualmente alla sottoscrizione del contratto preliminare, viene versato a titolo di acconto l’importo di € 20.000,00. Contestualmente alla sottoscrizione del contratto preliminare, viene versata una caparra di € 5.000,00, nonché un acconto prezzo di € 10.000,00. Totale € 250,00 L’importo di € 50,00 sarà detratto dall’imposta di registro per il contratto definitivo di compravendita. L’imposta di registro è pari a: € 200,00 (imposta fissa) € 600,00 (3% di € 20.000,00) Totale € 800,00 L’importo di € 600,00 sarà detratto dall’imposta di registro per il contratto definitivo di compravendita. L’imposta di registro è pari a: € 200,00 (imposta fissa) € 25,00 (0,5% di € 5.000,00) € 300,00 (3% di € 10.000,00) Totale € 525,00 L’importo di € 325,00 sarà detratto dall’imposta di registro per il contratto definitivo di compravendita. Contratto preliminare in caso di trasferimento soggetto a Iva In caso di trasferimento soggetto a Iva, il versamento di acconti sul prezzo rappresenta l’anticipazione del corrispettivo pattuito: il cedente deve emettere apposita fattura con addebito dell’imposta. L’imposta di registro è dovuta in misura fissa pari a € 200. La caparra confirmatoria non è invece soggetta ad Iva, anche se prevista da un’apposita clausola contrattuale, in quanto non costituisce il corrispettivo di una prestazione di servizi o di una cessione di beni. Sulla caparra confirmatoria resta dovuta l’imposta di registro proporzionale dello 0,5%. Trascrizione del contratto preliminare Con la trascrizione del contratto preliminare nei registri immobiliari, eventuali vendite dello stesso immobile o la costituzione di altri diritti a favore di terze persone non possono pregiudicare i diritti del compratore. La trascrizione avviene tramite intervento del notaio e sono previste le seguenti imposte: - imposta di registro e imposta di bollo di € 155,00; - imposta ipotecaria di € 200,00; - tasse ipotecarie di € 35,00. L’obbligo di registrazione in capo all’agenzia immobiliare Immobili & proprietà 2015 I mediatori immobiliari hanno l’obbligo di richiedere la registrazione delle scritture private non autenticate di natura negoziale stipulate a seguito della loro attività di conclusione degli affari. L’obbligo di procedere alla registrazione è previsto sia nel caso di stipulazione di un vero e proprio accordo negoziale contenuto in una scrittura privata, sia nel caso di accordo concluso sulla base di una proposta accettata. Il contratto di compravendita Al momento della stipula del contratto definitivo di compravendita avviene il trasferimento del diritto di proprietà sull’immobile. In via generale l’atto di compravendita dell’immobile rileva ai fini delle imposte indirette in capo all’acquirente (registro o Iva e altre imposte indirette) nonché ai fini delle imposte dirette in capo al venditore. Le imposte dovute in sede di acquisto variano, in termini di tipologia e di ammontare, in base alle caratteristiche soggettive del cedente (privato o impresa) e in base alle condizioni oggettive dell’immobile (immobile abitativo o strumentale). Sono poi previste agevolazioni in caso di acquisto di immobile con le caratteristiche “prima casa”. Imposte indirette Le imposte indirette: quadro generale La disciplina normativa è complessa, giacché il genere di imposta e la misura del prelievo fiscale variano a seconda dei soggetti contraenti e dell’oggetto della compravendita. Le compravendite immobiliari sono rilevanti ai fini dell’imposta di registro e delle imposte ipotecarie e catastali, nonché, in determinate condizioni, ai fini dell’IVA. Secondo la regola generale, l’Iva e l’imposta di registro (proporzionale) sono alternative, nel senso che l’applicazione di un’imposta preclude l’applicazione dell’altra (cosiddetta “alternatività iva/registro”). Nell’ambito dei trasferimenti immobiliari, l’applicazione dell’una o dell’altra imposta è principalmente, ma non esclusivamente, connessa con la qualificazione soggettiva della parte venditrice. L’imposta di registro proporzionale si applica in tutte le ipotesi in cui il venditore sia un soggetto privato non imprenditore nonché in alcuni partico61 Gli Speciali Immobili & proprietà lari casi di vendita da parte di imprese, in considerazione del genere di bene compravenduto e di altre specifiche circostanze (ad esempio temporali). L’Iva si applica, invece, tendenzialmente e sempreché ricorrano talune circostanze, alle vendite effettuate da imprese, chiunque sia l’acquirente. Nell’ambito di ogni tipo di imposta, vi è poi una diversificazione di aliquote in considerazione della natura del bene e del soggetto (questa volta) acquirente e di eventuali particolari agevolazioni che lo stesso può richiedere. Imposte indirette: registro L’imposta di registro si applica agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e agli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi. Procedura di registrazione La registrazione deve essere eseguita presso il competente Ufficio dell’Agenzia delle Entrate nella cui circoscrizione risiede il notaio che ha rogato l’atto. La richiesta comporta la presentazione dell’atto pubblico o scrittura privata autenticata in originale, di una seconda copia conforme e di una terza copia in carata libera. Per le scritture private non autenticate è richiesta la presentazione in due originali o dell’originale e di una copia. Per gli atti in lingua straniera deve essere allegata una traduzione giurata. Eseguita la registrazione l’Ufficio restituisce al richiedente un originale o una fotocopia conforme annotata, conservando l’altro originale e la richiesta di registrazione per dieci anni, decorsi i quali l’atto viene trasmesso all’archivio notarile. Dal 2004 è prevista l’obbligo per i notai di utilizzare il modello unico informatico (MUI) per gli adempimenti di registrazione, trascrizione e voltura degli atti di compravendita di immobili. L’utilizzo di tale procedura permette tra l’altro di rendere disponibili all’amministrazione finanziaria e alle amministrazioni locali i dati degli immobili e le informazioni utili ai fini delle imposte locali. Ai fini IMU, ad esempio, il contribuente è esonerato dalla presentazione della dichiarazione quando gli elementi rilevanti ai fini dell’imposta dipendono da atti per i quali sono applicabili le procedure telematiche attraverso il modello unico informatico. Immobili & proprietà 2015 Soggetti obbligati solidalmente I soggetti obbligati al pagamento dell’imposta di registro sono: - i pubblici ufficiali che hanno redatto, ricevuto o autenticato l’atto; - il soggetto che ha richiesto la registrazione; - il soggetto nel cui interesse è richiesta la registrazione; - le parti contraenti che hanno sottoscritto le denunce di registrazione o hanno richiesto provvedimenti di urgenza; - le parti interessate al verificarsi della condizione sospensiva. Tutte le parti contraenti sono responsabili solidalmente, unitamente al pubblico ufficiale, dunque il notaio rogante, per il pagamento dell’imposta. Il criterio della solidarietà passiva ha delle eccezioni nelle ipotesi di fattispecie imputabile ad una sola delle parti, come ad esempio nella decadenza dalle agevolazioni, oppure nel caso di contratti stipulati con lo Stato, in cui l’imposta è a esclusivo carico dell’altra parte, nei casi di espropriazione per pubblica utilità, di trasferimento coattivo di beni, in cui l’imposta è pagata dall’espropriante o dall’acquirente senza diritto di rivalsa. Base imponibile L’imposta di registro si applica nella misura indicata nella tariffa allegata al T.U. n. 131/1986. In relazione ai trasferimenti di immobili, l’imposta di registro può essere dovuta in misura fissa o proporzionale. In generale, la base imponibile per l’applicazione dell’imposta proporzionale di registro è data dal valore dell’immobile dichiarato nell’atto (prezzo). Anche quando la compravendita è soggetta a Iva, la base imponibile è costituita dal prezzo della cessione. Tuttavia, in caso di compravendita di immobili a uso abitativo e delle relative pertinenze, effettuate nei confronti di persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, l’acquirente può scegliere - richiedendolo al notaio rogante - di calcolare l’imposta di registro sul valore catastale del fabbricato, anziché sul corrispettivo pagato. Tale criterio è applicabile anche all’acquisto di pertinenze (effettuato da persone fisiche), senza limitazione di numero, a condizione che il bene principale sia un immobile a uso abitativo e che nell’atto di cessione venga data evidenza del vincolo pertinenziale. 62 Gli Speciali Immobili & proprietà Acquisto immobili abitativi da privati: base imponibile Immobile Acquirente Base imponibile Acquisto prima casa e le relative pertinenze Persone fisiche Acquisto altri immobili abitativi e pertinenze Persone fisiche Immobili diversi dagli abitativi Tutti gli immobili Tutti i soggetti Valore catastale: rendita catastale x 1,05 x 110 (rendita catastale rivalutata del 5% con applicazione del moltiplicatore 110) Valore catastale: rendita catastale x 1,05 x 120 (rendita catastale rivalutata del 5% con applicazione del moltiplicatore 120) Prezzo di cessione Soggetti Iva Prezzo di cessione Se l’ufficio ritiene che il valore venale dei beni trasferiti sia superiore a quello indicato nell’atto, provvede alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta dovuta (nonché delle sanzioni e degli interessi) e notifica al contribuente, entro due anni dal pagamento dell’imposta proporzionale, un apposito avviso. All’ufficio è preclusa la facoltà di accertamento, fatta salva la prova dell’occultamento del corrispettivo, qualora si applichi la disciplina del c.d “prezzo valore”. Il “prezzo valore”: determinazione agevolata della base imponibile A partire dal 1° gennaio 2006, in presenza di determinati requisiti e di specifiche condizioni, la base imponibile per l’applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale per i trasferimenti di immobili abitativi, è costituita dal valore catastale, a prescindere dal corrispettivo pattuito e indicato nell’atto (sistema del prezzo-valore). Scopo della disciplina è far in modo che nella contrattazione immobiliare prevalga una logica di trasparenza e così realizzare un prelievo fiscale equo. In concreto, nel contratto definitivo di vendita il prelievo di imposta viene calcolato sul solo valore dell’immobile determinato con i meccanismi della rivalutazione della rendita catastale, indipendentemente dal corrispettivo indicato e pagato (c.d. “valutazione automatica”). Il sistema del prezzo-valore si applica ai contratti di compravendita soggetti ad imposta di registro in cui l’acquirente sia persona fisica che non agisca nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali. Sono quindi soggette al prezzoImmobili & proprietà 2015 valore anche le cessioni effettuate da società, imprese o enti, purché nei confronti di “persone fisiche” e purché soggette a imposta di registro (non IVA). In sintesi, sono soggette al sistema del prezzovalore tutte le cessioni: - soggette ad imposta di registro e non a Iva; - a favore di un acquirente “privato”; - aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze. Perché possa utilizzarsi il sistema in commento occorre una precisa richiesta che la parte acquirente deve rendere al notaio nel corpo dell’atto di acquisto. Il meccanismo del prezzo-valore si applica a condizione che nell’atto sia indicato l’intero prezzo pattuito. Se viene occultato, anche in parte, il corrispettivo pattuito, le imposte sono dovute sull’intero importo di quest’ultimo e si applica la sanzione amministrativa dal cinquanta al cento per cento della differenza tra l’imposta dovuta e quella già applicata in base al corrispettivo dichiarato, detratto l’importo della sanzione eventualmente irrogata. Imposta di registro: aliquote Le attuali aliquote delle imposte di registro sono in vigore dal 1° gennaio 2014 e sono articolate come: - 2% per i trasferimenti con agevolazione “prima casa”; - 9% per gli altri trasferimenti immobiliari; - 12% per i trasferimenti aventi ad oggetto terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale. L’imposta, comunque, non può essere inferiore a € 1.000. Nei casi in cui l’imposta di registro è dovuta in misura fissa (ad esempio in caso di vendita soggetta a Iva), si applica nella misura di € 200,00. Aliquote imposta di registro Articolo 1 Parte 1 Tariffa Allegata al T.U. 26 aprile 1986, n. 131 Dal 1° gennaio 2014 Atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi Se il trasferimento ha per oggetto case di abitazione, ad eccezione di quel- 9% (con un minimo di € 1.000,00) 2% (con un minimo 63 Gli Speciali Immobili & proprietà le di categoria catastale A1, A8 e A9, ove ricorrano le condizioni di cui alla nota II-bis) Se il trasferimento ha per oggetto terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale di € 1.000,00) 12 % (con un minimo di € 1.000,00) Atti soggetti a imposta di registro e altre imposte e tasse Gli atti assoggettati all’imposta di registro e tutti gli atti e le formalità direttamente conseguenti posti in essere per effettuare gli adempimenti presso il catasto ed i registri immobiliari sono: - esenti dall’imposta di bollo, dai tributi speciali catastali e dalle tasse ipotecarie; - soggetti ad imposta ipotecaria nella misura fissa di € 50,00; - soggetti ad imposta catastale nella misura fissa di € 50,00. Imposte ipotecarie e catastali Si tratta di imposte che colpiscono la trascrizione, l’iscrizione, la rinnovazione, la cancellazione e l’annotazione nei pubblici Registri immobiliari e presso gli Uffici del Catasto. L’imposta catastale comporta la registrazione al Catasto dei trasferimenti immobiliari eseguiti per operazioni uguali a quelle previste per l’imposta ipotecaria e si paga all’Ufficio del Catasto. L’importo dovuto per imposte ipotecarie e catastali è pari a: - € 50,00 per ciascuna imposta, in caso di trasferimento di immobile abitativo, se il cedente è un privato o un’impresa che vende in esenzione da Iva; - € 50,00 per ciascuna imposta, in caso di trasferimento di immobile strumentale, se il cedente è un privato; - € 200,00 per ciascuna imposta, in caso di trasferimento di immobile abitativo, se il cedente è un’impresa che vende con applicazione dell’Iva; - rispettivamente il 3% e l’1% del valore di vendita, in caso di trasferimento di immobile strumentale, se il cedente è un soggetto IVA, indipendentemente dall’imponibilità o dall’esenzione ai fini IVA. Si tratta di imposte poste a carico di chi acquista un immobile o altri diritti reali di godimento su beni immobili (cioè di usufrutto, di servitù, di superficie, di uso e di abitazione), che interessano anche le successioni, le donazioni e le ipoteche. Immobili & proprietà 2015 Imposte indirette: IVA A seguito delle numerose modifiche normative che hanno interessato nel tempo il settore immobiliare, l’ambito di applicazione del regime fiscale dell’Iva è piuttosto complesso. Le cessioni di immobili effettuate da soggetti Iva rientrano sempre nel campo di applicazione dell’Iva e possono essere imponibili o esenti, a seconda delle condizioni oggettive dell’immobile e/o delle condizioni soggettive del soggetto venditore. Iva e cessione di immobili abitativi Il trattamento Iva applicabile alle cessioni di immobili abitativi dipende dal soggetto venditore. È imponibile Iva la cessione effettuata: a) dall’impresa che, anche tramite imprese appaltatrici, ha costruito l’immobile o vi ha eseguito interventi di recupero e ristrutturazione, se: - la cessione riguarda immobili non ultimati; - la cessione è effettuata entro cinque anni dall’ultimazione dei lavori; - la cessione è effettuata oltre i cinque anni dall’ultimazione dei lavori e l’impresa manifesta espressamente l’opzione per l’applicazione dell’Iva (in mancanza di opzione, la cessione è esente da Iva); b) da altre imprese, se oggetto della vendita sono immobili destinati ad alloggi sociali ex D.M. 22 aprile 2008, con espressa opzione per l’applicazione dell’Iva (in mancanza di opzione, la cessione è esente da Iva). Sono invece esenti da Iva le cessioni effettuate: a) dall’impresa che, anche tramite imprese appaltatrici, ha costruito l’immobile o vi ha eseguito interventi di recupero e ristrutturazione, se la cessione è effettuata oltre i cinque anni dall’ultimazione dei lavori e l’impresa non manifesta espressamente l’opzione per l’applicazione dell’Iva; b) da altre imprese: - se oggetto della vendita sono immobili destinati ad alloggi sociali ex D.M. 22 aprile 2008, senza espressa opzione per l’applicazione dell’Iva; - negli altri casi. Iva e cessione di immobili diversi dagli abitativi È imponibile Iva la cessione di immobile strumentale effettuata: a) dall’impresa che, anche tramite imprese appaltatrici, ha costruito l’immobile o vi ha eseguito interventi di recupero e ristruttura ristrutturazione, se: 64 Gli Speciali Immobili & proprietà - la cessione riguarda immobili non ultimati; - la cessione è effettuata entro cinque anni dall’ultimazione dei lavori; - la cessione è effettuata oltre i cinque anni dall’ultimazione dei lavori e l’impresa manifesta espressamente l’opzione per l’applicazione dell’Iva (in mancanza di opzione, la cessione è esente da Iva); b) da altre imprese, se il cedente manifesta espressamente l’opzione per l’applicazione dell’Iva (in mancanza di opzione, la cessione è esente da Iva). Sono esenti da Iva le cessioni di immobili strumentali effettuate: a) dall’impresa che, anche tramite imprese appaltatrici, ha costruito l’immobile o vi ha eseguito interventi di recupero e ristrutturazione, se la cessione è effettuata oltre i cinque anni dall’ultimazione dei lavori e l’impresa non manifesta espressamente l’opzione per l’applicazione dell’Iva b) da altre imprese, in assenza di opzione per l’Iva. Aliquote Iva In caso di compravendita soggetta a Iva, si applicano le seguenti aliquote: - 4% in caso di acquisto di immobile abitativo non di lusso, con le condizioni per le agevolazioni “prima casa”; - 10% in caso di acquisto di altri immobili abitativi non di lusso; - 10% in caso di acquisto di immobili abitativi “di lusso”, sui quali l’impresa venditrice abbia effettuato interventi di recupero (purché ultimati e diversi dalla manutenzione ordinaria); - 22% in caso di acquisto di immobili abitativi “di lusso”; - 22% in caso di acquisto di immobili strumentali; - 10% in caso di acquisto di immobili strumentali sui quali l’impresa venditrice abbia effettuato interventi di recupero (purché ultimati e diversi dalla manutenzione ordinaria). Tabella di sintesi: tassazione trasferimento immobili destinati ad abitazione e relative pertinenze Immobile Cedente Prima casa Privato o impresa che vende in esenzione Iva Impresa che vende con applicazione Iva Immobili & proprietà 2015 Imposte indirette Registro 2% Ipotecaria € 50 Catastale € 50 Iva 4% Registro € 200 Ipotecaria € 200 Catastale € 200 Altra abitazione non di lusso Altra abitazione di lusso (A/1, A/8, A/9) Privato o impresa che vende in esenzione Iva Impresa che vende con applicazione Iva Privato o impresa che vende in esenzione Iva Impresa che vende con applicazione Iva Impresa che vende con applicazione Iva e che ha eseguito interventi di recupero Registro 9% Ipotecaria € 50 Catastale € 50 Iva 10% Registro € 200 Ipotecaria € 200 Catastale € 200 Registro 9% Ipotecaria € 50 Catastale € 50 Iva 22% Registro € 200 Ipotecaria € 200 Catastale € 200 Iva 10% Registro € 200 Ipotecaria € 200 Catastale € 200 Tabella di sintesi: tassazione trasferimento immobili strumentali Cedente Caratteristiche immobile Imposte indirette Privato Tutti gli strumentali immobili Impresa che vende in esenzione Iva Impresa che vende con applicazione Iva Tutti gli strumentali immobili Registro 9% Ipotecaria € 50 Catastale € 50 Registro € 200 Ipotecaria 3% Catastale 1% Iva 10% Registro € 200 Ipotecaria 3% Catastale 1% - fabbricati “Tupini” - fabbricati sottoposti a interventi di recupero - fabbricati per ospitare collettività (scuole, caserme, ospedali …) Altri immobili strumentali Iva 22% Registro € 200 Ipotecaria 3% Catastale 1% Le agevolazioni per l’acquisto della prima casa L’acquisto della prima casa gode di particolari agevolazioni, sia nell’ipotesi in cui trovi applicazione l’imposta di registro sia in quella in cui si applichi l’Iva: le aliquote sono ridotte e le imposte ipotecarie e catastali sono dovute in misura fissa. Le agevolazioni sono previste per quegli atti che comportano l’acquisto della proprietà, nuda proprietà, diritto d’abitazione, uso o usufrutto. Requisiti: abitazioni non di lusso I requisiti richiesti per usufruire delle agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa sono quattro. Il primo requisito, a carattere oggettivo, consiste nell’essere la casa da acquistare una “abitazione 65 Gli Speciali Immobili & proprietà non di lusso”. La definizione di abitazione non di lusso è legata (ai fini dell’imposta di registro dal 1° gennaio 2014 e ai fini Iva dal 13 dicembre 2014), alla categoria catastale in cui è classificato o classificabile l’immobile e non più alle caratteristiche individuate dal DM 2 agosto 1969. Sono considerate “di lusso” le abitazioni accatastate come segue: - abitazioni di tipo signorile (cat. A/1), - abitazioni in ville (cat. A/8), - castelli e palazzi di eminenti pregi artistici e storici (cat. A/9). Pertanto, possono beneficiare del regime di favore “prima casa” le abitazioni classificate nelle categorie catastali diverse da quelle di cui sopra e dunque: - le abitazioni di tipo civile (cat. A/2); - le abitazioni di tipo economico (cat. A/3); - le abitazioni di tipo popolare (cat. A/4); - le abitazioni di tipo ultrapopolare (cat. A/5); - le abitazioni di tipo rurale (cat. A/6); - le abitazioni in villini (cat. A/7); - le abitazioni ed alloggi tipici dei luoghi (cat. A/11). Le agevolazioni si applicano anche nel caso di trasferimento di immobile in corso di costruzione, in presenza dei requisiti previsti dalla Nota II-bis all’articolo 1 della Tariffa, Parte I, allegata al TUR, sempreché l’immobile sia classificabile nelle categorie catastali di cui sopra. Inoltre, le agevolazioni “prima casa”, sussistendone le condizioni, si applicano anche in caso di acquisto contemporaneo di immobili contigui e di acquisto di un immobile contiguo ad altra casa di abitazione già acquistata dallo stesso soggetto fruendo dei benefici “prima casa”, purché l’acquisto sia finalizzato a costituire un’unica unità abitativa, accatastata nelle categorie “non di lusso”. Requisiti: la residenza dell’acquirente Il secondo requisito consiste nell’avere la residenza anagrafica nel Comune dove l’immobile è sito ovvero ivi stabilirla entro 18 mesi dall’acquisto oppure svolgere la propria attività (lavorativa o di studio) in tale Comune. La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel Comune ove è situato l’immobile acquistato deve essere resa, a pena di decadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto. Ai fini della corretta valutazione del requisito della residenza, il cambio di residenza si considera avvenuto nella data in cui l’interessato rende al Comune la dichiarazione di trasferimento. Immobili & proprietà 2015 L’obbligo di stabilire la residenza entro 18 mesi può essere derogato esclusivamente nell’ipotesi in cui il trasferimento è impedito da cause di forza maggiore sopravvenute in un momento successivo rispetto a quello di stipula dell’atto. L’ipotesi della forza maggiore ricorre quando sopravviene un impedimento oggettivo non prevedibile e tale da non potere essere evitato ovvero caratterizzato dalla non imputabilità alla parte obbligata, inevitabilità e imprevedibilità. Non costituisce causa di forza maggiore l’imprevista protrazione dei tempi di realizzazione dei lavori di ristrutturazione dell’immobile “agevolato”. Se l’acquirente si è trasferito all’estero per lavoro, l’immobile deve essere situato nel Comune ove ha sede o esercita l’attività l’azienda da cui dipende; per i cittadini residenti all’estero e iscritti all’AIRE deve trattarsi di prima casa posseduta sul territorio italiano, ubicata in qualsiasi Comune del territorio italiano. Per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia la condizione della residenza suddetta non è richiesta (ad esempio, un funzionario di polizia può acquistare un’abitazione con i benefici della prima casa e mantenere la residenza in un Comune diverso da quello ove l’immobile acquistato si trova). È importante sottolineare che anche uno straniero può usufruire del regime fiscale agevolato per l’acquisto della prima casa, purché la compravendita avvenga al ricorrere dei requisiti qui elencati per godere di tale agevolazione (segnatamente, l’acquisizione della residenza presso il Comune italiano ove è ubicato l’immobile acquistato). Si consideri poi che le agevolazioni prima casa non dipendono dal fatto che l’immobile acquistato sia destinato ad abitazione propria o familiare, di modo che può essere acquistata con tali agevolazioni anche un’abitazione che verrà locata dopo l’acquisto; ciò in quanto quello che la legge richiede è solo la residenza nel Comune e non presso l’abitazione acquistata. Altri requisiti Il terzo requisito in capo all’acquirente è di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di un’altra casa di abitazione nel territorio del Comune dove si trova l’immobile acquistato. Infine, il quarto requisito è di non essere titolare, neppure per quote (in tal caso rileva la contitolarità 66 Gli Speciali Immobili & proprietà di un immobile acquistato con il beneficio prima casa) o in comunione legale con il coniuge, su tutto il territorio nazionale, di diritti di proprietà o nuda proprietà, usufrutto, uso e abitazione su altra casa di abitazione acquistata, anche dal coniuge, usufruendo delle agevolazioni fiscali prima casa. Pertinenze Il regime fiscale agevolato “prima casa” si estende, oltre all’acquisto abitazione, anche a quello di specifiche pertinenze, nel numero di una per ciascun tipo: l’attuale normativa infatti consente che, unitamente alla casa, possano essere acquistati, con atto unico o con più atti separati, una sola pertinenza per categoria C/2, C/6 e C/7 (cantina-magazzino = C/2, un’autorimessa = C/6 ed una tettoia = C/7), con applicazione delle condizioni agevolate. La disciplina in esame si applica inoltre qualora la casa oggetto del contratto sia ancora in costruzione ovvero nel caso in cui si acquisti un fabbricato rurale adibito ad abitazione; l’ambito di applicazione della norma non si estende tuttavia alle abitazioni di fatto non catastalmente censite come tali (ad esempio: appartamenti censiti come uffici ma di fatto adibiti ad abitazione). Dichiarazioni del compratore Nell’atto di acquisto il compratore deve dichiarare: - di non essere titolare, esclusivo o in comunione col coniuge, di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune dove si trova l’immobile oggetto dell’acquisto agevolato; - di non essere titolare, neppure per quote o in comunione legale, su tutto il territorio nazionale, di diritti di proprietà, uso, usufrutto, abitazione o nuda proprietà, su altra casa di abitazione, acquistata, anche dal coniuge, usufruendo delle agevolazioni per l’acquisto della prima casa; - di impegnarsi a stabilire la residenza entro 18 mesi nel Comune dove è situato l’immobile oggetto dell’acquisto, qualora già non vi risieda. Se, per errore, nell’atto di compravendita queste dichiarazioni sono state omesse, è possibile rimediare mediante uno specifico atto integrativo, redatto secondo le stesse forme giuridiche del precedente, in cui l’acquirente dichiara la sussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi per usufruire delle agevolazioni fiscali. Decadenza dal beneficio e credito d’imposta Immobili & proprietà 2015 L’acquirente decade dai benefici “prima casa” quando: - le dichiarazioni previste dalla legge nell’atto di acquisto sono false; - non trasferisce la residenza nel Comune ove è situato l’immobile entro 18 mesi dall’acquisto; - vende o dona l’abitazione prima che sia decorso il termine di 5 anni dalla data di acquisto, a meno che entro un anno non proceda al riacquisto di un altro immobile da adibire a propria abitazione principale. La decadenza dal beneficio comporta il pagamento di una somma pari alla differenza tra imposta pagata e imposta che si sarebbe dovuto pagare senza agevolazione “prima casa”, maggiorata di una sanzione pari al 30%, oltre agli interessi. Non si perde l’agevolazione “prima casa” qualora, in caso di cessione o donazione dell’immobile prima che siano decorsi cinque anni dalla data dell’atto, si proceda entro un anno dalla data di vendita a riacquistare un’immobile da adibire a propria abitazione. In questa ipotesi, inoltre, non soltanto si evita il pagamento dell’ulteriore imposta con la relativa sanzione, ma è possibile anche detrarre dalla somma dovuta a titolo di imposta di registro per il nuovo acquisto l’importo dell’imposta (di registro o sul valore aggiunto) già pagata in occasione del primo acquisto: è questo, in termini tecnici, il cosiddetto “credito d’imposta”. Il credito d’imposta spetta ai contribuenti che non sono decaduti dal beneficio prima casa, ed è pari all’ammontare dell’imposta di registro, o dell’IVA, corrisposta in relazione al primo acquisto agevolato. In ogni caso non può essere superiore all’imposta di registro o all’Iva dovuta in relazione al secondo acquisto. Il credito d’imposta spetta anche a coloro che hanno acquistato l’abitazione con atto soggetto ad Iva anteriormente al 22 maggio 1993 (e che quindi non hanno formalmente usufruito delle agevolazioni c.d. prima casa) - ma non prima dell’entrata in vigore della Legge n. 168/1982 - se l’acquirente era in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa vigente in materia di acquisto della c.d. “prima casa”. Il credito d’imposta può essere utilizzato: - in diminuzione dell’imposta di registro dovuta in relazione al nuovo acquisto; - in diminuzione delle imposte di registro, ipotecaria, catastale, dovute sugli atti e denunce presentati dopo la data di acquisizione del credito; - in diminuzione dell’Irpef dovuta in base alla dichiarazione da presentare successivamente al nuovo 67 Gli Speciali Immobili & proprietà acquisto; - in compensazione con altri tributi e contributi dovuti in sede di versamenti unitari con il modello F24 (usando il codice tributo 6602). Per poter usufruire di tale credito di imposta, l’atto di acquisto del nuovo immobile deve contenere: - le dichiarazioni previste per l’applicazione dei benefici “prima casa”; - l’espressa richiesta del credito d’imposta; - l’indicazione degli estremi dell’atto di acquisto dell’immobile su cui era stata corrisposta l’imposta di registro o l’Iva in misura agevolate, nonché l’ammontare della stessa; - nel caso in cui per l’acquisto del primo immobile sia stata corrisposta l’Iva ridotta in assenza della specifica agevolazione “prima casa”, la dichiarazione di sussistenza dei requisiti che avrebbero dato diritto a tale agevolazione alla data dell’acquisto stesso; - nell’ipotesi in cui sia stata corrisposta l’Iva sull’immobile, la produzione delle relative fatture; - l’indicazione degli estremi dell’atto di alienazione dell’immobile. Tabella di sintesi: requisiti per le agevolazioni fiscali per l’acquisto prima casa Abitazioni non di lusso Residenza Non avere altri immobili nello stesso Comune Non aver già fruito dell’agevolazione Si considerano non di lusso le abitazioni diverse da quelle accatastate come A/1, A/8 e A/9 L’immobile deve essere ubicato nel Comune in cui l’acquirente ha la propria residenza anagrafica o in cui intende stabilirla entro 18 mesi dall’acquisto oppure nel Comune in cui svolge la propria attività lavorativa o di studio L’acquirente non deve essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di un’altra casa di abitazione nel territorio del Comune dove si trova l’immobile acquistato L’acquirente non deve aver già usufruito delle agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa (salvo il caso della vendita con riacquisto entro un anno) Beneficio “prima casa” e comunione legale Ai fini fiscali, per ottenere l’agevolazione c.d. “prima casa” sull’intero immobile trasferito viene espressamente previsto che entrambi i coniugi devono rendere le dichiarazioni previste alla lettera b) (assenza di altri diritti reali vantati su immobili ubicati nello stesso comune) e c) (novità nel godimento dell’agevolazione) della nota II-bis del Testo Immobili & proprietà 2015 Unico dell’imposta di registro (Circolare n. 38/E/2005 Agenzia delle Entrate). Di converso, se la dichiarazione di spettanza dei requisiti viene rilasciata da uno solo dei due coniugi, l’agevolazione spetta nella misura del 50%. Se entrambi i coniugi, in regime di comunione legale, possiedono i requisiti per fruire dell’agevolazione “prima casa”, l’agevolazione spetta sull’intero valore dell’immobile (ossia su entrambe le “quote” riferite ai due coniugi). Se invece i requisiti per l’applicazione dell’agevolazione sono posseduti da uno solo dei coniugi, ad esempio perché l’altro coniuge già possiede un’abitazione acquisita fruendo dei benefici prima casa, l’agevolazione compete solo per il 50% del valore dell’abitazione acquistata. Per ogni acquirente ed in relazione alla sua quota, si deve accertare la presenza o meno dei presupposti dell’agevolazione. Imposte dirette Le plusvalenze da cessioni immobiliari poste in essere dalle persone fisiche costituiscono “redditi diversi” e, a seconda dei casi, possono concorrere a formare il reddito complessivo, oppure essere assoggettate a tassazione sostitutiva o, infine, non subire tassazione alcuna. Le plusvalenze realizzate nell’esercizio di impresa commerciale e di arti e professioni sono invece soggette alle norme che regolano tali tipologie reddituali. In questa sede se ne tralascia la trattazione. Il venditore “privato” e gli aspetti fiscali Le plusvalenze da cessioni immobiliari in capo alle persone fisiche costituiscono “redditi diversi”. Vige il criterio di cassa, ovvero ai fini fiscali è rilevante l’effettivo incasso del corrispettivo e non è sufficiente la stipulazione dell’atto notarile. Cessione di immobili acquistati da più di 5 anni e altri casi esclusi da tassazione La cessione a titolo oneroso di un immobile acquisito da più di 5 anni non comporta alcuna tassazione diretta in capo alla persona fisica. Se l’immobile è stato acquisito a seguito di donazione, il periodo di 5 anni decorre dalla data dell’atto di acquisto del bene stipulato dal donante. Sono in ogni caso escluse da tassazione le plusvalenze da cessione di: - immobili acquisiti per successione; 68 Gli Speciali Immobili & proprietà - fabbricati adibiti per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto e la cessione ad abitazione principale del cedente oppure dei suoi familiari. Cessioni di immobili acquistati da meno di 5 anni: tassazione ordinaria Le plusvalenze realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di 5 anni sono “redditi diversi” da assoggettare a tassazione ordinaria. La plusvalenza è ottenuta dalla differenza tra il corrispettivo complessivo della cessione e il valore di acquisto del bene oppure il suo costo di costruzione. Mentre il corrispettivo è semplicemente fissato nell’atto di vendita, diverso può essere il valore di acquisto fiscalmente rilevante. Il valore di acquisto fiscalmente rilevante è determinato secondo le regole sintetizzate nella tabella che segue. Titolo di acquisto Valore fiscalmente rilevante Acquisto a titolo oneroso Acquisto per donazione Prezzo di acquisto, altri costi inerenti, manutenzioni straordinarie Prezzo di acquisto del donante, altri costi inerenti, manutenzioni straordinarie Spese di costruzione (compreso la demolizione di fabbricati) e altri costi inerenti Costruzione Il contribuente deve approntare un prospetto in cui elenca tutte le spese e conservare la relativa documentazione al fine di soddisfare le eventuali richieste di chiarimenti o documenti dall’amministrazione finanziaria. I costi inerenti sono tutti quelli che hanno attinenza con l’acquisto dell’immobile, ad esempio: - il costo dell’atto notarile di acquisto (o di donazione), - le imposte di registro, ipotecarie e catastali, - l’imposta sul valore aggiunto, - le spese per prestazioni professionali; - le spese per perizie di rivalutazione; - le spese per la costruzione/ristrutturazione edilizia; - i compensi per l’intermediazione di vendita. Cessioni di terreni edificabili Sono sempre soggette ad imposizione le plusvalenze derivanti dalla cessione di aree edificabili, a prescindere dal titolo di acquisto e dalla sua data. In particolare, si applica la tassazione separata, salvo opzione per la tassazione Irpef ordinaria, da Immobili & proprietà 2015 esercitare nella dichiarazione dei redditi. La tassazione separata comporta l’assoggettamento della plusvalenza ad Irpef con l’aliquota corrispondente alla media del reddito complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore all’anno in cui è avvenuta la cessione. In alternativa, è possibile optare per la tassazione Irpef ordinaria. Non è invece applicabile l’imposta sostitutiva del 20%. Imposta sostitutiva In alternativa alla tassazione ordinaria, a patto che siano rispettati alcuni requisiti, il cedente può chiedere al notaio rogante in sede di atto l’applicazione di un’imposta sostitutiva pari al 20% sulla plusvalenza (introdotta con Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 496). Le condizioni necessarie per poter applicare l’imposta sostitutiva sono che: - la cessione avvenga tra soggetti privati che non svolgono attività commerciali, artistiche o professionali; - la cessione abbia come oggetto un immobile a uso abitativo e le relative pertinenze; - il cedente ne faccia espressa richiesta. Il venditore pertanto (solo ove sia una persona fisica che non agisce nell’esercizio di impresa, arte o professione) può scegliere di pagare sulla plusvalenza realizzata un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito del 20% esprimendo al notaio rogante tale volontà in sede di atto di compravendita e versando direttamente nelle mani del notaio stesso l’importo corrispondente a tale imposta: sarà quindi il notaio a curare tutti gli adempimenti relativi (pagamento/comunicazione all’Agenzia delle Entrate). La clausola contrattuale Dichiarazione del venditore sulla plusvalenza Ai sensi dell’art. 1, comma 496, della L. 23 dicembre 2005, n. 266, parte venditrice richiede al Notaio che sulla plusvalenza generata dalla vendita del bene in oggetto, pari a complessivi € …… in deroga alla disciplina di cui all’art. 67, comma 1, lettera b) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, si applichi l’imposta sostitutiva del 20% (venti per cento), autoliquidata in complessivi € …… Detta somma viene consegnata al Notaio per provvedere al relativo versamento e darne comunicazione all’Agenzia delle Entrate. Norme antielusive e dichiarazioni da inserire nel contratto Con D.L. n. 223/2006 (convertito nella L. 4 agosto 2006, n. 248), nell’intento di operare un “contrasto 69 Gli Speciali Immobili & proprietà all’evasione fiscale”, è stato previsto l’obbligo per le parti di rendere nell’atto di cessione dell’immobile apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà recante l’indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo. Con le medesime modalità ciascuna delle parti ha l’obbligo di dichiarare se si è avvalsa di un mediatore e, in caso affermativo, ha l’obbligo di dichiarare l’ammontare della spesa sostenuta per la mediazione, le analitiche modalità di pagamento della stessa con l’indicazione del numero di partita Iva o del codice fiscale dell’agente immobiliare. In caso di omessa, incompleta o mendace dichiarazione di tali dati si applica la sanzione amministrativa da € 500 a € 10.000 e, ai fini dell’imposta di registro, i beni trasferiti sono assoggettati ad accertamento di valore. L’obbligo introdotto ha una duplice finalità: 1) rendere tracciabile il pagamento ed evitare pratiche elusive, già largamente diffuse nei trasferimenti immobiliari e dirette ad occultare in parte il corrispettivo reale del trasferimento allo scopo di conseguire indebiti risparmi fiscali; 2) dare evidenza del pagamento di provvigioni afferenti alla mediazione immobiliare, onde evitarne l’occultamento al fisco e conseguente sottrazione alla tassazione. Responsabilità solidale per il pagamento dell’Iva La legge finanziaria per l’anno 2008 ha introdotto una nuova ipotesi di responsabilità solidale limitatamente alle cessioni immobiliari soggette a Iva (art. 60 bis, comma 3 bis, d.P.R. n. 633/1972, aggiunto dall’art. 1, comma 164, L. n. 244/2007): allo scopo di scoraggiare l’evasione, venditore e acquirente sono solidalmente responsabili per il pagamento dell’Iva. Perciò nel caso in cui l’importo del corrispettivo indicato nell’atto di compravendita e nella relativa fattura sia diverso da quello effettivo, l’acquirente, anche se è un privato senza partita Iva, risponde in solido con il venditore per il pagamento dell’imposta relativa alla differenza tra il corrispettivo effettivo e quello indicato, nonché della relativa sanzione. Per evitare tale responsabilità solidale e la conseguente sanzione, l’acquirente soggetto privato deve entro 60 giorni dalla stipulazione dell’atto di compravendita, regolarizzare la violazione versando la maggiore imposta e presentare all’ufficio territorialmente competente copia dell’attestazione di paImmobili & proprietà 2015 gamento e delle fatture oggetto della regolarizzazione. Se l’acquirente è un soggetto Iva oltre a versare la maggior imposta deve provvedere a presentare una fattura integrativa entro 30 giorni da quando ha registrato la fattura irregolare ricevuta. La nuova agevolazione per l’acquisto o la costruzione di abitazioni destinate alla locazione È prevista, a favore delle persone fisiche che non esercitano attività commerciali, una nuova deduzione dal reddito complessivo Irpef per l’acquisto di unità immobiliari residenziali da destinare successivamente alla locazione. L’agevolazione è stata introdotta con il D.L. 12 settembre 2014, n. 133 (entrato in vigore il 12 novembre 2014). Deve trattarsi di: - immobili di nuova costruzione, invenduti alla data del 12 novembre 2014, oppure di - immobili sui quali sono stati effettuati interventi di ristrutturazione edilizia o di restauro e di risanamento conservativo (interventi indicati nell’art. 3, comma 1, lett. d e c del d.P.R. n. 380/2001). Gli acquisti agevolati sono quelli effettuati dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2017. L’agevolazione consiste in una deduzione pari al 20% del prezzo di acquisto dell’immobile risultante dall’atto di compravendita, nel limite massimo complessivo di spesa di € 300.000, e degli interessi passivi dipendenti da mutui contratti per l’acquisto delle stesse unità immobiliari. La deduzione deve essere ripartita in otto quote annuali di pari importo (a partire dall’anno in cui viene stipulato il contratto di locazione) e non è cumulabile con altre agevolazioni fiscali previste per le stesse spese. Calcolo della deduzione dal reddito Irpef Limite massimo di spesa Deduzione complessiva 20% Numero rate annuali deduzione, a partire dall’anno di stipula del contratto di locazione Importo deduzione massima annua dal reddito ai fini Irpef € 300.000,00 € 60.000,00 8 rate € 7.500,00 Fermo restando il limite massimo complessivo di € 300.000, l’agevolazione spetta anche per la costruzione di un’abitazione su un’area edificabile già posseduta. In sostanza, si possono portare in deduzione anche le spese sostenute dal contribuente persona fisica, non esercente attività commerciale, per prestazioni di servizi, dipendenti da contratti di appalto, per la 70 Gli Speciali Immobili & proprietà costruzione di un’unità immobiliare a destinazione residenziale. Condizioni per poter usufruire dell’agevolazione Condizioni In dettaglio L’unità immobiliare non deve essere “di lusso” non deve essere classificata o classificabile nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 l’unità immobiliare deve essere a destinazione residenziale e non deve trovarsi nelle zone territoriali omogenee classificate E (Decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444), vale a dire, in parti del territorio destinate ad usi agricoli l’immobile deve conseguire prestazioni energetiche certificate in classe A o B (allegato 4 delle Linee Guida nazionali per la classificazione energetica degli edifici di cui al Decreto del Ministro dello sviluppo economico 26 giugno 2009 o normativa regionale, laddove vigente). entro sei mesi dall’acquisto o dal termine dei lavori di costruzione, l’immobile deve essere concesso in locazione, per almeno otto anni continuativi, a un canone non superiore a quello indicato nella convenzione riportata nell’art. 18 del d.P.R. n. 380/2001, o a un canone non superiore al minore importo tra il canone concordato (Legge n. 431/1998) e quello stabilito dalla legge che ha istituito i canoni speciali (Legge n. 350/2003). La deduzione, comunque, non viene meno se, per motivi non attribuibili al locatore, il contratto di locazione si risolve prima del tempo previsto e ne viene stipulato un altro entro un anno dalla data di risoluzione Sono parenti di primo grado i genitori e i figli L’unità immobiliare deve essere a destinazione residenziale e non deve trovarsi in territori ad uso agricolo Immobili di classe energetica A o B Locazione entro sei mesi dall’acquisto, per almeno otto anni, a canone concordato Tra locatore e locatario non devono esserci rapporti di parentela entro il primo grado L’agevolazione fiscale è riconosciuta anche quando l’unità immobiliare acquistata sia ceduta in usufrutto, anche contestualmente all’atto di acquisto e anche prima della scadenza del periodo minimo di locazione di otto anni, a soggetti giuridici pubblici o privati operanti da almeno dieci anni nel settore dell’alloggio sociale. In tal caso, è però indispensaImmobili & proprietà 2015 bile che venga mantenuto il vincolo alla locazione con lo stesso canone sopra indicato e che il corrispettivo dell’usufrutto, calcolato su base annua, non sia superiore all’importo dei canoni di locazione (come sopra specificati). Le modalità attuative per richiedere l’agevolazione saranno stabilite con un apposito decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell’economia e delle finanze. Detrazioni fiscali su spese connesse all’acquisto dell’immobile Sono previste alcune detrazioni dall’Irpef in relazione a talune spese sostenute ai fini dell’acquisto degli immobili. Se ne riporta una breve sintesi. Detrazione della provvigione per intermediazione immobiliare I compensi, comunque denominati, pagati a soggetti di intermediazione immobiliare per l’acquisto dell’immobile da adibire ad abitazione principale sono detraibili nella misura del 19% su un importo massimo di € 1.000. Detrazione degli interessi sul mutuo per acquisto abitazione principale In caso di accensione di un mutuo ipotecario per l’acquisto dell’abitazione principale, propria o dei familiari (coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo), è prevista una detrazione dall’Irpef pari al 19% degli interessi passivi, degli oneri accessori e delle quote di rivalutazione, pagati all’istituto di credito. La detrazione spetta su un importo annuo massimo di € 4.000 e deve essere ripartita tra tutti gli intestatari del mutuo. La detrazione spetta ai soggetti che sono contestualmente intestatari del mutuo e proprietari dell’abitazione. La detrazione spetta a condizione che l’immobile sia adibito ad abitazione principale entro un anno dall’acquisto. Oltre agli interessi passivi, nel limite massimo di € 4.000 sono compresi anche gli oneri accessori alla stipula del contratto di mutuo, tra i quali: - l’intero importo delle maggiori somme pagate a causa delle variazioni del cambio per mutui stipulati in altra valuta; - la commissione che spetta agli istituti per la loro 71 Gli Speciali Immobili & proprietà attività di intermediazione; - gli oneri fiscali, compresa l’imposta per l’iscrizione o la cancellazione di ipoteca e l’imposta sostitutiva sul capitale prestato; - la cosiddetta “provvigione” per scarto rateizzato; - le spese di istruttoria e di perizia tecnica; - la penalità per anticipata estinzione del mutuo; - le spese notarili, quali l’onorario del notaio per la stipula del contratto di mutuo (con esclusione di quelle sostenute per il contratto di compravendita) e le spese sostenute dal notaio per conto del cliente (per esempio, l’iscrizione e la cancellazione dell’ipoteca). Detrazione degli interessi sul mutuo per la costruzione dell’abitazione principale Gli interessi passivi su mutui ipotecari per la costruzione dell’abitazione principale sono detraibili nella misura del 19%, su un importo massimo di € 2.582,28. La detrazione riguarda gli interessi passivi, gli oneri accessori e le quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione per mutui ipotecari contratti a partire dal 1998 per la costruzione e la ristrutturazione edilizia di unità immobiliari da adibire ad abitazione principale. Essa è ammessa a condizione che la stipula del contratto di mutuo, da parte del possessore a titolo di proprietà o di altro diritto reale dell’unità immobiliare, avvenga nei sei mesi antecedenti o nei diciotto mesi successivi all’inizio dei lavori di costruzione. Legge di stabilità 2016 e interventi in materia di fiscalità immobiliare È iniziato l’iter di approvazione della Legge di Stabilità per il 2016 e la bozza del disegno di legge contiene numerose modifiche in materia di fiscalità locale sugli immobili. È prevista anche la proroga degli attuali incentivi per le ristrutturazioni e per gli interventi finalizzati al risparmio energetico. In questa sede si fa un rapido cenno sulle principali misure all’esame, in attesa del testo definitivo, entro fine anno. Proroga delle detrazioni 50% e 65% La bozza del DDL Stabilità contiene la proroga fino al 31 dicembre 2016 degli incentivi sulle spese di ristrutturazione (detrazioni 50%) e sulle spese per il Immobili & proprietà 2015 risparmio energetico (detrazioni 65%). La proroga riguarda sia l’importo della detrazione sia la soglia delle spese di € 96mila. Inoltre, si prevede la proroga anche del bonus sull’acquisto di abitazioni interamente ristrutturate dalle imprese. Per contro, è rinviato al 31 dicembre 2016 il termine entro il quale il governo dovrà riordinare e rendere stabile la normativa sugli incentivi. IMU e TASI sulle abitazioni principali È all’esame l’ipotesi di eliminare, dal 2016, l’IMU e la TASI sugli immobili adibiti ad abitazione principale. La modifica di favore probabilmente non riguarderà gli immobili classificati nelle categorie catastali A/1 (dimore signorili), A/8 (ville) e A/9 (castelli e palazzi di pregio). IMU e terreni agricoli dei coltivatori diretti Dal 2016 potrebbe essere abolita anche l’IMU sui terreni agricoli posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali (IAP), ovunque ubicati. La materia è stata oggetto di varie modifiche negli ultimi anni, con conseguenti difficoltà applicative. In caso di esenzione da IMU, si applica la tassazione ai fini Irpef sul reddito dominicale. IMU sugli immobili invenduti La bozza del DDL Stabilità prevede l’aliquota IMU dell’1 per mille sugli immobili merce delle imprese costruttrici, non locati. I Comuni possono azzerare l’aliquota o aumentarla fino al 2,5 per mille. IMU sugli “imbullonati” La rendita dei fabbricati produttivi (categorie D ed E) comprende ad oggi anche gli elementi strutturalmente connessi, che ne accrescono la funzionalità e che si considerano parte integrante dei fabbricati stessi. Ne deriva che l’IMU colpisce il valore complessivo del bene e dunque indirettamente anche i cosiddetti impianti “imbullonati”. Ora, il DDL Stabilità prevede la modifica delle modalità di determinazione della rendita, escludendo dalla stessa i cosiddetti “imbullonati”. Questa misura renderebbe meno onerosa, dal 2016, la tassazione locale sui fabbricati produttivi. 72 Gli Speciali Immobili & proprietà Modi alternativi di acquisto. La nuda proprietà e l’usufrutto di Augusto Cirla - Avvocato in Milano È una formula di investimento di medio-lungo tempo molto efficace. Il proprietario si spoglia della nuda proprietà per assicurarsi un introito, mantenendo la possibilità di continuare a godere l’abitazione. Di contro l’altro soggetto acquista la nuda proprietà per concludere un buon investimento immobiliare, logicamente, con un esborso inferiore rispetto a quello per l’acquisto completo. È frequente nella vendita di beni immobili la separazione della nuda proprietà dall’usufrutto, inteso quest’ultimo come il diritto di usare la cosa altrui e di trarne i frutti, rispettando però la destinazione del bene (artt. 978 ss. c.c.). L’operazione può diventare un buon punto di incontro tra le esigenze di un investitore a medio-lungo termine ed il proprietario dell’immobile, che può in tal modo assicurarsi una certa somma di denaro per il resto della vita pur senza privarsi del godimento dell’immobile in cui vive. Chi compra gode naturalmente di un consistente sconto sul prezzo reale della casa e pagherà poi le imposte solo in proporzione al valore della nuda proprietà acquistata. La nuda proprietà è un caso di proprietà privata alla quale non si accompagna un diritto reale di godimento del bene al quale è relativa. Si riferisce tipicamente a un immobile del quale si acquisisce la proprietà, ma non il diritto di usufrutto. Al cessare del gravame che menoma la piena proprietà, ad esempio all’estinzione dell’usufrutto, la nuda proprietà si riunisce ipso facto ai diritti complementari, ricostituendo la pienezza potestativa. La disciplina giuridica della nuda proprietà si ricava avuta considerazione alla disciplina della proprietà, per differenza da quella emanata per la regolazione dell’usufrutto. L’usufrutto è un diritto reale minore consistente nella facoltà di godimento di un bene uti dominus (utilizzandolo per il proprio vantaggio, potendo percepirne anche i frutti), limitata solo dal non poterne trasferire la proprietà principale ed al rispetto della destinazione economica impressavi dal proprietario. La sua funzione è quella di permettere la separazione temporanea del godimento della proImmobili & proprietà 2015 prietà rispetto ad uno stesso bene, ossia di rendere possibile che un soggetto diverso dal proprietario tragga per un certo tempo dal bene altrui alcune delle utilità spettanti al proprietario. Si tratta di un diritto reale di godimento su cosa altrui dal contenuto molto vasto: le facoltà dell’usufruttuario hanno infatti un’estensione che si approssima, pur senza raggiungerla, alla facoltà di godere delle cose spettante al proprietario, al quale residua la nuda proprietà. L’usufruttuario di una unità immobiliare può abitarla o darla in locazione, ma non può mutarne la destinazione e né ovviamente cederne la proprietà. Sino a quando l’usufrutto non giunge ad estinzione il proprietario è privato della possibilità di usare la cosa, al punto che il suo diritto, in quanto fortemente compresso, prende il nome di “nuda proprietà”. All’usufruttuario spetta il diritto di godere di un bene di percepirne i relativi redditi mentre al nudo proprietario spetta solo la proprietà spogliata del potere di trarre utilità dal bene. L’usufrutto costituito in favore di una persona fisica ha per lo più lo scopo di provvedere a necessità personali dell’usufruttuario. Si pensi, ad esempio, ad una persona anziana proprietaria dell’ immobile in cui abita che decide di venderne la nuda proprietà e riservare per se e per il proprio coniuge l’usufrutto al fine di ricavare in tal modo i mezzi finanziari per poter vivere più serenamente senza rinunciare ad abitare la propria casa: l’usufrutto si estinguerà alla morte dell’usufruttuario, momento in cui il nudo proprietario acquisterà la piena proprietà. Del pari dicasi per i genitori che si decidano all’acquisto di una abitazione, intestando al proprio figlio la nuda proprietà e riservandosi l’usufrutto, 73 Gli Speciali Immobili & proprietà oppure, se già proprietari, scelgano di donare al figlio la nuda proprietà mantenendo per loro l’usufrutto. La durata L’usufrutto, per il fatto che incide in modo assai consistente, limitandolo, sul diritto di proprietà, non può essere eterno. Una caratteristica essenziale dell’usufrutto è infatti la durata. Il diritto di usufrutto è sempre temporaneo perché solo in tal modo la nuda proprietà conserva un significato e un valore. Questa temporanea dissociazione tra proprietà e godimento può giustificare il ricorso all’istituto dell’usufrutto in situazioni come quelle sopra esemplificate ed in altre ancora. Ecco la ragione per cui la legge impone limiti massimi nella durata dell’usufrutto, fissandola nella vita dell’usufruttuario se costituito in favore di una persona fisica (art. 979, comma 1, c.c.) e in non più di trent’anni se in favore di una persona giuridica (art. 979, comma 2, c.c.). Nulla vieta di costituire l’usufrutto in favore di una persona fisica per una durata fissa, sebbene anche in tal caso esso si estingua con la morte dell’usufruttuario nel caso in cui questa avvenga prima della scadenza del termine. L’usufrutto deve essere comunque costituito per un tempo determinato e qualora non venga pattuito nulla a riguardo la durata non può eccedere la vita dell’usufruttuario. Se il diritto di usufrutto spetta a più persone e una di queste muore, il diritto si concentra in capo ai superstiti. L’usufrutto si estingue per: - la scadenza del termine o per la morte dell’usufruttuario (art. 979 c.c.); - per rinuncia dell’usufruttuario; - per consolidazione, quando cioè l’usufrutto e la nuda proprietà si riuniscono in capo alla medesima persona; - per prescrizione, quale conseguenza del non uso durato per oltre venti anni; - per totale perimento della cosa su cui è costituito (art. 1104 c.c.); - per decadenza dovuti ad abusi dell’usufruttuario (art. 1105 c.c.). I poteri e i doveri dell’usufruttuario Le minuziose regole sui poteri e i doveri dell’usufruttuario e, per converso del nudo proprietario, si riportano al principio per cui all’usufruttuario spetta l’utilizzazione temporanea Immobili & proprietà 2015 della cosa e al nudo proprietario il diritto di vedersela restituita inalterata al termine dell’usufrutto, per quanto possibile nella sostanza. Essenza dell’usufrutto è il diritto a utilizzare la cosa e a fare propri i frutti naturali (coltivazione del terreno, parti degli animali, ecc.) e civili, come per esempio gli interessi sul capitale investito o il canone di affitto o di locazione: da ciò si desume che l’usufruttuario può anche dare ad altri in locazione o in affitto la cosa, ricevendone il canone. L’usufruttuario può anche cedere il suo diritto: ciò significa che egli può, mediante contratto, trasferire ad altra persona il diritto di usufrutto. Resta tuttavia la regola fondamentale che l’usufrutto si estinguerà comunque e in ogni caso al momento della morte del cedente, ovverosia dell’originario usufruttuario. La cessione può tuttavia avvenire solo quando non sia vietata dal titolo costitutivo (per esempio dal contratto con il quale è stato costituito) o dalla legge (l’usufrutto legale dei genitori non è cedibile). In caso di cessione è necessario che l’usufruttuario dia comunicazione (notificazione) al proprietario della cessione. All’usufruttuario spetta il possesso sull’unità immobiliare al fine di esercitare su di essa il proprio diritto (art. 982 c.c.) e pertanto può farne uso diretto oppure concederla in locazione, percependone il corrispettivo. Non gli è invece consentito di trasformare il bene modificandone la destinazione economica che essa aveva al momento della costituzione dell’usufrutto (art. 981 c.c.), mentre gli è permesso di apportare miglioramenti e addizioni, intendendosi per tali le opere che pur incorporandosi con il bene, non si uniscono con esso, ma serbano una propria entità distinta, risolvendosi in un incremento quantitativo: da luogo a addizioni, per esempio, la sopraelevazione dell’immobile. I doveri dell’usufruttuario sono comunque strumentali a quello di restituire al termine dell’usufrutto la cosa inalterata nella sostanza (art. 1001, comma 1, c.c.). Egli deve provvedere con diligenza alla conservazione e alla manutenzione della cosa, servendosene secondo l’uso al quale sono destinate. L’art. 981, comma 1, c.c. dispone che l’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione economica. L’art. 986, comma 1, nel disporre che l’usufruttuario può eseguire addizioni, e pone il limite che esse non ne alterino la destinazione economica. L’art. 1001, comma 2, c.c. impone all’usufruttuario l’obbligo di usare nel godimento della cosa la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176, comma 74 Gli Speciali Immobili & proprietà 1, c.c.): obbligo che implica l’esigenza di mantenere il godimento nel limite necessario per la conservazione dell’integrità materiale della cosa e della sua originaria destinazione economica, al fine di poter restituire la cosa medesima, al termine dell’usufrutto, inalterata nella sua essenza materiale e nella sua sostanza economica. Il limite al diritto che l’usufruttuario ha di godere della cosa, limite rappresentato dal dovere di rispettarne la destinazione economica, dà luogo ad una sua obbligazione verso il nudo proprietario. L’usufruttuario che imprime al bene una destinazione economica diversa da quella in atto al momento in cui è sorto il suo diritto di goderne o che eseguendo opere su questa, ancorché rimuovibili, ne alteri la primitiva destinazione fa un uso del bene che non gli è consentito e perciò tiene una condotta che è rilevante ai fini dell’applicazione delle disposizioni dettate dai commi 1 e 2 dell’art. 1015 c.c. in relazione alla gravità delle conseguenze che in concreto ne derivino. La possibile applicazione di queste sanzioni in caso di mancato rispetto dell’obbligazione che l’usufruttuario ha verso il nudo proprietario, sanzioni di cui il nudo proprietario ha il potere di provocare l’applicazione e che si traducono nella perdita o modificazione del contenuto del proprio diritto per l’usufruttuario, non esauriscono la valenza negativa del suo comportamento, non escludono cioè che l’usufruttuario sia tenuto al risarcimento del danno in confronto del nudo proprietario, se dalla alterazione della destinazione economica del bene sia appunto derivato un danno. Ciò deriva dall’applicazione dell’art. 1218 c.c. La presenza di un danno consente poi che il risarcimento ne avvenga in forma specifica, in base all’art. 2058 c.c., applicabile non solo nel campo delle obbligazioni per risarcimento del danno da fatto illecito. pristino delle coperture impermeabili dei terrazzi). Ai fini del riparto delle spese valgono i principi di cui agli artt. 1004 e 1005 c.c., norme che prevedono che le spese per la manutenzione ordinaria siano a carico dell’usufruttario, mentre quelle riferite alla straordinaria manutenzione siano a carico del proprietario, con diritto di costui di richiedere all’usufruttuario gli interessi legali sulle somme sborsate per tali spese, individuando altresì, attraverso un’elencazione inequivoca, la natura e la caratteristica delle stesse. La legge non è però altrettanto chiara nell’indicare il carattere ordinario o straordinario della spesa, omettendo anzi di fornirne una precisa definizione ed a volte nemmeno adottando una terminologia uniforme al riguardo. Le spese si distinguono con riguardo alla funzione che l’obbligazione di contribuzione persegue ed al fondamento da cui l’obbligazione medesima trae: l’oggettiva differenza tra funzione e fondamento delle diverse spese invero si riverbera sui soggetti ai quali i contributi vengono imputati, perché alla conservazione sono interessati i proprietari mentre all’uso (quindi al godimento) chiunque lo eserciti. Dalla specifica funzione e dal differente fondamento delle varie spese si giunge quindi alla qualificazione delle stesse in ordinarie e straordinarie1. L’intervento straordinario può consistere in una riparazione piuttosto che in una manutenzione, intendendosi per la prima l’opera che rimedia ad una alterazione già verificatasi nello stato delle cose in conseguenza dell’uso o per cause naturali, mentre per la seconda l’intervento che previene l’alterazione stessa. Sono viceversa da considerarsi spese ordinarie quelle di gestione e godimento (ovvero quelle d’uso o di consumo) e quindi quelle inerenti all’ordinaria manutenzione ovvero alla funzionalità del bene comune, cioè finalizzate a garantire il normale uso Il riparto delle spese 1 Nel corso dell’esercizio del proprio diritto, che deve avvenire usando la diligenza del buon padre di famiglia, nel rispetto delle regole della tecnica, l’usufruttuario dovrà provvedere al pagamento delle imposte, dei canoni, delle rendite fondiarie e degli altri pesi annuali che gravano sulla cosa, nonché accollarsi le spese e gli oneri relativi alla custodia, all’amministrazione ed alla manutenzione ordinaria del bene (ad esempio la sostituzione o la verniciatura di porte o finestre, la tinteggiatura delle pareti o il riImmobili & proprietà 2015 Si veda sul punto Cass, 19 giugno 2000, n. 8292 secondo cui “la funzione ed il fondamento delle spese occorrenti per la conservazione del valore capitale, vale a dire per la tutela o per il ripristino della sua integrità, sono diversi rispetto alla funzione ed al fondamento delle spese necessarie per il godimento. La diversità oggettiva della funzione e del fondamento si riverbera sui soggetti, ai quali i contributi vengono imputati, perché alla conservazione sono interessati i proprietari; all’uso, chiunque lo eserciti. Siffatta diversità si rinviene nell’art. 1104 c.c., il quale distingue con chiarezza due specie di spese comprensive di tutte le altre: le spese per la conservazione e quelle per il godimento (ovverosia per l’uso). Da questa disposizione si ricava il principio, che regola il regime della imputazione e della suddivisione delle spese tanto in materia di comunione in generale, quanto nella specifica materia dei condominio negli edifici”. 75 Gli Speciali Immobili & proprietà del bene o ad assicurare la regolare fruizione di un servizio comune (per esempio le spese d’esercizio per i consumi del servizio, per l’acquisto del combustibile, per i consumi della forza motrice, per l’energia elettrica e l’acqua, per la pulizia delle parti comuni e similari). Tra le spese ordinarie si annoverano quelle di conservazione e quelle invece di godimento. Le spese di conservazione sono quelle destinate alla manutenzione dell’edificio condominiale e delle cose comuni strutturali (es. tetto, muri, facciata e simili). Le spese per la conservazione costituiscono delle obbligazioni collegate in modo inscindibile alla proprietà del bene, nelle quali cioè il nesso immediato tra l’obbligo e la cosa non è modificato dalla interferenza di nessun elemento soggettivo L’art. 1005 c.c. individua alcune delle principali riparazioni straordinarie, secondo un’elencazione che, comunque, non è affatto tassativa, secondo il costante orientamento giurisprudenziale. La norma citata le definisce come “quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno e di cinta”. Le riparazioni straordinarie possono essere identificate, più in generale, in quelle che non costituiscono effetto normale, a breve o a medio termine, dell’uso e del godimento della cosa, e consistono nella sostituzione o nel ripristino di parti essenziali della struttura della cosa, il cui costo risulta sproporzionato rispetto al reddito normale prodotto dalla cosa medesima. Soccorrono in tal senso i principi generali , che individuano negli interventi di riparazione straordinaria quelli di spettanza della proprietà di installazione di un bene, quelli necessari per la manutenzione non abituale degli impianti e delle cose comuni in genere ovvero tutti quelle miranti a conservarne nel tempo o a ricostruirne od innovarne la struttura2. Non bisogna tuttavia dimenticare che qualora le riparazioni straordinarie siano rese necessarie 2 È proprio avendo riguardo alla specifica funzione ed al differente fondamento delle diverse spese condominiali che si arriva quindi alla divisione delle stesse in ordinarie e straordinarie. In sintesi, tra le spese straordinarie si annovereranno le cosiddette spese di proprietà, ossia quelle inerenti all’installazione di un bene, quelle necessarie per la manutenzione straordinaria degli impianti e delle cose comuni in genere ovvero tutte quelle miranti a conservare nel tempo o a ricostruire od innovare la struttura del bene o dell’impianto comune (es. quelle di manutenzione straordinaria della guardiola, della facciata e simili). Immobili & proprietà 2015 dall’inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione, esse sono a carico dell’usufruttuario. Il calcolo del valore del diritto reale di usufrutto Con l’acquisto del bene gravato di usufrutto cambia naturalmente il valore dell’immobile, che viene scontato di un importo che decresce con l’aumentare dell’età dell’usufruttuario, poiché si prevede rispetto alla vita media un minore numero di anni in cui diventerà pieno l’esercizio dei diritti di proprietà per l’acquirente. L’usufrutto vitalizio dura fintanto che vive l’usufruttuario e, quindi, il suo valore si calcola applicando un determinato coefficiente (relativo all’età dell’usufruttuario) al risultato del ragguaglio del valore della piena proprietà del bene considerato con il saggio legale d’interesse. Perciò l’usufrutto “vale” quanto più l’usufruttuario è giovane. Età del beneficiario (anni compiuti) Coefficiente Da 0 a 20 Da 21 a 30 Da 31 a 40 Da 41 a 45 Da 46 a 50 Da 51 a 53 Da 54 a 56 Da 57 a 60 Da 61 a 63 Da 64 a 66 Da 67 a 69 Da 70 a 72 Da 73 a 75 Da 76 a 78 Da 79 a 82 Da 83 a 86 Da 87 a 92 Da 93 a 99 95 90 85 80 75 70 65 60 55 50 45 40 35 30 25 20 15 10 Ad esempio dato € 200.000 il valore della piena proprietà e in 51 gli anni dell’usufruttuario, si ha che: - l’usufrutto vale: 200.000 x 1% x 70 = € 140.000 - la nuda proprietà vale (specularmente): € 60.000 Nella tabella qui sotto, è possibile vedere che l’usufrutto di un 51enne vale il 70% del valore della piena proprietà. 76 Gli Speciali Immobili & proprietà Età del beneficiario (anni compiuti) Coefficiente Valore dell’usufrutto Valore della nuda proprietà Da 0 a 20 Da 21 a 30 Da 31 a 40 Da 41 a 45 Da 46 a 50 Da 51 a 53 Da 54 a 56 Da 57 a 60 Da 61 a 63 Da 64 a 66 Da 67 a 69 Da 70 a 72 Da 73 a 75 Da 76 a 78 Da 79 a 82 Da 83 a 86 Da 87 a 92 Da 93 a 99 95 90 85 80 75 70 65 60 55 50 45 40 35 30 25 20 15 10 95 90 85 80 75 70 65 60 55 50 45 40 35 30 25 20 15 10 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 85 90 Le regole in condominio La legge di riforma della disciplina condominiale (L. n. 220/2012) ha apportato notevoli innovazioni riguardo ai rapporti che intercorrono tra il condominio e l’usufruttuario ed il nudo proprietario. La prima modifica riguarda l’avviso di convocazione dell’assemblea, nel senso che il sesto comma dell’art. 1136 c.c. ora specifica che “l’assemblea non può deliberare se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati”. Tra questi ci sono sia l’usufruttuario che il nudo proprietario in quanto condomini a tutti gli effetti e come tali tenuti, al pari degli altri, a concorrere alla formazione della volontà del condominio. È fuori dubbio quindi che sia l’uno che l’altro rientrino tra quegli aventi diritto che devono essere convocati in assemblea. Il particolare rapporto che lega l’uno all’altro rispetto alla proprietà e all’uso del bene è certamente opponibile al condominio che, nella persona del suo amministratore, non può ignorarlo. L’usufruttuario ha il diritto di partecipare all’assemblea e di esprimere il proprio voto negli affari che riguardano l’ordinaria amministrazione e il semplice godimento delle cose e dei servizi comuni. Spettano invece al nudo proprietario tutte le decisioni riguardanti le innovazioni, le ricostruzioni e le manutenzioni straordinarie delle parti comuni dell’edificio e pertanto anch’egli deve essere convocato in assembla. Contrariamente a quanto accade per i conduttori degli immobili concessi in locazione, dove l’onere Immobili & proprietà 2015 della loro convocazione in assemblea fa capo esclusivamente al proprietario del bene locato, l’usufruttuario ed il nudo proprietario devono essere obbligatoriamente convocati a cura dell’amministratore. La presenza del conduttore in assemblea è peraltro facoltativa e l’espressione del voto da parte sua avviene in sostituzione di quello che invece dovrebbe manifestare il proprietario. Quella dell’usufruttuario è invece indispensabile per la formazione delle maggioranza necessarie a rendere valida la costituzione dell’assemblea e per poter deliberare sugli argomenti che la legge attribuisce alla sua esclusiva competenza. L’usufruttuario, in difetto di delega regolarmente a lui conferita, non può essere sostituito dal nudo proprietario nelle decisioni riguardanti spese o interventi che la legge pone nella sua esclusiva competenza. Né lui può sostituire il nudo proprietario, qualora l’assemblea sia chiamata a deliberare di opere di straordinaria manutenzione e di ricostruzione dei beni o dei servizi comuni. Ognuno di loro è infatti titolare di un diverso ed autonomo diritto che, seppur esercitatile in funzione della medesima unità immobiliare, li legittima da un lato a partecipare - anche contestualmente - all’assemblea e dall’altro ad esprimere la propria volontà non già in sostituzione dell’uno o dell’altro, bensì in assoluta autonomia e su materie diverse. Neppure è data facoltà all’assemblea di introdurre deroghe ai criteri di imputazione e di ripartizione che la legge ha fissato per tali due diversi soggetti: le spese a carico dell’usufruttuario devono essere solo da lui deliberate, non potendo l’assemblea decidere invece diversa soluzione.3 Il nudo proprietario non è tenuto neanche in via sussidiaria o solidale al pagamento delle spese condominiali, né può essere stabilita dall’assemblea una diversa modalità di imputazione degli oneri stessi in deroga alla legge. Il pagamento degli oneri costituisce una obbligazione propter rem per cui la qualità di debitore 3 Come tutte le obbligazioni, nelle quali la qualità di debitore dipende da quella di proprietario o di titolare di altro diritto reale che traggono, cioè, origine dal diritto su una cosa - anche le spese alle quali è tenuto l’usufruttuario si configurano come obbligazioni propter rem, con la conseguenza che all’assemblea dei condomini non è consentito interferire sulla imputazione e sulla ripartizione. Per giurisprudenza consolidata, invero, le attribuzioni dell’assemblea in ordine alla ripartizione delle spese per le parti comuni sono circoscritte alla verifica ed alla applicazione in concreto dei criteri fissati dalla legge, e non comprendono il potere di introdurre deroghe ai criteri medesimi, atteso che tali deroghe, venendo ad incidere sui diritti individuali dei singoli condomini, possono conseguire soltanto ad una convenzione (Cass. 15 marzo 1995, n. 3042). 77 Gli Speciali Immobili & proprietà dipende da quella di proprietario o titolare di altro diritto reale sulla cosa e che le norme relative alla ripartizione delle spese tra usufruttuario e nudo proprietario sono opponibili al condominio, il quale anzi è tenuto ad osservarle anche in sede di approvazione dei bilanci, distinguendo le spese a carico del proprietario da quelle a carico dell’usufruttuario. La delibera con cui il condominio approva il preventivo o il rendiconto per le spese, ordinarie e straordinarie, deve, a pena di invalidità per contrarietà alle norme che disciplinano i diritti e gli obblighi dei partecipanti al condominio, distinguere analiticamente quelle occorrenti per l’uso da quelle occorrenti per la conservazione delle parti comuni. In tal modo è possibile, se vi sono usufruttuari, ripartire tra i medesimi ed i nudi proprietari dette spese in base alla natura delle stesse, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1004 e 1005 c.c. con una mera operazione esecutiva4. Per quanto riguarda l’espressione del voto, il sesto comma dell’art. 67 disp. att. c.c. conferma che l’usufruttuario ha il diritto di esprimere il proprio voto negli affari che riguardano l’ordinaria amministrazione e il semplice godimento delle cose e dei servizi comuni. Spettano invece al nudo proprietario tutte le decisioni riguardanti le innovazioni, le ricostruzioni e le manutenzioni straordinarie delle parti comuni dell’edificio. Il nuovo settimo comma del citato art. 67 disp. att. c.c. però prevede un’eccezione, nel senso che il diritto di voto spetta comunque all’usufruttuario qualora il nudo proprietario si rifiuti di eseguire le ripa4 L’assemblea deve distinguere analiticamente le spese per l’uso delle parti comuni (per la pulizia e la illuminazione delle scale, degli atri e dei vestiboli, per il compenso al portiere e all’amministratore; per l’esercizio degli impianti dell’ascensore, del riscaldamento centralizzato e dell’aria condizionata etc.) e le spese per la conservazione (manutenzione ordinaria e straordinaria). L’obbligo di contribuzione a carico dei diversi soggetti (gli usufruttuari ed i nudi proprietari) deriva per legge in ragione della natura stessa della spesa. Anche se nel verbale dell’assemblea non vengono specificamente indicati i soggetti obbligati, l’imputazione e la ripartizione sono in re ipsa, in dipendenza della funzione e del fondamento della spesa. Posto che, per legge, le spese devono essere imputate e ripartite secondo la funzione e il fondamento, in sede di approvazione del bilancio l’assemblea deve analiticamente distinguere le spese per l’uso da quelle per la conservazione. Non è necessario, tuttavia, che debba anche ascriverle espressamente ai diversi soggetti obbligati, essendo la imputazione implicita e connessa con l’oggetto. Deve tuttavia negarsi l’invalidità della delibera che, distinte analiticamente le spese secondo il fondamento e la funzione, non individua in modo espresso i soggetti tenuti a contribuire. Essendo la imputazione e la ripartizione fissate direttamente dalla legge, ascriverle ai soggetti obbligati diventa una mera operazione esecutiva (Cass. 21 novembre 2000, n. 15010) Immobili & proprietà 2015 razioni del bene poste a suo carico ovvero ne ritardi l’esecuzione senza giustificato motivo. In simile situazione, peraltro prevista espressamente dall’art. 1006 c.c., gli è data facoltà di farle eseguire a proprie spese e di richiederne il rimborso alla cessazione dell’usufrutto; del pari dicasi nel caso di migliorie (art. 985 c.c.) e addizioni (art. 986 c.c.). In questi casi il legislatore della riforma, oltre al rimborso al termine dell’usufrutto, correttamente gli attribuisce anche il diritto di voto in assemblea in vece del nudo proprietario: è importante però che di tutto ciò ne venga data comunicazione all’amministratore affinché provveda ad inviare l’avviso di convocazione sia all’usufruttuario che al nudo proprietario. Al di fuori di tale particolare fattispecie, l’usufruttuario non può essere sostituito dal nudo proprietario nelle decisioni riguardanti spese o interventi che la legge pone nella sua esclusiva competenza, salvo che gli sia conferita specifica delega. Né lui può sostituire il nudo proprietario, qualora l’assemblea sia chiamata a deliberare di opere di straordinaria manutenzione e di ricostruzione dei beni o dei servizi comuni. Ognuno di loro è infatti titolare di un diverso ed autonomo diritto che, seppur esercitatile in funzione della medesima unità immobiliare, li legittima da un lato a partecipare anche contestualmente - all’assemblea e dall’altro ad esprimere la propria volontà non già in sostituzione dell’uno o dell’altro, bensì in assoluta autonomia e su materie diverse. Neppure è data facoltà all’assemblea di introdurre deroghe ai criteri di imputazione e di ripartizione che la legge ha fissato per tali due diversi soggetti: le spese a carico dell’usufruttuario devono essere solo da lui deliberate, non potendo l’assemblea decidere invece diversa soluzione. A carico dell’usufruttuario sono le spese ed, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa, nonché le riparazioni straordinarie che si sono rese necessarie a seguito dell’inadempimento degli obblighi di ordinaria amministrazione. Grava così sull’usufruttuario l’obbligo di contribuire alle spese condominiali relative alla manutenzione ordinaria delle cose e dei servizi comuni, come il funzionamento dell’impianto di riscaldamento e le piccole riparazioni all’ascensore in quanto lavori di modesta entità e di costo non elevato in relazione al reddito astratto dell’appartamento. All’usufruttuario spetti il diritto di voto in tema di nomina dell’amministratore e di determinazione del suo compenso, mentre in caso di modifica delle tabel78 Gli Speciali Immobili & proprietà le millesimali è richiesta anche la presenza del nudo proprietario. Sono a carico del nudo proprietario tutte quelle spese che non siano prevedibili come effetto normale dell’uso e del godimento della cosa, che consistano nella sostituzione o nel ripristino di parti essenziali della struttura della cosa, il cui costo risulti sproporzionato rispetto al reddito normale prodotto dalla cosa stessa. Tale distinta legittimazione comporta che l’avviso di convocazione debba essere inviato al nudo proprietario o all’usufruttuario a seconda che l’ordine del giorno interessi l’uno o l’altro. L’errata convocazione dell’uno e dell’altro potrebbe portare alla annullabilità delle eventuali delibere assunte. Tutto ciò vale però ai fini della manifestazione del voto in assemblea, nonché nel rapporto interno di debito-credito tra nudo proprietario e usufruttuario. Nel rapporto con il Condominio, la vera novità della riforma consiste invece nel prevedere la solidarietà tra l’uno e l’altro per il pagamento di quanto da loro complessivamente dovuto al condominio. Il nuovo legislatore, con l’aggiunta di un ultimo comma all’art. 67 in esame, ha inteso in tal modo porre al sicuro il diritto di credito del condominio, legittimato ora a richiedere all’uno o all’altro l’intera quota di spettanza delle loro unità immobiliare di riferimento5. 5 Il nuovo principio dettato dalla legge di riforma n. 220/2012 è senza dubbio innovativo perché anche recentemente la Suprema Corte di Cassazione aveva avuto modi di affermare che il nudo proprietario non è tenuto neanche in via sussidiaria o solidale al pagamento delle spese condominiali, né può essere stabilita dall’assemblea una diversa modalità di imputazione degli oneri stessi in deroga alla legge. Il pagamento degli oneri costituisce una obbligazione propter rem per cui la qualità di debitore dipende da quella di proprietario o titolare di altro diritto reale sulla cosa e che le norme relative alla ripartizione delle spese tra usufruttuario e nudo proprietario sono opponibili al condominio, il quale anzi è tenuto ad osservarle anche in sede di approvazione dei bilanci, distinguendo le spese a carico del proprietario da quelle a carico dell’usufruttuario (Cass. 16 febbraio 2012 n. 2336; Cass. 28 luglio 2008, n. 21774). Immobili & proprietà 2015 79 Gli Speciali Immobili & proprietà Modi alternativi di acquisto. Il rent to buy di Augusto Cirla - Avvocato in Milano Attraverso programma di preparazione all’acquisto si diventa proprietari dell’immobile versando un canone maggiorato. È il sistema del “rent to buy”, una vera e propria compravendita dove il cuore di tutto il sistema è il contratto preliminare. Le funzione del contratto di rent to buy Il crollo del mercato della compravendita immobiliare ha assunto dimensione sempre maggiori e le cause vanno anche ricercate nella stretta di vite imposta dagli istituti di credito nell’erogazione dei finanziamenti per l’acquisito di un immobile. Vendere oggi un immobile comporta difficoltà nettamente maggiori di quelle che si incontravano anni addietro, quando invero l’acquisto del bene in proprietà, soprattutto per le abitazioni, era diventato la logica risposta al fallimento della normativa vincolistica dettata dalla L. n. 392/1978. Il fenomeno non risparmia nemmeno la compravendita di immobili ad uso “diverso dall’abitazione” perché l’imprenditore, forse ancor più del privato, risente della crisi economica che sta interessando l’intero continente europeo: può dirsi invero che la sfiducia nella possibilità di un rapido superamento della crisi ha innegabilmente allontanato la potenziale clientela del mercato immobiliare non solo dall’affare, ma anche dalla ricerca dell’affare1. Il che impone la ricerca di strumenti diversi per consentire a chi è in momentanea difficoltà economica di comprare l’immobile dove abitare o svolgere la propria attività lavorativa. Può essere che non si riesca ad ottenere un mutuo perché per il momento il lavoro è ancora precario oppure che non si possa acquistare una nuovo immobile se non dopo avere venduto libero quello che si occupa in proprietà. Occorre, in buona sostanza, individuare nuovi 1 Sul punto vedasi un’interessante analisi della tematica di F. Tassinari, in I Contratti, 2014, 822. Immobili & proprietà 2015 strumenti contrattuali che siano in grado di attirare l’attenzione, da un lato, del maggior numero di potenziali acquirenti che, diversamente, neppure si affaccerebbero sul mercato perché impossibilitati ad acquistare; dall’altro dei potenziali venditori, disposti a privarsi da subito della disponibilità del bene a fronte di una promessa di acquisto che comunque li libera da subito da oneri e quant’altro. La formula del rent to buy piace sempre di più perché è un pratico sistema che consente a chi vuole acquistare il bene immobile di cominciare a condurlo in locazione verso un canone comprensivo anche di una quota destinata a costituire un acconto sul prezzo di vendita, che da subito viene determinato in modo immutabile. È un nuovo tipo di contratto in cui si fondono un contratto di locazione e un preliminare di vendita di un immobile, che ha trovato specifico riconoscimento con il D.L. n. 133/2014 (c.d. “sblocca Italia”) convertito in L. n. 164/2014. I problemi si risolvono dunque con la stipula di un contratto che preveda, da un lato, la concessione in locazione di un immobile per il rituale periodo previsto dalla legge verso un corrispettivo maggiore (normalmente del 15-20%) rispetto a quello di mercato, che in parte però viene conteggiato come acconto sul prezzo di vendita del bene locato); dall’altro l’impegno del proprietario locatore di vendere l’immobile ad un prezzo già stabilito al momento della sottoscrizione del contratto, previa determinazione della quota di canone che mensilmente verrà conteggiata come acconto sul prezzo stesso. Non si tratta di una nuova figura di contratto misto tra locazione e compravendita, bensì di un contratto nuovo che ricomprende due modelli contrattuali tipici che mantengono le rispettive caratte80 Gli Speciali Immobili & proprietà ristiche e che trovano nella causa, appunto il trasferimento della proprietà del bene al conduttore, il loro unico collegamento. Trattasi di una formula che sta sempre più trovando applicazione a causa della difficoltà da parte del normale cittadino di ottenere finanziamenti all’acquisto, consentendogli di rinviare ad un momento futuro gli effetti finali dell’operazione di compravendita. Da un lato permette quindi al potenziale acquirente di ottenere immediatamente la disponibilità dell’unità immobiliare e di recuperare per il pagamento del corrispettivo dell’acquisto tutto o parte di quanto versato per il godimento dell’immobile; facilita nel contempo il potenziale venditore nell’individuazione dell’acquirente, mettendo subito a reddito l’immobile. C’è un potenziale venditore che, al fine di bilanciare lo svantaggio derivante dal proprio bisogno di vendere rapidamente, deve trovare un compratore con un urgente bisogno abitativo, senza avere la liquidità necessaria per comprare e non trovandosi nelle condizioni di potere essere finanziato da istituti di credito per l’importo occorrente all’acquisto. Questo potenziale compratore deve essere convinto che è possibile, di fronte ad un venditore che ha bisogno di vendere in tempi rapidi, acquistare con adeguata sicurezza giuridica tramite versamenti periodici corrispondenti a poco più di un ordinario canone di locazione. È una scelta contrattuale capace di consentire una forma di finanziamento dell’acquisto, alternativo a quello offerto dagli ordinari canali bancari di accesso al credito ipotecario o fondiario, oggi scarsamente disponibili. La formula si adatta alle più svariate casistiche. Può essere il privato a sceglierla, qualora decida di vendere il proprio immobile per acquistarne uno più adatto alle proprie esigenze accollandosi un mutuo e di accettare un futuro compratore che, entrando subito nella detenzione del bene, gli verserà un importo mensile maggiore rispetto a quello di quello di mercato sino a quando potrà accedere ad un finanziamento bancario e deciderà quindi di versare il saldo del prezzo già pattuito. Più frequente il caso del privato che acquista da un costruttore, interessato questo ad alleviare così i problemi dell’invenduto e ad ampliare la potenziale clientela, recuperando in tal modo una fascia media di mercato in quanto facilitata con questa formula nell’acquisto della casa. In entrambe i casi, l’acquirente potrà, tra l’altro, dimostrare alla banca la sua capacità di fare fronte Immobili & proprietà 2015 al pagamento della rata di mutuo, avendo egli, in adempimento del contratto di “rent to buy”, puntualmente versato un importo mensile pari o addirittura superiore a quella che si appresta a richiedere: per la banca ci saranno dunque tutte le condizioni per concedere il mutuo, evitando ulteriori garanzie e senza coinvolgere terzi soggetti garanti. Si è di fronte ad una operazione unitaria per mezzo della quale un immobile viene concesso in locazione con la contestuale previsione di un impegno alla successiva cessione dell’immobile ad un prezzo prefissato dal quale andranno man mano dedotti gli acconti già versati in uno con il canone, seppur separatamente quantificati rispetto ad esso. È un contratto di locazione con opzione all’acquisto, dove viene concesso al conduttore la facoltà di comprare l’immobile locatogli entro una determinata data e ad un prezzo fisso ed invariabile già indicato al momento della stipula del contratto. Il punto di incontro tra le esigenze dell’una e dell’altra parte può essere il più vario, dovendosi da subito decidere il prezzo complessivo dell’eventuale vendita, l’ammontare delle rate mensili e dunque la durata dei pagamenti stessi prima di addivenire alla conclusione della compravendita, nonché l’evoluzione futura del merito creditizio del compratore, che può fare conto su una richiesta di finanziamento di minore importo e magari con condizioni più favorevoli oppure confidare in un consolidamento della sua posizione lavorativa al momento precaria. Durante la fase preparatoria all’acquisto il futuro acquirente si impegna a versare al venditore un importo mensile, di cui una parte viene considerata come canone di locazione effettiva (e quindi a fondo perduto) e l’altra parte viene invece accantonata, andando così a creare un deposito in conto di futuro acquisto che, sommato all’acconto iniziale, andrà poi scalato dal valore della compravendita (generalmente circa il 15% del valore dell’immobile). L’opzione di base che il legislatore ha messo a disposizione dell’autonomia privata per realizzare gli interessi di cui sopra si è detto è costituita da un contratto di locazione regolato dalle norme dettate dalla L. n. 431/1998 nel quale si innesta un contratto di compravendita ( oppure preliminare di compravendita) idoneo a computare in conto ed in diminuzione del prezzo pattuito tutto o parte dei canoni precedentemente versati. Sono le parti che devono definire, in sede di contrattazione, le quote dei canoni da imputarsi al corrispettivo della locazione, che il concedente dovrà 81 Gli Speciali Immobili & proprietà poi restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà del bene entro il termine stabilito (art. 23, 1-bis, legge di conversione n. 164/2014). Alla fine del programma, al momento del rogito all’acquirente resterà da saldare il restante prezzo con ricorso ad un mutuo che avrà liberamente scelto (generalmente circa l’85% del valore dell’immobile) e che gli verrà concesso con estrema tranquillità di copertura: sarà infatti semplice per l’acquirente dimostrare all’istituto di credito erogante di essere in grado di fare fronte comodamente al pagamento della rata pattuita, per il semplice fatto che durante il periodo locativo è stato in grado di puntualmente versare, attraverso il meccanismo del rent to buy, una rata periodica pari o addirittura superiore a quella del mutuo che andrà a chiedere. Per la banca ci saranno dunque tutte le condizioni idonee per concedere il finanziamento, senza necessità di fare sottoscrivere anche altre assicurazioni ovvero di coinvolgere terzi soggetti garanti. I vantaggi del rent to buy per l’acquirente possono così riassumersi: - acquisto di una casa con pagamento dilazionato, ottenendone subito la disponibilità; - versamento di un canone di locazione comprensivo di una quota in acconto sull’acquisto; - maggiora facilità nella richiesta del mutuo, riducendosi l’importo da farsi erogare; - posticipazione della data del rogito, con possibilità nel contempo di vendere altro appartamento di proprietà; - posticipazione di tutte le spese che riguardano il mutuo e il rogito notarile. Quanto al venditore, si devono tenere presente da un lato le difficoltà nelle vendite in conseguenza della crisi in cui versa il mercato immobiliare, con particolare riferimento a quelle che si incontrano per ottenere l’erogazione di mutui da parte delle banche; dall’atro c’è un innegabile aumento potenziale della clientela, posticipando la data del rogito e congelando il prezzo della vendita in quanto in tal modo si recupera la fascia media di mercato, facilitata nell’acquisto della casa senza ricorrere da subito al mutuo. A ciò aggiungasi l’immediata messa a rendita dell’immobile attraverso la locazione e il recupero più rapido dell’investimento, anche attraverso il risparmio sui costi di manutenzione e di conservazione dell’immobile da subito locato. Con la formula del “rent to buy” il venditore non assume affatto la figura del finanziatore Immobili & proprietà 2015 dell’acquirente (come invero potrebbe accadere nella figura della locazione a riscatto), ma si limita ad agevolare l’acquirente nella tempistica del rogito, congelando il prezzo della vendita ed ampliando in tal modo la potenziale proprio clientela. Il “rent to buy” permette dunque ai venditori di recuperare la fascia media e di non tenere invenduti gli immobili: il che significa risparmio sui costi di manutenzione e recupero dell’investimento fatto attraverso il percepimento di un canone di locazione e di un quid in più mensile in acconto sulla vendita per la quale il conduttore già si è prenotato. Il conduttore che decide di esercitare l’opzione di acquisto non necessita, a questo punto, di alcun accertamento dell’avvenuta conclusione del contratto, in quanto gli effetti della vendita decorrono dal momento in cui il locatore-promittente venditore riceve l’accettazione della proposta irrevocabile di vendita già contenuta nell’opzione, secondo il meccanismo generale di formazione del contratto a distanza di cui agli artt. 1326 ss. c.c. Sono naturalmente salve le diverse pattuizioni concordate tra le parti in contratto, quali appunto l’automatica conclusione, anziché direttamente della vendita, del contratto preliminare di compravendita con indicazione preventiva del termine, successivo alla accettazione della proposta, entro la quale dovrà essere stipulato l’atto definitivo a cura del notaio scelto dall’una o dall’altra parte contraente. Nemmeno è esclusa la possibilità di prevedere da subito acconti sul prezzo o anche caparre confirmatorie, da versarsi prima delle vendita e tenuti ben distinti dai canoni di locazione pattuiti. Il rent to buy può avere ad oggetto qualsiasi immobile, appartamenti, autorimesse, cantine, negozi, uffici, capannoni e terreni, compresi gli immobili in costruzione, per i quali è necessario cancellare l’ipoteca ed è possibile prevedere l’accollo del mutuo restante. La forma del contratto Con l’art. 23 del decreto “Sblocca Italia” n. 133/14 il rent. to buy diventa un contratto regolamentato ed esce dunque dal campo della totale aticipicità che lo aveva dapprima caratterizzato. Trattasi del “contratto di godimento in funzione della successiva alienazione del bene” (così come definito dal citato art. 23 del D.L. n. 133/2014), da stipularsi per atto pubblico o per scrittura privata autenticata. È innegabile la necessità che il “contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di 82 Gli Speciali Immobili & proprietà immobili” contenga gli elementi contrattuali essenziali del futuro ed eventuale atto traslativo, a cominciare dalla determinazione del corrispettivo dovuto, come si ricava ancora dal richiamo all’art. 2932 c.c. La delicatezza nella realizzazione di questo schema contrattuale consiste nella definizione delle clausole che collegano i due diversi negozi al fine di non far perdere a ciascuno di essi il loro carattere di tipicità e di creare un sistema di paracadute ed ammortizzatori che consenta alle parti di gestire comunque senza contenzioso eventuali situazioni critiche che si potrebbero verificare in un arco temporale cha va, nel suo normale percorso, dalla stipula del contratto alla conclusione della compravendita. Essenziale, per il funzionamento del “meccanismo” negoziale, è altresì la predeterminazione della parte di canone imputabile a corrispettivo, in assenza della quale si deve pensare di essere fuori dalla fattispecie di cui all’art. 23 del D.L. n. 133/2014. Il contratto viene trascritto nei registri immobiliari e diventa dunque opponibile a chiunque. In deroga a quanto previsto dal codice civile (art. 2645 bis), il nuovo decreto eleva l’efficacia della trascrizione, in genere triennale, a tutta la durata del contratto e comunque ad un periodo non superiore a dieci anni, termine quest’ultimo entro il quale, sotto pena di perdita di ogni effetto della trascrizione stessa, deve intervenire l’atto definitivo di compravendita dell’immobile. Assume particolare rilievo la stipula del contratto a mezzo di atto pubblico, in quanto, in forza delle modifiche apportate dalla Legge n. 80/2005 all’art. 474 c.p.c., l’atto pubblico, a differenza che alla scrittura privata autenticata, costituisce titolo esecutivo valido anche per procedere allo sgombero dell’immobile, nel caso in cui il contratto di rent to buy si risolva per inadempimento del conduttorefuturo promissario acquirente. Il rilascio del bene da parte dell’occupante inadempiente è infatti uno degli aspetti più critici del rent to buy, nel senso che è proprio la liberazione dell’immobile che può penalizzare il promissario venditore per i lunghi tempi in cui questa può in concreto avvenire. Il proprietario dell’immobile, nonostante i vantaggi che gli possono derivare dal scegliere la formula del rent to buy, deve avere le più ampie assicurazioni che, in caso di inadempimento , l’immobile gli venga restituito in tempo brevi. È pur vero che al mancato esercizio della facoltà di acquisto da parte del conduttore, ovvero alla risoluImmobili & proprietà 2015 zione del contratto per mancato pagamento dei canoni, dovrebbe seguire l’immediata riconsegna del bene locato, ma così non sempre accade: il che impone al locatore-promittente venditore di dare corso alle opportune azioni giudiziarie per ottenere la liberazione dell’immobile, con tempi a volte molto lunghi e con notevoli costi. Innanzi tutto, il proprietario locatore non può avvalersi del mezzo del procedimento sommario (e rapido) dell’intimazione dello sfratto per ottenere dal giudice un titolo esecutivo idoneo a legittimare poi lo sgombero coatto dell’immobile, non essendo il rent to buy un contratto di locazione e nemmeno potendosi applicare ad esso, in via analogica, la specifica disciplina dettato per la locazione, avendo detto procedimento natura eccezionale. Né è pensabile imporre al malcapitato concedente di ricorrere al giudice con le vie ordinarie, visto il lungo tempo che dovrebbe attendere prima di ottenere il provvedimento di condanna al rilascio in danno dell’occupante. Sorgono a questo punto alcune problematiche legate all’atto pubblico quale titolo per il rilascio, nel senso che si richiede al notaio rogante la massima attenzione nella predisposizione dell’atto pubblico, che deve essere il più possibile puntuale nell’evidenziare gli obblighi di consegna e di restituzione del bene al fine di fondare poi l’azione esecutiva sul titolo negoziale. Al notaio rogante è richiesta la massima attenzione nella predisposizione dell’atto, con particolare riferimento agli obblighi di consegna e di riconsegna del bene, così da dare pieno fondamento all’azione esecutiva che andrà poi ad intraprendere il promittente venditore. E così, nello specifico, nell’atto pubblico deve essere indicato, tra l’altro, il termine della consegna del bene al conduttore e quello entro il quale dovrà riconsegnalo nel caso in cui la compravendita, per qualsiasi motivo, non vada a conclusione. Non può mancare l’esatta descrizione del bene consegnato e lo stato i cui lo stesso dovrà essere consegnato, nonché l’indicazione della persona a cui viene consegnato il bene e che dovrà poi provvedere alla riconsegna, anche se tale obbligo incombe invero su chiunque si trovi nella detenzione dell’immobile nel momento in cui il titolo viene coattivamente eseguito. Ai fini della prova dell’inadempimento, va precisato che, in caso di mancato pagamento dei canoni o di esercizio della facoltà di acquisto nei termini stabiliti, il contratto è risolto di diritto ai sensi dell’art. 1456 c.c. Non meno importante è la 83 Gli Speciali Immobili & proprietà misura del corrispettivo mensile che il conduttore dovrà versare, con precisa indicazione dell’importo da imputarsi a canone di locazione e di quello invece da considerarsi come acconto del prezzo di vendita, se ed in quanto questa avverrà. Da ultimo, assumono rilievo anche gli obblighi del futuro promissario acquirente sin tanto che occuperà l’immobile prima di manifestare la sua volontà di acquistarlo. La clausola risolutiva espressa La tutela del venditore trova maggiore spazio con la previsione, nel contratto, della clausola risolutiva espressa del contratto stesso a fronte di un predeterminato inadempimento da parte del conduttorepromissario acquirente2. Una volta ritenuto, come si deve ritenere, che l’atto pubblico costituisce di per sé titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c., la previsione nel contratto stipulato in tale forma di una clausola risolutiva espressa legittima il concedente a procedere esecutivamente nei confronti dell’inadempiente per ottenere la liberazione dell’immobile, senza dover sopportare le lungaggini di un processo di cognizione ordinario, non necessitando alcun accertamento da parte del giudice della gravità o meno dell’inadempimento3. La clausola risolutiva espressa di cui all’art. 1456 c.c. rappresenta infatti una forma di autotutela privata in relazione alla quale il prodursi dell’effetto risolutivo è subordinato alla sola dichiarazione dell’avente diritto di avvalersene e non anche alla prova della gravità dell’inadempimento. Questo deve pur sempre essere imputabile alla controparte, quanto meno a titolo di colpa che, ai sensi dell’art. 2 Un recente studio effettuato dal Consiglio Nazionale Notarile (n. 283 del 28 maggio 2015) ha configurato nel contratto di rent to buy redatto nella forma dell’atto pubblico come titolo esecutivo sia per l’espropriazione forzata e sia per l’esecuzione specifica per consegna o rilascio. In tale elaborato si sostiene che “se il contratto di rent to buy ha la forma dell’atto pubblico e contiene la clausola risolutiva espressa nel nostro sistema processuale esiste la possibilità per il proprietario-concedente dell’immobile di agire legittimamente in sede esecutiva stragiudiziale … (omissis) e dunque, senza passare per un preventivo accertamento giurisdizionale, sia esso a cognizione piena o sommaria, del suo diritto”. 1218 c.c., comunque si presume. Spetterà semmai al debitore provare, nell’instaurando giudizio di opposizione all’esecuzione, che l’assenza di sua colpa nel verificarsi dell’inadempimento. Il creditore deve solo dimostrare, mediante il titolo, l’esistenza del vinculum iuris e l’attualità del suo credito, mentre il debitore che contesti il diritto di procedere ad esecuzione forzata, assumendo che non esiste mora o inadempimento colpevole, deve dedurre tale fatto impeditivo come causa petendi dell’opposizione e darne prova. Quando la risoluzione del contratto si verifica di diritto a seguito della dichiarazione del creditore di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, la valutazione della incidenza dell’inadempimento sull’intero contratto è stata già compiuta dalle parti, la cui autonomia privata ha instaurato il collegamento tra i singoli inadempimenti considerati nella clausola e la risoluzione dell’intero contratto, con la conseguenza che tale collegamento non può essere contestato né ai fini dell’accertamento giudiziale sull’avvenuta risoluzione né agli effetti del risarcimento del danno. Peraltro, non è esclusa la possibilità astratta di operatività della clausola risolutiva anche prima della scadenza del termine di obbligazione al cui inadempimento è ricollegato l’effetto risolutivo, o, più precisamente, la facoltà delle parti di provocare la risoluzione nel caso in cui sia certo già prima della scadenza di quel termine che la obbligazione non potrà essere adempiuta. L’eventuale intempestività della comunicazione stragiudiziale di volersi avvalere della risoluzione non preclude la possibilità di successiva e tempestiva reiterazione, dopo la scadenza del termine di adempimento, di questa dichiarazione anche nel giudizio di merito4. La risoluzione non avviene immediatamente, per il solo verificarsi dell’ipotesi di inadempimento prevista dalla clausola risolutiva, ma per la dichiarazione di volersene avvalere. In altri termini, l’inadempimento non esplica di per sé l’effetto risolutivo, ma lascia pur sempre sussistere la facoltà di scelta, nell’altra parte, fra l’agire per ottenere comunque l’adempimento o provocare la risoluzione 3 Simile principio non può trovare però applicazione nel caso in cui oggetto del contratto di rent to buy sia un immobile da adibirsi ad uso di abitazione, trovando ostacolo l’applicazione della clausola risolutiva espressa nella possibilità per il conduttore di sanare la morosità ex art. 55 L. n. 392/1978, sanatoria pacificamente ritenuta ammissibile anche in presenza, nel contratto, di una clausola risolutiva espressa , trattandosi di norma dettata da esigenze di ordine pubblico e dunque inderogabile dalle private pattuizioni. Immobili & proprietà 2015 4 La dichiarazione del creditore della prestazione inadempiuta di volersi avvalere dell’effetto risolutivo di diritto ex art. 1456 c.c. non deve essere necessariamente contenuta in un atto stragiudiziale precedente alla lite, ben potendo invece manifestarsi legittimamente con un atto di citazione o con altro atto processuale ad esso equiparato (Cass. 4 maggio 2005, n. 9275), quale può essere ad esempio, l’atto di precetto. 84 Gli Speciali Immobili & proprietà di diritto del contratto5. Il che non significa che non sia ammessa una certa tolleranza da parte del soggetto che subisce l’altrui inadempimento, che risulta pienamente legittimato ad averne inizialmente, in un’ottica di buona fede e correttezza, principi cardine del nostro ordinamento validi per ogni obbligazione specie per quelle di carattere contrattuale. La giurisprudenza è solida nel sostenere la facoltà per il creditore di mutare il proprio atteggiamento successivamente o addirittura contestualmente all’atto di tolleranza, laddove l’inadempimento si protragga oltremodo6. Con previsione, tra le clausole del contratto di rent to buy, anche di quella di risoluzione espressa in caso di inadempimento, al concedente è evitato quindi di dovere fornire la prova del grave inadempimento, una volta manifestata la sua volontà di avvalersene. La forma di atto pubblico del contratto con la previsione in esso della clausola risolutiva espressa in caso di inadempimento consentono al concedente di evitare tutta la fase di giudizio prodromica all’ottenimento del titolo esecutivo ed di richiedere subito l’intervento dell’ufficiale giudiziario per il rilascio dell’immobile. La clausola deve essere tuttavia configurata in modo preciso, descrivendo con chiarezza il comportamento che ne costituisce l’oggetto: per altra via essa diviene di stile e perde ogni effettività, come nel caso in cui le parti prevedano genericamente che ogni e qualsiasi condotta inadempiente rispetto alle obbligazioni contenute nel contratto cagioni la risoluzione di esso. In tale ottica, ancora va richiamata l’attenzione che il notaio rogante deve prestare nel prevedere con precisione i casi al verificarsi dei quali scatta di diritto l’inadempimento che legittima il concedente ad avvalersi della clausola risolutiva espressa. 5 7 Una volta che la comunicazione di questo intento sia pervenuta alla parte inadempiente, si producono i medesimi effetti che sono propri della domanda giudiziale di risoluzione: da un lato, a far tempo da essa, l’eventuale offerta di adempimento dovrebbe essere qualificata come tardiva e potrebbe dunque essere legittimamente rifiutata dal contraente non inadempiente, dall’altro costui non potrebbe mutare la propria scelta, ormai orientata alla risoluzione, domandando la manutenzione del contratto (Torrente-Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, 1985, 552). 6 In tema di clausola risolutiva espressa, la tolleranza della parte creditrice, che si può estrinsecare tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo, non determina l’eliminazione della clausola per modificazione della disciplina contrattuale, né è sufficiente ad integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove la parte creditrice contestualmente o successivamente all’atto di tolleranza manifesti l’intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore protrazione dell’inadempimento (ex plurimis Cass. 31 ottobre 2013, n. 24564). Immobili & proprietà 2015 L’inadempimento del contratto L’avere il titolo esecutivo per agire facilita, ma però non risolve, il problema del rilascio dell’immobile, perché spesso è proprio la fase dell’esecuzione del rilascio ad essere la più lunga, necessitando della presenza della forza pubblica per eseguire lo sgombero e restando comunque la procedura condizionata dall’esecuzione di altre simili magari già in corso, che impongono all’ufficiale giudiziario di preferirle: ed i tempi si allungano. Il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo (art. 23, comma 2, D.L. n. 133/2014). In questo caso l’immobile deve essere restituito al proprietario, che, se diversamente non è pattuito, acquisisce interamente, a titolo di indennità, i canoni percepiti. Se invece l’inadempimento è del concedente, questi deve restituire al conduttore-promissario acquirente la parte di canone percepita quale acconto sul prezzo di vendita, maggiorato degli interessi legali. In entrambe i casi è comunque fatta salva la facoltà della parte adempiente di chiedere al giudice, ex art. 2932 c.c., la specifica esecuzione del contratto di compravendita dell’immobile (art. 23, comma 3). Infatti, nel caso di inadempimento dell’obbligo di stipulare entro il termine previsto, ancorché non essenziale7, la legge prevede che il contraente non inadempiente possa domandare al giudice l’emissione di una pronunzia che tenga luogo del contratto non concluso. La relativa domanda va trascritta, quand’anche promossa nel corso di un giudizio arbitrale8. Tale trascrizione possiede efficacia Cfr. Cass. 13 maggio 2011 n. 10687 secondo cui l’esperimento dell’azione di esecuzione in forma specificaci sensi dell’art. 2932 c.c., dell’obbligo di concludere un contratto, ove lo stesso sia contenuto in un contratto preliminare prevedente un termine per la relativa stipulazione e questo sia venuto a scadenza, non presuppone necessariamente la natura essenziale di tale termine, né la previa intimazione di una diffida ad adempiere alla controparte, essendo sufficiente le sola condizione oggettiva della mancata stipulazione del negozio definitivo, che determina l’interesse alla pronunzia costitutiva, e non anche necessario un inadempimento imputabile alla parte convenuta. 8 Tale costante affermazione trova il proprio sicuro fondamento nella natura stessa della pubblicità immobiliare, la quale costituisce uno strumento approntato dall’ordinamento per rendere opponibili ai terzi gli atti che vengono trascritti. La trascrizione della domanda giudiziale diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre determina il cd. effetto di prenotazione, per cui la trascrizione della sentenza “che ac- 85 Gli Speciali Immobili & proprietà prenotativa, rendendo irrilevanti gli eventuali atti di disposizione posti in essere nel tempo intercorrente tra l’esecuzione della formalità pubblicitaria e quello della emissione della pronunzia che avesse ad accoglierla9. La disciplina riportata è integrata con una norma speciale (art. 23, comma 6) che si preoccupa della sorte del contratto in caso di fallimento di una delle parti: se interessa il concedente, il contratto prosegue, “fatta salva l’applicazione dell’art. 67, comma 3 lett. c)”; se coinvolge il conduttore, il curatore può sciogliere il contratto, ai sensi dell’art. 72 L. fall., e trovano applicazione le norme sopra richiamate sull’inadempimento del conduttore medesimo. Resta sempre il fatto che il bene viene restituito nello stato manutentivo in cui si trova, usato cioè per tutto il tempo in cui è rimasto occupato dal conduttore inadempiente. Se costui, nell’uso del bene, è stato diligente e scrupoloso, il pregiudizio per la proprietà è limitato; qualora e invece, considerandosi già proprietario perché seriamente intenzionato all’acquisto, abbia apportato migliorie o addizioni non facilmente rimovibili al momento del rilascio, il danno allora aumenta e non è detto che se ne ottenga il risarcimento. Se poi oggetto del contratto di rent to buy è un immobile di nuova costruzione , questo comunque è stato usato, talché non potrà essere rimesso sul mercato come nuovo, con ogni ben comprensibile conseguenza sulla quantificazione del prezzo di vendita. Il che impone l’inserimento nel contratto di apposite clausole che tengano indenne il concedente da simili pregiudizi, soprattutto nel caso in cui la misura del corrispettivo corrisposto dall’occupante sia uguale o di poco superiore al canone di mercato: nulla impedisce quindi di prevedere la possibilità per il concedente di richiedere il risarcimento del maggior danno rispetto al corrispettivo versato e trattenuto. coglie la domanda prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda” (art. 2652 c.c., comma 1, n. 2). Il principio trova pacifica applicazione anche nel caso di domanda di giudizio arbitrale finalizzata all’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita immobiliare (Cass. 5 marzo 2013, n. 5397). 9 La trascrizione della domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di trasferire la proprietà di un bene immobile, rendendo inopponibili al promissario acquirente le alienazioni a terzi effettuate dal promittente venditore in epoca successiva, rende anche “possibile” il trasferimento del bene in favore del promissario acquirente, che, altrimenti, nel suddetto caso di successiva alienazione dell’immobile, secondo i principi generali non potrebbe più avere luogo (Cass. 24 novembre 2014, n. 24960). Immobili & proprietà 2015 Le possibili alternative Occorre dunque realizzare uno schema contrattuale che definisca con precisione le clausole che collegano i due contratti ( locazione e preliminare di vendita) in modo da mantenerne le rispettive caratteristiche e tipicità, senza nel contempo movimentare la fiscalità della vendita prima dell’effettivo trasferimento della proprietà e, non da ultimo, prevedendo un sistema di protezione tale che consenta alle parti di risolvere nel modo migliore le eventuali insorgende contestazioni. I contraenti sono liberi di scegliere la formula che più soddisfa le rispettive esigenze. La più semplice è quella del contratto di locazione con opzione all’acquisto, dove viene concesso al conduttore la facoltà di acquistare l’immobile locatogli entro una determinata data e ad un prezzo fisso ed invariabile già determinato al momento della stipula del contratto, con l’intesa che, nel caso di esercizio della predetta facoltà, una parte del canone versato verrà portato in diminuzione del prezzo di vendita. Trattasi per il vero di un formula che non pone il conduttore-futuro acquirente al riparo da possibili ipoteche e/o trascrizioni pregiudizievoli sull’immobile a carico del proprietario e, ancor più grave, non gli riserva alcuna tutela in caso di fallimento del locatore in quanto il contratto di opzione d’acquisto non è trascrivibile e potendo dunque il curatore sciogliersi dal contratto (di opzione), senza che il conduttore abbia alcun diritto di vedersi restituita la parte del canone versata in diminuzione del prezzo d’acquisto. Il contratto con opzione non garantisce nemmeno il venditore, che non ha alcuna sicurezza circa l’esercizio da parte del conduttore dell’opzione all’acquisto, restando per contro lui impegnato a non vendere a terzi l’immobile locato per tutta la durata dell’opzione stessa. Inoltre, in caso di inadempimento del conduttore, può incontrare notevoli difficoltà nel riottenere la disponibilità dell’immobile, con conseguente pregiudizio per le possibilità di vendita del bene a terzi: sotto tale profilo, è bene stabilire una penale nel caso di ritardo nella riconsegna del bene locato. Un’altra tipologia usata è quella del contratto di locazione con patto di futura vendita. Trattasi di uno schema contrattuale più complesso con il quale il locatore promette di vendere al conduttore, che promette di acquistare, l’immobile oggetto della locazione verso un determinato prezzo che verrà corrisposto, in tutto o in parte, attraverso il versamento 86 Gli Speciali Immobili & proprietà dei canoni mensili: questi vengono quindi da subito considerati come acconti sul corrispettivo pattuito per la vendita. Solitamente il futuro acquirente, nel prendere possesso del bene, versa un acconto al venditore pari al 5-6% del valore della compravendita. Il resto, in tutto o in parte, lo verserà con importi mensili pari ai canoni di locazione previsti nel contratto. È sempre bene che il contratto venga stipulato con atto notarile e trascritto nei Registri immobiliari, così che il conduttore-promissario acquirente possa comunque tutelarsi contro possibili pregiudizi derivati da iscrizioni pregiudizievoli sull’immobile (pignoramenti, ipoteche, ecc.) che possano danneggiarlo (sino ad impedirgli di rogitare) oppure, se non altro, rendere più complicata la conclusione del contratto definitivo. Anche in tale tipologia di contratto il conduttore è immesso nella detenzione del bene in forza di un contratto di locazione e non già per una anticipazione degli effetti del contratto preliminare o addirittura di quello definitivo di compravendita. Se entro il triennio il conduttore ritiene di non riuscire ad acquistare, continua a condurre il ben n locazione, ben potendo però cedere ad altri, magari a prezzo più elevato, la posizione contrattuale di potenziale futuro acquirente. Le due soluzioni possono dunque così riassumersi. Quanto alla locazione con opzione all’acquisto: - viene stipulato contratto di locazione ordinario e un più contratto di opzione per l’acquisto del bene locato; - il conduttore ha la facoltà di acquistare e non l’obbligo; - il prezzo viene versato, in tutto o in parte, con i canoni; - in caso di fallimento del locatore il curatore può sciogliere il contratto; - il locatore comincia a percepire i canoni e riduce i costi dell’immobile; - il conduttore gode subito di un bene che ha la facoltà di comprare imputando i canoni ad acconto prezzo. Quanto invece alla locazione con preliminare d’acquisto: - si procede alla stipulato contratto di locazione ordinario e contestualmente ad un contratto preliminare di compravendita, così che il conduttore è obbligato a comprare ed il locatore a vendere; - il prezzo viene versato, in tutto o in parte, con i canoni; - occorre porre a carico del conduttore anche le Immobili & proprietà 2015 spese straordinarie; - in caso di inadempimento del conduttore possono sorgere difficoltà nel riottenere la disponibilità dell’immobile. È bene stabilire una penale in caso di ritardo nel rilascio; - se il contratto preliminare si risolve il locatore non deve restituire quanto percepito a titolo di canoni; - in caso di fallimento, se il preliminare è trascritto, il curatore non può sciogliere il contratto, quando si tratti di abitazione principale dell’acquirente. Chi vende non perde la proprietà della casa sino a quando il prezzo non sarà interamente versato e nel contempo ha maggiore certezza che il conduttore acquirente, proprio in vista dell’acquisto del bene locato, continuerà con puntualità a versare il canone, quale che fosse la rata di un mutuo. Le differenze con l’affitto a riscatto Con la formula del “rent to buy” il venditore non assume affatto la figura del finanziatore dell’acquirente, ma si limita ad agevolare l’acquirente nella tempistica del rogito, congelando il prezzo della vendita ed ampliando in tal modo la potenziale propria clientela. Il rent to buy è semplicemente un programma preparatorio attraverso il quale l’acquirente ha la possibilità di mettersi nelle condizioni di ottenere il mutuo e nel contempo di godere del bene. Il venditore agevola semplicemente l’acquirente nella tempistica del rogito senza sostituirsi alla banca come finanziatore. L’acquisto programmato si basa principalmente sul contratto preliminare di compravendita. È una vera e propria compravendita che prevede il versamento di un acconto iniziale e il versamento di una rata mensile che va in parte a scorporare il prezzo dell’immobile. Il rent to buy è dunque una compravendita trascrivibile. Così non può dirsi invece per l’affitto con riscatto, essendo questa una formula d’acquisto che basa il suo funzionamento sull’utilizzo di un contratto di locazione. I canoni mensili sono dei veri e propri canoni di affitto ed al termine del rapporto locativo l’inquilino ha la possibilità di “riscattare” l’immobile e di ottenerne la piena proprietà. Tutte le somme versate a titolo di canone di locazione non vengono convertite in acconto sul prezzo della compravendita, ma semplicemente dedotte dal prezzo pattuito quasi a considerarsi come “sconto” da parte del venditore. Il rent to buy, a differenza dell’affitto con riscatto dove il venditore finanzia 87 Gli Speciali Immobili & proprietà l’acquirente con un pagamento rateizzato sotto forma di affitto, è un mezzo che il primo può usare per agevolare il secondo nella tempistica del rogito (posticipandolo) e nel congelamento del prezzo, lasciando comunque al mondo bancario il compito di finanziarlo. Con il rent to buy l’acquirente ha la possibilità di crearsi uno “storico creditizio”, finalizzato a migliorare il proprio reating (punteggio) per ottenere un mutuo con più facilità ed alle migliori condizioni di mercato (non solo in termini di spread ma anche in termini di costi accessori). Si crea inoltre un “primo vantaggio finanziario”, grazie al quale l’acquirente, versando mensilmente al venditore un importo equivalente ad un normale affitto, se ne vede accantonare il 50% come acconto sul prezzo, elevando così il suo deposito iniziale senza appesantire il proprio bilancio familiare. Si crea anche un secondo “vantaggio finanziario”, derivante dalla posticipazione di tutti i costi e le imposte relative al mutuo ed al rogito notarile. C’è comunque, di fatto, un periodo di prova durante il quale, se mutano le esigenze, si può vendere l’immobile ad un terzo soggetto con la semplice cessione dai contratti, ottenendo magari anche vantaggio economico. Gli aspetti fiscali Si è visto che nel nuovo contratto del ret to buy introdotto con il decreto c.d. “Sblocca Italia” si fondono un contratto di locazione e un preliminare di compravendita di immobile, in esecuzione ai quali il proprietario consegna subito il bene al conduttore-futuro promissario acquirente verso il pagamento di un corrispettivo che, decorso un certo tempo, andrà detratto, in tutto o in parte, dal prezzo di vendita, se ed in quanto questa si realizzerà. La normativa sostanziale intervenuta a tipizzare il contratto di rent to buy non ha disciplinato gli aspetti tributari e fiscali inerenti la fattispecie e tale compito è stato lasciato, come spesso accade, ad una Circolare, la n. 4/E Agenzia delle EntrateDirezione Centrale delle Entrate, del 19 febbraio 2015. Nella compravendita “Rent to Buy” è a escludere qualsiasi intento elusivo: non si vuole rinviare la tassazione di una vendita già conclusa, ma semplicemente affrontare la corretta tassazione nel momento in cui questa vendita, di cui oggi si sta solamente costruendo i presupposti affinché si possa effettivamente realizzare, si concretizzerà grazie Immobili & proprietà 2015 all’ottenimento di un mutuo o al verificarsi della vendita di un immobile usato. Il venditore dichiara il proprio ricavo e paga le relative imposte solamente nel momento in cui lo ha effettivamente percepito. Così come è giusto che l’acquirente paghi le proprie imposte sulla compravendita solamente nel momento in cui la riesce effettivamente a concretizzare, grazie all’ottenimento del mutuo. Tutto questo, per quanto logico e condivisibile che sia, rischia di essere messo in discussione se non vi sono dei contratti assolutamente perfetti. Qualora il soggetto concedente agisca nella qualità di imprenditore, occorre individuare la parte dei canoni imputata corrispettivo della locazione e quella invece da imputarsi ad anticipazione sul prezzo della vendita. Quanto alla prima, la Circolare afferma l’applicazione per analogia della disciplina prevista in materia di contratti di locazione. Trattasi dunque di operazione rilevante ai fini IVA, ai sensi dell’art. 6, comma 3, d.P.R. n. 633/1972 e che, sia in caso di fabbricati abitativi e sia in caso di fabbricati strumentali per natura costituisce operazione esente Iva, ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 8, d.P.R. n. 633/1972: salva l’ipotesi in cui il concedente sia un’impresa di costruzioni o di ripristino e opti per il regime di imponibilità Iva, nel qual caso il concessionario è tenuto a versare l’Iva sui canoni corrisposti. La base imponibile è costituita dalla somma complessiva della quota dei canoni da imputare a corrispettivo per la concessione in godimento , riferita all’intera durata della concessione in godimento. È ammesso che l’imposta possa essere assolta una tantum per l’intera durata contrattuale oppure annualmente, tenendo, quale base imponibile, la quota dei canoni riferita al corrispettivo per la concessione in godimento per il singolo anno di durata contrattuale. In caso di locazione esente da Iva, la quota dei canoni riferita alla locazione deve essere assoggettata ad imposta di registro con aliquota del 2% (immobili abitativi) o dell’1% (immobili strumentali per natura). Per quanto riguarda invece la parte di canone da imputarsi a corrispettivo per la eventuale cessione definitiva del bene, il trattamento fiscale è del tutto analogo a quello applicabile ai corrispettivi del contratto di vendita, con previsione anche delle imposte ipotecarie e catastali che sono escluse invece nell’ambito del contratto di locazione. L’aliquota Iva dovuta per gli immobili diversi da 88 Gli Speciali Immobili & proprietà quelli rientranti nelle categorie catastali A/1,A/8 e A/9 è quella ordinaria del 10% oppure, in presenza dei presupposti per richiedere le agevolazioni sull’acquisto dell’abitazione primaria , quella agevolata del 4%; per gli immobili rientranti nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 aventi caratteristiche di abitazione di lusso l’aliquota è del 22%. L’imposta di registro, se dovuta in misura proporzionale, è quella ordinaria del 9%, oltre ad imposte ipotecarie e catastali nella misura fissa di € 50,00 per ciascuna di esse; in presenza dei presupposti per l’ottenimento della agevolazioni prima casa quella agevolata del 2%, oltre ad imposte ipotecarie e catastali. Se si tratta infine di beni strumentali per natura, l’unica aliquota applicabile è quella ordinaria del 9%. Quando il soggetto concedente è un privato che non agisce nell’esercizio di impresa, arte o professione, la fattispecie del rent to buy è invece interamente attratta al regime dell’imposta di registro. La Circolare chiarisce che per quanto attiene alla quota dei canoni da imputare a corrispettivo per la concessione in godimento dell’immobile, valgono le medesime regole dettate per il contratto di locazione e dovrà dunque essere applicata l’imposta di registro in misura proporzionale pari al 2%, sia che si tratti di immobile di natura abitativa e sia che si tratti di immobili strumentali per natura. Per la quota da imputarsi ad acconto della vendita, l’imposta di registro da corrispondersi è in misura proporzionale pari al 3% computata sulla somma complessiva delle quote dei singoli canoni da imputarsi ad anticipo per la cessione. Tale versamento sarà scomputato dall’imposta di registro complessivamente dovuta al momento del trasferimento finale. Qualora l’imposta del 3% versata sugli anticipi sia superiore all’imposta dovuta in sede di cessione definitiva, il contribuente può chiedere il rimborso della maggiore imposta versata. Può accadere che anche nel contratto di rent to buy si preveda il versamento di un deposito cauzionale, che immediatamente versa il concessionario al momento della stipula del contratto stesso. Se tale versamento rappresenta effettivamente un deposito cauzionale, con la sua tipica funzione di garantire il concedente da eventuali danni e/o inadempimenti provocati dal concessionario durante l’occupazione dell’immobile, la relativa tassazione si inquadra nella corresponsione dell’aliquota dello 0,50% sull’importo della cauzione, da versare unicamente quando tale deposito sia effettuato da un estraneo al contratto (art. 6, comma 1, TUR). AlcuImmobili & proprietà 2015 na tassazione ha invece luogo nel caso in cui la cauzione viene versata dal diretto interessato al contratto. Resta però il fatto che con frequenza tale deposito, per tacito accordo delle parti, fungerà poi quale ulteriore acconto nel momento del trapasso definitivo della proprietà, con consequenziale tassazione quale corrispettivo della vendita e non già come deposito cauzionale. La conseguenza che ne deriva è che, qualora il concessionario potesse poi, ai fini dell’imposta, godere delle agevolazioni per l’acquisto prima casa, avrebbe un guadagno pari al 1% costituito dalla differenza tra il 3% che sarebbe dovuto se al deposito cauzionale fosse attribuita anche la funzione di acconto sul corrispettivo finale ed il 2% dovuto invece in sede di pagamento del corrispettivo al momento della cessione a titolo oneroso dell’immobile. La Circolare non si è espressa sul punto, neppure con marginale riferimento a chiarire, se non altro sotto il profilo sanzionatorio, la vicenda. Può dirsi allora che è necessario, in presenza di attuazioni volte al versamento di un deposito cauzionale, questo venga contrattualmente definito nella sua esatta funzione giuridica di garanzia, senza farlo entrare nei meccanismi relativi ai corrispettivi per la cessione definitiva e alle eventuali anticipazioni. Solo a tali condizioni potrà essere conservata l’imposizione tributaria più leggera effettivamente riferibile al deposito cauzionale. A ciò consegue la necessità di maggiore attenzione da parte del notaio nel qualificare il deposito cauzionale nel rent to buy, ad evitare che interpretazioni presuntive possano condurre l’Erario a recuperi impositivi privi di fondamento. Imposte dirette In caso di concedente persona fisica, la parte di canoni riferita alla concessione in godimento dell’immobile deve essere assoggettata a imposizione in base alla disciplina dei redditi fondiari, secondo le ordinarie regole previste per i redditi da locazione. Ricorrendone le condizioni, si può esercitare l’opzione per il regime della cedolare secca. In caso di concedente in regime di impresa, durante il periodo di locazione rileva i canoni di locazione, contabilizzando gli acconti sul prezzo come debiti verso il conduttore; solo nella successiva (ed eventuale) fase di vendita dell’immobile emerge il componente di reddito legato alla cessione. 89 Gli Speciali Immobili & proprietà Trattamento fiscale dei canoni riferiti al godimento del bene Concedente Tipologia di fabbricati IVA Registro Impresa Abitativi Esente Proporzionale 2% Impresa Abitativi Imponibile Imposta fissa (€ 67 o 200 a seconda della forma dell’atto) Impresa Impresa Privato Privato Strumentali Strumentali Abitativi Strumentali Esente Imponibile Esclusa Esclusa Proporzionale 1% Proporzionale 1% Proporzionale 2% Proporzionale 2% Trattamento fiscale del corrispettivo della cessione Cedente Tipologia Tipologia di cessione fabbricati Iva Registro / 2% 50,00 50,00 / 9% 50,00 50,00 22%, 10% o esente 200,00 3% 1% Abitazioni prima casa 4% 200,00 200,00 200,00 Altre abitazioni non di lusso 10% 200,00 200,00 200,00 Abitazioni di lusso 22% 200,00 200,00 200,00 Abitazioni prima casa / 2% 50,00 50,00 Altri fabbricati / 9% 50,00 50,00 Cessioni Prima casa esenti da Iva Altri casi Impresa Privato Fabbricati strumentali Cessioni soggette ad Iva Cessioni fuori campo Iva Immobili & proprietà 2015 Ipotecaria Catastale 90