Trionfo e fine di un colosso (la "Bismarck") (1941) Alle 5.57 del giorno 24 maggio 1941, in un'alba livida e fredda, all'uscita del canale di Danimarca, tra l'Islanda e la Groenlandia meridionale, poco a sud del circolo polare artico, in uno scenario biancheggiante di nebbia e di ghiacci, uno strano dialogo si svolgeva, a bordo della nuovissima nave da battaglia britannica Prince of Wales (35.000 tonnellate, due torri quadruple con pezzi da 356, e altri due pezzi dello stesso calibro in una torre binata, velocità 28 nodi e mezzo, 1600 uomini di equipaggio). Il capitano di corvetta McMulIen, direttore di tiro della corazzata, stava dandosi da fare con i suoi cannoni, quando lo chiamò al telefono la voce di un ufficiale della stazione trasmittente, chiuso trenta metri sotto di lui, nella stiva della nave: «Come sta la Hood, signore?», chiese l'ufficiale. «Non troppo bene», rispose imbarazzato McMullen. è andata, non è vero, signore?». MeMullen chiuse gli occhi; aveva ancora nitida la spaventosa visione che trenta secondi prima gli si era presentata, l'immagine di una gigantesca eruzione di fuoco innalzata verso il cielo fra i due alberi della Hood, fino a 300 metri d'altezza, con una palla incandescente che saliva sempre di più. SI, la povera Hood, la "Possente Hood", l'incrociatore da battaglia orgoglio della marina britannica, era proprio andata". Dei suoi 95 ufficiali e 1324 marinai solo un allievo guardiamarina, W.J. Dundas, e due marinai (R.E.Tilburn e il segnalatore A.E.Briggs) poterono essere tratti in salvo. Millequattrocentosedici uomini, compreso il vice ammiraglio Holland, persero la vita, in un combattimento durato meno di otto minuti, dalle 5.49 alle 5.56'30''. La grande nave, che dislocava 44.600 tonnellate, aveva una velocità di 32 nodi, e un armamento di otto cannoni da 381, aveva iniziato, con la prora in giù, il suo ultimo viaggio.L'autrice del massacro era la corazzata tedesca Bismarck, un mostro di inaudita potenza, che dislocava oltre 50.000 tonnellate, navigava a 29 nodi, ed era anch'essa, come la Prìnce of Wales, appena entrata in servizio. 1 suoi otto cannoni da 381 potevano sparare, con incredibile precisione, a vcntitrè chilometri di distanza, mentre anche l'armamento minore (12 cannoni da 150 mm., 16 antiaerei da 105, 16 mitragliere antiaeree da 20 mm.) era formidabile. Il suo equipaggio, perfettamente addestrato e tenuto saldamente in pugno dal capitano di vascello Lindemann, era di 2300 uomini. Sulla nave sventolava anche l'insegna ammiraglia, quella del vice ammiraglio tedesco Gunther Lútjens. Il nome convenzionale dell'operazione nella quale la Hood aveva fatto quella spaventosa fine, era un nome tranquillo: "Esercizio Reno", in tedesco "Rheinúbung". L'esercizio era perfettamente riuscito, come in una manovra. Accanto alla Bismarck, a darle man forte, era l'incrociatore pesante Prinz Eugen, di quasi 14.000 tonnellate, velocità 32 nodi, armato con otto cannoni da 203 mm. e 12 da 102 mm. Il suo equipaggio era comandato dal capitano di vascello Brinckmann.La maggior parte dell'equipaggio della Bismarck era composto da giovanissimi marinai: c'erano anche 500 giovani cadetti dal 16 ai 19 anni, tutti animati da ardore patriottico e convinti della invincibilità della Germania e della Bismarck. Il comandante Lindemann. invece, era un ufficiale "vecchio stile' così come il di rettore di tiro Schneider, principale artefice della distruzione della Hood. Quanto a Lútjens, dal fisico esile e nervoso, capace di fanatiche esaltazioni alternate a cupe depressioni, era un nazista convinto: al termine del combattimento riunì l'equipaggio e tenne un discorso infiammato, mettendo in rilievo che la vittoria coincideva con il suo 52° compleanno.Subito dopo la tragedia della Hood, il contrammiraglio Wake-Walker, imbarcato sull'incrociatore pesante Norfolk, che, con il gemello Suffolk, tallonava da vicino da molte ore, ai margini della banchisa polare, il gruppo formato dalla Bismarck e dal Prinz Eugen, ebbe la spiacevole sorpresa di vedersi di colpo promosso comandante della formazione superstite, che comprendeva anche la Prince of Wales, gravemente danneggiata. Dovette prendere allora alcune rapide e dolorose decisioni. Anzitutto ricevette un rapporto dal comandante Leach, della Prince of Wales, che non lo rassicurò affatto. La grande nave era stata colpita non meno di sette volte, da quattro proiettili da 381 e da tre da 205 mm. Uno dei "381" aveva perforato la plancia passandola da parte a parte e trasformandola in un carnaio, lasciando miracolosamente illeso il solo comandante Leach, buttato a terra e rimasto inebetito per oltre un minuto. Nella sala operazioni, proprio sotto la plancia, cominciò a colare orribilmente il sangue proveniente dal piano superiore, imbrattando e inutilizzando le carte millimetrate di rotta. Le comunicazioni con il timone erano state tagliate, il controllo del fuoco delle batterie secondarie era stato messo fuori uso, due proiettili avevano colpito la linea di immersione a poppa e avevano perforato il fianco della nave. Undici " compartimenti stagni erano stati invasi da 400 tonnellate d'acqua: l'intera torre Y dei cannoni da 3 5 6 era inutilizzata per un guasto al nastro trasportatore dei proiettili. E, quel che è peggio, la Bismarck e la Prinz Eugen, sparando a tutta forza con l'intera artiglieria, non le davano tregua, poiché la distanza era discesa pericolosamente a soli 13.000 metri.In queste condizioni la povera nave, completamente sbandata, stava anch'essa per "andare-, come la Hood, era solo questione di minuti. Wake-Walker ordinò a Leach di virare immediatamente di bordo e di ritirarsi dalla battaglia coprendosi con una cortina di fumo, ordine che, del resto, Leach aveva già cominciato a eseguire per conto proprio. Wake-Walker sperava in Dio, non potendo certo più sperare nella Prince of Wales. E Dio lo accontentò. Misteriosamente, la Bismarck non fece alcun tentativo per inseguire la Prince of Wales, ridotta a un vero colabrodo. Fu vista invece la grande corazzata tedesca con A suo compagno cambiare di colpo la rotta e allontanarsi rapidamente verso sud-ovest. Per la Prince of Wales fu il sottilissimo confine che la separava dall'affondamento e dalla morte: non si saprà mai esattamente come né perché, ma il confine resse.La seconda triste decisione presa da Wake-Walker fu quella di comunicare al comandante in capo della "Home Fleet" , ammiraglio sir John Tovey, e all'Am miragliato, la terribile notizia. Il contrammiraglio lo fece con stile tutto inglese e con sole quattro parole: «Hood saltata in aria», seguite dalle coordinate. Quelle quattro, asciutte e quasi incredibili parole, gettarono la costernazione e il panico dovunque. In sir John Tovey che, sulla corazzata Giorgio V, si trovava in quel momento in mare, circa 200 miglia più a est; all'Ammiragliato di Londra dove, nella sala operazioni, tre importanti personaggi, svegliati di soprassalto, si precipitarono con facce funeree (il contrammiraglio Power, vice capo di S. M. della "Home Fleet", il vice ammiraglio Phillips, vice capo di S. M. della marina, e il primo lord del mare e capo di S. M., ammiraglio sir Dudley Pound). Furono letteralmente buttati giù dal letto dalla notizia anche A. V. Alexander, primo lord dell'ammiragliato, e Winston Churchill, primo ministro. Churchill rimase sbalordito e chiese al primo lord del mare, sir Dudley Pound, e, più tardi, via radio, all'ammiraglio Tovey, che cosa si potesse fare. Le notizie che ebbe non furono confortanti: " La Bismarck e l'altra nave sono intatte, signore », gli fu risposto. " Faremo del nostro meglio per acchiapparle, ma, francamente, temiamo non vi siano molte speranze, coi mezzi di cui disponiamo, e data la potenza del nemico ".Tovey, comunque, nonostante il suo pessimismo. non aveva perso la testa: aveva dato ordine a WakeWalker e al suo gruppo di cercar di tallonare la Bismarck, pur tenendosi accuratamente fuori di portata dei suoi cannoni. Quindi aveva organizzato la gigantesca caccia, chiamando via radio navi da tutti gli angoli dell'oceano. Con sé aveva, oltre alla fortissima Giorgio V, la portaerei Víctorious e l'incrociatore da battaglia Repulse: ordinò quindi alla "Forza H" del vice ammiraglio sir James Somerville, di stanza a Gibilterra, di portarsi verso nord-ovest al più presto con l'incrociatore da battaglia Renown, la portaerei Ark Royal, l'incrociatore pesante Sheffield e sei caccia torpediniere. Richiamò dalla Nuova Scozia la nave di linea Revenge; fece abbandonare all'incrociatore pesante London la scorta a un convoglio; ordinò all'incrociatore pesante Edinburgh, che navigava presso le Azzorre, di far rotta a nord-ovest. Staccò la corazzata Ramillies dalla scorta di un convoglio in Atlantico; infine ordinò alla corazzata Rodney, comandata dal capitano di vascello Dalrymple-Hamilton, che, con quattro cacciatorpediniere (Somali, Mashona, Tartar e Eskimo) scortava un altro convoglio in Atlantico circa 500 miglia al largo della costa irlandese, di tagliare la rotta alla Bismarck.Ma i problemi, per Tovey, erano due. Il primo era che egli si rendeva benissimo conto che, come disse il suo capo di S. M. commodoro Brind, poteva contare per lo più su "ferrivecchi", giacché anche la Rodney era zoppicante e aveva urgente bisogno di riparazioni. L'unica nave che gli dava affidamento era la sua Giorgio V, e le due portaerei, soprattutto l'Ark Royal di Somerville, la quale però era molto lontana dal presumibile luogo della lotta. Il secondo problema era: che cosa avrebbero fatto i tedeschi? Che diavolo aveva in mente il vice ammiraglio Lútjens?In un punto, ad ogni modo, si sbagliava l'ammiraglio Tovey, o, meglio, aveva avuto informazioni inesatte. La Bismarck, a differenza del Prinz Eugen, non era del tutto intatta, ma era stata raggiunta da tre colpi, due di nessuna importanza, uno che aveva attraversato la prua perforando due piccoli serbatoi di nafta. Così la grande nave lasciava dietro di sé una leggera scia di nafta, e per di più, a causa di quel colpo fortunato, altri due più capaci serbatoi (contenenti oltre mille tonnellate di carburante) erano divenuti inaccessibili. Quei miseri colpi, che avevano appena scalfito la formidabile corazzata tedesca, non erano stati comunque sparati dalla Hood, ma dalla Prince of Wales. Pare ormai certo che la Hood non sparò, durante il brevissimo combattimento, che pochi colpi, e per di più sul solo Prinz Eugen, per un inspiegabile errore di calcolo. E tuttavia, nell'ora del suo maggior trionfo, sulla Bismarck si svolgevano aspri dibattiti fra il comandante Lindemann e l'ammiraglio Lútjens. Il difficile, ora, stabilire esattamente quel che i due si dissero, giacché di li a pochi giorni dovevano entrambi perire: ma è un fatto che, per concordi testimonianze, Lindemann e Lútjens litigarono violentemente quella mattina, mentre la Germania tutta esultava e Hitler si preparava a distribuire una pioggia di promozioni e di croci di ferro. Lindemann, marinaio di grande esperienza, sosteneva che bisognava far piazza pulita" dell'altra corazzata inglese (egli ignorava come si chiamasse) e quindi sospendere la prevista operazione di guerra corsara in Atlantico contro i convogli e tornarsene subito in Germania per la medesima strada "polare" da cui la Bismarck e il Prinz Eugen erano sbucati.. Lútjens, nazista convinto e mediocre ammiraglio, affermava testardamente che occorreva scegliere l'alternativa più rischiosa di continuare nel programma stabilito (il "Rheinúbung"), andando in Atlantico e poi, magari, tentando di raggiungere qualche porto francese, Bordeaux o Brest.il suo parere, ovviamente, prevalse. Sta di fatto che, nelle prime ore di quel pomeriggio del 24 maggio, mentre Norfolk e Suffolk, con l'azzoppata Prince of Wales, continuavano il cauto tallonamento al gruppo tedesco, Lútjens ordinò al Prínz Eugen di distaccarsi e di svolgere -azioni autonome in Atlantico". Brinckmann, comandante del Prinz Eugen, poco persuaso delle qualità strategiche di Lútjens, obbedì all'ordine soltanto a metà: lasciò la Bismarck, sebbene a malincuore, ma, non appena in Atlantico, si avviò alla chetichella e alla massima velocità verso i porti della Francia, facendo perdere ogni traccia di sé e raggiungendo felicemente Brest il I giugno.Quale fu il concetto informatore di Lútjens? L’ arduo, adesso, ricostruirlo. Il 18 maggio, quasi una settimana prima, egli aveva ricevuto precisi ordini dal grande ammiraglio Raeder di salpare da Gdynia (Gotenhafen) e di far la guerra di corsa in Atlantico: probabilmente a questi ordini egli volle tenacemente e ciecamente attenersi, nonostante la nuova realtà. Del resto, già il 20 maggio, allorchè aveva passato lo Skagerrak. si era accorto che agli inglesi non erano sfuggite le sue mosse: il 21-22 maggio, dopo aver raggiunta Bergen, approfittando della nebbia aveva iniziato un ampio volteggio a nord dell'Atlantico, passando molto a settentrione dell'Islanda. Il 23 maggio, a mezzogiorno, era entrato nel canale di Danimarca e, al calar della notte, era stato avvistato dai due incrociatori inglesi di Wake-Walker, il Norfolk e il Suffolk, che, muniti di radar, l'avevano seguito, segnalando la sua rotta al gruppo Hood-Prince of Wales, proveniente da sud-est. Lo scontro era stato vittorioso per la Bismarck, ma Norfolk e Suffolk avevano continuato l'inseguimento. Questo inseguimento, però, era pericolosissimo: per due volte, nel corso della giornata, la Bimarck si era di colpo "voltata" e i due incrociatori, pur muniti come s e detto di radar, erano quasi caduti nella trappola, rischiando l'affondamento. Alle 18.30, per esempio, la Bismarck, uscita improvvisamente da un banco di nebbia, aveva aperto il fuoco con tutte le sue batterle sugli incrociatori, che per puro miracolo non erano stati colpiti. Nel frattempo la Bismarck era stata attaccata da aerei "Swordfish" della Victorious, che però avevano mancato il bersaglio.Le cose stavano a questo punto quando, alle tre di notte del 25 maggio, il Suffolk perse il contatto con la Bismarck, che in quel momento continuava la sua avanzata nell'Atlantico, a sud della Groenlandia. Quasi contemporaneamente la Bismarck virò di bordo, dirigendosi a sud-est, verso la Francia, e per trentun ore nessuno ne seppe più nulla.Questo contrattempo fece quasi perdere all'ammiraglio Tovey la speranza di poter intercettare la corazzata tedesca. Per trentun ore egli vagò alla cieca, su e giù per l'Atlantico, e quando, alle 10.30 del 26 maggio, la Bismarck venne nuovamente avvistata per caso da un aereo Catalini della RAF, era cosi avanzata verso la Francia e aveva tanto distanziato gli inseguitori, sparsi un po' dappertutto, che le probabilità di acchiapparla per Tovey (lontano 110 miglia) si erano ridotte quasi a zero. Pure, l'ammiraglio non mollò, sperando in un colpo di fortuna. Ma, per il momento, la fortuna non parve essergli amica. Gli attacchi aerei portati dalla Ark Royal della "Forza H" di Gibilterra, al coniando di James Somerville (la formazione navale, cioè, più vicina alla Bismarck), diedero sulle prime risultati disastrosi, e ormai anche la Giorgio V di Tovey e parecchie altre navi avevano i serbatoi di nafta quasi vuoti. La cessazione dell'inseguimento era prossima e Tovey, cautamente, annunciò a Churchill e all'Ammiragliato che si preparava ad abbandonare la caccia. Dalle 20.55 alle 21.25 del 26 maggio si susseguirono ancora gli attacchi aerei dei coraggiosi piloti dell'Ark Royal, guidati dal comandante Maund, ma non' parve a essi di aver messo alcun colpo a segno. Anzi, proprio in quel momento, l'incrociatore Sheffield, avvicinatosi troppo alla Bismarck, fu colpito dalla sua artiglieria, ebbe parecchi morti a bordo, il radar distrutto e dovette fuggire precipitosamente. Tovey aveva ancora una volta ricevuto lo sconfortante messaggio dei piloti dell'Ark Royal: ,Probabilmente nessun colpo a segno". Egli pensò che, ormai, tutto fosse finito. Pure, proprio in quella serata disastrosa, gli vennero trasmessi più volte dati contrastanti sulla velocità e sulla rotta della Bismarck. Nessuno, sulla nave ammiraglia inglese, ci capiva nulla: sembrava quasi che la corazzata tedesca stesse girando in tondo, proprio in vista delle coste francesi. Nella mente di Tovey cominciò a poco a poco a farsi strada l'idea che, forse, la Bismarck fosse stata colpita da un siluro aereo: in realtà, senza -che sul momento i piloti inglesi se ne accorgessero, l'ultimo lancio di uno "Swordfish" dell'Ark Royal (non si sa neppur oggi da chi pilotato) aveva raggiunto la Bismarck nell'unico punto vulnerabile: il timone. La nave, divenuta ingovernabile, cominciò a descrivere rotte circolari, una più bizzarra dell'altra. La sua morte era ormai questione di ore.Che cosa, in quel drammatici momenti, era successo sulla corazzata tedesca, lo si seppe dopo, dai pochi superstiti: già prima che la Bismarck fosse colpita Lùtjens si era andato convincendo che la nave non aveva possibilità di scampo. Tenne però, a più riprese, bellicosi discorsi sull'equipaggio, lasciando credere che presto sarebbero venuti in soccorso aerei e sommergibili. Quando il siluro dello "Swordfish" bloccò i timoni alla banda, il panico s'impadronì di Lútjens e di una parte dell'equipaggio: venne promessa l'insegna di cavaliere della croce di ferro a chiunque fosse riuscito a riparare l'avaria. Furono fermate le macchine e un palombaro venne calato in acqua, ma nonostante i suoi sforzi tutto fu inutile. Fu allora che Lútjens tenne ancora un discorso retorico all'equipaggio («Resisteremo fino all'ultimo e moriremo al posti di combattimento») che peraltro non aveva incoraggiato gran che i morituri, ormai divenuti apatici e indifferenti. Quindi l'ammiraglio inviò a Hitler l'estremo messaggio: ,Combatteremo fino all'ultima granata» e si ritirò nella sua cabina. A Lindemann disse: " Fate ciò che volete. Per me è finita ". In realtà da allora egli non diede più alcun ordine e fu Lindemann a sostenere l'impari duello conclusivo.Non appena Tovey si rese conto della situazione della Bismarck, ordinò al capitano di vascello Viali, comandante i cacciatorpedinieri della Forza H-, di attaccare la nave tedesca: l'attacco non ebbe gran successo, ma ormai stavano giungendo a tutta forza la Giorgio V e la Rodney con le ultime gocce di carburante. La parola d'ordine era: "Tutti addosso alla Bismarck. Non datele tregua fino alla completa distruzione". L'ultimo atto della tragedia stava per incominciare.Poco dopo le otto del mattino del 27 maggio Rodney e Giorgio V, con gli incrociatori Norfolk e Dorsetshire, avvistarono la nave ormai condannata. Alle 8.47 la Rodney apri il fuoco, imitata subito dalla Giorgio V. La Bismarck si difese disperatamente e, pur senza poter governare, inquadrò dapprima la Rodney con le sue artiglierie. Ma a poco a poco, sempre più spesso, venne inesorabilmente colpita. Anche il morale di una parte degli uomini s'indebolì gradualmente, nonostante i sovrumani sforzi degli ufficiali: i serventi di una torre si ammutinarono, e in un'altra torre corazzata, dove alcuni si rifiutarono di obbedire, un ufficiale dovette abbattere i ribelli a rivoltellate. Del resto, ormai, c'era ben poco da fare. Alle 10 la corazzata tedesca non era che un pontone semidistrutto e grondante sangue e suo' pezzi erano stati ridotti al silenzio. Pure, fino alle 10.40, non affondò e ci vollero tre siluri del Dorsetshire per finirla. Affondò di poppa, sparendo con la bandiera di guerra tedesca al vento, si capovolse e scomparve. Dei 2300 uomini di equipaggio solo 110 vennero salvati: fra i morti furono sia Lútjens sia A valoroso Lindemann. I sopravvissuti avrebbero potuto essere di più se, mentre si svolgeva l'opera di salvataggio, non fosse stata segnalata la notizia (risultata poi falsa) che si avvicinavano sommergibili tedeschi. Le navi britanniche abbandonarono così in mare, condannandoli a una morte certa, centinaia di altri marinai della corazzata. Dal momento in cui era stata scoperta, la Bismarck aveva seminato- i suoi inseguitori per oltre 3.000 miglia (5.000 chilometri) e per un pelo non aveva raggiunto trionfalmente i porti francesi. Il pericolo, per l'Inghilterra, era stato tale che, allorché gli venne annunziato l'affondamento, Winston Churchill si lasciò cadere disfatto su una poltrona e, asciugandosi il sudore, chiese un whisky doppio. Il