Il Cavaliere e le sue Armi Ricerca a cura di Andrea, Federico e Gabriele SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO “PAPA GIOVANNI XXIII” ANNO SCOLASTICO 2015/16 1^A Il Cavaliere e le sue Armi LA SPADA La spada era l’arma più importante del cavaliere, il simbolo stesso della cavalleria. Fin verso la fine del Duecento, la tipica spada da combattimento era a lama larga ed a doppio taglio; ma, con il diffondersi delle armature a piastre, vennero in uso spade più lunghe e sottili, adatte a colpire di punta, così da infilarsi nei sottili spazi, tra una piastra e l’altra. Le origini di quest’arma si perdono nella notte dei tempi tanto che Goffredo di Crollalanza nella sua celebre Enciclopedia Araldico – cavalleresca ne attribuisce l’invenzione a Tubal Kain figlio di Lamek e di Silla. Tubal Kain è un discendente di Caino ed è considerato dalla Genesi (4,17) come “il fabbro, padre di tutti i lavoratori del rame e del ferro”. Quest’arma è stata da sempre mitizzata nelle varie epoche storiche, si pensi alla spada di Re Artù “Excalibur” che deriva in particolare dai miti germanici, tanto da entrare nei riti più solenni, qual è quello, ad esempio, dell’incoronazione. Spada detta di Carlomagno. Inizio secolo XIII. Usata per molti secoli per l’incoronazione dei re di Francia. Esempio di riproduzione di una spada bastarda. Tornando alla storia dell’arma, diremo che compare nel periodo preistorico come derivazione del pugnale litico ossia di pietra e pertanto fu, in principio, corta, ma con l’avvento del bronzo giunse a superare i 90 cm. Cominciò come stocco, ossia come arma da colpi di punta; poi quando si rese evidente la possibilità di usare anche il taglio nacque la necessità del filo nonchè quella di un rinforzo al punto d’unione fra la lama e l’impugnatura. Si cominciò ricavando in quest’ultima un alloggiamento per il tallone e, infine, si gettarono in un sol pezzo lama e codolo, dando a questo una modellatura tale da permettere il completamento dell’impugnatura stessa con placche in osso o legno o altro materiale, fermate da perni metallici detti rivetti. L’arma si compone essenzialmente di due parti, suddivise a loro volta in altre: “Suddivisione di una spada” L’impugnatura: Questa parte della spada è quella adibita alla protezione e alla presa della spada; è divisa in elsa, manico e pomolo. Diversi esempi di impugnatura in uso negli anni. Elsa: Questo nome va attribuito alla barra trasversale che divide, l’impugnatura dalla lama, e che si è venuta progressivamente arricchendo nei secoli di archetti e di arresti, di ponti, rami e anelli, i quali permettono l’ingaggio della lama avversa e, soprattutto, la protezione della mano. Manico: è la parte dell’impugnatura sulla quale poggerà la mano dominante delle schermitore; era spesso costituita da un’anima in legno rivestita di pelle, ma sono stati ritrovati esemplari composti da osso o ferro stesso. Pomolo: è la parte terminale della spada, serve principalmente a bilanciarne il peso, tuttavia è estremamente versatile in quanto permette una discreta presa nel caso si impugni una spada (ad esempio una spada a una mano e mezza) con entrambe le mani; permette inoltre di infliggere pesanti colpi alle zone scoperte del nemico se l’avversario è molto vicino o, insieme all’elsa, di impugnare la spada al contrario e agitarla come una pesante mazza. La lama: Essenzialmente divisa in due, codolo e lama vera e propria: è la parte della spada meglio destinata a infliggere e parare colpi. Codolo: è la parte finale della lama, molto ristretta serve ad ospitare elsa, manico e pomolo. Rimane qualche cm oltre tale misura in modo da venire poi battuta e ripiegata per rendere l’impugnatura stabile. La lama: è la parte dell’arma esposta dopo l’impugnatura. Non è tutta affilata come si pensa, anzi; è idealmente divisa, partendo dall’impugnatura, in forte (parte utilizzata prevalentemente per le parate), medio (parte dedicata si alle parate ma anche ai giochi schermistici come prese, botte di ferro, ecc.) e debole. Solo quest’ultima parte è affilata ed è dedicata al ferire l’avversario o a penetrare nelle sue difese. Sarebbe sciocco pensare di incorporare in un trattato tutte le varianti di spada esistite in un secolo di storia, tuttavia possiamo provare a riassumerne alcune. A. B. C. D. E. F. G. H. Sciabola Scimitarra Spada ad una mano Spada a lama larga Spada a punta o stocco Spada lunga Spada a una mano e mezza o bastarda Spadone a due mani IL FALCIONE Molto simile ad una spada quest’arma merita un discorso a parte. Si presume che quest’arma sia nata da umili origini, molto probabilmente si trattava di un attrezzo agricolo utilizzato prima del 1200 riadattato poi come arma. Questa “spada” possiede un unico filo, ed è particolarmente adatta a assestare potenti colpi di filo dritto. L’arma assembla il peso e la potenza di un’ascia con la versatilità di una spada. Il falcione si trova in diverse forme dall’undicesimo secolo fino al sedicesimo. In alcune forme il falcione può assomigliare ad una sciabola. In alcune rappresentazioni questo è molto simile ad un machete munito di guardia o paramano. La lama concentra molto peso alla sua fine, cosa che rende l’arma più adatta al taglio come una mannaia. Alcuni esemplari di quest’arma sono sopravvissuti nei secoli e mostrano che il falcione era grossomodo lungo dai 75 ai 99 Cm con una guardia in proporzione di 10-15 Cm e un peso variabile da 1,4 a 2 Kg. Falcione diffuso nella Norvegia attorno alla metà del XIV secolo Falcione del British Museum ritrovato a Hamburg Riproduzione di una spada-falcione del 1300 LA DAGA La daga è una spada corta a lama larga e diritta. In origine fu importata da popolazioni barbare e adottata dalle legioni romane in quanto comoda, maneggevole e molto robusta, caratteristiche che la rendevano adatta a combattimenti ravvicinati. La forma triangolare della lama e la sua larghezza la rendevano robusta e difficile da deformare così da poter essere utilizzata per bucare le corazze dei nemici; tali caratteristiche comuni ad altre lame romane inducono a classificare la daga tra le armi da punta piuttosto che tra quelle da taglio propriamente dette. Molto usata per tutto il medioevo presentava una lama a V lunga circa 35 cm. Tipici esempi sono la daga a rognoni o la daga a rondelle. Due daghe a rognone Daga a rondella Successivamente assunse una forma più classica, con lama piatta e stretta, utilizzata da sola, accompagnata dalla cappa o come mano-sinistra. Pugnale o corta spada da usare con la mano sinistra nei duelli. LO STILETTO Lo stiletto ha iniziato a guadagnarsi la sua fama durante il Medioevo quando era popolare come strumento contro i cavalieri pesantemente corazzati perché la sua lama sottile poteva passare agilmente attraverso le maglie della cotta. Inoltre, lo stiletto, è stata una delle armi preferite dagli assassini, perché era un'arma facile da nascondere, che si poteva tenere in una manica o sotto il mantello. L'assassino poteva indossare abiti comuni, e colpire senza troppa violenza: data infatti l'estrema capacità di penetrazione della lama era sufficiente spingere con forza, evitando così di farsi notare e rendendo difficile una successiva identificazione. Fu considerato, nel corso dei secoli, quasi sempre come arma particolarmente insidiosa e, a fasi alterne, ne fu proibito il porto e, naturalmente, l'uso. L’ASCIA (Scure) Un nome improprio per definire uno strumento usato fin dall’antichità. La scure, questo il termine corretto,fu uno strumento, spesso di origine contadina, usato perfino ai tempi degli egizi, greci, babilonesi e da tutte le culture del mondo come arma da battaglia. Questo oggetto è tra quelli che meno ha subito evoluzione nel corso degli anni, rimanendo per lo più immutato nei secoli. L’unica grande evoluzione si ha quando venne allungato il manico fino a trasformarlo prima nel mazzapicchio e poi nelle varie differenziazioni di alabarda. Esistono nel medioevo due tipi fondamentali di scure. Quelle di tipo corto, a lama a mezzaluna, che si usano con una sola mano (tra cui la francesca, ascia da lancio dei Franchi) e quelle lunghe, come quella danese a due mani, con lama che termina verso l’alto a punta, quindi permette l’uso anche di punta. L’ascia a due mani era, a detta delle cronache del tempo, capace nelle mani di un valido huskarl di spaccare con un sol colpo cavallo e cavaliere, come impararono a loro spese i Normanni ad Hastings (1066). Da notare che seppur minime le varianti della scure aggiunsero nuovi possibili colpi dopo la metà del 1300, quando in battaglia era ormai frequente trovare un cavaliere o un fante corazzato con piastre di metallo. Riproduzione di ascia danese Replica di una Francesca Infatti, sebbene all’inizio fossero oggetti più simili alle scure contadine, vennero dapprima rovesciate le teste delle scuri per infliggere maggiori danni a un bersaglio alto e per sfruttare , seppur minimamente, i colpi di punta, e poi modificate le forme e allungati i manici, in modo da avere una superficie minore di impatto ( come nel caso dell’ascia danese) o aggiunte punte in testa e sul retro della lama per essere usate come martelli d’arme o piccole picche. Riproduzioni di scuri da guerra e loro evoluzione Da qui in poi infatti si iniziano a vedere le prime vere e proprie scuri d’arme che saranno la vera evoluzione di quest’oggetto, usato persino ai giorni nostri dalle truppe americane. Inoltre fu proprio l’idea di allungare di molto il manico a mostrare le prime avvisaglie di alabarde svizzere. Una sorta di mito è la famosa ascia bipenne; la quale non fa assolutamente parte del panorama delle armi medievali. Anzi, storicamente l’unica ascia bipenne accertata è la labrys cretese, e stiamo parlando del XVI – XV secolo a.C. e il cui uso in effetti sarebbe attestato come prettamente cerimoniale. Per quanto sia possibile che armi a due lame siano esistite e siano state portate in guerra, il loro uso sarebbe stato aimè meglio adatto a un uso contadino, lavorativo o cerimoniale, visto che aumentando il peso e raddoppiando la superficie di taglio si aumenta considerevolmente la forza del colpo (utile però esclusivamente con un lento movimento a tirare giù un albero) e si dimezza l’usura dell’oggetto(ottimo per non dover affilare la scure troppo spesso). Difficile sarebbe stato muoversi per un campo di battaglia con un oggetto pesante il doppio, molto lento e l’occupare lo spazio di una seconda penna con qualcosa di diverso da una punta o un uncino si sarebbe rivelato controproducente. Molto interessante è il fatto che la scure rientri nella dotazione standard dei templari infatti, secondo il loro Codice, loro e tutti gli ordini militari ne fecero ampio uso durante le crociate e nel periodo subito seguente. Scuri del 1300 LE MAZZE Le mazze si dividono essenzialmente in tre gruppi, quelle a forma di un grande martello, chiamate martelli d’arme, quelle con una grande palla come parte terminale e quelle che uniscono la palla di ferro terminale con una catena al legno denominate mazzafrusti. Di mazze ne esistono diverse; lamellari (tipiche del medio oriente, e utilizzate dai crociati), di semplici e di borchiate. La mazza tipica è un’arma che trova le sue origini agli albori dell’umanità. Consiste in una testa di ferro o legno duro montata su un manico di legno e sovente di metallo. L’elaborazione della mazza ferrata letteralmente esplode nel XIV e XV secolo d.C., quando le mazze, i martelli da guerra e i flagelli diventano le tipiche armi contro le pesanti armature e scudi dei cavalieri nobili. Vari esempi di mazze d’arme Un martello d’arme a becco di corvo Vari tipi di martelli d’arme La mazza non richiede molto addestramento, ma è un’arma dalla grande inerzia, che può lasciare scoperti se il primo colpo non va a segno ma che si presenta praticamente fatale in caso l’attaccato non riesca a parare o schivare il colpo. Se la mazza altro non è che l’evoluzione della preistorica clava, è proprio durante il medioevo che i trebbi usati per battere il grano vengono trasformati in vere e proprie armi. Molto interessate è da notare l’evoluzione di questo oggetto. Il trebbio è uno strumento formato da due bastoni (uno lungo come un uomo e uno lungo circa la metà) uniti da una catena o fitto cordame, che durante le guerre contadine si è evoluto come arma, dapprima innestando chiodi e rinforzi sulla parte più corta, poi invece sostituendola con una o più palle di metallo chiodate, le quali ruotando generavano un immenso potere d’impatto. E’interessante notare come nell’immaginario collettivo questo strumento sia entrato come molto più corto, tuttavia c’è una spiegazione. Il mazzafrusto fu famoso durante le battaglie, ma fu usato prevalentemente dalle classi meno ricche, e necessitava inoltre di un notevole spazio per essere maneggiato, per questo motivo era adatto ai ranghi di fanteria. Inoltre essendo costruito per gran parte in legno e usato solo in battaglia (e probabilmente ritrasformato in attrezzo agricolo al termine di quest’ultima per limitare l’usura del ferro, materiale certo più costoso del legno) nei secoli i ritrovamenti sono strati davvero minimi. Il mazzafrusto che oggi meglio si ricorda fu quello da cavaliere; spesso formato da una sola palla legata ed una catena era molto più corto, e si poteva impugnare ad una mano o legare alla sella del cavallo in modo che la cavalcata stessa lo facesse roteare con ovvi vantaggi. Ovviamente essendo uno strumento da cavaliere, e perciò da nobile, i ritrovamenti sono stati più comuni per questo oggetto che è stato conservato più facilmente in castelli e residenze. Le armi da taglio come le spade, possiedono un enorme pregio rispetto alle armi della categoria delle mazze o delle asce: hanno il peso distribuito in maniera bilanciato. Essere un’arma bilanciata significa che il combattente riesca senza troppa difficoltà a colpire e a rimettersi in posizione di guardia. Dove per posizione di guardia si intende con l’arma pronta ad essere usata per eventuali parate! Le mazze, a differenza delle spade, hanno il peso concentrato ad una estremità, e questo ha due principali conseguenze. Intanto l’effetto leva e la forza d’impatto che riescono a generare è molto più grande (nonostante il danno sia contundente invece che da taglio) rispetto ad una spada. Ma, secondariamente, solo le persone veramente forti ed allenate riusciranno a usare una mazza, immediatamente dopo un colpo, anche per difendersi. IL MARTELLO DA GUERRA Una delle armi più pesanti, capace di infliggere il maggior numero di danni andando a segno su un malcapitato avversario. Un’arma del genere è grande, pesante, difficile da parare ed estremamente brutale negli effetti, maciullando ossa, muscoli, tendini e armature senza distinzione andando a segno. La forza necessaria ad usare efficacemente un’arma del genere è elevata, l’attacco non è dei più veloci, la difesa e le tecniche di parata non sono le migliori, ma la forza d’impatto è veramente terrificante. LE ARMI AD ASTA Elencare tutte le varianti di armi ad asta in uso durante il medioevo sarebbe un lavoro immenso, in ogni caso possiamo provare a dividere le armi ad asta in tre diverse categorie: le armi ad asta atte a tagliare, quelle atte a perforare e spaccare e quelle che solitamente venivano impiegate per il lancio. La picca è senza dubbio la miglior rappresentazione di arma atta a perforare, è famosa specie per i ranghi di picchieri che, usando quest’arma, si opponevano coraggiosamente alle cariche di cavalleria letteralmente impalando cavallo e cavaliere in carica. Di simile uso è lo spiedo lanzichenecco, evoluto dalla pala da porci italiana, usata in modo similare ai picchieri tuttavia per un uso diverso, la caccia al cinghiale. Lo spiedo da caccia o il buttafuoco sono varianti di quest’arma. Una falange di picchieri L’alabarda è forse la miglior rappresentazione di un arma innestata da taglio. In principio consisteva fondamentalmente in una scure innestata su di un palo molto lungo (circa 2-3 metri). Nell’immagine seguente si vedono le varie evoluzioni dell’alabarda e conseguentemente del falcione o roncone, ovvero l’innesto di una punta in apice e di un uncino nella parte posteriore per disarcionare il cavaliere. Il falcione innestato invece è un’arma che si è sviluppata verso la fine del XIV secolo e se allungare il manico di una scure portò dapprima al mazzapicchio e poi all’alabarda, allungare il manico di un falcione contadino portò essenzialmente alla creazione del falcione innestato e del roncone. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. Spiedo dei lanzichenecchi; Picca; Lancia; Spiedo da caccia; Buttafuoco; Falcione; Partigiana; Alabarda; Alabarda; Roncone; Mazzapicchio; Berdica. Il mazzapicchio e l’azza italiana sono a loro volta esempi di manici allungati della scure d’arme e del martello d’arme il cui uso è pressoché identico, tuttavia l’utilizzatore è avvantaggiato da una notevole distanza dall’avversario e dal lungo manico che permette di infliggere colpi con una maggiore forza cinetica. A. B. C. D. E. F. Mazzapicchio alla scocca (degli Usococchi, truppe levantine di Venezia); Mazzapicchio alla veneta; Mazzapicchio alla tedesca; Azza; Azza da cavallo; Luzernerhammer. Il giavellotto è un tipo di arma in asta usata come arma da lancio. Formato da un’asta munita di una punta di metallo, è utilizzato sin dai tempi più antichi per la caccia ed in combattimento. In epoca medievale un evoluzione di questa arma era chiamata Angone. La lancia fu un’altra arma usata dai tempi più remoti per combattere come una picca o meglio ancora per essere lanciata a corta distanza, almeno corta per un arma da lancio. Lancia fu il nome impropriamente dato anche allo strumento che i cavalieri utilizzavano durante i tornei per gioco, chiamandola lancia da cavalleria. A-D-H) Ferro di lancia da guerra; E) Lancia da guerra; F-G) rocchio per lancia da torneo (cortese); I) Lancia cortese; L) Impugnatura lancia da carosello (cortese); M) Lanciola; N) Lancia alla moderna. LA FROMBOLA L’origine della frombola è sconosciuta. Sembra svilupparsi indipendentemente universalmente. Il concetto è abbastanza semplice: una volta che si è cominciato a gettare sassi (o altri proiettili semplici) per cacciare e combattere, la frombola è stata introdotta come estensione del braccio per avere un vantaggio meccanico più grande. Ci sono molti riferimenti alle frombole nei documenti storici. La maggior parte della gente per esempio, conosce la storia di David e di Golia. In generale, la frombola è un’arma difficile da imparare ad usare efficacemente ed a causa di ciò, pochi eserciti hanno utilizzato la frombola nella stessa misura dell’arco o della balestra. Le frombole sono state utilizzate anche come armi da caccia al di là dell’impiego bellico. Come proiettili si usavano spesso i ciottoli dai fiumi, poichè erano più sferici e lisci, tuttavia in epoca più tarda, presso i celti si iniziarono a vedere i primi proiettili in piombo fuso. La cosa interessante è che questi proiettili venivano fusi in stampi che li marcavano con disegni o frasi di scherno che permettono quasi di risalire al luogo di produzione come le marchiature di un moderno bossolo da arma da fuoco. L’uso delle frombole come arma è diminuito nel tardo medioevo a causa degli perfezionamento nel disegno della balestra e dell’arco. L’arco lungo ed la balestra sono diventati sempre più raffinati consentendo più precisione con meno addestramento. L’impiego bellico della frombola,oltre quello della difesa delle fortificazioni, era riservato alla fanteria leggera che la impiegava per creare uno schermo di proiettili in volo che costringevano l’avversario a rallentare la manovra o a coprirsi dietro gli scudi perdendo di vista cosi i movimenti sul campo di battaglia. Altro uso della frombola era nei luoghi e nelle situazioni dove era difficile condurre combattimenti manovrati come boschi fitti o terreni particolarmente accidentati. L’uso delle frombole durante il medioevo è sempre stato decisamente importante, visto che, anche se con una minor gittata e precisione, un proiettile di frombola poteva causare decisamente più danni di una freccia (notoriamente più leggera) ed era facilmente trasportabile da ogni soldato di fanteria rendendo estremamente versatile in caso di bisogno l’unità. Immagine di frombola e tecnica di lancio L’ARCO L’arco è uno strumento da lancio costituito da un elemento flessibile le cui estremità sono collegate da una corda tesa che ha la funzione di imprimere il movimento del proiettile chiamato freccia. L’arco può essere di due tipi: composito o normale. Il composito è tipico del medio oriente, è piccolo ed è costruito da strati alternati di legno e nerbo di bue. L’arco lungo invece è formato da un’unica asta di legno. L’arco non ha avuto importanza rilevante in battaglia nel medioevo fino alla guerra dei Cent’anni tra Inghilterra e Francia. Unità di arcieri sono sempre esistite ma erano sempre considerate di poco conto. L’arco non è un’arma da sottovalutare. Prove di campo hanno dimostrato che un arco lungo inglese può perforare un’armatura di metallo a 80 metri di distanza. E sono stati proprio gli arcieri che hanno dato la vittoria agli inglesi in quasi tutte le battaglie della guerra dei Cent’anni. Esisteva una legge in Inghilterra per la quale tutti gli abitanti dei villaggi dovevano esercitarsi per almeno due ore ogni domenica al tiro con l’arco. Gli arcieri inglesi erano capaci di tirare fino a 10 frecce al minuto, per una distanza di circa 300mt. LA BALESTRA E L’ARBALESTA La balestra è un’arma potente e famosa, ma lenta ed ingombrante. Le unità di balestrieri (famosi quelli Genovesi) erano relativamente rare ed erano accompagnate dai palvesieri (soldati armati di lancia col compito di posare i grandi palvesi dinanzi ai balestrieri). La balestra deve la sua potenza al fatto che i flettenti dell’arco sono fatti di metallo, ma questo è anche il suo handicap, dato che il caricamento è sempre lungo e laborioso. Balestre antiche Progetto di una balestra di Leonardo Da Vinci Il caricamento della balestra veniva fatto a mano o tramite un piccolo argano, quindi la cadenza di tiro (ma anche la gittata) era inferiore a quella di un arco (2 dardi al minuto contro le 10 di un arciere); inoltre, dato lo spessore della corda, la balestra risentiva di più degli effetti della pioggia sul campo. Poteva essere usata anche da cavallo e dal momento che durante il caricamento la corda era tirata sino al nottolino d’arresto e vi si fissava, scattando se si tirava il grilletto, la balestra poteva essere portata in giro già armata,pronta all’uso. Più grande di una normale balestra, l’arbalesta aveva un corpo d’acciaio. Le maggiori dimensioni e il maggiore carico di rottura dell’acciaio le consentivano una forza maggiore. Le arbaleste più potenti erano attrezzate con una piccola carrucola per il caricamento ed erano precise fino a 900 metri di distanza. Un bravo balestriere avrebbe potuto sparare due colpi al minuto. Le arbaleste erano a volte considerate disumane o scorrette, dato che un arbalestriere senza esperienza avrebbe potuto uccidere un cavaliere di livello superiore. LE ARMATURE L’armatura è una cosa quasi sempre costosa, per cui anche in alto medioevo i guerrieri che portano un’armatura se la possono permettere dal punto di vista economico, a meno che non facciano parte di unità organizzate dal punto di vista militare (e talvolta neppure in quei casi…). L’armatura di cuoio morbido era poco più che un vestito che forniva protezione contro colpi di striscio, nulla di più. Ben più efficace era un tipo di armatura molto diffusa fin dall’impero Romano, il cuoio bollito. Secondo le cronache dell’epoca questo tipo di trattamento conferiva al cuoio una resistenza quasi pari alle armature di ferro, pur mantenendo un’ottima leggerezza. L’armatura di metallo di gran lunga più diffusa nel medioevo era la cotta d’arme in maglia di ferro: una specie di tunica fatta di molti e piccoli anelli di ferro fittamente collegati fra loro. Ogni anello era intrecciato, mentre era ancora aperto, con quattro altri anelli. Poi veniva ribattuto così da chiudersi. Il peso di una simile corazza si aggirava attorno ai 9-14 kg, in parte gravanti sulle spalle del combattente. Poiché la maglia era flessibile, un colpo inferto con forza, poteva provocare serie contusioni, od anche fratture letali. Derivata da simili armature già in uso in età antica, la cotta di maglia divenne per quasi tutto il medioevo l’armatura pesante standard, di varie forme e dimensioni. I guerrieri vichinghi e i cavalieri della nobiltà e degli ordini monastici fino al XIV secolo indossavano questo tipo di armature. Nel corso del XII secolo questa corazzatura andò estendendosi, venendo a proteggere anche le braccia e le gambe mediante maniche e cosciali di maglia metallica. Si cominciò anche a portare una sottocotta imbottita e trapuntata avente il compito di smorzare i colpi. Un’altra armatura, ben più rara, era quella a scaglie di metallo (tipica, per esempio, di alcune popolazioni del Nord Europa). Pesante e meno efficace della maglia di ferro, era comunque presente. Nel Trecento si diffuse tra i cavalieri l’uso di piastre di ferro per proteggere gli arti, o le parti più esposte di essi. Anche il torso venne protetto sempre più spesso con piastre metalliche fissate ad una veste d’arme di tessuto. Nel secolo successivo, alcuni cavalieri cominciarono a portare una completa armatura metallica, che proteggeva ogni parte del corpo. Il peso completo di una simile corazzatura si aggirava intorno ai 20-25 kg, così ben distribuiti tuttavia, da consentire ad un guerriero armato di tutto punto, di correre, saltare o montare a cavallo senza alcun aiuto. Il “segreto” stava nel modo in cui gli armaioli sagomavano le piastre, affinchè si potessero muovere l’una rispetto all’altra seguendo i movimenti del cavaliere. Alcune piastre erano incernierate e potevano ruotare una sull’altra. Altre erano unite da perni scorrenti in un’asola, in modo da poter non solo ruotare, ma anche scorrere. Molte erano connesse mediante stringhe interne di cuoio, che ne facilitavano lo scorrimento reciproco. Quelle sagomate a tubo avevano imbocchi a flangia o a manicotto, così da infilarsi l’una nell’altra e da ruotare senza scoprire parti del corpo. Tuttavia, allora come oggi, correvano storie di cavalieri (peraltro del tutto infondate) che si facevano issare a cavallo con una gru, perché paralizzati dal peso dell’armatura. In realtà, il vero problema della corazza era un altro: la grande scatola di ferro, quasi senza aerazione, diventava rapidamente un forno. A partire dal XV secolo si generalizzò l’uso di proteggere i cavalieri con un’armatura completa di piastre metalliche, sagomate in modo che le punte e le lame delle armi, scivolassero sulle loro superfici levigate. Questo accorgimento permetteva di smorzare la forza dei colpi, e quindi, consentiva di realizzare corazze ragionevolmente leggere. Le armature imitavano spesso le fogge delle vesti civili. Alcune erano parzialmente verniciate di nero, sia per proteggere il metallo, sia per ragioni decorative; altre venivano azzurrate, così da riflettere i raggi solari e diminuire il riscaldamento del metallo sotto il sole. Le armature più antiche erano abbastanza facili da indossare: si infilava la maglia dalla testa e quindi si affibbiavano sulla schiena le piastre di rinforzo per il torso, i fianchi e le spalle. Infilarsi le armature a piastre metalliche era, invece, notevolmente più complicato, anche se, con l’aiuto di uno scudiero, un cavaliere poteva prepararsi al combattimento (o togliersi l’armatura) in pochi minuti. Si iniziava con l’indossare la “veste d’armi”, cioè l’indumento che stava sotto l’armatura, quindi si mettevano in posizione i vari pezzi dell’armatura stessa, cominciando rigorosamente da quelli inferiori e finendo con l’elmo. LE PARTI DELL’ARMATURA Il cimiero: questo ornamento rendeva agevole l’identificazione sul campo di battaglia, tuttavia già in quell’epoca, andava perdendo popolarità a favore di elmi meno ornati, come il bacinetto con visiera. Il bacinetto: o elmetto con visiera, nato in Italia nel XIV secolo, aveva probabilmente in origine una celata ribaltabile sulla fronte. Ma venne poi affermandosi la più pratica incernieratura laterale, quella che in Germania veniva scherzosamente chiamata Hundgugel, museruola. Maglia metallica: è la cotta d’arme in maglia di ferro descritta in precedenza Lo scudo: i cavalieri protetti dalla sola maglia metallica, erano molto vulnerabili da parte di forti colpi di mazza o di lancia. Dovevano perciò proteggersi dietro grandi scudi. Nel Quattrocento, grazie ai progressi della corazza a piastre, gli scudi divennero molto più piccoli e leggeri. In Europa nel medioevo lo scudo più comune era quello tondo, piano o leggermente concavo; usualmente fatto di assi di legno ricoperte di pelle, e poi bordate – ma non sempre – da un cerchio di ferro. Al centro dello scudo c’è sempre un umbone in cui si infila la mano, che protegge la mano e serve anche a colpire. I Normanni resero invece popolare quello scudo a forma di goccia che gli anglosassoni chiamano Kite Shield, che si restringe verso il basso, ed è ideale per fanti e cavalieri. Un altro scudo tipico del medioevo tardo è il palvese o pavese, una specie di muro portatile trasportato dai palvesieri, soldati specializzati che si mettevano davanti ai balestrieri . Il palvese era appunto una specie di muro dietro cui i balestrieri potevano ricaricare al coperto. Il palvese è assolutamente non utilizzabile in movimento, infatti veniva fissato a terra. Una forma di scudo leggero è invece il buckler (boccoliere) simile alla targa latina o alla pelta greca; piccolo e rotondo, può essere tenuto in mano o fissato all’avambraccio per consentire l’uso di entrambe le mani. Una simile forma di scudo era usata dagli Scheltrons degli Scozzesi. La cavalleria pesante invece ridusse progressivamente lo scudo, che sul finire del XV secolo stava diventando un ornamento da torneo, e molti cavalieri andavano in battaglia assolutamente privi di scudo, contando sulle mostruose corazze di piastre. Lo scudo non è una difesa passiva, ma viene usato anche come arma; tecniche di combattimento di scudo sono descritte spesso nei manuali di combattimento medievali. IN SELLA Le cavalcature erano un elemento costoso, ma fondamentale, nell’equipaggiamento del cavaliere. Occorrevano cavalli per combattere, altri per cacciare. Dal XIII secolo in poi diventò normale, per un cavaliere, disporre di almeno due destrieri. Il cavallo da battaglia portava, generalmente, una corazzatura a protezione della testa, del collo e del petto, poteva anche essere imbottita per attutire i colpi ed, in qualche caso, era addirittura di maglia metallica. IN BATTAGLIA Le regole della cavalleria imponevano rispetto per il nemico vinto. Il che, oltre ad essere umano, permetteva di guadagnare il riscatto dei prigionieri, per lo meno se di alto rango. Ma questo codice morale non era sempre osservato da parte di uomini eccitati che avevano visto in faccia la morte. Gli arcieri inglesi, per esempio, massacrarono senza pietà (con l’aiuto dei loro cavalieri) i nobili francesi battuti a Crécy (1346), a Poitiers (1356), ad Azincourt (1415). Da parte loro i cavalieri davano raramente quartiere ai fanti nemici volti in fuga, inseguendoli ed abbattendoli spietatamente. Il rischio di una battaglia campale era enorme: vi si poteva perdere l’intero esercito, od anche il trono. Perciò la tattica preferita dai comandanti era il saccheggio e la devastazione del territorio nemico. Così ci si procacciavano provviste a buon mercato, si distruggevano le proprietà dell’avversario e si dimostrava ai suoi sudditi che il loro signore non era in grado di proteggerli. Per contrastare questa tattica, l’invaso cercava di braccare quanto più da vicino poteva l’esercito nemico, così da impedirne lo sparpagliamento nel territorio. Sicuramente, queste parole non danno un’immagine fiera ed orgogliosa di un cavaliere, ma dobbiamo ricordarci che stiamo parlando del particolare momento di una battaglia o di una guerra, e, per antonomasia, questi momenti non sono i più adatti a mostrare le virtù di un Cavaliere, che , in tempo di pace, si comporterebbe in tutt’altro modo. LE TECNICHE DI ASSEDIO Allorché un nemico assaltava un castello, cominciava con l’intimare agli occupanti di arrendersi e se questi rifiutavano, doveva tentare di espugnare la fortificazione. Poteva scegliere tra due tattiche: o stringere d’assedio il castello, impedendo a chiunque di entrare od uscire, finchè gli assediati non si arrendevano per fame, od usare la forza. In questo caso poteva tentare di scavare una galleria fin sotto le mura, per poi incendiare i puntelli sorreggenti lo scavo e far crollare le mura soprastanti, o per sbucare inaspettato all’interno della fortezza. Oppure, poteva battere le mura stesse con arieti, con catapulte o (successivamente) con i cannoni. O, ancora, poteva tentare di scalare le cortine con le scale o con una torre d’assedio, munita di ponte levatoio in cima, per consentirne lo “sbarco” degli attaccanti sulle cortine. L’ARALDICA Gli uomini hanno sempre decorato i loro scudi. Nel corso del XII secolo, però, questa ornamentazione si stabilizzò secondo certe regole predefinite, che consentivano ad un cavaliere di identificarsi con precisione attraverso i disegni del proprio scudo o della propria sopravveste: era nata l’araldica. Si è spesso sostenuto che essa nacque dall’impossibilità di distinguere il volto del cavaliere sotto i nuovi elmi con celata; ma probabile che la ragione vera sia stata la necessità di distinguere facilmente i combattenti nel corso di un torneo. L’araldica si basava su regole ferree; uno stemma era proprietà esclusiva di un determinato cavaliere, e dopo la sua morte passava al figlio primogenito; gli altri figli usavano una variante delle “armi”, come si chiamavano, del padre. Queste “armi” erano descritte con un rigido linguaggio convenzionale, così come rigidamente codificati erano i colori ed i “metalli” (argento e oro) usati negli stemmi. IL DECLINO DELLA CAVALLERIA I sovrani preferivano sempre più ricorrere ad eserciti di professionisti, lasciando che i cavalieri feudali oziassero nei loro ormai inutili castelli; finchè, nel Seicento, la guerra divenne esclusivo appannaggio di milizie mercenarie, reclutate tra le classi inferiori. I nobili erano ancora usati come ufficiali (generalmente di cavalleria), ma ormai la concezione medievale di una classe di guerrieri a cavallo era diventata un ricordo del passato. Così come era sparita l’idea che un cavaliere dovesse essere obbligatoriamente figlio di un altro cavaliere. Il titolo era diventato semplicemente un appellativo onorifico, un riconoscimento che il monarca concedeva a coloro (anche non nobili) che egli voleva far oggetto di particolari distinzioni. E così accade tutt’oggi in molti Paesi. Tuttavia i “cavalieri antiqui” non sono del tutto dimenticati. Il loro fascino continua ad aleggiare nella nostra società, rinfocolato dalla romantica presenza dei castelli e dal sopravvivere delle leggende cavalleresche, come quella di Re Artù, narrate dai poemi medievali o da quelli rinascimentali come il Tasso e l’Ariosto, e riprese dal Romanticismo ottocentesco.