" Un sistema filosofico è una casa che, subito dopo costruita e adornata, ha bisogno di un lavorio,
più o meno energico, ma assiduo di manutenzione, e che a un certo punto non giova più restaurare
e puntellare, e bisogna gettare a terra e ricostruire dalle fondamenta. Ma con siffatta differenza
capitale: che, nell'opera del pensiero, la casa perpetuamente nuova è sostenuta perpetuamente
dall'antica, la quale, quasi per opera magica, perdura in essa. " ("Breviario di estetica")
CROCE ED IL NEO-HEGELISMO ITALIANO
L'indirizzo di cui Croce e Gentile sono espressione ha preso originariamente l'insegna del neohegelismo: è cioè l'indirizzo corrispettivo in Italia agli analoghi indirizzi di ritorno a Hegel che,
marginalmente però ad altre correnti di pensiero, fiorivano tra l'Otto e il Novecento anche in altri
Paesi. Per quanto riguarda nondimeno in particolare i due pensatori italiani, è più vivo e più
accentuato in essi, rispetto a tutti gli altri, l'intento di operare una revisione critica innovatrice
dell'hegelismo. E, ad onor del vero, dei due è più propriamente hegeliano Gentile, per essersi
formato direttamente alla scuola, rigida e metafisicizzante, di Spaventa. Nipote di Spaventa, invece,
Croce si è formato alla scuola del de Sanctis (risalendo, attraverso il de Sanctis, a Vico) e del
Labriola (risalendo, attraverso il Labriola, a Herbart e a Marx), cosicchè alla diretta conoscenza del
pensiero hegeliano egli è giunto (per influenza del suo stesso amico Gentile) solo in una fase giù
matura (nel 1905) del suo sviluppo intellettuale. Sia Croce sia Gentile hanno accolto del pensiero di
Hegel il principio animatore: l'idea cioè dello Spirito come attività dialettica che si svolge nel ritmo
di sempre rinascenti opposizioni. E' il principio per il quale la realtà è attività pensante, è Soggetto
che si oggettiva e si naturalizza per tornare in se stesso fatto più altamente personale e più
consapevole. Diversamente da Hegel, tuttavia, essi prescindono del tutto, nella loro speculazione,
dai problemi della natura, ritenendo pertinenti alla vita dello spirito solo i problemi propriamente
umani. Ne deriva dunque la crescente influenza ch'essi hanno esercitato nel campo letterario e nella
vita politica del Paese: nel campo letterario hanno notevolmente innovato gli studi di estetica e di
ricerca storica, giungendo per tale via a diffondere largamente tra le giovani generazioni del loro
tempo il gusto e il modo della visione e della valutazione idealistica dei relativi problemi. Nella vita
politica hanno esercitato un'influenza ancor maggiore e, soprattutto, ancor più differenziata: Croce
s'è fatto espressione ideologica delle istanze liberali, Gentile è divenuto il filosofo e, al tempo
stesso, il padre ideologico del fascismo.
LA VITA E I RAPPORTI CON GENTILE
La vita dei due filosofi si intreccia strettamente per una lunga serie dapprima di reciproci rapporti,
successivamente di reciproci contrasti. Benedetto Croce, nato a Pescasseroli, in Abruzzo, il 25
febbraio 1866 da famiglia assai agiata e formatosi negli anni universitari a Roma presso il Labriola,
si trasferì intorno all'86 a Napoli, dove visse da allora la sua lunga e operosa vita. Dalle iniziali
ricerche di carattere erudito nel campo dell'arte e della storia egli passò ben presto all'indagine sulla
natura stessa dei problemi di cui si era venuto occupando. Un primo tentativo di dare ad essi una
sistemazione teoretica lo troviamo nel suo saggio giovanile " La storia ridotta sotto il concetto
generale dell'arte " (1893): saggio nel quale, in polemica con la visione naturalistica dei positivisti,
egli asserisce appunto che il conoscere storico dev'essere ricondotto sotto il concetto generale
dell'arte, cosicchè gli eventi umani non sono, come i fenomeni fisici, soggetti a un principio
meccanico di necessità, ma sono, come le figurazioni artistiche, espressione di una libera attività
creatrice. Ciò che nondimeno resta indeterminato nel saggio è il concetto stesso di arte: ed è proprio
su tale concetto che Croce, negli anni successivi, concentrò la propria attenzione. Frutto di tali sue
meditazioni fu la pubblicazione, avvenuta nel 1902, dell' "Estetica come scienza dell'espressione e
linguistica generale ". Da quest'opera, che è la prima grande opera crociana, egli trasse via via,
come per sviluppo sempre maggiore di concetti già impliciti embrionalmente, le altre opere: la
" Logica come scienza del concetto puro " (1909), la " Filosofia della pratica, economica ed etica "
(1909), la " Teoria e storia della storiografia " (1917). Sono queste le opere che formano la
tetralogia, in cui Croce ha dato trattazione organica di sistema al suo pensiero, alla sua Filosofia
dello Spirito. Ma, congiuntamente ad esse, egli pubblicò negli stessi anni una serie di saggi (sul
materialismo storico, su Hegel, su Vico, ecc), traendo di volta in volta in tali saggi le conclusioni
del suo dialogo ideale coi filosofi con cui era venuto direttamente o indirettamente a contatto per
l'influenza del De Sanctis, di Labriola e di Gentile. Proprio Gentile fu suo collaboratore per circa
vent'anni nella rivista " La critica ", da lui fondata nel 1903 e diretta ininterrottamente per più di
quarant'anni. Con " La critica " egli si foggiò lo strumento della più larga penetrazione nella vita
culturale dell'Italia, orientando le giovani generazioni per lungo tratto di tempo così come prima
dopo l'avvento del fascismo. L'avvento del fascismo segna il progressivo distacco di Croce da
Gentile, o, meglio, di Gentile da Croce: l'accentuato contrasto o atteggiamento critico di Gentile
verso il pensiero di Croce e, più ancora, la diversa posizione da essi assunta nei confronti della
dittatura fascista valsero a cambiare i loro rapporti di sincera amicizia in rapporti d'irriconciliabile
inimicizia. Se, infatti, Gentile aderì pienamente al nuovo regime dittatoriale e soffocatore di ogni
libertà e se ne fece anzi propugnatore, Croce, dopo un periodo d'incertezza e di cautissima adesione,
si scostò da esso e decisamente gli si oppose, giocando contro il fascismo la carta di un liberalismo
ormai tramontato definitivamente. E bisogna riconoscere che Croce fu l'unico oppositore del regime
a non essere brutalmente massacrato (come invece accadde a Gobetti) o indegnamente incarcerato
(come accadde a Gramsci): gli fu anzi sempre riconosciuta la sua carica di senatore, forse anche in
virtù del fatto che la sua era un'opposizione meramente teorica e che si appellava ad un liberalismo
ormai incompatibile con la nuova temperie culturale e con la situazione in cui l'Italia versava.
Liberale conservatore, Croce vide dapprima nel fascismo un'utile e, come s'illudeva, temporanea
forza di contenimento del movimento socialista, il quale, dopo il celebre "biennio rosso" (19181920), pareva avanzasse quasi a travolgere anche in Italia come in Russia le dighe della struttura
borghese della società. Ma, trasformatosi il nuovo regime in dittatura permanente, le istanze liberali
prevalsero sempre più nel suo animo e lo indussero, senza comunque smettere l'aspra polemica
contro il socialismo, ad avversare senza più esitazioni la dittatura fascista: si accorse che il
fascismo, seppur idoneo per tenere a bada gli appetiti socialisti e per conservare la società così
com'era, non era uno strumento di cui ci si poteva servire solo quando faceva comodo per poi
rimetterlo nel cassetto; viceversa, il fascismo era una malattia passeggera dello Stato, quasi una
sorta di deviazione nel corso assolutamente razionale della storia: si trattava dunque, una volta
terminata la parentesi fascista, di ritornare allo Stato liberale vigente prima dell'avvento della
"malattia" fascista. Il liberalismo di cui Croce si fece vessillifero fu, tuttavia, sempre di stampo
conservatore, senza troppe aperture sul versante socialista. Croce, poi, rispose al manifesto con cui
Gentile aveva raccolto l'adesione al fascismo da parte di alcuni intellettuali fascisti (tra cui
Pirandello) con un manifesto di vibrante protesta firmato da un mare magnum di intellettuali
antifascisti. In questa seconda fase della sua vita Croce venne pertanto gradatamente accentuando il
suo interesse speculativo per il problema politico (che aveva fin da allora considerato con un certo
distacco), per il problema di un più intimo nesso tra il pensiero e l'azione, per il problema della
libertà (centrale in Hegel). Frutto di tali sue nuove meditazioni è la pubblicazione in questo periodo
di una serie di scritti, di cui meritano di essere menzionati, per la grande risonanza che ebbero e per
la larga efficacia educativa che esercitarono sui giovani di allora, la " Storia d'Italia dal 1871 al
1915 " (1928), la " Storia d'Europa nel secolo XIX " (1932), " La storia come pensiero e come
azione " (1938). Sono gli scritti nei quali la nozione di libertà è identificata con lo Spirito nel suo
dispiegarsi. La definizione del problema della libertà doveva rivelarsi nondimeno, per l'istanza
morale da cui procedeva, strumento efficace di educazione antifascista, finchè il fascismo imperò
nel Paese; e anche, caduto il fascismo, continuò a ispirare in qualche modo le nuove generazioni
nella loro azione per la ricostruzione del Paese. Croce sopravvisse all'avversato regime: con la
caduta di esso, però, riprese con rinnovato vigore, nella mutata condizione culturale determinatasi
nel Paese, la polemica contro il marxismo. Si spense nel 1952, circondato dalla generale stima per
quel che il suo nome aveva significato, per circa cinquant'anni, nella vita culturale della penisola.
Egli fu una delle menti più poliedriche e versatili che il Novecento ricordi.
IL PENSIERO
Croce è, secondo la sua stessa definizione, il " filosofo dei distinti ": nella sua revisione della
dialettica hegeliana, infatti, egli ha scoperto che l'errore precipuo di essa sta nel confondere insieme
concetti puri e concetti empirici da un lato, momenti opposti e momenti distinti dall'altro lato. E in
realtà altra cosa sono, egli dice, i concetti puri (o categorie filosofiche), che concernono le forme
fondamentali dell'attività dello spirito; altra cosa sono i concetti empirici (o pseudoconcetti), che
risultano da pure generalizzazioni e classificazioni, utili ai bisogni della pratica, ma destituite di
ogni verità. Solo i concetti puri sono, nel senso hegeliano dell'espressione, universali concreti; solo
per mezzo di essi è dato concepire la realtà spirituale (che è la sola realtà e la sola universalità) nella
sua concretezza, nel suo concreto dispiegarsi o procedere secondo il movimento dialettico che le è
proprio. Gli pseudoconcetti, invece, sono o universalità senza concretezza (come le astrazioni
matematiche) o concretezza senza universalità (come le empiriche e sempre mutevoli classificazioni
delle scienze naturali). Il vizio della filosofia hegeliana della natura, ed in parte anche di quella
dello Spirito, risiede pertanto, secondo Croce, nell'aver voluto includere nel procedimento dialettico
molti concetti empirici che, come determinazioni irrigidite e astratte, non sono per questo stesso
motivo suscettibili di mediazione, di sintesi. Ma, per quel che riguarda i concetti puri, nell'ambito
solo di ciascuno di essi, è valido il procedimento dialettico degli opposti, afferma Croce: il
procedimento per il quale i termini dell'opposizione si risolvono nella sintesi, perdendo in essa ogni
loro esistenza distinta. Nei loro reciproci rapporti, invece, i concetti puri non si risolvono l'uno
nell'altro, ma restano sempre distinti l'uno dall'altro: vale per essi un diverso principio di
unificazione filosofica. Ecco perché Croce sdoppia l'unica dialettica hegeliana in una dialettica degli
opposti e in una dialettica dei distinti: l'errore di Hegel, infatti, consiste, stando a Croce, nell'aver
esteso indebitamente la dialettica degli opposti ai distinti, cioè ai concetti puri o alle forme
categoriali dello Spirito: “ Hegel non fece, fra teoria degli opposti e teoria dei distinti, la distinzione
importantissima, che io mi sono sforzato di dilucidare. Egli concepì dialetticamente, al modo della
dialettica degli opposti, il nesso dei gradi; e applicò a questo nesso la forma triadica, che è propria
della sintesi degli opposti. Teoria dei distinti e teoria degli opposti diventarono per lui tutt’uno ” (
“ Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel ”, cap. IV). Il vero precursore della
dialettica dei distinti è da Croce ravvisato, più che in Hegel, in Vico: secondo Croce, tra le forme
dell’attività spirituale si svolge l’eterno processo, che Vico aveva chiamato “storia ideale eterna”;
queste forme, infatti, sono eterne, ma si sviluppano e manifestano di volta in volta arricchite di
nuovi contenuti. Pubblicato come volume autonomo nel 1906, il saggio “ Ciò che è vivo e ciò che è
morto della filosofia di Hegel ” è emblematico a partire dal titolo: esso simboleggia l’atteggiamento
con cui Croce guarda ai filosofi del passato per trarne alimento al proprio pensiero e, in particolare,
con cui si rapporta a Hegel. Questi, secondo il filosofo abruzzese, ha fatto oggetto del suo pensiero
“ non solo la realtà immediata, ma la filosofia stessa, contribuendo per tal modo a elaborare una
logica della filosofia ”. Contro ogni filosofia meramente individuale fondata su una conoscenza
immediata, egli ha rivendicato la centralità del metodo della filosofia e della teoria di questo
metodo. Nell’affrontare questo problema, Hegel ha individuato l’importanza della dialettica degli
opposti, come motore del processo della realtà e del pensiero, ma ha commesso l’errore di estendere
questa forma di dialettica anche al rapporto fra le forme dell’attività spirituale. Su questo punto,
Croce non può più seguirlo, sicchè la coscienza moderna, a suo avviso, si troverebbe di fronte a
Hegel come il poeta latino di fronte alla sua donna, quando affermava “nec tecum vivere possum,
nec sine te”. E in realtà bello e brutto, vero e falso, utile e dannoso, bene e male sono realmente
termini opposti tra loro: vale per essi il principio hegeliano secondo cui il termine positivo (il bello,
ad esempio) non ha vita se non trionfando sul negativo (il brutto). Nell'ambito di ciascuna di queste
coppie di opposti dunque ogni termine ha significato solo nell'altro e per l'altro (chi prende il vero
senza il falso, il bene senza il male, fa del vero qualcosa di non pensato - perché pensiero è lotta
contro il falso - e quindi qualcosa di non vero; del bene qualcosa di non voluto - perché volere il
bene è negare il male - e quindi qualcosa di non buono): al di fuori della loro sintesi, che sola è
reale, gli opposti non sono, in conclusione, che delle vuote astrazioni. Ma lo stesso non può dirsi di
ciascuno dei termini positivi che si son sopra elencati (il bello, il vero, l'utile, il bene): nei loro
rapporti, infatti, essi non si annullano l'uno nell'altro, ma si armonizzano l'un con l'altro. Sicchè il
vero non sta al falso nello stesso rapporto in cui sta al buono, il bello non sta al brutto nello stesso
rapporto in cui sta alla verità filosofica: bello e vero, vero e bene sono invece tra loro in un nesso di
gradi, per il quale bello, vero e bene sono forme distinte e insieme unite. Questa unità-distinzione è
il nesso, è la dialettica dei distinti o, meglio, la dottrina dei gradi dello Spirito. Per essa, lo Spirito si
distingue in due gradi teoretici (mediante cui l'uomo vede, comprende le cose) e in due
corrispondenti gradi pratici (mediante cui l'uomo muta, crea le cose). Le forme proprie dei due gradi
teoretici sono quella, estetica, dell'intuizione o della visione-espressione dell'individuale e quella,
logica, della concezione dell'universale. Le forme proprie dei due corrispondenti gradi pratici sono
quella, economica, della volizione del particolare e quella, morale, della volizione dell'universale.
Ne deriva che, come si è venuto chiarendo, le quattro forme fondamentali dello Spirito sono: quella
estetica del bello, quella logica del vero, quella economica dell'utile, quella morale del bene.
All'infuori di tali forme non vi sono altri concetti puri, non vi sono altri valori in cui o mediante cui
si esplichi l'attività dello Spirito. Il rapporto tra queste quattro forme dello Spirito è tale che il
passaggio, nell'attività teoretica, al grado superiore della concezione dell'universale può avvenire
solo attraverso il grado inferiore dell'intuizione dell'individuale: nel senso che la logica, in quanto
produttrice di concetti, implica l'estetica, mera produttrice di intuizioni (non può esservi concetto
senza intuizione) e non viceversa (cosicchè può esservi intuizione senza concetto). E, in modo
corrispettivo, il passaggio, nell'attività pratica, al grado superiore della volizione dell'universale può
avvenire solamente attraverso il grado inferiore della volizione del particolare: nel senso appunto
che anche per l'attività pratica vale il criterio che la morale implica l'economia (non può esservi
azione morale senza la consapevolezza che l'ideale etico rappresenta il grado più alto di utilità), non
viceversa (sicchè può esservi azione volta al perseguimento del mero vantaggio individuale, del
tutto scevra di preoccupazione morale). E le due attività teoretica e pratica sono, infine, anch'esse
legate l'una all'altra in modo tale che la prima è presupposto e condizione del dispiegarsi della
seconda (l'agire è un agire secondo ragione, secondo conoscenza); e la seconda, a sua volta, è
presupposto e condizione dell'ulteriore dispiegarsi della prima (per ciò che diventa materia di nuova
intuizione, di nuova conoscenza). E' così che, secondo Croce, il ciclo teoretico-pratico si rinnova
eternamente ed eternamente si arricchisce, nell'incessante svolgersi e crescere su se stesso della
realtà spirituale. Di conseguenza, per la circolarità della vita spirituale appena illustrata, le quattro
sue forme s'implicano a vicenda: si affermano tutte insieme nella loro positività e nella solidarietà
che le lega e le fa compresenti in ogni singolo momento della vita dello Spirito. In questo
propriamente consiste il rapporto di unità-distinzione: rapporto per il quale le quattro forme
categoriali sono distinte nell'unità dello Spirito o (il che è la stessa cosa) lo Spirito è uno nella
distinzione delle sue forme. Ora, passando ad esaminare il modo di esplicarsi delle singole forme, la
prima forma dello Spirito teoretico è l' arte , la conoscenza intuitiva. L'arte è, cioè, visioneespressione di un'immagine contemplata per sé, senza che ci si chieda se essa sia corrispettiva o
meno a una realtà oggettiva o che si tenti di determinare la natura della realtà di cui è espressione:
essa è, perciò, solo conoscenza intuitiva, non conoscenza concettuale del contenuto della vita dello
Spirito. E, oltre a non essere conoscenza concettuale, l'arte, a maggior ragione, in quanto forma
teoretica, non è né atto utilitario, né atto morale: non è, cioè, né determinazione dell'utile, né in
dipendenza di un fine morale. Ciò che conferisce unità e significato all'intuizione artistica è il
sentimento: non il sentimento immediato, nella sua tumultuosa passionalità, bensì il sentimento
mediato e, per così dire, trasfigurato, elevato a pura forma, a pura immagine, a pura espressione.
Ciò equivale a dire che l'arte è intuizione lirica, è sintesi a priori di sentimento e di immagine, è
unità indissolubile di contenuto (il sentimento) e di forma (l'immagine, l'espressione). Ne deriva che
per Croce l'arte, in quanto intuizione di un sentimento, di un contenuto di vita, si identifica con
l'espressione stessa di quel sentimento, di quel contenuto di vita: l'intuizione è la stessa espressione,
l'espressione è la stessa intuizione. E da tale identificazione deriva anche, secondo Croce,
l' identificazione di linguaggio e di poesia : è questo il motivo in parte tratto dalle dottrine del
Romanticismo e, più ancora, dalla viva esperienza critica del De Sanctis e, attraverso il De Sanctis,
dalla filosofia di Vico; ed è questo il motivo per il quale il linguaggio non è un segno convenzionale
mediante cui gli uomini comunicano tra loro, ma è espressione viva, immagine spontaneamente
prodotta dalla fantasia, dallo Spirito. Con l'identificazione di linguaggio e di poesia si spiega
l'universalità dell'arte: il linguaggio poetico, quali che siano i modi tecnici (del suono, del colore,
ecc) attraverso cui è espresso, è il linguaggio stesso degli uomini; quindi ogni uomo ha il potere di
aprirsi una suggestione dell'arte, di rivivere in sé, contemplandola, l'opera d'arte, in qualsiasi tempo
o luogo sia stata creata. Altra considerazione relativa all'arte è che, risolto il concetto di arte in
quello di intuizione lirica, è negata da Croce ogni validità alla tradizionale dottrina dei generi
letterari: alla dottrina che, come dice, è del tutto estranea al problema estetico ed è solamente
espressione del bisogno pratico (economicistico, classificatorio) dello Spirito e, di conseguenza, è
solamente costruttrice di preconcetti. All’estetica Croce dedica l’opera “ Estetica come scienza
dell’espressione e linguistica generale ”. Croce individua i caratteri costitutivi dell’arte nel fatto di
essere conoscenza intuitiva, inscindibile dall’espressione. L’espressione, però, non deve essere
confusa con l’estrinsecazione fisica in lettere scritte, suoni o colori materiali: Croce chiarisce che
questo aspetto rientra nell’attività pratica dello Spirito, non in quella conoscitiva che è specifica
dell’arte. Curioso è il metodo impiegato da Croce: egli procede alla determinazione dei significati
dei concetti mediante negazioni e distinzioni rispetto ad altri concetti imparentati o affini o opposti.
“ La conoscenza ha due forme: è o conoscenza intuitiva o conoscenza logica; conoscenza per la
fantasia o conoscenza per l’intelletto; conoscenza dell’individuale o conoscenza dell’universale;
delle cose singole ovvero delle loro relazioni; è, insomma, o produttrice d’immagini o produttrice
di concetti. […] Della conoscenza intellettiva c’è una scienza antichissima e ammessa
indiscussamente da tutti, la Logica; ma una scienza della conoscenza intuitiva è appena ammessa,
e timidamente, da pochi. La conoscenza logica si è fatta la parte del leone; e, quando addirittura
non divora la sua compagna, le concede appena un umile posticino di ancella o di portinaia. Che
cosa è mai la conoscenza intuitiva senza il lume della intellettiva? E’ un servitore senza padrone; e,
se al padrone occorre il servitore, è ben più necessario il primo al secondo, per campare la vita.
L’intuizione è cieca; l’intelletto le presta gli occhi. Ora, il primo punto che bisogna fissare bene in
mente è che la conoscenza intuitiva non ha bisogno di padroni; non ha necessità di appoggiarsi ad
alcuno; non deve chiedere in prestito gli occhi altrui perché ne ha in fronte di suoi propri,
validissimi. […] I concetti che si trovano misti e fusi nelle intuizioni, in quanto vi sono davvero
misti e fusi, non sono più concetti, avendo perduto ogni indipendenza e autonomia. Furono già
concetti, ma sono diventati, ora, semplici elementi d’intuizione. […] Noi non possiamo volere o non
volere la nostra visione estetica: possiamo, bensì, volerla o no estrinsecare, o, meglio, serbare e
comunicare o no agli altri l’estrinsecazione prodotta. ” (Estetica come scienza dell’espressione e
linguistica generale, parte I, cap. I).
Croce impiega una procedura dicotomica, distinguendo le due forme possibili di conoscenza,
caratterizzate da due serie parallele di proprietà; da una parte, la conoscenza intuitiva, che avviene
mediante la fantasia, ha per oggetto l’individuale, ossia entità singole, e dà luogo alla produzione di
immagini; dall’altra, invece, la conoscenza logica (cui Croce dedicherà una trattazione apposita, la
“ Logica come scienza del concetto puro ”), che avviene mediante l’intelletto, ha per oggetto
l’universale, cioè le relazioni tra le cose, e dà luogo alla produzione di concetti. Contro la
tradizionale subordinazione della conoscenza intuitiva, immediata, rispetto a quella intellettiva e
concettuale, Croce rivendica a pieno titolo l’autonomia e la dignità di essa. In campo estetico, Croce
mostra una netta chiusura verso l’allora trionfante decadentismo: esso è, ai suoi occhi, una grave
malattia, una mancanza di sincerità, poiché con esso si crede e non si crede, si annega la confusione
mentale in un mare magnum di parole altisonanti e suadenti che suggestionano, si creano miti nei
quali si finisce per credere troppo. In altre parole, la cultura del decadentismo è un’offesa che
l’uomo di cultura conduce contro i suoi lettori; la stessa nascita della dittatura fascista è da Croce,
per alcuni versi, letta come produzione estrema del decadentismo: per usare le sue stesse parole, è
“ un’industria del vuoto ”, che si adopera per non produrre nulla. La poesia, secondo Croce, non è
tale in quanto dice belle cose imbevute di patriottismo (com’era per D’Annunzio): la vera poesia
non è propagandistica, ma è intuizione pura, rappresentazione alimentata da un forte sentimento
individuale in cui l’artista realizza una perfetta ed armoniosa fusione fra contenuto e forma: tipico
esempio è la figura di Polifemo, che rappresenta in modo impeccabile la forza bruta. D’Annunzio è,
del resto, secondo Croce il “ padre spirituale ” del nazionalismo italiano: il poeta e soldato, la cui
sola musa fu la violenza, è un mistificatore del pensiero di Nietzsche, dice Croce, e ciò è
perfettamente espresso nella frase crociana “ letto che ebbe qualcosa del Nietzsche ”, con cui
sottolinea come D’Annunzio fosse andato incontro a colossali fraintendimenti del pensiero
nietzscheano, in buona parte dovuti al fatto che l’aveva letto in modo non sistematico. Dal primo
momento dello spirito teoretico si passa, nel sistema crociano, al secondo momento, che è costituito
dal pensiero logico. Come l'arte è conoscenza dell'individuale, così il pensiero logico è pensamento
dell'universale; e, per il principio dell'implicazione dei distinti, il pensamento dell'universale è unità
di universale e d'individuale, di concetto e d'intuizione. Come tale, il pensiero logico è rapporto di
soggetto (ossia di un fatto, quale che esso sia) e di predicato, è determinazione della particolarità del
fatto (che si è intuito) nell'universalità del concetto (di cui lo si predica): è, in fin dei conti, giudizio
su singole realtà di fatto. E, giacchè il giudizio sulle singole realtà di fatto è giudizio sui fatti nel
loro farsi (per la ragione che fatti che non si facciano, che non diventano, o fatti per così dire
immobili non si ritrovano né si concepiscono nel mondo della realtà), evidente è che tale giudizio è
e non può essere che un giudizio storico. Ne consegue che il pensiero logico è, in quanto tale,
un pensare storico : proprio in ciò risiede la tesi portante della " Logica " e, anzi, di tutta l'opera
crociana. E' la tesi per la quale la filosofia, scienza dei concetti, si identifica con la storia, scienza
dei giudizi: ecco perché Croce può asserire che " i veri filosofi, se ne avvedessero o no, non hanno
mai fatto altro che rinvigorire e raffinare i concetti per far sì che meglio si intendano i fatti, cioè la
realtà, cioè la storia "; è dunque necessario, per usare le stesse parole impiegate da Croce, rendere
" filosofica la storia, ma nell'atto stesso storica la filosofia, e indirizzandola a non altro che a
risolvere i problemi che il corso delle cose propone sempre nuovi ". Questa identità tra filosofia e
storia implica un approfondimento storico dei problemi della filosofia e, insieme, un
approfondimento filosofico della storia, cosicchè la storia non si compendia in un'arida
registrazione e giustapposizione di nudi fatti individuali, ma in un'interpretazione e connessione
mentale di essi, per cui il loro svolgimento coincide con lo sviluppo stesso della vita dello Spirito: e
poiché lo Spirito è pura razionalità, allora la storia (come già aveva sottolineato Hegel) procede in
modo assolutamente razionale. L'identità della filosofia con la storia rappresenta, di conseguenza,
per Croce un'istanza decisiva contro la teologica filosofia della storia, che avanzava la pretesa di
compendiare in astratti schemi e di predeterminare le leggi del divenire storico: il divenire storico,
viceversa, ha in se stesso, e non fuori né al di sopra, la norma e la misura dei suoi valori. Ma,
identificata la filosofia con la storia e intesa la storia come una realtà piena dello Spirito, ne
consegue anche che l'idea di una scienza distinta ed autonoma che si occupi di problemi "massimi"
ed "eterni" è un'idea antiquata (che non ha più ragion d'essere) della filosofia, dovuta alla
sopravvivenza in essa delle vecchie sue forme metafisicizzanti. L'idea adeguata della filosofia è
invece, nella prospettiva di Croce, quella per la quale essa diviene un semplice momento
trascendentale della conoscenza storica, sicchè il suo solo compito è di apprestare alla conoscenza
storica le categorie della sensibilità del reale. Ne deriva che la filosofia è, come dice Croce, il mero
momento metodologico della storiografia, la mera delucidazione delle categorie costitutive dei
giudizi storici; e poiché la storiografia ha per contenuto la vita concreta dello Spirito, e questa vita è
vita di fantasia e di pensiero, di azione e di moralità (quali sono appunto le forme in cui si
estrinseca) e in questa varietà delle sue forme è pur una, la delucidazione delle categorie storiche si
muove secondo la distinzione dell'estetica e della logica, dell'economia e dell'etica, e le congiunge
tutte nella filosofia dello Spirito: questa tesi Croce la esprime in " Teoria e storia della
storiografia " e, più particolarmente, in " La storia come pensiero e come azione ". In questa
concezione, tuttavia, vi è qualcosa di più della mera identità tra la filosofia e al storia: la filosofia,
infatti, negata come scienza a sé stante e considerata come categoria della storia, finisce col trovare
solo in quest'ultima il suo inveramento, finisce cioè col risolversi integralmente nella storia. E' così
che Croce è via via pervenuto al pieno capovolgimento della posizione iniziale del suo pensiero di
fronte al problema storico: dalla considerazione iniziale della storia come arte (nel saggio giovanile
" La storia ridotta sotto il concetto generale dell'arte ") a quella che ne fa una forma di realtà
autonoma, inferiore alla filosofia, a quella dell'identità e reciprocità piena con la filosofia, infine a
quella dell'integrale risoluzione della filosofia nella storia come " storia pensata ", egli ha, come si
vede, descritto un ciclo evolutivo, parallelo all'evolversi stesso e all'arricchirsi progressivo del suo
pensiero. Ecco perché si è soliti definire la filosofia di Croce come la "filosofia dello storicismo
assoluto". Per essa, infatti, tutta la realtà è Spirito, tutta la realtà è storia: anche ciò che chiamiamo
natura è processo storico, è processo spirituale che abbiamo, nondimeno, distanziato così tanto che,
per il fatto che ci limitiamo a considerarne le manifestazioni sommariamente e dall'esterno, ci
sembra che siano manifestazioni di una realtà meccanica e quasi esterna allo Spirito. E' così
mostrata l'umanità della storia nel senso più largo, nel senso inclusivo anche della storia della
cosiddetta natura: come dell'uomo si può fare una storia naturale (esteriore e meccanizzata), così
della natura si può fare una storia umana (interiore, cioè, e spiritualizzata). L'opposizione tra natura
e spirito è pertanto opposizione non tra due realtà, ma tra due metodi diversi d'investigazione della
medesima realtà, dice Croce. Il metodo interno al reale, o della spiritualità e storicità del reale, è il
metodo per il quale la storia, per remoti o remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti presi a
considerare, è sempre storia contemporanea, è sempre storia riferita al bisogno e alla situazione
presente che la suscita e la crea: ecco perché " ogni storia è storia contemporanea ", in quanto la
ricerca sul passato è sempre frutto di interessi, domande, curiosità, che nascono dall'oggi. Ed è,
insieme, il metodo per il quale ogni storia, per particolare che sia il problema preso in
considerazione, è sempre storia universale, è sempre storia procedente dall'universalità del soggetto
e comprendente nella particolarità di quel problema la totalità dello Spirito. Il metodo invece
esterno al reale, o della materializzazione e meccanizzazione del reale, è il metodo del giudizio
classificatorio (produttore di pseudoconcetti), che, a differenza del giudizio storico (fondato sui
concetti), dà d'una realtà oggettiva e resa estranea e delle infinite sue determinazioni una
rappresentazione schematica, abbreviata secondo formule che non sono né vere né false ma sono
solo utili ai bisogni della pratica. Si è pervenuti, per questa via, ad esaminare la sfera dell' attività
pratica e, più precisamente, economica dello Spirito. E' la sfera nella quale, appunto, rientrano,
secondo Croce, i "giudizi classificatori", che si son detti, e le scienze empiriche, che su quei giudizi
si costruiscono. Con le scienze della natura, o con la considerazione naturalistica della realtà,
rientrano anche nella sfera dell'economico, dell'utile, le altre attività pratiche dello Spirito: quali
quelle del diritto, della politica, dell'economia in senso stretto. Sono le attività su cui Croce si è
soffermato con particolare attenzione, per la viva influenza che ha esercitato su di lui (anche se
volto a tutt'altro segno) il pensiero di Marx. Come Marx, infatti, egli riduce a economia, a
espressione dell'attività economica, il diritto e la politica; ma, in contrasto con Marx, da tale attività
distingue, secondo la sua dottrina, e afferma come aventi propria assoluta autonomia così i valori
morali (che stanno a quelli economici come l'universale all'individuale) come, e a maggior ragione,
i valori del bello e del vero. Si conclude così l'esame delle forme categoriali dello Spirito, che (per il
nesso dei distinti) sono insieme congiunte in un procedimento circolare, per il quale la teoresi è
condizione per la prassi e la prassi è condizione per la nuova teoresi, e così via nell'infinito
procedere della realtà. Giacchè la realtà non è altro se non storia: storia intesa come pensiero e come
azione, come libero esplicarsi e incessante progredire della vita attraverso il dispiegarsi delle forme
o dei valori (teoretici e pratici) che sono ad essa immanenti.