Daniel Chavarria IL ROSSO DEL PAPPAGALLO NACHA ros

Daniel Chavarria
IL ROSSO DEL
PAPPAGALLO
N.A.CHA ros
Romanzo di intrattenimento puro, che si legge velocemente per la trama, che, come
viene presentata in copertina, è a base di “passione politica, erotismo e santeria” e
per lo stile sciolto e brillante, ma che altrettanto velocemente si dimentica per la sua
mancanza di spessore, simile al 90% della produzione letteraria odierna, tesa solo al
successo commerciale. L’azione principale si svolge a Cuba dove abbiamo un ricco
argentino, Aldo Bianchi, alla caccia di un uruguaiano, “persuasore” di professione al
servizio della dittatura argentina, responsabile del massacro della prima moglie del
Bianchi e delle torture ed umiliazioni inflitte a lui stesso, chiamato Treò o capitano
Orrore, che ha cambiato nome, aspetto (pur senza operazione di plastica) e stile di
vita. Il Bianchi è aiutato da amici del tempo che fu e specialmente da una giovane
prostituta , seguace della santeria, della quale si è profondamente innamorato. Il caso
offrirà ad Aldo l’occasione di montare una trappola perfetta. Ho trovato superflua e
fuori luogo la spiegazione finale, in chiave psicanalitica, della passione di Aldo per una
donna tanto più giovane di lui, di età mentale ancora più giovane, di carattere
apparentemente capriccioso ed infantile.
Melania Mazzucco
VITA
N.A. MAZ vit
Ho trovato questo romanzo inferiore a “Il bacio della Medusa”, troppo lungo,
dispersivo per la pletora dei personaggi, le innumerevoli vicende che si intrecciano (o
si aggrovigliano?), la mancanza di un centro, lo stile ridondante, la struttura avanti e
indietro nel tempo. Vita è una bambina di 9 anni che emigra negli U.S.A., senza i
genitori, per raggiungere uno zio. Conosce, sulla nave un ragazzo di 13 anni e le 400
pagine del libro raccontano la loro storia d’amore, le loro traversie, attraverso il
continente e l’oceano più le vicende di un sacco di altra gente. Le ultime 50 pagine
lette in diagonale, per vedere come finiva.
ALDO BUSI
VITA STANDARD DI UN VENDITORE PROVVISORIO DI COLLANT
N.A. BUS vit
Condivido l’opinione di coloro che considerano Busi uno dei più importanti scrittori del
novecento italiano. Anche in questo straordinario romanzo risaltano le sue doti di
grandissimo prosatore, per la perfezione della sua sintassi, la ricchezza del suo
lessico, la profondità del suo pensiero, il suo sguardo acuto, il suo forte senso morale
e civico, la sua totale mancanza di ipocrisia, la sua indignazione morale, il suo sarcasmo
corrosivo, che non preclude momenti di umanità e di tenerezza. Qualcuno ha scritto
che le prime pagine sono “inutilmente scurrili” . Non sono d’accordo perché la crudezza
di alcune immagini (a ben altro ci ha abituati la letteratura contemporanea!) sono
strumentali alla definizione del protagonista gay, stanco ormai dei rari rapporti,
perché ha più bisogno, nella sua solitudine, di tenerezza che di sesso, di una carezza
che non giunge mai. Non più giovanissimo, vive con i genitori, sta per laurearsi,
guadagna con le traduzioni, conoscendo 5 lingue e si chiama Angelo Basarovi ( le
iniziali dell’Autore). Per il suo poliglottismo viene assunto come interprete da un
industrialotto, proprietario di una fabbrica di collant, Lometto (notare la simbologia
del cognome) che è un condensato delle peggiori caratteristiche possibili. Avido,
avaro, volgare, evasore fiscale, sfruttatore di lavoro nero, intrallazzatore, più che
disposto, per i danè, ad entrare in mercati clandestini di ogni genere. E’ corredato da
una moglie ignorante, apparentemente succube, ma in realtà complice, e da 3 figli
maschi il cui hobby unico è uccidere ed impagliare ogni sorta di animali, non
risparmiando i più coccolati pets casalinghi. Il rapporto tra Angelo e Lometto, nei loro
lunghi viaggi attraverso l’Europa per coltivare i clienti ed acquistarne di nuovi, non
possono che essere tempestosi, sino alla definitiva rottura. La megalomania di
Lometto giunge al punto, quando la moglie è incinta per la quarta volta, di spedirla a
partorire, accompagnata da Angelo, negli U.S.A., così il figlio, cittadino americano
potrà divenirne Presidente. Ma le cose andranno diversamente…..
Takuji Ichikawa
QUANDO CADRA’ LA PIOGGIA TORNERO’
N.A. ICH qua
“Scommetto che potremmo innamorarci l’uno dell’altra mille e mille volte. Ogni volta
che ci incontreremo saremo attratti l’uno dall’altra… ogni volta.”
Cosa succederebbe se, un anno dopo la nostra morte, potessimo tornare alla vita, non
come fantasma, ma come persona in carne e ossa, anche se senza memoria della nostra
vita precedente?
Potremmo scoprire di essere madre di un bambino che sembra un principino inglese;
potremmo innamorarci di nuovo di nostro marito, anche se è imbranato, malaticcio e un
po’ patetico; potremmo soprattutto “regolare i conti”, cioè fare le cose che avevamo
lasciato in sospeso e dire le cose che non avevamo mai detto, per pudore dei nostri
sentimenti o perché volevamo aspettare un momento più adatto. E lo stesso
potrebbero fare gli altri nei nostri confronti, cancellando tutti i rimorsi per colpe che
magari non hanno e i rimpianti per le cose non dette e non fatte che la morte di una
persona vicina spesso porta con sé.
Questo romanzo parla di questo, ma anche di un bellissimo rapporto padre-figlio, del
contatto strettissimo che i giapponesi cercano di mantenere con la natura, e di molto
altro, spesso solo lasciato intuire; è un romanzo d’amore, senza essere né patetico né
melenso; la sua forza è anche quella di parlare di una famiglia normale, che ha una vita
quotidiana normale, e che deve normalmente affrontare una tragedia come la morte.
Ne hanno fatto un film; voglio sperare che non lo abbiano devastato, perché è
difficilissimo rendere un libro così, delicato come un acquerello giapponese.
“Le persone probabilmente si innamorano più volte, sempre dello stesso compagno. E
ogni volta ritornano ragazzini brufolosi dal cuore fin troppo sensibile”.
Robert Alexis
IL VESTITO
N.A. ALE ves
E’ il primo romanzo di Alexis, e c’è da sperare che in futuro scriva qualcosa di meno
sbilenco.
Siamo alla vigilia della prima guerra mondiale, in un paese dell’Austria (probabilmente),
ma non c’è nulla delle inquietudini da fine-del-mondo-vicina che pure si dovevano
avvertire ai tempi. Un giovane ufficiale austriaco, di sesso evidentemente ondivago, si
innamora di una bellissima e misteriosa ragazza italiana; dopo molti incontri da soli, la
trova infine in una villa, molto impegnata nella partecipazione a una sorta di orgia
mistico-pedagogica, organizzata da un personaggio che poi si rivela essere suo padre.
La scena sembra presa di peso da Doppio sogno di Arthur Schnitzler; e lo stesso per i
successivi (maldestri) riferimenti a Freud.
La vicenda prosegue in un modo così incredibile che l’unico motivo per cui non si
smette di leggere è che il libro è breve e rimane la curiosità di vedere fino a che
punto va avanti.
Roddy Doyle
PAULA SPENCER
N.A.DOY rod
E’ il racconto di un anno di vita di una donna, Paula Spencer: 48 anni, alcolizzata (ex?),
quattro figli, un lavoro decisamente precario. Di precario, soprattutto, è il suo
equilibrio, perché la sua vita non è stata facile, tra l’alcolismo che non le ha permesso
di prendersi cura dei suoi figli quando era il momento, un marito violento che per
fortuna (di Paula) si è fatto ammazzare dalla polizia nel corso di una rapina, un figlio
drogato. Quando il romanzo comincia, tutto questo è già successo e Paula sta
faticosamente e lentamente ricostruendo la sua vita, innanzitutto, il suo rapporto con
i figli, la sua posizione professionale. E il bello è che ci riesce, e quindi dovrebbe
essere una storia positiva. Invece, comunica un senso di depressione quasi soffocante:
forse per il modo di scrivere, elencando minutamente ogni minimo gesto della vita
quotidiana, forse per l’ambiente di povertà ai limiti della miseria, forse per i ricordi
dolorosi che Paula comunque non può mettere da parte, non risulta una lettura né
facile né felice.
Anne Tyler
LA FIGLIA PERFETTA
N.A. TYL fig
Se non reggete le riunioni familiari, se siete per l’eutanasia di Babbo Natale, lasciate
perdere questo romanzo: non lo sopportereste.
All’aeroporto di Baltimora, un Ferragosto, si trovano due famiglie per lo stesso motivo,
cioè l’arrivo dalla Corea di due bambine molto piccole destinate ad essere adottate. Gli
Yazdan sono di origine iraniana, qualcuno nato in Iran e trapiantato in USA a seguito di
eventi anche traumatici, (come Maryam, la vera protagonista del libro), altri nati in
USA; i Donaldson sono in tutto e per tutto all-american, un po’ new age e molto
politically correct. Le due famiglie fanno amicizia, dopo l’incontro fortuito, e i contatti
proseguono negli anni a venire; i Donaldson organizzano spesso sontuose feste per le
occasioni più incredibili (da non perdere: la Festa per le Mutande, in occasione
dell’apprendimento dell’uso del vasino, e la Festa della Fata del Ciuccio, per smettere
l’uso dello stesso), gli Yazdan, soprattutto Ziba, hanno una sorta di reverenza nei loro
confronti e li assecondano, li considerano un po’ come loro modelli di “americanità”.
, La bambina Yazdan diventa subito Susan e viene allevata facendo del proprio meglio
da una famiglia che ha conservato alcuni tratti iraniani, ma che in realtà in USA si
trova bene economicamente e socialmente; la bambina Jin-Ho resta Jin-Ho e viene
cresciuta come coreana, o meglio, secondo l’idea di Corea che hanno in testa i
Donalson. E quindi: niente latte, niente vaccinazioni, vestiti coreani, favole coreane per
la buona notte ecc. ecc.
Risultato: due bambine entrambe perfettamente americane.
Il tema principale del libro, a mio parere, sono le difficoltà dell’integrazione degli
immigrati, soprattutto di fronte alle persone di ottima volontà e di sentimenti delicati
che, con l’esercizio della loro cautele e della correttezza politica a tutti i costi,
rischiano di ricacciarli indietro continuamente in un ghetto da cui queste persone,
come qui gli Yazdan, sono usciti volentieri e da tempo, o magari non ci sono mai entrati
perché nati negli USA. Il libro risulta spesso divertente, molte volte ironico, mai
noioso (neanche nelle interminabili riunioni di famiglia), e pieno di momenti veramente
toccanti e sinceri: la scena all’aeroporto, che si richiama strettamente a una vera
nascita in ospedale; tutti i monologhi interiori di Maryam, forse il personaggio più
bello e compiutamente sviluppato; tutti e due i brani sulle difficoltà di avere figli.