congressi, convegni - Ordine Avvocati Milano

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CONGRESSI, CONVEGNI
COLLOQUI FRANCO-ITALIANI A NIZZA
Si è svolto a Nizza, il 25 settembre u.s., il primo degli incontri
organizzato d'intesa fra i Consigli degli Ordini di Milano e di Nizza,
su argomenti relativi al mondo giudiziario.
Il tema di procedura penale nel calendario di questo primo
appuntamento era il raffronto fra l'istituto del c.d. “patteggiamento”
e l'omologo istituto francese (che entrerà in vigore il Io di ottobre)
denominato “ plaider coupable o composition penale “.
La delegazione italiana era rappresentata dal Presidente
dell'Ordine di Milano, Paolo Giuggioli, dal Vice Presidente
dell'Unione Avvocati Europei nonché membro del Consiglio
Direttivo del Centro Studi di Diritto Penale Europeo, Giovanni
Bana, dal Presidente della CRINT (Commissione Rapporti
Internazionali) del Consiglio dell'Ordine di Milano, Massimo
Audisio, dal suo Segretario, Mario Dusi, e dai componenti avvocati
Fabio Cagnola, Gianluigi Toffoloni, Enrico Radice, Giovanni De
Berti, Roberta Clerici, Daria Pesce, dal Segretario della sezione
italiana dell'U.A.E., Alberto Scapaticci di Brescia, dal Presidente
della Camera Penale di Como e Lecco nonché Segretario del Centro
Studi di Diritto Penale Europeo, Renato Papa. L'Ordine di Nizza era
rappresentato dal suo Presidente, Jacques Randon, dal Presidente del
Tribunale di Nizza, Hervé Expert, dal Procuratore della Repubblica
di Nizza, Eric De Montgolfier, oltre ad altre personalità politiche e
ad un centinaio di avvocati.
Il Dr. Expert ha evidenziato alcuni aspetti critici del nuovo testo
di legge esprimendo dubbi sulla funzione che il giudice sarà
chiamato a svolgere e sulla qualità della decisione adottata.
Il Procuratore della Repubblica De Montgolfier ha segnalato
come, a suo avviso, il meccanismo del “plaider coupable” non
alleggerirà, sostanzialmente, il lavoro del Parquet.
Gli avvocati Bana, Scapaticci e Papa hanno illustrato, anche
attraverso un vivace dibattito che si è innescato a causa del forte
interesse dei magistrati e colleghi francesi verso l'esperienza italiana,
dinanzi ad un istituto assolutamente innovativo ed estraneo alla
cultura giudiziaria francese, gli aspetti più significativi del
“patteggiamento”. Hanno poi segnalato le differenze importanti
rispetto al meccanismo del “plaider coupable”, istituto che, a
differenza del “patteggiamento”, pretende, quale condizione
indispensabile per l'accoglimento, il fatto che l'accusato si confessi
colpevole !
I magistrati francesi presenti hanno espresso una comprensibile
diffidenza dinanzi a questo istituto tipico dei sistemi di “common
law”; gli avvocati, invece, sono apparsi più favorevoli alla sua
introduzione in Francia: tutti hanno ascoltato con grande interesse,
come si sta svolgendo l'esperienza di applicazione del
“patteggiamento” in Italia, anche se è stata rilevata la profonda
differenza sostanziale fra i due istituti, soprattutto per l'obbligo della
confessione e la posizione della persona danneggiata che nel
“patteggiamento” appare drasticamente marginalizzata.
Sarà molto interessante vedere come si diffonderà, nonché se e
come evolverà, in Francia, “le plaider coupable”.
Certamente, comunque, l'introduzione, anche in Francia, di
questo meccanismo di giustizia “compositivo-mercantile”, presente
anche in Spagna e nei sistemi di “common law”, contribuirà non
poco a quell'avvicinamento culturale ed operativo fra i sistemi
giudiziari d'Europa che, passo dopo passo, creerà lo strumento
giudiziario, sempre più fortemente armonizzato, se non proprio
unico, costituente l'obiettivo dell'UAE nei prossimi anni, per la piena
attuazione del c.d. “terzo pilastro” (spazio europeo di libertà,
sicurezza e giustizia).
Obiettivo per il quale la Camera Penale di Como e Lecco,
nonché l'Unione degli Avvocati Europei (UAE) ed il Centro Studi
di Diritto Penale Europeo, sono fortemente impegnati, come hanno
dimostrato i Consigli dell'Ordine di Milano e Nizza che intendono
aprire anche ad altri questi incontri annuali.
Nella seconda parte dell'incontro è stato affrontato il tema
relativo al contratto di “franchising”. L'Avvocato Alberto Venezia
ha illustrato le novità introdotte dalla recente nuova normativa
italiana mentre i colleghi Jérôme Zuccarelli e Alberto Ponti Simonis
di Villario hanno illustrato ai presenti una relazione sugli aspetti
attuativi di maggior rilievo della normativa relativa a quel contratto
esistente in Francia da oltre 15 anni.
(Comunicato a cura della segreteria del Centro Studi di Diritto Penale Europeo)
ASSEMBLEA DELLE CAMERE PENALI
DEL DISTRETTO DI MILANO
Cesano Maderno, 2 ottobre 2004
I
TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA: LA PROTESTA E LA
PROPOSTA
Quest'anno l'annuale assemblea delle Camere Penali del
Distretto della Corte d'Appello di Milano si è tenuta a Cesano
Maderno, presso la Villa Borromeo.
Durante i lavori congressuali sono stati affrontati due temi: il
primo relativo all'organizzazione del Tribunale di Sorveglianza di
Milano e il secondo relativo alla pena e alla sua funzione.
Nella mattinata si è discusso del problema delle disfunzioni e
delle carenze organizzative presenti nel Tribunale di Sorveglianza di
Milano.
Tutti i presenti erano concordi nel riscontrare tale
disorganizzazione. In particolare, è intervenuto sull'argomento l'Avv.
Emanuele De Paola, consigliere della Camera Penale di Milano,
sostenendo che le udienze collegiali si svolgono senza seguire
minimamente gli orari fissati e con un numero di fascicoli
assolutamente superiore alla possibilità di trattarli tutti nelle fasce
orarie prestabilite. Ha inoltre rilevato l'inadeguatezza del metodo di
chiamata dei procedimenti che non distingue tra presenti ed assenti,
con ulteriore penalizzazione dei tempi di attesa per gli avvocati e per
i condannati (detenuti e non) che aspettano in angusti corridoi,
chiamati, poi, in aula con un altoparlante, comportando ciò la
violazione di ogni minima precauzione per la privacy. Ha
sottolineato, poi, il problema dei fascicoli privi dei documenti
necessari per una corretta valutazione del caso oppure delle
informazioni della P.G. o del C.S.S.A. giunte addirittura la mattina
stessa dell'udienza, impedendo all'avvocato di prenderne visione. A
fronte di questa situazione — ha concluso — l'intento della Camera
Penale non deve essere quello di scontrarsi, per partito preso, col
Tribunale di Sorveglianza, perché da una parte “bisogna essere
consapevoli delle carenze del personale amministrativo, ma,
dall'altra bisogna protestare per le carenze di carattere
organizzativo”.
L'Avv. Limentani è intervenuto affermando che sarebbe giusto
portare avanti la protesta su due piani: scioperare contro la
disorganizzazione del Tribunale di Sorveglianza, ma protestare
anche con il Presidente del Tribunale e della Corte d'Appello per le
carenze organizzative di carattere generale.
L'Avv. Busignani ha proposto la creazione di sezioni distaccate
del Tribunale di Sorveglianza di Milano, per avere così un numero
maggiore di magistrati che possano gestire meglio i fascicoli.
L'Avv. Gabriele Fuga è intervenuto portando l'attenzione su un
nuovo aspetto: la vacanza della Presidenza del Tribunale di
Sorveglianza. “Basta con i magistrati — ha affermato — che se ne
vanno dopo tre mesi: vogliamo un Presidente stabile, professionale e
competente ad affrontare questi problemi”.
Alla fine del dibattito si è passati alla votazione della proposta
di delibera su questi punti: promulgare lo stato di agitazione
permanente; dare mandato al coordinamento distrettuale per
comunicare la presente delibera agli organi interessati chiedendo un
incontro con gli organi direttivi del Tribunale di Sorveglianza;
deliberare la proposta di astensione dalle udienze del Tribunale di
Sorveglianza in date prestabilite e una giornata di astensione da tutte
le udienze penali del distretto. La proposta di delibera è stata votata
all'unanimità dai presenti.
II
LA PENA - RIEDUCAZIONE DEL CONDANNATO E
TUTELA DELLA COLLETTIVITÀ
I lavori del Congresso sono proseguiti nel pomeriggio con il
dibattito sulla pena e sulla sua funzione.
La relazione introduttiva è stata tenuta dal dott. Francesco
Maisto, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di
Milano, il quale ha tracciato un quadro storico delle principali
funzioni della pena, soffermandosi sul fatto che, oggigiorno, la vera
funzione della pena dovrebbe essere quella sociologica e non
socialpreventiva.
Successivamente sono iniziati gli interventi programmati. Il
primo ad intervenire su questo tema è stato il prof. Adolfo Ceretti,
criminologo e docente presso l'Università Statale di Milano, il quale
ha tracciato un'analisi sulla funzione della pena nell'epoca della
globalizzazione. Prima di tutto ha ricordato che oggi è opinione
pubblica che la politica penale debba rassicurare la popolazione e
per realizzare ciò “si deve lavorare insieme al legislatore
intervenendo in modo emergenziale per far si che la gente si senta
sicura.” La stessa criminologia moderna, infatti, ha posto l'accento
sul concetto di “deprivazione sociale”, superando in questo modo lo
stereotipo del delinquente degli anni trenta: il soggetto è delinquente
perché privo di socializzazione. E, alla luce di ciò, il trattamento più
adeguato è quello risocializzativo individualizzato, aumentando, in
quanto ritenuti insufficienti ed inadeguati, i controlli sociali. Queste
teorie — ha continuato — oggi diffusissime in America ed in
Inghilterra, spiegano la devianza criminosa come un evento da
calcolare: si parla, infatti, di normalità del crimine e, per questo, si
cercano soluzioni più efficaci nella nostra vita quotidiana
coinvolgendo e creando una partnership tra la società civile e i
diversi organi. La soluzione che viene data è quella di individuare
casi comuni di devianza e, attraverso vari tipi di controlli, cercare di
diminuire la realizzazione dei reati. E così da una parte si installano
circuiti chiusi, si sostituiscono i contanti con le carte di credito,
dall'altra si crea la c.d. commercializzazione del controllo del
crimine: polizie private, servizi di vigilanza pagati da privati. A tutto
ciò — ha continuato — si aggiunge un recupero della centralità del
carcere e della sua funzione di neutralizzazione, soddisfacendo le
esigenze di sicurezza pubblica e di gestione del rischio, ma creando,
dall'altra, un sovraffollamento dello stesso.
Altro fenomeno molto sviluppato dalla criminologia moderna,
soprattutto americana, è quello delle vittime. La vittima viene posta
al centro delle politiche della giustizia penale: i sentimenti della
vittima sono invocati come esempi a sostegno di una giustizia
penale. Ma tra questi due modelli, inadeguati per il Cerretti, vi è
quello, più equilibrato, della c.d. giustizia riparativa. Questa utilizza
come strumento la c.d. mediazione penale: si deve lavorare con le
vittime per affrontare la lacerazione sociale e gli effetti distruttivi
creati dal reato e si deve, altresì, lavorare a favore di una riparazione
(non di carattere economico) realizzata dal reo con gesti simbolici.
Il dott. Antonio Tanga, Sostituto Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Monza e membro della Commissione Nordio
per la riforma del codice penale, è intervenuto sul tema della pena
delineando i contorni della riforma del codice penale. I problemi che
si pongono oggi — ha affermato — per realizzare la riforma di
questo codice sono diversi da quelli affrontati per la stesura del
codice del 1930. All'epoca, infatti, non c'era la Costituzione e così si
era evidenziato il problema della scelta tra il principio di legalità
formale o sostanziale e, la soluzione trovata, fu quella
dell'applicazione del sistema del c.d. doppio binario. Oggi, invece, è
la stessa Costituzione ad individuare i beni giuridici da proteggere.
In questa riforma — ha aggiunto — vengono soprattutto rivisti
alcuni principi generali, come quello della sussidarietà: tutto ciò che
è già stato sanzionato in altre leggi, non ha più rilevanza penale. Si è
cercato, pertanto, di stabilire l'effettività e l'efficacia della pena
intesa come strumento sociale con una finalità di recupero,
estendendo per esempio anche ai soggetti maggiorenni l'istituto del
perdono giudiziale.
È poi intervenuto il dott. Franco Petrelli, Giudice di Pace
presso il Tribunale di Monza, che ha sottolineato l'importanza della
legge di riforma che ha introdotto la figura del giudice di pace
penale perché “per la prima volta si attribuisce la competenza penale
ad un corpo non professionale e perché lo Stato rinuncia alla propria
azione punitiva a favore della ricomposizione del conflitto”. I
concetti di fondo di questa riforma si trovano sia nell'individuazione
del catalogo dei reati di conflittualità privata che nella rilevanza data
alla persona offesa e, nel compito attribuito al giudice di tentare,
prima di tutto, una conciliazione tra le parti.
Successivamente è intervenuto l'On. avv. Giuliano Pisapia, che
ha in primis sottolineato l'antitesi tra le riflessioni che riguardano la
pena, da applicare in modo più umano, e la realtà concreta delle
carceri, dove i fondi sono stati tagliati e dove di fatto i detenuti
vivono in condizioni disumane. Per cercare di risolvere questa
situazione — ha affermato — è necessario distinguere tra funzione
punitiva da parte dello Stato e risarcimento del danno della persona
offesa. Sul tema dell'indulto e dell'amnistia, l'On. Pisapia si ritiene
pessimista in quanto “è necessaria la riforma dei codici penali e
dell'ordinamento giudiziario in generale, ma il problema sta proprio
nelle difficoltà da parte delle Camere di poter approvare queste
riforme.”
Il Convegno è stato concluso da Don Virgilio Ballucchi,
responsabile della Caritas, che ha riferito dei suoi colloqui in carcere
con i detenuti.
la cronaca è della dott.ssa Sonia Laporta
IL CONVEGNO DI WEIMAR DELLA ASSOCIAZIONE DEI
MAGISTRATI AMMINISTRATIVI TEDESCHI,
ITALIANI E FRANCESI
Si è celebrato a Weimar, fra l'1 e il 3 ottobre scorsi, il decennale
della fondazione della Associazione dei Giudici Amministrativi
tedeschi, italiani e francesi. L'Associazione riunisce magistrati
amministrativi con lo scopo di dibattere i temi della giustizia
amministrativa nei rispettivi Paesi, di confrontare esperienze e
orientamenti giurisprudenziali, di verificare il grado di effettività
della giustizia amministrativa nei confronti della pubblica
amministrazione, atteso che sono differenziati i gradi di tutela degli
interessi. Gli incontri avvengono in convegni che, con cadenza
annuale, si tengono a turno nei tre Paesi. Ad essi partecipano anche
avvocati che, sia pure non a pieno titolo statutario, apportano il
contributo che la loro professione consente di dare, e che trova
ampio spazio nelle relazioni e nei dibattiti.
Per parte italiana erano presenti il Presidente del Consiglio di
Stato, De Roberto, il Segretario Generale Borioni, i Consiglieri
Carinci, Carboni, Leoni e Pullano; i Presidenti di Sezione di T.A.R.
Arosio, Mariuzzo (Presidente del TAR Brescia), Nicolosi; i
Consiglieri Cogliani, De Mattio, Gaviano, Sestini, Widmair e Perna;
il Segretario Generale del T.R.G.A. Bolzano Winkler. Per il Foro di
Milano, i Colleghi Papi Rossi, Quadrio, Salvi, Spadea e chi scrive;
degli altri Fori, Porqueddu di Brescia, Platter di Bolzano, Castelli e
Congiu di Cagliari, Lumetti di Firenze, Di Leginio di Latina, Vasile
di Pescara e Allocca di Roma. Il mondo accademico era
rappresentato da Cossu di Gagliari e Galetta di Milano.
Nei precedenti convegni e, in particolare, in quelli di Nizza del
1996 e di Sirmione sul Garda del 2001, i lavori, preceduti da
relazioni sugli aspetti dei singoli ordinamenti, avevano posto
l'accento sulle novità introdotte nel processo amministrativo italiano,
prima dall'elaborazione giurisprudenziale e poi dalla riforma, sulla
accelerazione del processo medesimo, sulla più efficace tutela
cautelare, sull'effettività delle pronunce nei confronti della pubblica
amministrazione, sull'allargamento della cognizione sotto il profilo
della giurisdizione esclusiva, sul recepimento di alcuni istituti del
processo civile, quali la consulenza tecnica e l'assunzione di mezzi
di prova, e sulla risarcibilità del danno da lesione di interesse. Istituti
che hanno segnato una marcata differenziazione del processo
amministrativo italiano rispetto agli altri ordinamenti processuali. In
quei convegni veniva anche sottolineato come i rispettivi sistemi del
processo amministrativo siano strettamente legati all'ordinamento
sostanziale. Veniva evidenziata la difficoltà a introdurre norme
comuni di diritto processuale amministrativo, fin tanto che non
venga attuato nell'ambito comunitario un impianto uniforme anche
dell'ordinamento amministrativo. L'ipotesi di una direttiva
comunitaria in materia processuale, così come avviene per le materie
che attengono alla concorrenza nell'attività di impresa, appare ancora
remota e si potrà realizzare quando vi sarà omogeneità negli
ordinamenti amministrativi, pur con le peculiarità derivanti da un
sempre più marcato autonomismo. Non è pensabile che, con la
libertà di intrapresa produttiva e di libero scambio di beni e servizi,
con la libertà di stabilimento nelle professioni e nei mestieri in tutto
l'ambito comunitario, non debba assicurarsi ai cittadini parità di
tutela nell'ambito medesimo. Si pensi al diverso regime processuale
del rimedio cautelare, a quello dell'efficacia del giudicato nei
confronti della pubblica amministrazione, a quello, di rilevanza assai
grande, della risarcibilità della lesione degli interessi legittimi offesi
da atti e provvedimenti della pubblica amministrazione, ancora
troppo differenziata rispetto al risarcimento della lesione di diritti
soggettivi (sarebbe, peraltro, tempo di abbandonare questa antica
ripartizione nella posizione del cittadino, e meglio definire gli ambiti
dei diritti e quello delle potestà). È indubbio che differenti livelli di
tutela possono condizionare le scelte dello Stato ove operare nei
rapporti contrattuali, autoritativi, o concessori.
La scelta di Weimar, quale sede del convegno di quest'anno, è
derivata da ragioni celebrative (lì l'Associazione è nata) e da
considerazioni storico-culturali, più che da finalità di
approfondimento dei temi specifici sviluppati nei convegni
precedenti. A Weimar è stata votata la Costituzione della nazione
tedesca nella sua prima democrazia che, pur con i grandi contenuti
ispirati dalla massima giurispubblicistica del tempo, ha rivelato
fragilità perché non sorretta da consenso politico, e non
sufficientemente sentita quale patto che legasse attorno allo Stato la
società civile. A Weimar hanno vissuto e operato i grandi della
cultura europea, fra i quali Goethe e Schiller, in tempi in cui mentre
le guerre dividevano l'Europa, le arti e le scienze la univano.
L'elaborazione del testo finale della Costituzione europea ha
quindi costituito il tema principe del convegno, allo scopo di
individuare i segni di una vera unificazione, in tempi in cui
sembrano prevalere i regionalismi. La stessa Germania, come ha
ricordato uno dei relatori, che pure è priva di tensioni centrifughe,
avverte la necessità di ridefinire, in senso più marcatamente
autonomistico, ruoli e poteri dei Laender nei confronti dello Stato.
È apparso pertanto naturale che i magistrati amministrativi si
preoccupassero di esaminare, con una approfondita analisi e con
l'apporto degli altri operatori del diritto, quali riflessi vi saranno
negli ordinamenti interni, proprio per gli aspetti che attengono ai
rapporti fra cittadini e pubblica amministrazione, rispetto ai quali
grandi sono ancora le differenziazioni.
Ed è forse questa l'occasione mancata del costituente europeo.
Mentre, come sopra si è rilevata attraverso l'emanazione dei
regolamenti e delle direttive comunitarie si è provveduto a
uniformare le normative che regolano la vita economica, abbattendo
barriere che si frapponevano alla libera circolazione dei beni, dei
servizi e delle persone, e dettando una disciplina sostanziale
uniforme, non vi è stata, né si prevede, la costruzione di un
ordinamento uniforme del processo amministrativo, permanendo in
tal modo diversi, e differenziati, livelli di tutela.
L'armonizzazione degli ordinamenti appare impresa necessaria,
ma ardua, sopratutto alla luce della considerazione che si opera
nell'ambito di ordinamenti non omogenei e, anche laddove unitari,
assumono rilievo le differenziazioni esistenti tra i diversi interventi
legislativi in ambiti statali e regionali, con le difficoltà che ne
derivano, ad esempio, in ordine all'individuazione dei limiti della
legislazione concorrente.
Il convegno della Associazione di quest'anno è stato dunque di
studio, a differenza, come già rilevato, di quelli ordinari, che vedono
lo scambio di esperienze professionali, e di approfondimento su temi
per i quali l'elaborazione giurisprudenziale è particolarmente attiva.
Gli atti verranno pubblicati, e ad essi il lettore potrà attingere
per l'approfondimento che riterrà utile.
Mario Bassani
avvocato in Milano
docente nell'Università degli Studi di Milano,
Facoltà di scienze politiche
e di Istituzioni di diritto pubblico
IL SEGRETO PROFESSIONALE DELL'AVVOCATO
IN EUROPA
Convegno dell'Unione degli Avvocati Europei (UAE), Marsiglia, 15 ottobre 2004.
L'Unione degli Avvocati Europei, presieduta dall'Avv. Gerard
Abitbol, al termine del suo mandato triennale, ha organizzato,
insieme ai vice-presidenti Giovanni Bana e Christian Voelker, un
congresso internazionale sul segreto professionale dell'avvocato in
Europa, che si è svolto a Marsiglia in data 15 ottobre 2004.
Durante i lavori del convegno sono state analizzate in
prospettiva comparatistica le diverse discipline presenti nei paesi
dell'Unione europea.
Si riporta la relazione tenuta dall'Avv. Giovanni Bana sulla
normativa italiana in tema di segreto professionale dell'avvocato,
alla luce dei recenti interventi giurisprudenziali e legislativi.
Segreto professionale e Corte Costituzionale.
Le parole della Corte Costituzionale italiana possono
efficacemente introdurre il tema. Come ha ben affermato il Giudice
delle Leggi (sentenza nr. 87/1997), a proposito del segreto
opponibile dall'avvocato in occasione di una testimonianza, “la
facoltà di astensione dell'avvocato non costituisce un'eccezione alla
regola generale dell'obbligo di rendere testimonianza, ma è essa
stessa espressione del diverso principio di tutela del segreto
professionale”. Questo, posto a tutela del diritto fondamentale di
difesa, non può essere limitato o sacrificato, neppure al fine della
fondamentale necessità dell'accertamento penale; i due interessi
possono solo essere opportunamente contemperati: “il legislatore,
disciplinando la facoltà di astensione degli avvocati, ha operato, nel
processo, un bilanciamento tra il dovere di rendere testimonianza ed
il dovere di mantenere il segreto su quanto appreso in ragione del
compimento di attività proprie della professione”.
Segreto professionale e illecito penale.
Il difensore ha il dovere – non solo il diritto – al segreto
professionale a tutela del diritto fondamentale alla difesa.
L'inosservanza di tale dovere integra sia un illecito penale sia un
illecito a carattere disciplinare.
L'avvocato può venire a conoscenza degli elementi utili per la
difesa del suo cliente attraverso vari canali. Può trattarsi di testi, di
documenti o anche solo di spunti che il legale può approfondire
mediante le investigazioni difensive, attività consentita dal codice,
sia pure entro determinati limiti. Può avvalersi di consulenti o
investigatori privati.
Il difensore svolge l'incarico in piena autonomia e, perciò,
decide anche che uso fare dei risultati di tali accertamenti. Può, ad
esempio, raccogliere le dichiarazioni di un teste e poi non utilizzarle.
Deve però tenere costantemente informato il cliente degli sviluppi
delle indagini e delle scelte effettuate.
L'art. 622 c.p., intitolato “rivelazione di segreto professionale”,
punisce con la reclusione fino a un anno o con la multa da 30 euro a
516 euro chi, “avendo notizia, per ragione della propria professione
di un segreto lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a
proprio o altrui profitto”. La giurisprudenza di legittimità ha avuto
modo di precisare che solo nell'ipotesi del segreto professionale tale
segreto è “riferito a notizie apprese per ragioni di ufficio e riflettenti
situazioni soggettive di privati e delle quali colui che di esse è
depositario in virtù del suo status professionale in senso lato
(ufficio, professione o arte), deve assicurare la riservatezza”.
Se il legale, nel corso delle investigazioni difensive, raccoglie
elementi utili a dimostrare la responsabilità di un terzo, per il reato
di cui è accusato il proprio cliente, non ha alcun obbligo di denuncia,
al pari di qualunque altro cittadino, salvo che si proceda per delitto
contro la personalità dello Stato. Può portare a conoscenza
dell'autorità giudiziaria tali elementi, ma non è tenuto a farlo, se
ritiene che non sia nell'interesse del proprio assistito. Può anche
decidere il momento in cui è più opportuno informare l'autorità
giudiziaria, sempre avuto riguardo alla posizione del suo cliente.
Nello svolgimento dell'incarico, il legale deve attenersi alle
norme del codice deontologico: esso impone che la difesa sia la
migliore possibile e venga svolta con lealtà e correttezza. All'interno
di tali confini, ogni decisione compete al professionista. Se il cliente
riferisce all'avvocato cose importanti, a carico di altri e a propria
discolpa, il legale non può riferirle al giudice, perché una tale
testimonianza indiretta, non potrebbe essere utilizzata in alcun modo
e non avrebbe perciò alcun effetto sull'ulteriore svolgimento delle
indagini. Può, però, consigliare al proprio assistito di depositare un
esposto, raccontando i fatti o di recarsi a riferirli direttamente
all'autorità procedente. È necessario che tali circostanze siano vere,
per evitare che il cliente, diventato teste, possa essere incriminato
per calunnia.
L'avvocato potrà, invece, rendere testimonianza sui fatti che
avrà accertato personalmente, se rilevanti per la difesa e nel rispetto
del segreto professionale. Sulla base dell'art. 200 del Codice di
procedura penale, l'avvocato non può essere obbligato a deporre su
ciò che ha saputo svolgendo il suo mandato. Si tratta di un diritto,
ma anche di un dovere, sicché il legale potrà deporre solo se
autorizzato dal suo cliente. Senza tale autorizzazione, il difensore
violerebbe il principio deontologico della riservatezza e della
segretezza.
Il difensore commette poi reato di infedele patrocinio se,
venendo meno ai suoi doveri, nuoce agli interessi della parte da lui
assistita. Se, per ipotesi, il suo cliente fosse condannato perché
informazioni essenziali, quali sono il nome del vero colpevole e le
prove a suo carico, sono state nascoste al giudice e soprattutto
all'interessato, il legale potrebbe a sua volta finire sotto processo.
L'accertamento della eventuale responsabilità dovrebbe però
tener conto della situazione nel suo complesso e della ratio di tutte
le scelte effettuate. Una decisione potrebbe sembrare assurda o
sbagliata, se osservata dall'esterno, ma risultare assolutamente
pertinente, tenuto conto degli atti del processo.
Segreto professionale e illecito disciplinare.
L'illegittima divulgazione di notizie riservate, che l'avvocato ha
appreso in occasione dell'esercizio della sua professione, costituisce
anche illecito disciplinare.
L'art. 9 del Codice deontologico approvato dal Consglio
Nazionale Forense, intitolato al Dovere di segretezza e riservatezza
recita: “è dovere, oltreché diritto, primario e fondamentale
dell'avvocato mantenere il segreto sull'attività prestata e su tutte le
informazioni che siano a lui fornite dalla parte assistita o di cui sia
venuto a conoscenza in dipendenza del mandato”. Il dovere di
segretezza deve essere mantenuto anche nei confronti “degli exclienti” e “di colui che si rivolga all'avvocato per chiedere
assistenza senza che il mandato sia accettato”. “L'avvocato è tenuto
a richiedere il rispetto del segreto professionale anche ai propri
collaboratori e dipendenti e a tutte le persone che cooperano nello
svolgimento dell'attività professionale”. Uniche eccezioni sono
costituite dalle ipotesi in cui la “la divulgazione di alcune
informazioni relative alla parte assistita sia necessaria: a) per lo
svolgimento delle attività di difesa; b) al fine di impedire la
commissione da parte dello stesso assistito di un reato di particolare
gravità; c) al fine di allegare circostanze di fatto in una controversia
tra avvocato e assistito; d) in un procedimento concernente le
modalità della difesa degli interessi dell'assistito. In ogni caso la
divulgazione dovrà essere limitata a quanto strettamente necessario
per il fine tutelato”.
Segreto professionale e processo penale.
a. Le “garanzie di libertà del difensore”.
Il segreto professionale riceve particolare tutela nel processo
penale, ove il rapporto fiduciario che sussiste tra cliente e avvocato
deve essere garantito anche contro eventuali “intrusioni” da parte
della autorità giudiziaria.
A questo proposito l'art. 103 c.p.p., intitolato alla “Garanzie di
libertà del difensore” prevede una serie di cautele per assicurare che
l'attività difensiva non sia abusivamente perseguita. “Le ispezioni e
le perquisizioni negli uffici dei difensori, [anzitutto] sono consentite
solo: a) quando essi o altre persone che svolgono stabilmente
attività nello stesso ufficio sono imputati, limitatamente ai fini
dell'accertamento del reato loro attribuito; b) per rilevare tracce o
altri effetti materiali del reato o per ricercare cose o persone
specificamente predeterminate”. In altre parole, l'ufficio ove
l'avvocato esercita le sue funzioni non può essere impunemente
“violato”. “Presso i difensori e gli investigatori privati autorizzati e
incaricati in relazione al procedimento, nonché presso i consulenti
tecnici, [inoltre], non si può procedere a sequestro di carte o
documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo che costituiscano
corpo del reato”: le possibilità di sequestro sono dunque molto più
ristrette di quelle ordinarie. “Sono [anche] vietati il sequestro e ogni
forma di controllo della corrispondenza tra l'imputato e il proprio
difensore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo
che l'autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si
tratti di corpo del reato”.
Infine, “non è consentita l'intercettazione relativa a
conversazioni o comunicazioni dei difensori” e “i risultati delle
ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di conversazioni o
comunicazioni, eseguiti in violazione delle disposizioni [richiamate],
non possono essere utilizzati”.
A questo proposito la giurisprudenza di legittimità (Cassazione
penale, sez. V, 12 febbraio 2003, n. 20072, Graviano e altro, in
D&G - Dir. e Giust. 2003, f. 21, 31) ha avuto modo di precisare che
“le speciali garanzie di libertà del difensore, previste dall'art. 103
c.p.p., non possono valere ad inibire attività captative nei suoi
confronti, ove egli stesso sia indagato e, comunque, non possono
sottrarre all'ascolto legittimo le conversazioni che non attengano
alla funzione difensiva in quanto esse stesse integrino fattispecie di
reato”.
b. Testimonianza e segreto.
Ai sensi dell'art. 200 c.p.p. gli avvocati, gli investigatori privati
autorizzati, i consulenti tecnici “non possono essere obbligati a
deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio
ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di
riferirne all'autorità giudiziaria”. A questo proposito va precisato
che la recente l. 397/2000, che ha disciplinato per la prima volta in
Italia in modo molto articolato ed esauriente l'attività investigativa
del difensore, ha introdotto il nuovo art. 334-bis c.p.p. ai sensi del
quale “il difensore […non ha] obbligo di denuncia neppure
relativamente ai reati dei quali abbiano avuto notizia nel corso delle
attività investigative da essi svolte”.
Riflessioni conclusive a margine di un recente provvedimento in
tema di riciclaggio.
Il recente decreto legislativo nr. 56/2004, di Attuazione della
direttiva 2001/97/CE in materia di prevenzione dell'uso del sistema
finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi da attività illecite
estende l'obbligo di segnalazione (e di identificazione e di
conservazione delle relative informazioni) previsto dalla “legge
antiriciclaggio” (vale a dire il d.l. n. 143/1991, convertito, con
modificazioni, dalla l. n. 197/1991) anche “ai notai e agli avvocati
quando, in nome o per conto di propri clienti, compiono qualsiasi
operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i
propri clienti nella progettazione o nella realizzazione di operazioni
riguardanti: 1) il trasferimento a qualsiasi titolo di beni immobili o
attività economiche; 2) la gestione di denaro, strumenti finanziari o
altri beni; 3) l'apertura o la gestione di conti bancari, libretti di
deposito e conti di titoli; 4) l'organizzazione degli apporti necessari
alla costituzione, alla gestione o all'amministrazione di società; 5)
la costituzione, la gestione o l'amministrazione di società, enti, trust
o strutture analoghe”.
L'obbligo, tuttavia, non opera “per le informazioni che [gli
avvocati] ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo
stesso, nel corso dell'esame della posizione giuridica del loro cliente
o dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del
medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale
procedimento, compresa la consulenza sull'eventualità di intentare o
evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o
ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso”.
Il contenuto degli obblighi in discorso, infine, dovrà essere
precisato da un regolamento del Ministro dell'economia e delle
finanze. È questo il profilo riguardo al quale gran parte dei primi
commentatori ha manifestato perplessità. Definire il contenuto di un
obbligo che deroga al dovere di riservatezza dell'avvocato e, con
esso, al principio fondamentale di difesa di riferimento, con un mero
regolamento non pare, infatti, legittimo.
L'osservazione è lo spunto per rimarcare, ancora una volta,
come il dovere alla riservatezza dell'avvocato non possa in alcun
modo essere sacrificato a interessi diversi e minori.
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