L`accumulo emotivo

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L’ACCUMULO EMOTIVO
Riza Psicosomatica -Gennaio 1983
L.Paola Pacifico - Leonardo Marletta
Accade spesso di incontrare persone che reagiscono in modo sproporzionato, o
comunque incongruo, alle situazioni che si presentano loro. Esse in qualche modo
sembrano scaricare alla prima occasione il peso di una tensione emotiva da tempo
accumulata. Sono tipici gli esempi di chi, non potendo rispondere male ai suoi superiori,
finisce per farlo con i familiari, o anche di chi, per un semplice sguardo, si innamora
perdutamente, riversando sull’altro una dolcezza eccessiva. Si tratta in ogni caso
dell’emergere prepotentemente alla luce di quei gesti e di quelle emozioni spontanee
provate e non espresse a suo tempo. Come vere e proprie azioni in sospeso, le cariche
emotive restano latenti nel corpo in attesa di venire “consumate” e trovare così la giusta
“liberazione”. La soluzione a questa ricerca febbrile si ha nell’incontrare la disponibilità
dell’altro a lasciarsi utilizzare a sua volta.
Sospendere il capire in favore del sentimento
Compiere un’azione giusta al momento giusto non a caso è ritenuta un’operazione
magica.
L’azione non trova ostacoli e si realizza nella sua pienezza quando le persone coinvolte
calano spontaneamente le loro difese e, senza più separazioni, diventano un tutt’uno che
gode e gioisce di quell’azione.
L’amplesso corrisposto ne è l’esempio più evidente. Lo sono anche il silenzio e uno
sguardo quando sono carichi di disponibilità e presenza.
La capacità di ascoltare
L’azione giusta richiede la capacità di ascoltare la situazione emozionale propria e degli
altri e la capacità di agire con immediatezza e forza.
Se è vero che è possibile costringere l’altro al proprio volere, chi compie l’azione giusta
non costringe, né forza le difese dell’altro. Neppure approfitta della mancanza di difese.
Mette in atto il suo sentire, l’ascolto interiore, si rende disponibile e, se anche l’altro lo è, il
risultato non può che essere l’azione giusta al momento giusto, che è poi l’operazione
magica che sprigiona la forza della gioia.
Se mentalmente siamo divisi, emotivamente siamo legati agli altri.
Ascoltare gli stati emozionali propri e altrui richiede una momentanea sospensione del
rapportarsi razionalmente con le cose e con le persone. Sospendere il capire in favore del
sentire.
La desuetudine all’ascolto interiore ci porta a non sapere più risiedere nella sfera del
sentire. Non riusciamo per questo a captare di noi e degli altri la condizione emotiva del
momento. Di conseguenza, non riconosciamo la natura delle emozioni che in quell’attimo
viviamo.
Le emozioni spesso non sono quelle adeguate all’occasione, ma altre che sono state
trattenute e non espresse e che al momento trovano una circostanza adatta per
scaricarsi.
A compiere le azioni è il nostro corpo. Esso è carico di gesti, movimenti, azioni e atti
trattenuti che, "famelici”, vagano alla ricerca di una circostanza propizia per esprimersi
(premere fuori).
Il “disturbo” comunicativo
Tratteniamo continuamente atti e gesti, credendo che in tal modo essi vengano annullati.
Ma così non è. Ogni azione o gesto non compiuto diventa un sospeso, un non risolto che
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crea tensione emotiva e vaga a vuoto nel nostro corpo in attesa di essere consumato. Più
sospesi ci saranno, maggiore sarà la tensione emotiva che vaga nel nostro corpo.
Appena si presentano circostanze che con queste tensioni sono in sintonia anche minima,
esse fuoriescono, non tenendo conto della disponibilità dell’altro e degli altri. Più è forte la
tensione, maggiore sarà il bisogno di liberarsene. Più è il tempo che sono rimaste in noi,
maggiore sarà la fame di circostanze adatte per scaricarsi.
L’accumulo di questi sospesi e quindi della tensione emotiva, a lungo andare può
diventare un vero e proprio “disturbo” comunicativo che non farà recepire bene lo scambio
d’informazioni tra due o più persone.
Così come esiste il disturbo esterno, il rumore di un’auto, di una moto, di una chiassosa
risata che non fanno ben capire ciò che qualcuno sta dicendo, esiste il disturbo interno,
l’accumulo di tensione emotiva, che non consente la ricezione e la trasmissione corretta di
quelle informazioni verbali e non verbali che ci si sta scambiando in quel momento.
Infatti la persona molto emotiva non ascolta ciò che gli si va dicendo. E’ come se il suo
corpo si opponesse a percepire ordinatamente una qualsiasi informazione perché molto
impegnata dentro di sé a gestire la sua emotività.
Di solito non ci si rende conto di quanto avviene nell’ambiente che la circonda e
raramente valuta la situazione per quella che è.
Da questo punto di vista possiamo considerare due tipi di emotivi: quelli che si muovono
molto e quelli che si muovono poco.
I tipi emotivi
Il primo compie continuamente quelli che si chiamano “gesti autoadattivi” e cioè muove
spesso il suo corpo. Con questo suo continuo adattarsi alla sedia, alla poltrona, non vuole
attirare l’attenzione degli altri, ma soltanto seguire il ritmo interno della sua tensione.
Il suo lavoro è intenso ma discontinuo e ha difficoltà a concludere i lavori iniziati.
Non cerca l’approvazione degli altri contrariamente all’emotivo che si muove poco.
A volte parla moltissimo, a volte tace per lungo tempo.
Il secondo tipo di emotivo si muove poco e compie gesti di manipolazione sul suo corpo,
si mangia le unghie, preme un piede sull’altro, intreccia le dita, si massaggia le mani, per
riportarsi alla realtà da cui sfugge per seguire il suo continuum interiore. E’ attirato dagli
altri, ma una sorta di cinta gli impedisce di uscire da sé.
Al momento del saluto instaura una certa vischiosità che rallenta il distacco, esattamente
al contrario dell’altro tipo emotivo, il cui distacco è rapidissimo.
Si ripete nel racconto delle sue imprese e gira intorno agli argomenti così come ai suoi
problemi, ponendoli senza via di uscita o come già risolti.
Questo tipo di emotivo tende alla depressione, mentre l’altro tende all’esaltazione.
Sia il primo che il secondo, quando si predispongono all’ascolto, compiono un grosso
sforzo peraltro inutile in quanto colgono soltanto frammenti di quanto si va loro dicendo.
Se si vuol far passare qualche informazione, bisogna essere sintetici, altrimenti si
distraggono. Mai sincroni nella conversazione: o sono fermi a qualche punto oppure
hanno elaborato velocemente qualche frammento e premono per comunicarlo.
L’emotività fino a un certo livello diventa funzionale al vivere, oltre misura diventa un
disturbo e crea disagio a sé e agli altri.
Valenze del tipo aggressività o dolcezza quando sono al di sopra di una certa misura si
risvegliano incontrando quella circostanza che, anche se minimamente, presenta elementi
di aggressività o di dolcezza.
Basterà allora un niente perché la persona diventi fortemente aggressiva o dolcissima e
metta in circolo una quantità di emotività sproporzionata.
Classico l’esempio di chi non avendo potuto rispondere male al suo superiore, a casa
litiga con i familiari per un nonnulla. O l’altro esempio di chi si innamora follemente per un
semplice sguardo di simpatia.
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L’accumulo emotivo può anche scaricarsi su se stessi. Ad esempio quando l’arto che
voleva colpire chi ci aveva offesi si irrigidisce, si paralizza; quando le situazioni che non si
digeriscono provocano un vomito nervoso; quando si forma un’ulcera perché si punta la
spada dell’aggressività contro se stessi e non contro chi ci ha colpiti con una parola o con
l’esclusione.
L’ordine inverso
Le azioni, i gesti non risolti dentro di noi sono molti ed essi, quando trovano la circostanza,
emergono nell’ordine inverso al loro insorgere
Supponiamo che una persona faccia una domanda ad un’altra che sta leggendo un libro e
questi, preso dalla sua lettura, non risponda. La reazione di chi ha fatto la domanda
potrebbe essere di avvicinarglisi e gettargli via dalle mani il libro, ma si controlla e rifà la
domanda. L’altro mugugnando vagamente una risposta prosegue nella sua lettura. La
successiva reazione potrebbe essere quella di uscire dalla stanza sbattendo la porta. Ma
anche questa reazione viene controllata e la persona se ne va nella stanza accanto.
Anche se cercherà di calmarsi dicendo a se stessa che non è il caso di prendersela tanto,
che non ne vale la pena, che il torto ricevuto non è poi così grave, le azioni sospese dello
sbattere la porta e del far volar via il libro gli rimarranno dentro e potrà liberarsene soltanto
riproducendole.
Se il rapporto col partner consente l’umorismo, potrà farlo proponendogli un replay
scherzoso, ma se ciò non è possibile sarà opportuno crearsi una circostanza fittizia che
glieli faccia consumare per non gravarsi di inutili carichi emotivi.
I movimenti comunque verranno fuori seguendo l’ordine inverso con cui sono stati
incamerati. Se il primo è stato far saltare via di mano il libro e il secondo è stato sbattere
la porta, il primo ad essere prodotto sarà sbattere la porta e il secondo far volare il libro.
Ciò rispecchia una specie di sequenzialità che è propria del movimento del corpo e che va
tenuta presente nell’incontro con gli altri.
Sin dalle prime battute di un incontro si può capire se quello porterà o no all’operazione
magica. Se le persone cominciano a tirar fuori parole, gesti, atti che non hanno nulla a che
vedere con le emozioni del momento, o ci si mette nell’atteggiamento di farsi utilizzare,
accettando che vecchi sospesi emotivi emergano, oppure si cambia interlocutore e
ambiente. Aspettare il tempo giusto dell’azione giusta, vorrebbe dire caricarsi di ulteriore
tensione per l’inutile attesa.
L’azione giusta al momento giusto, in questo caso, potrebbe essere rappresentata dal
lasciare che gli altri vivano il loro ritmo di maturazione senza che il proprio venga bloccato.
In questa prospettiva spesso non esistono azioni sbagliate, ma azioni compiute fuori
tempo perché non ci si è messi in ascolto di sé e degli altri per captare o sentire che le
emozioni vissute in quel momento altro non erano che vecchi “non risolti” in cerca di
scarico.
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