“ANTROPOLOGIA VISUALE” PROF. ANTONIO BALESTRA Università Telematica Pegaso . Antropologia visuale Indice 1 UNA SVOLTA EPOCALE --------------------------------------------------------------------------------------------------- 3 2 MALINOVSKJ E L’OSSERVAZIONE PARTECIPANTE ----------------------------------------------------------- 7 3 UNA DISCIPLINA AUTONOMA?---------------------------------------------------------------------------------------- 10 BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 2 di 13 Università Telematica Pegaso . Antropologia visuale 1 Una svolta epocale Nel XIX secolo, la fotografia viene considerata uno strumento di grande potenzialità scientifica. Per gli antropologi, in particolare, il poter accompagnare le note di campo con delle immagini significava dare forza alla documentazione: l’immagine era la prova di quanto veniva messo per iscritto, donando alla scrittura maggiore chiarezza. Sebbene “il visivo” in ambito antropologico non fosse un’esclusiva degli ambienti accademici, visto e considerato che molta documentazione proveniva da esploratori, biologi, cineasti e altri protagonisti che poco avevano a che fare con l’antropologia, è idea comune che sia la fotografia che il cinema, giocassero un ruolo fondamentale nel preservare aspetti culturali di popolazioni o piccole comunità destinate a scomparire. La svolta epocale (che non ha rivoluzionato solo l’antropologia visuale) si ha il 28 dicembre 1895, quando Louis e Auguste Lumière stupirono i presenti con la magia delle immagini in movimento al Salon Indien di Parigi con 10 piccoli filmati, tra cui “La Sortie des usines Lumière” girato nel marzo del 1895. La velocità della pellicola era di 16 fotogrammi al secondo che rimarrà la stessa fino alla nascita del cinema sonoro (24 fotogrammi al secondo) 1. Nel 1894, ai due fratelli, imprenditori nel campo delle pellicole, fu chiesto, da un concessionario del kinetoscopio2, di produrre pellicole meno costose di quelle prodotte da Edison. A partire da questa domanda di lavoro, i Lumière iniziarono a sperimentare nuovi Tale richiesta spinse i due francesi a sperimentare i dispositivi che potessero essere utilizzati con un nuovo tipo di pellicola. Partendo da kinetoscopio, dopo alcuni tentativi riuscirono a realizzare una macchina da presa che utilizzava una pellicola perforata a 35 mm mossa da un meccanismo ad intermittenza ispirato a quelle delle macchine da 1 Iannini T., Tutto cinema, De Agostini, 2009, pp. 22-25. Il kinetoscopio, invenzione di Thomas Edison, può essere considerato il precursore del moderno proiettore cinematografico; al contrario di quest’ultimo però, tale strumento consentiva la visione ad un singolo spettatore e non una proiezione corale. L’aggeggio, infatti, era costituito da una grande cassa su cui si trovava un oculare; lo spettatore poggiava l'occhio su di esso,e girando la manovella poteva guardare il film montato nella macchina al costo di un penny. 2 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 3 di 13 Università Telematica Pegaso . Antropologia visuale cucire. Il meccanismo che faceva muovere la pellicola permetteva una ripresa di circa un minuto. “È vita in movimento” esclamavano stupefatti gli spettatori del Salon Indien du Grand Café di Boulevard des Capucines a Parigi osservando il movimento delle foglie dietro ad una bambina che fa merenda in “Le Repas de bébé”. Nasce così il cinematografo, risultato di cinquant’anni di ricerche che avevano tentato di riprodurre il movimento a partire da immagini fisse. A soli tre anni di distanza dall’invenzione del cinematografo, abbiamo il primo utilizzo sistematico della cinepresa in ambito antropologico. Nel 1898 una squadra di studiosi diretta dal zoologo Alfred Cort Haddon e di cui facevano parte anche Charles George Seligman e William Halse Rivers, realizzarono una spedizione etnografica nello Stretto di Torres, un braccio di mare che si trova tra l'Australia e l'isola della Nuova Guinea (Cambridge Anthropological Expedition to the Torres Straits), considerata “il primo tentativo di studio di una popolazione e del suo ambiente da un punto di vista pluridisciplinare”3. Partendo dal concetto di cultura di Edward Burnett Tylor nell’ introduzione all’opera “Primitive Culture” del 1871 e secondo cui “La cultura, o civiltà intesa nel suo senso etnografico più vasto, è quell’insieme complesso che induce le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine che l’uomo acquisisce come membro di una società”4, intenzione di Haddon era di rilevare in modo sistematico tutti i dati relativi alle popolazioni che abitavano quell’aria: organizzazione sociale, riti religiosi, vita quotidiana, cultura materiale e sviluppo tecnologico. Con la spedizione di Haddon nasce ufficialmente l’antropologia visuale intesa come metodo di raccolta dei dati sul campo attraverso l’utilizzo dei mezzi di ripresa audio visuale5. 3 Fabietti U., Storia dell'antropologia, Zanichelli, 1991, p. 90. Tylor E. B.,Primitive Culture: Researches Into the Development of Mythology, Philosophy, Religion, Art, and Custom, Murray, 1871, p. 1, cit. in Bitti V., Le origini del cinema etnografico in Itinerari di antropologia visuale, Eurograf, Roma, (8-28), 1993, consultabile all’indirizzo https://www.academia.edu/5899574/Le_origini_del_cinema_etnografico_in_Itinerari_di_antropologia_visuale 5 Bitti V., op. cit., pp. 8-11. 4 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 4 di 13 Università Telematica Pegaso . Antropologia visuale Uno degli apporti più significativi per l’antropologia visuale fu dato da Margaret Mead e Gregory Bateson. L’opera “Balinese Character” del 1942 risulta il primo vero studio basato sull’analisi di foto e video realizzate sul campo. Realizzata tra il 1936 e 1938 a Bali, i due coniugi utilizzarono “un arsenale senza precedenti di pellicole e materiale sia fotografico che cinematografico”6: venticinquemila foto e ventiduemila piedi (ovvero 6700 m) di pellicola girate con una cinepresa da 16 mm. La ricerca dei due coniugi è la prima in cui, oltre ai tradizionali strumenti di raccolta, come foto e annotazioni sul campo, si privilegia per lo più la registrazione audio e video. “A poco a poco sviluppammo un metodo d'annotazione in base al quale io seguivo gli eventi principali mentre Gregory girava pellicole e scattava fotografie (non avevamo strumenti per registrare i suoni e dovevamo servirci delle incisioni musicali fatti da altri) e il nostro giovane segretario balinese Made Kaler teneva una registrazione in balinese, che ci forniva il vocabolario e un contro controllo delle mie osservazioni”7. Da un punto di vista metodologico, la ricerca dei due coniugi è notevole poiché vi è una chiara intenzione di raccogliere tutto il materiale possibile sul comportamento non verbale grazie all’utilizzo dei registratori audio e video, sebbene Mead attribuisce sia alla fotografia che al video la medesima importanza ai fini della ricerca propria e in generale. Con Bateson e Mead fotografia e cinema sotno utilizzati per la prima volta come strumenti primari, non con semplici e riduttive finalità illustrative. La loro idea di ricerca era basata sul’uso di tale strumentazione; era il cuore etnografico della loro ricerca a Bali. “Quando pianificammo il nostro lavoro di ricerca, decidemmo di impiegare in larga misura film e fotografie. Gregory aveva comperato settantacinque rotoli di pellicola Leica che dovevano esserci sufficienti per due anni di lavoro. Ma un pomeriggio, dopo che 6 Canevacci M., Antropologia della comunicazione visuale: feticci, merci, pubblicità, cinema, corpi, videoscape, Meltemi, 2001, p. 40. 7 Mead M. in Bitti V., op. cit., p. 14. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 5 di 13 Università Telematica Pegaso . Antropologia visuale avevanmo studiato genitori e bambini per un periodo normale di quarantacinque minuti, scoprimmo che Gregory aveva consumato tre rotoli interi. […] Allora prendemmo una decisione. Gregory scrisse a casa e si fece spedire una bobinatrice di recente invenzione, che ci rese possibile scattare fotografie in rapidissima successione. Poi ordinò anche pellicole all’ingrosso, che avrebbe lui stesso tagliato e messo in cassette; infatti non potevamo permetterci il lusso di comprare al minuto la quantità di pellicola che ora ci proponevamo di usare. […] Mentre avevamo progettato di scattare 2000 fotografie, ne facemmo 25.000. Ciò significava che gli appunti che scrissi furono analogamente moltiplicati per dieci e, quando vi si aggiunsero quelli di Made, il volume del nostro lavoro mutò in modo straordinariamente significativo”8. La ricerca, subì una svolta non solo in termini di numero di foto scattate o di metri di pellicola consumate; il “campo” determinò una modifica: fotografia e cinema vennero utilizzate come forme di etnografia e come prospettiva di elaborazione antropologica9. 8 9 Mead M., L’inverno delle more. La parabola della mia vita, Milano, Mondadori, 1977, pp. 275-277. Ricci A. (a cura di), Bateson & Mead e la fotografia, Aracne Editrice, 2006, p. 23. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 6 di 13 Università Telematica Pegaso . Antropologia visuale 2 Malinovskj e l’osservazione partecipante Rispetto all’antropologia visuale molto significativi sono i lavori condotti da B. Malinovskj, considerato il padre dell’osservazione partecipante. Nella sua opera più importante “Gli argonauti del Pacifico occidentale” del 1922, ha sottolineato la necessità da parte del ricercatore di immergersi nella realtà da indagare, imparando la lingua, partecipando alla vita della società da studiare, nella quale è necessario rimanere uno o due anni. Malinowski sottolinea la necessità di andare oltre le tradizionali interviste e obiettivo della ricerca antropologica è “afferrare il punto di vista dei soggetti osservati, nell’interezza delle loro relazioni quotidiane, per comprendere la loro visione del mondo”10. Nel periodo in cui Malinowski svolgeva la sua ricerca nelle isole Trobriand in Papua-Nuova Guinea, presso una società di orticoltori, la fotografia veniva considerata una fedele copia della realtà sia livello scientifico che giornalistico e artistico; da semplice strumento di riproduzione della realtà, diventa strumento in grado di evidenziare un punto di vista e di “far vedere la realtà”, frutto di un ben definito progetto etnografico in chiave visuale11. “Il lavoro fotografico di Malinowski non era soltanto un taccuino di appunti visivi, oppure una schedatura per immagini dei tipi umani e dei manufatti (come era tipico dell’antropologia evoluzionista britannica ed europea in generale), ma costituiva un imprescindibile sistema di organizzazione per immagini della sua ricerca etnografica; in pratica, era il veicolo mediante cui l’etnologo impostava e sembrava percepire, sempre più chiaramente, la sua metodologia “dell’osservazione partecipante”, con un approccio che cercava di entrare dentro la realtà”12. 10 Malinowski B., Argonauti del Pacifico occidentale. Riti magici e vita quotidiana nella società primitiva, Newton Compton, 1973, p. 33. 11 Marano F., Camera Etnografica. Storie e teorie di antropologia visuale, Franco Angeli, 2011, p. 51. 12 Ricci A. (a cura di), Malinowski e la fotografia, Aracne Editrice, 2004, p. 29. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 7 di 13 Università Telematica Pegaso . Antropologia visuale L’immagine fotografica è caratterizzata da un codice debole e può essere generatrice di diversi significati quando viene osservata perché “parla” alla nostra sfera emotiva ed è immediata13. Le immagini sono “polisemiche”, non sono un unico dato ma un’insieme di dati, generatrici di più significati e di differenti interpretazioni; “ci vorrebbero molte parole per comunicare le informazioni contenute in una fotografia”14. Tornando a Malinowski, l’antropologo nel ruolo di osservatore partecipante, non si pone fuori ma dentro il fenomeno da osservare. La fotografia diventa un medium che non restituisce la realtà ma una visione soggettiva di essa. Potremmo distinguere quindi, un osservatore forte che osserva e immortala la realtà sulla pellicola, una realtà che esiste al di là della sua osservazione: l’immagine è copia esatta del reale da poter studiare “fuori” dal campo di ricerca. Malinowski è un osservatore debole, potremmo dire post moderno, che cerca l’incontro con il soggetto da osservare quasi per produrre insieme l’immagine di quanto osservato vivendo con l’altro 15. Forse anche per questo vi era una riluttanza da parte di Malinowski per le foto in posa; la sua fotografai è in “tempo reale”,come se gli scatti “fossero delle rappresentazioni visive della realtà sociale nel suo divenire”16. L’utilizzo di dati visuali a partire dal XIX secolo si svilupparono in maniera rilevante, soprattutto nel metodo etnografico, tanto che molti cominciarono ad utilizzare il termine “antropologia visuale”. La legittimazione formale della disciplina avvenne nel 1973 in occasione del IX International Congess Of Anthropological Ed Ethnological Sciences tenutosi a Chicago, in cui la comunità scientifica riconobbe l’antropologia visuale come disciplina autonoma e i cui atti furono successivamente pubblicati nel volume “Principles of visual Anthropology” a cura di Paul 13 Facccioli P., Losacco G., Nuovo manuale di sociologia visuale. Dall’analogico al digitale, Franco Angeli, 2010, p. 54. 14 Harper D, Quattrocento anni di antropologia visuale, in Faccioli P. (a cura di), In altre parole. Idee per una sociologia della comunicazione visuale, Franco Angeli, 2001, p. 23. 15 Cipolla C., Il ciclo metodologico della ricerca sociale, Franco Angeli, 1998, p. 428. 16 Ricci A., op. cit., p. 26. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 8 di 13 Università Telematica Pegaso . Antropologia visuale Hockigs e con una Prefazione di Margaret Mead in cui la studiosa sottolinea l’urgenza di documentare con foto e video le popolazione indigene ad alto rischio di estinzione (urgent anthropology). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 9 di 13 Università Telematica Pegaso . Antropologia visuale 3 Una disciplina autonoma? L’utilizzo di strumenti di raccolta di dati audiovisivi in ambito antropologico seppur poteva e può essere considerata scontata, vista la quantità di informazioni che tali tecnologie permettono di reperire, pongono di fronte alla questione dell’oggettività e attendibilità di tali dati. Basti pensare alle primissime rappresentazioni iconografiche relative al “nuovo mondo” che oggi vengono ritenute tutt’altro che attendibili. Riflettere sullo strumento è cruciale per non ridurre l’antropologia visuale a disciplina di raccolta dati17. Se in occasione del Congresso di Chicago del 1973 la riflessione sull’audiovisivo portò a concludere che l’antropologia visuale guardava al cinema come strumento di ricerca e documentazione etnografica, con il testo “Rethinking Visual Anthropology” del 1997 di Banks e Morphy, i campi di interesse si estesero anche all’analisi del materiale fotografico, alla televisione, alle rappresentazioni elettroniche, all’arte, al rito e alla cultura materiale18; in breve l’analisi di tutti quei fenomeni culturali che si concedono allo sguardo. Ma cos’è l’antropologia visuale e può essere definita una disciplina autonoma? La questione è controversa e poco chiara. Per Chiozzi l’antropologia visuale non è una disciplina autonoma né una sottodisciplina dell’antropologia culturale: secondo l’autore l’antropologia è una e indivisibile come uno e indivisibile è l’uomo19. Secondo Pennacini l’antropologia visuale che definisce “antropologia visiva” è un settore dell’antropologia culturale20. Per Marano è una sub disciplina degli studi etnoantropologici21; Faeta, invece distinguendo tra antropologia visuale e etnografia visiva, lascia a 17 Mazzucco C., Maniero S., La letteratura scientifica nel settore della video ricerca, in Galliani L., De Rossi M., (a cura di) Videoricerca e documentazione narrativa nella ricerca pedagogica. Modelli e criteri, Pensa Multimedia, 2014, pp. 43-44. 18 Marano F., Camera Etnografica. Storie e teorie di antropologia visuale, Franco Angeli, 2011, p. 7. 19 Chiozzi P., Manuale di antropologia visuale, Milano, Edizioni Uniopli, 1993, p. 9. 20 Pennacini C., Filmare le culture: un’introduzione all’antropologia visiva, Roma, Carocci Editore, 2005, p. 15. 21 Marano F., op. cit., p. 7. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 10 di 13 Università Telematica Pegaso . Antropologia visuale quest’ultima il compito di studiare gli strumenti audiovisivi e le modalità di impiego nella ricerca 22. Le prospettive sono diverse e poco affini. Molti antropologi provano disinteresse nei confronti del cinema valutato come un mezzo non adatto e indegno per il pensiero scientifico. La stessa Margaret Mead che viene definita la madre dell’antropologia visuale e che “ha avuto un ruolo di primo piano per lo sviluppo e il riconoscimento dell’antropologia visuale come sottodisciplina di dignità pari ad altre nel più ampio campo di studi dell’antropologia culturale”23, già nel 1973 si rammaricava perché, nonostante il cinema, i progetti di ricerca della maggior parte degli studiosi continuavano a basarsi sul “metodo assolutamente inadeguato e legato ad uno stadio ormai superato di prendere appunti, mentre contemporaneamente il cinema avrebbe potuto riprendere e conservare per secoli […] usanze che scompaiono sotto gli occhi di tutti”24. Il rapporto tra antropologia e immagini può essere meglio inteso se distinguiamo la ricerca antropologica con le immagini e con quella sulle immagini. Nel primo caso il ricercatore utilizza foto e video affiancandole ai tradizionali strumenti di ricerca; nel secondo caso il ricercatore “pone attenzione ai prodotti visuali di una data cultura ed alle modalità della comunicazione visuale che in essa si applicano”25. Partendo dal presupposto che l’antropologia è un’interpretazione della realtà, il video non solo fornisce informazioni sul fenomeno oggetto di osservazione, ma anche sulla prospettiva con cui l’osservatore ha guardato, ripreso e interpretato quel determinato fenomeno. In questo modo vi è un “cambiamento di inquadratura”: non più osservatore – fenomeno osservato (osservazione verticale e unidirezionale), ma osservatore – fenomeno osservato – osservatore (osservazione circolare)26. 22 Faeta F., Strategie dell’occhio: saggi di etnologia visiva, Milano, Franco Angeli, 2003, p. 10. Marano F., op. cit., p. 112. 24 Mead M., Visual anthropology as a discipline of words, in Hockings P., (a cura di), Principles of Visual Anthropology, Mouton, 1975, pp. 3-10, trad. It. Paola Capriolo, L’antropologia visiva. La fotografia, in «La ricerca folklorica», 2 (1980), p. 95-98. 25 Mazzucco C., Maniero S., op. cit., p. 45. 26 Ibidem. 23 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 11 di 13 Università Telematica Pegaso . Antropologia visuale Bibliografia Canevacci M., Antropologia della comunicazione visuale: feticci, merci, pubblicità, cinema, corpi, videoscape, Meltemi, 2001. Chiozzi P., Manuale di antropologia visuale, Milano, Edizioni Uniopli, 1993. Cipolla C., Il ciclo metodologico della ricerca sociale, Franco Angeli, 1998. Fabietti U., Storia dell'antropologia, Zanichelli, 1991. Faeta F., Strategie dell’occhio: saggi di etnologia visiva, Milano, Franco Angeli, 2003. Harper D, Quattrocento anni di antropologia visuale, in Faccioli P. (a cura di), In altre parole. Idee per una sociologia della comunicazione visuale, Franco Angeli, 2001. Iannini T., Tutto cinema, De Agostini, 2009. Malinowski B., Argonauti del Pacifico occidentale. Riti magici e vita quotidiana nella società primitiva, Newton Compton, 1973.. Marano F., Camera Etnografica. Storie e teorie di antropologia visuale, Franco Angeli, 2011. Marano F., Camera Etnografica. Storie e teorie di antropologia visuale, Franco Angeli, 2011. Mazzucco C., Maniero S., La letteratura scientifica nel settore della video ricerca, in Galliani L., De Rossi M., (a cura di) Videoricerca e documentazione narrativa nella ricerca pedagogica. Modelli e criteri, Pensa Multimedia, 2014. Mead M., L’inverno delle more. La parabola della mia vita, Milano, Mondadori, 1977. Mead M., Visual anthropology as a discipline of words, in Hockings P., (a cura di), Principles of Visual Anthropology, Mouton, 1975, pp. 3-10, trad. It. Paola Capriolo, L’antropologia visiva. La fotografia, in «La ricerca folklorica», 2 (1980), p. 95-98. Pennacini C., Filmare le culture: un’introduzione all’antropologia visiva, Roma, Carocci Editore, 2005. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 12 di 13 Università Telematica Pegaso . Antropologia visuale Ricci A. (a cura di), Bateson & Mead e la fotografia, Aracne Editrice, 2006. Ricci A. (a cura di), Malinowski e la fotografia, Aracne Editrice, 2004. Tylor E. B., Primitive Culture: Researches Into the Development of Mythology, Philosophy, Religion, Art, and Custom, Murray, 1871, p. 1, cit. in Bitti V., Le origini del cinema etnografico in Itinerari di antropologia visuale, Eurograf, Roma, (8-28), 1993. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 13 di 13