Il sexy marketing ci fa le coccole
(Ttl, 18.11.2006)
Vado al ristorante per mangiare una bistecca. Mi accoglie una signora in
tailleur nero e atteggiamento equivoco (“sono Claudia, come posso aiutarla?”)
che riesco a schivare con un sorriso ebete, per raggiungere a fatica il primo tavolo libero. Non appena seduto, ecco una sfilza di cose strane (candele accese,
incenso che brucia) e domande a più non posso (“naturale o gasata?”, “le dà
fastidio la musica?”, “faccio abbassare le luci?”). Vado in profumeria a cercare
uno shampoo, e subito qualcuno mi propone una sequenza di trattamenti per
difendermi dallo smog cittadino e lo stress delle riunioni pomeridiane, affinché il mio corpo (non più) trascurato raggiunga il giusto equilibrio con la mente (non più) affaticata. Mi informo per una nuova automobile, e mi si parla di
sedili in pelle ultraribaltabili, lettore MP3 e GPS universale. Chiedo una camera
in albergo, e mi indicano sauna, centro benessere, ristorante, fumoir, angolo aperitivi, palestra e sala riunioni. Provo ad acquistare un libro su Internet, e
scorre la lista dei volumi che, come tutti quelli che l’hanno comprato, dovrei
leggere per gustarlo a pieno.
Che cosa sta succedendo? Com’è che gli oggetti che cerchiamo di possedere,
di cui abbiamo voglia o bisogno, diventano sempre meno importanti, a tutto
favore del contesto in cui vengono usati, delle cose che stanno loro accanto, di
quelle altre che avremmo potuto trovare al loro posto? Progressivo svanire
delle merci? annullamento del sistema di produzione capitalistico? follia generale del mercato? Tutt’altro: si tratta semmai di una precisa tendenza di marketing che impazza ormai da anni, probabilmente sfuggendo di mano anche a
chi, a monte, l’ha ideata o ne progetta caso per caso l’applicazione strategica.
Più che badare al semplice bisogno delle cose (“mi serve”) o alla soddisfazione
che dovrebbero procurare a chi le usa (“ho fatto bene a comprarlo!”), per
compiacere realmente i clienti -- si sostiene -- occorre considerare l’intera esperienza da essi provata quando possiedono un bene o adoperano un servizio. Esperienza che, a ben vedere, è composta da dimensioni anche molto diverse: c’è infatti un’esperienza sensoriale e un’altra affettiva, una cognitiva e
un’altra comportamentale, un’altra ancora relazionale e intersoggettiva.
In un libro che finalmente presenta in versione italiana parte dei suoi celebri
scritti (curato e, a dir vero, riscritto da Mauro Ferraresi), lo studioso americano
Bernd Schmitt, principale teorico di quello che è stato chiamato marketing aesthetics o experiential marketing, fa un paragone tanto triviale quanto lampante. E
retoricamente si chiede: in che cosa consiste, in realtà, il soddisfacimento sessuale? nella conclusione del rapporto di coppia o nell’interezza e complessità
dell’esperienza provata? Risposta scontata. Così dunque, ne conclude Schmitt,
dovrebbe accadere nelle strategie di marketing, il cui fine non dev’essere il
soddisfacimento finale del consumatore (“che bella macchina che ho comprato!”) ma tutta l’esperienza da esso provata al momento di andarla a scegliere (il
modo in cui è stato accolto nel negozio, il fatto d’averla guidata prima di decidere l’acquisto, la simpatia dei venditori, le agevolazioni finanziarie), e ovviamente al momento di usarla (la morbidezza dei sedili, il comfort complessivo,
la rapidità di esecuzione dei vari comandi...). Insomma, per il cosiddetto
“marketing esperienziale” il consumo è un’esperienza complessiva che travalica la relazione più o meno soddisfacente con il singolo bene o servizio. E di
conseguenza il consumatore stesso viene inteso non più un cliente da catturare ma, molto diversamente, come una persona a tutto tondo, con le sue debolezze e contraddizioni, i suoi impulsi e caparbietà.
Ritorno all’umanesimo, di contro ai freddi calcoli raziocinanti degli economisti? Così sembrerebbe, e così almeno in parte certamente è. Compriamo felici
e contenti (che alternative avremmo?), ma almeno c’è chi ci considera come
persone umane, in carne e ossa, e non come anonimi individui buoni soltanto
a incrementare silenti statistiche. Come in tutti i buoni propositi, il demonio è
però in agguato. Ecco sorgere nutrite schiere di furbi venditori che, a discapito
della mancanza di qualità delle loro mercanzie, ci riempiono di coccole sospette e talvolta imbarazzanti: troviamo alberghi dalle luci soffuse e odori ammalianti ma con letti scomodi e servizi igienici dubbi; profumerie stracolme di
unguenti per ogni centimetro quadrato della nostra pelle, prive però di un sapone per lavarci le mani; librerie dove servono un ottimo caffè, vendendo soltanto i libri in classifica; automobili dotate di impianti stereofonici da favola
che consumano interi pozzi di petrolio. Insomma, come nella celebre pagina
di Rabelais, c’è chi vuol essere pagato per il fumo senza servirci l’arrosto. A
proposito: e la bistecca?
Gianfranco Marrone
Mauro Ferraresi, Bernd H. Schmitt
Marketing esperienziale. Come sviluppare l’esperienza di consumo
Franco Angeli, pp. 204, € 21,00