KATYN IL FILM CENSURATO DAI SOVIETICI E SOTTILMENTE BOICOTTATO ANCHE IN ITALIA Venerdì scorso proiezione a Milano del film Katyn di Andrzej Wajda presso il cinema Palestrina , sala strapiena, c'era gente in piedi ad assistere alla seconda (ed ultima!) proiezione. Centinaia di persone, dopo aver fatto inutilmente la fila al botteghino, sono tornate a casa senza averlo potuto vedere. La proiezione del film, voluta da "Sentieri del Cinema" e dal Centro Culturale di Milano è stato presentato dal console polacco Krzysztof Strzalka e da Luigi Geninazzi redattore di Avvenire. Katyn sono 117 minuti intensi, trepidanti, drammatici, "un pugno nello stomaco". Il regista polacco ha il gran merito di evidenziare senza distorsioni la follia ideologica dei due totalitarismi del 900: il socialcomunismo staliniano e il nazionalsocialismo hitleriano. Wajda rievoca la strage di 22 mila soldati polacchi uccisi dalla polizia sovietica (NKVD) il 5 marzo 1940 nella foresta di Katyn, situata vicino Smolensk, in Russia. Il massacro fu rivelato dai nazisti in chiave antisovietica al momento dell'invasione della Russia nel '41, ma Mosca rigettò ogni responsabilità sull'esercito di Hitler. E in mezzo ci fu il silenzio dell'Occidente, incapace di denunciare le responsabilità di Stalin, divenuto un indispensabile alleato contro la Germania. Solo nel 1990 l'allora presidente dell'Urss Gorbaciov ha riconosciuto la verità storica sull'eccidio di Katyn. E poi nel 1992 il presidente russo Boris Eltsin, consegnando alla Polonia i documenti che attestavano la piena responsabilità dell'Unione Sovietica nel massacro di Katyn, disse: «Perdonateci, se potete» . Con Katyn il grande regista polacco (autore di L'uomo di marmo , L'uomo di ferro , Danton ), ha rinnovato in patria il dolore di un intero popolo narrando con stile secco e incalzante - e inserendo anche immagini di documenti d'epoca - una tragedia storica che ha segnato il suo Paese per decenni. Nel film si vedono, militari nazisti e sovietici insieme, in nome dell'ideologia pronti a qualsiasi crimine, in mezzo gli ufficiali polacchi, soldati d'altri tempi, come dei cavalieri medievali, legati alla divisa, all'identità, alla patria cattolica, alla lealtà militare, speranzosi di farcela nonostante tutto, ma che alla fine sono tutti sacrificati. Vi è anche un risvolto personale che ha portato Wajda a completare questo lungometraggio - ambientato tra il 1939 e il 1950 - visto che suo padre, Jakub, fu una delle vittime del massacro di Katyn. Per questo motivo, sotto il titolo del suo film, il regista premio Oscar alla carriera nel 2000 ha apposto un'eloquente dedica: «Ai miei genitori». «Mia madre si è nutrita di illusione fino alla fine della sua vita perché il nome di mio padre figurava sulla lista dei soldati massacrati con un appellativo sbagliato» ha ricordato Wajda durante la presentazione ufficiale di Katyn, svoltasi a Varsavia il 17 settembre dell'anno scorso, proprio 68 anni dopo l'invasione sovietica. Wajda, che nella strage, rievoca non solo la dignità e il coraggio delle vittime, ma anche la tenacia nel cercare la verità e la speranza incrollabile delle donne che li aspettano a casa. Così vediamo madri, mogli, figlie attendere, invano, il ritorno degli amati; come Anna , moglie di Andrzej , capitano dell'8° reggimento dell'esercito, che con la figlia Nika aspetta con sempre minor speranza di rivederlo. Le prime scene del film sono quelle di due folle che percorrono una medesima strada ma a senso inverso: vi è chi fugge dall'occupazione Armata rossa e chi scappa dall'oppressione della Wermacht . E le ultime inquadrature del film ritraggono proprio le fucilazioni su 22.000 inermi ufficiali polacchi, uccisi con un colpo alla nuca tra Katyn e altre località limitrofe, per poi essere sepolti in fosse comuni. Katyn è un film bellissimo si scrive nella presentazione del film sul sito di "Sentieri del Cinema"(un anno fa candidato all'Oscar per il miglior film straniero) e da non perdere, è anche la testimonianza di un popolo orgoglioso delle proprie radici e saldo nella propria fede, con i militari polacchi che vanno incontro alla morte a testa alta e recitando il Padre Nostro mentre uomini stravolti da odio e ideologia li ammazzano come bestie. Il cineasta polacco ha riconosciuto che «nessun regista sano di mente avrebbe potuto girare un film così durante il periodo comunista, se non presentando la versione ufficiale. Nel mio Paese non c'è stato interesse su questo argomento». Wajda si è avvalso della collaborazione di Pawel Edelman per il montaggio (già all'opera ne "Il pianista"di Roman Polanski) e delle musiche del grande compositore Krzysztof Penderecki. "'Katyn' viene proiettato in pochissimi cinematografi, 12 in tutt'Italia. Com'è possibile che un simile capolavoro non trovi spazio se non in circuiti ristretti o nei cinema d'essai? Non è certo colpa della società di distribuzione 'Movimento Film' il cui responsabile, Mario Mazzarotto, ammette sconsolato che «di 'Katyn' in versione italiana sono disponibili molte più copie di quante ne circolano attualmente, ma sembra che si stia facendo di tutto per boicottarne la visibilità». Censurato e avvolto nella menzogna di regime per oltre mezzo secolo, Katyn è stato un nome difficile da pronunciare ad alta voce anche qui da noi. Nell'immediato dopoguerra ci fu chi venne sottoposto ad un vero e proprio linciaggio morale da parte del Pci di Togliatti per aver sollevato i veli sull'eccidio che porta il marchio sovietico". (Luigi Geninazzi, Un film che spaventa, 8.3.09 Avvenire). La Movimento Film (http://www.movimentotv.it), in collaborazione con l'Associazione dei Polacchi a Milano consiglia fortemente, per il suo valore di documento storico e didattico, di far vedere il film agli studenti delle scuole. Ci sarà qualcuno che lo farà? "'Katyn' è un film che dovrebbe essere proiettato in tutte le scuole, - scrive Geninazzi - un contributo al recupero di quella 'memoria storica' che politici ed educatori sottolineano sempre con grande enfasi. Invece in Italia viene relegato, ignorato e sottilmente boicottato. C'è di che vergognarsi: dopo i sovietici, siamo riusciti a censurare Katyn una seconda volta". - Domenico Bonvegna "Katyn" di Andrzej Wajda Rinnegare e mentire secondo Wajda di Giovanna Solimando Pubblicato mercoledì 24 ottobre 2007 - NSC anno IV n. 2 Il titolo del film che doveva essere Post mortem, come quello del libro di Andrzej Mularczyk a cui è ispirato, è stato cambiato in Katyn”. Qualcuno, dice Wajda, aveva pensato di intitolarlo “Il racconto di Katyn. Coloro che conoscono la storia dicono che il titolo deve essere semplicemente Katyn: intitolato così ha un peso particolare. Lunedì 17 Settembre 2007 si è tenuta a Varsavia, al Teatr Wielki, la prima del nuovo film di Andrzej Wajda, Katyn. Ora è in tutti i cinema della capitale polacca, e viene proiettata anche la versione con sottotitoli in inglese. Un film storico, non solo perché girato da un regista di fama memorabile, ma anche perché è proprio la storia la protagonista della pellicola. Centoventiquattro minuti di immagini che raccontano ciò che accadde nella foresta di Katyn. In questo luogo, durante la Seconda Guerra Mondiale, ufficiali polacchi e civili furono massacrati dagli uomini dell’Unione Sovietica. Su ordine di Stalin vennero uccisi migliaia di cittadini polacchi: il massacro aveva lo scopo di eliminare la classe dirigente della Polonia. Un evento che, assieme a molti altri episodi cruenti che caratterizzarono la politica staliniana, denotò la forte somiglianza tra questa dittatura e quella nazista, benché essa sia stata a lungo negata. Il film di Wajda è oggi il mezzo attraverso cui mostrare e ricordare, anche e soprattutto alle nuove generazioni; a tal fine il regista ha creduto opportuno parlare soprattutto dei sentimenti di coloro che vissero il dramma. Attraverso la narrazioni di storie personali ed intime vissute da alcuni personaggi, il film diventa testimone della storia. «E’ stato girato per non dimenticare quella storia. […] Unisce la storia con gli spettatori di oggi. E’ una specie di lezione di storia. […] Quanto i personaggi del film riusciranno a commuovere il pubblico, tanto il pubblico conoscerà la storia di Katyn». Queste le parole del regista che parla dell’impossibilità di realizzare quest’opera in modo che contenesse sia la realtà storica che l’intimità dei personaggi. Era per lui necessario scegliere tra un film che parlasse delle persone, mogli, bambini, giovani e coloro che erano allora al governo, ed uno che invece proponesse la vicenda politica, con grandi personaggi storici: “Si poteva fare un film che mostrasse sullo schermo entrambe le cose? Secondo me no. E per questo a raccontare la storia sarà un’azione istruttiva”. Il film, avrebbe potuto intitolarsi “Menzogne: la storia di Katyn”. La pellicola, benché spesso caratterizzata da uno stile recitativo piuttosto teatrale, narra con austerità ed equilibrio una storia che è stata taciuta troppo a lungo. Katyn documenta, senza però diventare mero documentario storico, commuove, senza essere semplicemente un film drammatico e lacrimevole. Trasmette emozioni e induce gli spettatori ad immedesimarsi con mogli, bambini, fratelli, sorelle, nipoti, madri; polacchi che attesero, spesso per anni, notizie dei propri cari che trovarono la morte nella foresta di Katyn, uccisi con un colpo in testa, gettati in fosse comuni come inutili rifiuti. In fondo però, più che un film sui morti e sul contesto storico-politico polacco durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, questo è un film sulle infinite bugie che offuscarono la realtà del massacro; un film sulla disillusione di un popolo che, in seguito alle violente dittature e al dominio prima dei tedeschi poi dei russi, smise di credere nella propria libertà e scelse di accettare, di tacere, di mentire pur di sopravvivere. Una scena esemplare la troviamo verso la fine del film, quando Wajda mostra la Polonia nel periodo più sanguinoso e terrificante in assoluto, quando i russi avevano pieno potere. Chiunque fosse per la verità, chi lottava per l’indipendenza e la liberazione del proprio paese, veniva messo in prigione, torturato, additato come traditore. Nella pellicola, emblema di questa situazione è un ragazzo: lo vediamo andare ad iscriversi all’accademia e consegnare il proprio curriculum vitae in cui ha scritto che suo padre è morto nella foresta di Katyn, ucciso dai russi. Le fonti di allora dicevano che quel genocidio era stato opera dei tedeschi: la direttrice dell’accademia, una donna polacca che aveva perso suo fratello proprio a Katyn, dice al giovane polacco che lo accetteranno, a patto che modifichi quella parte del curriculum. Il ragazzo risponde “Il curriculum vitae è uno solo” poi va via e una volta in strada strappa dai muri le locandine della propaganda comunista. I soldati russi lo vedono e iniziano ad inseguirlo. Per quanto lui scappi alla fine viene preso e ucciso barbaramente. Un commento negativo ci sentiamo di esprimerlo: la parte che divide l’ultima sequenza del film dai titoli di coda ed il modo in cui il “Padre Nostro” viene recitato dai soldati polacchi al momento della loro morte rischiano di rendere tutto piuttosto artificioso e patetico. Sarebbe consigliabile, per chiunque volesse vedere Katyn, iniziare a conoscere meglio la storia della Polonia prima di vedere la pellicola. Si avranno le idee molto più chiare: vi sono infatti molti riferimenti e simboli che saranno più facilmente comprensibili se si è preparati a riceverli. Il caso Wajda. Il maestro censurato «Sono in molti ad avere interesse a che il mio film non sia proiettato, ad acquistarne i diritti per non farlo vedere». Le scomode verità del grande regista di “Katyn” di Roberto Persico e Annalia Guglielmi approfondimenti Varsavia È appena tornato da Berlino, dove il suo Tatarak ha vinto il premio speciale della giuria per un’opera che «apre all’arte cinematografica nuove prospettive». «Pensi – dice sorridendo all’inviato di Tempi nei suoi studi a Varsavia – che il riconoscimento lo hanno dato ex-aequo a me e a un regista argentino poco più che trentenne al suo primo film». Lui, Andrzej Wajda, di anni ne ha ottantatré, e di regie alle spalle ne conta oltre tre dozzine. Ma ha ancora l’entusiasmo di un giovanotto e il gusto di usare la macchina da presa per continuare a raccontare le gioie e i dolori della vita, oggi come trent’anni fa, quando opere come L’uomo di marmo, L’uomo di ferro e Danton filtravano attraverso la cappa di piombo del socialismo reale e facevano sentire anche in Occidente la voce di un uomo libero, che non ha mai rinunciato a guardare la realtà coi suoi occhi rifiutando le lenti deformanti dell’ideologia. L’arrivo nelle sale italiane, dopo lunghe peripezie, di Katyn, il film sull’eccidio degli ufficiali polacchi perpetrato dai sovietici durante la Seconda guerra mondiale e a lungo attribuito ai nazisti tedeschi, è l’occasione per incontrare Wajda e parlare con lui di cinema. E di molto altro. Andrzej Wajda, cominciamo dalla pellicola che sta riproponendo il suo nome in Italia. Da dove nasce l’idea di fare un film sul massacro di Katyn? Un film su Katyn fino al 1989 sarebbe stato impossibile, perché secondo la versione ufficiale imposta dai sovietici il massacro di ventiduemila ufficiali dell’esercito polacco compiuto nel 1940 nei boschi di Katyn era stato opera dei tedeschi. In realtà in Polonia tutti sapevano che i colpevoli erano i russi, e nessuno era disposto a fare un film intriso di menzogna; così Katyn nella nostra storia rimaneva una ferita aperta. Perché allora non lo abbiamo fatto subito dopo il 1989? Perché sulla vicenda c’era stato come un blocco: mentre tutti gli altri episodi drammatici della Seconda guerra mondiale avevano trovato qualcuno che ne facesse materia di qualche racconto, su Katyn non c’era nulla. Così, realizzare una sceneggiatura è stato un lavoro lungo e difficile. Io ho continuato a leggere tutta la documentazione disponibile, soprattuto i diari delle donne che, come mia madre, avevano perso il marito nella strage. Oggi tutto quel che si vede nel film è rigorosamente basato sui documenti che io ho letto nel corso di anni di ricerche. Che cosa ha voluto dire allora per lei girare un film come questo? Ho sempre avuto in mente che un film su Katyn avrei potuto e dovuto farlo io: farlo ha voluto dire saldare un debito con mio padre e mia madre, far conoscere a tutti l’eccidio compiuto sugli uomini e la menzogna perpetrata nei confronti delle loro donne. Ci risulta, però, che l’opera abbia avuto qualche “problema di circolazione”. È vero? Guardi, in Polonia ha avuto oltre tre milioni di spettatori, posso dire di essere soddisfatto. Del resto era un’opera che la gente aspettava da sessant’anni. Il problema è che i diritti per la distribuzione all’estero sono stati assegnati alla televisione di Stato polacca, che non ha fatto nulla perché il film avesse una circolazione dignitosa: lo ritengono un film scomodo e non hanno voluto spingerlo. Pensi che nel rapporto della Televisione Polacca sulla società New Media Di-stribution, l’azienda che deve distribuire il film contemporaneamente sia in Russia sia negli Stati Uniti, ho visto una nota a margine scritta a mano che informa che «l’iniziativa potrà fallire per ragioni politiche». Tanti infatti hanno interesse a che il film non venga proiettato, e in molti paesi ci sono distributori che lo hanno acquistato per non farlo vedere. Viene mostrato solo in circuiti ristretti, nei cinema d’essai o in rassegne per un pubblico selezionato. Così si fa in modo che non incida, che non abbia un vero rilievo nella mentalità comune. Il caso più clamoroso, comunque, è quello della Russia. Per quali ragioni? Perché in Russia, ancora oggi, Stalin è amato. Compare ancora in cima alle classifiche dei personaggi più popolari. Si sa che ha ucciso decine di milioni di persone, eppure molti russi ritengono ancora che lo abbia fatto per il bene del suo paese. Il massacro degli ufficiali polacchi a Katyn, invece, è un crimine senza giustificazioni, che ha infranto tutte le convenzioni di guerra, e quindi qualcuno non vuole che venga ricordato. Pensi che gli organizzatori della Settimana del cinema polacco, in Ucraina, a Kiev e Charków (mi stava a cuore soprattutto questa proiezione, perché proprio in quella città fu ucciso mio padre nella primavera del 1940 e là è sepolto), si sono visti recapitare una una lettera della Televisione Polacca di questo tenore: «Telewizja Polska – l’unico e solo titolare dei diritti di distribuzione del film – non è a conoscenza di NESSUNA proiezione di Katyn in programma per la Settimana del cinema polacco in Ucraina. Per favore, abbiate la cortesia di ritirare il titolo dalle vostre programmazioni, e di comunicarci nome e contatti della persona o dell’organizzazione che vi ha fornito i diritti per la proiezione». Un tono piuttosto minaccioso, non le pare? Chi si oppone alla circolazione di Katyn? Gli stessi che hanno pilotato il processo che ha portato alla scandalosa assoluzione degli assassini di Anna Politkowskaya? Non ho ancora fatto in tempo a valutare fino in fondo la notizia a cui ha accennato. Però certo mi fa impressione che in un paese che pretende di essere democratico ritornino gli assassinii politici, come ai tempi della dittatura. È un fatto che non può non preoccupare vivamente. In Italia qualcuno dice che Katyn sarà un flop perché non interessa, è una storia datata. Perché riproporla adesso che il comunismo è finito da vent’anni? In Polonia il perché è chiarissimo: perché non potranno esserci rapporti normali fra la Polonia e l’ex Unione Sovietica fino a che non sarà detta la verità su questo crimine. I tedeschi hanno compiuto crimini peggiori, ma i loro governanti lo hanno riconosciuto, e ora i nostri rapporti con la Germania non sono più avvelenati dal rancore. Non ci può essere amicizia fra due popoli se non si riconoscono i torti commessi. Le sue opere sono state armi importanti per la lotta dei polacchi contro il regime. Come giudica il mondo che da quella lotta è nato, la Polonia e l’Europa di oggi? Non solo i miei film, ma tutto il cinema polacco ha sempre fatto di tutto per costruire un ponte con l’Occidente. La Polonia è parte dell’Europa, i polacchi si sono sempre sentiti occidentali. Dov’è il confine dell’Europa occidentale? Io dico che l’Europa finisce là dove arrivano le chiese gotiche. Dove c’è una chiesa gotica vuol dire che è arrivata non solo la religione cattolica, ma la civiltà mediterranea. Noi polacchi, pur con tutti gli ostacoli, le difficoltà che abbiamo incontrato nella storia, apparteniamo pienamente a questa cultura, a questa civiltà. Ma la Polonia di oggi è quella che immaginavate vent’anni fa? Guardi, io non sono preoccupato perché la Polonia non ha sviluppato quella bella forma che noi speravamo. La democrazia è un sistema difficile, si assimila solo lentamente. La cosa davvero importante è che la società adesso può parlare di se stessa, che le persone possono mettere a tema quel che sta loro a cuore: è questo, in fondo, che ci interessava. La gente prima ha dato fiducia a Solidarnosc, poi ha ridato una possibilità alla sinistra, poi ha preso altre strade. L’importante è che le persone hanno cominciato a scegliere. Poi fa parte del gioco della democrazia che alcune scelte siano felici, altre meno. Personalmente, ho apprezzato molto le decisioni del primo governo, quello di Mazowiecki, la scelta di puntare subito su una forte integrazione con l’Europa: ha rivitalizzato la nostra economia, ci ha dato una moneta forte. L’integrazione con l’Europa ormai è un fatto irreversibile, i tentativi nazionalistici sono puramente folkloristici. Ma in Europa ci si imbatte anche in una nuova ideologia, più sottile ma non meno penetrante, un’ideologia nichilista che afferma che nulla ha valore, una “dittatura del desiderio” secondo cui l’unico valore è soddisfare i desideri immediati di ciascuno. Cosa pensa a questo proposito? Non ho paura di questo. In Polonia la situazione è diversa, la Chiesa ha ancora un ruolo importante. A me non spaventa che la gente, dopo quarant’anni in cui ogni iniziativa era inibita, riprenda a muoversi secondo i propri desideri, che cerchi la propria soddisfazione in tutti gli ambiti della vita. La gente ha ripreso in mano la responsabilità per il proprio destino: non mi sembra che sia nichilismo. L’importante è che la Chiesa continui a essere quella che è. La Chiesa nella storia polacca ha avuto un ruolo fondamentale. I preti erano contro il nazismo, i preti erano contro il comunismo, si sapeva bene la Chiesa da che parte stava. In Polonia oggi ci sono settori della Chiesa che si intromettono troppo nella politica spicciola, che pretendono di stabilire chi debba essere quello o quell’altro ministro (il riferimento è a un gruppo di sacerdoti che da qualche tempo svolge in Polonia una chiassosa campagna politica in chiave fortemente nazionalista, da cui peraltro i vescovi hanno nettamente preso le distanze, ndr). Non è il suo compito. Il compito della Chiesa è quello di sempre, difendere la persona dal potere dell’ideologia. Vorrei che non si scostasse da questo, che è il suo ministero di sempre. Un compito che è ben rappresentato dall’opera di Giovanni Paolo II. Lei lo ha conosciuto bene. Che cosa ce ne può raccontare? Forse è meglio dire, come fece una volta Zanussi (Krzysztof Zanussi, altro grande regista polacco, ndr), a cui era stata rivolta la stessa domanda: «È lui che conosce me». Ma visto che insiste, le racconterò un episodio che per me è stato particolarmente commovente. Una volta in Vaticano era stata organizzata una proiezione alla sua presenza del mio film Pan Tadeusz, che porta sullo schermo il più classico dei testi della letteratura polacca: anche il giovane Wojtyla lo aveva interpretato quando recitava nel “Teatro rapsodico”. Ebbene, a un certo punto il Papa ha chiuso gli occhi, e si vedeva che stava assaporando quelle parole, che tante volte anche lui aveva recitato. Poi li ha riaperti, ha seguito il film fino al termine e alla fine mi ha detto: «L’autore ne sarebbe soddisfatto». È stata la più importante recensione che ho ricevuto. È questo che la spinge a continuare, a realizzare a ottant’anni suonati opere che vengono premiate perché «aprono all’arte cinematografica nuove prospettive»? Chissà (Wajda sorride, ndr). Certo che non mi aspettavo proprio questo riconoscimento. Oggi va di moda realizzare film mescolando invenzione e realtà, così ci ho provato anch’io. Avevo cominciato a girare un film su questa novella di uno scrittore polacco, Jaroslaw Iwaszkiewicz, che si intitola Tatarak (è il nome di una canna selvatica che cresce lungo i fiumi, dal profumo inebriante). La storia ha come protagonista una donna il cui compagno è gravemente malato, però a un certo punto il marito dell’attrice che impersonava la protagonista, Krzystyna Janda, si è ammalato per davvero, e lei ha dovuto prendersene cura. Pensavo che non se ne sarebbe fatto più niente, invece, dopo la morte del marito Krzystyna è venuta da me e mi ha detto che era disposta a proseguire il lavoro, inserendo però anche il racconto di che cosa aveva significato per lei seguire la malattia del marito. Così è venuto fuori questo film, in cui realtà e finzione si incontrano per mettere a tema il nostro atteggiamento nei confronti della malattia e della morte, un dramma che riguarda tutti. Insomma, questo significa che è ancora possibile fare del cinema che non sia di evasione, ma che aiuti a guardare più profondamente le cose. Assolutamente sì. La differenza è che anni fa i temi prevalenti erano la politica e la società, oggi è l’uomo, i suoi drammi, i suoi desideri. E la morte, che ci aspetta dietro l’angolo, che non possiamo evitare. PICCOLA RICERCA (internet – cronologia.it e Wikipedia)) IL MASSACRO DI KATYN Nella primavera del 1940, nella foresta di Katyn, in Polonia, vennero giustiziati più di 22.000 prigionieri di guerra polacchi. Legati con speciali nodi che bloccavano i polsi e la gola, vennero tutti freddati con un preciso colpo alla nuca e gettati in diverse fosse comuni. Si trattava di un'intera generazione di ufficiali, appartenenti alla borghesia e all'intellighenzia polacca, tutta la dirigenza militare di un paese. Questa operazione "scientifica", realizzata da abilissimi professionisti dell'esecuzione, è rimasta per più di cinquant'anni avvolta nel mistero. E nella menzogna. A chi apparteneva la regìa di questo crimine? A quale delle due dittature che si erano gettate di comune accordo sulle spoglie della Polonia, la Germania nazista e la Russia comunista, spettava la responsabilità di quanto accaduto? Rimasto ignoto all'opinione pubblica per tre anni, l'eccidio fu reso noto al mondo nella primavera del 1943 dalla radio tedesca. Alle 9.15 del mattino, ora di New York, la propaganda nazista rendeva noto, come quattro giorni prima il ministro Joseph Goebbels annotava nel suo diario, che " vicino a Smolensk sono state trovate delle fosse comuni piene di cadaveri polacchi. I bolscevichi hanno semplicemente ucciso circa 10.000 prigionieri seppellendoli alla rinfusa in fosse comuni". I responsabili dell'eccidio, quindi, erano i sovietici. Questa verità, semplicemente poiché proveniva da un regime criminale come quello nazista (e per ragioni di realpolitik che in seguito vedremo), non fu accettata. Il regime stalinista, e gli alleati occidentali, dapprima non vollero credere alla responsabilità russa nell'eccidio, e in seguito fecero di tutto per insabbiare quella che ormai a tutti i polacchi sembrava un fatto assodato: era stata la famigerata NKVD - la polizia politica comunista - ad eseguire il lavoro. Su preciso ordine della dirigenza sovietica, e sulla base di indicazioni, consigli, e lo zelante contributo di comunisti polacchi. L'apertura degli archivi sovietici dopo il crollo del regime, nel 1991, ha permesso di togliere il velo della menzogna alla verità di Katyn. Già negli ultimi mesi di glasnost gorbacioviana questa verità appariva sempre più difficile da nascondere. Con l'avvento al potere di Eltsin, e la denuncia del PCUS come organizzazione criminale, finalmente è emersa una documentazione agghiacciante dalla quale si può comprendere, in più larga scala, gli stessi meccanismi criminali di un sistema totalitario. Come, cioè, l'eliminazione di alcune categorie (sociali per i comunisti, razziali per i nazisti) fosse una prassi scientificamente elaborata a tavolino, e altrettanto scientificamente attuata. "Visto sullo sfondo della storia sovietica - scrive lo storico polacco Victor Zaslavsky, autore de Il massacro di Katyn, di recente pubblicazione - , con avvenimenti quali la liquidazione dei kulaki come classe o la fucilazione di più di un milione di persone, inclusi 44.000 alti militari, durante il grande terrore tra il 1937 e il 1939, o le deportazioni di intere popolazioni negli ultimi anni della guerra - Katyn perde la sua eccezionalità, assumendo il carattere di un'atrocità comune, un crimine qualunque dello stalinismo. Visto nel quadro dei rapporti internazionali, il massacro di Katyn rimane invece uno degli episodi più significativi della seconda guerra mondiale". L'esempio di Katyn porta anche ad una riflessione importante. Al di là di strumentali polemiche sul termine revisionismo, che ha contrapposto molti studiosi, non si può fare a meno di considerare che l'apertura degli archivi sovietici costituisce uno stimolo a riconsiderare alcune analisi storiche di questo secolo. Collegando astutamente, all'interno del termine, l'assurda negazione dell'Olocausto con una legittima ricerca di nuovi documenti che possono cambiare alcune verità assodate, una certa scuola di pensiero ha voluto mettere in un angolo, relegandole al rango di notizie di poco conto, alcune scoperte storiche emerse dalle carte segrete del PCUS e degli altri partiti comunisti dell'Est. Se oggi la tesi ufficiale - che per cinquant'anni ha imputato il massacro di Katyn ai tedeschi - è apparsa in tutta la sua menzogna, è solo grazie a quegli studiosi che hanno voluto scavare nei nuovi archivi, e che hanno voluto rivedere alcuni frammenti della nostra storia. Il massacro di Katyn, e il suo silenzio, sono figli di due "alleanze innaturali". La prima (forse meno innaturale di quanto si pensi) fu quella nata dal Patto von Ribbentrop-Molotov del 23 agosto 1939, con il quale Hitler e Stalin di comune accordo si dividevano la Polonia e stabilivano una politica di collaborazione strategica. La seconda fu quella tra l'Unione Sovietica e le democrazie occidentali, giustificata dalla minaccia nazista, e che si venne a concretizzare solo dopo l'attacco tedesco alla Russia nell'estate del 1940. Non c'è dubbio che il patto tra tedeschi e sovietici costituì il seme che fecondò la Seconda Guerra Mondiale. Dall'avvicinamento tra le diplomazie naziste e comuniste dell'estate 1939 nacque l'invasione tedesca della Polonia, in quel tragico venerdì 1 settembre. Il punto secondo del protocollo segreto tra i due regimi prevedeva proprio la spartizione della Polonia. Da esso venne anche un plateale voltafaccia del movimento comunista internazionale. Dapprima scagliatisi contro l'invasione tedesca (basti ricordare l'impeto del francese Thorez che proclamava "il desiderio di tutti i comunisti di combattere contro il nazismo e il fascismo" e l'appoggio incondizionato dei comunisti francesi a favore dei crediti di guerra chiesti dal governo Daladier), i comunisti dovettero registrare con stupore che il Piccolo Padre la pensava diversamente. Il 5 settembre il capo del Komintern, il bulgaro Georgij Dimitrov, chiedeva delucidazioni su come agire. "Nella elaborazione della tattica e degli obbiettivi politici dei partiti comunisti - scriveva Dimitrov - stiamo incontrando difficoltà straordinarie. Per superarle e prendere una decisione giusta abbiamo bisogno, ora più che mai, dell'aiuto immediato e del consiglio del compagno Stalin". Il mondo comunista chiedeva quindi al suo Papa cosa doveva pensare. Il 7 settembre ci fu l'agognato incontro tra Stalin e Dimitrov, alla presenza dei fidi Molotov e Zdanov. Lo scontro in atto in quel momento - spiegò Stalin - era tra due forze comunque capitaliste, quelle ricche (le potenze occidentali) e quelle povere (Germania e Italia). In questo frangente occorreva abbandonare i fronti popolari antifascisti e "manovrare e spingere una parte contro l'altra". La Polonia - era la constatazione finale di Stalin era "uno stato fascista, che opprime ucraini, bielorussi e altre nazionalità. La sua distruzione nelle condizioni attuali significherebbe uno stato fascista in meno! Che ci sarebbe di male se in seguito alla disfatta della Polonia espandessimo il sistema sovietico su nuovi territori e nuove popolazioni?" Il destino polacco era segnato. Con perfetto accordo operativo tra nazisti e sovietici, la Polonia fu letteralmente strangolata. Se i nazisti avevano invaso lo stato baltico il 1 settembre, i sovietici aspettarono due settimane prima di intervenire, con la formale scusa di difendere le minoranze di confine. Il governo sovietico infatti non formulò mai una formale dichiarazione di guerra nei confronti della Polonia. "L'espressione contenuta nella nota sovietica al governo polacco - scrive Zaslavsky - secondo la quale le truppe avevano attraversato il confine per offrire una mano fraterna al popolo polacco, rimase nella lingua russa come un'ironica epitome della politica staliniana nei confronti dell'Europa orientale". Gli eserciti delle due potenze si fermarono nel punto concordato e si spartirono "lealmente" il paese aggredito. "La Polonia, - dichiarò in quei giorni Molotov davanti ai membri del Soviet supremo - questo bastardo nato dal trattato di Versailles, ha cessato di esistere". Più della metà del territorio polacco finì sotto il dominio sovietico, e con essa 250.000 soldati e ufficiali dell'esercito polacco, "prigionieri - scrive Zaslavsky - di una guerra non dichiarata". Le condizioni di questi prigionieri era pessima, e gli stessi vertici militari russi dislocati in Polonia chiedevano informazioni a Mosca su come organizzare la prigionia, dal momento che mancava addirittura il cibo per sfamarli. Il Politburo organizzò quindi una commissione speciale affidata alla direzione dei famigerati Berija e Zdanov. Soprattutto il primo seppe mettersi in luce presso Stalin per la sua cinica efficienza nel trattare la "materia umana" dei prigionieri. Si può dire che da questo compito Berija spiccò il salto che lo portò a diventare uno dei fidati bracci destri di Stalin. Come primo passo la commissione decise di liberare i prigionieri ucraini e bielorussi, e di trattenerne 25.000 per la costruzione della strada Novgorod-Volynski-Leopoli. Come tradizione del regime sovietico, i prigionieri diventavano così moderni schiavi da utilizzare in importanti edificazioni. Gli ufficiali polacchi vennero così smistati nei campi presso Kozelsk, Starobelsk e Ostaskov. La direzione di questi campi venne affidata alla Nkvd. La polizia politica sovietica cercò immediatamente di infiltrare spie e osservatori tra gli ufficiali prigionieri. In una direttiva dell'8 ottobre 1939, un documento segretissimo a firma di Berija sulla sorveglianza operativa dei prigionieri di guerra nei campi della Nkvd, il comunista georgiano auspicava la realizzazione di "una rete spionistico-informativa per individuare tra i prigionieri di guerra formazioni controrivoluzionarie". Era importante - concludeva Berija - "chiarire gli atteggiamenti dei prigionieri di guerra". Nel frattempo la collaborazione con i nazisti era efficientissima. Nell'autunno del 1939 i due regimi alleati si scambiarono molti prigionieri. 43.000 e 14.000 soldati polacchi furono i rispettivi pacchi-dono che nazisti e sovietici vicendevolmente si offrirono. "Questo scambio - scrive Zaslavsky - testimonia non solo un'attiva collaborazione, ma anche quel fenomeno che col senno di poi si potrebbe definire una particolare divisione del lavoro tra i regimi di Stalin e Hitler". Non va dimenticato, inoltre, come non manca di far notare Zaslavsky che "nello scambio di soldati, la dirigenza staliniana si rifiutò di accogliere, nonostante i ripetuti appelli, la richiesta di ebrei e comunisti di restare in Urss poiché temevano le persecuzioni dei nazisti". Anche nel febbraio del 1940, Stalin non avrebbe esitato a consegnare alla Gestapo alcuni comunisti tedeschi rifugiati politici in Urss, e che erano detenuti nei campi sovietici dalle purghe degli anni Trenta. Questi uomini passarono così dai gulag ai lager. Gli ufficiali polacchi prigionieri furono sottoposti, oltre che a un controllo e ad uno spionaggio assiduo, ad un'opera di rieducazione politica. Propaganda martellante, colloqui, proiezioni di film esaltanti la Rivoluzione: nulla fu lasciato intentato per arruolare nuove spie e cercare di ammaestrare quegli uomini definiti socialmente alieni, in quanto provenivano dalla migliore borghesia polacca. "Ogni detenuto dei campi di Kozelsk, Starobelsk e Osatskov - scrive Zaslavsky - era sottoposto a lunghi e ripetuti interrogatori. Gli inquirenti erano particolarmente interessati all'estrazione sociale e alla posizione sociale ed economica del detenuto, al suo orientamento politico, all'affiliazione partitica, ai legami con i paesi occidentali, alla conoscenza di lingue straniere." Questa ricerca era la terribile premessa all'operazione di "pulizia". Quando la notizia del massacro di Katyn venne diffusa dalla radio tedesca, furono in molti a dubitarne. I nazisti, nel 1943, erano in chiara difficoltà su molti fronti. Gli occidentali sospettavano che questa fosse una prevedibile mossa per cercare di indebolire il fronte nemico. I nazisti, comunque, organizzarono una commissione investigativa, formata da medici provenienti da diversi paesi e suggerì inoltre alla Croce Rossa internazionale di inviare propri membri a controllare le vittime dell'eccidio. La commissione creata dai tedeschi imputò ai sovietici la responsabilità del massacro: le vittime - spiegava la risoluzione finale - erano state uccise nella primavera del 1940, quando ancora i russi occupavano la zona, prima dell'avanzata tedesca verso la Russia nell' Operazione Barbarossa. Uno dei professori della commissione era l'italiano Vincenzo Palmieri, direttore dell'Istituto di medicina legale dell'Università di Napoli. "Non c'erano dubbi - scrisse - , fra noi dodici [i membri della commissione medica, ndr] nessuno ebbe alcun dubbio, non ci fu neppure un'obiezione. Fu decisiva l'autopsia del cranio effettuata dal professor Orsos di Budapest: sulla parete interna trovò una sostanza che comincia a formarsi a tre anni dalla morte. Aveva tre anni anche il boschetto piantato sulla fossa. […]Il referto è inconfutabile". Contemporaneamente lavorò a Katyn una commissione della Croce Rossa polacca, formata da uomini e donne che ben conoscevano la barbarie nazista (tra essi, si scoprì in seguito, c'erano persino alcuni membri in incognito della Resistenza polacca!). Ebbene, anche questa commissione - sicuramente non imputabile di simpatie naziste - giunse alla medesima conclusione: la responsabilità dell'eccidio gravava interamente sui sovietici. Per quanto possa sembrare incredibile, le conclusioni di questa commissione non vennero mai rese note, se non nel 1989! Questo, per evitare di avvantaggiare la propaganda nazista. Quando l'area di Katyn tornò in mano russa, verso la fine della guerra, anche i sovietici istituirono una loro commissione, la commissione Burdenko, il cui compito era naturalmente quello di sostenere la responsabilità nazista nell'eccidio. Composta solo da cittadini sovietici, la commissione invitò a Katyn il 15 gennaio 1944 un gruppo di giornalisti occidentali (nelle cui file c'era anche la giovane figlia dell'ambasciatore americano a Mosca Averell Harriman): alcuni di loro credettero alla versione sovietica. I proiettili usati per le esecuzioni erano di fabbricazione tedesca, e su questo i sovietici basarono la propria linea accusatoria. Si trattava di una tesi facilmente smontabile: le ferite da baionetta e le corde usate per legare i prigionieri erano di fabbricazione sovietica, le pallottole invece provenivano dalla tedesca Gustaw Genschow di Karlsruhe, che dopo le imposizioni del Trattato di Versailles, smise di fornire in casa e cominciò ad esportare massicciamente in Unione Sovietica, Polonia e paesi baltici. La Nkvd - oggi è un fatto assodato - ricorse a pistole tedesche e proiettili "Geco" calibro 7,65. Le fucilazioni, sempre secondo questa tesi, erano avvenute tra agosto e settembre del 1941. Non pochi giornalisti non poterono però fare a meno di notare che i cadaveri avevano indosso indumenti invernali. La commissione Burdenko dichiarò quindi che c'era stato un errore e formulò la tesi che l'esecuzione era avvenuta tra agosto e dicembre del 1941. I sovietici si aspettavano una definitiva chiusura dell'imbarazzante caso in occasione della cornice del maxi-processo di Norimberga. Anche in questa occasione, il caso rimase formalmente aperto, soprattutto a causa delle fumose dichiarazioni dei testimoni pro-sovietici. Le rivelazioni degli ultimi anni hanno chiarito senza ombra di dubbio che 22.000 prigionieri polacchi sono stati eliminati dalla Nkvd. Come si arrivò a questa ufficializzazione? Le acque cominciarono a muoversi negli ultimi mesi del governo Gorbaciov. Per quanto gli fu possibile, e nonostante i proclami sulla glasnost, l'ultimo segretario del PCUS al potere cercò di procrastinare la rivelazione della responsabilità sovietica. Le cose cambiarono quando la commissione polacco-sovietica, recentemente formatasi, scoprì tra gli archivi segreti sovietici messi a disposizione, una fonte dal semplice titolo "Centro per la conservazione delle collezioni di documenti storici". In questo archivio, definito speciale e sorvegliato dal Kgb, vennero scoperte le comunicazioni della Direzione per gli affari dei prigionieri di guerra del Nkvd. Più di 9.000 fascicoli che offrivano delucidazioni sullo sfruttamento dei prigionieri di guerra a fini lavorativi, nonché sulle loro condizioni nei campi. Non c'era ancora il nucleo dei documenti fondamentali sul fatto di Katyn, ma da essi si poteva facilmente intuire la possibilità di reperire altre fonti. Il sovrintendente della commissione polacco-sovietica, il russo Aleksandr Yakovelv, testimonia di aver spedito la documentazione a più indirizzi, esattamente cinque copie (al Dipartimento internazionale del CC, al Kgb, al ministero degli Esteri, e "non ricordo più a chi altro"), così da renderla protetta burocraticamente, e difficilmente cancellabile. Nel maggio del 1988, in una cerimonia a Katyn, ufficiali sovietici e polacchi assistettero al formale riconoscimento sovietico della responsabilità nell'eccidio, messo in atto dalla Nkvd. Il regime sovietico quindi si ripeteva nella tecnica kruscioviana del 1956, quando nel famoso XX congresso del partito, il premier sovietico denunciò i crimini di Stalin. In questo caso il Pcus se ne lavava le mani, facendo ricadere ogni responsabilità su Lavrentij Berija e sulla Nkvd. Il 13 ottobre 1990, giornata mondiale delle vittime di Katyn, la definitiva e simbolica ammissione: in una cerimonia al Cremlino Michail Gorbaciov porse finalmente le scuse ufficiali al popolo polacco. In quell'occasione il segretario comunista consegnò al governo polacco alcune casse piene di documenti segreti. Da essi sarebbe emerso in tutta la sua chiarezza il mistero di Katyn, a questo punto un segreto di Pulcinella. Quando i poteri passarono da Gorbaciov a Eltsin, dopo il crollo dell'Urss, anche un'importantissima documentazione passò di mano. Il racconto che segue di Yakovelv è tratto dal libro di Zaslavsky: "Tra le altre carte particolarmente importanti - disse il funzionario sovietico - Gorbaciov passò a Eltsin una busta contenente un certo numero di documenti, aggiungendo che era indispensabile discutere per decidere cosa farne in seguito. 'Temo che possano sorgere complicazioni internazionali. Del resto sta a te decidere.', notò Gorbaciov. Eltsin lesse e concordò che sarebbe stato necessario riflettere seriamente. Ero sconvolto. Si trattava di documenti segretissimi su Katyn, testimonianza dei crimini del regime. Ero sconvolto anche perché Michail Sergeevic aveva consegnato questi documenti con una calma straordinaria, come se non gli avessi più volte avanzato la richiesta di ordinare al suo Archivio [del Comitato Centrale] di cercare e ricercare i documenti. Guardai Gorbaciov sbigottito, ma non notai alcun turbamento. Così è la vita". Con Eltsin la verità, completa, venne fuori e il Pcus fu dichiarato, per questo e molti altri motivi. un'organizzazione criminale. Nell'estate del 1992 da questi documenti emerse lo scambio epistolare tra Berija e Stalin, dal quale emerse la decisione di eliminare tutti gli ufficiali polacchi. Questa decisione maturò nel febbraio del 1940. Il 2 marzo il Politburo approvò la proposta di affidare ai processi della Nkvd i prigionieri avanzata da Berija e dal segretario del Pc ucraino di allora, il compagno Nikita Krusciov, incensato oggi dalla memorialistica occidentale come una sorta di dirigente sovietico umano (!). Berija e Krusciov auspicavano inoltre la deportazione "nella regione sovietica del Kazakistan per un periodo di 10 anni di tutte le famiglie di prigionieri di guerra che si trovano nei campi per ex-ufficiali dell'esercito polacco […], per un totale di 22.000-25.000 famiglie". "La ferocia inaudita della punizione […] - scrive Zaslavsky - preannunciava il carattere della sentenza emessa dal Politburo sui prigionieri stessi". L'esito sarebbe stato senza dubbio la pena capitale. I documenti emersi dagli archivi rendono palese, con tanto di firma dei principali dirigenti stalinisti (Stalin stesso, Molotv, Berija, Kaganovic, Voroscilov, Kalinin, Mikojan) la decisione di eliminare tutti gli ufficiali polacchi considerati "irrecuperabili" dagli esaminatori della Nkvd. " Il 5 marzo 1940 il Gotha del Pcus dette ordine alla Nkvd di "esaminare i casi di 25.700 prigionieri di guerra polacchi (14.700 detenuti nei campi di Kozelsk, Starobelsk e Ostaskov e altri 11.000 nelle prigioni di Ucraina e Bielorussia occidentali, secondo una procedura speciale, cioè senza citare in giudizio i detenuti e senza presentare imputazione, senza documentare la conclusione dell'istruttoria né l'atto d'accusa, applicando nei loro confronti la più alta misura punitiva: la fucilazione". Il distacco e il cinismo per questo ordine, considerando l'alto numero di persone coinvolte, risuona ancora oggi agghiacciante. L'operazione della Nkvd fu un capolavoro di efficienza: decine di migliaia di persone vennero giustiziate, i loro corpi - in nemmeno un mese - nascosti, trasportati in luoghi segreti, seppelliti. "Era necessario la collaborazione di numerose persone, come politici, impiegati statali, militari, becchini. Come infatti avvenne. Non solo, come già scritto, ci fu la zelante collaborazione degli stessi comunisti polacchi. "Basti citare - come scrive Zaslavsky - il rapporto di Wanda Bartoszewicz, membro del partito comunista polacco […] Il 99% sono persone liberate dalle prigioni, dai campi e dai luoghi di esilio. […] Tutti sono veri nemici dell'Urss pronti a vendicare le loro sofferenze. Niente potrebbe cambiare le persone tra le quali mi trovo e si dovrà soltanto eliminarle". Uno splendido esempio di internazionalismo. Il massacro di Katyn resta come uno scomodo "cadavere" anche per l'Occidente. i sovietici non sarebbero riusciti a nascondere la verità senza la complicità dei paesi occidentali. Gli Americani fino agli anni cinquanta, gli inglesi fino al crollo dell'Urss nel 1991. Non fanno sicuramente onore al grande statista Winston Churchill le parole pronunciate su Katyn negli anni quaranta, per il premier britannico la faccenda di Katyn era "di nessuna importanza pratica" e, come scrisse nell'aprile 1943 al ministro Eden "non si deve continuare patologicamente a girare intorno alle tombe vecchie di tre anni presso Smolensk". Paradossalmente, in quel riferimento cronologico c'era la chiara convinzione che a compiere il massacro fossero stati gli alleati sovietici. Il governo americano fece anche di peggio. Quando l'emissario speciale per gli affari balcanici George Earle portò incontrovertibili prove della responsabilità sovietica nei fatti di Katyn, aveva ricevuto da Roosevelt un'acceso monito. "Non è altro che propaganda - scrisse il presidente americano - un complotto dei tedeschi. Sono assolutamente convinto che non siano stati i russi a farlo". Alle insistenze di Earle e in seguito alla sua decisione di pubblicare le prove, il governo americano spedì Earle in missione diplomatica nelle lontane isole Samoa. "Non soltanto non lo desidero - scrisse ancora una volta Roosevelt a Earle - ma ti proibisco in modo specifico di rendere pubblica qualsiasi informazione o opinione riguardo il nostro alleato, che tu possa avere acquisito mentre eri in carica o al servizio della marina degli Stati Uniti". Il massacro di Katyn porta a un'ultima polemica riflessione. Oggi, dopo la scoperta di tutti i documenti segreti sovietici, si è in grado di esaminare ogni singolo aspetto di quel crimine efferato. Sono stati identificati, come non manca di notare Zaslavsky, gli organizzatori e gli esecutori materiali. Però, continua lo studioso polacco, "mentre nei paesi occidentali criminali nazisti sono ancora ricercati e punti, come dimostra il caso Priebke, in Russia neanche uno degli assassini è stato messo sotto processo o è stato sottoposto ad alcuna indagine". Katyn è solo uno dei tanti crimini cui personaggi dei vari regimi comunisti in Europa non hanno dovuto rendere conto. Mentre si auspica e ci si accinge a chiedere l'estradizione del generale Pinochet, per processarlo come responsabile della scomparsa e dell'uccisione di 4.500 cileni, non si vede come - con lo stesso principio del "diritto internazionale" - non si debba pretendere che i responsabili di un numero ben maggiore di vittime, l'orrore di Katyn, vengano assicurati alla giustizia. di Ferruccio Gattuso RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Il massacro di Katyn - il crimine e la menzogna, di Victor Zaslavsky - Ideazione Editrice, 1998 Morte nella foresta, di J,K, Zawodny - Editrice Mursia & C., 1973 La strage di Katyn - Fatti e documenti, di W. Anders - Edizioni del Borghese, 1967 da wikipedia Massacro di Katyń Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. da Massacro di Katyn) Massacro di Katyń. Foto pubblicata dalla propaganda tedesca durante la seconda guerra mondiale Il massacro della foresta di Katyń, noto anche più semplicemente come Massacro di Katyń, avvenne durante la seconda guerra mondiale e comportò l'esecuzione di massa, da parte dell'Unione Sovietica, di soldati e civili polacchi. L'espressione si riferì inizialmente al massacro dei soli ufficiali polacchi detenuti del campo di prigionia di Kozielsk, che avvenne appunto nella foresta di Katyn, vicino al villaggio di Gnezdovo, a breve distanza da Smolensk. Attualmente l'espressione denota invece l'uccisione di circa 22.000 cittadini polacchi: i prigionieri di guerra dei campi di Kozielsk, Starobielsk e Ostashkov e i detenuti delle prigioni della Bielorussia e Ucraina occidentali, fatti uccidere su ordine di Stalin nella foresta di Katyn e nelle prigioni di Kalinin (Tver), Kharkov e di altre città sovietiche. Molti polacchi erano stati fatti prigionieri a seguito dell'invasione e sconfitta della Polonia da parte di tedeschi e sovietici nel settembre 1939. Vennero internati in diversi campi di detenzione, tra cui i più noti sono Ostashkov, Kozielsk e Starobielsk. Kozielsk e Starobielsk vennero usati principalmente per gli ufficiali, mentre Ostashkov conteneva principalmente, guide, gendarmi, poliziotti e secondini. Contrariamente ad una credenza diffusa, solo 8.000 dei circa 15.000 prigionieri di guerra di questi campi erano ufficiali. L'eccidio di Katyn fa riflettere perché da esso emergono aspetti della dittatura staliniana che è stato a lungo imbarazzante riconoscere, vale a dire il carattere fortemente repressivo e le tendenze imperialistiche. Il massacro rispondeva ad una logica ben precisa di ulteriore indebolimento della Polonia appena asservita. Infatti, poiché il sistema di coscrizione polacco prevedeva che ogni laureato divenisse un ufficiale della riserva, il massacro doveva servire ad eliminare una parte cospicua della classe dirigente nazionale. Tutto ciò nel quadro di una spartizione della Polonia tra Germania ed URSS, due potenze che rappresentano due sistemi culturali ed ideologici opposti ed antitetici, ma che, per circa 2 anni e fino al giugno 1941, furono legate da un patto di alleanza. Il 5 marzo 1940, secondo un'informativa preparata da Lavrentij Beria (capo della polizia segreta sovietica) direttamente per Stalin, alcuni membri del politburo dei Soviet – Stalin, Vyacheslav Molotov, Kliment Vorošilov, Anastas Mikojan[1], e Beria stesso – firmarono un ordine di esecuzione degli attivisti "nazionalisti e controrivoluzionari" detenuti nei campi e nelle prigioni delle parti occupate di Ucraina e Bielorussia. L'ampia definizione del capo d'accusa comportò la condanna a morte di una parte importante dell'intellighentsia polacca, oltre a poliziotti, riservisti e ufficiali in servizio attivo. Morirono oltre 22.000 uomini, compresi circa 15.000 prigionieri di guerra. La scoperta del massacro nel 1943 causò l'immediata rottura delle relazioni diplomatiche tra il governo polacco in esilio a Londra e l'Unione Sovietica. L'URSS negò le accuse fino al 1990, quando riconobbe nell'NKVD la responsabile del massacro e della sua copertura. Appena due giorni dopo l'invasione della Polonia, il 19 settembre 1939, il Commissario di Primo Grado della Sicurezza di Stato (il Ministro per gli Affari Interni), Lavrentij Beria riunì il Consiglio dell'NKVD per i prigionieri di guerra e gli internati (presieduto dal Capitano della Sicurezza dello Stato, Pyotr K. Soprunenko) ordinando l'apertura dei campi di detenzione per i prigionieri polacchi. Questi erano i campi di: Jukhnovo (stazione ferroviaria di Babynino), Yuzhe (Talitsy), Kozielsk, Kozelshchyna, Oranki, Ostashkov (Isola Stolbnyi, sul Lago Seliger, vicino a Ostashkov), Putyvli (stazione ferroviaria di Tetkino), Starobielsk, Vologod (stazione ferroviaria di Zaenikevo) e Gryazovets. Nel periodo dal 3 aprile al 19 maggio 1940 oltre 22.000 prigionieri di guerra vennero assassinati: circa 6.000 provenivano dal campo di Ostaszków, circa 4.000 da Starobielsk, circa 4.500 da Kozielsk e circa 7.000 dalle parti occidentali di Ucraina e Bielorussia. Solo 395 prigionieri vennero salvati dal massacro. Furono portati al campo di Yukhnov e quindi a Gryazovets. Furono gli unici a sfuggire alla morte. La dinamica del massacro I prigionieri di Kozielsk vennero eliminati in un luogo prescelto appositamente per le uccisioni di massa situato nella contea di Smolensk, chiamato foresta di Katyn, che diede poi il nome all'intero massacro; quelli provenienti da Starobielsk vennero uccisi nella prigione dell'NKVD di Kharkov e i loro resti vennero sepolti nei pressi di Pyatikhatki; gli ufficiali di polizia di Ostashkov vennero uccisi nella prigione dell'NKVD di Kalinin (Tver) e sepolti a Miednoje. La propaganda sovietica mostra l'occupazione congiunta russo-tedesca della Polonia come liberazione dei contadini dal giogo degli aristocratici. Su questo cartello, in lingua ucraina, due contandini miserabili guardano un ufficiale in divisa da parata dell'esercito polacco colpito da un soldato dell'Armata rossa. Informazioni dettagliate sulle esecuzioni di Kalinin vennero fornite da Dmitrii S. Tokarev, ex capo del consiglio del distretto dell'NKVD di Kalinin. Secondo Tokarev le uccisioni iniziarono la sera e finirono all'alba. Il primo trasporto, il 4 aprile, contava ben 390 persone e i giustizieri ebbero difficoltà ad eseguire il loro compito nell'arco di una sola notte. Il trasporto successivo non superava invece le 250 persone. Le esecuzioni vennero compiute con pistole tipo Walther PPK fornite da Mosca. Il metodo con cui vennero eseguite era stato studiato nel dettaglio. Inizialmente venivano verificati i dati anagrafici del condannato, poi questi veniva ammanettato e portato in una cella isolata. Dopo essere stato fatto entrare nella cella, veniva immediatamente ucciso con un colpo alla nuca. Il colpo di pistola veniva mascherato tramite l'azionamento di macchine rumorose (probabilmente ventilatori). Il corpo veniva quindi trasferito all'aperto passando da una porta posteriore e poi veniva caricato su uno dei sei camion appositamente predisposti per il trasporto. A questo punto toccava alla vittima seguente. Questa procedura venne ripetuta ogni notte, ad eccezione della festa del primo maggio. Nei pressi di Smolensk la procedura era diversa: i prigionieri venivano portati alle fosse con le mani legate dietro la schiena e uccisi con un colpo di pistola alla nuca. La scoperta Il destino dei prigionieri di guerra polacchi venne svelato per la prima volta poco dopo l'invasione tedesca dell'Unione Sovietica del giugno 1941, quando il governo polacco (in esilio a Londra) e il governo sovietico concordarono di cooperare contro la Germania e decisero di formare un'armata polacca in territorio sovietico. Quando il generale polacco Władysław Anders iniziò ad organizzare questa armata, egli richiese informazioni sugli ufficiali polacchi ancora prigionieri in territorio sovietico. Stalin rassicurò lui e Sikorski, durante un incontro personale, che tutti i polacchi erano stati liberati, anche se alcuni di loro potevano essere fuggiti (riparando ad esempio, in Manciuria). Il vero destino dei prigionieri scomparsi rimase un mistero fino all'aprile del 1943, quando la Wehrmacht su indicazione di un abitante del luogo scoprì le fosse comuni di oltre 4.000 ufficiali polacchi nella foresta nei pressi di Katyn. Joseph Goebbels, ministro della Propaganda del Reich, vide in questa scoperta un eccellente strumento per inserire un cuneo tra Polonia, Alleati occidentali ed Unione Sovietica. Il 13 aprile Radio Berlino annunciò al mondo il ritrovamento: «È stata trovata una grossa fossa, lunga 28 metri e ampia 16, riempita con dodici strati di corpi di ufficiali polacchi, per un totale di circa 3.000. Essi indossavano l'uniforme militare completa, e mentre molti di loro avevano le mani legate, tutti avevano ferite sulla parte posteriore del collo causata da colpi di pistola. L'identificazione dei corpi non comporterà grandi difficoltà grazie alle proprietà mummificanti del terreno e al fatto che i Bolscevichi hanno lasciato sui corpi i documenti di identità delle vittime. È già stato accertato che tra gli uccisi c'è il generale Smorawinski di Lublino.» Gli Alleati sapevano già che i nazisti avevano trovato le fosse comuni, avendo captato le loro trasmissioni radio, decifrate nella base inglese di Bletchley Park. Il governo sovietico negò le accuse tedesche e sostenne che i polacchi, prigionieri di guerra, erano stati impiegati in opere di costruzione ad ovest di Smolensk e successivamente catturati e giustiziati dalle unità tedesche nell'agosto 1941. Sia le investigazioni tedesche che quelle successive della Croce Rossa sui cadaveri di Katyn produssero prove evidenti che il massacro si era verificato all'inizio del 1940, in un periodo in cui l'area era ancora sotto il controllo sovietico. Nell'aprile del 1943, all'investigazione della Croce Rossa Internazionale si aggiunse la pressione del governo polacco in esilio guidato dal Generale Władysław Sikorski, volta a portare la questione ai tavoli di negoziato con i sovietici. Stalin rispose presentando le «Prove infondate del massacro di Katyn», usandole poi come pretesto per ritirare il riconoscimento al governo Sikorski (26 aprile), accusarlo di collaborare con la Germania nazista e avviare una campagna per far riconoscere agli Alleati occidentali il governo fantoccio guidato da Wanda Wasilewska. Tentativi d'insabbiare il massacro La Germania nazista utilizzò il massacro di Katyn come argomento di propaganda contro l'Unione Sovietica. Joseph Goebbels scrisse nel suo diario: «I commentatori esteri si meravigliano della straordinaria astuzia con la quale siamo stati in grado di convertire l'incidente di Katyn in una questione altamente politica». I tedeschi riuscirono a screditare il governo sovietico agli occhi del mondo e per breve tempo sollevarono lo spettro del «mostro comunista» che porta la distruzione nei territori della civiltà occidentale; inoltre avevano forgiato contro il suo volere il generale Sikorski, in uno strumento che poteva minacciare di sfaldare l'alleanza tra gli Alleati occidentali e l'Unione Sovietica. Per gli Alleati occidentali il massacro di Katyn minacciò, e la crisi polaccosovietica iniziava a minacciare l'alleanza strategica con l'URSS in un momento in cui l'importanza dei polacchi per gli Alleati, essenziale nei primi anni di guerra, iniziava a svanire con l'entrata nel conflitto dei colossi militari e industriali di USA e URSS. Il primo ministro britannico Winston Churchill ed il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt erano sempre più divisi tra i loro impegni verso l'alleato polacco, la ferma posizione di Sikorski e le domande (spesso rasentanti il ricatto politico) di Stalin e dei suoi diplomatici, la cui politica era chiara nei commenti dell'ambasciatore sovietico a Londra, Ivan Maisky, che disse a Churchill che il destino della Polonia era segnato dall'essere «una nazione di 20 milioni di persone confinante con una di 200 milioni». L'improvvisa scomparsa del generale Sikorski, l'unico che aveva mantenuto una presa di posizione senza compromessi sulla questione, evitò la minaccia di una spaccatura tra gli Alleati occidentali. Nel gennaio 1944, avendo riconquistato la zona di Katyn, i sovietici istituirono una compiacente "Commissione speciale per la determinazione e investigazione dell'uccisione di prigionieri di guerra polacchi da parte degli invasori fascisti tedeschi nella foresta di Katyn", guidata dal Presidente dell'Accademia di Scienza Medica dell'URSS Nikolai Burdenko, che riesumò nuovamente i corpi e giunse alla «conclusione» che le uccisioni erano state eseguite dagli occupanti tedeschi. In privato il primo ministro britannico Winston Churchill espresse l'opinione che le atrocità erano state probabilmente compiute dai sovietici. Secondo una nota del Conte Raczynski, Churchill ammise il 15 aprile, durante una conversazione con il Generale Sikorski: «Ahimè, le rivelazioni tedesche sono probabilmente vere. I bolscevichi possono essere molto crudeli.» Comunque allo stesso tempo, il 24 aprile, Churchill rassicurò i russi: «Dobbiamo sicuramente opporci vigorosamente a qualsiasi "investigazione" da parte della Croce Rossa Internazionale o di qualsiasi altro organo in qualsiasi territorio durante l'occupazione tedesca. Tali investigazioni sarebbero una frode e le loro conclusioni ottenute per mezzo del terrorismo.» Nel 1944 il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt incaricò il capitano George Earle, suo emissario speciale nei Balcani, di raccogliere informazioni su Katyn. Earle svolse l'incarico usando contatti in Bulgaria e in Romania. Anche Earle concluse che l'Unione Sovietica era colpevole. Dopo consultazioni con Elmer Davis, il direttore dell'"Ufficio di informazione di guerra", Roosevelt rigettò tali conclusioni, dicendosi convinto della responsabilità nazista, e ordinò la soppressione del rapporto di Earle. Quando Earle richiese formalmente il permesso di pubblicare le sue scoperte, il presidente gli diede ordine scritto di desistere dal suo intento. Earle venne riassegnato e spese il resto della guerra nelle Samoa Americane. Nel 1946, il pubblico ministero capo sovietico al processo di Norimberga cercò di accusare la Germania per le uccisioni di Katyn, dichiarando che: «Uno dei più importanti atti criminali del quale i principali criminali di guerra sono responsabili erano le esecuzioni di massa di prigionieri di guerra polacchi uccisi nella foresta di Katyn, nei pressi di Smolensk da parte degli invasori tedeschi», ma, pur potendo disporre di "testimoni oculari" che "avevano visto" i tedeschi compiere il massacro, tutti adeguatamente preparati dall' NKVD, fece cadere la questione dopo che Stati Uniti e Regno Unito si rifiutarono di appoggiarlo e gli avvocati tedeschi misero in piedi una difesa imbarazzante. Katyn non è menzionata in nessuna delle sentenze di Norimberga. Nel 1951-1952, una investigazione del Congresso statunitense concluse che i polacchi erano stati uccisi dai sovietici. Durante gli anni della guerra fredda, le autorità comuniste polacche occultarono la questione in accordo con la propaganda sovietica, censurando deliberatamente qualsiasi fonte che potesse fare qualche luce sul crimine sovietico. La verità non fu nota pubblicamente fino alla caduta del comunismo nel 1989. Per coprire il massacro di Katyn, il Cremlino costruì la storia dell'eccidio di Hatyn, una località bielorussa 60 km a nord di Minsk, dove nel 1943 venne compiuta una strage di militari russi. Sui manuali di storia sovietici venne raccontato solo l'eccidio di Hatyn, la cui colpa veniva attribuita all'esercito nazista occupante. Per decenni le autorità, le scolaresche, gli stranieri in visita furono condotti a Hatyn per apprendere tutti i particolari della barbarie germanica. Il depistaggio andò avanti per decenni, fino a quando nel 1993 il grande scrittore bielorusso Vasil Bychau denunciò pubblicamente alla radio l'uso strumentale di Hatyn. Tanto più - aggiunse - che con ogni probabilità la strage fu compiuta non dai nazisti tedeschi, ma dagli ucraini, loro alleati. La questione della responsabilità rimase controversa ad ovest così come oltre la cortina di ferro. Ad esempio, nel Regno Unito alla fine degli anni settanta, progetti per un memoriale delle vittime che recava come data il 1940 (piuttosto che il 1941) vennero condannati come provocatori nel clima politico della guerra fredda. In Italia fino al 1990 era opinione comune tra i comunisti che il Massacro di Katyń fosse opera tedesca. La verità viene a galla Nel 1989 studiosi sovietici rivelarono che Stalin aveva effettivamente ordinato il massacro, e nell'ottobre 1990 Mikhail Gorbachev porse le scuse ufficiali del suo paese alla Polonia, confermando che la NKVD aveva giustiziato i prigionieri e aggiungendo l'esistenza di altri due luoghi di sepoltura simili a quello di Katyn: Mednoje e Pyatikhatki. Il leader sovietico, però, sostenne che i documenti cruciali, tra cui l'ordine di fucilare 25 mila polacchi senza neppure avanzare contro di loro un capo di imputazione, non si sapeva dove fossero. Invece era una delle tre persone che ne conoscevano l'esistenza]. Si può affermare che la vicenda può dirsi conclusa solo con la presidenza di Boris Eltsin. Nel 1992 alcuni funzionari russi rilasciarono documenti top secret del «Plico sigillato n. 1». Tra questi vi era la proposta del marzo 1940 di Lavrentij Beria, di passare per le armi 25.700 polacchi dei campi di Kozelsk, Ostashkov e Starobels e di alcune prigioni della Bielorussia e dell'Ucraina occidentali, con la firma (tra gli altri) di Stalin; estratti dell'ordine del Politburo del 5 marzo 1940; e una nota di Aleksandr Shelepin a Nikita Khrushchev del 3 marzo 1959, con informazioni sull'esecuzione di 21.857 polacchi e con la proposta di distruggere i loro archivi personali. Le investigazioni che accusano delle uccisioni lo stato tedesco piuttosto che quello sovietico, sono state usate per screditare il Processo di Norimberga nel suo complesso, spesso in supporto al revisionismo dell'Olocausto, o per mettere in discussione la legittimità e/o la saggezza di usare la legge penale per proibire la revisione dell'olocausto. Si deve notare che esistono alcuni studiosi che negano la colpevolezza sovietica, dichiarano falsi i documenti declassificati e cercano di dimostrare che i polacchi vennero uccisi dai tedeschi nel 1941 (nonostante dalle autopsie sia evidente la differenza di un anno in un cadavere, e i cadaveri portassero uniformi invernali, mentre i tedeschi invasero l'Urss in estate). Durante la visita in Russia di Aleksander Kwasniewski, nel settembre del 2004, funzionari russi annunciarono la volontà di trasferire tutte le informazioni sul massacro di Katyn alle autorità polacche non appena fossero state declassificate. Nel marzo 2005 le autorità russe hanno posto fine ad una investigazione durata un decennio. Il pubblico ministero militare capo russo Alexander Savenkov ha dichiarato che il massacro non fu un genocidio, un crimine di guerra o un crimine contro l'umanità e che «Non esistono assolutamente le basi per parlarne in termini giuridici». Nonostante le dichiarazioni fatte in precedenza, 116 dei 183 volumi di documenti raccolti durante l'investigazione russa, così come la decisione di porvi fine, sono state coperte da segreto. A causa di ciò l'Istituto nazionale per il ricordo polacco ha deciso di avviare una sua indagine. Un gruppo di magistrati guidati da Leon Kieres ha dichiarato che cercherà di individuare i nomi di coloro che ordinarono ed eseguirono le uccisioni. Inoltre, il 22 marzo 2005, il Sejm (parlamento) polacco ha approvato all'unanimità un atto con il quale si richiede che sugli archivi russi venga tolto il segreto. Il Sejm ha inoltre richiesto alla Russia di classificare il massacro di Katyn come genocidio. Putyvli (stazione ferroviaria di Tetkino), Starobielsk, Vologod (stazione ferroviaria di Zaenikevo) e Gryazovets. Nel periodo dal 3 aprile al 19 maggio 1940 oltre 22.000 prigionieri di guerra vennero assassinati: circa 6.000 provenivano dal campo di Ostaszków, circa 4.000 da Starobielsk, circa 4.500 da Kozielsk e circa 7.000 dalle parti occidentali di Ucraina e Bielorussia. Solo 395 prigionieri vennero salvati dal massacro. Furono portati al campo di Yukhnov e quindi a Gryazovets. Furono gli unici a sfuggire alla morte. ulteriori informazioni a qs link http://passatopresente.blog.rai.it/category/katyn/