KATYN IL FILM CENSURATO DAI SOVIETICI E SOTTILMENTE BOICOTTATO ANCHE IN ITALIA
Venerdì scorso proiezione a Milano del film Katyn di Andrzej Wajda presso il cinema Palestrina , sala strapiena,
c'era gente in piedi ad assistere alla seconda (ed ultima!) proiezione. Centinaia di persone, dopo aver fatto
inutilmente la fila al botteghino, sono tornate a casa senza averlo potuto vedere. La proiezione del film, voluta
da "Sentieri del Cinema" e dal Centro Culturale di Milano è stato presentato dal console polacco Krzysztof
Strzalka e da Luigi Geninazzi redattore di Avvenire. Katyn sono 117 minuti intensi, trepidanti, drammatici, "un
pugno nello stomaco".
Il regista polacco ha il gran merito di evidenziare senza distorsioni la follia ideologica dei due totalitarismi del
900: il socialcomunismo staliniano e il nazionalsocialismo hitleriano.
Wajda rievoca la strage di 22 mila soldati polacchi uccisi dalla polizia sovietica (NKVD) il 5 marzo 1940 nella
foresta di Katyn, situata vicino Smolensk, in Russia. Il massacro fu rivelato dai nazisti in chiave antisovietica al
momento dell'invasione della Russia nel '41, ma Mosca rigettò ogni responsabilità sull'esercito di Hitler. E in
mezzo ci fu il silenzio dell'Occidente, incapace di denunciare le responsabilità di Stalin, divenuto un
indispensabile alleato contro la Germania. Solo nel 1990 l'allora presidente dell'Urss Gorbaciov ha riconosciuto
la verità storica sull'eccidio di Katyn. E poi nel 1992 il presidente russo Boris Eltsin, consegnando alla Polonia i
documenti che attestavano la piena responsabilità dell'Unione Sovietica nel massacro di Katyn, disse:
«Perdonateci, se potete» .
Con Katyn il grande regista polacco (autore di L'uomo di marmo , L'uomo di ferro , Danton ), ha rinnovato in
patria il dolore di un intero popolo narrando con stile secco e incalzante - e inserendo anche immagini di
documenti d'epoca - una tragedia storica che ha segnato il suo Paese per decenni.
Nel film si vedono, militari nazisti e sovietici insieme, in nome dell'ideologia pronti a qualsiasi crimine, in mezzo
gli ufficiali polacchi, soldati d'altri tempi, come dei cavalieri medievali, legati alla divisa, all'identità, alla patria
cattolica, alla lealtà militare, speranzosi di farcela nonostante tutto, ma che alla fine sono tutti sacrificati.
Vi è anche un risvolto personale che ha portato Wajda a completare questo lungometraggio - ambientato tra il
1939 e il 1950 - visto che suo padre, Jakub, fu una delle vittime del massacro di Katyn. Per questo motivo, sotto
il titolo del suo film, il regista premio Oscar alla carriera nel 2000 ha apposto un'eloquente dedica: «Ai miei
genitori». «Mia madre si è nutrita di illusione fino alla fine della sua vita perché il nome di mio padre figurava
sulla lista dei soldati massacrati con un appellativo sbagliato» ha ricordato Wajda durante la presentazione
ufficiale di Katyn, svoltasi a Varsavia il 17 settembre dell'anno scorso, proprio 68 anni dopo l'invasione sovietica.
Wajda, che nella strage, rievoca non solo la dignità e il coraggio delle vittime, ma anche la tenacia nel cercare la
verità e la speranza incrollabile delle donne che li aspettano a casa. Così vediamo madri, mogli, figlie attendere,
invano, il ritorno degli amati; come Anna , moglie di Andrzej , capitano dell'8° reggimento dell'esercito, che con
la figlia Nika aspetta con sempre minor speranza di rivederlo. Le prime scene del film sono quelle di due folle
che percorrono una medesima strada ma a senso inverso: vi è chi fugge dall'occupazione Armata rossa e chi
scappa dall'oppressione della Wermacht . E le ultime inquadrature del film ritraggono proprio le fucilazioni su
22.000 inermi ufficiali polacchi, uccisi con un colpo alla nuca tra Katyn e altre località limitrofe, per poi essere
sepolti in fosse comuni. Katyn è un film bellissimo si scrive nella presentazione del film sul sito di "Sentieri del
Cinema"(un anno fa candidato all'Oscar per il miglior film straniero) e da non perdere, è anche la testimonianza
di un popolo orgoglioso delle proprie radici e saldo nella propria fede, con i militari polacchi che vanno incontro
alla morte a testa alta e recitando il Padre Nostro mentre uomini stravolti da odio e ideologia li ammazzano
come bestie. Il cineasta polacco ha riconosciuto che «nessun regista sano di mente avrebbe potuto girare un film
così durante il periodo comunista, se non presentando la versione ufficiale. Nel mio Paese non c'è stato interesse
su questo argomento». Wajda si è avvalso della collaborazione di Pawel Edelman per il montaggio (già all'opera
ne "Il pianista"di Roman Polanski) e delle musiche del grande compositore Krzysztof Penderecki.
"'Katyn' viene proiettato in pochissimi cinematografi, 12 in tutt'Italia. Com'è possibile che un simile capolavoro
non trovi spazio se non in circuiti ristretti o nei cinema d'essai? Non è certo colpa della società di distribuzione
'Movimento Film' il cui responsabile, Mario Mazzarotto, ammette sconsolato che «di 'Katyn' in versione italiana
sono disponibili molte più copie di quante ne circolano attualmente, ma sembra che si stia facendo di tutto per
boicottarne la visibilità». Censurato e avvolto nella menzogna di regime per oltre mezzo secolo, Katyn è stato un
nome difficile da pronunciare ad alta voce anche qui da noi. Nell'immediato dopoguerra ci fu chi venne
sottoposto ad un vero e proprio linciaggio morale da parte del Pci di Togliatti per aver sollevato i veli sull'eccidio
che porta il marchio sovietico". (Luigi Geninazzi,
Un film che spaventa, 8.3.09 Avvenire).
La Movimento Film (http://www.movimentotv.it), in collaborazione con l'Associazione dei Polacchi a Milano
consiglia fortemente, per il suo valore di documento storico e didattico, di far vedere il film agli studenti delle
scuole. Ci sarà qualcuno che lo farà? "'Katyn' è un film che dovrebbe essere proiettato in tutte le scuole, - scrive
Geninazzi - un contributo al recupero di quella 'memoria storica' che politici ed educatori sottolineano sempre
con grande enfasi. Invece in Italia viene relegato, ignorato e sottilmente boicottato. C'è di che vergognarsi: dopo
i sovietici, siamo riusciti a censurare Katyn una seconda volta". - Domenico Bonvegna "Katyn" di Andrzej Wajda
Rinnegare e mentire secondo Wajda
di Giovanna Solimando
Pubblicato mercoledì 24 ottobre 2007 - NSC anno IV n. 2
Il titolo del film che doveva essere Post mortem, come quello del libro di Andrzej Mularczyk a cui è ispirato, è
stato cambiato in Katyn”. Qualcuno, dice Wajda, aveva pensato di intitolarlo “Il racconto di Katyn. Coloro che
conoscono la storia dicono che il titolo deve essere semplicemente Katyn: intitolato così ha un peso particolare.
Lunedì 17 Settembre 2007 si è tenuta a Varsavia, al Teatr Wielki, la prima del nuovo film di Andrzej Wajda,
Katyn. Ora è in tutti i cinema della capitale polacca, e viene proiettata anche la versione con sottotitoli in
inglese. Un film storico, non solo perché girato da un regista di fama memorabile, ma anche perché è proprio la
storia la protagonista della pellicola. Centoventiquattro minuti di immagini che raccontano ciò che accadde nella
foresta di Katyn. In questo luogo, durante la Seconda Guerra Mondiale, ufficiali polacchi e civili furono
massacrati dagli uomini dell’Unione Sovietica. Su ordine di Stalin vennero uccisi migliaia di cittadini polacchi: il
massacro aveva lo scopo di eliminare la classe dirigente della Polonia. Un evento che, assieme a molti altri
episodi cruenti che caratterizzarono la politica staliniana, denotò la forte somiglianza tra questa dittatura e
quella nazista, benché essa sia stata a lungo negata.
Il film di Wajda è oggi il mezzo attraverso cui mostrare e ricordare, anche e soprattutto alle nuove generazioni; a
tal fine il regista ha creduto opportuno parlare soprattutto dei sentimenti di coloro che vissero il dramma.
Attraverso la narrazioni di storie personali ed intime vissute da alcuni personaggi, il film diventa testimone della
storia. «E’ stato girato per non dimenticare quella storia. […] Unisce la storia con gli spettatori di oggi. E’ una
specie di lezione di storia. […] Quanto i personaggi del film riusciranno a commuovere il pubblico, tanto il
pubblico conoscerà la storia di Katyn».
Queste le parole del regista che parla dell’impossibilità di realizzare quest’opera in modo che contenesse sia la
realtà storica che l’intimità dei personaggi. Era per lui necessario scegliere tra un film che parlasse delle persone,
mogli, bambini, giovani e coloro che erano allora al governo, ed uno che invece proponesse la vicenda politica,
con grandi personaggi storici: “Si poteva fare un film che mostrasse sullo schermo entrambe le cose? Secondo
me no. E per questo a raccontare la storia sarà un’azione istruttiva”.
Il film, avrebbe potuto intitolarsi “Menzogne: la storia di Katyn”. La pellicola, benché spesso caratterizzata da
uno stile recitativo piuttosto teatrale, narra con austerità ed equilibrio una storia che è stata taciuta troppo a
lungo. Katyn documenta, senza però diventare mero documentario storico, commuove, senza essere
semplicemente un film drammatico e lacrimevole. Trasmette emozioni e induce gli spettatori ad immedesimarsi
con mogli, bambini, fratelli, sorelle, nipoti, madri; polacchi che attesero, spesso per anni, notizie dei propri cari
che trovarono la morte nella foresta di Katyn, uccisi con un colpo in testa, gettati in fosse comuni come inutili
rifiuti. In fondo però, più che un film sui morti e sul contesto storico-politico polacco durante e dopo la Seconda
Guerra Mondiale, questo è un film sulle infinite bugie che offuscarono la realtà del massacro; un film sulla
disillusione di un popolo che, in seguito alle violente dittature e al dominio prima dei tedeschi poi dei russi,
smise di credere nella propria libertà e scelse di accettare, di tacere, di mentire pur di sopravvivere.
Una scena esemplare la troviamo verso la fine del film, quando Wajda mostra la Polonia nel periodo più
sanguinoso e terrificante in assoluto, quando i russi avevano pieno potere. Chiunque fosse per la verità, chi
lottava per l’indipendenza e la liberazione del proprio paese, veniva messo in prigione, torturato, additato come
traditore. Nella pellicola, emblema di questa situazione è un ragazzo: lo vediamo andare ad iscriversi
all’accademia e consegnare il proprio curriculum vitae in cui ha scritto che suo padre è morto nella foresta di
Katyn, ucciso dai russi. Le fonti di allora dicevano che quel genocidio era stato opera dei tedeschi: la direttrice
dell’accademia, una donna polacca che aveva perso suo fratello proprio a Katyn, dice al giovane polacco che lo
accetteranno, a patto che modifichi quella parte del curriculum. Il ragazzo risponde “Il curriculum vitae è uno
solo” poi va via e una volta in strada strappa dai muri le locandine della propaganda comunista. I soldati russi lo
vedono e iniziano ad inseguirlo. Per quanto lui scappi alla fine viene preso e ucciso barbaramente.
Un commento negativo ci sentiamo di esprimerlo: la parte che divide l’ultima sequenza del film dai titoli di coda
ed il modo in cui il “Padre Nostro” viene recitato dai soldati polacchi al momento della loro morte rischiano di
rendere tutto piuttosto artificioso e patetico. Sarebbe consigliabile, per chiunque volesse vedere Katyn, iniziare
a conoscere meglio la storia della Polonia prima di vedere la pellicola. Si avranno le idee molto più chiare: vi
sono infatti molti riferimenti e simboli che saranno più facilmente comprensibili se si è preparati a riceverli.
Il caso Wajda. Il maestro censurato
«Sono in molti ad avere interesse a che il mio film non sia proiettato, ad acquistarne i diritti per non farlo
vedere». Le scomode verità del grande regista di “Katyn”
di Roberto Persico e Annalia Guglielmi
approfondimenti
Varsavia
È appena tornato da Berlino, dove il suo Tatarak ha vinto il premio speciale della giuria per un’opera che «apre
all’arte cinematografica nuove prospettive». «Pensi – dice sorridendo all’inviato di Tempi nei suoi studi a
Varsavia – che il riconoscimento lo hanno dato ex-aequo a me e a un regista argentino poco più che trentenne al
suo primo film». Lui, Andrzej Wajda, di anni ne ha ottantatré, e di regie alle spalle ne conta oltre tre dozzine. Ma
ha ancora l’entusiasmo di un giovanotto e il gusto di usare la macchina da presa per continuare a raccontare le
gioie e i dolori della vita, oggi come trent’anni fa, quando opere come L’uomo di marmo, L’uomo di ferro e
Danton filtravano attraverso la cappa di piombo del socialismo reale e facevano sentire anche in Occidente la
voce di un uomo libero, che non ha mai rinunciato a guardare la realtà coi suoi occhi rifiutando le lenti
deformanti dell’ideologia. L’arrivo nelle sale italiane, dopo lunghe peripezie, di Katyn, il film sull’eccidio degli
ufficiali polacchi perpetrato dai sovietici durante la Seconda guerra mondiale e a lungo attribuito ai nazisti
tedeschi, è l’occasione per incontrare Wajda e parlare con lui di cinema. E di molto altro.
Andrzej Wajda, cominciamo dalla pellicola che sta riproponendo il suo nome in Italia. Da dove nasce l’idea di
fare un film sul massacro di Katyn?
Un film su Katyn fino al 1989 sarebbe stato impossibile, perché secondo la versione ufficiale imposta dai sovietici
il massacro di ventiduemila ufficiali dell’esercito polacco compiuto nel 1940 nei boschi di Katyn era stato opera
dei tedeschi. In realtà in Polonia tutti sapevano che i colpevoli erano i russi, e nessuno era disposto a fare un film
intriso di menzogna; così Katyn nella nostra storia rimaneva una ferita aperta. Perché allora non lo abbiamo
fatto subito dopo il 1989? Perché sulla vicenda c’era stato come un blocco: mentre tutti gli altri episodi
drammatici della Seconda guerra mondiale avevano trovato qualcuno che ne facesse materia di qualche
racconto, su Katyn non c’era nulla. Così, realizzare una sceneggiatura è stato un lavoro lungo e difficile. Io ho
continuato a leggere tutta la documentazione disponibile, soprattuto i diari delle donne che, come mia madre,
avevano perso il marito nella strage. Oggi tutto quel che si vede nel film è rigorosamente basato sui documenti
che io ho letto nel corso di anni di ricerche.
Che cosa ha voluto dire allora per lei girare un film come questo?
Ho sempre avuto in mente che un film su Katyn avrei potuto e dovuto farlo io: farlo ha voluto dire saldare un
debito con mio padre e mia madre, far conoscere a tutti l’eccidio compiuto sugli uomini e la menzogna
perpetrata nei confronti delle loro donne.
Ci risulta, però, che l’opera abbia avuto qualche “problema di circolazione”. È vero?
Guardi, in Polonia ha avuto oltre tre milioni di spettatori, posso dire di essere soddisfatto. Del resto era un’opera
che la gente aspettava da sessant’anni. Il problema è che i diritti per la distribuzione all’estero sono stati
assegnati alla televisione di Stato polacca, che non ha fatto nulla perché il film avesse una circolazione dignitosa:
lo ritengono un film scomodo e non hanno voluto spingerlo. Pensi che nel rapporto della Televisione Polacca
sulla società New Media Di-stribution, l’azienda che deve distribuire il film contemporaneamente sia in Russia
sia negli Stati Uniti, ho visto una nota a margine scritta a mano che informa che «l’iniziativa potrà fallire per
ragioni politiche». Tanti infatti hanno interesse a che il film non venga proiettato, e in molti paesi ci sono
distributori che lo hanno acquistato per non
farlo vedere. Viene mostrato solo in circuiti
ristretti, nei cinema d’essai o in rassegne per
un pubblico selezionato. Così si fa in modo che
non incida, che non abbia un vero rilievo nella
mentalità comune. Il caso più clamoroso,
comunque, è quello della Russia.
Per quali ragioni?
Perché in Russia, ancora oggi, Stalin è amato.
Compare ancora in cima alle classifiche dei
personaggi più popolari. Si sa che ha ucciso
decine di milioni di persone, eppure molti russi
ritengono ancora che lo abbia fatto per il bene
del suo paese. Il massacro degli ufficiali
polacchi a Katyn, invece, è un crimine senza
giustificazioni, che ha infranto tutte le convenzioni di guerra, e quindi qualcuno non vuole che venga ricordato.
Pensi che gli organizzatori della Settimana del cinema polacco, in Ucraina, a Kiev e Charków (mi stava a cuore
soprattutto questa proiezione, perché proprio in quella città fu ucciso mio padre nella primavera del 1940 e là è
sepolto), si sono visti recapitare una una lettera della Televisione Polacca di questo tenore: «Telewizja Polska –
l’unico e solo titolare dei diritti di distribuzione del film – non è a conoscenza di NESSUNA proiezione di Katyn in
programma per la Settimana del cinema polacco in Ucraina. Per favore, abbiate la cortesia di ritirare il titolo
dalle vostre programmazioni, e di comunicarci nome e contatti della persona o dell’organizzazione che vi ha
fornito i diritti per la proiezione». Un tono piuttosto minaccioso, non le pare?
Chi si oppone alla circolazione di Katyn? Gli stessi che hanno pilotato il processo che ha portato alla
scandalosa assoluzione degli assassini di Anna Politkowskaya?
Non ho ancora fatto in tempo a valutare fino in fondo la notizia a cui ha accennato. Però certo mi fa impressione
che in un paese che pretende di essere democratico ritornino gli assassinii politici, come ai tempi della dittatura.
È un fatto che non può non preoccupare vivamente.
In Italia qualcuno dice che Katyn sarà un
flop perché non interessa, è una storia
datata. Perché riproporla adesso che il
comunismo è finito da vent’anni?
In Polonia il perché è chiarissimo: perché
non potranno esserci rapporti normali fra
la Polonia e l’ex Unione Sovietica fino a
che non sarà detta la verità su questo
crimine. I tedeschi hanno compiuto
crimini peggiori, ma i loro governanti lo
hanno riconosciuto, e ora i nostri rapporti
con la Germania non sono più avvelenati
dal rancore. Non ci può essere amicizia fra
due popoli se non si riconoscono i torti
commessi.
Le sue opere sono state armi importanti per la lotta dei polacchi contro il regime. Come giudica il mondo che
da quella lotta è nato, la Polonia e l’Europa di oggi?
Non solo i miei film, ma tutto il cinema polacco ha sempre fatto di tutto per costruire un ponte con l’Occidente.
La Polonia è parte dell’Europa, i polacchi si sono sempre sentiti occidentali. Dov’è il confine dell’Europa
occidentale? Io dico che l’Europa finisce là dove arrivano le chiese gotiche. Dove c’è una chiesa gotica vuol dire
che è arrivata non solo la religione cattolica, ma la civiltà mediterranea. Noi polacchi, pur con tutti gli ostacoli, le
difficoltà che abbiamo incontrato nella storia, apparteniamo pienamente a questa cultura, a questa civiltà.
Ma la Polonia di oggi è quella che immaginavate vent’anni
fa?
Guardi, io non sono preoccupato perché la Polonia non ha
sviluppato quella bella forma che noi speravamo. La
democrazia è un sistema difficile, si assimila solo
lentamente. La cosa davvero importante è che la società
adesso può parlare di se stessa, che le persone possono
mettere a tema quel che sta loro a cuore: è questo, in fondo,
che ci interessava. La gente prima ha dato fiducia a
Solidarnosc, poi ha ridato una possibilità alla sinistra, poi ha
preso altre strade. L’importante è che le persone hanno
cominciato a scegliere. Poi fa parte del gioco della
democrazia che alcune scelte siano felici, altre meno. Personalmente, ho apprezzato molto le decisioni del
primo governo, quello di Mazowiecki, la scelta di puntare subito su una forte integrazione con l’Europa: ha
rivitalizzato la nostra economia, ci ha dato una moneta forte. L’integrazione con l’Europa ormai è un fatto
irreversibile, i tentativi nazionalistici sono puramente folkloristici.
Ma in Europa ci si imbatte anche in una nuova ideologia, più sottile ma non meno penetrante, un’ideologia
nichilista che afferma che nulla ha valore, una “dittatura del desiderio” secondo cui l’unico valore è soddisfare
i desideri immediati di ciascuno. Cosa pensa a questo proposito?
Non ho paura di questo. In Polonia la situazione è diversa, la Chiesa ha ancora un ruolo importante. A me non
spaventa che la gente, dopo quarant’anni in cui ogni iniziativa era inibita, riprenda a muoversi secondo i propri
desideri, che cerchi la propria soddisfazione in tutti gli ambiti della vita. La gente ha ripreso in mano la
responsabilità per il proprio destino: non mi sembra che sia nichilismo. L’importante è che la Chiesa continui a
essere quella che è. La Chiesa nella storia polacca ha avuto un ruolo fondamentale. I preti erano contro il
nazismo, i preti erano contro il comunismo, si sapeva bene la Chiesa da che parte stava. In Polonia oggi ci sono
settori della Chiesa che si intromettono troppo nella politica spicciola, che pretendono di stabilire chi debba
essere quello o quell’altro ministro (il riferimento è a un
gruppo di sacerdoti che da qualche tempo svolge in Polonia
una chiassosa campagna politica in chiave fortemente
nazionalista, da cui peraltro i vescovi hanno nettamente
preso le distanze, ndr). Non è il suo compito. Il compito della
Chiesa è quello di sempre, difendere la persona dal potere
dell’ideologia. Vorrei che non si scostasse da questo, che è il
suo ministero di sempre.
Un compito che è ben rappresentato dall’opera di Giovanni
Paolo II. Lei lo ha conosciuto bene. Che cosa ce ne può
raccontare?
Forse è meglio dire, come fece una volta Zanussi (Krzysztof
Zanussi, altro grande regista polacco, ndr), a cui era stata rivolta la stessa domanda: «È lui che conosce me». Ma
visto che insiste, le racconterò un episodio che per me è stato particolarmente commovente. Una volta in
Vaticano era stata organizzata una proiezione alla sua presenza del mio film Pan Tadeusz, che porta sullo
schermo il più classico dei testi della letteratura polacca: anche il giovane Wojtyla lo aveva interpretato quando
recitava nel “Teatro rapsodico”. Ebbene, a un certo punto il Papa ha chiuso gli occhi, e si vedeva che stava
assaporando quelle parole, che tante volte anche lui aveva recitato. Poi li ha riaperti, ha seguito il film fino al
termine e alla fine mi ha detto: «L’autore ne sarebbe soddisfatto». È stata la più importante recensione che ho
ricevuto.
È questo che la spinge a continuare, a realizzare a ottant’anni suonati opere che vengono premiate perché
«aprono all’arte cinematografica nuove prospettive»?
Chissà (Wajda sorride, ndr). Certo che non mi aspettavo proprio questo riconoscimento. Oggi va di moda
realizzare film mescolando invenzione e realtà, così ci ho provato anch’io. Avevo cominciato a girare un film su
questa novella di uno scrittore polacco, Jaroslaw Iwaszkiewicz, che si intitola Tatarak (è il nome di una canna
selvatica che cresce lungo i fiumi, dal profumo inebriante). La storia ha come protagonista una donna il cui
compagno è gravemente malato, però a un certo punto il marito dell’attrice che impersonava la protagonista,
Krzystyna Janda, si è ammalato per davvero, e lei ha dovuto prendersene cura. Pensavo che non se ne sarebbe
fatto più niente, invece, dopo la morte del marito Krzystyna è venuta da me e mi ha detto che era disposta a
proseguire il lavoro, inserendo però anche il racconto di che cosa aveva significato per lei seguire la malattia del
marito. Così è venuto fuori questo film, in cui realtà e finzione si incontrano per mettere a tema il nostro
atteggiamento nei confronti della malattia e della morte, un dramma che riguarda tutti.
Insomma, questo significa che è ancora possibile fare del cinema che non sia di evasione, ma che aiuti a
guardare più profondamente le cose.
Assolutamente sì. La differenza è che anni fa i temi prevalenti erano la politica e la società, oggi è l’uomo, i suoi
drammi, i suoi desideri. E la morte, che ci aspetta dietro l’angolo, che non possiamo evitare.
PICCOLA RICERCA (internet – cronologia.it e Wikipedia))
IL MASSACRO DI KATYN
Nella primavera del 1940, nella foresta di Katyn, in Polonia, vennero giustiziati più di 22.000 prigionieri di guerra
polacchi. Legati con speciali nodi che bloccavano i polsi e la gola, vennero tutti freddati con un preciso colpo alla
nuca e gettati in diverse fosse comuni. Si trattava di un'intera generazione di ufficiali, appartenenti alla
borghesia e all'intellighenzia polacca, tutta la dirigenza militare di un paese. Questa operazione "scientifica",
realizzata da abilissimi professionisti dell'esecuzione, è rimasta per più di cinquant'anni avvolta nel mistero. E
nella menzogna. A chi apparteneva la regìa di questo crimine? A quale delle due dittature che si erano gettate di
comune accordo sulle spoglie della Polonia, la Germania nazista e la Russia comunista, spettava la responsabilità
di quanto accaduto? Rimasto ignoto all'opinione pubblica per tre anni, l'eccidio fu reso noto al mondo nella
primavera del 1943 dalla radio tedesca.
Alle 9.15 del mattino, ora di New York, la propaganda nazista rendeva noto, come quattro giorni prima il
ministro Joseph Goebbels annotava nel suo diario, che " vicino a Smolensk sono state trovate delle fosse comuni
piene di cadaveri polacchi. I bolscevichi hanno semplicemente ucciso circa 10.000 prigionieri seppellendoli alla
rinfusa in fosse comuni". I responsabili dell'eccidio, quindi, erano i sovietici. Questa verità, semplicemente
poiché proveniva da un regime criminale come quello nazista (e per ragioni di realpolitik che in seguito
vedremo), non fu accettata. Il regime stalinista, e gli alleati occidentali, dapprima non vollero credere alla
responsabilità russa nell'eccidio, e in seguito fecero di tutto per insabbiare quella che ormai a tutti i polacchi
sembrava un fatto assodato: era stata la famigerata NKVD - la polizia politica comunista - ad eseguire il lavoro.
Su preciso ordine della dirigenza sovietica, e sulla base di indicazioni, consigli, e lo zelante contributo di
comunisti polacchi. L'apertura degli archivi sovietici dopo il crollo del regime, nel 1991, ha permesso di togliere il
velo della menzogna alla verità di Katyn. Già negli ultimi mesi di glasnost gorbacioviana questa verità appariva
sempre più difficile da nascondere. Con l'avvento al potere di Eltsin, e la denuncia del PCUS come organizzazione
criminale, finalmente è emersa una documentazione agghiacciante dalla quale si può comprendere, in più larga
scala, gli stessi meccanismi criminali di un sistema totalitario.
Come, cioè, l'eliminazione di alcune categorie (sociali per i comunisti, razziali per i nazisti) fosse una prassi
scientificamente elaborata a tavolino, e altrettanto scientificamente attuata. "Visto sullo sfondo della storia
sovietica - scrive lo storico polacco Victor Zaslavsky, autore de Il massacro di Katyn, di recente pubblicazione - ,
con avvenimenti quali la liquidazione dei kulaki come classe o la fucilazione di più di un milione di persone,
inclusi 44.000 alti militari, durante il grande terrore tra il 1937 e il 1939, o le deportazioni di intere popolazioni
negli ultimi anni della guerra - Katyn perde la sua eccezionalità, assumendo il carattere di un'atrocità comune,
un crimine qualunque dello stalinismo. Visto nel quadro dei rapporti internazionali, il massacro di Katyn rimane
invece uno degli episodi più significativi della seconda guerra mondiale". L'esempio di Katyn porta anche ad una
riflessione importante. Al di là di strumentali polemiche sul termine revisionismo, che ha contrapposto molti
studiosi, non si può fare a meno di considerare che l'apertura degli archivi sovietici costituisce uno stimolo a
riconsiderare alcune analisi storiche di questo secolo. Collegando astutamente, all'interno del termine, l'assurda
negazione dell'Olocausto con una legittima ricerca di nuovi documenti che possono cambiare alcune verità
assodate, una certa scuola di pensiero ha voluto mettere in un angolo, relegandole al rango di notizie di poco
conto, alcune scoperte storiche emerse dalle carte segrete del PCUS e degli altri partiti comunisti dell'Est. Se
oggi la tesi ufficiale - che per cinquant'anni ha imputato il massacro di Katyn ai tedeschi - è apparsa in tutta la
sua menzogna, è solo grazie a quegli studiosi che hanno voluto scavare nei nuovi archivi, e che hanno voluto
rivedere alcuni frammenti della nostra storia.
Il massacro di Katyn, e il suo silenzio, sono figli di due "alleanze innaturali". La prima (forse meno innaturale di
quanto si pensi) fu quella nata dal Patto von Ribbentrop-Molotov del 23 agosto 1939, con il quale Hitler e Stalin
di comune accordo si dividevano la Polonia e stabilivano una politica di collaborazione strategica. La seconda fu
quella tra l'Unione Sovietica e le democrazie occidentali, giustificata dalla minaccia nazista, e che si venne a
concretizzare solo dopo l'attacco tedesco alla Russia nell'estate del 1940. Non c'è dubbio che il patto tra
tedeschi e sovietici costituì il seme che fecondò la Seconda Guerra Mondiale. Dall'avvicinamento tra le
diplomazie naziste e comuniste dell'estate 1939 nacque l'invasione tedesca della Polonia, in quel tragico venerdì
1 settembre. Il punto secondo del protocollo segreto tra i due regimi prevedeva proprio la spartizione della
Polonia. Da esso venne anche un plateale voltafaccia del movimento comunista internazionale. Dapprima
scagliatisi contro l'invasione tedesca (basti ricordare l'impeto del francese Thorez che proclamava "il desiderio di
tutti i comunisti di combattere contro il nazismo e il fascismo" e l'appoggio incondizionato dei comunisti francesi
a favore dei crediti di guerra chiesti dal governo Daladier), i comunisti dovettero registrare con stupore che il
Piccolo Padre la pensava diversamente. Il 5 settembre il capo del Komintern, il bulgaro Georgij Dimitrov,
chiedeva delucidazioni su come agire. "Nella elaborazione della tattica e degli obbiettivi politici dei partiti
comunisti - scriveva Dimitrov - stiamo incontrando difficoltà straordinarie.
Per superarle e prendere una decisione giusta abbiamo bisogno, ora più che mai, dell'aiuto immediato e del
consiglio del compagno Stalin". Il mondo comunista chiedeva quindi al suo Papa cosa doveva pensare. Il 7
settembre ci fu l'agognato incontro tra Stalin e Dimitrov, alla presenza dei fidi Molotov e Zdanov. Lo scontro in
atto in quel momento - spiegò Stalin - era tra due forze comunque capitaliste, quelle ricche (le potenze
occidentali) e quelle povere (Germania e Italia). In questo frangente occorreva abbandonare i fronti popolari
antifascisti e "manovrare e spingere una parte contro l'altra". La Polonia - era la constatazione finale di Stalin era "uno stato fascista, che opprime ucraini, bielorussi e altre nazionalità. La sua distruzione nelle condizioni
attuali significherebbe uno stato fascista in meno! Che ci sarebbe di male se in seguito alla disfatta della Polonia
espandessimo il sistema sovietico su nuovi territori e nuove popolazioni?" Il destino polacco era segnato. Con
perfetto accordo operativo tra nazisti e sovietici, la Polonia fu letteralmente strangolata. Se i nazisti avevano
invaso lo stato baltico il 1 settembre, i sovietici aspettarono due settimane prima di intervenire, con la formale
scusa di difendere le minoranze di confine. Il governo sovietico infatti non formulò mai una formale
dichiarazione di guerra nei confronti della Polonia. "L'espressione contenuta nella nota sovietica al governo
polacco - scrive Zaslavsky - secondo la quale le truppe avevano attraversato il confine per offrire una mano
fraterna al popolo polacco, rimase nella lingua russa come un'ironica epitome della politica staliniana nei
confronti dell'Europa orientale". Gli eserciti delle due potenze si fermarono nel punto concordato e si spartirono
"lealmente" il paese aggredito. "La Polonia, - dichiarò in quei giorni Molotov davanti ai membri del Soviet
supremo - questo bastardo nato dal trattato di Versailles, ha cessato di esistere".
Più della metà del territorio polacco finì sotto il dominio sovietico, e con essa 250.000 soldati e ufficiali
dell'esercito polacco, "prigionieri - scrive Zaslavsky - di una guerra non dichiarata". Le condizioni di questi
prigionieri era pessima, e gli stessi vertici militari russi dislocati in Polonia chiedevano informazioni a Mosca su
come organizzare la prigionia, dal momento che mancava addirittura il cibo per sfamarli. Il Politburo organizzò
quindi una commissione speciale affidata alla direzione dei famigerati Berija e Zdanov. Soprattutto il primo
seppe mettersi in luce presso Stalin per la sua cinica efficienza nel trattare la "materia umana" dei prigionieri. Si
può dire che da questo compito Berija spiccò il salto che lo portò a diventare uno dei fidati bracci destri di Stalin.
Come primo passo la commissione decise di liberare i prigionieri ucraini e bielorussi, e di trattenerne 25.000 per
la costruzione della strada Novgorod-Volynski-Leopoli. Come tradizione del regime sovietico, i prigionieri
diventavano così moderni schiavi da utilizzare in importanti edificazioni. Gli ufficiali polacchi vennero così
smistati nei campi presso Kozelsk, Starobelsk e Ostaskov. La direzione di questi campi venne affidata alla Nkvd.
La polizia politica sovietica cercò immediatamente di infiltrare spie e osservatori tra gli ufficiali prigionieri. In una
direttiva dell'8 ottobre 1939, un documento segretissimo a firma di Berija sulla sorveglianza operativa dei
prigionieri di guerra nei campi della Nkvd, il comunista georgiano auspicava la realizzazione di "una rete
spionistico-informativa per individuare tra i prigionieri di guerra formazioni controrivoluzionarie".
Era importante - concludeva Berija - "chiarire gli atteggiamenti dei prigionieri di guerra". Nel frattempo la
collaborazione con i nazisti era efficientissima. Nell'autunno del 1939 i due regimi alleati si scambiarono molti
prigionieri. 43.000 e 14.000 soldati polacchi furono i rispettivi pacchi-dono che nazisti e sovietici
vicendevolmente si offrirono. "Questo scambio - scrive Zaslavsky - testimonia non solo un'attiva collaborazione,
ma anche quel fenomeno che col senno di poi si potrebbe definire una particolare divisione del lavoro tra i
regimi di Stalin e Hitler". Non va dimenticato, inoltre, come non manca di far notare Zaslavsky che "nello
scambio di soldati, la dirigenza staliniana si rifiutò di accogliere, nonostante i ripetuti appelli, la richiesta di ebrei
e comunisti di restare in Urss poiché temevano le persecuzioni dei nazisti". Anche nel febbraio del 1940, Stalin
non avrebbe esitato a consegnare alla Gestapo alcuni comunisti tedeschi rifugiati politici in Urss, e che erano
detenuti nei campi sovietici dalle purghe degli anni Trenta. Questi uomini passarono così dai gulag ai lager. Gli
ufficiali polacchi prigionieri furono sottoposti, oltre che a un controllo e ad uno spionaggio assiduo, ad un'opera
di rieducazione politica. Propaganda martellante, colloqui, proiezioni di film esaltanti la Rivoluzione: nulla fu
lasciato intentato per arruolare nuove spie e cercare di ammaestrare quegli uomini definiti socialmente alieni, in
quanto provenivano dalla migliore borghesia polacca. "Ogni detenuto dei campi di Kozelsk, Starobelsk e
Osatskov - scrive Zaslavsky - era sottoposto a lunghi e ripetuti interrogatori. Gli inquirenti erano particolarmente
interessati all'estrazione sociale e alla posizione sociale ed economica del detenuto, al suo orientamento
politico, all'affiliazione partitica, ai legami con i paesi occidentali, alla conoscenza di lingue straniere." Questa
ricerca era la terribile premessa all'operazione di "pulizia".
Quando la notizia del massacro di Katyn venne diffusa dalla radio tedesca, furono in molti a dubitarne. I nazisti,
nel 1943, erano in chiara difficoltà su molti fronti. Gli occidentali sospettavano che questa fosse una prevedibile
mossa per cercare di indebolire il fronte nemico. I nazisti, comunque, organizzarono una commissione
investigativa, formata da medici provenienti da diversi paesi e suggerì inoltre alla Croce Rossa internazionale di
inviare propri membri a controllare le vittime dell'eccidio. La commissione creata dai tedeschi imputò ai sovietici
la responsabilità del massacro: le vittime - spiegava la risoluzione finale - erano state uccise nella primavera del
1940, quando ancora i russi occupavano la zona, prima dell'avanzata tedesca verso la Russia nell' Operazione
Barbarossa.
Uno dei professori della commissione era l'italiano Vincenzo Palmieri, direttore dell'Istituto di medicina legale
dell'Università di Napoli. "Non c'erano dubbi - scrisse - , fra noi dodici [i membri della commissione medica, ndr]
nessuno ebbe alcun dubbio, non ci fu neppure un'obiezione. Fu decisiva l'autopsia del cranio effettuata dal
professor Orsos di Budapest: sulla parete interna trovò una sostanza che comincia a formarsi a tre anni dalla
morte. Aveva tre anni anche il boschetto piantato sulla fossa. […]Il referto è inconfutabile".
Contemporaneamente lavorò a Katyn una commissione della Croce Rossa polacca, formata da uomini e donne
che ben conoscevano la barbarie nazista (tra essi, si scoprì in seguito, c'erano persino alcuni membri in incognito
della Resistenza polacca!). Ebbene, anche questa commissione - sicuramente non imputabile di simpatie naziste
- giunse alla medesima conclusione: la responsabilità dell'eccidio gravava interamente sui sovietici. Per quanto
possa sembrare incredibile, le conclusioni di questa commissione non vennero mai rese note, se non nel 1989!
Questo, per evitare di avvantaggiare la propaganda nazista. Quando l'area di Katyn tornò in mano russa, verso la
fine della guerra, anche i sovietici istituirono una loro commissione, la commissione Burdenko, il cui compito era
naturalmente quello di sostenere la responsabilità nazista nell'eccidio. Composta solo da cittadini sovietici, la
commissione invitò a Katyn il 15 gennaio 1944 un gruppo di giornalisti occidentali (nelle cui file c'era anche la
giovane figlia dell'ambasciatore americano a Mosca Averell Harriman): alcuni di loro credettero alla versione
sovietica. I proiettili usati per le esecuzioni erano di fabbricazione tedesca, e su questo i sovietici basarono la
propria linea accusatoria.
Si trattava di una tesi facilmente smontabile: le ferite da baionetta e le corde usate per legare i prigionieri erano
di fabbricazione sovietica, le pallottole invece provenivano dalla tedesca Gustaw Genschow di Karlsruhe, che
dopo le imposizioni del Trattato di Versailles, smise di fornire in casa e cominciò ad esportare massicciamente in
Unione Sovietica, Polonia e paesi baltici. La Nkvd - oggi è un fatto assodato - ricorse a pistole tedesche e
proiettili "Geco" calibro 7,65. Le fucilazioni, sempre secondo questa tesi, erano avvenute tra agosto e settembre
del 1941. Non pochi giornalisti non poterono però fare a meno di notare che i cadaveri avevano indosso
indumenti invernali. La commissione Burdenko dichiarò quindi che c'era stato un errore e formulò la tesi che
l'esecuzione era avvenuta tra agosto e dicembre del 1941. I sovietici si aspettavano una definitiva chiusura
dell'imbarazzante caso in occasione della cornice del maxi-processo di Norimberga. Anche in questa occasione, il
caso rimase formalmente aperto, soprattutto a causa delle fumose dichiarazioni dei testimoni pro-sovietici. Le
rivelazioni degli ultimi anni hanno chiarito senza ombra di dubbio che 22.000 prigionieri polacchi sono stati
eliminati dalla Nkvd.
Come si arrivò a questa ufficializzazione? Le acque cominciarono a muoversi negli ultimi mesi del governo
Gorbaciov. Per quanto gli fu possibile, e nonostante i proclami sulla glasnost, l'ultimo segretario del PCUS al
potere cercò di procrastinare la rivelazione della responsabilità sovietica.
Le cose cambiarono quando la commissione polacco-sovietica, recentemente formatasi, scoprì tra gli archivi
segreti sovietici messi a disposizione, una fonte dal semplice titolo "Centro per la conservazione delle collezioni
di documenti storici". In questo archivio, definito speciale e sorvegliato dal Kgb, vennero scoperte le
comunicazioni della Direzione per gli affari dei prigionieri di guerra del Nkvd. Più di 9.000 fascicoli che offrivano
delucidazioni sullo sfruttamento dei prigionieri di guerra a fini lavorativi, nonché sulle loro condizioni nei campi.
Non c'era ancora il nucleo dei documenti fondamentali sul fatto di Katyn, ma da essi si poteva facilmente intuire
la possibilità di reperire altre fonti. Il sovrintendente della commissione polacco-sovietica, il russo Aleksandr
Yakovelv, testimonia di aver spedito la documentazione a più indirizzi, esattamente cinque copie (al
Dipartimento internazionale del CC, al Kgb, al ministero degli Esteri, e "non ricordo più a chi altro"), così da
renderla protetta burocraticamente, e difficilmente cancellabile. Nel maggio del 1988, in una cerimonia a Katyn,
ufficiali sovietici e polacchi assistettero al formale riconoscimento sovietico della responsabilità nell'eccidio,
messo in atto dalla Nkvd. Il regime sovietico quindi si ripeteva nella tecnica kruscioviana del 1956, quando nel
famoso XX congresso del partito, il premier sovietico denunciò i crimini di Stalin. In questo caso il Pcus se ne
lavava le mani, facendo ricadere ogni responsabilità su Lavrentij Berija e sulla Nkvd. Il 13 ottobre 1990, giornata
mondiale delle vittime di Katyn, la definitiva e simbolica ammissione: in una cerimonia al Cremlino Michail
Gorbaciov porse finalmente le scuse ufficiali al popolo polacco. In quell'occasione il segretario comunista
consegnò al governo polacco alcune casse piene di documenti segreti. Da essi sarebbe emerso in tutta la sua
chiarezza il mistero di Katyn, a questo punto un segreto di Pulcinella.
Quando i poteri passarono da Gorbaciov a Eltsin, dopo il crollo dell'Urss, anche un'importantissima
documentazione passò di mano. Il racconto che segue di Yakovelv è tratto dal libro di Zaslavsky: "Tra le altre
carte particolarmente importanti - disse il funzionario sovietico - Gorbaciov passò a Eltsin una busta contenente
un certo numero di documenti, aggiungendo che era indispensabile discutere per decidere cosa farne in seguito.
'Temo che possano sorgere complicazioni internazionali. Del resto sta a te decidere.', notò Gorbaciov. Eltsin
lesse e concordò che sarebbe stato necessario riflettere seriamente. Ero sconvolto. Si trattava di documenti
segretissimi su Katyn, testimonianza dei crimini del regime. Ero sconvolto anche perché Michail Sergeevic aveva
consegnato questi documenti con una calma straordinaria, come se non gli avessi più volte avanzato la richiesta
di ordinare al suo Archivio [del Comitato Centrale] di cercare e ricercare i documenti. Guardai Gorbaciov
sbigottito, ma non notai alcun turbamento. Così è la vita". Con Eltsin la verità, completa, venne fuori e il Pcus fu
dichiarato, per questo e molti altri motivi. un'organizzazione criminale. Nell'estate del 1992 da questi documenti
emerse lo scambio epistolare tra Berija e Stalin, dal quale emerse la decisione di eliminare tutti gli ufficiali
polacchi. Questa decisione maturò nel febbraio del 1940. Il 2 marzo il Politburo approvò la proposta di affidare
ai processi della Nkvd i prigionieri avanzata da Berija e dal segretario del Pc ucraino di allora, il compagno Nikita
Krusciov, incensato oggi dalla memorialistica occidentale come una sorta di dirigente sovietico umano (!).
Berija e Krusciov auspicavano inoltre la deportazione "nella regione sovietica del Kazakistan per un periodo di 10
anni di tutte le famiglie di prigionieri di guerra che si trovano nei campi per ex-ufficiali dell'esercito polacco […],
per un totale di 22.000-25.000 famiglie".
"La ferocia inaudita della punizione […] - scrive Zaslavsky - preannunciava il carattere della sentenza emessa dal
Politburo sui prigionieri stessi". L'esito sarebbe stato senza dubbio la pena capitale. I documenti emersi dagli
archivi rendono palese, con tanto di firma dei principali dirigenti stalinisti (Stalin stesso, Molotv, Berija,
Kaganovic, Voroscilov, Kalinin, Mikojan) la decisione di eliminare tutti gli ufficiali polacchi considerati
"irrecuperabili" dagli esaminatori della Nkvd.
" Il 5 marzo 1940 il Gotha del Pcus dette ordine alla Nkvd di "esaminare i casi di 25.700 prigionieri di guerra
polacchi (14.700 detenuti nei campi di Kozelsk, Starobelsk e Ostaskov e altri 11.000 nelle prigioni di Ucraina e
Bielorussia occidentali, secondo una procedura speciale, cioè senza citare in giudizio i detenuti e senza
presentare imputazione, senza documentare la conclusione dell'istruttoria né l'atto d'accusa, applicando nei
loro confronti la più alta misura punitiva: la fucilazione". Il distacco e il cinismo per questo ordine, considerando
l'alto numero di persone coinvolte, risuona ancora oggi agghiacciante. L'operazione della Nkvd fu un capolavoro
di efficienza: decine di migliaia di persone vennero giustiziate, i loro corpi - in nemmeno un mese - nascosti,
trasportati in luoghi segreti, seppelliti. "Era necessario la collaborazione di numerose persone, come politici,
impiegati statali, militari, becchini. Come infatti avvenne. Non solo, come già scritto, ci fu la zelante
collaborazione degli stessi comunisti polacchi. "Basti citare - come scrive Zaslavsky - il rapporto di Wanda
Bartoszewicz, membro del partito comunista polacco […] Il 99% sono persone liberate dalle prigioni, dai campi e
dai luoghi di esilio. […] Tutti sono veri nemici dell'Urss pronti a vendicare le loro sofferenze. Niente potrebbe
cambiare le persone tra le quali mi trovo e si dovrà soltanto eliminarle". Uno splendido esempio di
internazionalismo.
Il massacro di Katyn resta come uno scomodo "cadavere" anche per l'Occidente. i sovietici non sarebbero riusciti
a nascondere la verità senza la complicità dei paesi occidentali. Gli Americani fino agli anni cinquanta, gli inglesi
fino al crollo dell'Urss nel 1991. Non fanno sicuramente onore al grande statista Winston Churchill le parole
pronunciate su Katyn negli anni quaranta, per il premier britannico la faccenda di Katyn era "di nessuna
importanza pratica" e, come scrisse nell'aprile 1943 al ministro Eden "non si deve continuare patologicamente a
girare intorno alle tombe vecchie di tre anni presso Smolensk". Paradossalmente, in quel riferimento
cronologico c'era la chiara convinzione che a compiere il massacro fossero stati gli alleati sovietici. Il governo
americano fece anche di peggio. Quando l'emissario speciale per gli affari balcanici George Earle portò
incontrovertibili prove della responsabilità sovietica nei fatti di Katyn, aveva ricevuto da Roosevelt un'acceso
monito. "Non è altro che propaganda - scrisse il presidente americano - un complotto dei tedeschi. Sono
assolutamente convinto che non siano stati i russi a farlo".
Alle insistenze di Earle e in seguito alla sua decisione di pubblicare le prove, il governo americano spedì Earle in
missione diplomatica nelle lontane isole Samoa. "Non soltanto non lo desidero - scrisse ancora una volta
Roosevelt a Earle - ma ti proibisco in modo specifico di rendere pubblica qualsiasi informazione o opinione
riguardo il nostro alleato, che tu possa avere acquisito mentre eri in carica o al servizio della marina degli Stati
Uniti".
Il massacro di Katyn porta a un'ultima polemica riflessione. Oggi, dopo la scoperta di tutti i documenti segreti
sovietici, si è in grado di esaminare ogni singolo aspetto di quel crimine efferato. Sono stati identificati, come
non manca di notare Zaslavsky, gli organizzatori e gli esecutori materiali. Però, continua lo studioso polacco,
"mentre nei paesi occidentali criminali nazisti sono ancora ricercati e punti, come dimostra il caso Priebke, in
Russia neanche uno degli assassini è stato messo sotto processo o è stato sottoposto ad alcuna indagine". Katyn
è solo uno dei tanti crimini cui personaggi dei vari regimi comunisti in Europa non hanno dovuto rendere conto.
Mentre si auspica e ci si accinge a chiedere l'estradizione del generale Pinochet, per processarlo come
responsabile della scomparsa e dell'uccisione di 4.500 cileni, non si vede come - con lo stesso principio del
"diritto internazionale" - non si debba pretendere che i responsabili di un numero ben maggiore di vittime,
l'orrore di Katyn, vengano assicurati alla giustizia.
di Ferruccio Gattuso
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Il massacro di Katyn - il crimine e la menzogna, di Victor Zaslavsky - Ideazione Editrice, 1998
Morte nella foresta, di J,K, Zawodny - Editrice Mursia & C., 1973
La strage di Katyn - Fatti e documenti, di W. Anders - Edizioni del Borghese, 1967
da wikipedia
Massacro di Katyń
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
da Massacro di Katyn)
Massacro di Katyń. Foto pubblicata dalla propaganda tedesca durante la seconda guerra mondiale
Il massacro della foresta di Katyń, noto anche più semplicemente come Massacro di Katyń, avvenne durante la
seconda guerra mondiale e comportò l'esecuzione di massa, da parte dell'Unione Sovietica, di soldati e civili
polacchi. L'espressione si riferì inizialmente al massacro dei soli ufficiali polacchi detenuti del campo di prigionia
di Kozielsk, che avvenne appunto nella foresta di Katyn, vicino al villaggio di Gnezdovo, a breve distanza da
Smolensk. Attualmente l'espressione denota invece l'uccisione di circa 22.000 cittadini polacchi: i prigionieri di
guerra dei campi di Kozielsk, Starobielsk e Ostashkov e i detenuti delle prigioni della Bielorussia e Ucraina
occidentali, fatti uccidere su ordine di Stalin nella foresta di Katyn e nelle prigioni di Kalinin (Tver), Kharkov e di
altre città sovietiche.
Molti polacchi erano stati fatti prigionieri a seguito dell'invasione e sconfitta della Polonia da parte di tedeschi e
sovietici nel settembre 1939. Vennero internati in diversi campi di detenzione, tra cui i più noti sono Ostashkov,
Kozielsk e Starobielsk. Kozielsk e Starobielsk vennero usati principalmente per gli ufficiali, mentre Ostashkov
conteneva principalmente, guide, gendarmi, poliziotti e secondini. Contrariamente ad una credenza diffusa, solo
8.000 dei circa 15.000 prigionieri di guerra di questi campi erano ufficiali.
L'eccidio di Katyn fa riflettere perché da esso emergono aspetti della dittatura staliniana che è stato a lungo
imbarazzante riconoscere, vale a dire il carattere fortemente repressivo e le tendenze imperialistiche. Il
massacro rispondeva ad una logica ben precisa di ulteriore indebolimento della Polonia appena asservita. Infatti,
poiché il sistema di coscrizione polacco prevedeva che ogni laureato divenisse un ufficiale della riserva, il
massacro doveva servire ad eliminare una parte cospicua della classe dirigente nazionale. Tutto ciò nel quadro di
una spartizione della Polonia tra Germania ed URSS, due potenze che rappresentano due sistemi culturali ed
ideologici opposti ed antitetici, ma che, per circa 2 anni e fino al giugno 1941, furono legate da un patto di
alleanza. Il 5 marzo 1940, secondo un'informativa preparata da Lavrentij Beria (capo della polizia segreta
sovietica) direttamente per Stalin, alcuni membri del politburo dei Soviet – Stalin, Vyacheslav Molotov, Kliment
Vorošilov, Anastas Mikojan[1], e Beria stesso – firmarono un ordine di esecuzione degli attivisti "nazionalisti e
controrivoluzionari" detenuti nei campi e nelle prigioni delle parti occupate di Ucraina e Bielorussia. L'ampia
definizione del capo d'accusa comportò la condanna a morte di una parte importante dell'intellighentsia
polacca, oltre a poliziotti, riservisti e ufficiali in servizio attivo. Morirono oltre 22.000 uomini, compresi circa
15.000 prigionieri di guerra.
La scoperta del massacro nel 1943 causò l'immediata rottura delle relazioni diplomatiche tra il governo polacco
in esilio a Londra e l'Unione Sovietica. L'URSS negò le accuse fino al 1990, quando riconobbe nell'NKVD la
responsabile del massacro e della sua copertura.
Appena due giorni dopo l'invasione della Polonia, il 19 settembre 1939, il Commissario di Primo Grado della
Sicurezza di Stato (il Ministro per gli Affari Interni), Lavrentij Beria riunì il Consiglio dell'NKVD per i prigionieri di
guerra e gli internati (presieduto dal Capitano della Sicurezza dello Stato, Pyotr K. Soprunenko) ordinando
l'apertura dei campi di detenzione per i prigionieri polacchi. Questi erano i campi di: Jukhnovo (stazione
ferroviaria di Babynino), Yuzhe (Talitsy), Kozielsk, Kozelshchyna, Oranki, Ostashkov (Isola Stolbnyi, sul Lago
Seliger, vicino a Ostashkov), Putyvli (stazione ferroviaria di Tetkino), Starobielsk, Vologod (stazione ferroviaria di
Zaenikevo) e Gryazovets.
Nel periodo dal 3 aprile al 19 maggio 1940 oltre 22.000 prigionieri di guerra vennero assassinati: circa 6.000
provenivano dal campo di Ostaszków, circa 4.000 da Starobielsk, circa 4.500 da Kozielsk e circa 7.000 dalle parti
occidentali di Ucraina e Bielorussia.
Solo 395 prigionieri vennero salvati dal massacro. Furono portati al campo
di Yukhnov e quindi a Gryazovets. Furono gli unici a sfuggire alla morte.
La dinamica del massacro
I prigionieri di Kozielsk vennero eliminati in un luogo prescelto
appositamente per le uccisioni di massa situato nella contea di Smolensk,
chiamato foresta di Katyn, che diede poi il nome all'intero massacro; quelli
provenienti da Starobielsk vennero uccisi nella prigione dell'NKVD di
Kharkov e i loro resti vennero sepolti nei pressi di Pyatikhatki; gli ufficiali di
polizia di Ostashkov vennero uccisi nella prigione dell'NKVD di Kalinin (Tver)
e sepolti a Miednoje.
La propaganda sovietica mostra l'occupazione congiunta russo-tedesca
della Polonia come liberazione dei contadini dal giogo degli aristocratici. Su
questo cartello, in lingua ucraina, due contandini miserabili guardano un ufficiale in divisa da parata dell'esercito
polacco colpito da un soldato dell'Armata rossa.
Informazioni dettagliate sulle esecuzioni di Kalinin vennero fornite da Dmitrii S. Tokarev, ex capo del consiglio
del distretto dell'NKVD di Kalinin. Secondo Tokarev le uccisioni iniziarono la sera e finirono all'alba. Il primo
trasporto, il 4 aprile, contava ben 390 persone e i giustizieri ebbero difficoltà ad eseguire il loro compito
nell'arco di una sola notte. Il trasporto successivo non superava invece le 250 persone. Le esecuzioni vennero
compiute con pistole tipo Walther PPK fornite da Mosca.
Il metodo con cui vennero eseguite era stato studiato nel dettaglio. Inizialmente venivano verificati i dati
anagrafici del condannato, poi questi veniva ammanettato e portato in una cella isolata. Dopo essere stato fatto
entrare nella cella, veniva immediatamente ucciso con un colpo alla nuca. Il colpo di pistola veniva mascherato
tramite l'azionamento di macchine rumorose (probabilmente ventilatori). Il corpo veniva quindi trasferito
all'aperto passando da una porta posteriore e poi veniva caricato su uno dei sei camion appositamente
predisposti per il trasporto. A questo punto toccava alla vittima seguente. Questa procedura venne ripetuta ogni
notte, ad eccezione della festa del primo maggio.
Nei pressi di Smolensk la procedura era diversa: i prigionieri venivano portati alle fosse con le mani legate dietro
la schiena e uccisi con un colpo di pistola alla nuca.
La scoperta
Il destino dei prigionieri di guerra polacchi venne svelato per la prima volta poco dopo l'invasione tedesca
dell'Unione Sovietica del giugno 1941, quando il governo polacco (in esilio a Londra) e il governo sovietico
concordarono di cooperare contro la Germania e decisero di formare un'armata polacca in territorio sovietico.
Quando il generale polacco Władysław Anders iniziò ad organizzare questa armata, egli richiese informazioni
sugli ufficiali polacchi ancora prigionieri in territorio sovietico. Stalin rassicurò lui e Sikorski, durante un incontro
personale, che tutti i polacchi erano stati liberati, anche se alcuni di loro potevano essere fuggiti (riparando ad
esempio, in Manciuria).
Il vero destino dei prigionieri scomparsi rimase un mistero fino all'aprile del 1943, quando la Wehrmacht su
indicazione di un abitante del luogo scoprì le fosse comuni di oltre 4.000 ufficiali polacchi nella foresta nei pressi
di Katyn. Joseph Goebbels, ministro della Propaganda del Reich, vide in questa scoperta un eccellente strumento
per inserire un cuneo tra Polonia, Alleati occidentali ed Unione Sovietica. Il 13 aprile Radio Berlino annunciò al
mondo il ritrovamento: «È stata trovata una grossa fossa, lunga 28 metri e ampia 16, riempita con dodici strati
di corpi di ufficiali polacchi, per un totale di circa 3.000. Essi indossavano l'uniforme militare completa, e mentre
molti di loro avevano le mani legate, tutti avevano ferite sulla parte posteriore del collo causata da colpi di
pistola. L'identificazione dei corpi non comporterà grandi difficoltà grazie alle proprietà mummificanti del
terreno e al fatto che i Bolscevichi hanno lasciato sui corpi i documenti di identità delle vittime. È già stato
accertato che tra gli uccisi c'è il generale Smorawinski di Lublino.»
Gli Alleati sapevano già che i nazisti avevano trovato le fosse comuni, avendo captato le loro trasmissioni radio,
decifrate nella base inglese di Bletchley Park. Il governo sovietico negò le accuse tedesche e sostenne che i
polacchi, prigionieri di guerra, erano stati impiegati in opere di costruzione ad ovest di Smolensk e
successivamente catturati e giustiziati dalle unità tedesche nell'agosto 1941. Sia le investigazioni tedesche che
quelle successive della Croce Rossa sui cadaveri di Katyn produssero prove evidenti che il massacro si era
verificato all'inizio del 1940, in un periodo in cui l'area era ancora sotto il controllo sovietico.
Nell'aprile del 1943, all'investigazione della Croce Rossa Internazionale si aggiunse la pressione del governo
polacco in esilio guidato dal Generale Władysław Sikorski, volta a portare la questione ai tavoli di negoziato con i
sovietici. Stalin rispose presentando le «Prove infondate del massacro di Katyn», usandole poi come pretesto
per ritirare il riconoscimento al governo Sikorski (26 aprile), accusarlo di collaborare con la Germania nazista e
avviare una campagna per far riconoscere agli Alleati occidentali il governo fantoccio guidato da Wanda
Wasilewska.
Tentativi d'insabbiare il massacro
La Germania nazista utilizzò il massacro di Katyn come argomento di propaganda contro l'Unione Sovietica.
Joseph Goebbels scrisse nel suo diario: «I commentatori esteri si meravigliano della straordinaria astuzia con la
quale siamo stati in grado di convertire l'incidente di Katyn in una questione altamente politica». I tedeschi
riuscirono a screditare il governo sovietico agli occhi del mondo e per breve tempo sollevarono lo spettro del
«mostro comunista» che porta la distruzione nei territori della civiltà occidentale; inoltre avevano forgiato
contro il suo volere il generale Sikorski, in uno strumento che poteva minacciare di sfaldare l'alleanza tra gli
Alleati occidentali e l'Unione Sovietica. Per gli Alleati occidentali il massacro di Katyn minacciò, e la crisi polaccosovietica iniziava a minacciare l'alleanza strategica con l'URSS in un momento in cui l'importanza dei polacchi per
gli Alleati, essenziale nei primi anni di guerra, iniziava a svanire con l'entrata nel conflitto dei colossi militari e
industriali di USA e URSS. Il primo ministro britannico Winston Churchill ed il presidente statunitense Franklin
Delano Roosevelt erano sempre più divisi tra i loro impegni verso l'alleato polacco, la ferma posizione di Sikorski
e le domande (spesso rasentanti il ricatto politico) di Stalin e dei suoi diplomatici, la cui politica era chiara nei
commenti dell'ambasciatore sovietico a Londra, Ivan Maisky, che disse a Churchill che il destino della Polonia era
segnato dall'essere «una nazione di 20 milioni di persone confinante con una di 200 milioni». L'improvvisa
scomparsa del generale Sikorski, l'unico che aveva mantenuto una presa di posizione senza compromessi sulla
questione, evitò la minaccia di una spaccatura tra gli Alleati occidentali.
Nel gennaio 1944, avendo riconquistato la zona di Katyn, i sovietici istituirono una compiacente "Commissione
speciale per la determinazione e investigazione dell'uccisione di prigionieri di guerra polacchi da parte degli
invasori fascisti tedeschi nella foresta di Katyn", guidata dal Presidente dell'Accademia di Scienza Medica
dell'URSS Nikolai Burdenko, che riesumò nuovamente i corpi e giunse alla «conclusione» che le uccisioni erano
state eseguite dagli occupanti tedeschi.
In privato il primo ministro britannico Winston Churchill espresse l'opinione che le atrocità erano state
probabilmente compiute dai sovietici. Secondo una nota del Conte Raczynski, Churchill ammise il 15 aprile,
durante una conversazione con il Generale Sikorski: «Ahimè, le rivelazioni tedesche sono probabilmente vere. I
bolscevichi possono essere molto crudeli.» Comunque allo stesso tempo, il 24 aprile, Churchill rassicurò i russi:
«Dobbiamo sicuramente opporci vigorosamente a qualsiasi "investigazione" da parte della Croce Rossa
Internazionale o di qualsiasi altro organo in qualsiasi territorio durante l'occupazione tedesca. Tali investigazioni
sarebbero una frode e le loro conclusioni ottenute per mezzo del terrorismo.»
Nel 1944 il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt incaricò il capitano George Earle, suo emissario
speciale nei Balcani, di raccogliere informazioni su Katyn. Earle svolse l'incarico usando contatti in Bulgaria e in
Romania. Anche Earle concluse che l'Unione Sovietica era colpevole. Dopo consultazioni con Elmer Davis, il
direttore dell'"Ufficio di informazione di guerra", Roosevelt rigettò tali conclusioni, dicendosi convinto della
responsabilità nazista, e ordinò la soppressione del rapporto di Earle. Quando Earle richiese formalmente il
permesso di pubblicare le sue scoperte, il presidente gli diede ordine scritto di desistere dal suo intento. Earle
venne riassegnato e spese il resto della guerra nelle Samoa Americane.
Nel 1946, il pubblico ministero capo sovietico al processo di Norimberga cercò di accusare la Germania per le
uccisioni di Katyn, dichiarando che: «Uno dei più importanti atti criminali del quale i principali criminali di guerra
sono responsabili erano le esecuzioni di massa di prigionieri di guerra polacchi uccisi nella foresta di Katyn, nei
pressi di Smolensk da parte degli invasori tedeschi», ma, pur potendo disporre di "testimoni oculari" che
"avevano visto" i tedeschi compiere il massacro, tutti adeguatamente preparati dall' NKVD, fece cadere la
questione dopo che Stati Uniti e Regno Unito si rifiutarono di appoggiarlo e gli avvocati tedeschi misero in piedi
una difesa imbarazzante. Katyn non è menzionata in nessuna delle sentenze di Norimberga. Nel 1951-1952, una
investigazione del Congresso statunitense concluse che i polacchi erano stati uccisi dai sovietici.
Durante gli anni della guerra fredda, le autorità comuniste polacche occultarono la questione in accordo con la
propaganda sovietica, censurando deliberatamente qualsiasi fonte che potesse fare qualche luce sul crimine
sovietico. La verità non fu nota pubblicamente fino alla caduta del comunismo nel 1989.
Per coprire il massacro di Katyn, il Cremlino costruì la storia dell'eccidio di Hatyn, una località bielorussa 60 km a
nord di Minsk, dove nel 1943 venne compiuta una strage di militari russi. Sui manuali di storia sovietici venne
raccontato solo l'eccidio di Hatyn, la cui colpa veniva attribuita all'esercito nazista occupante. Per decenni le
autorità, le scolaresche, gli stranieri in visita furono condotti a Hatyn per apprendere tutti i particolari della
barbarie germanica.
Il depistaggio andò avanti per decenni, fino a quando nel 1993 il grande scrittore bielorusso Vasil Bychau
denunciò pubblicamente alla radio l'uso strumentale di Hatyn. Tanto più - aggiunse - che con ogni probabilità la
strage fu compiuta non dai nazisti tedeschi, ma dagli ucraini, loro alleati.
La questione della responsabilità rimase controversa ad ovest così come oltre la cortina di ferro. Ad esempio, nel
Regno Unito alla fine degli anni settanta, progetti per un memoriale delle vittime che recava come data il 1940
(piuttosto che il 1941) vennero condannati come provocatori nel clima politico della guerra fredda.
In Italia fino al 1990 era opinione comune tra i comunisti che il Massacro di Katyń fosse opera tedesca.
La verità viene a galla
Nel 1989 studiosi sovietici rivelarono che Stalin aveva effettivamente ordinato il massacro, e nell'ottobre 1990
Mikhail Gorbachev porse le scuse ufficiali del suo paese alla Polonia, confermando che la NKVD aveva giustiziato
i prigionieri e aggiungendo l'esistenza di altri due luoghi di sepoltura simili a quello di Katyn: Mednoje e
Pyatikhatki. Il leader sovietico, però, sostenne che i documenti cruciali, tra cui l'ordine di fucilare 25 mila
polacchi senza neppure avanzare contro di loro un capo di imputazione, non si sapeva dove fossero. Invece era
una delle tre persone che ne conoscevano l'esistenza]. Si può affermare che la vicenda può dirsi conclusa solo
con la presidenza di Boris Eltsin. Nel 1992 alcuni funzionari russi rilasciarono documenti top secret del «Plico
sigillato n. 1». Tra questi vi era la proposta del marzo 1940 di Lavrentij Beria, di passare per le armi 25.700
polacchi dei campi di Kozelsk, Ostashkov e Starobels e di alcune prigioni della Bielorussia e dell'Ucraina
occidentali, con la firma (tra gli altri) di Stalin; estratti dell'ordine del Politburo del 5 marzo 1940; e una nota di
Aleksandr Shelepin a Nikita Khrushchev del 3 marzo 1959, con informazioni sull'esecuzione di 21.857 polacchi e
con la proposta di distruggere i loro archivi personali.
Le investigazioni che accusano delle uccisioni lo stato tedesco piuttosto che quello sovietico, sono state usate
per screditare il Processo di Norimberga nel suo complesso, spesso in supporto al revisionismo dell'Olocausto, o
per mettere in discussione la legittimità e/o la saggezza di usare la legge penale per proibire la revisione
dell'olocausto. Si deve notare che esistono alcuni studiosi che negano la colpevolezza sovietica, dichiarano falsi i
documenti declassificati e cercano di dimostrare che i polacchi vennero uccisi dai tedeschi nel 1941 (nonostante
dalle autopsie sia evidente la differenza di un anno in un cadavere, e i cadaveri portassero uniformi invernali,
mentre i tedeschi invasero l'Urss in estate).
Durante la visita in Russia di Aleksander Kwasniewski, nel settembre del 2004, funzionari russi annunciarono la
volontà di trasferire tutte le informazioni sul massacro di Katyn alle autorità polacche non appena fossero state
declassificate. Nel marzo 2005 le autorità russe hanno posto fine ad una investigazione durata un decennio. Il
pubblico ministero militare capo russo Alexander Savenkov ha dichiarato che il massacro non fu un genocidio,
un crimine di guerra o un crimine contro l'umanità e che «Non esistono assolutamente le basi per parlarne in
termini giuridici». Nonostante le dichiarazioni fatte in precedenza, 116 dei 183 volumi di documenti raccolti
durante l'investigazione russa, così come la decisione di porvi fine, sono state coperte da segreto.
A causa di ciò l'Istituto nazionale per il ricordo polacco ha deciso di avviare una sua indagine. Un gruppo di
magistrati guidati da Leon Kieres ha dichiarato che cercherà di individuare i nomi di coloro che ordinarono ed
eseguirono le uccisioni. Inoltre, il 22 marzo 2005, il Sejm (parlamento) polacco ha approvato all'unanimità un
atto con il quale si richiede che sugli archivi russi venga tolto il segreto. Il Sejm ha inoltre richiesto alla Russia di
classificare il massacro di Katyn come genocidio.
Putyvli (stazione ferroviaria di Tetkino), Starobielsk, Vologod (stazione ferroviaria di Zaenikevo) e Gryazovets.
Nel periodo dal 3 aprile al 19 maggio 1940 oltre 22.000 prigionieri di guerra vennero assassinati: circa 6.000
provenivano dal campo di Ostaszków, circa 4.000 da Starobielsk, circa 4.500 da Kozielsk e circa 7.000 dalle parti
occidentali di Ucraina e Bielorussia.
Solo 395 prigionieri vennero salvati dal massacro. Furono portati al campo di Yukhnov e quindi a Gryazovets.
Furono gli unici a sfuggire alla morte.
ulteriori informazioni a qs link http://passatopresente.blog.rai.it/category/katyn/