Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Bologna GLI ORGANISMI PARTECIPATI DAGLI ENTI LOCALI A cura della Commissione Enti Pubblici Presidente: Antonino Borghi Componenti: Andrea Cappelloni Paolo Cerverizzo Roberto Picone Marco Vinicio Susanna 1 Sommario PREMESSA CAPITOLO I ASPETTI GENERALI 1.1 Introduzione alle società partecipate pubbliche 1.2 La disciplina delle società pubbliche 1.2.1 Natura pubblica o privata 1.2.2. Classificazione dei servizi 1.2.2.1 Servizi pubblici locali 1.2.2.2 Servizi strumentali 1.2.3 Il controllo analogo 1. 2.3.1 Incedibilità del capitale sociale 1.2.3.2 Poteri del consiglio di amministrazione 1.2.3.3 Vocazione commerciale 1.2.3.4 Approvazione dell’ente pubblico 1.2.3.5 Offerta della produzione 1.2.4. Normativa di settore 1. 2.5. Le principali novità della legge 147/2013 CAPITOLO II LA GOVERNANCE 2.1 L’organo amministrativo 2.1.1 La composizione 2.1.2 I compensi 2.1.3 Gli obblighi comunicativi 2.1.4 Inconferibilità ed incompatibilità del D.L. 39/2013 2.1.5 Gli incarichi a dipendenti pubblici (art. 53 DLgs n. 165/2001) 2.2 I controlli del revisore sulla costituzione ed affidamento di servizi 2.2.1 In generale 2.2.2 Società in house 2.2.3 Società strumentali CAPITOLO III IL PERSONALE 3.1 I vincoli sulle assunzioni e sulla spesa di personale 3.1.1 Area di consolidamento e metodo di calcolo a) L’ area di consolidamento b) Il metodo di calcolo 3.2 Gli ultimi interventi legislativi sui vincoli assunzionali e sul consolidamento della spesa 3.3 I vincoli delle società in house 2 CAPITOLO IV I RAPPORTI FINANZIARI 4.1 I controlli interni sulle partecipate 4.2 Pareri obbligatori sulla gestione dei servizi 4.3 Le principali operazioni finanziarie 4.3.1 Aumenti di capitale 4.3.2 Conferimento di beni alla società 4.3.3 Conferimento di beni con incedibilità del capitale sociale 4.3.4 Conferimento di reti 4.3.5 Conferimento beni a società patrimoniali strumentali 4.3.6 Trasferimenti straordinari 4.3.7 Aperture di credito 4.3.8 Garanzie fideiussorie 4.3.9 Lettere di patronage 4.3.10 Ripiano perdite 4.3.11 Utilizzo riserve di rivalutazione a copertura di perdite 4.3.12 Ripiano perdite della fondazione 4.3.13 Fondo vincolato a copertura di perdite 4.3.14 Perdita continuata e conseguenze 4.3.15 Concessione crediti 4.3.16 Postergazione 4.3.17 Finanziamenti ed aiuti di Stato 4.3.18 Rinuncia dei soci alla restituzione di crediti 4.3.19 Compensazione di crediti reciproci certi, liquidi ed esigibili con la propria società 4.3.20 Assegnazione di beni ai soci con riduzione di capitale 4.3.21 Rapporti finanziari con società in perdita continuata (Art. 6 comma 19 d.l. 78/2010) 4.4 Elusione del patto di stabilità 4.4.1 Obiettivo conseguito artificiosamente (art.31 commi 30 e 31 legge 183/2011) 4.4.2 Versamenti a fondo perduto ed elusione al patto di stabilità 4.4.3 Mutuo assunto dalla società in house con oneri a carico dell’ente locale 4.4.4 Trasferimento della sofferenza di cassa dell’ente locale sulla società partecipata che sconta 4.4.5 Cessione di beni per accertare entrate ai fini del patto di stabilità 4.4.6 Mancata esazione di crediti scaduti che l’ente locale vanta verso la partecipata 4.4.7 Anticipazione del canone concessorio CAPITOLO V LA LIQUIDAZIONE DELLE SOCIETA’ PARTECIPATE 5.1 Perdite continuate 5.2 La messa un liquidazione 5.3 I debiti sociali al termine della liquidazione 5.4 Le novità della legge 147/2013 sulle società in perdita continuata 5.5 Il reintegro del personale CAPITOLO VI FALLIBILITA’ DELLE PARTECIPATE CONSIDERAZIONI FINALI 3 PREMESSA Il notevole incremento del numero e dell’utilizzo delle società partecipate degli enti locali è un fenomeno assai noto da molti anni. Esso riguarda non solo la gestione dei servizi pubblici, ma anche servizi di carattere strumentali. Lo scopo iniziale, era quello di fornire all’ente locale un nuovo mezzo per erogare vecchi o nuovi servizi ai cittadini, magari in modo più efficiente ed efficace di altri moduli organizzativi, o dell’ente locale direttamente. Con il passare degli anni, però, si è assistito ad una strumentalizzazione di tale figura giuridica, ed accanto a quella finalità di riorganizzazione dei servizi se ne sono affiancate altre alcune delle quali dirette ad aggirare norme di blocco e di controllo. Il presente elaborato ha lo scopo di sistemizzare la complessa ed articolata normativa che disciplina la gestione di queste società, prendendo in considerazione, come punto di partenza, gli interventi del legislatore integrandoli, successivamente, con le interpretazioni date dagli organi giurisdizionali. Precisazioni Quanto esposto è il risultato del lavoro e dell’interpretazione della Commissione, pertanto non solo non impegna in alcun modo il pensiero e l’orientamento dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Bologna, ma anche non vuol costituire parere professionale. Inoltre, saremo grati a tutti coloro che avranno cura di leggere quanto qui indicato e a quanti vorranno fornire suggerimenti al fine di migliorare il presente lavoro. Testo aggiornato con la Legge di Stabilità n. 147 del 27 dicembre 2013 4 CAPITOLO I ASPETTI GENERALI 1.1 Introduzione alle società partecipate pubbliche Il fenomeno delle società pubbliche - seppur con un approccio poco organico - è da tempo conosciuto nel nostro sistema economico-giuridico. La prima disposizione che cercò di regolamentare tali società, risale alla Legge n. 1589/56 che, ha dato poi vita al Ministero delle partecipazioni statali. Ne derivava “un sistema che si presta ad essere descritto in termini geometrici: una sorta di piramide, la base della quale è formata dalla moltitudine delle società per azioni a partecipazione statale ed al vertice della quale si colloca il Parlamento della Repubblica”1. Fra la base ed il vertice si collocano gli Enti di gestione con funzione di holding che a loro volta partecipano alle società operative (es. Parlamento-Eni-Agip holding-Agip operative) Le società pubbliche, attraverso la propria attività di gestione, dovevano, per statuto, versare allo Stato una percentuale dei propri utili come rimborso del fondo di dotazione iniziale che le stesse avevano ricevuto in sede di costituzione. Un secondo passaggio, lo si riscontra successivamente con le privatizzazioni; infatti, con la Legge n. 35/92, gli enti pubblici economici e le aziende autonome, vengono trasformate in S.p.a.. Nel 1993, però in seguito al referendum abrogativo del 18 aprile, il Ministero delle partecipazioni statali venne abrogato, e si rese così necessario procedere alla alienazione delle azioni possedute con allocazione sul mercato. Le dismissioni furono regolate dalla Legge n. 474/94; in tale processo venne riposta particolare attenzione con il fine di tutelare gli interessi pubblici ed a rendere il mercato più trasparente possibile. Queste disposizioni contenevano in sé un criterio fondamentale e cioè: la gestione doveva essere sorretta dal criterio di economicità. Suddetto concetto si presentava con rilevanti differenze, a seconda che, il soggetto giuridico fosse l’ente pubblico economico (Ministero partecipazioni statali, IRI, ENI, ENEL, ecc.) o società partecipata dall’ente. Nel primo caso, la gestione doveva tendere al pareggio di bilancio; nel secondo invece, la gestione doveva tendere al profitto, in quanto gli azionisti investitori richiedevano che il proprio investimento fosse idoneamente rimunerato - “se non c’è utile di bilancio, non c’è la giuridica possibilità di rimunerare il capitale azionario”2 -. Pertanto, nelle società a partecipazione pubblica si avevano due “anime” quella privata, tendente alla rimunerazione e quindi all’ottenimento di un reddito, e quella pubblica, che disinteressandosi del reddito tendeva alla realizzazione di interessi pubblici. Le privatizzazioni furono effettuate per diversi motivi principali: il primo fu quello di ottenere un maggiore afflusso di denaro nelle Casse dello Stato, consentendo in questo modo l’avvio dell’opera di risanamento delle finanze pubbliche, oltre che la risoluzione di problemi legati alla conciliazione dell’attività dell’impresa con le finalità pubbliche”3; l’altro fu quello di dare una maggiore produttività dell’impresa privata rispetto a quella pubblica; nonché servirono per assicurare una libera concorrenza sul mercato. Infatti, quegli enti privatizzati alteravano il mercato grazie alla loro illimitata capacità di indebitamento dovuta alla possibilità di far ricorso ad agevolazioni fiscali e al 1 F. Galgano, La società per azioni in mano pubblica, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia CEDAM 2006 - Il nuovo diritto societario Tomo I Le nuova società di capitali e cooperativa Cap. Quindicesimo pag. 735 e ss.). 2 F. Galgano op.cit. 3 L. Ghia - Fallimento di società di capitali a controllo o partecipazione pubblica, in Trattato delle procedure concorsuali Utet 2010, vol. I pag. 107 e ss. 5 tempo stesso al debito pubblico4. Da ultimo la Legge n. 481/95 istitutiva delle Authorities per i servizi pubblici e la Legge n. 273/2002 diretta a favorire l’iniziativa privata e lo sviluppo della concorrenza. Il processo di privatizzazione si presenta alquanto lungo tanto che oggi ad esempio la privatizzazione di ENI, iniziata nel 1992, non può dirsi ancora conclusa5. 1.2 La disciplina delle società pubbliche In generale per società a partecipazione pubblica deve intendersi tutte quelle società costituite sotto forma di società di capitali, in cui lo Stato o un Ente pubblico detiene una partecipazione sia diretta che indiretta. Mentre nulla questio sulla determinazione della partecipazione che potrà essere indifferentemente di maggioranza o minoranza. Come detto in precedenza la legislazione negli ultimi anni è intervenuta più volte per regolare la disciplina delle partecipazioni societarie negli enti locali con due obiettivi specifici: 1) tutelare la concorrenza sul mercato 2) contenere la spesa pubblica. La Corte dei Conti Sezione Autonomia nella relazione al Parlamento sulla gestione finanziaria degli enti locali (delibera 21/SEAUT/2013/FRG) ha affermato che “l’evoluzione normativa degli organismi partecipati dagli Enti locali si caratterizza per l’imposizione di vincoli sempre più stringenti al fenomeno della esternalizzazione dei servizi pubblici locali e delle funzioni strumentali alle attività istituzionali delle Amministrazioni locali. Il legislatore nazionale, dopo aver previsto norme a tutela della concorrenza e limitato il ricorso agli affidamenti senza procedure di evidenza pubblica, ha disposto una serie di misure che conducono a una sorta di – pubblicizzazione - delle società partecipate dagli Enti locali, che sono state assoggettate agli stessi obblighi previsti per gli Enti proprietari, ad esclusione di quelle quotate nei mercati regolamentati”. La normativa che regola i rapporti fra ente locale ed organismi partecipati non riesce a trovare una definizione. Da anni le norme si accavallano, alcune sono di difficile interpretazione, manca un provvedimento di coordinamento dopo la sentenza n.199/2012 della Corte Costituzionale ed una sintesi dei limiti e dei vincoli agli affidamenti ed alle partecipazioni societarie degli enti locali. 1.2.1. Natura pubblica o privata La sentenza del Consiglio di Stato n. 122/2013, svela i criteri in base ai quali si può definire la natura pubblica o privata di una società. Con la sentenza i Giudici sono partiti dal principio, già posto dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 326/2008, che sancisce una differenza per gli enti pubblici tra attività amministrativa in forma privatistica ed attività d'impresa. Entrambe possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse: - nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione; - nel secondo caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza. 4 5 F. Galgano op.cit. L. Ghia op. cit. 6 Un ente pubblico, che svolge attività amministrativa, non può allo stesso tempo esercitare attività d'impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica amministrazione. Non è negata né limitata la libertà di iniziativa economica degli enti territoriali, ma è imposto loro di esercitarla distintamente dalle proprie funzioni amministrative per non distorcere la concorrenza. In definitiva l’ente pubblico: a) che non ha fini di lucro non può svolgere attività di impresa, salve espresse deroghe normative; b) può costituire società detenute da enti pubblici se previste espressamente dalla legge, oppure, ordinariamente, se la società svolge servizi di interesse generale (servizi pubblici economici e non). 1.2.2. Classificazione dei servizi Per procedere in maniera organica è necessario operare una corretta classificazione dei servizi che vengono erogati direttamente o indirettamente ai cittadini da parte degli enti locali. 1.2.2.1 Servizi pubblici locali I servizi pubblici locali (SPL), ex art. 112 TUEL erogati direttamente al pubblico, possono essere a: - rilevanza economica (es.: trasporto pubblico locale); - privi di rilevanza economica (es.: gestione biblioteca comunale). La suddetta distinzione non appare di facile attuazione, considerando che la commissione europea ne ha dato un imprinting dinamico ed evolutivo ed anche la giurisprudenza ritiene impossibile fissare un elenco dei servizi rientranti nelle due categorie. La distinzione deve essere valutata caso per caso. Per una corretta distinzione, tra rilevanza economica e non, può essere di aiuto valutare la “redditività”, anche solo potenziale, di un certo servizio, avvalendosi in tale valutazione di alcuni indici tra cui: • la tipologia del servizio e sue finalità (es.: l'assistenza ai poveri non ha redditività); • il contesto territoriale e sociale in cui viene svolto il servizio; • l'entità del fatturato; • la comprimibilità dei costi sul piano imprenditoriale per scelta dell'ente rivolto ad accollarsi quote di costi (es.: asili nido e servizio mensa). Si può considerare privo di rilevanza economica il servizio che per sua natura o per le modalità in cui viene svolta la gestione non da luogo ad alcuna competizione e quindi appare irrilevante ai fini della concorrenza (Tar Puglia 1318/2006, Tar Sardegna 1729/2005, Tar Liguria 527/2005). Quindi abbiamo SPL a rilevanza economica se erogati al pubblico con significativi indici di redditività e SPL senza rilevanza economica se erogati al pubblico ma con modesti indici di redditività. Un fondamentale spartiacque sul panorama normativo in materia di SPL a rilevanza economica è dovuto alla sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012, che ha abrogato l' art. 4 D.L. 138/2011 ripristinando l'applicazione immediata nell'ordinamento nazionale della normativa comunitaria. In questo modo il legislatore dispone l'obbligo di conformare gli affidamenti dei servizi da parte degli enti pubblici alle società partecipate rispettando le regole europee. L'affidamento del servizio deve essere effettuato sulla base di apposita relazione pubblicata sul sito internet dell'ente che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio 7 universale, della sussistenza dei requisiti richiesti dall'ordinamento europeo e le compensazioni economiche previste se previste (art. 34 comma 20 D.L. 179/2012 ). La direttiva 97/33 CE del Parlamento europeo e del consiglio del 30/6/1997, definisce servizio universale un insieme minimo definito di servizi di determinata qualità disponibile a tutti gli utenti a prescindere dalla loro ubicazione geografica e, tenuto conto delle condizioni specifiche nazionali, ad un prezzo abbordabile. Nel caso di società in house la relazione deve evidenziare analiticamente la sussistenza dei requisiti per la permanenza dell’affidamento - e quindi sia del controllo analogo che della prevalenza dell’attività verso l’ente e gli enti affidatari - nonché l’insussistenza dei vincoli e/o limiti previsti per le società strumentali, per le attività non strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente, ovvero in relazione alla dimensione demografica. Per le società a partecipazione mista pubblico-privata deve, invece, essere verificata la sussistenza delle condizioni per l’attivazione ed il mantenimento del partenariato. In caso di riconosciuta mancanza delle condizioni per il mantenimento dell’affidamento l’ente dovrà procedere alla sua cessazione o, se possibile, ad una conformazione del rapporto con la società partecipata ai vincoli e condizioni obbligatorie. In merito alla scadenza dell’affidamento diretto occorre considerare che per effetto dell’art. 4, c. 8, del D.L. n. 95/2012, come modificato dall’art. 34, c. 27, del D.L. n. 179/2012, conv. in legge n. 221/2012, “sono fatti salvi gli affidamenti in essere (alla data del 20 ottobre 2012) fino alla scadenza naturale e comunque fino al 31 dicembre 2014”. Pertanto: • gli affidamenti non conformi cessano al 31/12/2013 se non viene pubblicata la relazione; • gli affidamenti conformi cessano alla scadenza prevista sul contratto; • in assenza di scadenza devono essere integrati con la data di scadenza dell’affidamento o cessano al 31/12/2013. Gli affidamenti diretti a società a partecipazione pubblica quotata in borsa ed a società controllate da quest’ultime (ex. Art. 2359 C.C.) cessano alla scadenza prevista dal contratto di servizio e in assenza al 31/12/2020. L’art. 13, comma 1 del D.L. 30/12/2013 n. 150 ha disposto al fine di garantire la continuità del servizio, laddove l’ente di governo dell’ambito o bacino territoriale ottimale e omogeneo abbia già avviato le procedure di affidamento il servizio è espletato dal gestore o dai gestori già operativi fino al subentro del nuovo gestore e comunque non oltre il 31 dicembre 2014. Alla luce delle norme attualmente in essere, la gestione dei SPL a rilevanza economica può avvenire in una delle seguenti modalità: − gara ad evidenza pubblica per la scelta dell'imprenditore o della società privata; − tramite società mista pubblica e privata maggioritaria o minoritaria senza vincoli relativi alla percentuale di capitale detenuta dal privato stesso e si ritiene che la quota pubblica non debba essere marginale. L'individuazione del socio privato operativo non generalista, deve essere fatta con gara a doppio oggetto; − gestione in-house providing, con i requisiti previsti dall'ordinamento europeo, ovvero società interamente pubblica dove l' ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino un controllo analogo. − in economia o appalto tali soluzioni non sono confacenti con la redditività del servizio ma 8 pare non siano escluse dai principi comunitari per i servizi di minore rilevanza. 1.2.2.2 Servizi strumentali I servizi strumentali ex art. 13 L. 248/2006, sono servizi erogati all'ente locale di cui i cittadini beneficiano indirettamente (es.: i servizi informatici). L’art. 13 del D.L. 223/2006 (decreto Bersani) si applica a tutte le società la cui attività consiste nella produzione di beni e servizi strumentali all'attività degli enti partecipanti, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali, senza alcuna soglia di fatturato con le pubbliche amministrazioni. Il requisito della strumentalità sussiste quando le attività sono rivolte agli enti promotori o comunque partecipanti alla società per svolgere funzioni di supporto, secondo l’ordinamento amministrativo in relazione al perseguimento di fini istituzionali. I servizi strumentali sono attività finalizzate a sostenere la migliore realizzazione, sul piano operativo, degli scopi istituzionali dell’ente. Le società strumentali erogano beni e servizi essenzialmente alla pubblica amministrazione e non al pubblico (Cons. di Stato sez.V sent. 1282/2010 e 3766/2009). L'Autorità garante della concorrenza e del mercato con delibera del 4/2/2013 ha dato le seguente definizione dei servizi strumentali: “Si definiscono strumentali all'attività della P.A. in funzione della loro attività, tutti quei beni e servizi erogati da società a diretto e immediato supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica di cui resta titolare l'ente pubblico di riferimento e con i quali lo stesso ente provvede al perseguimento dei propri fini istituzionali”. L’ambito delle attività delle società strumentali è limitato e circoscritto allo svolgimento di attività in favore dell’ente locale che le ha costituite (Corte Costituzionale 1/8/2008 n. 326). La stessa Corte ha precisato che le attività strumentali si caratterizzano, da un lato, per essere svolte e regolate da norme di diritto privato, dall’altro, per il fatto di tradursi in attività economiche potenzialmente contendibili sul mercato, per la cui offerta l’ente quindi può entrare in concorrenza con operatori privati: pertanto la loro creazione e il loro svolgimento può portare distorsioni del funzionamento dei mercati interessati, a causa dei vantaggi competitivi (economici e/o giuridici) di cui tali società partecipate godono. Quindi, da un lato, il Legislatore ha operato con varie norme per isolare queste attività rispetto ad altre svolte dagli organismi partecipati, per altro verso, ha subordinato lo svolgimento di tali attività alla sussistenza di presupposti costitutivi e qualitativi. In tali previsioni restrittive si è ravvisata la finalità di assicurare che le società pubbliche, che svolgono servizi strumentali per le pubbliche amministrazioni, non approfittino del vantaggio che ad esse deriva dal particolare rapporto con le predette pubbliche amministrazioni operando sul mercato, al fine di evitare distorsioni della concorrenza, ma concentrino il proprio operato esclusivamente nell’“attività amministrativa svolta in forma privatistica” per le medesime amministrazioni pubbliche. E ciò in linea con la normativa dell’Unione europea, il cui primario obiettivo è quello di evitare che l’impresa pubblica goda di regimi privilegiati e di assicurare – ai fini dell’ammissibilità degli affidamenti diretti di servizi a società pubbliche – che l’ente affidante eserciti sull’affidatario un controllo analogo a quello che esso esercita sui propri servizi e che l’affidatario realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente controllante (per tutte, sentenza Corte di giustizia, sez. V, 18 novembre 1999, n. C-107/98, Teckal c. Comune di Viano)». Spetta al singolo ente locale dare l'esatta qualifica dei servizi affidati alle società partecipate, rispettando i criteri suindicati; l'esatta qualifica e classificazione del servizio costituisce il punto di 9 partenza per una corretta revisione delle partecipazioni dell'ente locale. Sono servizi strumentali ad esempio: a)gestione patrimonio immobiliare dell’ente; b)servizi manutentivi sul territorio (strade, parchi pubblici, ecc.); c) gestione cimiteri (escluse lampade votive); d)servizi informatici; e) servizio mensa ai dipendenti dell'ente; f) riscossione entrate. I servizi strumentali possono essere gestiti con diverse modalità : − in economia − in appalto − tramite società' strumentale (art.13 d.l. 223/2006) − unione di comuni La società strumentale deve avere oggetto esclusivo, non può quindi operare per più enti o gestire servizi pubblici locali e gli e’ vietata espressamente la gestione di SPL a rilevanza economica. In ogni caso, sempre in base all' art. 4 comma 8 del D.L. 95/2012, a decorrere dal 1/1/2014 l'affidamento dei servizi strumentali può avvenire solo a favore di società interamente pubbliche, nel rispetto dei requisiti normativi comunitari per la gestione in-house . 1.2.3. Il controllo analogo Il principio cardine, fissato dalla giurisprudenza comunitaria, è quello che sancisce che il controllo societario totalitario esercitato dal soggetto pubblico sull’affidatario non costituisce condizione sufficiente per giustificare l’affidamento diretto del servizio se ad esso non si associa un’influenza dominante dell’ente pubblico sia sulle decisioni strategiche che sulle scelte più importanti assunte dal gestore del servizio. La giurisprudenza sul controllo analogo ed in particolare il Consiglio di Stato (vedi adunanza plenaria n.1 del 3/3/2008) ha fornito le seguenti precisazioni. 1.2.3.1 Incedibilità del capitale sociale I giudici di Palazzo Spada hanno considerato inderogabile il principio dell’incedibilità del capitale sociale - anche limitata a quote minime - a beneficio di altri soggetti privati. In sostanza, l’apertura del pacchetto azionario a terzi svelerebbe la vocazione commerciale del modulo societario che mal si concilierebbe con la possibilità di esercitare un reale controllo sul soggetto affidatario del servizio. 1.2.3.2 Poteri del consiglio di amministrazione Il CDA della società cui viene affidato il servizio non può essere svuotato di significativi poteri gestionali al punto da apparire come una specie di "ostaggio" in mano agli organi di governance dell’ente affidante per cui devono essere riconosciuti poteri più incisivi di quelli normalmente riconosciuti dal diritto societario alla maggioranza sociale. Per un legittimo affidamento in house è necessario che il consiglio di amministrazione della società affidataria non abbia rilevanti poteri gestionali e che l'ente pubblico affidante eserciti, pur se con moduli societari su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario, caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria, sicché è indispensabile che le decisioni più importanti siano sempre sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante o, in caso di in house frazionato, della totalità degli enti pubblici soci. 10 1.2.3.3 Vocazione commerciale L’Adunanza Plenaria ha ritenuto essenziale che il soggetto affidatario sia immune da qualsiasi vocazione commerciale individuando, a titolo esemplificativo, alcuni elementi idonei a conferirla quali: a) l’ampliamento dell’oggetto sociale; b) l’apertura obbligatoria, a breve termine, della società ad altri capitali; c) la possibilità che l’affidataria svolga la propria attività su tutto il territorio nazionale ed all’estero. 1.2.3.4 Approvazione dell’ente pubblico Il Consiglio di Stato ha ritenuto insuperabile la circostanza che le decisioni più importanti che il soggetto affidatario è chiamato ad assumere siano preventivamente sottoposte all’esame e all’approvazione dell’ente pubblico. Secondo i giudici dell’Adunanza Plenaria, il soggetto affidante sarebbe in grado di esercitare un reale controllo sull’affidatario del servizio, assimilabile a quello esercitato sui propri servizi, soltanto qualora l’attività pubblica, per così dire di "monitoraggio", investa: 1) il bilancio; 2) la qualità dell’amministrazione; 3) la spettanza di poteri ispettivi diretti e concreti 4) la totale dipendenza del soggetto affidatario diretto del servizio dall’ente pubblico per quanto concerne le strategie e le politiche aziendali . L’autorità per la vigilanza dei contratti pubblici con Deliberazione n. 51, Adunanza del 18 maggio 2011, ha affermato che deve escludersi la praticabilità dello schema dell'in house providing nel settore dei lavori pubblici. L'istituto suddetto, operando in deroga ai principi generali, che prevedono il ricorso al mercato attraverso procedure di evidenza pubblica, è, infatti, insuscettibile di applicazione estensiva e può essere impiegato unicamente ai fini dell'autoproduzione di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni. Con riferimento alla fattispecie portata all'attenzione dell'Autorità è stata, inoltre, approfondita la questione del "controllo analogo", che si configura come presupposto essenziale per l'affidamento in house. In particolare, il "controllo analogo" deve concretizzarsi come una "relazione di subordinazione gerarchica" tra l'ente pubblico affidante e gli organi societari. Affinchè ciò si verifichi, l'ente pubblico affidante deve esercitare poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario, caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance della società rispetto alla maggioranza azionaria. Deve, pertanto, escludersi che tale rapporto possa riscontrarsi nell'istituzione in seno al Consiglio comunale di un comitato preposto al "controllo analogo" al quale non siano riconosciuti poteri di gestione diretta, ma di sola verifica. Il controllo analogo non è escluso dalla circostanza che il pacchetto azionario della società sia posseduto da una pluralità di enti pubblici, anche in misura esigua per ciascuno di essi. In tal caso, la verifica sul "controllo analogo" si sposta necessariamente nel rinvenimento di clausole o prerogative che conferiscono agli enti locali partecipanti con quote societarie esigue, effettive possibilità di controllo nell'ambito in cui si esplica l'attività decisionale dell'organismo societario attraverso i propri organi (assembleari o di amministrazione). Tale controllo deve intendersi esercitabile non soltanto in chiave propulsiva o propositiva di argomenti da portare all'ordine del giorno del consesso assembleare bensì, e principalmente, di poteri inibitivi di iniziative o decisioni 11 che si pongano in contrasto con gli interessi dell'ente locale nel cui ambito territoriale si esplica il servizio (TAR Lazio, sentenza 16 ottobre 2007, n. 9988). 1.2.3.5 Offerta della produzione La giurisprudenza prevalente ritiene che tale condizione sia soddisfatta quando l'affidatario diretto non fornisca i suoi servizi a soggetti diversi dall'ente controllante, anche se pubblici, ovvero li fornisca in misura quantitativamente irrisoria e qualitativamente irrilevante sulle strategie aziendali, ed in ogni caso non fuori dalla competenza territoriale dell'ente controllante. Più che l'individuazione di una soglia percentuale, necessita un giudizio pragmatico nel caso concreto che si basi, però, non solo sull'aspetto quantitativo, ma anche su quello qualitativo. In altri termini, la natura dei servizi, opere o beni resi al mercato privato, oltre alla sua esiguità, deve anche dimostrare la quasi inesistente valenza nella strategia aziendale e nella collocazione dell'affidatario diretto nel mercato pubblico e privato. Sotto questo profilo la giurisprudenza della Corte di Giustizia e del Consiglio di Stato mostrano di ritenere a priori che l'espansione territoriale, anche a vantaggio di altri enti pubblici analoghi, violi la prevalenza. La legge non indica la misura dell’attività prevalente spetta all’interprete individuarla, facendo riferimento, ove possibile, a disposizioni che regolano casi analoghi. A tale proposito possono essere utilmente richiamate le disposizioni comunitarie (art. 13, direttiva 93/38/CEE e art. 23, direttiva 2004/17/CE) e di diritto interno derivato (art. 8, D.L.vo 17 marzo 1995, n. 158), le quali consentono, nei settori c.d. esclusi o speciali, che le amministrazioni aggiudicatrici affidino direttamente appalti (di servizi e, dopo l’entrata in vigore della direttiva 17, anche di lavori e forniture) ad un’impresa collegata, purché almeno l’80% del fatturato medio realizzato da tale impresa negli ultimi tre anni provenga dallo svolgimento di servizi o di lavori o dalla fornitura di prodotti all’amministrazione a cui è collegata. 1.2.4 Normativa di settore Ai sensi dell’art. 113, commi 1, 1bis e 2 del Tuel restano esclusi dalla normativa generale alcuni importanti servizi pubblici ed in particolare i servizi di: I - Distribuzione gas naturale su reti locali (D. Lgs 23/5/2000 n.164) II - Distribuzione di energia elettrica ( D. Lgs 16/3/1999 n.79 e legge 23/8/2004 n.239) III - Gestione farmacie comunali (legge 2/4/1968 n. 475) IV - Trasporto pubblico locale V - Trasporti a fune per la mobilità turistico sportiva esercitati in zone montane. Restano esclusi dagli obblighi di affidamento(vedi art. 34 del d.l. 179/2012) i servizi di cui alle lettere a),b) e c) precedenti. Le discipline speciali dei servizi elencati nelle lettere da a) a b) prevarranno sempre sulle norme generali. Per il servizio di illuminazione votiva il comma 26 del d.l. 179/2012, dispone che per l’affidamento devono essere applicate le disposizioni di cui al d.lgs. 163/2006 ed in particolare l’art. 30 che prevede una gara informale per la concessione dei servizi con almeno 5 invitati e qualora ne ricorrano le condizioni l’art. 125 con le relative soglie economiche per l’affidamento. Il servizio di illuminazione votiva non rientra più tra i servizi pubblici a domanda individuale di cui al D.M. 31/12/1983. 1.2.5 Le principali novità della legge 147/2013 La legge di stabilità 2014 vuole rendere gli Enti Locali responsabili dei risultati delle partecipate. Il principio mira ad evitare che gli Enti lascino le società in perdita e per evitare ciò si vuole costringere gli stessi ad accantonare a bilancio una somma proporzionale alle perdite delle partecipate. Sulle modalità operative di applicazione della norma mancano ancora interpretazioni univoche. 12 Inoltre l’articolo 1 commi 550 - 569 della Legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014) detta nuove regole per le partecipazioni pubbliche: a) sono stati rimossi i limiti al possesso di partecipazioni societarie per i Comuni con popolazione fino a 50.000 abitanti (abrogando l’art. 14 del D.L. n. 78/2010); b) sono stati soppressi gli obblighi di scioglimento o di alienazione delle società strumentali delle amministrazioni pubbliche (abrogando i commi 1 - 2 - 3 - 3 sexies - 9 - 10 e 11 dell’art. 4 del D.L. n. 95/2012); c) è stato eliminato l’obbligo per i Comuni e le Province di sopprimere o accorpare e non costituire “enti, agenzie o organismi comunque denominati”, esercitanti anche in via strumentale funzioni ex art. 117 lett. p) della Costituzione (abrogando i commi 1 e 7 dell’art. 9 del D.L. n. 95/2012 . E’ stato differito al 31 dicembre 2014 il termine ex art. 3 comma 29 della Legge 244/2007 Finanziaria 2008 - scaduto il 31/12/2010, termine entro il quale le amministrazioni pubbliche devono cedere a terzi le partecipazioni in società non strettamente necessarie per il perseguimento delle loro finalità istituzionali e non di interesse generale poiché vietate ex art. 3 comma 27 dalla 244/2007, se il nuovo termine non viene rispettato la partecipazione del socio pubblico cessa ad ogni effetto e va liquidata entro 12 mesi con i criteri dettati dall’art. 2437-ter del Codice Civile. 13 CAPITOLO II LA GOVERNANCE 2.1 L’organo amministrativo Il Legislatore, in ragione di assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica volte alla diminuzione del debito pubblico, nelle ultime legislature, è intervenuto con norme sempre più restrittive sulla governance delle società partecipate. Di seguito si riassumono i vari interventi legislativi. 2.1.1 La composizione Ai sensi del Decreto Legge n° 95/2012 così come modificato dalla Legge 147/2013, il numero complessivo di componenti del Consiglio di Amministrazione, delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni che nel corso dell’anno 2011 hanno prodotto un fatturato derivante da prestazioni di servizio a favore di amministrazioni pubbliche superiore al 90% dell’intero fatturato, non può essere superiore a tre, salvo per le società aventi un capitale superiore a due milioni di euro, per il quale i numero dei consiglieri può arrivare fino a cinque. In ogni caso il numero massimo di componenti del Consiglio di Amministrazione designati dai soci pubblici locali non può essere superiore a cinque anche nelle società miste. Con decorrenza dal primo rinnovo dei Consigli di Amministrazione successivo alla data di entrata in vigore della L. 135/2012 (6 luglio 2012), per le società controllate, direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni, i Consigli devono essere composti: nel caso massimo di tre componenti: - per le società controllate direttamente, da almeno due membri scelti tra i dipendenti dell’Ente controllante; - per le società controllate indirettamente, da almeno due membri scelti tra i dipendenti della società controllante e/o i dipendenti dell’Ente controllante in via indiretta; mentre il terzo membro scelto al di fuori dei dipendenti dell’Ente (o della controllante) svolge funzioni di amministratore delegato, ferma comunque restando la facoltà di nomina di un amministratore unico. nel caso di massimo di cinque componenti - per le società direttamente controllate, da almeno tre membri scelti tra i dipendenti dell’Ente controllante; - per le società controllate indirettamente, da almeno tre membri scelti tra i dipendenti della società controllante e /o i dipendenti dell’Ente controllante in via indiretta; mentre gli altri due membri possono essere scelti al di fuori dei dipendenti dell’Ente (o della controllante), ed in tal caso le cariche di Presidente e di Amministratore delegato sono disgiunte e al Presidente potranno essere affidate dal Consiglio di Amministrazione deleghe esclusivamente nelle aree esterne e istituzionale e supervisione delle attività di controllo interno. amministratore dipendente pubblico Nel caso di incarichi svolti da dipendenti pubblici per la partecipazione all’amministrazione o ai collegi sindacali di società o enti ai quali partecipi o contribuisca una pubblica amministrazione si intendono svolti nell’interesse dell’amministrazione di appartenenza dei dipendenti e pertanto i relativi compensi devono essere corrisposti dalle società o dagli enti direttamente alla stessa amministrazione che destinerà tali somme alle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza o del personale non dirigente. (art. 6, comma 4 D.L. 78/2010 convertito in L. 122/2010). 14 In merito alla possibilità di considerare o meno tali somme “riassegnate al fondo” vincolate e quindi erogabili ai dipendenti coinvolti, quale trattamento accessorio in virtù di una valutazione positiva della ulteriore attività svolta è intervenuta la Corte dei Conti, sez. contr. della Lombardia, con la deliberazione n. 96 del 22 marzo 2013, ritenendo che l’attività prestata dal dipendente pubblico nominato, proprio per la sua pregressa investitura di pubblico funzionario, quale membro del cda della società pubblica, rappresenta una mera modalità di incarico al medesimo conferito in ragione dell’ufficio ricoperto o comunque conferito dall’amministrazione in cui si presta il servizio. La prestazione lavorativa del dipendente infatti soggiace al principio di onnicomprensività della retribuzione e il trattamento economico erogato remunera tutte le funzioni e compiti ad esso attribuiti. Secondo la Sezione della Corte dei Conti, il dipendente pubblico nominato membro di un consiglio di amministrazione di una società partecipata non può beneficiare di alcun trattamento economico ulteriore, derivante dal relativo ufficio poiché esso va ad esclusivo vantaggio del bilancio di esercizio dell’ente locale che dispone la nomina. Questo principio vale per il personale con qualifica dirigenziale, per il quale i magistrati contabili hanno richiamato l’articolo 20, comma 1 e 2 del ccnl. 22 febbraio 2010, che stabilisce che “in aggiunta alla retribuzione di posizione e di risultato possono essere erogati, a titolo di retribuzione di risultato, solo i compensi espressamente previsti da specifiche disposizioni di legge, come espressamente recepite nelle vigenti disposizioni della contrattazione collettiva nazionale e secondo le modalità da queste stabilite”. Ma tale principio vale anche per il personale senza qualifica dirigenziale, in quanto in carenza di specifiche disposizioni legislative e contrattuali circa la destinazione del compenso al dipendente, il corrispettivo previsto dalla società è posto ad esclusivo vantaggio del bilancio dell’ente locale, alleggerendo gli oneri finanziari dell’amministrazione. Secondo i magistrati contabili, pertanto, per i dirigenti tali somme non potranno essere aggiunte in aumento al fondo, ma dovranno essere utilizzate per la sua quantificazione ordinaria, né potranno essere erogate al personale privo di qualifica dirigenziale, non essendo legittima un’eterointegrazione dei compensi incentivanti in assenza di meccanismi previsti in tal senso dalla contrattazione collettiva, tesi ad incrementare la retribuzione di risultato. 2.1.2 I compensi In maniera specifica per le società pubbliche il legislatore ha introdotto una serie di disposizioni di legge che restringono i compensi agli amministratori di società partecipate da enti locali inserite nel conto economico della pubblica amministrazione e nelle società possedute al 100% dall’ente pubblico alla data del 31.05.2010. I compensi dei componenti del consiglio di amministrazione di tutte le società partecipate dall’ente sono ridotti del 10% una tantum, mentre ulteriori restrizioni sono state imposte alle società totalmente partecipate dall’amministrazione pubblica: - il compenso lordo annuale, omnicomprensivo, non può essere superiore, per il presidente al 70%, e per i componenti del CdA al 60% dell’indennità spettante al Sindaco; nel caso di società partecipate da più enti pubblici si fa riferimento al compenso del Sindaco del Comune con la maggior quota di partecipazione; 15 - è possibile prevedere indennità di risultato solo nel caso di produzione di utili e in misura comunque non superiore al doppio del compenso omnicomprensivo di cui al primo periodo. In base ad alcune interpretazioni della Corte dei Conti – Sez. Piemonte parere 29/2009, Sez. Lazio 18/2011, Sez. Emilia 11/2012 – il compenso determinato in percentuale al compenso del Sindaco del Comune considerato è da intendersi stabilito cumulativamente per l’intero Consiglio di Amministrazione. A decorrere dal 2015, le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione di maggioranza, diretta ed indiretta, degli enti pubblici locali titolari di affidamento diretto da parte di soggetti pubblici per una quota superiore all’80% del valore della produzione, che nei tre esercizi precedenti abbiamo conseguito un risultato economico negativo, procedono alla riduzione del 30% del compenso dei componenti dell’organo di amministrazione. Il conseguimento di un risultato economico negativo per due anni consecutivi rappresenta giusta causa ai fini della revoca degli amministratori. Tale disposizione non si applica in caso di sussistenza di piano di risanamento della società approvato dall’ente controllante. 2.1.3 Obblighi comunicativi Gli incarichi di amministratore delle società partecipate conferiti da soci pubblici e i relativi compensi sono pubblicati nell'albo e nel sito informatico dei soci pubblici a cura del responsabile individuato da ciascun ente. La pubblicità è soggetta ad aggiornamento semestrale. Ai sensi dell'articolo 32 della legge 69/2009 dal 1° gennaio 2011 gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati. Pertanto i dati vengono pubblicati solo sul sito informatico. La violazione dell'obbligo di pubblicazione è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.000 euro, irrogata dal Prefetto nella cui circoscrizione ha sede la società. Oltre all’esplicito riferimento normativo, la pubblicazione dei dati delle partecipate risponde ad una esigenza di pubblicità e trasparenza dell’attività dell’Ente, principio ribadito dall’articolo 11 del D. Lgs. 150/2009 come chiarito dalla delibera Civit 105/2010. Tutti gli enti e gli organismi pubblici inseriscono sul proprio sito istituzionale curandone altresì il periodico aggiornamento, l'elenco delle società di cui detengono, direttamente o indirettamente, quote di partecipazione anche minoritaria indicandone l'entità, nonché una rappresentazione grafica che evidenzia i collegamenti tra l'ente o l'organismo e le società ovvero tra le società controllate e indicano se, nell'ultimo triennio dalla pubblicazione, le singole società hanno raggiunto il pareggio di bilancio. Si ritiene che i dati debbano essere aggiornati annualmente, quanto meno per l’indicazione se il bilancio di esercizio si è chiuso in perdita, utile o pareggio. 2.1.4 Inconferabilità ed incompatibilità del D.L. 39/2013 Entrato in vigore il 4 maggio 2013 il D.lgs. 39/2013, detto anticorruzione, reca disposizioni in materia di inconferibilità ed incompatibilità relativamente all’assunzione o al mantenimento di incarichi amministrativi di vertice o dirigenziali ricoperti nella pubblica amministrazione ed in enti pubblici che possono screditare l’imparzialità degli organi amministrativi degli stessi enti eliminando in tale modo ogni possibile conflitto di interessi. Viene, inoltre, individuata una autorità nazionale anticorruzione – CIVIT – che aveva il compito di vigilare su quanto previsto dal decreto. La norma citata che ha lo scopo di eliminare i doppi incarichi e di monitorare le nomine di consiglieri degli organi amministrativi negli enti pubblici e nelle società partecipate, nel corso dei mesi successivi all’entrata in vigore, con una serie di emendamenti parlamentari, inseriti nel 16 cosiddetto “decreto del fare”, promulgato in agosto, è stata di fatto variata in alcuni punti salienti. In particolare, con i cambiamenti si è imposto un periodo transitorio - prevedendo la non applicazione della normativa in materia di incompatibilità per gli incarichi già in essere alla data di entrata in vigore, fino alla data di scadenza degli stessi incarichi – e si è di fatto sottratto il potere di controllo su possibili conflitti di interesse, al CIVIT, trasformandolo in un semplice ufficio studio. Riassumendo, il decreto in oggetto prevede le seguenti fattispecie: La prima parte del decreto, dopo aver circoscritto l’ambito di applicazione, determina le cause di inconferibilità: 1) di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione. L’inconferibilità si applica anche nel caso di condanne non definitive o di patteggiamento; 2) di incarichi a soggetti provenienti da enti di diritto privato regolati o finanziati nelle amministrazioni statali, regionali e locali. La norma è rivolta a coloro che negli ultimi due anni abbiano svolto incarichi e ricoperto cariche in enti di diritto privato finanziati dall’amministrazione pubblica; 3) di incarichi a componenti di organi di indirizzo politico di livello regionale o locale. L’inconferibilità in questo caso colpisce tutti i soggetti che nei due anni precedenti hanno ricoperto cariche di carattere politico in consigli e/o giunte regionali, provinciali o comunali. Successivamente, il Legislatore prende in considerazione le cause di incompatibilità: 1) tra incarichi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti privati in controllo pubblico e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalle pubbliche amministrazioni nonché lo svolgimento di attività professionale. Gli incarichi amministrativi di vertice e gli incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni, che comportano poteri di vigilanza e di controllo sulle attività svolte dagli enti che conferiscono l’incarico sono incompatibili con l’assunzione o il mantenimento di altri incarichi o cariche, anche se trattasi di attività professionale, nell’ente che conferisce l’incarico. 2) tra incarichi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti privati in controllo pubblico e cariche di componenti di organi di indirizzo politico. La norma disciplina le incompatibilità distinguendo i vari livelli – statali, regionali e locali -. In pratica gli incarichi amministrativi di vertice nei tre livelli di amministrazione sono incompatibili con le cariche di componente di giunta e/o di consigliere degli enti pubblici e con la carica di presidente e di amministratore delegato di un ente di diritto privato con controllo pubblico. L’incompatibilità in ambito provinciale e comunale, sussiste solo se tali enti superano i 15.000 abitanti. Per i comuni il limite di 15.000 è valido anche in forma associativa di più comuni; La prevenzione della violazione delle disposizioni del decreto è affidata alla vigilanza da parte dei responsabili dei piani anticorruzione e all’autocertificazione da parte del destinatario dell’incarico: la vigilanza sul rispetto delle disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto privato in controllo pubblico è effettuata, ai sensi dell'art. 15, dal responsabile del piano anticorruzione di ciascun soggetto, con obbligo di segnalazione delle eventuali violazioni all'Autorità nazionale anticorruzione, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nonché alla Corte dei conti, per l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative, mentre, inoltre, ai sensi dell'art. 20 del Decreto de quo, sussiste l’obbligo dell'interessato, all'atto del conferimento dell'incarico, di presentare una dichiarazione sulla insussistenza di una delle suddette cause di inconferibilità, e l’adempimento dell’obbligo è condizione per l'acquisizione dell'efficacia dell'incarico. 17 2.1.5 Incarichi a dipendenti pubblici (art. 53 DLgs n. 165/2001) I dipendenti pubblici, con esclusione di quelli a part-time non superiore al 50% del tempo pieno, non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. In caso di inosservanza, ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso per le prestazioni svolte deve essere versato a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, all’amministrazione di appartenenza per essere destinato a incremento del fondo di produttività Il conferimento, senza previa autorizzazione, di incarichi retribuiti da parte di enti pubblici economici e di soggetti privati a dipendenti pubblici e` soggetto a una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti sotto qualsiasi forma al pubblico dipendente. Entro 15 giorni i soggetti che erogano compensi per incarichi a dipendenti pubblici devono comunicare all’amministrazione di appartenenza i compensi erogati nell’anno precedente (comma 11). Entro il 30 giugno di ogni anno le amministrazioni pubbliche che conferiscono o autorizzano incarichi retribuiti ai propri dipendenti devono comunicare al Dipartimento della funzione pubblica l’elenco degli incarichi, i compensi erogati anche da altri soggetti. L’omissione delle comunicazioni del 30 aprile e del 30 giugno, comporta l’impossibilità di conferire incarichi fino all’adempimento e l’applicazione, per gli enti pubblici economici e per i soggetti privati di una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti sotto qualsiasi forma al pubblico dipendente. 2.2 I controlli del revisore sulla costituzione ed affidamento di servizi L’art. 3 co. 1 lett. D D.L. 10/10/2012 n. 174 convertito in L. 7/12/2012 n. 213 ha sostituito l’art. 147 D. Lgs. n. 267/2000 prevedendo l’art. 147 quater che riguarda proprio la disciplina dei “controlli sulle società partecipate non quotate.” L’ente locale deve definire secondo la propria autonomia organizzativa, un sistema di controlli sulle società non quotate partecipate dallo stesso ente locale teso a verificare se gli obiettivi gestionali a cui deve tendere la partecipata secondo parametri quali-quantitativi siano stati realizzati. Devono essere rilevati i rapporti finanziari tra l’Ente e le partecipate, la situazione contabile, gestionale e organizzativa della società, i contratti di servizio, qualità dei servizi e il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica. I risultati complessivi della gestione dell’ente e delle partecipate non quotate sono rilevati mediante bilancio consolidato secondo la competenza economica. Tali disposizioni si applicano agli enti con popolazione superiore ai 100.000 abitanti, a 50.000 abitanti per il 2014 e a 15.000 abitanti a decorrere dal 2015. La costituzione delle società,istituzioni e aziende speciali deve essere autorizzata dal Consiglio comunale ai sensi dell’articolo 42, comma 2, lettera e) del Tuel indicando gli interessi pubblici perseguiti nel rispetto dell’art.3, comma 27 della legge 244/2007. L’organo di revisione deve esprimere sulla proposta di deliberazione da sottoporre al consiglio un parere obbligatorio ai sensi dell’art. 239, comma 1 del Tuel. L’organo di revisione deve provvedere alla verifica del rispetto del contratto di servizio e di ogni suo eventuale aggiornamento e modifica. Nel caso di costituzione di organismi partecipati l’organo di revisione deve asseverare ai sensi dell’art.3 comma 32, della legge 244/2007 il trasferimento delle risorse umane e finanziarie e trasmettere una relazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento della Funzione Pubblica e al Ministero dell’Economia e delle Finanze –Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, segnalando eventuali inadempimenti anche alle sezioni competenti della Corte dei Conti. 18 2.2.1 In generale I controlli dell’organo di revisione sulla costituzione, acquisto di partecipazioni ed affidamento dei servizi a società partecipate si possono così sintetizzare: a) se la forma societaria, l'entità della partecipazione ed i servizi affidati sono compatibili con le norme statutarie dell'ente; b) se la stessa attività è esercitata direttamente o indirettamente da altri organismi dell'ente) ; c) se per la costituzione o l'acquisizione della partecipazione sono state rispettate le disposizioni regolamentari dell'ente; d) se sono state rispettate le modalità di affidamento del servizio; e) se sono previsti nel bilancio annuale e pluriennale gli oneri ed i proventi derivanti dal contratto di servizio; f) se sono stati rispettati i limiti, i compensi attribuiti e le cause di incompatibilità, ineleggibilità ed interdizione dell'organo amministrativo.. 2.2.2 Società in house a) se il capitale è interamente pubblico se sono indicate le modalità per esercitare il controllo analogo b) se l’attività prevalente in termini di fatturato a favore dell’ente o della sua popolazione c) se il contratto di servizio indica chiaramente i rapporti finanziari, economici, patrimoniali e fiscali fra le parti e che gli oneri previsti nel contratto di servizio siano coerenti con le previsioni di bilancio d) se sono rispettate le regole fiscali 2.2.3 Società strumentali a) se il servizio è strumentale a favore dell'ente o a favore di una società per servizi pubblici; b) se il servizio strumentale è gestito con società mista il partner privato è stato scelto con gara a doppio oggetto. L’art. 239 del D.Lgs. 267/2000 assegna, in particolare, all’organo di revisione la funzione di collaborazione con l’organo consiliare secondo le disposizioni dello statuto e del regolamento, la formulazione di pareri obbligatori su sette tipologie di atti e la vigilanza/controllo sulla regolarità, finanziaria ed economia della gestione. 19 CAPITOLO III IL PERSONALE 3.1 I vincoli sulle assunzioni e sulla spesa di personale Notevole è l'incertezza degli Enti Locali e degli operatori dei servizi pubblici, circa gli esatti confini di incidenza delle disposizioni che il legislatore ha prodotto in questi anni, in materia di personale delle società pubbliche, o, meglio, di tutti i soggetti giuridici pubblici svolgenti attività esternalizzate per conto della P.A. Uno dei tanti vincoli in materia di personale prevede, all’art. 76 del DL 112/2008 (aggiornato con la legge 147/2013) che: “E' fatto divieto agli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 50 per cento delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite del 40 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente. Ai soli fini del calcolo delle facoltà assunzionali, l'onere per le assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale è calcolato nella misura ridotta del 50 per cento; le predette assunzioni continuano a rilevare per intero ai fini del calcolo delle spese di personale previsto dal primo periodo del presente comma. Ai fini del computo della percentuale di cui al primo periodo si calcolano le spese sostenute anche dalle aziende speciali, dalle istituzioni e dalle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica……. Entro il 30 giugno 2014, con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e dell’interno, di’intesa con la Conferenza unificata, è modificata la percentuale di cui al primo periodo, al fine di tenere conto degli effetti del computo della spesa di personale in termini aggregati. La disposizione di cui al terzo periodo non si applica alle società quotate su mercati regolamentari. Per gli enti nei quali l'incidenza delle spese di personale è pari o inferiore al 35 per cento delle spese correnti sono ammesse, in deroga al limite del 40 per cento e comunque nel rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno e dei limiti di contenimento complessivi delle spese di personale, le assunzioni per turn-over che consentano l'esercizio delle funzioni fondamentali previste dall'articolo 21, comma 3, lettera b), della legge 5 maggio 2009, n. 42; in tal caso le disposizioni di cui al secondo periodo trovano applicazione solo in riferimento alle assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di istruzione pubblica e del settore sociale”. Nel calcolo delle percentuali sopra indicate devono essere considerate anche le spese sostenute dalle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ma che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica. A tale dettame, restano escluse le società quotate su mercati regolamentati. Fermo restando quanto previsto dall’art. 76 sopra citato, gli enti locali possono escludere dall’applicazione dei vincoli limitativi di assunzione di personale tutte le aziende speciali ed istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l’infanzia, culturali ed alla persona (ex IPAB) e le farmacie. L’esonero avviene dal 1/1/2014 ,con delibera motivata da 20 parte dell’Ente fermo restando l’obbligo di garantire il raggiungimento degli obbiettivi di risparmio e di contenimento della spesa del personale. La norma, così come stilata ha creato notevole confusione, dando il via a diverse interpretazioni da parte degli organismi della Corte dei Conti – a volte difforme tra di loro – destinate a riscrivere ogniqualvolta le modalità di attuazione. E' evidente che, il perdurare dell'incertezza in questa delicata materia, comporta molteplici conseguenze: - per le aziende, che sono comunque soggetti economici, che non avendo certezze non riescono a definire una giusta politica fra costi e ricavi; - per i dipendenti, che pur a fronte di incrementi di produttività, rischiano di non vedere riconosciuto il proprio contributo. Nel presente documento, saranno esaminate le seguenti problematiche: a) l’area di consolidamento, cioè l’identificazione di quali società devono essere considerate per il computo della spesa di personale da inglobare nella spesa complessiva dell’Ente ed un metodo per il computo, cioè quale parte delle spese di personale deve essere consolidata con quelle dell’ente locale; b) i vincoli assunzionali e consolidamento della spesa; c) i vincoli delle società in house. 3.1.2 Area di consolidamento e metodo di calcolo Per poter costruire un modello interpretativo, si sono prese in considerazione le delibere più autorevoli, che si ritengono essere le seguenti: 1- Corte dei Conti, Sezione Autonomie, n° 14/2011; 2- Corte dei Conti, Sezione controlli Toscana, n° 3/2012; 3- Corte dei Conti, Sezione controlli Lombardia, n° 75/2012. Si evidenzia che la Sezione Autonomie - con deliberazione n° 14/2011 -, ha precisato che quanto esposto nel D.L. deve essere inteso come “linea interpretativa di indirizzo, non vincolante….” al fine di valutarne gli effetti nei diversi casi concreti che si presenteranno, mentre in caso di evidente contrasto tra le pronunce delle sezioni regionali, potrà pervenirsi ad una decisione delle sezioni riunite, cui le sezioni regionali dovranno conformarsi. a) L’area di consolidamento Gli spazi di comportamenti elusivi da parte degli Enti, nel definire le società partecipate soggette ad essere incorporate nell’area di consolidamento, sono ampi ed evidenti. La Corte dei Conti – Sezione unite – è intervenuta cercando di fissare dei criteri di individuazione. Stante le difficoltà interpretative vediamo in modo schematico quali sono le società che sono interessate al provvedimento e quelle che non lo sono. Società soggette a consolidamento: innanzitutto, la Corte così come previsto dall’art. 2359 del CC, ritiene che sono da considerarsi controllate le società partecipate al 100% da uno o più enti pubblici, in quanto vi è un controllo totalitario da parte del pubblico. Tale controllo avviene quando gli Enti dispongono: 1) la maggioranza dei voti esercitabili nelle assemblee dei soci; 21 2) di voti sufficienti per esercitare una influenza dominante in assemblea. Non risulta applicabile il suddetto dettame nelle società sulle quali il controllo è esercitato attraverso altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali. Infatti, la Corte dei Conti sembra fare valere il senso letterale “società a partecipazione pubblica totale o di controllo”, che fa leva sul controllo basato sul possesso di partecipazioni societarie rispetto al controllo in senso sostanziale previsto dall’art. 2359 del CC. Una volta individuate le società che hanno tali caratteristiche, tra queste devono essere considerate soltanto quelle: - titolari di affidamento diretto, cioè senza gara, di servizi pubblici locali a rilevanza economica; - che svolgono funzioni a favore dell’ente volte a soddisfare bisogni di interesse generale, senza carattere industriale, commerciale indipendentemente dalle modalità di affidamento del servizio, che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica. Società non soggette a consolidamento: Restano, pertanto, escluse: Ø società quotate e quelle affidatarie di servizi tramite gara per espressa previsione normativa, queste società non rientrano nel consolidamento, in quanto, trovandosi a competere sul mercato, sono costrette ad assumere politiche orientate all’efficienza, all’efficacia e all’economicità gestionale atte a garantirne il buon andamento economicofinanziario; Ø società indirette nel consolidamento devono essere considerate le società holding, in quanto destinatarie di affidamento diretto, mentre restano fuori le controllate da quest’ultima in quanto affidatarie di servizi da parte della holding e non direttamente dalla pubblica amministrazione; Ø organismi non costituiti sotto forma di società di capitali gli organismi partecipati non aventi natura di società di capitali, quali i consorzi, le fondazioni, le aziende speciali e tutte le altre forme partecipative. Il metodo per il computo Per la verifica di quali costi, delle partecipate, debbano essere considerate e quali siano le corrette modalità di calcolo, la Corte ha preliminarmente ricordato agli enti, la necessità di redigere il bilancio consolidato, in modo da rappresentare una situazione veritiera e corretta sull’andamento finanziario, economico e patrimoniale del “gruppo”. La Corte – in particolare la sezione Lombardia è intervenuta spesso sull’argomento – ha più volte sottolineato l’esigenza di tenere conto dei risultati – in termini di ammontare di spese e di debito conseguiti dalle società a partecipazione pubblica totale o maggioritaria, al fine di evitare il formarsi di situazioni occulte di debito destinate a gravare sulla collettività pubblica. Si ricorda che in questo senso con DL 95/2012, art. 6, co. 4, a partire dal rendiconto 2012, i Comuni devono allegare un prospetto - nota informativa contenente la verifica dei crediti e debiti reciproci tra l’Ente e le società partecipate - indicando i debiti e i crediti che l’ente ha nei confronti delle sue partecipate, documento che deve essere certificato dai revisori dei conti. Per le modalità di calcolo che devono seguire gli enti, la Corte ha chiarito che i dati rilevanti possono essere tratti dai questionari allegati alle relazioni del revisore al rendiconto dell’ente, essendo dati certificati e verificati dall’organo di controllo. La Sezione autonomie, in attesa che si completi l’attuazione per la redazione del bilancio consolidato, ha proposto due metodi di calcolo da applicare secondo la natura della partecipata: - società strumentale, ovvero, che percepiscono corrispettivi per le prestazioni rese a favore dell’ente, i dati da considerare sono: - i corrispettivi pagati dall’ente; 22 - l’intero valore della produzione (quadro A del conto economico); i costi del personale (voce B9 del conto economico). b) Le modalità di calcolo Ottenuti i seguenti dati si procede nel prendere i corrispettivi pagati alla società per le prestazioni rese a favore dell’ente dividerlo all’intero valore della produzione (quadro A CE), ottenuta la percentuale applicarla all’intero costo del personale, ottenendo così il costo di personale da consolidare nel bilancio dell’ente. Esempio Il comune è unico socio di una società strumentale, dove una parte del servizio ricevuto è versato direttamente dall’ente e la differenza dagli utenti usufruitori Corrispettivi versati dal Comune Corrispettivi versati dagli utenti A) Totale euro euro euro 100 30 130 Corrispettivi Variazione rimanenze Altri ricavi B) Totale valore della produzione (quadro A CE) euro euro euro 130 8 5 143 C) Valore A x 100 : B euro 91% D) Costo totale di personale (voce B9) euro 54 E) Importo di personale da consolidare C x D euro 49 Il metodo esposto si ritiene accettabile per le società strumentali ed il risultato non si discosta rispetto all’incidenza nel caso di gestione diretta da parte dell’ente. - società di gestione di servizi pubblici locali che ricevono i ricavi sotto forma di tariffe in modo diretto dall’utente (servizi a domanda) o che vivono di ricavi propri (es. farmacie), anche in questo caso i dati da utilizzare sono: - ricavi da tariffe o vendita; - l’intero valore della produzione (quadro A del conto economico); - i costi del personale (voce B9 del conto economico). Il procedimento di calcolo è simile a quello esposto per le società strumentali, solo che in questo caso se i servizi sono gestiti internamente dall’ente locale, questi hanno rilevanza sia nella spesa che nell’entrata dell’ente. Pertanto la somma ottenuta dal calcolo, deve essere aggiunta nel denominatore della spesa corrente del Comune. Esempio di bilancio con gestione diretta farmacia (enti locali e società partecipate di Antonino Borghi) Spesa servizio farmacia Spesa personale farmacia Spesa totale di personale altri servizi Altre spese Totale titolo I % spese di personale (250/1.000) euro euro euro euro euro % 100 30 220 650 1.000 25 23 Bilancio ente locale senza farmacia Spese personale altri servizi Altre spese Totale titolo I % spese di personale (220/870) euro euro euro % 220 650 870 25 euro euro euro euro 130 130 30 30 Bilancio società di gestione farmacia Valore della produzione Ricavi da utenti Costo per il personale Costi per il personale da imputare all’ente Incidenza spese di personale con il metodo proposto dalla Corte Spesa totale di personale altri servizi Spesa di personale farmacia Totale spese di personale Totale titolo I dell’ente Aggiunta ricavi da utenti Totale spese correnti Spese di personale (250/1000) euro euro euro euro euro euro % 220 30 250 870 130 1.000 25 Con tale metodologia non si crea diseguaglianza del risultato a seconda che vi sia stato o meno ricorso alla gestione esternalizzata del servizio. 3.2 Gli ultimi interventi legislativi sui vincoli assunzionali e sul consolidamento della spesa Negli ultimi anni, con lo scopo di ridurne il costo, tutte le manovre finanziarie sono intervenute sulla spese del personale degli enti pubblici e in particolare di quelli locali. Nonostante questi interventi però la spese di personale degli enti è continuata a crescere. La mancata efficacia delle norme è dovuta principalmente a due ragioni: la prima è che alcune norme non sono state mai applicate per mancanza di decreti attuativi, l’altra è che molti enti hanno utilizzato le società partecipate per raggirarne la disciplina. Il patto di stabilità 2013, restringe ulteriormente la capacità assunzionale da parte degli Enti, infatti, la normativa “consente a tutti gli enti locali assunzioni a tempo indeterminato nel limite del 40% della spesa corrispondente alle cessazioni intervenute nell’esercizio precedente, a condizione che nel bilancio dell’ente l’incidenza delle spese di personale non superi il 50% delle spese correnti”. Gli enti locali, pertanto, possono effettuare assunzioni a tempo indeterminato solo se sono in possesso, contemporaneamente dei seguenti tre requisiti: 1) rispetto del patto di stabilità 2) rispetto del tetto alla spesa del personale 3) rispetto del rapporto massimo del 50% nel rapporto tra spesa del personale e spesa corrente. L’applicazioni della disciplina su tali vincoli assunzionali è oggetto di innumerevoli deliberazioni da parte delle varie sezioni della Corte dei Conti, anche in questo caso spesso in contrasto tra di loro. Molti interventi, tra l’altro, sono improntati a chiarire se le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni sono soggette ai vincoli di spesa per le nuove assunzioni di personale e se tali spese vanno consolidate con quelle dell’ente partecipante o no. 24 A tale proposito si segnala la sezione controllo della Lombardia che ha sviluppato nel corso del tempo un rilevante e costante orientamento nella direzione della gestione consolidata dei vincoli assunzionali inerenti il personale delle società partecipate. A tale riguardo, è sufficiente citare il parere n. 479/2011, che afferma come la «giurisprudenza della Sezione ha, da tempo, chiarito che vanno considerate come sostenute direttamente dall'ente locale anche le spese di personale iscritte nel bilancio della società pubblica in house, tanto nel caso di partecipazione totalitaria unica, quanto nel caso di compartecipazione plurisoggettiva intercorsa fra vari enti locali da computare in misura proporzionale alla partecipazione detenuta». Tale pronuncia, tra l'altro, evidenzia che «il principio del consolidamento è, infatti, espressamente avallato dalle Sezioni riunite, le quali (cfr. Delibera 25 gennaio 2011 n. 3) rinvengono un tendenziale criterio nell'ordinamento "inteso a rilevare unitariamente le voci contabili riferite alla spesa per il personale tra ente locale e soggetto a vario titolo partecipato ai fini di rendere più trasparente la gestione delle risorse e di evitare possibili elusioni delle disposizioni di contenimento della spesa, principio da declinare in coerenza ai parametri normativi specificamente definiti e nel rispetto delle disposizioni vincolistiche previste". Tali principi di consolidamento, ad esempio, sono esplicitamente riferiti dal parere n. 49/2012 sempre della Sezione regionale di controllo della Lombardia della Corte dei conti - ai vincoli di cui all'articolo 1, commi 557 e 557-bis, della legge 296/2006, imponendo di imputare al Comune, come propria, la quota parte della spese di personale sostenute dalle società in house. Analoghe considerazioni si rinvengono altresì nel parere n. 260/2012 ancora della Sezione regionale di controllo della Lombardia. Quest'ultimo, da un lato, esclude che il Comune, ai fini della determinazione delle proprie possibilità assunzionali, possa sommare alle proprie cessazioni quelle delle società partecipate mentre, dall'altra parte, sottolinea come “la società in house può acquisire personale se ed in quanto il Comune partecipante non sia incorso in violazioni sanzionate con il divieto di assunzioni”. L'approccio consolidato, merita infine ricordare, non è adottato soltanto dalla Sezione Lombarda della Corte dei conti. E' sufficiente citare, a titolo esemplificativo, la pronuncia della Sezione della Liguria n. 47/2012 che, in relazione al vincolo riguardante le assunzioni flessibili, ha affermato che “deve rinviarsi, nella specie, anche con riferimento ai vincoli derivanti dall'articolo 9, comma 28, del Dl n. 78 del 2010, al principio di consolidamento della spesa di personale tra ente locale e società partecipata, sussistendo, dunque, un solo tetto complessivo delle spese sostenute per il personale a tempo determinato, da calcolare in capo all'ente locale in base alle attività del gruppo municipale, senza che gravi un concorrente ed autonomo limite percentuale in capo alla società in house singolarmente intesa”. Come sopra accennato non tutte le delibere delle Sezioni regionali sono univoche, infatti, su posizioni diametralmente opposte si è attestata la sezione Toscana che con parere n° 10/2013 ha affermato che l’applicazione dell’art. 9 comma 28 L. cit “deve avvenire in maniera distinta, senza consolidamento tra ente locale e società partecipata”, non essendo ammissibile che l’ente locale ceda la propria capacità assunzionale alla partecipata. Ogni soggetto quindi deve applicare il tetto di spesa in maniera autonoma e separata. A sostegno di tale tesi viene inoltre osservato che il dettato dell’art. 9 si coordinerebbe con quanto disposto dall’art. 4 comma 10 della L. 135/2012. Quest’ultima norma prevede che le controllate che nel 2011 abbiano avuto un fatturato da prestazione di servizi a favore di PA superiore al 90% del totale, a partire dal 2013 possono avvalersi di personale a tempo determinato o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa entro il limite di spesa del 50% della spesa del 2009, similmente a quanto afferma l’art. 9, comma 28 L. 122/2010. Con nota n° 1335 del 13 marzo 2013 gli esperti del Dipartimento della funzione pubblica escludono qualsiasi rinvio dinamico tra l’art. 9, co. 28, L. 122/2010 e l’art. 4, co. 10, L. 135/2012, che in realtà 25 costituisce norma di stretta interpretazione. La limitazione al 50% della spesa del 2009, ha ambiti di applicazione differenti nelle due norme: l’art. 9 che vincola le amministrazioni statali, impone l’indicato tetto di spesa per ogni forma di assunzione flessibile, mentre l’art. 4, che si applica alle società partecipate, fissa un tetto di spesa solo per i contratti di lavoro a tempo determinato e le collaborazioni coordinate e continuative. Ne discende che le somministrazioni di lavoro delle società partecipate non incontrerebbero alcun limite di spesa. Si noti in ogni caso, che le limitazioni previste dall’art. 4, co. 10, L. 135/2012, non si applicano neanche a quelle società in house che fuoriescono dal suo ambito applicativo, cioè a quelle società partecipate che hanno avuto un fatturato per prestazione di servizi alle pa inferiori al 90% dell’intero, nonché alle società indicate al comma 3 dell’art. 4. Alla luce di tali contrasti interpretativi sembra, quindi, quanto mai utile un chiarimento definitivo da parte della Corte dei conti - attraverso le Sezioni riunite ovvero la Sezione delle Autonomie oppure da parte del legislatore, allo scopo di dare certezza a una disciplina estremamente complessa e talvolta disorganica e di assicurarne un'applicazione appropriata e uniforme da parte dei diversi Enti locali. 3.3 I vincoli delle società in house Con la nuova legge di stabilità (legge 147/2013) è stato abrogato il vincolo in materia di personale riguardante le società in house previsto dal D.L. n° 138/2011 art. 3bis, il quale stabiliva l’assoggettamento al patto di stabilità interno. Per le società in oggetto viene richiamato il novellato art. 2bis della L. 133/2008 con la quale si predispone che le società in house sono soggette: 1. all’obbligo di adeguare le proprie politiche assunzionali a quelle vigenti per l’ente azionista con il contenimento delle retribuzioni individuali e della retribuzione accessoria; a rispettare i criteri e le modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi così come previsto D.Lgs 165/2001 che prevede: - una adeguata pubblicità del bando; - economicità e celerità della procedura; - selezione oggettiva e trasparenza dei requisiti attitudinali e professionali; - rispetto delle pari opportunità; - decentramento delle procedure - composizioni adeguate con componenti con i giusti requisiti professionali e privi di cariche politiche nell’ente o sindacali; 2. a contenere gli oneri contrattuali, le altre voci di natura contributiva ed indennitaria e gli onorari per consulenze esterne e per cariche di amministratori. Ad ogni modo, come fatto osservare dal Corte di Conti, Sez. Regionale di Controllo per la Lombardia, n. 260/2012, l’art. 3bis e pertanto, il patto di stabilità, si applica a tutte le società in house anche quelle escluse dai d.l. 112/2008, art. 18 e d.l. 78/2010, art. 9 – decreti rivolti esclusivamente a società a partecipazione pubblica, totale o di controllo, inserite nell’elenco ISTAT. 26 CAPITOLO IV I RAPPORTI FINANZIARI 4.1 I controlli interni sulle società partecipate L’art.239 del d.lgs. 267/2000 assegna, in particolare, all’organo di revisione la funzione di collaborazione con l’organo consiliare secondo le disposizioni dello statuto e del regolamento, la formulazione di pareri obbligatori su sette tipologie di atti e la vigilanza/controllo sulla regolarità, finanziaria ed economia della gestione. La vigilanza sulla regolarità contabile e finanziaria deve essere svolta sull’intera gestione diretta ed indiretta dell’ente locale (vedi Corte dei Conti, Sezione autonomie, delibera n.2/1992). Nei questionari sul rendiconto da inviare annualmente alla Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti ( vedi: Sezione Autonomie della Corte dei Conti, delibera n. 18/SEZAUT/2013/INPR depositata in segreteria il 1 agosto 2013), sono richieste all’organo di revisione gli esiti dei controlli effettuati oltre ad elementi per la verifica degli equilibri finanziari dell’ente e del rispetto degli obiettivi di finanza pubblica. Il controllo dell’organo di revisione sugli organismi partecipati deve essere svolto: • sul rispetto dei vincoli normativi sulla costituzione, organizzazione e gestione e sul mantenimento delle partecipazioni; • sul rispetto del contratto di servizio e degli obiettivi fissati a motivazione dell’esternalizzazione; • sul rispetto delle regole contabili nei rapporti fra ente locale ed organismi partecipati; • sul riflesso sugli equilibri anche prospettici delle gestioni indirette; • sul rispetto delle regole fiscali; • sulla verifica di elusioni ai vincoli del patto di stabilità: • sul rispetto dei limiti di assunzione e spese di personale; • sul rispetto delle procedure di evidenza pubblica per le fornitura di beni e servizi Le finalità del sistema di controllo sono orientate a prevenire il fenomeno delle società in perdita. Ora per le società in perdita i commi 551 e 552 dell’art.1 della legge 147/2013 (legge di stabilità 2014, costringono gli enti locali soci ad accantonare gradualmente fondi a copertura delle perdite risultanti dal bilancio delle partecipate ed il comma 555 nel caso di risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti a porre in liquidazione entro sei mesi dalla data di approvazione dell’ultimo bilancio d’esercizio le società diverse da quelle che svolgono servizi pubblici locali. Gli obblighi di controllo in capo all’ente locale socio ed all’organo di revisione assumono particolare importanza in presenza di gestioni connotate da risultati negativi, che, impongono all’ente locale, soprattutto se continuati a valutare la convenienza economica e di sostenibilità politico-sociale che giustificarono a suo tempo, la scelta di svolgere il servizio e di farlo attraverso moduli privatistici. L’art.147 quater del Tuel in vigore dall’8 dicembre 2012, richiede all’ente locale di definire, secondo la propria autonomia organizzativa, un sistema di controlli sulle società non quotate, partecipate dallo stesso ente locale. Tali controlli sono esercitati dalle strutture proprie dell'ente locale, che ne sono responsabili. La norma si applica agli enti locali con popolazione superiore a 100.000 abitanti in fase di prima applicazione, a 50.000 abitanti per il 2014 e a 15.000 abitanti a decorrere dal 2015. Le disposizioni non si applicano alle società quotate e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile. A tal fine, per società quotate partecipate dagli enti di cui al presente articolo si intendono le società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati. 27 L’ente locale deve definire preventivamente nella relazione previsionale e programmatica gli obiettivi gestionali a cui deve tendere la società partecipata, secondo parametri qualitativi e quantitativi, e organizza un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare: - i rapporti finanziari tra l'ente proprietario e la società; - la situazione contabile, gestionale e organizzativa della società; - i contratti di servizio; - la qualità dei servizi; - il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica. Sulla base delle informazioni raccolte l'ente locale deve effettuare il monitoraggio periodico sull'andamento delle società non quotate partecipate, analizza gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e individua le opportune azioni correttive, anche in riferimento a possibili squilibri economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell'ente. I risultati complessivi della gestione dell'ente locale e delle aziende non quotate partecipate devono essere rilevati mediante bilancio consolidato, secondo la competenza economica. La Corte dei Conti Sez. controllo per il Veneto con deliberazione n. 903/2012/INPR del 9 novembre 2012 ha dedicato un ampio spazio ai rapporti con le società partecipate, al fine di garantire in sede locale una sana gestione finanziaria, mediante il rispetto degli equilibri di bilancio e dei vincoli previsti in materia di indebitamento. Sostiene la Corte con tale delibera che gli obblighi di controllo devono essere sin d’ora osservati da tutti gli Enti locali, non già in base a un espresso dettato normativo, bensì in ragione delle incombenze che gravano sull’Ente, per il solo fatto di essere socio pubblico del relativo organismo partecipato. A parere della Corte ogni ente locale socio deve fattivamente adoperarsi, secondo la propria autonomia organizzativa, per effettuare: a) un costante ed effettivo monitoraggio sull’andamento della società, con una verifica costante della permanenza dei presupposti valutativi che hanno determinato la scelta partecipativa iniziale; b) tempestivi interventi correttivi in relazione a eventuali mutamenti che intercorrano, nel corso della vita della società, negli elementi originariamente valutati. Lo scopo di tale monitoraggio, secondo la magistratura contabile veneta, è quello di prevenire fenomeni patologici e ricadute negative sul bilancio dell’Ente, e presuppone in re ipsa un’azione preventiva di verifica e controllo, da parte del Comune, in merito alle attività svolte dalla società. La carenza dei prescritti sistemi informativi all’interno della struttura organizzativa deporrebbe, nel caso di ricadute negative, quale circostanza aggravante, a sostegno di una conclamata responsabilità per colpa grave a carico dei soggetti che non hanno provveduto all’ottemperanza della legge con la diligenza prescritta. 4.2 Pareri obbligatori sulla gestione dei servizi Il D.L.n.174 del 10/10/2012, convertito con modificazioni dalla legge 7/12/2012 n.213, aggiunge nuove funzioni per l’organo di revisione degli enti locali, modificando la lettera b) del comma 1 del d.lgs.267/2000 (Tuel). Le nuove funzioni concernono pareri obbligatori su proposte di deliberazione da sottoporre al Consiglio su atti fondamentali della gestione. I pareri rientrano nella funzione di collaborazione con il massimo organo dell’ente. L’organo consiliare è tenuto ad adottare i provvedimenti conseguenti o a motivare adeguatamente la mancata adozione delle misure proposte dall’organo di revisione. Il regolamento di contabilità deve stabilire entro quale termine l’organo di revisione dovrà esprimersi tenendo conto dell’esigenza dell’ente di non ritardare il procedimento e di quella dell’organo di revisione di poter approfondire e valutare i contenuti e gli effetti della proposta e formulare il parere. 28 Per il parere sul bilancio di previsione il comma 2 dell’art.174 del Tuel demanda, infatti, al regolamento di contabilità di stabilire un “congruo” termine per l’adempimento. Sul piano operativo all’organo di revisione dovrà essere trasmessa una proposta di atto deliberativo completa di tutti gli allegati. Su tale proposta l’organo di revisione dovrà esprimere un parere entro il termine stabilito dal regolamento di contabilità. Le sette nuove tipologie di materie sulle quali sono richiesti i pareri obbligatori sono una parte di quelle attribuite al Consiglio dall’art.42 del Tuel e per la gestione dei servizi sono richiesti pareri sulla modalità di gestione dei servizi e proposte di costituzione o di partecipazione ad organismi esterni. Sono richiesti pareri sugli atti attribuiti al Consiglio dalla lettera e) del comma 2 dell’art.42 del Tuel. “organizzazione dei servizi pubblici, costituzione di istituzioni ed aziende speciali, concessione dei pubblici servizi, partecipazioni dell’ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi mediante convenzione” Sono pareri d’importanza fondamentale per cercare di evitare i negativi riflessi sul bilancio dell’ente delle gestioni dei servizi affidati ad organismi partecipati. Inoltre, in aggiunta a quanto detto, il comma 553 dell’art. 1 della legge 147/2013 prescrive ai soli soggetti partecipati in via maggioritaria, direttamente e indirettamente, dalle pubbliche amministrazioni locali, il perseguimento della “ sana gestione dei servizi secondo criteri di economicità ed efficienza”, al fine di concorrere alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. A tale scopo il legislatore ha previsto: • • per i servizi strumentali: parametri standard di riferimento costituiti da prezzi di mercato; per i servizi pubblici locali parametri standard dei costi e dei rendimenti da costruirsi nell’ambito della banca dati delle amministrazioni pubbliche, di cui all’art.13 della legge 196/2009, utilizzando le informazioni disponibili presso le amministrazioni pubbliche. 4.3 Le principali operazioni finanziarie Nel dettaglio le principali operazioni finanziare tra enti locali ed organismi partecipati sono le seguenti: 4.3.1 Aumenti di capitale Può essere effettuato con denaro, beni in natura e crediti (art.2342 C.C.) Per i conferimenti di beni in natura e crediti occorre la relazione giurata di cui all’art. 2343 del C.C. fatte salve le eccezioni di cui all’art.2343 ter del C.C. Per l’ente locale nessuna rilevazione finanziaria consegue al conferimento di beni in natura. Il conferimento di beni in natura richiede una variazione nel conto del patrimonio in diminuzione del valore iscritto nelle immobilizzazioni materiali e in aumento nelle immobilizzazioni finanziarie con rilevazione dell’eventuale plusvalenza nel conto economico area E. Il conferimento in denaro deve essere rilevato nella contabilità finanziaria al titolo II all’intervento 08 “ partecipazioni azionarie”. 4.3.2 Conferimento di beni alla società L’ente locale non può conferire alla società i beni demaniali di cui agli artt. 822 e 824 c.c. (strade, cimiteri ecc.) per i quali, ai sensi dell’art. 823 c.c., al di fuori dei casi specificatamente previsti dalla legge, la proprietà non può essere ceduta a soggetti terzi (anche se questi sono interamente partecipati dallo stesso ente locale). In quanto inalienabili, i beni demaniali non sono usucapibili, né pignorabili, né possono formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei limiti previsti dalla legge. 29 Il T.U. espr. (D.P.R. n. 327/01), all’art. 4, aggiunge che “i beni appartenenti al demanio pubblico non possono essere espropriati fino a quando non ne viene pronunciata la sdemanializzazione”. In ordine alle modalità di acquisto e di perdita del carattere della demanialità, vengono in rilievo le categorie dei beni appartenenti al demanio necessario e quelli appartenenti al demanio accidentale. Per gli immobili del patrimonio indisponibile -ovvero, ai sensi dell’art. 826 terzo comma c.c., gli edifici destinati a sede di ufficio pubblico e gli altri beni destinati a un pubblico servizio (ad esempio, scuole, uffici, impianti sportivi, ecc.)- è possibile, invece, il loro conferimento in proprietà a soggetti terzi, purché questi rispettino il vincolo di destinazione all’uso pubblico (art. 828 c.c.). I beni facenti parte del patrimonio indisponibile, tra l’altro, sono inespropriabili. I beni immobili, che non rientrano nella nozione di demanio pubblico o non fanno parte del patrimonio indisponibile, appartengono al c.d. patrimonio disponibile dell’ente locale. Ai sensi dell’art. 58 d.l. n. 112/2008 (conv. in l. n. 133/2008) ciascun ente locale con delibera di giunta, individua redigendo apposito elenco, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione. Viene così redatto il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione. L'inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica. La magistratura contabile, in proposito, ha affermato che “dal tenore letterale della norma si evince che la perdita dell’originaria connotazione di bene indisponibile non può avvenire “sic et simpliciter” mediante l’iscrizione del bene nel piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari: condizione imprescindibile per l’iscrizione del bene nei predetti elenchi è, infatti, la “non strumentalità all’esercizio delle funzioni istituzionali” che deriva dall’inidoneità o dalla “effettiva” sottrazione del bene stesso alla sua originaria destinazione pubblica. “A contrario”, si può desumere che, qualora un bene sia ancora destinato ad essere utilizzato per un pubblico scopo, lo stesso non possa essere fatto rientrare nel novero dei beni disponibili, non essendo sufficiente la temporanea inidoneità del bene a quella funzione pubblica ovvero una temporanea utilizzazione ad altri fini perché il bene perda la qualificazione di “indisponibile” (cfr. Cass. Sezioni Unite, 21 aprile 1989, n. 1889)>>. Dunque, una diversa interpretazione sarebbe incompatibile con la ratio della stessa norma che, riguardando principalmente le attività di dismissione e di valorizzazione dei beni disponibili, non potrebbe autorizzare l’assoggettamento di beni ancora indisponibili al regime tipico dei beni disponibili. Il regime dei beni disponibili comporta la commerciabilità, l’usucapibilità, la pignorabilità e l’assoggettabilità ad esecuzione forzata e sequestro del bene e dei diritti reali attribuibili a soggetti terzi in regime di diritto privato. 4.3.3 Conferimento di beni con incedibilità del capitale sociale la Corte Costituzionale (sent. n. 320/11) ha affermato che l’incedibilità del capitale della società a totale partecipazione pubblica non garantisce il mantenimento del regime giuridico proprio dei beni conferiti in proprietà alla società patrimoniale. Infatti, “è noto che il patrimonio sociale costituisce una nozione diversa da quella di capitale sociale: il primo è rappresentato dal complesso dei rapporti giuridici, attivi e passivi, che fanno capo alla società; il secondo è l’espressione numerica del valore in denaro di quella frazione ideale del patrimonio sociale netto (dedotte, cioè, le passività) che è fissata dall’atto costitutivo e non è distribuibile tra i soci. Ne deriva che l’incedibilità delle quote od azioni del capitale sociale, “non comporta anche l’incedibilità dei beni che costituiscono il patrimonio della società; beni, perciò, che possono liberamente circolare e che integrano la garanzia generica dei creditori (art. 2740 cod. civ.), limitabile solo nei casi stabiliti dalla legge dello Stato nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia di ordinamento civile. La sola partecipazione pubblica, ancorché totalitaria, in società di capitali non vale, dunque, a mutare la disciplina della circolazione giuridica dei beni che formano il 30 patrimonio sociale e la loro qualificazione. 4.3.4 Conferimento di reti L’ente locale, avvalendosi sia dei poteri autoritativi sia dei poteri tipici del socio unico, deve assicurare che le reti funzionali all’erogazione dei servizi pubblici mantengano il carattere della demanialità e, quindi, anche il regime dell’inalienabilità e dell’inespropriabilità. Un limite di carattere speciale per cui, per alcune tipologie di beni facenti parte del demanio pubblico, è preclusa all’ente locale la possibilità di procedere ad una sdemanializzazione (e, quindi, è preclusa la possibilità di trasferirli ad una società patrimoniale). Per le reti del servizio gas metano invece vale solo il vincolo di destinazione a pubblico servizio. Le reti e gli impianti del servizio gas metano sono da considerarsi beni patrimoniali disponibili. Per tali beni il codice civile pone soltanto una limitazione alla facoltà di mutare le loro destinazione e restando soggetti al diritto privato possono formare oggetto di tutti i negozi giuridici privati compreso quelli traslativi della proprietà (vedi Cassazione civile sezioni unite sentenza del 18/2/2011 n.3936). La Corte dei conti, sez. regionale di controllo per la Regione Lombardia, con delibera del 3/7/2013 n. 295, si è espressa sull'ammissibilità della proprietà di beni e impianti strumentali all'esercizio del servizio pubblico di erogazione del gas in capo a soggetti diversi dall'ente pubblico concedente. Secondo la Sezione La proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni destinate al servizio di distribuzione del gas - confluita nel patrimonio indisponibile - è attribuibile, oltre che all'ente pubblico, a società patrimoniali di reti dello stesso ente e, nei limiti dell’unitaria circolazione della proprietà con la gestione, verso soggetti privati; sono peraltro incompatibili con la natura del bene e la relativa disciplina specifica di legge, negozi di circolazione che scindano la proprietà e l'uso, a scopo di garanzia. Infatti, l'attribuzione in proprietà o nella disponibilità del privato delle reti e degli impianti si giustifica ed è legittima esclusivamente se strettamente correlata con la durata e i limiti del regime concessorio, su base contrattuale a seguito di gara condotta secondo i principi di tutela della concorrenza previsti dal diritto interno e comunitario. In precedenza la Corte dei Conti sezione di controllo del Friuli Venezia Giulia con deliberazione FVG/76/2011/PA del 15 settembre 2011, aveva affermato che il conferimento delle reti gas a società pubblica non è idoneo a preservare in modo adeguato l’utilizzazione di un bene per un pubblico scopo e sarebbe incompatibile con le esigenze di tutela dell’interesse pubblico, garantite invece dal particolare regime cui sono soggetti i beni del patrimonio indisponibile. Al contrario, con il conferimento, verrebbero sottoposti all’alea di rischio tipica dell’attività privatistica beni pubblici per i quali si impone, con particolare evidenza, il rispetto del principio di sana gestione finanziaria che implica la valutazione da parte dell’Ente locale non solo dei vantaggi derivanti nell’immediato, ma anche dei rischi che potrebbero sorgere in futuro in conseguenza della propria attività gestionale e finanziaria. 4.3.5 Conferimento beni a società patrimoniali strumentali Nel caso delle società patrimoniali esclusivamente strumentali, tuttavia, anche se non viene direttamente in rilievo la questione dell’incedibilità delle reti, si deve tenere sempre conto che il socio che dota del patrimonio immobiliare la propria società è un soggetto di diritto pubblico e, in quanto tale, deve agire nel rispetto del principio di legalità e con il fine di tutelare l’interesse pubblico. In quest’ottica, quindi, il conferimento di beni in una società di diritto privato interamente detenuta dall’ente locale conferente è legittimo se ricorre un duplice presupposto: • il conferimento deve rispettare i vincoli che conformano la proprietà pubblica, a seconda che i beni siano soggetti al regime giuridico della demanialità, dell’indisponibilità o della disponibilità; • il conferimento deve avere sempre uno stretto rapporto funzionale con l’oggetto sociale. 31 • Il conferimento di cespiti nella società patrimoniale (anche se non funzionali all’erogazione di SPL) deve rispondere al regime giuridico che a seconda della natura del bene, conforma la proprietà pubblica, nonché deve rispondere ai più generali vincoli che informano l’agire pubblico dell’ente locale (in particolare, efficienza ed economicità). 4.3.6 Trasferimenti straordinari Sono quelli diversi da contingenti esigenze gestionali (contributi in conto esercizio). I contributi straordinari sono rilevati dall’ente locale nel titolo II della spesa, intervento 07 “trasferimenti di capitale” se finalizzati alla realizzazione d’investimenti e nell’intervento 09 “conferimenti di capitale”, se finalizzati al patrimonio. Sono conferimenti in denaro o natura che non confluiscono a capitale sociale ma a riserva di patrimonio (contributi in conto capitale). Rientrano: I versamenti a fondo perduto I versamenti in conto futuro aumento capitale sociale I versamenti in conto aumento di capitale I contributi in conto capitale Non rientrano nel divieto i contributi in conto impianti poiché destinati in modo specifico a investimenti (occorre il rendiconto dell’effettivo utilizzo). 4.3.7 Aperture di credito Rientrano le concessioni di credito rilevate dall’ente locale al titolo II della spesa e contestualmente come accertamento al titolo IV delle entrate. Le concessioni di credito sono escluse dal saldo ai fini del patto di stabilità. 4.3.8 Garanzie fideiussorie Le garanzie fideiussorie sono regolate dall’art. 207 del Tuel. Gli interessi annuali delle operazioni di indebitamento garantite con fideiussione concorrono alla formazione del limite di cui al comma 1 dell’art.204 del Tuel e non possono impegnare più di un quinto di tale limite. Il limite richiamato dispone che la spesa per interessi non può superare il limite dell’8% per l’anno 2014 e del 6% a decorrere dall’anno 2015 dei primi tre titoli delle entrate del rendiconto del penultimo anno precedente quello in cui è prevista l’assunzione del mutuo o rilasciata la garanzia. Le disposizioni dei commi 2 e 3 dell’art.207 possono essere derogate con l’autonoma regolamentazione stabilita dal regolamento di contabilità. Il primo comma del citato articolo 207 prevede la possibilità per l’ente locale di rilasciare garanzia fideiussoria per l’assunzione di mutui destinati ad investimento di aziende dipendenti e di consorzi partecipati. Il comma 2 prevede la possibilità di rilasciare garanzia fideiussoria a favore di società di capitale partecipate per l’assunzione di mutui destinati ad investimenti limitatamente alle rate da corrispondersi da parte della società sino al secondo esercizio finanziario successivo a quello di entrata in funzione dell’opera ed in misura non superiore alla propria quota di partecipazione nella società. Sembra consentito, se la destinazione è ad investimento, finanziare la società in perdita anche attraverso aumenti di capitale. 4.3.9 Lettere di patronage La lettera di patronage o gradimento viene rilasciata dall’ente locale per agevolare l’accesso al credito della società partecipata. La lettera di patronage è una forma di garanzia impropria in forza della quale il patronnant fornisce alla banca finanziatrice informazioni relative al soggetto patrocinato idonee a rafforzare nella banca 32 creditrice il convincimento che il patrocinato farà fronte ai propri impegni. Con la lettera di patronage “forte” si genera un’obbligazione negoziale, assunta in proprio dal patronnant ed avente per oggetto un facere avente natura contrattuale e con finalità di garanzia. Tale lettera espone l’ente locale al rischio di escussione in caso di insolvenza della società debitrice. Alla lettera di patronage “forte”, si applica l’art. 207 del Tuel ( vedi Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia n. 408/2012). Solo le lettere di patronage “forti” sono assimilabili all’obbligazione del fideiussore esponendo l’ente garante al rischio di escussione in caso di insolvenza della società debitrice. L’assimilazione alla fideiussione comporta, ai sensi dell’art.207 del Tuel, la competenza del Consiglio alla deliberazione ed al concorso degli interessi annuali relativi alle operazioni di indebitamento garantite alla formazione del limite di cui al comma 1 dell’art. 204 del TUEL. Gli interessi annuali dei debiti garantiti con fideiussioni non possono inoltre superare un quinto di tale limite. 4.3.10 Ripiano perdite L’art.194, TUEL, rubricato “Riconoscimento di legittimità di debiti fuori bilancio”, affida al consiglio il potere di riconoscere la legittimità e provvedere al finanziamento di debiti fuori bilancio derivanti da: -copertura di disavanzi di consorzi, aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l’obbligo del pareggio di bilancio di cui all’art. 114 ed il disavanzo derivi da fatti di gestione; -ricapitalizzazione, nei limiti e nelle forme previste dal codice civile o da norme speciali, di società di capitale costituite per l’esercizio di servizi pubblici locali. La Corte dei Conti Sezione Regionale Liguria con parere espresso con delibera n. 2/2005, ha ritenuto che l’elencazione dell’art.194 sia tassativa per arginare il ricorso ad impegni non derivanti dalla normale procedura di bilancio, per rendere legittimi i debiti non previsti in sede di programmazione annuale e per disciplinare le modalità della relativa copertura. Secondo la sezione la tipologia dei debiti fuori bilancio prevista dall’art.194, co.1, lett. c), del Tuel può essere riconosciuta soltanto là dove l’integrazione del capitale sociale della società di cui l’ente possiede una quota avvenga nelle forme e nei limiti della disciplina codicistica o di altre norme speciali. Pertanto la delibera assunta nell’assemblea della società di porre a carico dei soci il ripiano di debiti è frutto di una scelta gestionale che trova fondamento in una riconosciuta esigenza di liquidità aziendale, piuttosto che in un obbligo imposto dal codice civile, per cui esso dà luogo a una modalità di ripiano delle perdite il cui debito a carico del comune non è suscettibile di essere riconosciuto legittimo ex art.194, co. 1, lett. c), TUEL. La stessa Corte con delibera n. 56 del 21/6/2011, ha ritenuto non ammissibile il riconoscimento di un debito fuori bilancio per una società strumentale, poiché non rientrante nella casistica dell’art. 194 del Tuel. La perdita di una società strumentale deve trovare allocazione nel bilancio dell’ente, tra le spese correnti del titolo I, nell’intervento 08 relativo agli oneri straordinari della gestione corrente del bilancio in cui si provvede al ripiano. Nel conto economico deve essere rilevata nell’area straordinaria (area E), come sopravvenienza passiva. Gli artt. 2446 e 2447 c.c. per le società per azioni e gli artt. 2482-bis e 2482-ter per le società a responsabilità limitata, regolano la riduzione del capitale per perdite. Per le s.p.a. l’art. 2446 dispone che quando il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti. Se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo l’assemblea che approva il bilancio deve ridurre il capitale in proporzione alle perdite accertate. L’art. 2447 c.c. per le s.p.a. dispone che nel caso in cui per effetto della perdita di oltre un terzo il 33 capitale si riduce al di sotto del minimo legale gli amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale e il contemporaneo aumento ad una cifra non inferiore al minimo, o deliberare la trasformazione della società. Nel caso invece di perdite superiore ad 1/3, occorre prima di aumentare il capitale sociale a pagamento, procedere al ripiano delle perdite. (secondo la massima n.122/2011 del 18/10/2011 del Consiglio notarile tale situazione non impedisce l’assunzione di una deliberazione di aumento del capitale che sia in grado di ridurre le perdite ad un ammontare inferiore al terzo del capitale e di ricondurre il capitale stesso, se del caso, a un ammontare superiore al minimo legale). L’orientamento delle sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti è consolidato nel ritenere che la spesa per la copertura della perdita sia di parte corrente. La posizione debitoria non è riconoscibile nel caso di società di capitali non costituite per l’esercizio di servizi pubblici. La formulazione della lett. c), art. 194, TUEL, comporta che può essere riconosciuta la tipologia di debito fuori bilancio ivi prevista soltanto laddove la reintegrazione del capitale sociale della società di cui l’ente possiede una quota avvenga nelle forme e nei limiti della disciplina di cui al codice civile o di altre norme speciali cui il legislatore fa espresso rinvio. Il riconoscimento del debito deve prevedere anche una valutazione sul sistema dei controlli attivati dall’ente in ordine alle società partecipate. L’ente in ordine alle società partecipate e agli organismi gestionali collegati con la finanza del medesimo, deve affrontare in sede programmatica e previsionale l’argomento dell’equilibrio economico finanziario degli stessi per evitare la formazione di perdite d’esercizio non riconoscibili ai sensi dell’art. 194, TUEL. L’art.3, comma 19 del d.l. 350/2003 ha vietato il ricorso all’indebitamento per il finanziamento di conferimenti rivolti alla ricapitalizzazione di aziende o società finalizzate al ripiano di perdite. Il ricorso all’alienazione di beni per finanziare il ripiano delle perdite e a ricapitalizzazioni, anche a prescindere dall’aver fatto in precedenza ricorso al debito per l’acquisto del bene alienato, solo formalmente rispetta l’art. 119, Cost., poiché si utilizza un’entrata in conto capitale per finanziare spese correnti (vedi Corte dei Conti - sez. reg. controllo Abruzzo 587/2007). 4.3.11 Utilizzo riserve di rivalutazione a copertura di perdite La rivalutazione monetaria non è consentita da un punto di vista civilistico se non in forza di leggi speciali. La riserva di rivalutazione ex L. 342/2000, può essere utilizzata a copertura di perdite, ad aumento gratuito del capitale sociale, oppure destinata ai soci. Se la riserva non è imputata a capitale sociale può essere ridotta solo osservando le disposizioni dei commi 2 e 3, art. 2445 c.c. Nel caso la riserva sia utilizzata a copertura di perdite, non si potrà distribuire utili fino a quando la riserva non è reintegrata o ridotta in misura corrispondente con deliberazione dell’assemblea straordinaria. In questo caso non si applicano le disposizioni dei citati commi 2 e 3, art. 2445 c.c.. Il d.l. n.185 del 29/11/2008, convertito con modificazioni nella legge 2/2009, concedeva la possibilità di rivalutare i beni immobili, escluse le aree fabbricabili e gli immobili merce, iscritti nel bilancio in corso al 31/12/2007. Il valore rivalutato non poteva superare il valore economico del bene. Il saldo attivo di rivalutazione può essere imputato a capitale sociale o ad apposita riserva. L’utilizzo della riserva a copertura di perdite comporta l’obbligo di successiva ricostituzione della riserva, salvo delibera di riduzione dell’assemblea straordinaria. L’utilizzo della riserva di rivalutazione per copertura di perdite pone problemi di rilevazione nel bilancio dell’ente locale. Da una parte si sostiene che non essendoci movimentazioni finanziarie nulla deve essere rilevato nel conto del bilancio. Dall’altra si sostiene che sostanzialmente l’operazione, seppure ammessa dalla normativa, è per 34 l’ente locale elusiva dell’obbligo di ricostituire la riserva o di ripianare le perdite concretizzandosi con una diminuzione del valore della partecipazione. 4.3.12 Ripiano perdite della fondazione La Corte dei Conti -sezione regionale di controllo per il Piemonte con delibera n. 24/2012 del 7/3/2012, ha ritenuto che l’ente locale non può accollarsi l’onere per il ripiano di anno in anno, mediante la previsione di un contributo annuale o anche occasionalmente le perdite gestionali di una fondazione. Per sua natura la fondazione deve essere in grado di avere un equilibrio economico con il suo patrimonio. L’impegno dell’ente locale di far fronte alle perdite gestionali farebbe venir meno la natura di fondazione che, di fatto, “si trasformerebbe in ente strumentale assumendo natura pubblica alla stessa stregua di un’azienda speciale o di un organismo societario.” L’ente locale può comunque erogare contributi specifici per l’attività svolta dalla fondazione a favore della popolazione o del territorio amministrato. 4.3.13 Fondo vincolato a copertura di perdite I commi 551 e 552 dell’art.1 della legge 147/2013 (legge di stabilità 20149, nel caso in cui l’azienda speciale, l’istituzione o la società partecipata presenti un risultato di esercizio o saldo finanziario negativo, l’ente partecipante deve accantonare in apposito fondo vincolato un importo pari al risultato negativo, non immediatamente ripianato, in proporzione alla quota di partecipazione. Per le società che redigono il bilancio consolidato il risultato è quello relativo a tale bilancio. Per le società che gestiscono servizi pubblici a rete di rilevanza economica compresa la gestione dei rifiuti per risultato si intende la differenza fra costi e valore della produzione. Decorrenza gli accantonamenti decorrono dall’esercizio 2015 con una fase transitoria per gli anni 2015,2016 e 2017. Gradualità fondo Nel caso di risultato medio negativo nel triennio 2011-2013 occorre accantonare una somma pari alla differenza fra risultato negativo conseguito nell’esercizio precedente (se migliore della media) ed il risultato medio 2011-2013 migliorato: del 25% per l’anno 2014 del 50% per l’anno 2015 del 75% per l’anno 2016 Qualora il risultato negativo sia peggiore della media del triennio 2011-2013 occorre accantonare una somma proporzionale alla quota di partecipazione del risultato negativo conseguito nell’esercizio precedente con la seguente gradualità: 25% nel 2015 50% nel 2016 75% nel 2017 Nel caso di risultato medio positivo nel triennio 2011-2013 occorre accantonare in misura proporzionale alla quota di partecipazione del risultato netto negativo conseguito nell’esercizio precedente con la seguente gradualità: 25% nel 2015 50% nel 2016 75% nel 2017 Movimentazione fondo Il fondo viene reso disponibile nel caso di ripiano della perdita (se il ripiano è parziale è reso 35 disponibile pro quota), di dismissione della partecipazione o di messa in liquidazione. 4.3.14 Perdita continuata e conseguenze (commi 554 e 555 art. 1 legge 147/2013) Dal 2015 gli organismi a maggioranza pubblica diretta o indiretta con affidamento diretto per una quota superiore all’80% del valore della produzione che nei tre anni precedenti hanno conseguito un risultato economico negativo devono ridurre del 30% il compenso dei componenti degli organi di amministrazione. Il risultato economico negativo per due esercizi consecutivi è giusta causa ai fini della revoca degli amministratori. Quanto sopra non si applica se il risultato economico negativo è coerente con il piano di risanamento precedentemente approvato. Dal 2017 in caso di risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti gli organismi diversi dalle società che svolgono servizi pubblici locali sono posti in liquidazione entro sei mesi dalla data di approvazione del bilancio o rendiconto dell’esercizio. Se non attivata la fase di liquidazione gli atti gestionali sono nulli e comportano responsabilità erariale. 4.3.15 Concessione crediti (delibera Sezione Controllo n.202/2012 Corte conti Toscana, n. 207/2011, Corte conti Lombardia, n. 40/2009 Corte conti Veneto) La concessione di un prestito ad una società totalmente partecipata dall’ente finanziatore va fatta rientrare nel novero delle operazioni di reimpiego temporaneo delle somme giacenti presso il conto corrente di tesoreria (c.d. gestione attiva della liquidità), consentita nella misura in cui non comporti una sostanziale utilizzazione delle risorse diversa rispetto a quanto previsto dalla legge o dai documenti di bilancio dell’ente. E’ possibile la concessione di crediti a società partecipate rispettando le seguenti condizioni: a)verificare se alla fattispecie in esame possa applicarsi il regime degli aiuti di Stato di fonte comunitaria, con tutto ciò che ne consegue; b) verificare che non sia elusiva della norma di cui all’art. 6 comma 19 del d.l. n. 78/2010 conv. con l. n. 122/2010, per cui le amministrazioni pubbliche non possono, salvo quanto previsto dall’art. 2447 del codice civile, effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate non quotate che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali (si veda in tal senso Lombardia deliberazione n. 207/2011): c) operare un controllo dal punto di vista amministrativo-contabile, in quanto è opportuno che l’operazione di finanziamento trovi piena evidenza nei bilanci, mediante la costituzione di apposito capitolo nella spesa e nelle entrate, tanto dell’ente quanto della società, in ossequio ai principi contabili che regolano le accensioni di prestiti e la gestione dei finanziamenti. d) evitare che l’utilizzo delle liquidità di cassa disponibili comporti il rischio di diversa utilizzazione di risorse rispetto alla destinazione voluta dalla legge o dai documenti di bilancio dell’Ente, è “necessario che la c.d. gestione attiva della liquidità venga posta in essere in un contesto ampiamente garantito di reintegro delle somme nelle casse dell’Ente. La concessione di un credito, mediante utilizzo delle disponibilità giacenti in cassa, in tale situazione, comporta quindi l’assunzione di notevoli rischi finanziari, contrari ai principi di prudenza cui deve essere uniformata l’attività dell’Ente locale” (Liguria deliberazione n. 6/2010). La sezione della Corte dei conti (Veneto deliberazione n. 40/2009) ha ricavato, dai principi delle 36 norme vigenti, alcune condizioni di ammissibilità della gestione attiva della liquidità, riconducibili al più generale principio di sana gestione finanziaria, ovvero: elevato rating sul merito di credito della controparte; garanzia di un vantaggio economico superiore a quello ricavabile dal deposito presso il proprio tesoriere; rispetto della normativa sulla tesoreria unica mista (impossibilità di utilizzare le somme affluite sulle contabilità speciali infruttifere costituite presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato); estinzione dell’operazione in breve termine (in genere nell’arco massimo di 18 mesi) o possibilità garantita di pronto disinvestimento anticipato del capitale impiegato per far fronte ai pagamenti ai quali le giacenze di cassa sono destinate (per tale motivo è da escludersi la possibilità di ricorrere ad anticipazioni di tesoreria nella misura in cui al deficit di cassa possa sopperirsi con il disinvestimento delle operazioni di cash management), anche in relazione all’obbligo di prioritario utilizzo di cui all’art. 7, comma 5, del DLgs 279/2007, che investe, oltre le giacenze libere di cassa, le liquidità “temporaneamente reimpiegate in operazioni finanziarie”; deposito dei titoli presso il tesoriere ai sensi dell’art. 209, comma 3, e 211, comma 2, del TUEL. 4.3.16 Postergazione La disciplina prevista dagli artt. 2467 e 2497 quinquies del codice civile stabilisce che il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società sia postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se effettuato nell’anno antecedente la dichiarazione di fallimento deve essere restituito. La norma si applica anche nei confronti delle società che ricevono finanziamenti da parte dei soci in situazione di direzione e coordinamento. Deroga L’art.182 quater della legge fallimentare parifica la prededucibilità disposta a favore dell’apporto di liquidità degli istituti di credito ai finanziamenti erogati dai soci in esecuzione di un concordato preventivo ex art.161 e di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art.182 bis della legge fallimentare. L’art.33 del d.l. 83 del 22/6/2012 ha introdotto l’art.182 quinquies che prevede la possibilità per il debitore che presenta ai sensi dell’art.161, comma 6 della legge fallimentare domanda di ammissione al concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione del debito ex art.182 bis primo e sesto comma, di chiedere al tribunale autorizzazione a contrarre finanziamenti, da qualsiasi fonte da soddisfare in prededuzione ai sensi dell’art.111 previo accertamento del reale fabbisogno finanziario attestato da un professionista e purché siano funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori. In sintesi: - i finanziamenti contratti prima della presentazione della domanda di concordato preventivo ex art.161 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art.182 bis della legge fallimentare, sono soggetti alla disciplina degli artt.2467 e 2497 quinquies del codice civile e quindi interamente postergati; - i finanziamenti contratti prima della presentazione della domanda di concordato preventivo ex art.161 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art.182 bis della legge fallimentare, ma funzionali in via prospettica all’esecuzione degli stessi e sottoposti al limite del diritto di voto di cui all’art.182 quater comma 5, sono prededucibili per l’80% e postergati per il residuo 20%; - i finanziamenti contratti dopo la presentazione della domanda di concordato preventivo ex art.161 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art.182 bis della legge fallimentare, 37 previa autorizzazione del tribunale ed attestazione di un professionista, sono interamente prededucibili. 4.3.17 Finanziamenti ed aiuti di Stato Non vi è aiuto pubblico quando l’apporto da parte dell’ente locale socio si verifica in circostanze che sarebbero accettabili per un investitore privato operante nelle normali condizioni di un’economia di mercato. Tale circostanza può ritenersi accertata se al finanziamento concorre, accanto al socio pubblico e alle medesime condizioni, anche il privato. Se il finanziamento viene accordato solo dal socio pubblico occorre che il tasso di interesse corrisponda a quello praticabile sul mercato all’impresa in base al rating attribuito. Dall’1/1/2014 entra in vigore il regolamento UE 1407/2013. E’ prevista un’esenzione generale dall’obbligo di preventiva notifica per gli aiuti di stato al di sotto del massimale di 200.000 euro nell’arco di tre esercizi finanziari. Il massimale viene inteso per “impresa unica”. Fanno parte dell’impresa unica tutte le entità controllate giuridicamente e, di fatto, dalla stessa entità. Più imprese sono considerate impresa unica quando: a) Un’impresa detiene la maggioranza dei diritti di voto di un’altra impresa b) Un’impresa ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione, direzione o sorveglianza di un’altra impresa; c) Un’impresa ha il diritto di esercitare una influenza dominante su un’altra impresa in virtù di un contratto concluso con quest’ultima oppure in virtù di una clausola statutaria; d) Un’impresa socia di un’altra controlla da sola, in virtù di un accordo stipulato con i soci dell’altra impresa la maggioranza dei diritti di voto dei soci di quest’ultima; e) le imprese fra le quali intercorre una delle relazioni di cui sopra, per il tramite di altre imprese. Ogni stato dovrà istituire un registro centrale degli aiuti di stato. Se il registro non è attivo gli Stati dovranno inviare una notifica alle imprese richiedendo una dichiarazione in forma scritta o elettronica relativa agli aiuti ricevuti anche con riferimento ai due esercizi precedenti. 4.3.18 Rinuncia dei soci alla restituzione di crediti L’Ente locale può: 1. rinunciare alla restituzione di crediti derivanti da precedenti concessioni rilevate al titolo II della spesa; 2. rinunciare ad un credito di qualsiasi tipo iscritto tra i residui attivi. In termini finanziari l’operazione dà luogo a minori residui attivi che potrebbero essere compensati da variazioni positive tali da non portare l’Ente in disavanzo. Per la Società la rinuncia alla restituzione o al credito ha natura di riserva di capitale da collocare in bilancio all’interno del patrimonio netto alle voci “versamenti in conto capitale” o “versamenti a copertura di perdite”. La rinuncia dei soci a crediti o alla restituzione di crediti secondo OIC 28, non è sopravvenienza attiva ma influisce unicamente sul patrimonio netto. Trasforma la natura del versamento da mutuo o debito a patrimonio. Non risponde a corretti principi contabili la seguente procedura: - concessione di finanziamenti alla Società con rilevazione di un debito nel bilancio della stessa; - rinuncia dei soci alla restituzione del credito; 38 - azzeramento del debito della Società con contropartita tra le sopravvenienze attive voce E20 del conto economico, ai fini di ridurre o azzerare la perdita di esercizio. Sotto il profilo fiscale (IRES ed IRAP) l’operazione è neutra (art.88 Tuir) La Corte di Cassazione con sentenza 15585 del 30/6/2010 ha deciso che la delibera di assemblea straordinaria di azzeramento e ricostituzione del capitale attraverso la rinuncia dei soci alla restituzione è soggetta ad imposta di registro con l’aliquota del 3%. L’operazione è da considerarsi elusiva ai fini del patto di stabilità? La concessione crediti è un pagamento escluso da quelli rilevanti ai fini del patto. E quindi il presupposto è di ottenere nel tempo una riscossione di pari importo ugualmente non rilevante ai fini del patto. Occorre comunque considerare che le attuali regole di contabilità finanziaria richiedono di rilevare unicamente le operazioni che comportano incassi o pagamenti da o verso terzi. Le operazioni in esame, nell’attuale ordinamento, hanno effetti unicamente patrimoniali e non finanziari. 4.3.19 Compensazione di crediti reciproci certi, liquidi ed esigibili con la propria società La Cassazione si è più volte espressa (vedi Cass. Civile Sez. 1-19/03/2009 n. 6711) affermando che “non esiste nel nostro ordinamento alcuna norma che vieti la compensazione legale tra crediti reciproci certi, liquidi ed esigibili di una società di capitali ed i suoi soci”. Si ritiene che in termini finanziari, con l’attuale ordinamento, anche la compensazione di debiti e crediti non dia luogo ad effettive operazioni di incasso e pagamento. 4.3.20 Assegnazione di beni ai soci con riduzione di capitale L’assegnazione di beni al socio ente locale da parte di una società di capitale comporta: imposte dirette - ai fini delle imposte dirette l’assegnazione è regolata dall’art.86, comma 1, lettera c) del Tuir e di conseguenza l’eventuale plusvalenza assume rilevanza reddituale. In assenza di corrispettivo del socio la plusvalenza è pari alla differenza fra valore normale del bene e costo fiscalmente riconosciuto ( vedi comma 3 art.86 del Tuir). Il bene assegnato al socio viene valutato al valore di mercato ovverosia al valore corrente di realizzo/transazione del bene fra parti indipendenti. Nel bilancio della società emergerà una plusvalenza o minusvalenza formata dalla differenza fra valore contabile e valore corrente di realizzo. Tale valore di assegnazione originerà la riduzione del patrimonio rilevante per la società. Non ci sono movimentazioni finanziarie ( incassi o pagamenti), nessuna rilevazione deve essere fatta nel conto del bilancio dell’ente locale e pertanto, l’operazione è neutra ai fini del patto di stabilità. Se il bene assegnato al socio consiste in partecipazioni per la plusvalenza da tassare in capo alla società è in regime di partecipazione exemption ex art. 87 del TUIR (imponibile solo il 5% della stessa). Iva - ai fini Iva l’assegnazione dei beni ai soci costituisce cessione di beni ( vedi art.2 n.6 del d.p.r. 633/72 ed è quindi rilevante ai fini Iva. Tale disposizione non trova applicazione come chiarito con circolare n.40/2002 e con risoluzione n.194/2002 nell’ipotesi in cui l’assegnazione del bene al socio abbia ad oggetto beni che non abbiano consentito a monte la deduzione dell’imposta. Rientrano nella mancata deduzione dell’Iva i trasferimenti di beni immobili e mobili effettuati da 39 comuni e province a favore di società di capitale o aziende speciali ai sensi dell’art.118 del Tuel. La risoluzione n.194/2002, chiarisce inoltre che l’iva non deve essere applicata anche nel caso che sul bene siano stati eseguiti lavori di trasformazione ed ampliamento per i quali sia stata operata la detrazione dell’Iva a monte. L’unica condizione è che i lavori di ampliamento non abbiano costituito un autonomo bene con proprie caratteristiche distintive ed economiche. Imposta di registro - ai fini dell’imposta di registro il trasferimento è da assoggettare ad imposta fissa se assoggettato ad Iva e ad imposta proporzionale negli altri casi. Tuttavia i conferimenti di proprietà o diritti reali di godimento su beni immobili a favore di enti pubblici territoriali sono soggetti ad imposta di registro in misura fissa (vedi art.1, comma 1 della tariffa). Nessuna rilevazione è richiesta, nell’attuale ordinamento, in termini finanziari nel bilancio dell’ente locale trattandosi unicamente di variazione patrimoniale. 4.3.21 Rapporti finanziari con società in perdita continuata (Art. 6 comma 19 d.l. 78/2010) Gli enti compresi nel conto economico consolidato Istat non possono − − − − Effettuare aumenti di capitale (esclusi ex art.2447 e 2482 ter del codice civile) Trasferimenti straordinari Aperture di credito Rilasciare garanzie a favore di società partecipate che abbiano registrato per tre esercizi consecutivi perdite di esercizio o che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripiano di perdite anche infrannuali. Sono consentiti I trasferimenti per lo svolgimento di servizi di pubblico interesse a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma o per la realizzazione di investimenti. I contributi in conto esercizio sono consentiti se previsti nei contratti di servizio originari o integrati successivamente. La norma non è applicabile alle Fondazioni, Associazioni, Aziende speciali, Consorzi di enti pubblici. La Corte dei Conti, Sezione regionale del Piemonte con deliberazione n.61/2010 del 21/10/2010, ha chiarito che è fatta salva la ricapitalizzazione delle società che hanno registrato la perdita per oltre un terzo del capitale con riduzione dello stesso al di sotto del limite legale, ciò in quanto l’integrità e la conservazione del capitale sociale svolgono un ruolo non derogabile di tutela dei creditori. 4.4 Elusione del patto di stabilità 4.4.1 Obiettivo conseguito artificiosamente (art.31 commi 30 e 31 legge 183/2011) Si configura una fattispecie elusiva del patto di stabilità il comportamento che, se pur legittimo, risulti intenzionalmente e strutturalmente finalizzato ad aggirare i vincoli di finanza pubblica. I contratti di servizio e gli altri atti posti in essere dagli enti locali che si configurano elusivi del patto di stabilità sono nulli. La circolare dl MEF, n.5 del 14/2/2012, indica come esempio di forme elusive: a) Spese valide ai fini del patto iscritte nel bilancio delle società partecipate o nelle società create con l’evidente fine di aggirare i vincoli del patto; 40 b) Sottostima dei costi dei contratti di servizio tra ente e sue diramazioni societarie o parasocietarie; c) Illegittima traslazione dei pagamenti dall’ente alle società partecipate realizzate con utilizzo improprio delle concessioni e riscossione crediti; d) Sovrastima di entrate correnti o accertamenti in assenza dei presupposti di cui all’art. 179 del Tuel; e) Valorizzazione dei beni immobiliari con operazioni con le società partecipate con l’esclusiva finalità di reperire risorse finanziarie ai fini del patto di stabilità senza un’effettiva vendita del patrimonio. Nel caso di accertamento da parte delle Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti di manovre artificiose (non corretta imputazione delle entrate o delle uscite ai pertinenti capitoli di bilancio ) o forme elusive per conseguire il rispetto del patto di stabilità irrogano una sanzione pecuniaria pari a: - un massimo di dieci volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione dell’elusione; fino a tre mensilità del trattamento retributivo al netto degli oneri fiscali e previdenziali al responsabile del servizio economico-finanziario. Il comma 111 bis dell’art.1 della legge 13/12/2010 n.220 dispone la nullità dei contratti di servizio e degli altri atti posti in essere dalle regioni e dagli enti locali che si configurano elusivi delle regole del patto di stabilità interno. 4.4.2 Versamenti a fondo perduto ed elusione al patto di stabilità Si ricorre al versamento a fondo perduto quando la società registra una perdita che imporrebbe di procedere ad una riduzione obbligatoria del capitale sociale oppure quando i soci intendono conferire somme alla società senza sottoporle alla disciplina propria del capitale sociale. In questo caso, il versamento che il socio effettua “a fondo perduto” non fa sorgere in capo alla società l’obbligo di rimborsare la somma erogata né l’impegno a deliberare l’aumento di capitale. Dunque, con detto versamento il socio non manifesta la volontà di vincolarlo secondo la disciplina del capitale sociale né di erogare la somma a titolo di finanziamento; in altri termini, “i contributi a fondo perduto” costituiscono una forma di finanziamento che non genera alcun obbligo di remunerazione o di restituzione. Mentre nel rapporto che intercorre tra il socio di diritto privato e la società in cui partecipa, il contributo “a fondo perduto” può trovare la sua giustificazione giuridica nella necessità di non far emergere le perdite (ed, eventualmente, quando le perdite erodono il capitale di non dover procedere alla ricapitalizzazione della società con i relativi costi fiscali e professionali), in presenza di un socio pubblico questa forma di elargizione non è ammissibile quando è volta a celare perdite rilevanti ai sensi degli artt. 2446, 2447, 2482 bis e 2482 ter del codice civile in quanto detta operazione potrebbe essere volta ed eludere il vincolo di finanza pubblica introdotto dall’art. 6, comma 19, D.L. n. 78/10. Quando il versamento è finalizzato ad evitare la ricostituzione del capitale sorge il problema dell’imputazione nella spesa dell’ente locale. L’imputazione al titolo II sembra, infatti, irregolare. Secondo la Corte dei Conti Sezione regionale di controllo della Lombardia ( vedi delibera n.61/2013) quando l’ente locale sceglie di partecipare ad una società di tipo lucrativo, non è conforme alle regole di sana gestione finanziaria -in ragione della natura pubblicistica del socio- il versamento di contributi a fondo perduto per impedire l’emersione di perdite, a prescindere dal fatto che queste siano idonee ad erodere il capitale sociale. 41 4.4.3 Mutuo assunto dalla società in house con oneri a carico dell’ente locale Una società in house contrae il mutuo per realizzare opere di interesse comunale e paga le rate di ammortamento del mutuo per conto del’ente locale che, in base a specifico impegno, è tenuto a rimborsargli ( o a pagare direttamente). Con tale operazione si elude ai vincoli di finanza pubblica in materia di indebitamento degli enti locali ( destinazione ad investimento e limiti all’indebitamento). 4.4.4 Trasferimento della sofferenza di cassa dell’ente locale sulla società partecipata che sconta le fatture verso l’ente medesimo presso istituti di credito Costituisce una forma di elusione ai vincoli di finanza pubblica anche il ritardato pagamento di un ente locale, causa sofferenze di cassa o per rispettare i limiti del patto di stabilità delle fatture emesse nei suoi confronti dalla società, per cui la società anticipa le fatture presso istituti di credito. L’anticipazione delle fatture rappresenta un “costo” per la società partecipata (contabilizzato alla voce “interessi ed altri oneri finanziari”) la quale deve corrispondere gli interessi agli istituti di credito per i ritardati pagamenti da parte del Comune. 4.4.5 Cessione di beni per accertare entrate ai fini del patto di stabilità L’ente locale cede beni alla società interamente partecipata che si finanzia con il pagamento con assunzione di prestiti con iscrizione ipotecaria ed a volte con rilascio di lettera di patronage. L’entrata finanziaria derivante da cessione di beni alla propria società, solo apparentemente ha natura di corrispettivo per alienazione di beni immobili (e, quindi, potrebbe essere computata come entrata in conto capitale ai fini del patto di stabilità interno). Poiché l’entrata in parola in realtà nasce da un’operazione di indebitamento, questa non può entrare a far parte del saldo finanziario per il calcolo del rispetto dell’obiettivo posto dal patto di stabilità. 4.4.6 Mancata esazione di crediti scaduti che l’ente locale vanta verso la propria partecipata La mancata esazione di crediti scaduti che l’ente locale vanta verso la sua società partecipata a titolo, ad esempio, di restituzione del finanziamento ricevuto o di pagamento del canone concessorio pattuito con precedente convenzione, costituisce un flusso finanziario indiretto. Infatti, anche in assenza di un’esplicita regolamentazione della dilazione del credito, può essere accertato un tacito pactum de non petendo, ovvero quel patto che si risolve in un “impegno di non chiedere” del creditore che rinuncia all’azione nascente dalla sua pretesa creditoria ma, nel contempo, non estingue il debito dedotto in obbligazione. La mancata escussione del credito -anche in assenza di una rinuncia del sottostante dirittorappresenta una forma di finanziamento in favore del debitore. 4.4.7 Anticipazione del canone concessorio L’ente locale ha dato in concessione beni alla propria società pattuendo un canone concessorio da corrispondere in via anticipata per un importo corrispondente a più annualità. Con tale operazione l’ente locale accerta in entrata l’importo complessivo dell’operazione al titolo III e la considera valida ai fini del patto di stabilità. La società risconta la parte del canone non di competenza dell’esercizio. La società paga un importo corrispondente ad un’annualità del canone e l’ente locale mantiene a residuo attivo la parte non riscossa. 42 CAPITOLO V LA LIQUIDAZIONE DELLE SOCIETA’ PARTECIPATE Il Legislatore, sempre con il fine di regolamentare la disciplina delle società partecipate, negli ultimi anni è intervenuto più di una volta con disposizioni che prevedevano, in caso di non rispetto di determinati parametri, l’obbligo di messa in liquidazione di dette società. Di seguito, si illustrano i suddetti parametri e il procedimento di messa in liquidazione. 5.1 Perdite continuate Ai sensi e per gli effetti del comma 19 dell’art. 6 del D.L. n. 78/10 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” (Manovra economica correttiva 2011 2012), convertito con modificazioni dalla Legge n. 122/10, agli Enti Locali è vietato effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito o rilasciare garanzie a favore di Società partecipate che per 3 (tre) esercizi consecutivi abbiano chiuso in perdita o utilizzato riserve disponibili a copertura di perdite anche infrannuali; ai sensi dell’art. 2447 del Codice Civile, è sempre ammessa la possibilità di reintegrare il capitale sociale che per effetto di perdite sia sceso al di sotto del limite legale. La disposizione non trova applicazione in caso di partecipazione in società quotate e sono comunque fatti salvi i trasferimenti effettuati in base a convenzioni, contratti di servizio o di programma per lo svolgimento dei servizi di pubblico interesse affidati, ovvero per la realizzazione di investimenti. Solo in caso di circostanze urgenti ed al fine di garantire la continuità del servizio, l’Amministrazione interessata può provvedere ad effettuare gli interventi di cui sopra, previa autorizzazione, rilasciata con D.P.C.M. soggetto a registrazione presso la Corte dei Conti. La giustizia contabile, in sede consultiva e di consulenza giuridica ex art. 7 comma 8 della Legge n. 131/03, ha chiarito che l’espressione per tre esercizi consecutivi utilizzata dal Legislatore non è riferita a tre esercizi consecutivi nell’arco della vita di una società, ma “agli ultimi tre in ordine di tempo” (Sezione regionale di controllo per la Lombardia della Corte dei conti - deliberazione 01/12 n. 636). La Sezione lombarda con tale intervento ha attribuito rilevanza ai risultati d’esercizio delle imprese collettive pubbliche realizzatesi nelle recenti gestioni, nella consapevolezza che analisi gestionali ancorate ad un arco temporale troppo ampio non avrebbero testimoniato l’attuale stato di efficienza, efficacia ed economicità dell’attività sociale; quindi le criticità che in passato possono essere state riscontrate nella gestione dell’impresa pubblica, nella società eventualmente rimessa “in bonis” sono da considerarsi superate. I magistrati lombardi hanno attribuito alle perdite realizzatesi senza soluzione di continuità nel predetto arco temporale (ora meglio riferito solo all’ultimo triennio di vita dell’impresa collettiva), il sintomo di una criticità tesa alla cronicizzazione che impone nei rapporti istituzionali tra l’Ente Locale e la Società dallo stesso pro-quota partecipata, ne consegue il divieto di porre in essere le operazioni previste dal comma 19 dell’art. 6 del D.L. n. 78/10. Vale la pena evidenziare che la giurisprudenza contabile aveva già avuto modo di specificare che tali norme trovano una rigorosa applicazione, nel senso che non possono essere interpretate in maniera estensiva, alla stregua di altre norme che pur forniscono rilievo alla reiterazione di perdite. Ad eccezione quindi dei casi di deroga espressamente previsti (che consentono aiuti finanziari alle Società partecipate anche a fronte di risultati d’esercizio negativi se elargiti in virtù di programmi di investimento o nel caso di circostanze urgenti ed al fine di garantire la continuità del servizio), è sufficiente che negli ultimi 3 (tre) esercizi in ordine di tempo si siano verificate delle perdite, anche di lieve entità a prescindere dalla loro motivazione per azionare i divieti sopra specificati (Sezione regionale di controllo per il Piemonte della Corte dei conti - deliberazione n. 61 del 22/10/2010). Altro aspetto che si reputa opportuno precisare sull’attuazione del comma 19 sopra richiamato è che 43 la procedura di cui agli artt. 2447 (per le Società per azioni) e 2482-ter (per le Società a responsabilità limitata in analogia) del Codice Civile, non va vista come una deroga alle norme di cui trattasi, ma come un’applicazione resa indispensabile da un obbligo di legge proprio del diritto societario, giacché essa è fatta salva dalla legislazione speciale sulle imprese collettive pubbliche al fine di preservare la funzione di garanzia del capitale sociale nei confronti dei creditori sociali. Pur tuttavia, qualora per effetto di risultati d’esercizio negativi il capitale scenda al di sotto dei limiti di legge, anche se il C.C. consente al socio pubblico la reintegrazione del capitale sociale ad una cifra non inferiore al minimo, le norme codicistiche poste a tutela dei creditori subiscono un bilanciamento con quelle speciali che prevedono per le Amministrazioni pubbliche i divieti di trasferimenti finanziari alle loro Società partecipate, sempreché tali società siano risultate in perdita negli ultimi tre esercizi. Secondo la giustizia contabile (deliberazione n. 61 - Sezione Piemonte), agli Enti partecipanti non è consentito di procedere ad un aumento del capitale superiore al minimo. Si è detto che il comma 19 del citato art. 6, preserva la possibilità di aiutare finanziariamente le imprese che attuano dei programmi di investimento, benché in perdita; la ratio della norma evidentemente è quella di considerare non sempre cronicizzata la situazione di un’impresa che subisce delle perdite senza soluzione di continuità in un triennio (l’ultimo in ordine di tempo). Si pensi alle imprese che sono in fase di start-up ed i cui primi esercizi chiudono in perdita anche perché la gestione finanziaria, per via degli interessi passivi che gravano sui mutui contratti per supportare gli investimenti, incide pesantemente sul risultato della gestione complessiva dell’azienda. La stessa situazione si riscontra per quelle Società che - aprendosi a nuovi mercati - ampliano la propria attività facendo ricorso al capitale di debito. Rispetto alle Società che si trovano in tali condizioni, sarebbero leciti ai sensi dell’art. 2447 del C.C. gli aumenti di capitale ad una cifra superiore al limite legale; occorre peraltro considerare che sul precetto normativo in commento la Sezione Lombarda della giustizia contabile operante in sede di controllo - con la recente deliberazione n. 98/13 - ha avuto modo di precisare che “… trasferimenti agli organismi partecipati sono consentiti solo se vi sarà un ritorno in termini di corrispettività della prestazione a favore dell’erogazione pubblica, ovvero la realizzazione di un programma di investimento …..”. 5.2 La messa in liquidazione Invece, per le imprese collettive pubbliche con perdite prodotte senza soluzione di continuità in un arco temporale triennale (l’ultimo in ordine cronologico) e con uno stato di insolvenza considerato cronico (che non sono in fase di start-up, né hanno fatto ricorso al capitale di debito per ampliare la propria attività nei quali casi gli aiuti finanziari sarebbero ammessi), salvo una intervenuta dichiarazione di fallimento (se e in quanto possibile nei modi che di seguito verranno esaminati), si aprirebbe inevitabilmente la strada alla procedura ordinaria di liquidazione; non potendo le imprese medesime, come già spiegato, poter far affidamento ad alcuna ancora di salvezza. All’uopo occorre considerare l’esigenza messa in luce dalla Sezione Veneto di controllo della Giustizia contabile, nell’ambito delle indicazioni date agli Enti Locali del proprio territorio per la verifica del bilancio di previsione 2012 (deliberazione n. 903/2012/Inpr). In relazione alle Società partecipate, i Giudici veneti hanno chiesto alle amministrazioni locali - in particolare per le gestioni connotate da risultati negativi reiterati - di valutare costantemente “la permanenza di quelle condizioni di natura tecnica e/o di convenienza economica nonché di sostenibilità politico-sociale che giustificarono a monte (o che comunque avrebbero dovuto giustificare), la scelta di svolgere il servizio e di farlo attraverso moduli privatistici”. L’assenza di tali condizioni nelle imprese in “cronica crisi” non può che determinare l’avvio della procedura di dismissione per scioglimento delle medesime, la quale si manifesterà per impulso dell’Ente Locale socio che adotterà un’apposita delibera consiliare. 44 In tale circostanza, stante l’assenza “di una disciplina speciale che regoli le modalità di dismissione delle società partecipate pubbliche”, così come confermato dalla Sezione Regionale di controllo per l’Emilia Romagna della Corte dei Conti con la Deliberazione n. 9 del 13/02/2012, viene ad applicarsi la disciplina comune in materia di scioglimento e liquidazione delle Società di capitali (artt. 2484 e seguenti del Codice Civile). Il fatto che la procedura da applicare non possa che essere quella prevista dal Codice Civile (artt. 2484 e seguenti), trova supporto giuridico nell’art. 4 comma 13 del D.L. n. 95/12, convertito con modificazioni dalla Legge n. 135/12, la quale recita “… le disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di Società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del Codice Civile in materia di Società di Capitali”. Alle procedure di liquidazione di Società di capitali in mano pubblica, vista l’inesistenza di una disciplina speciale in proposito, si applicano le fattispecie previste dalle norme codicistiche. Sullo scioglimento di società partecipate (anche) dagli Enti Locali una norma speciale avente natura fiscale la si ritrovava nell’art. 4 del D.L. n. 95/12, convertito con modificazioni dalla Legge n. 135/12, in base al quale le Società controllate direttamente e/o indirettamente da Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2 del D.LGS n. 165/01, che nel 2011 avevano emesso fatture per prestazioni di servizi rese a favore di Pubbliche Amministrazioni per importi superiori al 90% dell’intero fatturato relativo alle loro attività, dovevano essere sciolte entro il 31 dicembre 2013; in tal caso gli atti posti in essere a seguito dello scioglimento erano esenti da imposizione fiscale, scontando solo l’I.V.A. e le Imposte, di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa. Tale norma è stata abrogata dal comma 562 dell’art.1 della legge 147/2013. 5.3 I debiti sociali al termine della liquidazione Dalla lettura della deliberazione della Sezione dell’Emilia Romagna n. 9/2012, si evince altresì che, nel caso in cui una Società partecipata da un Ente Locale venga posta in liquidazione, il principio della responsabilità di cui agli artt. 2325 comma 1 e 2462 comma 1 del Codice Civile, non subisce alcuna deroga; tale principio prevede che per le obbligazioni sociali risponde soltanto la Società con il suo patrimonio. Da tale considerazione consegue che il Comune socio non ha l’obbligo di accollarsi i debiti sociali che eventualmente residuino al termine della fase di liquidazione; qualora invece in sede di bilancio finale di liquidazione dovesse risultare un attivo, l’Amministrazione acquisirà nel proprio bilancio (ovviamente in misura proporzionale nell’ipotesi di Società partecipata da più Enti) le relative risorse finanziarie, assimilandole alle entrate derivanti da “alienazioni patrimoniali”. Quanto eventualmente conseguito dal Comune nella distribuzione dell’attivo di liquidazione, viene a costituire però, giuste le previsioni contenute nell’art. 2495 del C.C., una garanzia per eventuali creditori rimasti insoddisfatti anche dopo l’estinzione della Società. Al creditore sociale che non ha avuto soddisfazione dalla liquidazione è infatti concessa la facoltà di agire nei confronti del Comune, ma questi è chiamato a rispondere solo nel caso un cui abbia percepito quota parte dell’attivo risultante dal bilancio finale di liquidazione e nel limite della stessa quota. La Sezione Piemonte con la delibera n. 3 del 19/01/2012 è di diverso avviso; dopo aver disquisito sugli aspetti che legittimano gli affidamenti “in house” ed aver evidenziato che la normativa nazionale estende alle società affidatarie dirette di servizi pubblici locali alcune norme limitatrici proprie degli enti locali, ha sancito che le stesse imprese collettive, “pur essendo dotate di autonoma personalità giuridica e svolgendo le loro funzioni con la forma privatistica societaria, sono soggetti sostanzialmente pubblici, per la natura pubblicistica del capitale di cui sono costituite e per l’influenza dominante che l’ente locale vi esercita”. Con quanto sopra sostenuto, e con l’ulteriore annotazione che la titolarità dei servizi che vengono affidati direttamente alle società di cui sopra permangono in capo ai Comuni Soci, i Giudici 45 piemontesi sono giunti alla conclusione che “non vi è alcun motivo per escludere che l'ente locale debba far fronte ai debiti della propria società in house che non sono stati soddisfatti in seguito alla liquidazione a causa dell'incapienza del capitale sociale”. I Magistrati della Sezione Piemonte aggiungono che i creditori delle società “in house” sono meritevoli di maggior tutela, avendo intrattenuto rapporti con tali imprese collettive nella consapevolezza della loro natura pubblica; con una simile consapevolezza i creditori hanno messo in conto la “quasi certezza di ottenere il soddisfacimento integrale del loro credito”. I Giudici hanno lasciato altresì intendere che i sostenitori della tesi secondo cui il “principio della responsabilità” di cui agli artt. 2325 comma 1 ed art 2462 comma 1 del Codice Civile è da ritenersi applicabile a tutti gli Enti che hanno assunto la forma societaria (ivi comprese le Società in house), non possono non tener conto che il “controllo analogo” operato dai Comuni sulle proprie Società partecipate determina comunque l’applicazione della “responsabilità dell’Ente pubblico nei confronti dei creditori sociali ai sensi dell’art. 2497 Codice civile”. Tale considerazione trae origine dal fatto che “il controllo analogo determina l'esercizio dell’attività di direzione e coordinamento nell’interesse istituzionale dell'Ente pubblico e non nell'interesse esclusivo della Società controllata”. Per quest’ultima affermazione, va precisato che, se è pur vero che la responsabilità di cui all’art. 2497 C.C. opera quando l’Ente Locale agisce nell’interesse imprenditoriale proprio, è altrettanto vero che la norma codicistica considera rilevante tale comportamento se è stato attuato in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle Società partecipate e se ha cagionato una lesione alla integrità del patrimonio sociale. Inoltre, va ulteriormente specificato, che ai sensi e per gli effetti dell’art. 2497 sexies, del C.C. si presume, salvo prova contraria, che un Ente esercita attività di direzione e coordinamento nei confronti di Società al cui capitale partecipa, quando controlla tali imprese collettive secondo le previsioni dell'art. 2359 C.C.. Ciò determina che la responsabilità sussistendone i presupposti, grava sui Comuni, non solo nei confronti delle loro società in house, ma anche rispetto a quelle Società miste pubblico-privato che le stesse Amministrazioni Pubbliche controllano in virtù della disciplina codicistica. Pertanto, la responsabilità dell’Ente pubblico nei confronti dei creditori sociali ai sensi dell’art. 2497 del Codice Civile può colpire i Comuni a prescindere dal fatto che essi esercitino o meno il “controllo analogo” nei confronti delle società partecipate. Vale la pena evidenziare che, quanto sostenuto dalla Sezione Piemonte, contrasta non solo con la posizione della Sezione Emilia Romagna, ma anche con quella della Sezione Basilicata. I Giudici lucani sono dell’avviso che non sussiste alcun obbligo per i Comuni di accollarsi i debiti sociali rimasti insoddisfatti all’esito di procedure di liquidazione di Società a cui gli stessi Enti hanno affidato in house i servizi pubblici locali a rilevanza economica (deliberazione n. 13 del 16/05/2011). All’atto pratico, i Magistrati lucani hanno ritenuto che il principio generale in materia di responsabilità di cui agli artt. 2325 comma 1 e 2462 comma 1 del C. C. , che consente ai creditori sociali di potersi rivalere soltanto sul patrimonio della Società, trovi attuazione anche nei confronti delle suddette Società in house. Alquanto dettagliata e opportuna è l’argomentazione che ha portato la Sezione Basilicata a pronunciarsi nel senso sopra specificato, il ragionamento dei Giudici parte dal presupposto che - a livello generale - come anche testimoniato dalla giurisprudenza le Società a partecipazione pubblica non perdono la natura di soggetti privati. Il rapporto che si instaura tra socio pubblico ed Ente è di assoluta autonomia, visto che lo stesso socio non può esercitare poteri diversi da quelli espressamente previsti dalla disciplina civilistica o da leggi speciali in materia. L’assioma che deriva da quanto sopra detto è che, in ordine alla obbligazioni sociali assunte dall’Organismo partecipato, l’autonomia che caratterizza il rapporto tra Ente locale socio e Società 46 da esso partecipate porta ad escludere ulteriori responsabilità del socio medesimo rispetto a quelle previste dal Codice Civile. Sulla base delle considerazioni che precedono, in prima analisi, sembrerebbe che le garanzie dei creditori sociali verrebbero ad ampliarsi nei confronti dei Comuni che, in deroga alle norme comunitarie sulla concorrenza, hanno costituito società in house alle quali hanno affidato in via diretta la gestione di servizi pubblici a rilevanza economica. Infatti, il ragionamento che potrebbe svilupparsi è il seguente: poiché per l’affidamento in house è anche richiesto che l’Ente aggiudicante eserciti sull’affidatario un controllo analogo a quello impiegato sui propri servizi, nelle Società all’uopo costituite verrebbe meno la prerogativa dell’autonomia tra socio e Organismo partecipato che in via generale permette di escludere la responsabilità del socio pubblico per le obbligazioni assunte dall’Organismo a cui partecipa. Però, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, la Giustizia contabile lucana non sostiene la tesi di un allargamento di responsabilità, perché la natura del rapporto che intercorre tra l’Ente pubblico e la Società da esso stesso partecipata, che si definisce in termini di controllo analogo, vale non già a giustificare una disciplina diversa da quella comune, quanto ai rapporti sociali tra la Società e i terzi, ma giustifica unicamente deroga alle disposizioni comunitarie in materia di tutela, della concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. La Sezione Basilicata trova il fondamento della sua affermazione da un intervento della giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato Sezione V Sentenza n. 1365/09 che richiama la Causa C-324-07 “Coditel Brabant Sa”), secondo il quale “il requisito del controllo analogo non sottende una logica dominicale - propria del padrone rispetto ai suoi possedimenti - ma rivela piuttosto una dimensione funzionale’”. La richiamata fonte giurisprudenziale ha avuto modo di precisare, quanto al primo aspetto, che il controllo analogo sussiste anche nel caso di una pluralità di soggetti pubblici (partecipi) al capitale della Società, pertanto non è indispensabile che ad esso corrisponda simmetricamente un controllo della governance societaria; rispetto al secondo, che l’attività di Società affidatarie in house di servizi pubblici rimane un’attività funzionale rispetto alla quale la forma degli strumenti giuridici utilizzati non rileva in sé, risultando invece finalizzata al miglior conseguimento degli scopi legali dell’Amministrazione. Dopo tale dissertazione, la Giustizia contabile lucana operante in sede di controllo ha voluto oltremodo precisare che, se non sussiste un obbligo per il Comune di accollarsi i debiti sociali che eventualmente residuino al termine della fase di liquidazione di una Società al cui capitale partecipa, non si può altrettanto escludere che idealmente l’Amministrazione possa comunque deliberare un accollo dei predetti debiti. Nel caso in cui l’Ente Locale optasse per una simile scelta, occorre che individui lo schema causale di contratto al quale ricondurre l’operazione di assunzione del debito che dia conto delle ragioni di vantaggio e di utilità (che in maniera evidente giustificano l’operazione) e che verifichi se le condizioni finanziare dell’Ente la permettono. 5.4 Le novità della legge 147/2013 sulle società in perdita continuata Quanto previsto dalla legge 147/2013 ai commi 554 e 555 dell’art.1 che dal 2017, le aziende speciali , istituzioni e società a maggioranza pubblica locale - titolari di affidamento diretto per una quota superiore all’80% del valore della produzione - siano liquidate in caso di risultato economico negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti; successivi atti di gestione saranno nulli e fonte di responsabilità erariale per i soci, obbligo che non vale per le società che svolgano servizi pubblici locali. Dal 2015 inoltre, in caso di risultato economico negativo per due dei tre esercizi precedenti, risultato negativo non coerente con un piano di risanamento previamente approvato dall’ente controllante, scatta l’obbligo di ridurre del 30% il compenso degli amministratori che possono essere revocati per giusta causa se il risultato è negativo per due esercizi consecutivi. 47 5.5 Il reintegro del personale Per quanto concerne il problema del personale in caso di reinternalizzazione di servizi precedentemente affidati a soggetti esterni posti in liquidazione, si riportano i tratti fondamentali dell’orientamento giurisprudenziale emerso in materia. Se, per un verso, la giustizia contabile consente teoricamente la possibilità di reintegrare nei ruoli e/o nelle mansioni il personale pubblico già in servizio presso l’ente, trasferito alla società per effetto dell’esternalizzazione del servizio o della funzione (personale che transitando dai ruoli dell’ente locale, si presume sia stato assunto nel rispetto delle procedure selettive pubbliche previste dalla legge per l’instaurazione del rapporto di pubblico impiego), e dall’altro solo il personale assunto direttamente dalla società partecipata sulla base di procedure aperte di selezione pubblica, le sole idonee a valutare le competenze dei candidati; in altra prospettiva, il processo di acquisizione di unità lavorative dalla gestione parallela viene di fatto bloccato perché la Corte dei conti medesima si è espressa nel senso che l’Ente che reinternalizza non può derogare dall’applicazione delle norme in materia di contenimento della spesa per il personale (Sezioni riunite in sede di controllo - deliberazioni n. 3/CONTR/12 - 4/CONTR/12 - 26/CONTR/12). In proposito, è opportuno precisare che la disciplina speciale in tema di spese per il personale degli Enti Locali prevede che le amministrazioni soggette alle regole del Patto di stabilità interno, per il combinato disposto del comma 557 dell’art. 1 della Finanziaria 2007 e del comma 7 dell’art. 76 del D.L. n. 112/08, convertito con modificazioni dalla Legge n. 133/08 (ultima parte del suo primo periodo), sono tenute ad operare una riduzione della spesa di personale rispetto a quella dell’esercizio precedente e possono applicare per le assunzioni a tempo indeterminato il turnover nei limiti del 40%. Gli Enti non soggetti al Patto di stabilità interno, in ragione del comma 562 dell’unico articolo della stessa Finanziaria 2007 non devono superare la spesa di personale rispetto all’ammontare dell’anno 2008 (primo periodo) e possono procedere alle assunzioni di personale nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato avvenute nell’anno precedente (secondo periodo). Tuttavia, a prescindere dall’applicazione o meno dei vincoli di finanza pubblica, nell’ambito dell’applicazione del comma 7 dell’art. 76 del citato D.L. n. 112/08 agli Enti Locali è inibita la possibilità di assumere unità lavorative se l’indicatore “spese personale/spese correnti” (calcolato con il consolidamento delle voci di spesa delle società partecipate) oltrepassa il valore/soglia del 50%. Il comma 557-bis dell’unico articolo della “Finanziaria 2007” testualmente recita: “Costituiscono spese di personale, anche quelle sostenute per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all'Ente”. In questo comma si evince chiaramente che condizione “sine qua non” per la imputazione delle spese di personale all’Ente controllante è che non venga spezzata la titolarità del rapporto di lavoro in capo al Comune. Da ciò deriva che, qualora nella gestione parallela posta in liquidazione era presente solo ed esclusivamente personale la cui titolarità del rapporto di lavoro faceva ancora capo all’Amministrazione socia, il problema del contenimento della spesa di personale sarebbe risolto, giacché il costo del lavoro della società partecipata di fatto era già computato in capo all’Ente Locale e il passaggio del lavoratore non si configurerebbe come nuova assunzione. È il caso di precisare che nonostante la norma di cui al citato comma 557-bis è riferita agli Enti soggetti al patto di stabilità, la sua applicazione si considera estesa anche agli Enti non soggetti al patto; si desume dalle voci di spesa di personale cristallizzate dalla Sezione delle Autonomie nei Questionari per i Comuni non soggetti alle regole del Patto di stabilità interno ai fini del calcolo del tetto complessivo di cui al comma 562 dell’art. 1 della Finanziaria 2007, che comprendono anche le “spese per personale utilizzato, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e 48 Organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all'Ente (compresi i Consorzi, le Comunità montane e le Unioni di Comuni). 49 CAPITOLO VI FALLIBILITA’ DELLE PARTECIPATE Gli interventi giurisprudenziali in materia di assoggettabilità, o meno, a fallimento delle società in mano pubblica si moltiplicano, oggi più di ieri, laddove si discute della loro equiparazione o meno alle società di diritto pubblico, e, per questa via, ci si confronta con lo spinoso dilemma di come trattare le stesse (società partecipate pubbliche) da un punto di vista fallimentare ai sensi dell’art. 1 del R.D. del 16 marzo 1942 n. 267. Purtroppo gli altalenanti pronunciamenti giurisprudenzali fra concorsualizzazione e non delle società pubbliche gettano ancora una volta gli Operatori e le Amministrazioni nella incertezza totale. Allo stesso modo da un punto di vista legislativo i provvedimenti si susseguono in modo incessante, pressati dalla situazione che oggi vive il Paese, a cui non sfugge il Settore pubblico. Anche in questo caso, si procede ora con interventi tendenti a limitare, o meglio a ridimensionare, il fenomeno dell’utilizzazione delle società pubbliche ora con interventi tendenti a disciplinarne il futuro utilizzo6. L’abuso di questo strumento è ormai da tempo all’attenzione del nostro legislatore e della Magistratura, anche contabile, che negli ultimi anni ha ristretto l’ambito di utilizzo di questo strumento societario al fine, in primis, di ridurre la spesa pubblica, ma nello stesso tempo evitare possibili strumentalizzazioni dirette, ad esempio, ad eludere i vincoli imposti dal “patto di stabilità”, nonché da ultimo tutelare la libera concorrenza. In tal senso si veda quanto previsto dall’ultima legge di stabilità ai commi da 550 a 569 dell’art. 1 in tema di partecipate pubbliche, rinviando ad altra parte di questo lavoro per il relativo commento. Qui basta solo evidenziare che viene introdotta una nuova disciplina tendente ad un miglior raccordo fra i risultati delle partecipate e quello dell’amministrazione partecipante con ripercussioni sui bilanci degli Enti, sui compensi e sulla governance delle stesse. Di particolare interesse è la previsione che vede le società pubbliche partecipare ai vincoli assunzionali e di spesa. In generale viene previsto, infatti, che in caso di risultato di esercizio negativo (perdite) o saldo finanziario negativo, conseguite dalle società partecipate, l’Ente partecipante dovrà accantonare ad un fondo vincolato la quota parte di perdita non coperta, secondo modalità indicate nel comma 552. Quanto detto vale anche in caso di consolidato e a tal fine vale il risultato consolidato. A partire dal 2014 le società partecipate in via maggioritaria, direttamente ed indirettamente dalle pubbliche amministrazioni locali, dovranno concorrere a realizzare gli obiettivi di finanza pubblica con le modalità disposte dall’art. 1, comma 553 della legge 147/2013. Le modalità operative con cui il fenomeno oggi si manifesta risultano abbastanza articolate ed una possibile classificazione, non esaustiva, delle società pubbliche potrebbe essere condotta in relazione: a) alla partecipazione: di: (i) maggioranza/minoranza; (ii) di controllo/collegamento secondo le disposizioni del vigente codice civile; (iii) né di controllo né di collegamento; b) all’oggetto: rivolta al mercato (con scopo di lucro), alla collettività (con scopo pubblico cioè nata per svolgere funzioni di pubblica utilità); c) alla natura della società partecipata: statale oppure locale oppure territoriale; d) all’affidamento: società pubblica con affidamento diretto (che incontra il divieto di operare con terzi ovvero di operare al di fuori del territorio competente), società non in affidamento diretto; e) alla rilevanza dei servizi offerti: servizi pubblici a rilevanza economica e servizi pubblici non a rilevanza economica; f) ai servizi erogati: servizi “in house”, “pubblici” e “strumentali” che daranno vita a: f.1) società “in house”: cioè quelle società dove viene stipulato un contratto fra un (o più) ente locale ed una persona giuridica distinta sulla quale: a) l’ente locale esercita un 6 Cfr. Legge di stabilità n. 147/2013 ai commi da 550 a 569 dell’art. 1. 50 controllo analogo (dove controllo analogo può essere inteso, in generale ed in via sintetica, come rapporto equivalente ad una relazione di subordinazione a quello esercitato sui propri servizi; b) la persona giuridica realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente (gli enti) locale che la controllano (cfr. Circ. n. 12727 del 19.10.2001 della Presidenza Consiglio Ministri-Dipartimento delle politiche comunitarie); c) il capitale sociale è interamente pubblico7; f.2) società di servizi pubblici: dove vengono fornite prestazioni dirette a soddisfare immediatamente e direttamente le esigenze della collettività; 7 Al riguardo appare opportuno ricordare le direttive esistenti ad oggi relativamente alla “creazione” di nuove figure giuridiche regolarmente recepite nel nostro ordinamento. La Direttiva 80/723/CEE della Commissione, del 25 giugno 1980, relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati Membri e le loro imprese pubbliche, all’art. 2 stabilisce che per impresa pubblica debba intendersi “ogni impresa nei confronti della quale i poteri pubblici (si intendono poteri pubblici: lo Stato nonché altri enti territoriali) possano esercitare, direttamente o indirettamente, un'influenza dominante per ragioni di proprietà, di partecipazione finanziaria o della normativa che la disciplina. L'influenza dominante è presunta qualora i poteri pubblici, direttamente o indirettamente, nei riguardi dell'impresa: a) detengano la maggioranza del capitale sottoscritto dall'impresa, oppure b) dispongano della maggioranza dei voti attribuiti alle quote emesse dall'impresa, oppure c) possano designare più della metà dei membri dell'organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell'impresa. In generale, la norma non evidenziando alcuna finalità porta alla facile conclusione che lo strumento giuridico dell’impresa pubblica può essere utilizzato sia per il raggiungimento di finalità pubbliche, cioè dirette ad una collettività, che private, cioè lucrativo. L'art. 1, paragrafo 9 della Direttiva n. 18/04 del 31 marzo 2004 (recepita dal D.Lgs. n. 163/2006 - codice dei contratti pubblici) definisce la figura dell’organismo di diritto pubblico, intendendo per tale qualsiasi organismo istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale (nel senso che l’attività deve essere destinata a soddisfare esigenze, bisogni riferibili ad una collettività più o meno ampia), avente carattere: a) non industriale o commerciale (inteso come assenza di rischio economico, attività esercitata in un contesto non concorrenziale, perseguimento di un fine di lucro), b) dotato di personalità giuridica (intesa come capacità di essere centro d'imputazione d'attività amministrativa), e c) la cui attività sia (alternativamente): - finanziata, anche indirettamente (cfr. Corte di Giustizia CE, Sez IV, 13 dicembre 2007, n. 337), in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure - la cui gestione sia soggetta al controllo (cioè si tratta di un controllo economico di gestione inteso come verifica dell’attività di gestione e corrispondente influenza sull'attività del soggetto giuridico nonché di un controllo giuridico ex art. 2359 c.c. in termini di legislazione nazionale), oppure - il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico. A livello comunitario, quindi, si riscontrano due figure di rilevanza generale, impresa pubblica ed organismo di diritto pubblico, che presentano rilevanti differenze. Le differenze possono individuarsi nel fine che le stesse si prefigurano di raggiungere che può essere sostanzialmente diverso. Infatti, mentre l’attività dell'organismo di diritto pubblico è finalizzata al raggiungimento di un interesse generale, che esclude qualsiasi carattere industriale e/o commerciale con la conseguenza di non assumere alcun rischio legato alla propria attività, l'impresa pubblica può avere anche finalità di lucro ed agisce in normali condizioni di mercato, assumendone il rischio. A tal riguardo si evidenzia che la giurisdizione appare diversa, ed in particolare per l'organismo di diritto pubblico sarà attribuita al giudice amministrativo, mentre per l'impresa pubblica la giurisdizione spetta invece al giudice ordinario, salvo il caso dei settori speciali in cui a tale impresa, in qualità di amministrazione aggiudicatrice, vada ad operare. Ulteriore elemento differenziante è rappresentato dall’influenza dominante che per l’organismo di diritto pubblico si tratta di un elemento determinante di identificazione dell’ente, per l’impresa pubblica, viceversa, dipende dalla composizione, maggioritaria o minoritaria, della compagine societaria. I due istituti giuridici, comunque, presentano punti di contatto che possono essere rinvenuti nel mezzo societario utilizzato in sede costitutiva e nell’interesse pubblico che intendono perseguire (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. 20 marzo 2012, n. 1574 sulla società Porto Antico di Genova S.p.A., nella quale, analizzata l’attività svolta dalla società pubblica Porto Antico di Genova S.p.A., ha concluso che la stessa è posta in essere con metodo economico ed è finalizzata al perseguimento di uno scopo di lucro, compatibile con l’interesse pubblico, con la conseguenza che sono presenti i connotati tipici ed esclusivi dell’attività di impresa e non dell’attività amministrativa. La società Porto Antico di Genova S.p.A. può essere dunque qualificata come impresa pubblica). 51 f.3) società strumentali: dove la prestazione viene erogata direttamente a favore dell’ente pubblico. L’inquadramento normativo non può non partire da una analisi delle disposizioni civilistiche e fallimentari vigenti, anche se una soluzione univoca giuridica al problema della fallibilità non sembra possibile mancando quel “quadro coerente di principi giuridici che sono a fondamento del sistema ordinamentale”8. L’art. 1, comma 1, della legge fallimentare stabilisce che “Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.”. L’art. 2221 c.c. ribadisce “Gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti in caso di insolvenza alle procedure del fallimento e del concordato preventivo salve le disposizioni delle leggi speciali.”. La ratio dell’esenzione degli enti pubblici è da ricondurre alla natura propria della procedura fallimentare e ai fini dell’attività pubblica9. Infatti, la procedura fallimentare, si presenta come procedura: a) di esecuzione generale in quanto diretta a tutto il patrimonio del fallito, che nel caso di ente significherebbe patrimonio dell’ente e quindi della collettività; b) con finalità di tutela delle ragioni dei creditori, o meglio delle ragioni dei soli creditori sociali, dimenticando e subordinando a queste le ragioni di tutela di tutta la collettività; c) diretta allo spossessamento e alla cessazione dell’attività, che, nel caso di enti pubblici, porterebbe alla paralisi dell’attività dell’ente con chiara lesione dell’interesse pubblico che l’ente deve perseguire; d) i cui organi (della procedura) nello svolgimento dell’attività di liquidazione troverebbero notevoli problemi in quanto bisognerebbe distinguere beni pignorabili e non, assoggettabili e non a liquidazione; e) dove si verificherebbe una lesione del divieto di sostituzione degli organi “politici” nella gestione dell’attività dell’ente, non essendo ammissibile una interferenza a carattere giudiziario nella sovranità dell’ente e dei suoi organi eletti. Alle suddette argomentazioni si aggiunga, da ultimo, che agli artt. 244 e ss. del TUEL (Legge n. 267/2000) viene prevista, per alcuni enti pubblici come i Comuni e le Province, una procedura specifica per il relativo dissesto. Le società partecipate da un ente pubblico sono tutte quelle società in cui l’Ente pubblico detiene una partecipazione, che può essere sia diretta che indiretta, sia di maggioranza sia minoranza, e si presentano da un punto di vista giuridico su di un piano differente rispetto all’Ente partecipante. Tale affermazione, negli ultimi anni, ha visto più di un ripensamento, soprattutto da parte di quella giurisprudenza di merito, ripresa con la nota sentenza del 2009 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a cui ne sono seguite molte altre, che in presenza di determinate condizioni o indici vede 8 Così Cass. SS. UU. sent. n. 26283 del 25 novembre 2013 al punto 3. Si legge ancora “Normativa alla quale il carattere spesso frammentario e l’esser frutto di esigenze contingenti impediscono di assumere una valenza sistematica che vada oltre il dettato della singola disposizione, onde parrebbe quanto mai azzardato il voler trarre da essa argomenti di ordine generale, tali da incidere sui principi giuridici su cui è basata la citata giurisprudenza di questa corte in materia, o anche solo indici dell’esistenza di principi in tutto o in parte diversi da quelli. La disciplina speciale dettata per le cosiddette società pubbliche – come anche la più attenta dottrina non ha mancato di rilevare – non ha tuttora assunto le caratteristiche di un sistema conchiuso ed a sé stante, ma continua ad apparire come un insieme di deroghe alla disciplina generale, sia pure con ampio ambito di applicazione”. 9 Cfr. ex plurimis F. Canazza Commento all’art. 1 legge fall. in (a cura di) G. Lo Cascio, Codice commentato del fallimento, II ed. 2013. 52 derogare quel carattere autonomo privatistico (in capo alla società partecipata) a vantaggio di quello pubblicistico con consequenziale applicazione della condizione di esonero di cui all’art. 1 l.f.. Le posizioni giurisprudenziali e dottrinali che si sono espresse sull’argomento possono essere riassunte in posizioni che privilegiano a volte aspetti formali ovvero sostanziali, ed in altri aspetti funzionali. Dottrina e giurisprudenza maggioritaria affermano che le società in mano pubblica sono società di diritto privato, dove pubblico è solo il soggetto partecipante, pertanto trovano applicazione tutte le disposizioni previste in tema di fallimento e concordato preventivo10. La tesi sostenuta (che potremmo definire formalista) muove, innanzitutto, dalla semplice considerazione che il legislatore dettando le poche norme sulle società con partecipazione dello Stato o degli altri enti pubblici (artt. 2449 e se vogliamo 2451 c.c.) avrebbe manifestato la volontà di assoggettare la società in mano pubblica, salvo quanto disposto dalle norme citate, alla medesima disciplina applicabile alle società in mano privata. Al tal riguardo si veda la Relazione al codice civile n. 998 dove viene detto espressamente la “disciplina comune della società per azioni deve applicarsi anche alle società con partecipazione dello Stato o degli altri enti pubblici senza eccezioni, in quanto norme speciali non ne dispongano diversamente”. L’assoggettabilità a procedura è oggi fortemente sostenuta da quella dottrina e giurisprudenza che valorizzano il dato formale e non ammettono alcun principio di riqualificazione del soggetto giuridico11. I principi su cui poggia tale conclusione possono sintetizzarsi: a) contrasto con quanto previsto dall’art. 1, comma 2, del d. lgs. n. 165/200112, che identifica le amministrazioni pubbliche dandone una elencazione, che non permette di ricondurre all’interno di tale elencazione le società pubbliche (non senza evidenziare che quanto affermato rientra fra i principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, così il comma 3 dello stesso articolo citato); 10 Cfr. ex plurimis F. Galgano – Il nuovo diritto societario in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Cedam 2006; G.Pellegrino, Il fallimento delle società commerciali, CEDAM, 2007; più recentemente fra gli altri F. Fimmanò L’ordinamento delle società pubbliche tra natura del soggetto e natura dell’attività, in Le società pubbliche Giuffrè 2011 pag. 13 e ss.; S. Scarafoni Il fallimento delle società in mano pubblica nel settore dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, ivi.. M. Ventoruzzo, Commento all’art. 1 legge fall., in Commentario alla legge fallimentare, diretto da Cavallini, I, Milano, 2010, Contra, nel senso della non fallibilità delle società in mano pubblica, vedi G. Napolitano, Soggetti privati “enti pubblici”, in Dir. amm., 2003.; G. D’Attorre I soggetti esclusi ex lege dalle procedure concorsuali, IPSOA 2007, (a cura di) M Sandulli in La riforma fallimentare n. 6 di L. Panzani ; ID, Società in mano pubblica e fallimento: una terza via è possibile, in Il Fallimento n. 6 del 2010. In senso possibilista (sulla non fallibiltà) Sandulli-Potito, Art. 1 - La legge fallimentare dopo la riforma Torino 2010, i quali scrivono “nel caso in cui si accerti la sostanziale natura pubblica dell’ente, il soggetto non potrà essere sottoposto a fallimento o concordato preventivo”. In giurisprudenza, da ultimo Cass. Sez. I del 15 maggio 2013 n. 22209 (dep. il 27 settembre 2013 ); Cass. SS.UU. del 8 ottobre 2013 n. 26283 (dep. il 25 novembre 2013) dove si colgono indirettamente le ragioni per l’inammissibilità di una riqualificazione delle società pubbliche in enti pubblici e di conseguenza a procedure fallimentari delle stesse società partecipate pubbliche (cfr. punto 3). Per la giurisprudenza di merito si vedano per le diverse posizioni quanto riferito infra. 11 Ex pluris cfr. L. Salvato, I requisiti di ammissione delle società pubbliche alle procedure concorsuali in F. Fimmanò (a cura di) Le società pubbliche Milano 2011 ove altri ed ampi riferimenti. 12 Al comma 2. “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI.”. Al comma 3. “Le disposizioni del presente decreto costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione. omissis . “. 53 b) contrasto con l’art. 4 della L. n. 70/7513 che non permette di istituire o riconoscere nessun nuovo ente pubblico se non per espressa previsione legislativa. In altri termini se non vi è una espressa previsione normativa che attribuisca natura pubblica alla società partecipata non risulta possibile alcuna riqualificazione in tal senso di una società privata; c) mancanza di un principio generale che declini per tale riqualificazione (cioè la possibilità di qualificare le società partecipate in enti di natura pubblica laddove perseguano un fine pubblico); d) l’indagine sulla ratio legis che ha portato alla creazione di società per azioni pubbliche (cfr. supra) non permette di interpretare le norme in essere se non nel senso della impossibile riqualificazione14 delle stesse. Viene evidenziato che una interpretazione diversa delle disposizioni oggi vigenti rappresenta un confine non valicabile neppure attraverso la cd. “interpretazione orientata alle conseguenze”15. Inoltre, “quando il legislatore ha ritenuto che vi siano interessi degni di particolare rilievo pubblicistico, ha optato per la diversa definizione dell’insolvenza nelle forme della liquidazione coatta amministrativa, tuttavia, in ogni caso, esiste sempre una procedura di gestione dell’insolvenza nelle forme del concorso.”16. Ragionando a contrariis, cioè a favore dell’esonero, si arriverebbe al riconoscimento di una società che trovandosi nelle condizioni dell’insolvenza non sarebbe soggetta ad alcuna forma di concorso, in quanto, per le società pubbliche, non si riscontrano esplicitamente disposizioni di diritto pubblico in senso concorsuale. Questo porterebbe ad una grave distorsione del mercato nel quale si troverebbe ad operare una società con una situazione di perdite, di insolvenza conclamata che resterebbe ancora sul mercato fin tanto che i soci o gli amministratori non decidano di porla in liquidazione ovvero non intervenga una revoca dell’affidamento, con chiara lesione della parità di trattamento fra imprese pubbliche e private, nonché in contrasto con la libera concorrenza.17 Anche in giurisprudenza il fenomeno delle società pubbliche è conosciuto da anni, e per lungo tempo, dopo l’intervento della Suprema Corte nella nota sentenza del 10 gennaio 1979 n. 5818 non si sono registrate nuove pronunce. In quella occasione (sent. 58/79) il Supremo Collegio affermò che “una società per azioni, concessionaria dello Stato per la costruzione e l’esercizio di un’autostrada, non perde la propria qualità di soggetto privato – e, quindi, ove ne sussistano i presupposti, di imprenditore commerciale, sottoposto al regime privatistico ordinario e così suscettibile di essere sottoposto ad amministrazione controllata – per il fatto: a) che ad essa partecipino enti pubblici come soci azionisti, b) che il rapporto giuridico instaurato con gli utenti dell’autostrada sia configurato, dal legislatore, in termini pubblicistici, come ammissione al godimento di un pubblico servizio previo il pagamento di una tassa (pedaggio), c) che lo Stato garantisca i creditori dei mutui contratti dalla società concessionaria per la realizzazione del servizio” . Successivamente non si segnalano interventi sul tema per molti anni, si segnala solo un ulteriore intervento della stessa Corte a conferma della propria linea privatistica sull’argomento. Si tratta della sentenza delle SS. UU. del 6 maggio 1995, n. 4991, che decidendo in merito ad una questione relativa a società per azioni costituite dai Comuni e dalle Province a norma dell’art. 22, comma 3, legge n. 142/1990 per la gestione di pubblici servizi, previa costruzione od acquisizione 13 Art. 4. (Istituzione di nuovi enti) - Salvo quanto previsto negli articoli 2 e 3, nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge. 14 Col rischio di contrasto col principio costituzionale di cui all’art. 101 Cost. “I giudici sono soggetti solo alle leggi”. Si veda anche Corte Appello Bari del 20 febbraio 2012 n. 140. 15 L. Salvato op. cit. 16 S. Scarafoni op.cit. 17 Vedi in tal senso S. Scarafoni op. cit. il quale richiama un possibile contrasto con la Direttiva n. 723/1980. 18 Cass. del 10 gennaio 1979 n. 58, in Il Fallimento anno 1979, pag. 58. 54 delle opere ed infrastrutture necessarie, ha affermato che esse (le società per azioni partecipate) “operano come persone giuridiche private, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l’ente pubblico, nei confronti del quale hanno assunto l’obbligo di gestire il servizio; atteso che, da un lato, il rapporto tra l’ente territoriale e la società non è riconducibile né alla figura della concessione di pubblico servizio, né all’ipotesi di concessione per la costruzione di opere pubbliche e che, dall’altro, non è consentito all’ente pubblico locale di incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società mediante l’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali”. L’analisi giurisprudenziale, nel corso degli ultimissimi anni, però, ha subito un importante ritorno in considerazione del fatto che la particolare crisi economica, che oggi interessa il Paese, ha messo a dura prova l’intero sistema economico, e con esso il sistema delle partecipate pubbliche. Queste, lavorando con margini necessariamente ristretti (si tratta di erogazione di servizi legati alla collettività con un andamento crescente dei costi sostenuti dalle stesse) (s)travolti dalla crisi finanziaria, sono entrate a pieno titolo nelle “cronache” di questi anni con decisioni giurisprudenziali, non uniformi, che ne hanno decretato talvolta lo stato di insolvenza talaltra l’esclusione dal fallimento. Il filone di indagine “revisionista” è stato ripreso nel 2009 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere19 che ha dichiarato il Consorzio di Bacino ACSA CE/3 spa (società pubblica) società non soggetta a fallimento ai sensi dell’art. 1 l.f. ritenendola esclusa al pari degli Enti pubblici. Viene data, così, una svolta al tema, invertendo l’opinione giurisprudenziale sicuramente maggioritaria fino a quel momento, aprendo, così, la strada verso la riqualificazione delle società pubbliche in senso pubblicistico. Sotto tale spinta, e nella stessa direzione, altri Tribunali hanno confermato la non assoggettabilità a procedura fallimentare seppur con diverse argomentazioni. Si segnala che non mancano al contempo decisioni a conferma del carattere privatistico delle società pubbliche20. Alla dottrina che ritiene le società in mano pubblica sempre fallibili in quanto, le stesse, non perderebbero mai la loro natura privatistica, comunque sempre prevalente, si affianca quella tesi (di origine soprattutto giurisprudenziale che potremmo definire sostanzialista) che, viceversa, considera indispensabile al di là della forma entrare nel merito degli aspetti organizzativi e gestionali per comprendere se permangono o meno quei caratteri privatistici, e nel caso in cui gli stessi risultassero “svuotati” bisognerà riqualificare quella società per azioni come società pubblica 19 Tribunale di S. Maria Capua Vetere del 9 gennaio 2009. Lo stesso Tribunale in data successiva dichiara il fallimento di una partecipata pubblica ma le argomentazioni addotte fanno leva sugli stessi principi. Tribunale Santa Maria Capua Vetere del 24 maggio 2011. 20 Per una analisi della giurisprudenza di merito in tema di fallimento di società pubbliche si veda: - per la NON ASSOGGETTABILITÀ Tribunale di Catania del 26 marzo 2010; Tribunale di Palermo decreto del 8 gennaio 2013 n. 99. Confermata, a seguito di nuovo ricorso prodotto dal nuovo liquidatore di Gesip spa, con successivo decreto del 11 giugno 2013 n. 268. Tribunale Patti 6 marzo 2009. Si vedano ancora Tribunale di Messina del 29 aprile 2010 e Tribunale di Termini Imerese del 3 agosto 2009 dove si afferma che bisogna guardare alla sostanza e non alla forma, e cioè analizzare caso per caso la compagine societaria, analizzare il servizio reso in modo che la società rappresenti una nozione allargata di Amministrazione pubblica. Tribunale di Alessandria del 9 luglio 2013; Tribunale di La Spezia 21 marzo 2013; Tribunale di Venezia 19 dicembre 2013; Tribunale di Napoli 9 gennaio 2014; Tribunale di Nola 30 gennaio 2014. - per l’ASSOGGETTABILITÀ a fallimento delle società in mano pubblica: Tribunale di Nola del 17 giugno 2010; Corte di Appello di Napoli 15 luglio 2009; Tribunale di Velletri 8 marzo 2010; Tribunale di Foggia 17 novembre 2010 si pronuncia per il fallimento di Daunia Ambiente spa e successivamente in data 18 gennaio 2012 ne dichiara il fallimento della società di proprietà comunale AMICA SpA (a seguito di rinvio della Corte d’appello), entrambe operanti nel settore dei servizi di raccolta rifiuti, ambiente, ecc. Sentenze confermate in appello dalla Corte barese in data 20 febbraio 2012 e 28 ottobre 2011; Tribunale Avezzano 26 luglio 2013; Tribunale di Benevento 29 agosto 2013; Tribunale di Rimini 26 novembre 2013. Corte d’Appello di Napoli, Sez. I, del 24 aprile 2013 n. 57 e del 27 maggio 2013 n. 346; Tribunale di Modena 10 gennaio 2014; Tribunale di Pescara 14 gennaio 2014. 55 equiparabile all’ente pubblico con la conseguenza di definirne la non assoggettabilità al fallimento. Gli elementi che bisognerà considerare a tal fine possono essere individuati ad esempio in clausole dirette al divieto di alienazione delle azioni; fortissime limitazioni all’autonomia funzionale degli organi societari e limitazioni all’esercizio dei diritti dei soci; lo scioglimento anticipato solo in caso di modifica della legge; nomina degli amministratori, o maggioranza, da parte di organi pubblici; destinatario di risorse finanziarie pubbliche; oggetto sociale diretto allo svolgimento di soli interessi collettivi in via esclusiva; l'erogazione di risorse finanziarie, ulteriori e diverse rispetto al conferimento. Gli indicatori sono riconducibili in sintesi a due aspetti: quello gestorio e quello dell'attività svolta. Pertanto, questa tesi intende dare prevalenza alla sostanza rispetto alla forma giuridica e, di conseguenza, in presenza degli indici sintomatici, di cui sopra, è possibile riconoscere natura pubblica anche a società per azioni formalmente private. In altri termini, deve ritenersi non assoggettabile al fallimento la società a partecipazione pubblica avente natura formalmente privata, ma sostanzialmente pubblica. Inoltre, si evidenzia che considerata l’attività svolta da tali soggetti, che si estrinseca normalmente in un servizio per la collettività, quindi un servizio pubblico, la tesi della sottoposizione a fallimento delle società pubbliche deve fare i conti, in caso di svolgimento di servizi essenziali per la collettività, con le conseguenze che ne deriverebbero a carico della stessa. La tesi qui prospettata trova conferma nella sentenza n. 466/93 con la quale la Corte Costituzionale, a seguito della privatizzazione di: I.R.I., E.N.I., I.N.A. ed E.N.E.L. in società per azioni, ha stabilito che il mutamento giuridico in società privata non abbia fatto venir meno il controllo della Corte dei Conti, pertanto gli stessi continuano a restare assoggettati al controllo e alle decisioni del giudice contabile. In tale occasione venne affermato che la veste giuridica non assume rilievo ai fini della definizione della fattispecie, ma bisogna necessariamente considerare la fattispecie nella sua sostanza, quindi si ammette una valutazione sostanziale e non formale. In altri termini, si afferma il concetto della prevalenza della sostanza sulla forma. Infatti, lo Stato conservando ancora nella propria disponibilità la gestione economica delle nuove società trasformate in società per azioni, esercitata mediante una partecipazione esclusiva o prevalente al capitale azionario delle stesse, lascia inalterata la sostanza pubblicistica del “nuovo” soggetto giuridico21. La stessa Corte costituzionale in un intervento successivo (sent. n. 363/2003 nella fattispecie Italia lavoro spa) conferma ancora una volta la possibile riqualificazione in senso sostanziale della società privata rinvenendo una serie di elementi utili in tal senso. In altri termini, una società di questo tipo, costituita in base alla legge, affidataria di compiti legislativamente previste e per essa obbligatorie, operante direttamente nell’ambito delle politiche di un Ministero come strumento organizzativo per il perseguimento di specifiche finalità, presenta tutti i caratteri propri dell’ente strumentale, salvo quello di rivestire – per espressa disposizione legislativa – la forma della società per azioni; e ciò, come detto, non può di per sé assumere rilievo per negare la sussistenza della potestà legislativa attribuita in via esclusiva allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione.”. La prospettata tesi trova ampio conforto nella giurisprudenza amministrativa e contabile. In ambito amministrativo, infatti, si segnala un forte indirizzo pubblicistico sul tema delle società pubbliche. Da tempo la giurisprudenza amministrativa si esprime nel senso della riqualificazione delle società miste in società di diritto pubblico, e, per questa via, riconosce la propria giurisdizione in quanto individua quei caratteri pubblicistici propri degli enti pubblici. In generale le motivazioni addotte dalla giurisprudenza amministrativa possono ricondursi soprattutto alla presenza di diversi indicatori di pubblicità del soggetto giuridico, cui si affiancano tutti quei casi in cui la società 21 Per una critica a tale impostazione si veda L. Salvato op.cit. Per l’Autore la Corte in quell’occasione ha evidenziato solo l’esigenza di affermare il controllo della Corte contabile tutte le volte in cui la società pubblica è destinataria di “somme” pubbliche. 56 esercita la propria attività in concessione amministrativa o di origine amministrativa22. In generale, si afferma che alla presenza di determinati indici rilevatori le società private sono da considerarsi società esercenti attività amministrativa e, pertanto, vengono sottratte alla disciplina propria delle società private. Alcuni esempi possono essere individuati nelle modalità costitutive; nell’organizzazione; nella stessa attività svolta ed ancora nel fine perseguito di interesse generale. Allo stesso modo, successivamente, la stessa Corte con sent. n. 308 del 30 gennaio 2006 ha affermato che la natura pubblicistica della società privata viene acquisita attraverso la verifica della esistenza di una serie di indici relativi a gestione e attività (incidenza sul consiglio di amministrazione; poteri di controllo sull’attività, ecc.) nonché modalità di finanziamento della società. Infine, anche i caratteri spiccatamente pubblicistici della società possono determinarne la sua natura pubblica23, così come l’esercizio in concessione amministrativa o di origine amministrativa ne determinerebbe la sua natura pubblica24. Si ricorda che la giurisdizione dell’organo contabile discende dal disposto dell’art. 103, comma secondo, della Costituzione, che stabilisce “la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge”. Al di fuori delle materie di contabilità pubblica, ed in tema di responsabilità per danno erariale, occorre che la giurisdizione della Corte dei conti abbia il suo fondamento in una specifica disposizione di legge. Le argomentazioni poste dalla giurisprudenza contabile dirette alla ridefinizione delle società private in società pubbliche possono essere ricondotte a due filoni principali, quello relativo alla destinazione di risorse pubbliche e quello relativo alla natura del servizio25. In generale, un tentativo di sintesi porterebbe alla possibile conclusione che oggi risultano due opposte soluzioni al problema, da un lato si afferma in ogni caso la natura privatistica, e quindi la natura di imprenditore commerciale delle società in mano pubblica con il conseguente assoggettamento alla disciplina delle procedure concorsuali; dall’altro quella giurisprudenza che afferma la prevalenza della sostanza sulla forma e quindi la verifica di volta in volta della natura privata o pubblica della società, sulla base di indici, con la conseguente esenzione dal fallimento ai sensi dello stesso art.1 della legge fallimentare. Più in particolare si possono individuare diversi filoni di indagine operati dai diversi Tribunali di merito. A – Impossibile riqualificazione delle società pubbliche, esse restano società di diritto comune26. B - Prevalenza della sostanza sulla forma 22 C. di Stato del 20 marzo 2012 n. 1574 e del 11 gennaio 2013 n. 122; C. di Stato n. 3914/2005 e 269/2009 sull’Ente autonomo Acquedotto Pugliese, nonchè sent. 1206/2001 per Poste italiane trasformata in spa, nonché sent. n. 308 del 30 gennaio 2006. 23 Cfr. C. di S. del 16 marzo 2009 n. 752/09 relativa ad Equitalia spa. 24 Cfr. C. di Stato n. 1094/2008. 25 A tale ultimo riguardo si veda per tutte la sentenza del 17 maggio 2013 n. 375 della Corte dei Conti, Sez. I Giurisdizionale Centrale di Appello. 26 Si veda anche Cass. 15 aprile 2005 n. 7799; Cass. SS. UU. 23 febbraio 2010 n. 4309; Cass sez. I del 15 maggio 2013 dep. 27 settembre 2013 n. 22209 e Cass. SS.UU. del 8 ottobre 2013 dep. 25 novembre 2013 n. 26283 entrambe nel testo commentato; Corte Appello Bari sent. del 20 febbraio 2012 n. 140; seppur indirettamente Tribunale Santa Maria Capua Vetere del 24 maggio 2011. 57 Tale indirizzo unanimamente accettato in giurisprudenza viene di volta in volta affiancato dai diversi Organi giudicanti ad altri settori di indagine, dirette a verificare se la società partecipata fosse svuotata di fatto nella gestione e nell’amministrazione dalla presenza dell’ente pubblico nella considerazione che non determinante, ai fini della qualificazione di ente pubblico, risulta la partecipazione di un ente pubblico ad una società privata. Da tale considerazione discende la necessità di affiancare una analisi del soggetto giuridico volta ad indagare sostanzialmente due aspetti: quello gestionale e quello organizzativo. Se dall’indagine di questi ambiti risultasse che le norme di diritto comune fossero svuotate, comportando nello stesso tempo che la società rappresenti un mero organo, una articolazione del soggetto pubblico partecipante, allora necessariamente si deve riqualificare quella società come società soggetta al diritto pubblico27. Da qui a dichiararle enti pubblici il passo diventa breve e di conseguenza varrebbero, in tal caso, le norme esonerative di cui all’art. 1 l.f. 28. I fattori determinanti utilizzati dalla giurisprudenza evidenziata sopra sono stati: - l’esistenza di una disposizione di legge che ne impone la costituzione; - capitale sociale pubblico; - le decisioni assembleari (almeno quelle di maggior rilievo per es. scioglimento, recesso) vengono subordinate al vaglio preventivo dell'ente; - clausole statutarie a vantaggio dell’ente (divieto alienazioni azioni, nomina CDA, poteri limitati del CDA a vantaggio dell’Ente); - finanziamento direttamente dall’ente pubblico per il raggiungimento degli obiettivi aziendale; - l’attività viene svolta in gran parte a favore dell'ente pubblico e/o per la gestione di un servizio pubblico; - attività svolta in concorrenza. C - Analisi dell’attività commerciale o meno svolta Altri Collegi giudicanti29 hanno inaugurato un nuovo modo di indagare il fenomeno, evidenziando la necessità di individuare se quell’attività svolta è commerciale o meno. Oggi si devono registrare due recentissimi interventi della Suprema Corte (Cass. Sez. I del 15 maggio 2013 n. 22209, dep. Il 27 settembre 2013 est. Cristiano; SS.UU. del 8 ottobre 2013 n. 26283 est. Rordorf) con i quali viene ribadito l’ambito privatistico delle società pubbliche. 27 Si ricorda che laddove non sussiste una specifica indicazione legislativa ovvero non si tratti di ente territoriale, autorevole dottrina (cfr. G. Rossi – Ente pubblico in Enc. Giuridica XII) ha individuato una serie di criteri rilevatori della pubblicità. In generale possono individuarsi i seguenti indici: i) perseguimento di finalità pubbliche; ii) potestà e poteri di imperio esercitati in nome proprio; iii) esercizio e modalità di svolgimento di attività analoghe a quelle di soggetti sicuramente pubblici quali lo Stato e gli Enti territoriali; iv) potere di controllo e di intervento da parte dell’enti pubblico. Questi indici rilevatori della pubblicità dell’ente determinerebbero la consequenziale esclusione dal fallimento. 28 Cfr. Trib. S.M. Capua V., Catania, Patti, Messina, Termini Imerese, Alessandria, Nola, Corte App. Napoli, Velletri. 29 Cfr. Trib. di Palermo, Avezzano e Benevento. 58 Col primo intervento (sent. n. 22209/2013) la Corte, dopo aver richiamato sinteticamente le ragioni storiche delle società pubbliche e del loro mutato utilizzo, afferma sotto diversi aspetti l’impossibilità di una riqualificazione giuridica delle società pubbliche in senso pubblicistico. I punti cardini su cui la recente sentenza ha poggiato, da ultimo, questo principio sono: a) il quadro normativo generale non risulta mutato. Le società pubbliche restano saldamente ancorate nell’ambito privatistico, laddove il legislatore nelle recenti riforme del diritto societario e del diritto fallimentare non ha minimamente modificato la disciplina previgente relativamente al tema delle partecipate pubbliche. Allo stesso modo i pochi articoli esistenti nel codice civile artt. 2458-2459-2460 sostituiti dall’art. 244930 (mod. da ultimo a seguito dell’entrata in vigore del comma 1, art. 13, L. 25 febbraio 2008 n. 34; art. 2450 abrogato, a seguito di procedura di infrazione europea, dall’art. 3, D. L. 15 febbraio 2007, n. 10 come conv. in L. 6 aprile 2007, n. 46). La conclusione appare suffragata anche dalla continua emanazione di numerosi leggi speciali dirette a disciplinare di volta in volta l’attrazione nella sfera del diritto pubblico anche soggetti di diritto privato31. Depone in tal senso anche la norma di cui all’art. 2451 c.c. laddove è lo stesso legislatore che ha previsto per le società di interesse nazionale l’applicazione delle norme del codice civile, seppur nel rispetto delle leggi speciali. b) la partecipazione di un ente pubblico ad una società privata non permette a quest’ultima di mutare la sua natura privatistica. La sentenza in esame partendo dal principio, più volte affermato, secondo cui la partecipazione di un ente pubblico ad una società privata non permette, a quest’ultima, di mutare la sua natura privatistica (la Corte richiama anche precedenti pronunce n. 58/79; n. 7799/05; n. 21991/12)32 sancisce che il rapporto fra ente partecipante e società partecipata “è di assoluta autonomia, posto che l'ente può incidere sul funzionamento e sull'attività della società ….. solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei componenti degli organi sociali di sua nomina.”. A tal fine l’analisi viene condotta: i) sia da un punto di vista gestionale, cioè sotto il profilo dell’organizzazione, del funzionamento, del rapporto fra i diversi organi interni alla società, delle modalità in cui si manifesta la volontà negoziale di queste società; ii) sia dal punto di vista dell’attività svolta intesa come rapporti fra società e terzi. In tutti gli ambiti indagati si rileva che l’espressione societaria “si forma e si manifesta secondo le regole del diritto privato”, e a nulla valgono i riferimenti alla partecipazione al capitale e alla designazione degli organi sociali. c) L’art. 4 della Legge n. 70/75 33 La norma nel richiedere che un ente pubblico può essere istituito o riconosciuto solo per legge “evidentemente richiede che la qualità di ente pubblico, se non attribuita da una espressa disposizione di legge, debba quantomeno potersi desumere da un quadro normativo di riferimento chiaro ed inequivoco”. d) Le conseguenze della dichiarazione di fallimento Ultimo aspetto che si rinviene è quello relativo alle cause che si verrebbero a determinare in 30 Art. 2449 - Società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici. Cfr. S. Scarafoni op. cit. Corte Appello di Napoli sent. n. 346/2013. 32 Cfr. anche Cass. SS. UU. n. 20941 del 12 ottobre 2011 secondo considerato. 33 Art.4. - Istituzione di nuovi enti. - Salvo quanto previsto negli articoli 2 e 3, nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge. 31 59 conseguenza alla dichiarazione di fallimento di una società svolgente servizi pubblici. In tal caso la Corte evidenzia che le paventate ipotesi di incompatibilità non sembrano determinanti in quanto: i) già presenti a livello legislativo in tema di ristrutturazione delle grandi imprese in crisi previste anche per le imprese dei servizi pubblici essenziali con una dubbia liceità laddove si ammettesse che le società che non raggiungono i limiti dimensionali ivi previsti non sarebbero soggette a fallimento, mentre le altre vi sarebbero soggette; ii) ma in modo ancora più convincente, la Corte evidenzia che la titolarità degli impianti, delle reti, delle immobilizzazioni necessarie allo svolgimento del servizio restano sempre e comunque separate dall’attività di erogazione del servizio; iii) il fallimento non comporta alcuna conseguenza negativa all’Ente che può comunque affidare la gestione ad un nuovo soggetto, utilizzando, in itinere, l’art. 104 l.f. sull’esercizio provvisorio. Tale esercizio, che trova come proprio presupposto il grave danno derivante dall’interruzione dell’attività per il ceto creditorio, permetterebbe di salvaguardare anche gli interessi dei terzi cittadini che continuerebbero ad usufruire dello stesso servizio erogato dall’impresa fallita; iv) non si riscontra alcuna sostituzione dell’autorità giudiziaria all’autorità amministrativa, in quanto questa continuerà a intrattenere i medesimi rapporti che aveva prima del fallimento in attesa del nuovo soggetto che verrà nominato per lo svolgimento del servizio; v) rispetto dei principi di uguaglianza e di affidamento, per coloro che vengono in rapporti con la società che dovranno godere di tutti gli strumenti previsti dal nostro ordinamento, fallimento incluso, nonché il rispetto del principio della concorrenza fra tutti i soggetti, operanti sullo “stesso mercato con le stesse forme e stesse modalità.”. Prima di concludere appare opportuno evidenziare quanto riferito dalla Corte circa il requisito dello scopo di lucro e dell’attività sociale (soprattutto nel caso di servizio pubblico essenziale) delle società pubbliche. In generale si afferma che indagare l’esistenza dello scopo di lucro oggi appare non determinante per l’individuazione della disciplina applicabile alle società di capitali in quanto l’area di delimitazione delle società di capitali con scopo lucrativo e non ha assunto connotati sempre più elastici (ne sono un es. le società sportive). Mentre, l’analisi dell’attività sociale potrebbe essere foriera di conclusioni assurde, in quanto si potrebbe arrivare ad affermare che anche una società privata esercente attività di gestione di un servizio pubblico ritenuto essenziale sarebbe esclusa dal fallimento, senza dimenticare che l’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale dipende dalla natura del soggetto e non dalla sua attività (in altri termini falliscono gli imprenditori e non le imprese). Nella sentenza n. 26283/2013 resa a Sezioni Unite, i Giudici di legittimità analizzano e giudicano il caso di responsabilità per danno erariale commesso dagli Organi sociali di una partecipata pubblica in house avente ad oggetto l’esercizio di trasporto pubblico locale. La Corte, dopo aver ricordato alcune sentenze in tema di giurisdizione della Corte dei Conti relativamente alla responsabilità per danni arrecati all’erario direttamente collegata all’azione degli Organi societari (come ad esempio danno all’immagine della P.A.), fornisce ulteriori elementi in tema di applicabilità alle società pubbliche delle norme di diritto comune. In tale ambito evidenzia che sussiste responsabilità anche nel caso in cui il legale rappresentante dell’Ente partecipante non eserciti puntualmente i propri diritti di socio pregiudicando di conseguenza il valore della partecipazione. A tal riguardo la Corte, quindi, allarga le ipotesi di responsabilità non solo agli Organi sociali (amministratori e sindaci) della società partecipata ma anche agli “Organi” (Sindaco, Consigliere, Assessore, in generale chi esercita i poteri del partecipante Ente) dell’Ente partecipante. Risulta evidente che, comunque, l’azione di responsabilità contabile appare esperibile solo ed esclusivamente in presenza di un danno per l’Ente, che nel caso di Organi sociali della società partecipata, derivi direttamente dall’azione di questi, mentre nel caso di legale rappresentante dell’Ente pubblico, deputato alla gestione della partecipazione, il danno derivi 60 indirettamente all’Ente come riduzione del valore della partecipazione delle Ente stesso. In tale ultimo caso il danno può derivare dal mancato esercizio di azioni dirette a denunciare atti di cattiva gestione (mala gestio) perpetrati dagli Organi della partecipata tali da determinare un perdita del valore della partecipazione. Ai fini della conferma del proprio orientamento privatistico in tema di società pubbliche, la Corte conferma l’impossibilità di una riqualificazione della società partecipata privata, retta da norme di diritto comune, in società pubblica, retta da norme di diritto pubblico. I principi che reggono tale affermazione son da ricondursi: a) alla preclusione dettata dall’art. 4 della L. n. 70/75 laddove prevede che solo il legislatore può istituire un ente pubblico. Conferma di tale principio è possibile derivare già dalla relazione accompagnatoria all’art. 2449 c.c. che espressamente indica “è lo Stato medesimo che si assoggetta alla legge delle società per azioni per assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici”34, così come il comma 13, dell’art. 4 del D.L. n. 95 del 6 luglio 2012, come conv. nella L. n. 135 del 7 agosto 201235, espressamente prevede che la disciplina del codice civile in materia di società per azioni si applica alle società partecipate pubbliche se non diversamente stabilito. In effetti si tratta di norme che impediscono all’interprete la suddetta riqualificazione e quand’anche la si voglia ammettere, almeno in via di principio, occorrerebbe una disposizione assolutamente inequivocabile in tal senso36. b) Distinzione fra il patrimonio della società partecipata rispetto a quello della società 34 Vedi art. 16 bis, L. 28 febbraio 2008 n. 31 di conv. del D.L. n. 248 del 31 dicembre 2007 che ha introdotto per le società quotate un’eccezione alla giurisdizione contabile. Infatti (Articolo 16 bis- Responsabilità degli amministratori di società quotate partecipate da amministrazioni pubbliche - 1. Per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, nonché per le loro controllate, la responsabilità degli amministratori e dei dipendenti è regolata dalle norme del diritto civile e le relative controversie sono devolute esclusivamente alla giurisdizione del giudice ordinario. Le disposizioni di cui al primo periodo non si applicano ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.). L’articolo 16-bis, sottrae il controllo delle società pubbliche quotate, con partecipazione anche indiretta dello Stato o di altre amministrazioni o di enti pubblici, inferiore al 50 per cento, alla giurisdizione della Corte dei Conti. Pertanto la responsabilità dei relativi amministratori e dipendenti è da rintracciarsi secondo le norme del diritto civile e, quindi, nella giurisdizione ordinaria. 35 Al secondo cpv. del comma 13 dell’art. 4, Le disposizioni del presente articolo e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di societa' a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di societa' di capitali. 36 La Corte nella sentenza n. 26283/2013 richiama la decisione di cui alle SS. UU. Sent. n. 27092 del 22 dicembre 2009 con la quale afferma che “per quest'ultima (RAI), in effetti, la decisione deve essere diversa, data la natura sostanziale di ente assimilabile a una amministrazione pubblica che le va riconosciuta, nonostante l'abito formale che riveste di società per azioni, …omissis..…lo si desume dai peculiari caratteri del regime della RAI, la quale: - è designata direttamente dalla legge quale concessionaria dell'essenziale servizio pubblico radiotelevisivo, svolto nell'interesse generale della collettività nazionale per assicurare il pluralismo, la democraticità e l'imparzialità dell'informazione; - è sottoposta, per la verifica della correttezza dell'esercizio di tale funzione, a penetranti poteri di vigilanza da parte di un'apposita commissione parlamentare, espressione dello Stato-comunità; - è destinataria, per coprire i costi del servizio, di un canone di abbonamento, avente natura di imposta e gravante su tutti i detentori di apparecchi di ricezione di trasmissioni radiofoniche e televisive, che è riscosso e le viene versato dall'Agenzia delle Entrate; - è compresa tra gli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, sottoposti pertanto al controllo della Corte dei Conti; - è tenuta all'osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell'affidamento di appalti, in quanto "organismo di diritto pubblico" ai sensi della normativa comunitaria in materia.”. 61 partecipante37. Se questi sono i filoni chiari ed inattaccabili su cui le Sezioni Unite poggiano le proprie considerazioni in tema di società pubbliche intese come società private, gli stessi sembrano essere meno marcati quando vengono riferiti alle società in house providing. Le considerazioni sopra svolte permangono anche nel caso delle c.d. società in house di chiara origine giurisprudenziale ormai definitivamente recepite nel nostro ordinamento38, nonostante le stesse svolgano attività imprenditoriale senza finalità di lucro. Al riguardo la Corte, dopo aver ampiamente evidenziato le caratteristiche tipologiche della società in house, conclude affermando che la società in house per le sue caratteristiche intrinseche (partecipazione, controllo analogo e attività diretta all’ente) nonché per lo svolgimento di attività imprenditoriali non lucrative, nonché la totale assenza di un potere decisionale suo proprio a causa del c.d. controllo analogo che elimina ogni potere discrezionale in capo agli Organi amministrativi della società partecipata, fanno di queste società un fenomeno anomalo nel panorama del diritto societario dove risulta impossibile individuare un centro d’imputazione di interessi proprio della società partecipata distinto da quello dell’ente partecipante. 37 Vedi in precedenza Cass. SS. UU. Del 12 ottobre 2011 ove altri riferimenti. Si veda l’art. 113 TUEL. Comunque, appare opportuno ricordare la sentenza Teckal del 18 novembre 1999 della Corte GE con la quale è stato esclusa la necessità di una gara ad evidenza pubblica, in quanto non lesiva della concorrenza, sulla base delle caratteristiche proprie della società: partecipata interamente dall’ente pubblico, con attività quasi esclusivamente effettuata nei confronti dell’ente, soggetta al controllo analogo inteso come controllo analogo a quello che l’ente effettua gerarchicamente sui propri uffici. Alle stesse conclusioni perviene, ma in modo più pregnante, la giurisprudenza amministrativa con la nota sentenza Cons di Stato AP del 3 marzo 2008 (già oggetto di pronuncia n. 5587/2007). In questa il Consiglio afferma che essendo l’in house providing un’eccezione alle regole generali l’interpretazione deve essere restrittiva, la sussistenza del controllo analogo permane solo qualora la compagine societaria sia composta da enti pubblici, escludendo qualsiasi diversa ipotesi, essendo necessaria la partecipazione pubblica totalitaria. A tal fine evidenzia che tale controllo non risulta sufficiente in quanto occorrono altri fattori determinanti incidenti sulla gestione e sull’attività della società, quali: a) inalienabilità a terzi privati delle azioni; b) non rilevanti poteri gestionali al consiglio di amministrazione; c) riconoscimento all’ente pubblico controllante di poteri particolarmente incisivi sulla attività decisionale; c) l’attività sociale non deve essere commerciale; d) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante. Solo alla presenza delle condizioni indicate la società potrà essere affidataria di servizi pubblici senza gara. Nella sentenza richiamata, quindi, vengono indicati i necessari requisiti affinché una società di diritto privato possa assumere l’espletamento di un servizio pubblico, che qualificherebbero lo stesso soggetto privato come ente di derivazione pubblica, e pertanto attribuirebbero la natura di diritto pubblico. Si veda in precedenza l’ordinanza del 3 maggio 2013 (Cass. SS UU - Ordinanza 3 maggio 2013, n.10299 - Pres. Preden – est. Amatucci), dove con ampi riferimenti a precedenti pronunce, la Corte afferma, sollecitata dalla Procura contabile, che non ha riscontrato le caratteristiche della c.d. società in house providing “per l'assorbente ragione che lo statuto della AMT-Azienda Municipalizzata Trasporti s.p.a., allegato agli atti di causa, non evidenzia caratteristiche di tal genere. È vero infatti che, secondo un orientamento da tempo affermatosi (benché a fini diversi da quelli della disciplina del riparto tra giurisdizioni) nella giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, e talora richiamato anche dalla Corte costituzionale (si veda, in particolare, da ultimo, la sentenza n. 46 del 2013), le società in house costituirebbero null'altro che una longa manus dell'amministrazione; ma ciò in quanto vi si ravvisi la contemporanea presenza di tre condizioni: a) l'essere la società a totale partecipazione pubblica, b) la sua destinazione statutaria ad operare in via esclusiva o prevalente in favore dell'amministrazione pubblica partecipante, c) l'esistenza di quello che si è ormai soliti definire come 'controllo analogo', ossia una forma di direzione e controllo sulla gestione societaria, da parte della pubblica amministrazione partecipante, analoga a quella che la medesima amministrazione eserciterebbe su una propria articolazione interna. Nel caso in esame lo statuto della società prevedeva che la partecipazione del Comune di Verona al capitale sociale non possa essere inferiore al 51%, ma non che debba essere totalitaria. L'oggetto sociale, pur facendo riferimento a 'servizi pubblici', non implica che l'impresa possa operare solo nei confronti della pubblica amministrazione partecipante (comprendendo invece, ad esempio, anche l'attività di trasporto turistico privato). I poteri di gestione dell'impresa, al pari di quelli di vigilanza sulla medesima gestione e sulla contabilità, sono attribuiti ai competenti organi sociali secondo criteri del tutto corrispondenti a quelli di regola previsti nelle normali società azionarie di diritto privato, con la sola previsione, quanto ai budgets, ai prezzi ed alle tariffe, di un generico riferimento ad un documento di indirizzo approvato dal Consiglio comunale di Verona; riferimento che evidentemente non vale ad integrare gli estremi del 'controllo analogo' cui sopra si è fatto cenno.”. 38 62 Di conseguenza nel caso di specie l’ente dispone della società come di una propria articolazione interna39. Ne discende che “la distinzione fra socio (pubblico) e società (in house) non si realizza più in termini di alterità soggettiva”. Le società in house rappresentano “in realtà delle articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi”. Da quanto sopra esposto per arrivare ad affermare il carattere pubblico di quelle società definite “anomale”, cioè le società in house, il passo sarebbe breve. Ma l’attento estensore si preoccupa di evidenziare che “se non è possibile configurare un rapporto di alterità tra l’ente pubblico e la società in house che ad essa fa capo, è giocoforza concludere che anche la distinzione tra patrimonio dell’ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità. Dal che discende che …….. il danno eventualmente inferto al patrimonio della società ……. è arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile all’ente pubblico”. In definitiva si continua ad affermare che le società private partecipate sono col loro patrimonio una entità distinta da quella dell’ente pubblico, anche se i confini, per quelle società dove il diritto comune viene compresso al massimo, cioè quelle in house, ora appaiono alquanto sfumati. In senso contrario, a nulla valgono le considerazioni relative all’istituzione ex lege40 di un Commissario straordinario alla supervisione, monitoraggio e coordinamento nell’approvvigionamento di beni e servizi cui devono sottostare le partecipate pubbliche, ovvero al fatto che le società partecipate vengano richiamate dall’art. 147 quater del D. Lgs. n. 267/2000 (TUEL)41, ovvero ancora la previsione ai sensi dell’art. 4, comma 12, del D.L. n. 95/2012 in tema di 39 Vedi da ultimo Sent. 46/2013 Corte Costituzionale, in precedenza vedi Corte Cost. n. 325/2010, con la quale si afferma che la società in house è la longa manus dell’ente. Per una analisi sulla natura della possibile interpretazione del controllo analogo nel diritto societario e delle difficoltà di attuazione si veda F. Fimmanò op. cit. 40 L’art. 2 (Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi) della Legge n. 94/2012 di conv. del D.L. n. 52/2012, al comma 1 afferma Nell'ambito della razionalizzazione della spesa pubblica ed ai fini di coordinamento della finanza pubblica, di perequazione delle risorse finanziarie e di riduzione della spesa corrente della pubblica amministrazione, garantendo altresì la tutela della concorrenza attraverso la trasparenza ed economicità delle relative procedure, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per i rapporti con il Parlamento delegato per il programma di Governo, può nominare un Commissario straordinario, al quale spetta il compito di definire il livello di spesa per acquisti di beni e servizi, per voci di costo, delle amministrazioni pubbliche. Il Commissario svolge anche compiti di supervisione, monitoraggio e coordinamento dell'attività di approvvigionamento di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni, anche in considerazione dei processi di razionalizzazione in atto, nonché, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, attività di ottimizzazione, in collaborazione con l'Agenzia del demanio, dell'utilizzazione degli immobili di proprietà pubblica, anche al fine di ridurre i canoni e i costi di gestione delle amministrazioni pubbliche)). Il Commissario collabora altresì con il Ministro delegato per il programma di governo per l'attività di revisione della spesa delle pubbliche amministrazioni. 41 Art. 147-quater. Controlli sulle società partecipate non quotate 1. L'ente locale definisce, secondo la propria autonomia organizzativa, un sistema di controlli sulle società non quotate, partecipate dallo stesso ente locale. Tali controlli sono esercitati dalle strutture proprie dell'ente locale, che ne sono responsabili. 2. Per l'attuazione di quanto previsto al comma 1 del presente articolo, l'amministrazione definisce preventivamente, in riferimento all'articolo 170, comma 6, gli obiettivi gestionali a cui deve tendere la società partecipata, secondo parametri qualitativi e quantitativi, e organizza un idoneo sistema informativo finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra l'ente proprietario e la società, la situazione contabile, gestionale e organizzativa della società, i contratti di servizio, la qualità dei servizi, il rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica. 3. Sulla base delle informazioni di cui al comma 2, l'ente locale effettua il monitoraggio periodico sull'andamento delle società non quotate partecipate, analizza gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e individua le opportune azioni correttive, anche in riferimento a possibili squilibri economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell'ente. 4. I risultati complessivi della gestione dell'ente locale e delle aziende non quotate partecipate sono rilevati mediante bilancio consolidato, secondo la competenza economica. 5. Le disposizioni del presente articolo si applicano agli enti locali con popolazione superiore a 100.000 abitanti in fase di prima applicazione, a 50.000 abitanti per il 2014 e a 15.000 abitanti a decorrere dal 2015. Le disposizioni del 63 responsabilità da danno erariale per amministratori e dirigenti delle partecipate42. Queste disposizioni non permettono, ancora una volta, di riqualificare la società partecipata da soggetto privato in soggetto pubblico, determinandone così l’esclusione dal fallimento, anzi l’art. 4, co. 13, del D.L. n° 95/2012, ribadisce che “per quanto non diversamente stabilito e salvo proroghe espresse, si applica comunque (alle società a partecipazione pubblica) la disciplina del codice civile in materia di società di capitali”. Fermo restando che in tali fattispecie (società in house), il venir meno della distinta titolarietà dei rispettivi patrimoni (cioè dei patrimoni riferibili alla società partecipata in house e all’Ente) determina che il danno eventualmente inferto al patrimonio della società partecipata, da atti illegittimi commessi dagli amministratori di quest’ultima, è arrecato ad un patrimonio riconducibile all’ente e, pertanto, un danno erariale la cui azione di responsabilità ricade sotto la giurisdizione della Corte dei Conti43 44 45. Alle tesi sopra esposte, l’interprete e la giurisprudenza, negli ultimi anni, hanno dato vita a quella che, oggi, potrebbe essere riferita coma tesi funzionale. Si è già detto della ratio dell’esenzione degli enti pubblici dal fallimento che è da ricondurre essenzialmente nella natura propria della procedura fallimentare incompatibile con la natura pubblica dell’ente (la procedura fallimentare si presenta come procedura di esecuzione generale, con finalità di tutela delle ragioni dei creditori presente articolo non si applicano alle società quotate e a quelle da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile. A tal fine, per società quotate partecipate dagli enti di cui al presente articolo si intendono le società emittenti strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati. 42 Art. 4 comma 12. Le amministrazioni vigilanti verificano sul rispetto dei vincoli di cui ai commi precedenti; in caso di violazione dei suddetti vincoli gli amministratori esecutivi e i dirigenti responsabili della società rispondono, a titolo di danno erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtu' dei contratti stipulati. 43 Nello stesso senso la Sentenza n. 26806/2009, sempre in tema di individuazione della giurisdizione in relazione alla responsabilità degli organi sociali, la Corte sottolinea che le società di diritto privato partecipate da un ente pubblico “non perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico.”. Visto che il codice civile dedica alla società per azioni a partecipazione pubblica solo poche norme contenute nell’art. 2449, queste non sono tali da configurare uno statuto speciale per dette società (spesso, viceversa, interessate da norme speciali, non sempre tra loro ben coordinate), salvo per i profili inerenti alla nomina e revoca degli organi sociali, specificamente ivi contemplati. 44 Si richiama anche un ulteriore filone, che potremmo definire del tertium genus di origine amministrativo (cfr. Cons. di Stato, sez. V, del 25 giugno 2002, n. 3448) laddove il Consiglio di Stato non ha qualificato le società pubbliche né come soggetti dotati di capacità imprenditoriale autonoma, e non riscontrando l’esclusiva funzionalizzazione al perseguimento degli interessi pubblici dell’ente locale, né come ente pubblico, il cui il vincolo dovrà essere valutato di volta in volta. Il dibattito non sembra aver apportato indicazioni solutorie al problema, anche se i sostenitori di tale via ritengono che sia l’unica a tener conto sia delle istanze privatistiche e imprenditoriali da un lato e pubblicistiche e di tutela dell’interesse della collettività dall’altro. Per un richiamo a tale possibile qualificazione, ma in senso negativo, la Corte Suprema si è espressa in via di richiamo nella recentissima sentenza n. 22209/2013 negandone la possibile esistenza. 45 A conferma vedi R. Rodorf Le società partecipate fra pubblico e privato in Le società 12/2013 IPSOA pag. 1326 e ss. dove in relazione alle società in house scrive “Se si dovesse concludere che - come incidentalmente e` stato affermato anche in una recentissima sentenza della Corte Costituzionale (n. 46/2013) - tali societa` sono null’altro che una longa manus della pubblica amministrazione, al punto che l’affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo, allora davvero la distinzione tra societa` partecipata e socio partecipante rischierebbe di evaporare. Quella che si definisce una societa` sarebbe, in sostanza, solo un’articolazione interna dell’ente pubblico e quindi (senza il bisogno d’ipotizzare l’esistenza di un fenomeno simulatorio, assai problematico da riferire alla costituzione di una societa` di capitali) si dovrebbe poter dire che quelle in house di societa` conservano solo il nome, laddove la realta` fatta palese sin dal loro statuto evidenzierebbe che si tratta di enti pubblici, o meglio ancora di strutture equiparabili ad organi interni della pubblica amministrazione. Con ovvie conseguenze anche sul piano del riparto di giurisdizione. Si tratta - lo ripeto - di una prospettiva da esplorare, senza nascondersene i profili problematici, soprattutto derivanti dall’assenza di una precisa definizione legislativa del fenomeno dello in house providing e di sicuri indici normativi circa la natura pubblica degli enti in veste societaria cui ho fatto cenno (potendo eventualmente siffatti indici esser ricercati, ma non senza difficolta`, nel ginepraio delle frammentarie disposizioni speciali che talvolta menzionano a vari fini dette societa` in house, al di fuori pero` di un quadro coerente di sistema)”. 64 particolari, nello spossessamento dell’ente, nella cessazione dell’attività nell’attività di liquidazione problematica nell’impossibilità di pagare i debiti attraverso l’imposizione fiscale, nel divieto di sostituzione degli organi “politici” nella gestione dell’attività dell’ente)46. Tale modus operandi muove dalla considerazione che nelle società pubbliche trovano indubbiamente alloggio sia norme pubblicistiche che norme privatistiche. Per tale ragione non risulta possibile definire a priori la natura del soggetto giuridico. Di conseguenza, ai fini della determinazione dell’ambito dell’esenzione o meno dal fallimento di cui si discute, appare opportuno volgere lo sguardo e chiedersi: La procedura fallimentare sarebbe compatibile con il fallimento di quel soggetto giuridico s.p.a. o s.r.l. quando svolge un’attività essenziale per la collettività? In altri termini sarebbe opportuno volgere l’attenzione, ai fini della decisione, alla compatibilità della procedura concorsuale con la finalità perseguita dall’attività di gestione di quel soggetto giuridico ovvero, trattandosi di interessi della collettività, con la tutela degli interessi pubblici perseguiti. Quindi l’analisi non risulta più essere diretta alla individuazione di indici rilevatori della pubblicità ovvero individuazione della natura del soggetto, ma l’attenzione, secondo tale tesi, deve essere rivolta alla possibile applicazione delle norme concorsuali a quella società nella considerazione che tale operazione dovrà necessariamente tener conto degli interessi pubblici perseguiti da quel soggetto47. Per tale via si potrebbe giungere a considerare non fallibili tutte quelle società pubbliche c.d. “necessarie”, cioè quelle società dove il servizio reso alla collettività è “essenziale” come ad es. smaltimento rifiuti, trasporto pubblico, ecc. 48. In altri termini, la necessarietà del servizio pubblico comporterebbe, per tale teoria, che quel soggetto giuridico rappresenti un organo indiretto della PA49 nel perseguimento dei propri fini istituzionali, pertanto non fallibile. In linea con tale conclusione sembrerebbe anche la giurisprudenza comunitaria50. Da quanto sopra discendono due considerazioni determinanti: a) l’esenzione dal fallimento di società pubbliche è possibile, almeno per quelle società “necessarie” all’ente per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali51. 46 Tale tesi appare oggi molto debole se solo si pensi che in tema di amministrazione delle grandi imprese in stato di insolvenza la crisi viene prevista con una procedura concorsuale ad hoc per le società operanti nei servizi pubblici essenziali (Legge Marzano). 47 Si veda D’Attorre G., “Le società in mano pubblica possono fallire?”, in Il Fallimento, n. 6/2009; ID Società in mano pubblica e fallimento: una terza via è possibile, Il Fallimento n. 6/2010; M. Libanora, Le società miste pubblicheprivate, IPSOA-WKI 2011. Per una critica, condivisibile, si veda ROMAGNOLI, Le società degli enti pubblici; problemi e giurisdizioni nel tempo delle riforme, in G. comm., 2006 per il quale l’esonero dalle procedure concorsuali è a volte introdotta in ragione del tipo di attività come ad esempio per l’attività agricola, altre volte per la natura dell’ente come rintracciabile all’art. 2221 c.c., mai in relazione agli interessi coinvolti; nello stesso senso G. Pellegrino op. cit.. 48 Vedi per tutti G. Rossi op. cit. In senso opposto si è mossa la recente Cass. Sez. I n.22209/2013 laddove afferma che per tale via si dovrebbe giungere alla conclusione che anche le società a capitale interamente privato sarebbero esonerate dal fallimento. 49 Cfr. Cass., SS. UU. Sent. 5 febbraio 1999, n. 24 50 CGCE sentenza 16 giugno 1987, nella causa 118/1985, Commissione c/ Italia in relazione all’ipotesi dell’aiuto di Stato, in dottrina vedi Appiano E. M., “Aiuti di Stato alle imprese pubbliche e privatizzazioni nel diritto comunitario della concorrenza”, in Diritto Comunitario e degli scambi internazionali, 1994 51 Cfr. raccomandazioni dell'UNCITRAL (United Nations Commission on International Trade Law), che riconosce la possibilità per le legislazioni nazionali di prevedere tale esclusione (disponibile sul sito www.uncitral.org/text/insolvency/2004Guide dove alle raccomandazioni da 8-13 alla numero 9 si legge “Exclusions from the application of the insolvency law should be limited and clearly identified in the insolvency law - Esclusioni dalla applicazione della legge sull’insolvenza dovrà essere limitata e chiaramente identificata dal diritto fallimentare; nella nota 6 si legge: Highly regulated organizations such as banks and insurance companies may require specialized treatment that can appropriately be provided in a separate insolvency regime or through special provisions in the general insolvency law. Some state-owned enterprises, such as those involved in sensitive sectors of the economy, might also be excluded. - Organizzazioni fortemente regolamentati come le banche e le compagnie di assicurazione possono richiedere un trattamento specifico che può opportunamente essere fornita in un regime di insolvenza 65 b) la necessità di circoscrivere entro ambiti ristretti il fenomeno dell’esenzione, non fosse altro perché essa non rappresenta una soluzione indolore sul piano della tutela degli interessi coinvolti nella insolvenza dell'ente formalmente privato, ma sostanzialmente pubblico. Ciò significa che l'esclusione dal fallimento va limitata ai soli casi in cui essa sia strettamente funzionale alla tutela degli interessi pubblici sopra evidenziati, evitando indebite estensioni dell'area di esenzione52. In conclusione, non sembra possibile per l’interprete superare i limiti imposti dalle norme attualmente in essere che impediscono di creare un ente pubblico se non attraverso una legge istitutiva (art. 4 della legge n. 70/75). In altri termini non sembra possa revocarsi in dubbio che nel diritto vigente non è rintracciabile una norma diretta a disciplinare in senso pubblicistico la società privata partecipata da un ente pubblico neanche se la stessa persegua interessi pubblici (vedi art. 1 l. f. e art. 2221 c.c., art. 4 della L. n. 70/75). Inoltre, appare indiscutibile che la società partecipata ha un proprio patrimonio, separato dal patrimonio dell’Ente partecipante e che agisce secondo una propria disciplina societaria quand’anche integralmente “assorbita” dalle decisioni dell’Ente partecipante secondo il noto modello della società in house. In altri termini, nel panorama del diritto comune troviamo società a partecipazione pubblica che presentano un grado variabile di specialità rispetto allo stesso diritto. Si va da società dove il diritto comune viene integralmente applicato senza alcuna limitazione a quelle in cui viene fortemente compresso per lasciar ampio spazio a disposizioni di carattere pubblicistico come ad esempio nelle società in house, ma pur sempre “utilizzando tutti gli spazi di autonomia statutaria consentiti” dal diritto comune (patti parasociali, convenzioni, ecc.)53. Le norme societarie troveranno integrale applicazione, così ad esempio in tema di postergazione ex artt. 2467 e 2497 quinquies c.c., in tema di coperture perdite54, liquidazione, ecc.55. Allo stesso modo agiranno le disposizioni di cui agli artt. 2497 e ss. relativi alla responsabilità da direzione e coordinamento. A tal riguardo viene previsto che le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. separato o attraverso speciali disposizioni della legge generale di insolvenza. Alcune imprese di proprietà statale, come quelli coinvolti in settori sensibili dell'economia , potrebbero essere esclusi); 52 Cfr. Tribunale di La Spezia cit.; Corte di Appello di Torino decreto del 15 febbraio 2010. In senso critico Trib. S. M. Capua Vetere del 24 maggio 2011 cit.. 53 Così G. Terracciano La natura giuridica delle società a partecipazione pubblica e dei consorzi per la gestione dei servizi pubblici locali in Le società pubbliche (a cura di) F. Fimmanò 2011 Milano. 54 Si rinvia a tal riguardo alla relativa analisi in questo lavoro ed ai risvolti dovuti all’ultima legge di stabilità n. 147/2013. Per una analisi della possibile applicazione societaria del modello in house nel diritto societario si veda F. Fimmanò op. cit. .Al riguado l’Autore ritiene che difficilmente quel modello così come richiesto dalla disciplina comunitaria potrà trovare ingresso nel diritto societario vigente. Infatti ritiene che la società in house, così come richiesta dalla normativa comunitaria, “esige un rapporto di delegazione interorganica” intesa come il trasferimento dell’ente alla società di ogni funzione, potere e competenza. Di conseguenza “il delegante si spoglia di proprie attribuzioni a favore del delegato, il quale a sua volta agisce solo nell’interesse e per conto di quest’ultimo, acquisendo legittimazione attiva e passiva e diventando direttamente responsabile nei confronti dei terzi degli atti di esecuzione della delegazione.”. Tali effetti non sono possibili alla luce delle vigenti norme sulle società per azioni, quindi l’unica possibilità, per l’Autore, di determinare quel controllo così invasivo è la stipula di un contratto di affidamento di servizio. Da un punto di vista privatistico discenderà una evidente responsabilità da eterodirezione. 55 Si veda Corte dei Conti sez controllo Lombardia, parere 29 giugno 2009 n. 385 dove si afferma che la disciplina applicabile all’organizzazione societaria rimane quella stabilita dal codice civile. Si veda anche sez. Regionale di controllo per il Lazio delibera 7 ottobre 2008 n. 46 e parere n. 28 del 17 maggio 2011 per la Basilicata dove si afferma che il Comune non ha alcun obbligo di assumere in carico i debiti insoddisfatti della propria partecipata, non escludendo che il comune possa deliberare il relativo accollo idoneamente motivato nei vantaggi e nelle utilità evidenti per l’ente, operativamente, verificando se le condizioni finanziarie dell’ente lo permettano. 66 Sicuramente questa non è la sede opportuna per analizzare la responsabilità da eterodirezione, ma l’art. 2497 c.c. fornisce una ulteriore motivazione a supporto della tesi c.d. formalista in quanto i creditori insoddisfatti, in sede di procedura concorsuale, attraverso i curatore, ovvero precedentemente alla dichiarazione di insolvenza saranno legittimati ad agire nei confronti dell’ente dominus. Quindi, in sede di violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società eterodirette, che hanno comportato il danno a carico del patrimonio della partecipata e di conseguenza dei suoi creditori, si potrà agire nei confronti del dominus per il risarcimento del danno. Si evidenzia solo che questa responsabilità è sussidiaria rispetto all’escussione del patrimonio della società partecipata. Tale requisito, però, risulta automaticamente soddisfatto in caso di insolvenza della partecipata, in quanto con la dichiarazione di fallimento si verifica l’impossibilità di ottenere la prestazione dalla società eterodiretta che rappresenterebbe il presupposto dell’azione di responsabilità56. Infine, si evidenzia che ai sensi dell’art. 2497 sexies viene introdotta una presunzione di direzione e coordinamento. La norma citata prevede, salvo prova contraria (alquanto difficile), che l'attività di direzione e coordinamento di società si presume in capo alla società o ente tenuta al consolidamento dei loro bilanci (cioè in tutti i casi in cui venga previsto un obbligo di consolidamento) ovvero nel caso di controllo ai sensi dell'articolo 2359 (cioè in tutti i casi di controllo di diritto, di fatto interno o esterno). Al fine di evitare la propria responsabilità, l’ente avrà l’onere di dimostrare che la propria attività è stata svolta nell’interesse della partecipata insolvente secondo corretti princìpi di gestione. Operativamente, la società soggetta a direzione dovrà opportunamente motivare tutte quelle decisioni che hanno influenzato il proprio operato indicandone le ragioni e gli interessi. La tesi dell’essenzialità del servizio per la collettività (la tesi funzionale) oggi appare non preferibile laddove è stata espressamente disciplinata la possibilità di accesso a procedura concorsuale per le stesse società pubbliche eroganti servizi essenziali. Al riguardo si richiama la modifica al Decreto Marzano (D.L. n. 134/2008, conv. con mod. in L. n. 166/2008 - Decreto Alitalia) che prevede, per le società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, la possibilità di prosecuzione del servizio pubblico da parte della società sottoposta a procedura di ristrutturazione industriale. Come è stato scritto “Questo decreto non crea una procedura autonoma, ma inserisce novità ed aggiunte nella previgente disciplina della procedura di ristrutturazione industriale (oltre che, come si è visto, in quella dell’amministrazione straordinaria tout court), alcune destinate ad operare in ogni caso, altre destinate ad operare soltanto per società che gestiscano servizi pubblici essenziali”57. Se ne deve concludere che la riqualificazione delle società pubbliche in enti pubblici non risulta, allo stato, possibile. Inoltre, la presente impostazione presta ulteriormente il fianco alla considerazione che il fallimento in tali casi non si presenterebbe in contrasto né con le disposizioni del fallimento né con l’autorizzazione temporanea alla continuazione dell’esercizio58. Il problema allora sembra limitarsi all’analisi delle società in house, dove il diritto societario subisce la massima compressione per lasciar spazio a quella figura di origine comunitaria e stabilire se le stesse siano compatibili con le disposizioni sul fallimento e verificare se le stesse possano essere qualificate società commerciali. Rinviando per approfondimento ad altra parte del presente lavoro, qui basta ricordare che: 56 F. Fimmanò op. cit. GUALANDI, Le misure urgenti per la ristrutturazione di grandi imprese in stato d’insolvenza, in AA.VV., Manuale di diritto fallimentare, II ed. Giuffrè. 58 Vedi da ultimo Cass. N. 22209/13, in dottrina L.. E. Fiorani Società “pubbliche” e fallimento, Giur. Comm. I 2011. 57 67 - per in house providing (gestione in proprio) si intende quel modello di organizzazione e gestione dei pubblici servizi (erogazione di servizi, forniture, lavori) che le pubbliche amministrazioni adottano attraverso propri organismi, cioè senza ricorrere al libero mercato. Per controllo analogo (cfr. nota sent. Corte di Giustizia “Teckal” 18.11.1999 in causa C107/98), necessario per procedere all’affidamento di un servizio senza ricorso al previo espletamento di procedure ad evidenza pubblica, in via breve, può essere inteso come il controllo analogo a quello che l’ente locale (amministrazione aggiudicatrice) esercita sui propri servizi ancorché la controparte contrattuale sia un’entità giuridicamente distinta dall’amministrazione aggiudicatrice. L’art. 1 l.f. individua ai fini della fallibilità soggettiva l’imprenditore commerciale. Ai sensi dell’art. 2082 è imprenditore commerciale chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata per la produzione e scambio di beni e servizi. Se l’impresa è esercitata in forma collettiva allora l’attività economica deve essere esercitata, ai sensi dell’art. 2247 c.c., in comune fra due o più persone59. Infine, l’attività economica deve avere il carattere della commercialità ai sensi dell’art. 2195 c.c.. Appaiono opportune alcune considerazioni che si vanno ad esplicitare. Per attività deve intendersi una serie coordinata di atti, per attività economica un’attività produttiva condotta secondo criteri di economicità, cioè diretta all’autosufficienza economica intesa come copertura dei costi con i ricavi. Pertanto “non è imprenditore chi produce beni o servizi gratuitamente (o prezzo simbolico) in quanto non si avrebbe un’attività diretta alla copertura dei costi con i ricavi; allo stesso modo chi gestisce gratuitamente o con prezzo simbolico un servizio pubblico (ad esempio una mensa, un istituto di istruzione, un ospizio)”60. Viceversa se quei servizi sono erogati con l’intento di coprire i costi con i ricavi (metodo economico), anche se il fine è pubblico o ideale ed anche se le condizioni di mercato non consentono di rimunerare i fattori produttivi, chi li offre dovrà essere considerato imprenditore. Se l’attività è esercitata in comune allora la norma richiede che vi sia anche lo scopo di lucro61. Alla luce di queste brevi considerazioni riepilogative, bisogna interrogarsi circa la natura delle società pubbliche, ed in particolar modo di quelle in house o strumentali. Parte della dottrina anche commercialistica62 e giurisprudenza di merito ha evidenziato che qualora la società svolga la propria attività “in difetto delle manifestazioni tipiche del potere d’imperio (quali la facoltà di imporre tasse o tariffe) e soprattutto se opera al di fuori di un mercato concorrenziale, in una situazione di monopolio o esclusiva, svolgendo la propria attività economica diretta non in favore di terzi, bensì verso i soci o il pubblico degli utenti o dei consumatori”, non potrà essere considerata fallibile in quanto quell’attività “non ha natura propriamente industriale e commerciale e, dunque, la società in mano pubblica non è soggetta alle procedure concorsuali”. Tale conclusione, non sembra condivisibile alla luce delle considerazioni prima svolte, o meglio, occorre che quell’attività economica, in quanto si tratti di attività economica, sia svolta secondo criteri di economicità (costi minori uguali ai ricavi). Tale verifica va effettuata in concreto. Solo in assenza di tale principio allora può dirsi che quell’attività non si presenta rispondente al principio di cui all’art. 2247 c.c.. Pertanto, non sembra possibile dubitare in capo alle società pubbliche, anche nel caso di società in house o strumentali, dello svolgimento di un’attività commerciale o industriale, in quanto quelle attività svolte sono tutte attività che possano ben essere ricomprese all’interno delle disposizioni di cui all’art. 2195 c.c., bensì si potrebbe dubitare della loro economicità. Allora stando così le cose, il dubbio da sciogliere è se quelle società svolgano o meno un’attività con criteri di economicità, nel 59 Vedi G.F. Campobasso, Diritto commerciale vol. I Diritto dell’impresa, 3^ ed. 2000 UTET, F. Galgano, Diritto commerciale, Le società IV ed. Zanichelli. 60 G.F. Campobasso op. cit. 61 G.F. Campobasso op. cit. ; F. Galgano op. cit. Sulla non necessarietà dello scopo di lucro si veda Cass. Sez. I del 15 maggio 2013 n. 22209 62 L. Salvato op. cit.; D. Di Russo in Atti del convegno Associazione albese di studi di diritto commerciale novembre 2013. 68 senso appena prospettato. L’idea è che quelle società siano sorrette comunque nello svolgimento della propria attività da tale criterio, ancorché in difetto del potere di imporre tasse o tariffe, o al di fuori di un mercato concorrenziale e quindi in situazioni di monopolio o di esclusiva, o con una attività economica diretta a favore dei soci o di un pubblico di utenti o consumatori finali. Si ritiene che le società pubbliche svolgano comunque un’attività rientrante nel novero del combinato disposto di cui agli artt. 2247 e 2195 c.c. e pertanto indagare il carattere commerciale dell’attività risulterebbe un esercizio di stile63. Inoltre, l’indagine può essere condotta anche attraverso la considerazione che quelle società pubbliche sono innanzitutto società per le quali la natura di imprenditore commerciale viene acquisita dal momento della loro costituzione. In altri termini le società costituite secondo una delle forme previste dal codice civile ed aventi ad oggetto un’attività commerciale sono assoggettabili a fallimento, indipendentemente dall’effettivo esercizio dell’attività, in quanto la qualità di imprenditore commerciale viene assunta dal momento stesso della loro costituzione, non dall’inizio del concreto esercizio dell’attività d’impresa, al contrario di quanto avviene per l’imprenditore commerciale individuale64. Infine, si evidenzia che la nozione di imprenditore commerciale può essere recuperata in negativo dall’analisi dell’art. 2135 c.c., nel senso che è commerciale l’imprenditore che non eserciti attività agricola o, meglio ancora, che le attività commerciali coprirebbero tutto l’ambito delle attività d’impresa (sia pure a carattere industriale) riconducibili all’art. 2082 c.c. con la sola esclusione delle attività qualificate come agricole dall’art. 2135 c.c.65. In altri termini non esiste una ulteriore attività oltre quelle previste e disciplinate agli artt. 2135 e 2195 c.c. Stabilito che la società partecipata pubblica costituita per finalità pubbliche nella forma privata deve restare soggetta alla disciplina privatistica in tema di fallibilità, non può certo sottacersi che quella norma ha un riferimento socio – politico - economico risalente. A tal fine basti solo considerare che l’art. 1 l. f. (R.D. n. 267/42) e l’art. 2221 c.c. (R.D. 262/42) non avendo subito alcuna modifica, nonostante la recente riforma della legge fallimentare, non potrà essere espressione dell’attuale realtà economica e soprattutto non potrà disciplinare il fenomeno delle società partecipate pubbliche che oggi ha assunto proporzioni gigantesche66. Inoltre, quella chiave di lettura in senso privatistico del fenomeno non appare compatibile con la semplice quanto reale constatazione che oggi operano sul mercato società che svolgono servizi pubblici con ingerenze (modalità di gestione, clausole statutarie, modalità di costituzione, attività diretta allo svolgimento di un servizio per la collettività, finanziamenti, dotazione iniziale, ecc.) dell’Ente partecipante tali da rendere il riferimento alle norme privatistico-commerciali solo un puro riferimento. In altri termini, oggi esistono società pubbliche dove le regole societarie vengono stravolte, piegate a vantaggio dell’azione dell’Ente pubblico, tanto che le norme privatistiche previste in tema di diritto societario rappresentano solo un “puro” riferimento normativo privo di contenuto. In tal senso si vedano, ad esempio, le c.d. società in house dove il “potere” del socio maggioritario è sovrapponibile a quello della stessa società “immedesimandosi” in quest’ultima. A tale considerazione bisogna affiancare l’ulteriore 63 Nello stesso senso G. Terracciano op.cit. D'altronde gli statuti di società di capitali a partecipazione pubblica disciplinano sempre la distribuzione degli utili e mai ne vietano, ne potrebbero farlo, la relativa distribuzione. Da ciò discende che l’attività è sempre e comunque improntata a criteri di economicità e che le norme applicabili sono sempre quelle derivanti dal diritto comune. Vedi F. Galgano op. cit. 64 In tal senso costante giurisprudenza di legittimità. Vedi da ultimo Cass. Civile, sez. I, 6 dicembre 2012, n. 21991 in Il Fallimento n. 10/2013 pag. 1273 con nota di L. Balestra. In dottrina la tesi non è del tutto pacifica e la tesi opposta, sulla necessità dell’effettivo inizio dell’attività, risulta ben rappresentata. Vedi per tutti G.F. Campobasso op.cit. 65 Corte Appello Napoli n. 346/2013 cit. 66 In senso contrario vedi da ultimo quanto affermato nella recente sentenza Cass. n. 22209/13 infra. 69 considerazione che vede queste società sempre gestire un servizio necessario per la collettività e spesso, sempre per tali società, il requisito della qualifica di imprenditore commerciale potrebbe difettare. In questi casi, considerando che la veste giuridica assunta dalla società non può determinare la disciplina di riferimento, facendo leva sul principio della sostanza sulla forma di diretta derivazione, possiamo dire che si appalesa una reale “immedesimazione” dell’Ente alla società che porterebbe ad una riqualificazione di quel soggetto privato in soggetto (ente) pubblico retto da regole pubblicistiche. Tale fenomeno non può essere spiegato sicuramente con le norme attualmente in vigore, ma nello stesso tempo non possiamo permetterci di interpretarle oltre quei termini individuandosi una società di diritto pubblico, visti anche i recenti pronunciamenti e dettami della Suprema Corte. Inoltre, l’accettazione di questo modus operandi per indici o criteri presenta un ulteriore carattere di debolezza laddove non consente all’interprete di ottenere punti di riferimento certi “ai quali attenersi, … , senza che si ricavi un indirizzo, sia pure pragmatico, univoco”67. A conclusione, nel rinnovare ancora una volta l’improrogabile intervento legislativo che disciplini espressamente in tema di società partecipate pubbliche anche attraverso una modifica degli art. 1 l.f. e 2221 c.c., il quadro normativo di riferimento porta alla ragionevole affermazione che le società pubbliche sono soggetti privati fallibili, quand’anche la forma assunta sia quella della società in house68. CONSIDERAZIONI FINALI Appare evidente che il legislatore per regolamentare la disciplina delle società partecipate sta attuando sempre più un processo diretto ad inquadrare le stesse all’interno del diritto privato, in modo da unificare tali società al mercato, cercando di porle così sullo stesso piano delle società tradizionali. A conclusione del presente lavoro appare opportuno riferire e sottolineare quelli che sono solo alcuni aspetti statistici del fenomeno qui indagato ed elaborato (Fonte Sole 24 Ore su dati 2012). Si riportano alcune indicazioni statistiche (fonte Sole 24 Ore – dati 2012 sottostimati): Società pubbliche e Consorzi partecipati dallo Stato o Enti localin. 7.771 Costo complessivo (stipendi, gettoni, indennità, emolumenti) 15 miliardi AZIENDA addetti Azienda forestale Reg. Calabria 5.600 162 mln. Consorzio per i sist. Informativi (Piemonte) 1.171 66 mln. Cons. milanese servizi alla pers. (ex Pio A. Trivulzio) 1.405 600 mln. 43.000 oltre 3.303 mln. ENI, RAI, ATAC, ENAV, ANAS oltre costo 67 G. Terracciano op. cit. Cfr. anche ASSONIME n. 2/2014 Il Caso “Società a partecipazione pubblica e procedure concorsuali” evidenzia che sia le esigenze di certezza del diritto sia di tutela dell’affidamento di terzi, a livello internazionale, abbiano indotto Uncitral e Banca Mondiale a suggerire che le eccezioni all’applicazione delle leggi sull’insolvenza devono essere fondate su ragioni stringenti nonché chiaramente espresse dalla legge sull’insolvenza o da altra legge. 68 70 SOCIETA’ CONTROLLATE DALLE REGIONI I DATI SI RIFERISCONO AL 2012, SI TRATTA DI QUELLE SOCIETA’ IN CUI LA PARTECIPAZIONE E’ COMPRESA FRA IL 50% ED IL 100% NUMERO DI SOCIETA’: 89 PERDITE ACCUMULATE COMPLESSIVAMENTE: 15,3 mln. (senza considerare le perdite accumulate da Ente autonomo del Volturno – gestisce la circumvesuviana - soggetto ad un piano di rientro per una perdita del 2010 di 82,5 mln.) - ATTIVITA’ SVOLTA REGIONE Produzione sale Sicilia Produzione zucchero, agroalimentare Molise Estrazione carbone Sardegna Accanto alle classiche attività di: trasporti (aerei, ferroviari, marittimi, su gomma) SOCIETA’ CONTROLLATE DAI COMUNI CAPOLUOGO DI REGIONE I DATI SI RIFERISCONO AL 2012, SI TRATTA DI QUELLE SOCIETA’ IN CUI LA PARTECIPAZIONE E’ OLTRE IL 50% E PER QUEI COMUNI CON PIU’ SOCIETA’ LIMITATAMENTE A TRE CONTROLLATE PIU’ SIGNIFICATIVE - NUMERO DI SOCIETA’: 84 - PERDITE ACCUMULATE COMPLESSIVAMENTE: 73,6 mln. - ATTIVITA’ SVOLTA: dominano attività di trasporti/mobilità (aeroporti, metropolitane, autobus) e gestione rifiuti a cui si affiancano attività di multiservizi e gestione idrica. Accanto a queste attività «classiche», altre come: Parcheggi (Ancona); Ristorazione e Commercio (Bologna); Sport (Cagliari); Immobiliare/Patrimonio (Catanzaro, Genova); Farmacie (L’Aquila, Trento); Illuminazione (Palermo); Assistenza tecnica (Potenza); Energia (Roma); Cimiteriali (Torino); Riscossione (Trieste); Casinò (Venezia). 71