LA SORTE DEL CONTRATTO DI LOCAZIONE AD USO ABITATIVO REGISTRATO PER UNA SOMMA INFERIORE A QUELLA REALE. Di Mattia Caputo Sommario. 1. Inquadramento della questione 2. La soluzione delle Sezioni Unite 18213 del 2015: il contratto non registrato è nullo. 1. Inquadramento della questione. Negli ultimi anni si è presentata in modo prepotente all’attenzione della dottrina e della giurisprudenza civile una questione nuova e quanto mai complessa, quella dei rapporti intercorrenti tra autonomia negoziale1 – ormai munita di copertura costituzionale – e norme tributarie. Di questa tematica, e di tutte le difficoltà teoriche e pratiche ad essa sottese, costituisce perfetta espressione il dibattito dottrinario e giurisprudenziale relativo alla sorte del contratto di locazione ad uso abitativo registrato per una somma inferiore a quella reale, spesso concordata dalle parti in una pattuizione “a latere”, contestuale o successiva alla conclusione del contratto. Il problema, è opportuno precisarlo, sussiste esclusivamente per l’arco temporale che va dall’entrata in vigore della legge 431 del ‘98 (“disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili ad uso abitativo”) fino all’intervento normativo operato dal legislatore sulla medesima materia con la legge 311 del 2004 (“finanziaria per il 2005”). A partire dal 1° gennaio del 2005, infatti, vige l’articolo 1, comma 346, della l. 311/04, in base al quale contratti di locazione sono nulli se non registrati; soluzione legislativa, questa, ribadita con il d.lgs. 23 del 2011 che all’articolo 3, commi 8 e 9, estende la sanzione della nullità anche all’ipotesi del contratto di locazione sì registrato, ma per un importo inferiore a quello effettivo. Tale problema si pone perché con la legge 431 del ‘98 il legislatore è intervenuto introducendo all’articolo 13, comma 1, un’ipotesi di nullità testuale per “ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”. Per l’importanza dell’autonomia negoziale nell’attuale sistema civilistico vedi amplius Coordinate ermeneutiche di diritto civile, di M. Santise, edito da Giappichelli Editore. 1 In questi casi il secondo comma della sopracitata disposizione normativa attribuisce ai conduttori il diritto consequenziale di agire per la restituzione (da esercitare nel termine di sei mesi dalla restituzione dell’immobile locato) delle somme indebitamente ricevute dal locatore in virtù del contratto non registrato. Duplice è la “ratio” sottesa all’introduzione di questa disposizione normativa. In primo luogo tutelare l’interesse dell’Amministrazione Tributaria ad individuare esattamente quale sia il canone pattuito dalle parti – scopo realizzato grazie all’adempimento formale della registrazione del contratto -, onde assoggettarlo alle imposte e ai tributi dovuti per legge. In secondo luogo proteggere i conduttori, notoriamente contraenti deboli sotto il profilo economico e contrattuale, a fronte delle prevaricazioni ed abusi dei proprietari-locatori, in un ambito connotato da un’esigenza inerente la persona umana, qual è il diritto di abitazione. A questa “ratio” corrisponde anche il cd. “principio di invariabilità del canone in costanza del rapporto di locazione”, volto ad escludere una modificazione peggiorativa delle condizioni contrattuali nei confronti del conduttore. Dall’introduzione della novella normativa del ‘98, però, si è posto il problema assai frequente nelle aule di giustizia civile, di individuare quali siano le conseguenze della registrazione del contratto di locazione per una somma inferiore a quella reale, nei casi frequenti nella prassi in cui locatore e conduttore, oltre al contratto stipulato e registrato regolarmente, abbiano concluso altresì una pattuizione in cui è fissato un canone locatizio maggiore rispetto a quello del contratto registrato ai fini fiscali. Tale fenomeno deve la sua scaturigine alla volontà dei locatori di sottrarre all’imposizione tributaria una parte delle somme da essi incamerate, attraverso l’occultamento conseguito con l’omessa registrazione del contratto realmente voluto. Prima di esaminare nel dettaglio le diverse opzioni interpretative sul punto, è opportuno rilevare come nessun problema si è posto per il caso in cui, in costanza di contratto di locazione pienamente valido ed efficace tra le parti, queste decidano di stipularne uno nuovo con un canone maggiore e non registrato. In tal caso, infatti, la giurisprudenza civile non ha mai dubitato della nullità della pattuizione, palesemente in contrasto con la lettera dell’articolo 13, comma 1, della l. 431/98. L’ipotesi controversa è invece quella che riguarda la stipulazione coeva del contratto di locazione regolarmente registrato per un certo importo e di una pattuizione con cui è stabilito che il conduttore debba corrispondere in realtà una somma maggiore al locatore. Come già rilevato poc’anzi, in questi casi viene in gioco la complessa dinamica della interferenza o autonomia tra autonomia privata e norme tributarie. Il variegato scenario dottrinale sulla questione palesa tutta la complessità del problema. Una prima impostazione dottrinale accoglie una soluzione estensiva, ritenendo decisivo il dato letterale dell’articolo 13, comma primo, della l. 431/98, che non distingue tra le due fattispecie. Di talché anche l’ipotesi delle pattuizioni coeve, cioè stipulate simultaneamente al contratto registrato, sarebbe colpita dalla grave sanzione della nullità. Su tutt’altre posizioni si attesta invece altra parte della dottrina, secondo cui la suddetta ipotesi sarebbe perfettamente valida, poiché la registrazione non rappresenta un elemento essenziale del contratto di locazione. D’altra parte – osserva questa corrente dottrinaria – la nullità non potrebbe essere applicata per violazione di norme tributarie, giacché essa è posta a presidio di interessi sopraindividuali, laddove gli interessi dell’Amministrazione Tributaria sono, invece, particolari. Un ulteriore filone dottrinale ritiene invece che la fattispecie “de qua” comporti la validità del contratto, che sarebbe però inefficace. Vale a dire che la registrazione opera alla stregua di una mera “condicio iuris”, destinata solo a sanare irretroattivamente il contratto di locazione in precedenza non registrato. Le soluzioni accolte dalla giurisprudenza civile sono state essenzialmente due. La sentenza della Corte di Cassazione n.16089 del 2003 si presenta quale apripista dell’orientamento pretorio a lungo prevalente, secondo cui il caso della simulazione relativa del prezzo non rientra nella previsione normativa dell’articolo 13, comma 1, della l. 431/90, con il risultato di mantenere la propria validità. Quest’impostazione restringe l’area della nullità “in subiecta materia”, ritenendo in contrasto col principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di ragionevolezza che il caso più grave, quello del contratto scritto ma non registrato, non sia colpito dalla nullità, mentre quello meno grave, cioè della simulazione relativa del contratto locatizio quanto al prezzo, sarebbe affetto dalla più grave sanzione della nullità. Tuttavia a rompere l’orientamento consolidato è intervenuto innanzitutto il legislatore, che con la finanziaria per il 2005 ha stabilito che anche l’ipotesi in esame è affetta da nullità. La scelta del legislatore ha ricevuto poi l’avallo della Corte costituzionale, che con ordinanza n. 420/07 ha evidenziato che la l. 311 del 2004 ha elevato la norma tributaria (e l’obbligo di registrazione) a rango di norma imperativa, dando luogo ad una commistione tra autonomia negoziale e norme tributarie. Sulla scorta delle scelte legislative – ma non solo – si fonda un’altra impostazione della giurisprudenza, di merito e di legittimità, che trova perfetta espressione nell’ordinanza n. 37 del 2014, con cui la Terza Sezione della Suprema Corte invita le Sezioni Unite a prendere posizione sul problema, rimeditando l’orientamento tradizionale. L’indirizzo interpretativo di cui si fa portatrice la Terza Sezione in veste di giudice rimettente propone di ritenere nullo anche il contratto di locazione ad uso abitativo non registrato con cui sia stato stabilito un canone superiore rispetto a quello risultante dal contratto registrato. Molteplici argomenti si pongono a sostegno di questa ricostruzione ermeneutica: innanzitutto la “ratio” della l. 431 del ‘98, diretta a favorire l’emersione dei fitti al nero ed il fenomeno dell’evasione o elusione fiscale. Tale logica risulterebbe frustrata da un’interpretazione che faccia salve le pattuizioni con cui si conviene un prezzo maggiore ma non soggette a registrazione. Ulteriore fondamento a sostegno di questa soluzione si rinviene nel dato letterale inequivocabile dell’articolo 13, comma 1, della l. 431/98, che non distingue tra le due ipotesi, palesando invece una portata generale ed omnicomprensiva. Da ultimo – ma non per importanza – sono valorizzati due istituti che hanno assunto un’importanza nevralgica nella giurisprudenza civile degli ultimi anni. Da una parte la causa in concreto (come rimeditata dalla sentenza 10490/06 e recentemente esaltata ancora dalle SS.UU. Civili 4628/15 sul preliminare di preliminare2), che dimostra come la mancata registrazione del patto che fissa il maggior canone sia volta a realizzare lo scopo pratico di violare le norme tributarie sull’evasione ed elusione fiscale, ponendosi in contrasto con norme imperative poste a presidio di interessi generali. Dall’altra anche l’abuso del diritto – quale limite funzionale all’esercizio dei diritti – che in materia tributaria vieta di ritenere validi atti ed operazioni compiuti per 2 Su cui vedi Coordinate ermeneutiche di diritto civile. Aggiornamento 2015 di M. Santise, edito da Giappichelli Editore. conseguire esclusivamente o prevalentemente vantaggi fiscali, in virtù di un generale principio antielusivo cristallizzato nell’articolo 53 della Carta costituzionale. 2. La soluzione delle Sezioni Unite 18213 del 2015: il contratto non registrato è nullo. Sono così intervenute le Sezioni Unite della Cassazione Civile a dirimere il contrasto giurisprudenziale circa la sorte del contratto di locazione ad uso abitativo per il caso in cui vi sia una scrittura, o comunque una pattuizione, non registrata per una somma superiore a quella risultante dal contratto contestualmente stipulato in forma scritta e registrato per una somma inferiore. La Suprema Corte nella sua composizione allargata ha innanzitutto precisato che il problema di individuare le conseguenze della omessa registrazione si pone “ratione temporis” solo per l’intervallo di tempo che va dalla legge 431 del 98’ fino all’entrata in vigore della finanziaria per il 2005, cioè il 1° Gennaio del 2005. In questo intertempo, cioè nella vigenza dell’articolo 13, comma 1, della l. 431 del 98’, le Sezioni Unite ritengono innanzitutto che non sia corretto parlare di una simulazione relativa contrattuale che dà vita ad uno “sdoppiamento negoziale”; con maggiore impegno esplicativo, non è possibile ritenere che vi sia un negozio simulato (il contratto registrato) ed uno dissimulato (quello non registrato). Ciò perché, pur dando vita l’operazione negoziale in esame ad un “procedimento simulatorio” (riconducibile agli articoli 1414-1417 c.c.), proprio in quanto tale essa va ricondotta agli elementi costitutivi del paradigma della simulazione, quale situazione di apparenza contrattuale cui danno vita i contraenti consapevolmente e volutamente. La struttura del cd. “procedimento simulatorio” ha inizio con il previo accordo simulatorio, con cui le parti creano una discrasia tra dichiarato e voluto e sfocia nella conclusione di un’unica convenzione negoziale, in cui si compenetrano il negozio simulato e quello dissimulato, quanto meno nel caso di una simulazione oggettiva relativa. Elemento del tutto eventuale nella struttura della simulazione negoziale è invece la controdichiarazione – tant’è che di essa non c’è traccia nelle norme del codice civile -, che può essere unilaterale o bilaterale e svolge una funzione duplice di portata interpretativa (della volontà dei contraenti) e probatoria (della simulazione stessa tra le parti, salva l’illiceità del negozio). Pertanto, confrontata con lo schema procedimentale simulatorio, l’operazione di registrazione del contratto di locazione ad uso abitativo per una somma inferiore a quella reale dà vita ad una simulazione relativa oggettiva parziale riguardante l’oggetto del contratto, cioè il prezzo. Raffrontato con il “procedimento simulatorio”, il caso al vaglio delle SS.UU. va ricostruito nel senso che tra locatore e conduttore c’è un accordo preventivo volto a stabilire un prezzo più elevato di quello realmente dovuto dall’inquilino; l’accordo simulatorio sfocia poi nella redazione di un contratto di locazione che contiene l’indicazione del canone fittizio ai fini fiscali. L’eventuale pattuizione o scrittura “a latere” in cui è stabilito il maggiore prezzo reale dovuto dal conduttore non costituisce dunque un autonomo contratto, bensì una controdichiarazione che può aiutare ad offrire una “chiave di lettura” della volontà delle parti, oltre ad offrire prova della simulazione intercorsa tra questi. Considerato alla stregua di una controdichiarazione, dunque, il contratto non registrato non può mai consentire una sostituzione del maggior canone reale rispetto a quello fissato nel contratto soggetto a registrazione. Ciò non solo perché una tale efficacia esula dalle sue prerogative funzionali, ma anche perché una scrittura di tal tipo è destinata ad incorrere nella norma che impone il divieto di cui all’articolo 13, comma 1, della legge 431 del 98’, con conseguente nullità della stessa. Le Sezioni Unite ritengono che non sia più possibile seguire l’orientamento iniziato con la pronuncia n. 16089/03, dovendosi invece accogliere un’interpretazione estensiva delle ipotesi rientranti nel divieto dell’articolo 13 della l. 431/98, finendo così per ritenere nulla anche la locazione non registrata in cui è fissato un prezzo maggiore di quello dichiarato. Questa soluzione si impone alla luce dell’ormai recepita concezione della causa “concreta”, per cui non può più dubitarsi che la suddetta operazione negoziale sia volta a realizzare finalità di elusione del fisco, vietate dall’ordinamento e, quindi, illecite. Ciononostante, proseguono le Sezioni Unite, non può ritenersi nullo anche il contratto registrato, dal momento che si tratta di un meccanismo simulatorio in cui il negozio simulato è perfettamente valido ed efficace tra le parti e nei confronti dell’Amministrazione tributaria. Non è dunque la mancata registrazione dell’atto recante il prezzo reale, ma la realizzazione dell’illegittima sostituzione di un prezzo con un altro – evocativa del meccanismo di cui all’articolo 1339 c.c. – ad essere colpita dalla nullità di cui all’art. 13 della l. 431/98. Risolta la questione nel senso della validità del contratto di locazione ad uso abitativo registrato e della nullità della scrittura (controdichiarazione) non registrata recante il prezzo maggiore reale, le Sezioni Unite esaminano anche l’ulteriore ipotesi in cui in un momento successivo rispetto alla stipulazione il suddetto contratto venga registrato. Anche in questo caso la Suprema Corte ritiene che non possa dubitarsi che la tardiva registrazione non possa in alcun modo sanare la precedente nullità della pattuizione: il legislatore del 98’, infatti, non ha inteso sancire un obbligo di registrazione ai fini della validità dell’atto, trattandosi piuttosto di un elemento di carattere extranegoziale che non rientra negli “essentialia negotii” di cui all’articolo 1325 del c.c. per il periodo tra il 1998 ed il 2005. Se dunque la nullità non deriva dall’omessa registrazione, la tardiva registrazione non può ad ogni modo sanare alcunché. Tanto si desume anche dal tenore letterale dell’art. 13 comma 1 della l. 431/98, che non collega in alcun modo le pattuizioni che aumentano il canone locatizio all’omessa registrazione, ma solo alla modificazione peggiorativa delle condizioni risultanti dal contratto registrato. Del resto, ammettere la sanatoria del contratto nullo non registrato vorrebbe dire anche vanificare lo scopo precipuo della l. 431 del 1998, cioè la lotta al mercato sommerso dei fitti ed il perseguimento dell’emersione del fenomeno delle locazioni cd. “in nero”. Ma non solo, perché una soluzione che ammettesse la sanatoria “ex post” mediante registrazione della locazione striderebbe anche con la finalità di tutela del conduttore quale contraente debole del rapporto contrattuale. Ed ancora, impongono una tale scelta ermeneutica ragioni di carattere storicosistematico, dal momento che le scelte successive del legislatore hanno introdotto un principio generale di interferenza dell’obbligo tributario con la validità del negozio, evitandosi in tal modo una illogica soluzione di continuità. In altri termini, il contratto non registrato da cui risulta un canone maggiore di quello apparentemente dichiarato nel contratto registrato è nullo, così come accade a partire dalla l. 311 del 2004 per espressa statuizione di legge in caso di omessa registrazione. Da ultimo, un argomento di tipo etico-costituzionale dà ulteriore linfa alla scelta delle Sezioni Unite: consentire la sanatoria mediante registrazione tardiva del contratto di locazione vorrebbe dire consentire ad un soggetto (il locatore) di invocare la tutela giurisdizionale palesando apertamente ed impunemente la sua qualità di evasore fiscale, anche considerato che gli obblighi tributari non riguardano più oggi soltanto i rapporti cd. “verticali”, cioè tra p.a. e cittadini, ma anche quelli “orizzontali”, vale a dire tra cittadini in posizione paritetica. Da ciò deriva che normalmente la registrazione del contratto di locazione ad uso abitativo per una somma inferiore rispetto a quella realmente convenuta implica nullità della sola scrittura-controdichiarazione “a latere”, se esistente. Non viene invece in alcun modo intaccato il contratto di locazione regolarmente registrato, perfettamente valido ed efficace tra le parti. Ove invece le parti decidano di registrare in un momento successivo rispetto alla stipulazione il contratto locatizio in cui è fissato un canone superiore, la tardiva registrazione non sana il vizio insanabile della nullità, ma consente solo con efficacia “ex nunc” all’Amministrazione tributaria di sottoporre ad imposta la nuova somma dichiarata. In quest’ultimo caso la scrittura privata assume in modo singolare una nuova natura giuridica, passando da controdichiarazione a contratto registrato.