V seminario - Le relazioni che curano
23 Maggio 2007
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relazioni che curano
il progetto di cura all’interno dei servizi di salute mentale
il carattere psicoterapico delle pratiche per la salute mentale
Box di approfondimento:
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la cornice internazionale
i concetti di sofferenza psichica e guarigione nel campo delle psicoterapie
RELAZIONI CHE CURANO
Parlare di relazioni che curano richiama a due ordini di questioni interconnesse:
1. la prima è relativa al poter favorire l’instaurarsi di una valida relazione terapeutica tra
paziente e terapeuta volta sia al miglioramento sintomatico del soggetto che ad una più
ampia acquisizione di una nuova progettualità di vita. Tale relazione va inoltre pensata come
tramite che consenta al paziente di ricostruire o migliorare le proprie reti relazionali. Il
terapeuta deve quindi progettualmente pensare a tale complessità di livelli e alla loro
relazione: paziente- famiglia- contesto territoriale- comunità.
2. Tutelare e organizzare le relazioni professionali che esistono all’interno di un Servizio,
attraverso il lavoro di equipe, gruppi di supervisione e discussione di casi, collaborazione
multidisciplinare finalizzata alla creazione di un progetto terapeutico, gruppi di confronto ed
elaborazione delle dinamiche istituzionali in cui si è inseriti. Curare attraverso le relazioni
implica quindi un prendersi cura del “sistema di cura” istituzionale nel suo insieme, in modo
che le relazioni all’interno del contesto lavorativo siano integrabili in un progetto di
cambiamento (sia del paziente che del servizio stesso) e non invece un ostacolo alla
progettualità terapeutica.
IL PROGETTO DI CURA ALL’INTERNO DEI SERVIZI DI SALUTE MENTALE
È importante sottolineare come la cura del paziente spesso comporti da parte del clinico un
prendersi cura anche del contesto relazionale in cui questo è inserito, che nelle specifiche situazioni
può configurarsi come un contesto familiare, istituzionale, territoriale. Un progetto di intervento
psicoterapeutico non può non tenere in considerazione tali variabili, rimanendo legato all’adozione
di un modello “medico” (Carli, Paniccia, 2003), che considera esclusivamente la relazione medicopaziente quale mediatore terapeutico. Tale modello non tiene infatti conto dell’intervento nei
Servizi di Salute Mentale e della progettualità terapeutica fondata su una collaborazione
interdisciplinare e di equipe.
Il progetto di cura di un paziente all’interno di una struttura istituzionale dedita a tale compito
(SPDC, Day Hospital, SERT, Ambulatorio, ecc.) si muove quindi tra due vincoli: quello costituito
dall’istituzione curante entro cui si opera e quello rappresentato dalle reti di relazione del paziente.
Una psicoterapia che non consideri tali vincoli e la complessità che ne deriva nel progettare un
intervento rischia di essere poco efficace e di non ottenere risultati soddisfacenti.
Sono importanti quindi le domande:
1. Esiste un dialogo interdisciplinare che consenta di mettere a punto progetti di cura integrati
nei servizi sanitari?
2. Possono il lavoro stabile di équipe e la supervisione clinica migliorare la progettualità e
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l’esito di un intervento terapeutico?
3. Può il gruppo di lavoro elaborare un linguaggio comune ai diversi operatori sanitari che
consenta di integrare i propri punti di vista all’interno di un unico progetto di cura per i
pazienti?
IL CARATTERE PSICOTERAPICO DELLE PRATICHE PER LA SALUTE MENTALE
La dimensione psicoterapica (di cura, di cambiamento evolutivo, di trasformazione) per un servizio
pubblico rimanda a una pluralità di livelli, che possono schematicamente essere riportati ai seguenti
punti.
Da una parte modalità di intervento che producono (ri-producono) le prestazioni fondate su
specifiche teorie e pratiche cliniche, che presuppongono specifici training formativi degli operatori,
che sono prevalentemente rivolte a problemi di natura non psicotica.
Ci si chiede quale debba essere la politica di un Dipartimento di Salute Mentale, se cioè questa
debba delegare, più o meno silenziosamente, la domanda di aiuto terapeutico al settore privato o,
piuttosto, debba assumersi il compito di affrontarla, favorendo al proprio interno crescite
professionali aperte a tutti gli operatori, forme di intervento che privilegino la parola al farmaco, il
gruppo all’individuo, lo sviluppo di un ruolo attivo delle persone (individualmente e
collettivamente) nel fronteggiare disagi e sofferenze.
Ancor prima, è importante definire se si possa riconoscere fra i compiti di un Dipartimento di salute
mentale, quello di contribuire ad un tentativo collettivo di lettura dei fenomeni di sofferenza, in
grado di ispirare rinnovate forme di risposte.
Dall’altra, la dimensione psicoterapica deve essere potenzialmente riconosciuta all’intero
Dipartimento di Salute Mentale, in qualunque sua articolazione, all’interno di una visione che
consideri a pari titolo la parola e l’azione della cosiddetta riabilitazione, calate in una dimensione
relazionale che, pur pensata ed orientata, tesa a raggiungere obiettivi di cambiamento, valorizzi
preliminarmente gli aspetti squisitamente umani di rispetto ed interesse per l’altro, di ascolto, di
attenzione a ciò che l’altro esprime e può accettare.
È lecito parlare di una qualità relazionale che non riguarda esclusivamente i professionisti della
salute mentale e che giustifica la capacità emancipatrice che può essere espressa da altri cittadini a
vario titolo coinvolti nelle pratiche per la salute mentale.
BOX DI APPROFONDIMENTO
LA CORNICE INTERNAZIONALE
La ricerca svolta a livello mondiale negli ultimi trenta anni ha dimostrato come la psicoterapia sia
un trattamento sanitario efficace nella cura delle patologie mentali. Alcune tipologie di trattamento
hanno acquisito una maggiore evidenza relativa alla propria efficacia, anche se numerose review
metanalitiche hanno mostrato come sia difficile stabilire quale psicoterapia sia più efficace di altre
(Lambert & Ogles, 2004). A livello generale, esiste ormai una robusta evidenza sul fatto che la
psicoterapia sia quattro volte più efficace rispetto alla condizione di non trattamento e due volte più
efficace rispetto ad una condizione placebo (Lambert & Barley, 2002). Nonostante la presenza di
queste evidenze scientifiche, risulta ancora poco chiaro cosa favorisca il miglioramento dei pazienti
in psicoterapia nelle situazioni cliniche routinarie, in cui la complessità delle variabili (contestuali e
istituzionali) rende difficile l’applicazione di una metodologia di ricerca sperimentale.
La psicoterapia non è, a differenza di un trattamento farmacologico, un intervento le cui
caratteristiche e i “principi attivi” siano facilmente oggettivabili, essendo fondata sulla relazione
interpersonale tra terapeuta e paziente (inclusi famiglie, gruppi, comunità). Sappiamo inoltre che la
relazione terapeutica è il principale fattore che produce cambiamento nel paziente, nei diversi
modelli psicoterapeutici (Norcross, 2002). Una questione aperta rimane quindi l’identificazione di
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quali fattori terapeutici favoriscano il cambiamento positivo dei pazienti in psicoterapia nei contesti
di cura quotidiani e quali psicoterapie siano più efficaci per specifiche tipologie di disturbi (Roth &
Fonagy, 1996).
I CONCETTI DI SOFFERENZA PSICHICA E GUARIGIONE NEL CAMPO DELLE
PSICOTERAPIE
Essendo la psicoterapia un trattamento sanitario volto alla cura dei disturbi mentali, risulta evidente
come una questione preliminare sia l’identificazione di modelli che permettano di definire cosa si
intenda per patologia psichica e conseguentemente quali concezioni di guarigione adottare. In che
termini la psicoterapia può curare o guarire soggetti con disturbi psicologici? L’oggetto
dell’intervento è il disturbo o la persona portatrice di tale disturbo? Questioni di grande complessità,
che sono però ineliminabili da una riflessione sulla psicoterapia e la sua efficacia.
Tradizionalmente, un modello oggettivante della patologia mentale, che riconduce le sue
manifestazioni esclusivamente ad un livello sintomatico-comportamentale, ha definito la guarigione
del paziente con la sua remissione sintomatica.
Una questione aperta è se un tale modello possa oggi essere esaustivo circa la complessità delle
manifestazioni ed organizzazioni della sofferenza mentale e di conseguenza utile circa la
definizione di livelli di outcome terapeutico. È importante considerare il disturbo psichico come
quell’insieme di modalità caratteristiche di organizzare l’esperienza relazionale (interna ed esterna)
da parte di un soggetto, più che un dato neutrale di realtà. Di fronte all’oggettività del
comportamento sintomatico, ogni clinico sceglie quelle categorie di pensiero che meglio possono
consentire di organizzare i dati di questa esperienza complessa e multiforme. Come sappiamo, ciò
ha comportato lo sviluppo di innumerevoli modelli e teorie miranti a “spiegare” la patologia del
singolo e proporre interventi terapeutici conseguenti queste definizioni del malessere (Lo Coco, Lo
Verso, 2006). Attualmente la fase della prevalenza di un modello rispetto ad un altro (o addirittura
la sua superiorità in termini di efficacia) può ragionevolmente considerarsi superata, aprendo uno
spazio di pensiero per le questioni relative a come un determinato modello di intervento
psicoterapeutico possa essere adatto per rispondere alle esigenze del paziente. Non più quindi un
paziente che si adatta al modello del terapeuta, ma un modello di intervento che si adatta alle
caratteristiche del paziente.
Parlare di guarigione nel campo degli interventi psicoterapeutici pone inoltre il problema dei tempi:
la guarigione del paziente costituisce uno stadio stabile, raggiunto una volta per sempre, oppure un
processo dinamico complesso, legato alla storia del soggetto? Nella comune pratica clinica, la
maggioranza dei pazienti che richiede un aiuto ha avuto precedenti esperienze di trattamento. Può
esistere guarigione nel nostro campo o soltanto la prospettiva di una più o meno definita cronicità?
Tra gli indicatori di miglioramento di un paziente sono ormai molto diffusi quelli che nascono dagli
studi sul medical cost offset, che analizzano la relazione tra intervento psicologico e riduzione delle
richieste di interventi e prestazioni sanitarie. Diverse recenti metanalisi (Gabbard et al., 1997;
Chiles et al., 1999) hanno evidenziato come i soggetti che usufruiscono di trattamenti
psicoterapeutici mostrano una riduzione significativa di richieste di prestazioni mediche e di
ospedalizzazioni.
Sembra che anche da un punto di vista politico-sanitario, le valide pratiche di cura psichica siano
preferibili a soluzioni sbrigative, poco professionali o superficiali: spendere di più per una buona
psicoterapia costa meno di un lungo (infinito?) percorso di sofferenza, ricadute, cronicità. La
guarigione in psicoterapia è un processo che necessita dei tempi adeguati, spesso tanto più lunghi
quanto maggiore è la gravità del paziente.
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