Terza lezione
di Daniele Donegà
Teologia morale e Magistero della Chiesa: il fine è il compimento della persona: la santità
L’analisi dell’esperienza morale ci mostrerà che la competenza sul bene e sul male
appartiene innanzitutto alla coscienza dell’uomo. Ciò vale anche per il credente, il quale proprio per
la sua qualità di credente si pone in ascolto dell’annuncio cristiano svolto dal Magistero della
Chiesa. Quindi la coscienza cristiana si forma a partire dalla testimonianza ricevuta nella comunità
cristiana e nel dialogo col Magistero della Chiesa che con il suo insegnamento si mettete a servizio
dei credenti e di tutti gli uomini di buona volontà VS 64 (Vedere nn° 62.63.64 dell’Enciclica di
Giovanni Paolo II Veritatis splendor).
E’ noto che il Magistero della Chiesa ha competenza in materia di fede e insieme anche in
materia di morale. Esso svolge il suo compito richiamando i principi morali e nello stesso tempo
offrendo la testimonianza dell’amore e della misericordia di Dio.
Per la competenza in materia di fede la Chiesa riceve la verità di Dio e dell’uomo da Gesù Cristo e
ha il compito di proporla nella sua interezza
Per la competenza in materia di morale essa si fa attenta al cammino concreto degli uomini e
annuncia la tenerezza e il perdono di Dio. (Vedi Humanae Vitae nn°2-6).
Lo scopo di questo sta che la chiesa vuole indicare la strada dell’amore e della santità affinché i
credenti come i non credenti non la smarriscano quale via essenziale al compimento di ogni persona
(Vedi Humanae Vitae n° 18).
Il teologo morale deve far conoscere la morale della chiesa nella sua integralità rendendola
comprensibile agli uomini di ogni epoca, attraverso un lavoro di competente comprensione dei
problemi morali contemporanei, per i quali si devono proporre le soluzioni cristiane con un
linguaggio accessibile. E il compito della teologia morale va anche nei confronti delle indicazioni
che il Magistero via via propone ai fedeli. Ha lo scopo di aiutare il Magistero perché i suoi
insegnamenti non solo dicano la verità del Vangelo, ma la propongano nei modi più significativi e
pertinenti per la coscienza dei fedeli.
Rimane anche il carattere profetico del Magistero il quale ha talvolta un annuncio della
verità di Dio che non trova tutte le motivazioni immediatamente percepibili, essendo depositaria di
una Parola a cui occorre l’assenso della fede.
Le ragioni della crisi della morale cristiana
Siamo in un clima culturale in cui manca una spinta forte ad occuparsi di etica, mancano dei
criteri etici di riferimento per orientare la propria vita. Questo lo assistiamo tutti i giorni, anche il
patriarca di Venezia lunedì 21 gennaio l’ha rimarcato nel suo intervento agli amministratori e
politici locali qui al teatro del don Bosco, il lavoro manca di un’etica, ossia di valori di riferimento.
La domanda stessa che è stata posta cos’è il bene e il male? Avvertendo la difficoltà di una risposta
che non appare subito condivisa da tutti indica la difficoltà di avere dei punti di riferimento
condivisi per la questione del pluralismo etico. Si avverte che c’è la prevalenza del desiderio
personale di autorealizzazione su ogni altro criterio.
Si parla di privatizzazione della coscienza, ossia si intende che il soggetto si fa un college
di opinioni personali tratte da diversi fonti in base alla convenienza personale. Emerge anche il
fenomeno della secolarizzazione sempre più dilagante per cui la società perde il riferimento a Dio o
meglio il riferimento a Dio mediato dalla Chiesa. Ma ci sono anche altri fattori.
Vediamo prima alcuni problemi legati alla teologia morale e alla predicazione cristiana.
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Una morale del peccato
Tra l’illuminismo e il Concilio Vaticano II il tratto caratteristico della predicazione cristiana
è quella del peccato, cioè la morale del peccato, sottolineando soprattutto il peccato. Lo scopo era
dare indicazioni al confessore che lo aiutassero a valutare le colpe per una conveniente penitenza in
vista di una conversione effettiva.
Questo avveniva sulla base di una concezione dell’agire umano quasi esclusivamente attenta
all’oggettività dei comportamenti (ai diritti della verità) e quasi per nulla al complesso processo di
formazione dell’intenzione del soggetto e, dall’altra parte, un rigorismo nella valutazione morale,
favorì nei cristiani il timore del peccato. Questa paura del peccato che veniva favorita nei cristiani
provocava in alcuni casi per reazione una rassegnazione cinica all’essere peccatori fino al lassismo.
Come aspetto positivo questa insistenza nel peccato portava ad affinare la coscienza morale
dell’uomo. Ovviamente segnalare il peccato e le sue conseguenze negative nel rapporto con Dio e
con il prossimo non è fuori dalla predicazione cristiana, ma innanzitutto la Chiesa sa che l’elemento
principale su cui insistere è quello positivo ossia proporre la sequela-imitazione di Cristo.
Una teologia naturalistica: visione naturalistica dell’uomo.
La predicazione e la prassi derivavano dalla teologia morale la quale traeva i suoi
insegnamenti dalla tradizione dottrinale della scolastica medievale. La scolastica tradizionale
avevano una visione naturalistica o cosmologica dell’uomo, ossia come una cosa da studiare fissa in
se stessa, dove la coscienza e l’intenzione soggettiva non giocano alcun ruolo nella comprensione
della sua identità. In tal modo risulta ardua la comprensione della libertà, dell’esperienza spirituale e
della sua evoluzione morale.
Questa visione naturalistica concepisce l’atto umano come qualcosa che si incolla a un uomo
nella sua identità sostanziale e quindi non può già essere in qualche modo definito a prescindere da
esso.
Es. l’uomo che tradisce ha un valore diverso a seconda dell’intenzione. E’ diverso il tradimento da
quello che lo concepisce come una cosa normale del suo modo di vivere le relazioni rispetto al
marito che vorrebbe cessare ma si scopre debole, così come la moglie che tradisse viceversa il
marito.
Occorre quindi rifuggire da una comprensione dell’uomo che non tenga conto della sua esperienza
pratica, sarebbe una visione intellettualistica e dunque astratta.
Vediamo alcune conseguenze di questa visione naturalistica dell’uomo.
- La legge morale appare come lex naturalis, che ha un significato indipendentemente dalla
coscienza dell’uomo, ossia una regola da seguire senza che l’uomo riesca a cogliere che è una verità
da riconoscere dentro se stesso e da attuarla nella libertà con convinzione.
- In secondo luogo la vita morale è concepita come lotta contro le passioni, in favore di una ragione
spassionata che riesce a seguire i dettami della natura. Tutto ciò che esprime emozioni: desiderio,
timore, gioia, tristezza, sentimento di colpa, riconoscenza, gelosia è visto come disturbo del giudizio
e della volontà, ma questo porta all’astrattismo perché queste sono esperienze spontanee ed
esistenziali che anticipano e suscitano la coscienza e non tenerne conto nella morale, la morale è
vista dal soggetto poco persuasiva.
- In terzo luogo la concezione naturalistica-intellettualistica dell’uomo si rivela incapace di
dialogare con la modernità perché avendo una visione dell’uomo come oggetto, non riesce a
pensarlo come soggetto che si evolve e ha un suo continuo dinamismo. Ciò spiega i difficili rapporti
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della teologia morale con le scienze umane, che si occupano proprio dell’identità del soggetto con
un approccio empirico e ne studiano la realtà, la formazione e anche i cambiamenti. Difficile è il
dialogo con la psicologia che considera i vissuti emotivi della coscienza e sottolinea la stretta
correlazione tra l’identità del soggetto e la sua biografia, in particolare i rapporti parentali. Lo stesso
si dica per la sociologia e l’antropologia culturale che sottolineano il debito del soggetto nei
confronti della cultura di appartenenza. L’intellettualismo morale si appella ad una natura
dell’uomo che non ha argomenti per discutere con le scienze umane e finisce per non dare
indicazioni concrete per l’esperienza effettiva.
Il cambiamento conciliare
Per i motivi visti la teologia morale ha dovuto cercare una soluzione a tali problemi.
Il C.V. II vedi il documento Optatam totius, 16, ha chiesto di considerare come centro della morale
la ,dignità della persona umana, qualificata dalla sua coscienza. Per fare questo ha chiesto una
rifondazione della morale su basi bibliche.
Questo in riferimento a quanto già detto che l’agire morale cristiano non si esaurisce
nell’adempimento di un ordine di diritto naturale impersonale, ma è risposta (sequela Christi) ad
una chiamata che parte dalla persona di Gesù: la chiamata di Cristo suscita la risposta libera
dell’uomo.
Si deve tener presente che la morale cristiana è cristocentrica in quanto trova il suo centro
in Cristo e il suo riferimento costante ma anche è vitale il collegamento con l’antropologia perché
Cristo definito dal Concilio l’uomo perfetto (Gs 22) svela all’uomo il suo vero volto e questo esige
la conoscenza della complessità umana. Quindi conoscendo la realtà umana si può meglio
conoscere la proposta di Cristo di mettersi alla sua sequela.
Aspetti filosofici della crisi
La crisi della morale cristiana risente della crisi pure dei fondamenti dell’etica filosofica. C’è
un’erosione di 4 fondamenti della morale tradizionale:
Dio (fondamento ultimo) li raccoglie tutti e tre i punti seguenti che è loro principio e fondamento
Natura (fondamento prossimo) non c’è più un’idea fondamentale di natura condivisa
La ragione-coscienza è il (criterio interno) che fa conoscere la morale c’è un’idea soggettiva
ragione
E le istituzioni (criterio esterno) ci sono un insieme di dottrine e di istituzioni
Questi quattro momenti non sono tappe scandite cronologicamente ma indicano nella loro unità che
sono avvenuti di cambiamenti nei valori
1.
2.
3.
4.
Perdita della trascendenza
Perdita dell’universalità
perdita del valore assoluto dell’imperativo etico come tale
perdita della trasparenza sociale
Vediamo un po’ più da vicino
Primo momento: la secolarizzazione dell’etica, Dio non è più il fondamento
Divisione nella chiesa, (le diverse confessioni cristiane) non è più credibile, non solo non è
più principio di unità ma diventa causa di conflitti, da questo momento diventa impossibile fondare
una morale comune sulla confessione di fede e sul Dio della rivelazione. Se è vero che la morale
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dev’essere un fenomeno universale, le chiese non possono più proporsi come fondamento
dell’esistenza morale, essendo l’una in lotta con l’altra.
Nella prima metà del seicento con il teologo e giurista olandese Ugo Grozio pensa ad una
morale laica senza riferimento a Dio, la cui unica risorsa è la natura umana così com’è fatta e la
ragione umana nella sua capacità di indagarla. In realtà la morale è ancora legata a Dio ma non più
al Dio della rivelazione cristiana e della fede ma il Dio quale scoperta della ragione che serve per
spiegare razionalmente l’universo. E’ il Dio razionale che trova il suo massimo esponente in Kant,
il quale fonda la morale razionale. La legge morale dice Kant è la regola d’azione che la ragione
scopre ed impone alla volontà sollecitata dal sensibile (desideri, emozioni e sentimenti). Kant parla
di imperativo categorico. Questa legge morale che chiama appunto imperativo perché s’impone
con evidenza è categorico perché non è subordinato al conseguimento di un fine ma esso stesso fine
costitutivo. Ossia pone che l’istanza morale è una necessità e trova nella ragione il suo fondamento
senza bisogno di appello a una realtà ulteriore per la sua evidenza appunto.
Questa percezione dell’istanza etica è stata una grande scoperta del pensiero moderno. Il riferimento
a Dio non fonda per Kant l’istanza morale ma ne è invece una conseguenza, infatti per Kant la
coscienza morale postula che l’uomo eticamente buono raggiunga anche la felicità e dunque anche
il compimento in paradiso.
L’intenzione kantiana nei confronti della morale non è riduttiva ma è positiva trasferendo dall’uomo
da Dio all’uomo la radice e il motivo dell’agire etico. Kant non intendeva indebolire la morale ma
di darle una certezza assoluta, invece contrariamente a quanto pensava, il disancoramento religioso
da Dio della morale ha contribuito al suo oscuramento, è stato il primo passo sulla strada della crisi.
Così in epoca moderna la crisi della coscienza religiosa è sfociata nella crisi della stessa coscienza
etica della modernità.
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