DIRITTO
AMMINISTRATIVO
CORSO CGIL – CISL
9/11/2009
Dott. Adriano OCCHIPINTI
I PRINCIPI DELL’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA
Principi costituzionali (art. 97 Cost.):
-
Principio di legalità: tale principio afferma
corrispondenza tra l’attività amministrativa e
prescrizioni di legge;
la
le
-
Principio di imparzialità: la P.A. deve svolgere la propria
attività nel pieno rispetto della giustizia; tale principio
assume una valenza assolutamente positiva, come
obbligo di identificare e valutare, da parte della P.A.
procedente, tutti gli interessi potenzialmente coinvolti;
-
Principio di buona amministrazione: il principio in
parola, implica l’obbligo di svolgere l’attività
amministrativa secondo le modalità più idonee e
opportune al fine della efficacia, efficienza, speditezza
ed economicità dell’azione amministrativa.
I principi di cui sopra hanno trovato codifica normativa
nella legge 241/90 e successive modifiche.
I principi sanciti dalla legge 241/90
L’art. 1 della legge 241, al comma 1, prevede:
“L'attività amministrativa persegue i fini determinati
dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di
efficacia e di pubblicità secondo le modalità previste
dalla presente legge e dalle altre disposizioni che
disciplinano singoli procedimenti.”
Dal combinato disposto dell’art. 97 Cost. e dell’art. 1
legge 241 discende quindi che l’azione amministrativa
deve essere uniformata ai seguenti principi:
-economicità: ovvero ottimizzazione dei risultati in
rapporto ai mezzi a disposizione;
-efficacia: ovvero la capacità di conseguire gli obiettivi
assegnati;
-efficienza: ovvero la capacità di conseguire gli obiettivi
in rapporto ai mezzi a disposizione (produttività);
-pubblicità: l’enunciazione pone in evidenza un altro dei
principi cardine cui deve essere uniformata l’azione
amministrativa, ovvero il principio di trasparenza
“La pubblica amministrazione non può aggravare
il procedimento se non per straordinarie e
motivate esigenze imposte dallo svolgimento
dell'istruttoria.”
L’art. 2 L. 241/90 prevede:
Al comma 1: “ Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una
istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, la pubblica amministrazione ha il
dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso.”; il
citato comma sancisce l’obbligo per la PA di concludere il procedimento
mediante l’adozione di un provvedimento finale espresso sia quando il
procedimento consegua ad una istanza, sia quando sia iniziato d’ufficio;
Al comma 2: “Le pubbliche amministrazioni determinano per ciascun tipo di
procedimento, in quanto non sia già direttamente disposto per legge o per
regolamento, il termine entro cui esso deve concludersi. Tale termine decorre
dall'inizio di ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda se il
procedimento è ad iniziativa di parte”
Al comma 3: “Qualora le pubbliche amministrazioni non provvedano ai sensi
del comma 2, il termine è di novanta giorni”
Gli strumenti dell’attività della
P.A.
Fra gli atti emanati dalla PA, che possono assumere forme e
contenuti diversi (es. di natura privatistica, normativa ecc.),
occupano posizione di rilevanza gli atti amministrativi ovvero tutti
quegli atti aventi natura pubblicistica attraverso i quali la PA
manifesta la propria volontà.
In assenza di una specifica disposizione legislativa, sono state
dottrina e giurisprudenza a dare contenuto a questo concetto.
Quella che possiamo definire teoria tradizionale, ha esteso in
maniera notevole la portata del concetto facendovi rientrare tutti
gli atti di natura pubblicistica emessi dalla PA.
Le caratteristiche dell’attività amministrativa
Tralasciando quella che è stata l’evoluzione storica, la dottrina più recente
ricostruisce la tematica dell’atto amministrativo in base alle due tendenze
principali cui si ispira la moderna attività amministrativa:
funzionalizzazione; che si concretizza nel provvedimento amministrativo
caratterizzato dalla manifestazione di volizione e dalla imperatività.
Quest’ultima costituisce l’idoneità del provvedimento efficace, anche se
invalido, a produrre unilateralmente la costituzione, modificazione o
estinzione di situazioni giuridiche indipendentemente dalla volontà dei
destinatari;
procedimentalizzazione; ovvero uno degli schemi principali attraverso il
quale si esplica l’attività della PA.. Infatti, di regola, la PA utilizza una serie di
atti concatenati e coordinati, finalizzati all’emanazione di un atto finale: il
provvedimento come espressione concreta della funzione amministrativa. E’
quindi possibile operare una distinzione tra meri atti amministrativi o atti
strumentali del procedimento come proposte, pareri e istanze che hanno
una rilevanza unicamente interna al procedimento e provvedimento come
atto finale che esprime la volontà della PA.
Le tipologie di atti amministrativi
Degli atti amministrativi esistono, in dottrina, varie
classificazioni:
In relazione alla natura dell’attività esercitata:
-atti di amministrazione attiva: diretti a soddisfare
immediatamente gli interessi della PA (provvedimenti);
-atti di amministrazione consultiva(pareri);
-atti di amministrazione di controllo (controlli).
In relazione all’elemento psichico:
-atti consistenti in manifestazione di volontà;
-atti consistenti in manifestazione di conoscenza;
-atti consistenti in manifestazione di giudizio.
In relazione all’efficacia:
-atti costitutivi, che creano, modificano o estinguono un
rapporto giuridico preesistente (avviso di accertamento);
-atti dichiarativi, che si limitano ad accertare una determinata
situazione senza influire su di essa; tutti gli atti dichiarativi
non sono provvedimenti.
STRUTTURA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
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Caratteristiche
Un atto amministrativo è:
un atto unilaterale, in quanto ha efficacia indipendentemente dalla
volontà del soggetto cui è destinato (a cui può anche essere
imposto);
un atto emanato da una autorità amministrativa (atto
soggettivamente amministrativo);
un atto emanato da un'autorità amministrativa nell'esercizio delle
sue funzioni amministrative (atto oggettivamente amministrativo);
un atto esterno, dato che non sono considerati atti amministrativi
quegli atti posti in essere dall'autorità amministrativa nei confronti
di sé stessa (detti atti meramente interni, come le circolari).
un atto nominativo, in quanto ciascuna tipologia di atto è prevista
nominativamente dalla legge.
STRUTTURA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
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Struttura
 Un atto amministrativo, nella generalità dei casi, presenta una
struttura formale composta da:
 intestazione (indica l'autorità da cui promana l'atto)
 preambolo
 motivazione (valuta comparativamente gli interessi, indicando le
ragioni per le quali si preferisce soddisfare un interesse in luogo di
un altro)
 dispositivo (è la parte precettiva, che costituisce l'atto di volontà
della Pubblica Amministrazione)
 luogo
 data
 sottoscrizione (contiene la firma dell'autorità che emana l'atto o di
quella delegata)
STRUTTURA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
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Contenuto
Rispetto al contenuto dell'atto amministrativo si distinguono:
elementi
– essenziali (la capacità del soggetto ,la dichiarazione ,l'oggetto, la causa, la motivazione ,la forma)
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- accidentali (termine, condizione, il modo)
requisiti (di legittimità, di efficacia)
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La mancanza di un elemento essenziale determina la nullità dell'atto
amministrativo, mentre la mancanza di un requisito determina l'annullabilità
dell'atto, cioè la possibilità che sia annullato, su istanza di parte d'ufficio da
parte della Pubblica Amministrazione.
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Gli elementi accidentali si possono applicare soltanto agli atti amministrativi
negoziali; infatti rispetto agli atti amministrativi gli elementi accidentali non
hanno ragion d'essere (si pensi, ad esempio, all'assurdo di una certificazione di
nascita sottoposta a condizione sospensiva).
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Gli elementi accidentali devono essere possibili e leciti. Gli elementi accidentali
illeciti o impossibili non comportano la nullità o l'annullabilità dell'atto
amministrativo, ma si considerano come non apposti.
STRUTTURA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
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Elementi essenziali
Sono elementi essenziali dell'atto amministrativo:
la capacità del soggetto che emana l'atto
la dichiarazione
l'oggetto, ossia la res su cui l'atto amministrativo incide
la causa
la motivazione
la forma
Capacità del soggetto
Il soggetto che emana l'atto amministrativo deve avere la capacità, ovvero la competenza, ad emanarlo. Se l'atto è
emanato da un soggetto che non è organo della pubblica amministrazione, non si è in presenza di un atto
amministrativo.
In casi particolari espressamente previsti dalla legge, l'attività posta in essere da un privato può qualificarsi come
amministrativa e ci si riferisce al privato come ad un funzionario di fatto; un esempio è il caso di un cittadino che
in presenza di catastrofi naturali svolga volontariamente attività di natura pubblica.
Dichiarazione
La dichiarazione è l'atto con cui la Pubblica Amministrazione rende conoscibile al suo esterno la propria volontà. In
alcuni casi il silenzio può assumere la valenza di una dichiarazione di volontà come per il slienzio-assenso o il
silenzio-rifiuto.
Causa
La causa è la finalità tipica di pubblico interesse prevista dall'ordinamento per l'atto.
Ad esempio, la causa dell'espropriazione consiste nel trasferimento coattivo del bene da un privato alla Pubblica
Amministrazione, dietro il corrispettivo di un indennizzo.
Alla pubblica amministrazione non è attribuito un generico potere di porre in essere tutti quegli atti che realizzino
l'interesse pubblico; al contrario sono attribuiti tanti poteri specifici, ciascuno dei quali realizza uno specifico
interesse pubblico, rappresentato dalla causa.
STRUTTURA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
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Motivazione La motivazione si collega sia alla dichiarazione che alla forma dell'atto
amministrativo.
Per l'articolo 3 della legge 241 del 1990, ad esclusione degli atti normativi e di quelli a
contenuto generale, deve riportare:
i presupposti di fatto
le ragioni giuridiche che hanno determinato le ragioni dell'amministrazione
La motivazione non può consistere in una formula stereotipata o generica, come ad
esempio per motivi di servizio.
Ovviamente è superflua, e quindi non è necessaria, la motivazione in un atto di mera
certificazione (es. un certificato di nascita) o in un atto che sia dovuto, cioè che la
Pubblica Amministrazione è obbligata, per disposizione di legge, a rilasciare.
Forma
La forma è un elemento che si lega alla dichiarazione, determinato per legge. Nel diritto
amministrativo la forma degli atti è tendenzialmente libera, potendo l'atto amministrativo
rivestire sia la forma scritta (es. un verbale) sia la forma orale (es. un atto iussivo) sia la
forma simbolica o per immagini (es. un segnale stradale, che dai più si ritiene essere un
atto di natura iussiva). In genere è la legge che stabilisce quale forma l'atto debba
assumere, in ossequio ai principi di tipicità e nominatività degli atti. In difetto, occorre
valutare il grado di incidenza dell'atto sulle situazioni giuridiche dei destinatari e la
natura degli interessi in gioco, richiedendosi preferibilmente la forma scritta nel caso di
provvedimenti limitativi della sfera giuridica altrui.
STRUTTURA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
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Elementi accidentali
Sono elementi accidentali:
il termine; che indica il giorno dal quale l'atto deve iniziare o terminare di produrre gli
effetti
la condizione; che è un fatto futuro incerto
il modo
la riserva, allorché la pubblica amministrazione nel provvedere su una data materia, si
riserva di adottare future determinazioni in ordine all'oggetto stesso
Termine
Il termine rappresenta un avvenimento futuro e certo.
Allo scadere del termine l'avvenimento acquisisce o perde la sua efficacia.
Condizione
La condizione rappresenta un avvenimento futuro ed incerto.
Può trattarsi di una condizione sospensiva, per cui gli effetti dell'atto di realizzano al
verificarsi dell'avvenimento, o di una condizione risolutiva, per cui gli effetti dell'atto
cessano al verificarsi dell'avvenimento.
Modo
Il modo può essere apposto ad un atto amministrativo solo nei casi previsti dalla legge;
ad esempio la licenza di guida può comportare un modo (l'uso degli occhiali) per il
privato.
STRUTTURA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
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Requisiti dell’atto amministrativo
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Essi incidono sostanzialmente sulla efficacia e validità dell’atto.
Si distinguono in:
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- requisiti di legittimità, la cui mancanza determina l’annullabilità dell’atto
(firma del responsabile, quorum costitutivo);
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- requisiti di efficacia, necessari affinché l’atto possa concretamente
esplicare i suoi effetti (pubblicazione all’albo; necessità di formale notifica al
destinatario).
Efficacia del provvedimento amministrativo
L’efficacia consiste nell’attitudine dell’atto a produrre i suoi effetti.
L’atto amministrativo diviene produttivo di effetti a seguito del produttivo
completamento della fase dell’integrazione dell’efficacia (controllo e
comunicazione all’interessato).
Gli effetti dell’atto possono essere:
-costitutivi: se creano una situazione giuridica ex novo, o modificano una
situazione preesistente o la estinguono;
-dichiarativi: se accertano o chiariscono una situazione già esistente;
-ampliativi: se favorevoli al destinatario. L’atto ampliativo non è
necessariamente costitutivo, potendo essere, appunto, ampliativo di posizioni
giuridiche preesistenti;
-restrittivi; se sfavorevoli al destinatario. Ai sensi dell’art. 21 bis della legge
241/90, introdotto dalla legge 15/95, il provvedimento limitativo della sfera
giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la
comunicazione allo stesso effettuata nelle forme previste dal codice di
procedura civile
Inizio dell’efficacia degli atti amministrativi
Per gli atti non ricettizi gli effetti si producono dal momento stesso in cui
l’atto è posto in essere.
Per gli atti ricettizi gli effetti decorrono solo dalle comunicazioni nelle forme
precedentemente esaminate.
Sospensione dell’efficacia
Ai sensi dell’art. 21 quater della legge 241/90, i provvedimenti amministrativi
efficaci sono eseguiti immediatamente salvo che sia stabilito diversamente
dalla legge o dal provvedimento medesimo.
Sotto questo profilo, vengono in due rilievo due figure:
- La proroga: è l’istituto che differisce ad un momento successivo, rispetto a
quello previsto dall’atto, i termini di scadenza dello stesso deve intervenire
necessariamente prima della scadenza e deve essere adottata con le stesse
modalità dell’atto da prorogare;
- La sospensione: è un provvedimento con cui si sospende l’esecuzione di un
precedente provvedimento; essa si verifica per gravi ragioni e per il tempo
strettamente necessario; viene disposta dall’organo che ha emesso l’atto o da
altro organo previsto dalla legge
CESSAZIONE DELL’EFFICACIA
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Le cause di cessazione dell’efficacia possono essere:
- fatti naturali: vi rientrano la scadenza del termine il cui
verificarsi esaurisce l’atto; il verificarsi della condizione
risolutiva, ovvero la morte dell’interessato (dalla quale
sorge talvolta il diritto degli eredi a mantenere l’atto
stesso);
- atti del destinatario; vi rientra la rinunzia da parte del
soggetto la quale, per poter essere operativa, deve essere
accettata dalla P.A. che ha emesso l’atto;
- atti della P.A.; quali atti di controllo successivo con esito
negativo, atti di ritiro (annullamento, revoca, abrogazione),
pronuncia di decadenza.
ESECUTORIETA’ DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
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Il provvedimento amministrativo, in quanto dotato del carattere di autorietà, ha
l’idoneità a produrre, unilateralmente, modificazioni favorevoli o sfavorevoli
nella sfera giuridica del destinatario. La modificazione può operare
semplicemente, senza che occorrano atti di esecuzione. In questo caso, si parla di
provvedimenti autoesecutivi.
Il più delle volte, tuttavia, è necessario procedere ad una attività di esecuzione al
fine di adeguare la situazione di fatto alla situazione di diritto disposta con il
provvedimento.
Per i provvedimenti comportanti obblighi per i destinatari, ove costoro non vi
ottemperino, la P.A. può, nelle ipotesi e con le modalità previste dalla legge,
previa diffida, provvedere all’esecuzione coattiva degli stessi provvedimenti.
L’esecuzione può aver luogo o attraverso il compimento di atti materiali o
attraverso l’adozione di provvedimenti amministrativi.
Alla luce, peraltro, della legge 241/90, l’incidenza negativa che gli atti di cui
sopra presenta nella sfera soggettiva dei destinatari rende opportuna la
partecipazione di questi ultimi alle fasi di un eventuale procedimento.
REVOCA DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO
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Si tratta di un provvedimento motivato con cui la P.A. ritira, con efficacia non
retroattiva, un atto inficiato da vizi di merito in base ad una nuova valutazione
degli interessi.
Anche in tema di revoca è intervenuto il legislatore con l’introduzione
nell’ambito della legge 241/90 di un nuovo art. 21 quinquies, il quale prevede
che il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato
da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla
legge nel caso di sopravvenuti motivi di pubblico interesse, di mutamento della
situazione di fatto, ovvero a seguito di nuova valutazione dell’interesse pubblico
originario.
La revoca determina l’inidoneità del provvedimento a produrre ulteriori effetti
nonché l’eventuale obbligo di risarcimento degli eventuali pregiudizi verificatisi
in danno dei soggetti direttamente interessati.
La disposizione attribuisce infine al G.A. le controversie in materia di
determinazione e corresponsione del suddetto risarcimento.
PRESUPPOSTI DELLA REVOCA
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L’esercizio del potere di revoca presuppone:
una mancanza attuale di rispondenza dell’atto alle esigenze
pubbliche dedotta unilateralmente dalla P.A. in base a:
- una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario e degli
elementi che furono alla base dell’atto da revocare;
- la constatazione che non risultano più sussistenti le ragioni di
opportunità che legittimavano l’atto al momento della sua
emanazione.
TIPOLOGIE DI REVOCA
A) autorevoca; da parte della stessa autorità che ha emanato l’atto;
B) la revoca gerarchica; da parte dell’autorità gerarchicamente
superiore.
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L’ANNULLABILITA’ DEL PROVVEDIMENTO AMINISTRATIVO
L'articolo 21 octies della legge dell'11 febbraio 2005 n.15, recante modifiche ed
integrazioni alla legge del 7 agosto 1990 n. 241, concernenti norme generali
sull'azione amministrativa" recita:
« È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge
o viziato da eccesso di potere o da incompetenza. »L'atto amministrativo è
annullabille:
per difetto relativo di attribuzione, anche detta incompetenza relativa di
legge;
per eccesso di potere.
per violazione di legge;
Incompetenza relativa di legge
L'incompetenza di legge può riguardare il soggetto che ha posto in essere l'atto
amministrativo o la materia su cui questo dispiega i suoi effetti.
L'incompetenza può essere assoluta, nel qual caso l'atto è nullo, o relativa, nel
qual caso l'atto è annullabile (o nel caso sanabile).
Normalmente l'incompetenza relativa si ha quando il soggetto che ha posto in
essere l'atto non ha il grado, inteso come livello gerarchico, per porre in essere lo
stesso.
ANNULLABILITA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
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Eccesso di potere
L'eccesso di potere è un vizio della causa dell'atto amministrativo, che deve essere quella predeterminata dalla legge.
Mentre l'eccesso di potere attiene la causa dell'atto, l'incompetenza, relativa od assoluta, attiene
l'autorità da cui promana l'atto.
Perché si possa parlare di eccesso di potere occorre che si verifichino le seguenti condizioni:
l'atto sia discrezionale (dato che gli atti vincolati hanno un contenuto predeterminato non possono
essere invalidati per eccesso di potere);
l'atto realizzi un fine diverso da quello previsto dalla legge;
l'eccesso di potere sia provato.
Rispetto l'eccesso di potere, la dottrina ha elaborato delle figure sintomatiche dello sviamento di
potere, che rappresentano un indizio che l'atto sia viziato da eccesso di potere.
Violazione di legge
La violazione di legge è data dalla difformità dell'atto amministrativo rispetto alle norme di legge.
L'articolo 21 octies della legge dell'11 febbraio 2005 n.15 al secondo comma introduce due
importanti eccezioni rispetto alla violazione di legge:
« Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla
forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto
dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento
amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento
qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto adottato. »
ANNULLABILITA’ DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
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Con il primo inciso dell’ articolo 21 octies della legge dell'11 febbraio 2005 n.15 al secondo
comma si indicano quelle violazioni di legge che seppur presenti non comportano
comunque l'annullabilità dell'atto amministrativo; il legislatore ha introdotto la categoria
dei vizi meramente formali (per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il
suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato), peraltro già prevista da parte della dottrina. Per questo tipo di vizi il legislatore
ha ritenuto che prevalga la sostanza rispetto gli aspetti formali richiesti dalle leggi, e
quindi ne ha escluso l'annullabilità.
Per il secondo inciso, l'amministrazione può provare in giudizio, che la mancata
comunicazione dell'avvio del procedimento, non rappresenta di per se stessa causa di
annullabilità, se riesce a dimostrare che i destinatari sono comunque venuti a conoscenza
dell'atto amministrativo o che anche quando ne fossero venuti a conoscenza questo non
avrebbe potuto essere diverso da quello posto in essere dall'amministrazione.
Effetti
L'atto amministrativo annullabile è:
giuridicamente esistente;
efficace;
sanabile.
L'annullabilità non si verifica di diritto, ma solo nel caso sia fatta valere da chi ne abbia
interesse (il privato ma anche la pubblica amministrazione stessa) ed a seguito di un altro
atto della pubblica amministrazione o di una sentenza.
L'atto amministrativo annullabile può anche essere sanato o soggetto a consolidazione.
NULLITA’ DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
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La nullità dell'atto amministrativo è una causa grave di invalidità dello
stesso, che oltre a determinarne l'inabilità a produrre gli effetti per cui era stato
posto in essere, ne determina l'insanabilità.
L'articolo 21 septies della legge dell'11 febbraio 2005 n.15, recante modifiche ed
integrazioni alla legge del 7 agosto 1990 n. 241, concernenti norme generali
sull'azione amministrativa" recita:
« È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali,
che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione
o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla
legge. »
L'atto amministrativo è nullo:
quando manca di uno degli elementi essenziali dell'atto amministrativo;
per difetto assoluto di attribuzione, anche detta incompetenza assoluta di legge;
quando è prodotto in elusione o violazione di una sentenza;
nei casi previsti dalla legge.
NULLITA’ DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
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A lungo in dottrina si era dibattuto sull'esistenza o meno di questa categoria di vizi dell'atto
amministrativo. Per lungo tempo si era ritenuto come giuridicamente rilevante solo l'annullabilità
dell'atto amministrativo e non anche la nullità dell'atto.
Da ultimo è intervenuto il legislatore che ha previsto esplicitamente la categoria degli atti
amministrativi nulli, all'interno della legge n.15 del 2005, che ha riformato profondamente diversi
istituti relativi al provvedimento amministrativo, per come erano stati previsti dalla storica legge 241
del 1990.
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Incompetenza assoluta di legge
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L'incompetenza può riguardare il soggetto che pone in essere l'atto amministrativo o l'oggetto da
questo considerato.
L'incompetenza assoluta comporta la nullità dell'atto.
L'incompetenza relativa comporta l'annullabilità dello stesso, è può riguardare:
il grado, inteso come grado gerarchico, del soggetto che ha posto in essere l'atto;
la materia dell’atto, che non rientra tra quelle di competenza dell'organo che ha posto in essere l'atto.
L'incompetenza è assoluta, allorché l'organo che emana l'atto non ha assolutamente la competenza
per emanarlo, in quanto si tratta di un organo appartenente ad un potere, o settore
dell'amministrazione pubblica, completamente diversi. Si pensi, ad esempio, ad una sentenza
emanata da un Ministro.
L'incompetenza è relativa, quando l'organo che emana l'atto, pur facendo parte del settore
dell'amministrazione competente per quel tipo di materia, non è legittimato all'emanazione di esso.
Si pensi, ad esempio, ad un provvedimento in materia scolastica, emanato dal Provveditore agli
studi, mentre le leggi stabiliscono che esso deve essere emanato dal superiore gerarchico, e cioè dal
Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
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NULLITA’ DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
Effetti
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L'atto amministrativo nullo è:
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inesistente;
inefficace;
insanabile.
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Per gli effetti della nullità dell'atto amministrativo il terzo che era obbligato dall'atto nullo
(ad un fare come ad un non fare) può legittimamente rifiutarsi di adempiere alle
previsioni dell'atto. Inoltre la nullità dell'atto può essere fatta valere da chiunque, non solo
da chi sia leso in un suo diritto soggettivo o in un suo interesse legittimo. Infine, se in
relazione all'atto amministrativo nullo siano state modifica delle situazioni giuridiche,
sorge l'obbligo per chi le ha poste in essere di ripristinare la situazione esistente
antecedente all'atto amministrativo nullo.
 Competenza
 La nullità può essere fatta valere davanti al giudice ordinario nel caso l'atto
amministrativo leda dei diritti; nel caso sia lesivo di interessi legittimi la competenza è
del giudice amministrativo, al quale sono devoluti come competenza esclusiva (quindi
anche per i casi di lesioni del diritto soggettivo, i casi di elusione o violazione del
giudicato (il così detto giudizio di ottemperanza).
ANNULLAMENTO D’ UFFICIO DELL’ ATTO AMMINISTRATIVO
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L’annullamento, è un provvedimento amministrativo con il quale viene ritirato,
con efficacia retroattiva, ossia dalla data della sua emanazione, un atto
amministrativo inficiato dalla presenza di uno o più vizi di legittimità originari
dell’atto.
Il nuovo art. 21 nonies introdotto dalla legge 15/2007 di riforma sul
procedimento amministrativo, dispone che il provvedimento amministrativo
illegittimo (perché adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o
incompetenza o perchè adottato in violazione di norme sostanziali sul
procedimento o sulla forma degli atti) può essere annullato d’ufficio dallo stesso
organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge,
sussistendone le ragioni di pubblico interesse, entro un termine ragionevole e
tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
La disposizione fa salva la possibilità di convalida del provvedimento
annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico.
Per procedere, quindi, l’amministrazione competente all’annullamento d’ufficio
ha l’obbligo di verificare:
ANNULLAMENTO D’ UFFICIO DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
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- la giuridica esistenza di un provvedimento
amministrativo;
 - la ricorrenza di uno dei vizi di legittimità del
provvedimento (violazione di legge, eccesso di
potere, incompetenza);
 - la sussistenza di ragioni di interesse pubblico.
LA CONVALIDA DELL’ATTO AMMINISTRATIVO
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E’ un provvedimento nuovo, autonomo, costitutivo, che elimina i vizi di
legittimità di un atto invalido precedentemente emanato dalla stessa autorità.
Il provvedimento di convalida deve contemplare:
- l’atto che si deve convalidare;
- l’individuazione del vizio di cui è affetto;
- la volontà di rimuovere il vizio invalidante.
La convalida può riguardare soltanto:
- atti annullabili (non nulli in quanto non si può mantenere in vita un atto
inesistente);
- che non siano stati precedentemente annullati;
- atti in relazione ai quali l’autorità abbia ancora potere;
- il cui vizio inficiante possa essere sanato (non attenga ad invalidità sostanziale)
Il R.u.p
Il responsabile unico del procedimento è una figura di notevole importanza.
La legge 241/90 impone alle pubbliche amministrazioni la nomina di un responsabile unico del
procedimento per ogni opera di loro competenza attraverso un'unità organizzativa della stessa. L'articolo 7
comma 1 della legge 109/94 specifica che tale responsabile sia unico.
Il nominativo del responsabile unico del procedimento è fornito "ai soggetti nei confronti dei quali il
provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi e
a chi possa ricevere pregiudizio da tale procedimento, salvo esistano esigenze particolari di celerità del
procedimento.
I compiti del responsabile unico del procedimento .
L'articolo 6 della legge 241/90 impone al responsabile unico del procedimento i seguenti compiti:
•valutare le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione e i presupposti rilevanti per il
procedimento;
•disporre il compimento degli atti necessari e adotta le misure necessarie ad un celere svolgimento
dell'istruttoria;
•proporre l'indizione o, se dotato dei requisiti necessari, indice la conferenza di servizi;
•curare le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalla legge;
•adottare dove ne abbia competenza il provvedimento finale o trasmettere gli atti all'organo competente.
LA CONFERENZA DEI SERVIZI

La conferenza dei servizi (art. 14) costituisce una
forma
di
cooperazione
tra
pubbliche
amministrazioni alla quale l’amministrazione
procedente ricorre qualora sia opportuno un esame
contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti nel
procedimento (conferenza istruttoria; art. 14
comma 1) oppure quando sia necessaria
l’acquisizione di intese, nulla osta o assensi di
diverse
amministrazioni
con
conseguente
adozione di una determinazione finale (conferenza
decisoria; art. 14 comma 2).
L’OBBLIGO A PROVVEDERE DELLA P.A. E LA FATTISPECIE DEL
SILENZIO
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Ai sensi dell’art. 2 della legge 241/90, la P.A. è obbligata a concludere il
procedimento amministrativo con un provvedimento finale espresso.
L’obbligo di conclusione esplicita rileva, quindi, ai fini del legittimo affidamento
ingenerato dai comportamenti della P.A. nei confronti del destinatario del
provvedimento il quale si può trovare di fronte una amministrazione che lasci
decorrere il termine di conclusione senza adottare alcun atto.
In tale ipotesi si parla di silenzio – rifiuto o inadempimento caratterizzato
dall’inerzia della P.A.
A tal proposito, la legge 80/2005 di conversione, con modificazioni, del decreto
legge 14 marzo 2005 n. 35, ha riformulato l’art. 2 della legge 241/90,
introducendo una nuova disciplina per la conclusione del procedimento.
L’originario art. 2 attribuiva a ciascuna amministrazione il potere di individuare
autonomamente il termine finale dei procedimenti.
Solo nel caso di mancata fissazione, la legge prevedeva il termine di trenta
giorni.
L’OBBLIGO A PROVVEDERE DELLA P.A. E LA FATTISPECIE DEL
SILENZIO
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
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Il nuovo testo di legge, così come modificato, prevede un termine di fissazione
della conclusione dei procedimenti maggiormente centralizzato nel quale i
termini di competenza delle Amministrazioni statali, ove non siano direttamente
previsti dalla legge, vengono determinati non più dalle singole amministrazioni,
ma dal Governo, su proposta del ministro competente di concerto con il Ministro
per la funzione pubblica.
Il regolamento governativo, tuttavia, fissa i termini solo per le Amministrazioni
dello Stato.
Agli enti pubblici nazionali diversi dallo Stato la norma riconosce, invece, il
potere di fissare secondo i propri ordinamenti, i termini entro i quali devono
concludersi i procedimenti i propria competenza.
Altra novità riguarda il termine da applicare in caso di mancata emanazione dei
regolamenti governativi per le Amministrazioni statali e di inerzia da parte degli
enti pubblici nazionali: il termine sussidiario non è più di trenta giorni, ma è
stato aumentato a novanta giorni.
LA PROCEDURA DI IMPUGNAZIONE DEL SILENZIO INADEMPIMENTO
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
L’intervento modificatore della legge 15/2005 ha portato chiarezza circa la
procedura di impugnazione del silenzio – inadempimento (nuovo comma 5,
dell’art. 2, legge 241/90.
La nuova previsione consente di impugnare il comportamento omissivo
protrattosi oltre il termine conclusivo senza necessità di diffida alla
amministrazione inadempiente e comunque entro un anno dalla scadenza del
termine finale del procedimento.
Inoltre, anche una volta scaduto il suddetto termine di un anno, l’interessato può
presentare una ulteriore istanza volta ad ottenere il provvedimento richiesto,
sempre che naturalmente ne sussistano ancora i presupposti.
Un accenno merita il profilo attinente alla tutela penale del soggetto nelle ipotesi
di silenzio inadempimento.
Con la modifica dell’art. 2 della 241/90, ad opera della legge 80/2005, che
prevede il termine di 90 giorni, alla scadenza del suddetto termine si forma il
silenzio inadempimento della P.A. e si configura anche il reato di cui all’art. 328
del c.p., con possibilità per il privato di ottenere tutela anche nel procedimento
penale con conseguente diritto al risarcimento del danno pervia costituzione di
parte civile.
SILENZIO ASSENSO
Tra le novità introdotte, con la legge di conversione n. 80/2005 spicca la modifica
dell’art. 20 della legge n. 241/1990 in materia di silenzio assenso.
In particolare, fatto salvo il precedente articolo 19 ove si parla di dichiarazione di
inizio di attività ( con procedura specifica), si afferma che “nei procedimenti
amministrativi ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, il
silenzio dell’amministrazione competente equivale provvedimento di accoglimento
della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se l’amministrazione non
comunica entro il termine previsto (stabilito con procedura regolamentare o, in
difetto, entro 90 giorni). L’Amministrazione competente può, entro 30 giorni dalla
presentazione dell’istanza, convocare una conferenza di servizi, tenendo conto delle
eventuali posizioni giuridiche dei contro interessati
In caso di silenzio accoglimento l’Amministrazione competente può assumere
determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21 – quinquies e 21 – nonies
della legge n. 241/1990. Le disposizioni previste dal nuovo articolo 20 non si
applicano alle amministrazioni indicate dal nuovo art. 19, comma 1, quale risulta
modificato dal Decreto Legge n. 35/05 (difesa nazionale, pubblica sicurezza,
immigrazione, amministrazione della giustizia, amministrazione delle Finanze, tutela
della salute e della pubblica incolumità, patrimonio paesaggistico e culturale, atti
imposti dalla normativa comunitaria), nonché a prestazioni sociali condizionate
all’accertamento di un requisito di carattere sanitario ed ai casi in cui la legge
qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza.
L’ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI
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La legge 241/90, nella versione integrata e modificata dalla legge 15/2005 ha
interamente ridisegnato il diritto di accesso elevandolo a rango di principio
generale dell’attività amministrativa vincolante anche per le Regioni e gli Enti
locali.
La legge 15/2005 ha completamente riscritto l’art. 22 della legge 241/90 che,
nella precedente formulazione, si limitava ad enunciare le finalità perseguite
dalla normativa sull’accesso, identificate nell’assicurazione della trasparenza e
nella garanzia dello svolgimento imparziale dell’attività amministrativa.
Nell’attuale formulazione, l’art. 22 specifica che l’accesso ai documenti
amministrativi costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine
di favorire la partecipazione ed assicurarne l’imparzialità e la trasparenza.
I Titolari del diritto di accesso:
Il nuovo art. 22, definito il diritto di accesso come il diritto degli interessati di
prendere visione ed estrarre copia di documenti amministrativi, individua come
“interessati”, tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi
pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale…
L’ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI
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
… corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento per il quale è chiesto l’accesso.
Oggetto del diritto di accesso:
Il legislatore italiano non ha ritenuto di dover addivenire ad una elencazione
tipologica di documenti accessibili, ma ha preferito darne una elencazione
generale: è considerato documento amministrativo ogni rappresentzione grafica,
fotocinematografica, elettromagnetica, o di qualunque altra specie, del
contenuto di atti, anche interni, o non relativi ad uno specifico procedimento,
detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico
interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica e privatistica della loro
disciplina sostanziale (art. 22, comma 1, lett. d).
Il nuovo art. 22, comma 1, lett. e), specifica altresì che ai fini dell’accesso
s’intende per pubblica amministrazione tutti i soggetti di diritto pubblico e i
soggetti di diritto privati limitatamente alla loro attività di pubblico interesse.
L’ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI
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Sono obbligati a consentire il diritto di accesso in base all’art. 23 legge 241/90:
- le pubbliche amministrazioni, nonchè gli altri soggetti come poc’anzi definiti;
- gli enti pubblici;
- gestori di pubblici servizi, ovvero i soggetti privati legittimati allo svolgimento
di attività pubbliche;
- autorità di garanzia e vigilanza;
- amministrazione comunitaria;
- imprese di assicurazione; sono obbligate a consentire ai loro assicurati
l’accesso agli atti a conclusione dei procedimenti di valutazione dei danni che li
riguardano.
Limiti tassativi:
L’art. 24, interamente novellato dalla legge 15/2005 prevede due categorie di
limiti al diritto di accesso: limiti tassativi e limiti facoltativi.
I primi sono sanciti direttamente dal legislatore senza che residui in capo alla
P.A. alcun margine discrezionale di apprezzamento.
L’ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI

Ove ricorra uno di tali limiti, finalizzati alla salvaguardia di interessi pubblici
fondamentali, la P.A. dovrà necessariamente negare l’accesso.
 I limiti di cui sopra riguardano:
 - i documenti coperti da segreto di stato;
 - i documenti coperti da segreto o divieto di divulgazione espressamente previsti dalla
legge;
 - i procedimenti tributari per i quali rimangono ferme le articolari norme che li regolano;
 - l’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi;
 - i procedimenti selettivi con particolare riferimento ai documenti contenenti
informazioni di carattere psico – attitudinale;
 - i documenti esclusi dal diritto di accesso per mezzo del regolamento governativo di cui
al comma 6 dell’art. 24.
 Premesso quanto sopra, tuttavia, il legislatore ha sentito il bisogno di inserire il comma 7
con cui si precisa che “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti
amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi
giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei
limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita
sessuale".
L’ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI
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I limiti facoltativi:
Il nuovo art. 24 prevede, al comma 4, che l’accesso ai documenti amministrativi
non può essere negato ove sia sufficiente far ricorso a potere di differimento.
La possibilità di differire l’accesso ai documenti consente ai soggetti passivi
dello stesso di evitarne l’ostensione sino a quando la conoscenza di essi possa
impedire o gravemente ostacolare l’azione amministrativa.
Modalità di esercizio del diritto di accesso:
La richiesta informale:
Qualora in base alla natura del documento richiesto non risulti la presenza di
controinteressati, diritto di accesso può essere esercitato in via informale
mediante richiesta anche verbale all’amministrazione competente a formare
l’atto conclusivo e a detenerlo stabilmente.
La richiesta formale:
La pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta, qualora individui la
presenza di controinteressati, è tenuta a darne comunicazione agli stessi. Entro
dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i contrinteressati possono
presentare motivata opposizione.
Decorso tale termine, la P.A. provvede in relazione alla richiesta.
L’ACCESSO AI DOCUMENTI AMMINISTRATIVI

I termini e il potere di differimento

Art. 25 comma 4:“Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta.
In caso di diniego dell'accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi
dell'articolo 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo
regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti
delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per
ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione. Qualora
tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente
per l'ambito territoriale immediatamente superiore. Nei confronti degli atti delle
amministrazioni centrali e periferiche dello Stato tale richiesta è inoltrata presso la
Commissione per l'accesso di cui all'articolo 27. Il difensore civico o la Commissione per
l'accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla presentazione dell'istanza. Scaduto
infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto. Se il difensore civico o la
Commissione per l'accesso ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il
richiedente e lo comunicano all'autorità disponente. Se questa non emana il provvedimento
confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore
civico o della Commissione, l'accesso è consentito. Qualora il richiedente l'accesso si sia
rivolto al difensore civico o alla Commissione, il termine di cui al comma 5 decorre dalla data
di ricevimento, da parte del richiedente, dell'esito della sua istanza al difensore civico o alla
Commissione stessa. Se l'accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si
riferiscono a soggetti terzi, la Commissione provvede, sentito il Garante per la protezione dei
dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso
inutilmente il quale il parere si intende reso. Qualora un procedimento di cui alla sezione III
del capo I del titolo I della parte III del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, o di cui agli
articoli 154, 157, 158, 159 e 160 del medesimo decreto legislativo n. 196 del 2003, relativo al
trattamento pubblico di dati personali da parte di una pubblica amministrazione, interessi
l'accesso ai documenti amministrativi, il Garante per la protezione dei dati personali chiede il
parere, obbligatorio e non vincolante, della Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi. La richiesta di parere sospende il termine per la pronuncia del Garante sino
all'acquisizione del parere, e comunque per non oltre quindici giorni. Decorso inutilmente
detto termine, il Garante adotta la propria decisione".
Legge 18 giugno 2009, n. 69
Modifiche alla Legge sul procedimento amministrativo
(come da appunti della Segreteria Generale della Provincia di Torino)
A pochi anni dalla novella sul procedimento amministrativo varata con la L. n. 15 del 2005, il legislatore italiano
torna ad occuparsi della materia, predisponendo – in occasione della recente Legge sulla competitività n. 69
del 18 giugno 2009 (pubblicata in G.U. del 19 giugno 2009), recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile” (Collegato alla manovra economica 2008)
– nuove ed incisive modifiche alla L. n. 241 del 1990, in vigore dal 4 luglio 2009, in gran parte ispirate al
principio della semplificazione dell’azione amministrativa.
In particolare, con l’art. 7 (Certezza dei tempi di conclusione del procedimento), l’art. 8 (Certezza dei tempi di
conclusione del procedimento), l’art. 9 (Conferenza di servizi e silenzio assenso) e l’art. 10 (Tutela degli
interessi nei procedimenti amministrativi di competenza delle regioni e enti locali), la riforma è intervenuta non
solo dando espresso riconoscimento a principi ormai fatti propri da dottrina e giurisprudenza – si pensi in tal
senso all’innesto del principio di imparzialità nel tessuto dell’art. 1 della L. n. 241/1990 –, ma disegnando i nuovi
tratti di alcuni degli istituti chiave dell’attività amministrativa, quale quello relativo ai tempi di conclusione del
procedimento amministrativo disciplinato dall’art. 2 della L. n. 241/1990, oggi riformulato, appunto, dall’art. 7
della L. n. 69/2009. Rilevano, in tale ottica:
il riconoscimento espresso della categoria del danno da mero ritardo in riferimento all’attività della P.A.;
e ad
il potenziamento dell’istituto della conferenza di servizi, perseguito mediante il ricorso alla telematica
un più significativo coinvolgimento dei privati;
DIA;
la predisposizione di norme atte alla semplificazione delle procedure di rilascio dei pareri e della
nonché le modifiche apportate alla delicata disciplina del silenzio-assenso e, soprattutto, a quella
dettata in tema di accesso ai documenti amministrativi
Infine, ma certo non meno importante, appare determinante il nuovo assetto dei rapporti fra
legislazione statale e autonomie regionali e locali.
Articolo 7
(Certezza dei tempi di conclusione del procedimento)
La disposizione in esame modifica l’art. 2 della L. n. 241/1990, ed inserisce nell’articolato della legge l’art. 2-bis,
ai cui testi così come, rispettivamente, riformulato e inserito si rinvia.
A)
Novità rilevante appare, in primo luogo, senz’altro la previsione, all’art. 2, comma 2, di un nuovo
termine di conclusione dei procedimenti amministrativi assai più breve rispetto a quello stabilito
nella precedente formulazione, e specificatamente il termine fissato è di trenta giorni a fronte
dei novanta, previsti dal vecchio art. 2, comma 3. Come già nel precedente testo legislativo, tale
termine può essere modificato dalle Amministrazioni, attraverso l’adozione di specifici atti
ordinamentali interni, ma non può in ogni caso risultare superiore ai novanta giorni; solo
qualora, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione
amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del
procedimento, risulti indispensabile per la conclusione del procedimento, è possibile derogare
all’ulteriore termine dei novanta giorni, e, comunque, non possono essere superati i centottanta
giorni; gli unici procedimenti che non sottostanno a tale ultimo termine sono, ai sensi del nuovo
comma 4 dell’art. 2, quelli di acquisto della cittadinanza e quelli riguardanti l’immigrazione
B)
Viene, altresì, introdotta una riduzione del termine di sospensione dei procedimenti per l’acquisizione di
informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso
dell’Amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre Pubbliche Amministrazioni;
sospensione che non può essere superiore a trenta giorni, a fronte dei novanta giorni previsti dalla
precedente formulazione legislativa (oltre a non poter essere concessa più di una volta, come già era
stabilito).
C) Occorre poi evidenziare come l’art. 7 in esame apporti anche un’importante modifica all’art. 1 della Legge n.
241 del 1990, cioè alla disposizione contenente i principi generali cui deve ispirarsi la P.A. nello svolgimento
dell’attività amministrativa; in particolare, per effetto del recente intervento legislativo in commento, l’articolo
1 della legge n. 241/1990 – come già accaduto con la riforma del 2005 – si arricchisce di un ulteriore richiamo ad
un criterio fondamentale posto a presidio dell’azione amministrativa. Infatti, così come con la legge n. 15 del
2005, nel primo comma del citato articolo, accanto ai riferimenti ai criteri di economicità, efficacia e pubblicità
aggiungeva il richiamo alla trasparenza, oggi il legislatore richiama – ribadendo i primi – la necessità che
l’azione amministrativa sia imparziale.
D) Viene, inoltre, aggiunto un comma (il comma 9) all’art. 2, relativo alla responsabilità dirigenziale in caso di
mancata emanazione del provvedimento finale nei termini previsti dalla legge o dagli atti ordinamentali interni; in
tali ipotesi, la mancata emanazione costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale.
In realtà, sul punto, lo stesso art. 7, comma 2, della L. n. 69/2009, in commento, prevede che il rispetto dei
termini per la conclusione dei procedimenti rappresenti un elemento di valutazione dei dirigenti, nel senso che
di esso si tiene conto al fine della corresponsione della retribuzione di risultato. Il Ministro per la Pubblica
Amministrazione e l’Innovazione, di concerto con il Ministro per la Semplificazione normativa, adotta le linee di
indirizzo per l’attuazione della disposizione in parola e per i casi di grave e ripetuta inosservanza dell’obbligo di
provvedere entro i termini fissati per ciascun procedimento.
E) Ma v’è molto di più. Sempre in argomento, come già ricordato, l’art. 7 in commento introduce un nuovo
articolo alla Legge n. 241/1990, l’art. 2-bis – Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del
procedimento, che prevede un’ipotesi di responsabilità – civile - dell’Amministrazione, “tipicizzandola”, in caso di
inosservanza del termine di conclusione del procedimento, di cui conosce il giudice amministrativo in sede di
giurisdizione esclusiva; ipotesi, peraltro, già oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza prima
dell’odierna codificazione.
La nuova disposizione ha la ratio di salvaguardare il cittadino in caso di inerzia patologica della P.A.
Evidentemente la “modernizzazione” dell’apparato amministrativo si attua anche attraverso la previsione di
nuovi meccanismi repressivi, quali la tutela risarcitoria del danno da ritardo, che, se da un lato favorisce
l’ampliamento delle garanzie del privato nei confronti della P.A., dall’altro costituisce anche uno stimolo per la
stessa a superare le proprie carenze e i malfunzionamenti interni.
In particolare, la nuova norma stabilisce, al comma 1, che le Pubbliche Amministrazioni e i soggetti privati
preposti all’esercizio di attività amministrative sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto causato
dall’inosservanza dolosa o colposa dei termini procedimentali. Il comma 2, poi, demanda alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a questa nuova fattispecie di danno, specificando che
il diritto al risarcimento si prescrive in cinque anni
Risulta di immediata evidenza la portata innovativa di tale disposizione, che intende garantire il privato in
presenza di un’inerzia ingiustificata dell’Amministrazione, approntando dei rimedi espressi e prevedendo una
tutela risarcitoria in ambito giurisdizionale; si tratta, in effetti, di una vera e propria (nuova) ipotesi di
responsabilità per danno da ritardo in capo alla P.A.
F) Con riferimento alla prima questione, e rinviando sul punto al più organico commento dell’art. 10 della L. n.
69, si deve subito evidenziare come l’art. 29, comma 1, della L. n. 241/1990, riformulato, stabilisca espressamente
che, fra le altre, la disposizione di cui all’art. 2-bis si applica a tutte le Amministrazioni pubbliche, mentre al
comma 2-bis dello stesso articolo si prevede che, fra le altre, le disposizioni della nuova L. n. 241 concernenti gli
obblighi della P.A. di concludere il procedimento entro il termine prefissato, nonché quelle relative alla durata
massima dei procedimenti attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, comma 2, lett. m),
Cost.
Articolo 8
(Certezza dei tempi in caso di attività consultiva e valutazioni tecniche)
L’art. 8 in commento novella l’art. 16 della Legge n. 241 del 1990, concernente l’acquisizione di pareri nell’ambito
dell’istruttoria del procedimento amministrativo.
In particolare, l’art. 16, come rinnovellato, prevede tutta una serie di novità “atte” a rendere più veloce la fase
consultiva nei procedimenti.
A) Gli organi consultivi delle Pubbliche Amministrazioni sono, infatti, tenuti a rendere i pareri ad essi
obbligatoriamente richiesti entro venti giorni dal ricevimento della richiesta; in caso di decorrenza del termine senza
che sia stato comunicato il parere obbligatorio o senza che l’organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, è in
facoltà dell’Amministrazione richiedente di procedere indipendentemente dall’espressione del medesimo. In caso,
invece, di parere facoltativo, una volta decorso il termine senza che lo stesso sia stato comunicato (termine che, anche
in questo caso, non può superare i venti giorni dal ricevimento della richiesta) o senza che l’organo adito abbia
rappresentato esigenze istruttorie, l’Amministrazione richiedente dovrà procedere tout court indipendentemente
dall’espressione del medesimo.
B) La disposizione, poi, stabilisce che, salvo il caso di omessa richiesta del parere, il responsabile del procedimento non
può essere chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata espressione dei pareri in parola;
inoltre, questi ultimi, sempre per un’esigenza di semplificazione e celerità, e nella prospettiva dell’informatizzazione
della P.A., sono trasmessi con mezzi telematici.
Viene, comunque, fatto salvo dall’applicazione di tali nuove regole il caso di pareri che debbano essere rilasciati da
Amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini; tutti interessi,
cioè, con riferimento ai quali – per la loro delicatezza e importanza – non pare possibile prescindere dai diversi pareri
previsti dalle normative di settore.
Articolo 9 (Conferenza di servizi e silenzio assenso)
L’art. 9 in commento modifica gli artt. 14-ter e 19 della L. n. 241 del 1990, rispettivamente in materia di conferenza
di servizi, di dichiarazione di inizio attività e di silenzio assenso.
A) In particolare, in materia di conferenza di servizi, l’art. 14-ter citato, così come riformulato, prevede che la
conferenza di servizi possa svolgersi anche per via telematica; poi, in tema di partecipazione al procedimento, si
prevede che alla conferenza di servizi siano convocati i soggetti proponenti il progetto dedotto in conferenza, alla quale
gli stessi partecipano senza diritto di voto; alla conferenza possono partecipare, senza diritto di voto, altresì i
concessionari e i gestori di pubblici servizi, nel caso in cui il procedimento amministrativo o il progetto dedotto in
conferenza implichi loro adempimenti ovvero abbia effetto diretto o indiretto sulla loro attività. Agli stessi è inviata,
anche per via telematica e con congruo anticipo, comunicazione della convocazione della conferenza di servizi.
Rispetto alle modifiche apportate alla disciplina in parola, può evidenziarsi come queste, oltre a delineare una P.A.
sempre più attenta alle opportunità concesse dal progresso tecnologico ammettendo lo svolgimento per via telematica
della conferenza, equiparano concessionari, incaricati e gestori di pubblici servizi alla P.A., in quanto a essa si
sostituiscono nella materiale gestione dei servizi pubblici; in effetti, la sfera di interessi coperta dall’attività di tali
gestori è di tale rilevanza ed ampiezza da non giustificare rapporti con l’utenza fondati su garanzie meno intense di
quelle assicurate nell’ambito del procedimento amministrativo.
B) In materia, invece, di dichiarazione di inizio attività (DIA), l’art. 19 della L. n. 241/1990, nel testo modificato,
dispone che nei casi in cui la legge prevede la dichiarazione di inizio attività per l’esercizio di attività di impianti
produttivi di beni e di servizi e di prestazione di servizi), compresi gli atti che dispongono l’iscrizione in albi o ruoli o
registri ad efficacia abilitante o comunque a tale fine eventualmente richiesta, l’attività può essere iniziata dalla data
della presentazione della dichiarazione all’Amministrazione competente.Quanto a tale materia, il legislatore, nei casi
specificati, ha dunque introdotto un ulteriore strumento di semplificazione, consentendo l’inizio immediato
dell’attività, e precisamente dalla data di presentazione della dichiarazione all’Amministrazione competente e senza,
quindi, attendere i trenta giorni attualmente previsti per tutti gli altri casi. Naturalmente, la P.A. conserva il potere di
adottare, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di inizio di attività, motivati provvedimenti
di divieto di prosecuzione della stessa e di rimozione dei suoi effetti, in caso di accertata carenza delle condizioni,
modalità e fatti legittimanti, e salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a sanare la situazione entro un
termine fissato dall’Amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni.
C) L’articolo in commento, poi, ritocca il comma 5 dell’art. 19 stabilendo che sono ricorribili innanzi al giudice
amministrativo, avente competenza esclusiva in materia di dichiarazione di inizio attività, gli atti di assenso
formati in virtù delle norme sul silenzio assenso previste dall’art. 20 della Legge n. 241/1990, ossia gli atti di assenso
tacito, operando – sembrerebbe (ma sul punto occorre aspettare l’interpretazione giurisprudenziale) – una scelta
di campo circa la qualificazione giuridica della DIA come sorta di provvedimento tacito assimilabile appunto al
silenzio assenso piuttosto che come forma di “liberalizzazione” delle attività (secondo quanto, pure, la più recente
giurisprudenza del Consiglio di Stato aveva affermato: v. Cons. Stato, n. 717 del 2009).
D) Rispetto, ancora, alla materia del silenzio assenso, il quale, come è noto, consiste appunto in una qualificazione
formale dell’inerzia della P.A. intesa quale accoglimento dell’istanza del privato in seguito al decorso del termine
prescritto senza che l’autorità amministrativa si sia pronunciata, e ferme le deroghe enunciate dal comma 4
dell’art. 20, può dirsi, ora, “completata” a tutti gli effetti quella equiparazione del silenzio all’azione della P.A.,
così come sancita dal citato art. 20, essendo stata espressamente prevista, secondo quanto sopra già ricordato, la
ricorribilità innanzi al G.A. anche degli atti di assenso formati in virtù delle norme sul silenzio assenso.
E) Le modifiche apportate dall’art. 9 in commento, poi, escludono l’applicabilità della dichiarazione di inizio
attività e del silenzio assenso ai procedimenti amministrativi riguardanti la cittadinanza, introducendo così
un’ulteriore fattispecie alle ipotesi derogatorie già previste dalla disciplina previgente.
La giustizia amministrativa
Col termine giustizia amministrativa si fa riferimento all’insieme di mezzi che l'ordinamento giuridico
predispone a tutela delle situazioni giuridiche dei soggetti nei confronti della pubblica amministrazione.
I mezzi così predisposti sono detti garanzie giustiziali in quanto sono posti a tutela dei singoli ed operano
per iniziativa dei medesimi. Questo li distingue dalle garanzie politiche, che comprendono i controlli
esercitati dal parlamento sul potere esecutivo, e dalle garanzie amministrative, che comprendono i
controlli esercitati d'ufficio sull'operato degli organi amministrativi da parte di altri organi amministrativi.
L'esistenza di un sistema di giustizia amministrativa è una delle caratteristiche essenziali dello stato di
diritto poiché, in questo modo, si rende effettiva la sottoposizione della pubblica amministrazione alla
legge, secondo il principio di legalità.
I mezzi di tutela
La tutela delle situazioni giuridiche nei confronti della pubblica amministrazione può essere demandata ad
un organo della stessa pubblica amministrazione, adito dal soggetto leso mediante un ricorso
amministrativo, oppure ad un giudice investito della controversia a seguito dell'esercizio di un'azione da
parte del soggetto leso.
Ricorsi amministrativi
I ricorsi amministrativi possono essere rivolti allo stesso organo che ha emanato l'atto con il quale è stata
lesa la situazione giuridica (opposizione), al suo superiore gerarchico (ricorso gerarchico) o ad altro
organo. In particolare, rientrano in quest'ultima categoria i ricorsi agli organi del contenzioso
amministrativo, presenti in alcuni ordinamenti: si tratta di organi amministrativi collegiali che, peraltro,
possono unire alle competenze in materia di ricorsi anche altre competenza amministrative.
Tutela giurisdizionale
L'ordinamento italiano ha adottato un peculiare criterio di ripartizione delle giurisdizione,
imperniato sulla natura della situazione giuridica soggettiva lesa: se è un diritto soggettivo
sussiste la giurisdizione ordinaria, se invece è un interesse legittimo sussiste la giurisdizione
amministrativa (questo criterio generale è peraltro integrato da quello basato sulla materia,
nei casi eccezionali di giurisdizione esclusiva).
L'elenco delle materie attibuite in via esclusiva alla competenza del giudice amministrativo è
fornito in primo luogo dall'art. 7 della "legge T.A.R". Le materie più importanti sono quelle
costituite dalle procedure di evidenza pubblica e dalle concessioni di beni e servizi pubblici; la
competenza su rapporti di lavoro di natura pubblica gli è stata tolta a vantaggio del giudice
del lavoro (ordinario). Altri casi di giurisdizione esclusiva sono stati inseriti nell'ordinamento
successivamente alla legge T.A.R..
Per interesse legittimo si intende quella situazione soggettiva di
vantaggio riconosciuta dal legislatore come intimamente connessa ad una
norma che garantisce in via primaria l'interesse generale, di modo che
quest'ultimo prevale ove l'amministrazione utilizzi correttamente il suo
potere.
Il diritto soggettivo invece è una situazione soggettiva di vantaggio
riconosciuta automaticamente come degna di tutela nei riguardi sia dei
privati sia della pubblica amministrazione.
Il ricorso gerarchico proprio
Il ricorso gerarchico proprio è un ricorso amministrativo prodotto da chi vuole tutelare un proprio diritto o
interesse legittimo, contro atti della pubblica amministrazione che è presentato all'organo gerarchicamente
superiore di quello che ha prodotto l'atto verso il quale si vuole ricorrere.
Il ricorso gerarchico proprio può essere proposto in un unico grado all'organismo gerarchicamente superiore;
se ad esempio esiste una gerarchica di organi della pubblica amministrazione, per la quale A è
gerachicamente sovraordinato a B che a sua volta è gerarchicamente sovraordinato a C, per un atto prodotto
da C, si può proporre un ricorso amministrativo gerarchico a B, ma poi, contro la decisione di B (decisione
che è anch'essa un atto amministrativo), non si può poi ricorrere ad A.
Si può ricorrere contro un atto amministrativo se questo è viziato per motivi di legittimità o di merito. il
rapporto con il ricorso giurisdizionale: se nei confronti dello stesso atto viene proposto ricorso gerarchico e
ricorso giurisdizionale, secondo la giurisprudenza prevarrebbe sempre quest'ultimo,con la conseguenza che il
ricorso gerarchico, sarebbe inammissibile. Incompatibilità che emerge dall'art. 20 II comma legge tar.
Notifica: Il ricorso può essere presentato all'organo che ha emesso l'atto per il quale si ricorre, che poi lo
deve comunicare all'organo gerarchicamente superiore, o direttamente a questo.
Il ricorso deve essere presentato entro 30 giorni da quando l'atto è stato notificato al ricorrente, o nel caso in
cui non vi si stata notifica, il termine decorre da quando il ricorrente ne ha avuto notizia.
Esito: L'esito del ricorso deve essere comunicato al ricorrente entro 90 giorni dal suo ricevimento; in caso di
assenza di risposta da parte della pubblica amministrazione il ricorso si intende respinto.
Nel caso in cui il ricorso sia stato respinto, il ricorrente può ricorrere al giudice amministrativo, ma può anche
esperire il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica; queste due ultime opzioni sono però
alternative, per cui se si ricorre al giudice non si può più effettuare il ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica, e viceversa.
ricorso gerarchico improprio
Il ricorso gerarchico improprio è un ricorso amministrativo prodotto da
chi vuole tutelare un proprio diritto o interesse legittimo, contro atti della
pubblica amministrazione, presentato ad un organo della pubblica
amministrazione che non ha alcun rapporto di tipo gerarchico con l'organo
che ha prodotto l'atto verso il quale si vuole ricorrere.
Caratteri
Questo tipo di ricorso è previsto nel caso in cui non esista alcun organo gerarchicamente sovraordinato a
quello che ha emanato l'atto che si intende impugnare, e ciò può verificarsi:
•quando l'atto è stato deliberato da un organo amministrativo collegiale, (per definizione gli organi collegiali
non sono sottoposti a rapporti gerarchici);
•quando l'atto è stato deliberato da un organo di vertice della pubblica amministrazione, dato che a seguito
della riforma della pubblica amministrazione tra i ministri e gli alti dirigenti dei ministeri esiste un rapporto di
direzione e non di gerarchia.
Sembrerebbe logico ritenere che questo tipo di ricorso debba essere ammesso soltanto all'interno di una
medesima Amministrazione, o per lo meno tra Amministrazioni legate da un qualche vincolo funzionale.
Tuttavia, il CdS non ha recepito quest'opinione, ritenendo invece legittima la possibilità di ricorsi che
investano Amministrazioni totalmente diverse, prive di ogni collegamento funzionale; giustificando questa
scelta con un obiettivo di "garanzia" del cittadino, da riconoscersi nella neutralità dell'Amministrazione adita.
Nei diversi casi l'organo a cui ricorrere è determinato per legge.
Si può ricorrere contro un atto amministrativo se si ritiene che questo sia viziato, per motivi di legittimità o di
merito.
Il ricorso in opposizione
Il ricorso in opposizione è un ricorso amministrativo prodotto da chi
vuole tutelare un proprio diritto o interesse legittimo, contro atti della
pubblica amministrazione che è presentato allo stesso organo
amministrativo che ha prodotto l'atto verso il quale si vuole ricorrere. È un
rimedio eccezionale che può essere utilizzato solo nei casi previsti dalla
legge. Ciò è dovuto dal fatto che l'autorità che ha emanato l'atto non è in
grado di giudicare da sè il proprio operato. Esso può essere proposto sia
per motivi di legittimità che sia di merito, a tutela sia di diritti soggettivi sia
di interesse legittimi.
Caratteri
Si può ricorrere contro un atto amministrativo se questo è viziato per motivi
di legittimità o di merito, unicamente nei casi previsti dalla legge; per
esempio, nel settore del pubblico impiego, è possibile esperire questo tipo
di ricorso nel caso della compilazione di graduatorie di merito o per l'
attribuzione di incarichi.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è un ricorso amministrativo prodotto da chi
vuole tutelare un proprio diritto o interesse legittimo, contro atti della pubblica amministrazione che è
presentato al Presidente della Repubblica Italiana. Benché formalmente riferito al Presidente il ricorso è in
verità deciso dal Consiglio di Stato.
Caratteri
Le caratteristiche che rendono ancora attuale questa tipologia di ricorso sono essenzialmente il fatto che il
termine per ricorrere è più ampio di quello previsto per il ricorso giudiziale e che non è necessario il
patrocinio legale. Si può ricorrere contro un atto amministrativo se questo è viziato per soli motivi di
legittimità (art. 8 d.p.r 1199 1971), se si tratta di un atto definitivo o se non è possibile ricorrere contro
l'atto per via gerarchica.
Il ricorso straordinario al capo dello stato è alternativo alla via giudiziaria, per cui se si utilizza questo
strumento, poi non si può più ricorrere ai T.A.R. o al Consiglio di Stato, come se si ricorre a questi, poi non
è più esperibile il ricorso amministrativo straordinario al capo dello stato.
Procedura
Il ricorso va proposto entro 120 giorni dalla notificazione o piena conoscenza del provvedimento. Va
notificato entro il termine predetto ad almeno uno dei controinteressati (coloro che hanno un interesse
contrario a quello del ricorrente, il quale impugna l’atto e ne chiede l’annullamento mentre il
controinteressato che ha un vantaggio da quell’atto ha una posizione che collima con quella dell’amm.ne,
cioè difende l’atto perché gli dà un vantaggio) e presentato con la prova della notifica all'organo che ha
emanato l'atto o al ministero competente. Se presentato all'organo questo lo trasmette immediatamente
al Ministero competente.
I controinteressati possono entro 60 g.g. presentare deduzioni e documenti. I
controinteressati possono accettare la sede giudiziaria scelta dal ricorrente o proporre
opposizione per chiedere la trasposizione del giudizio in sede giurisdizionale davanti al
Tribunale Amministrativo Regionale. Nel caso quest'ultimo non abbia giurisdizione poiché
l'oggetto della domanda riguardi diritti soggettivi il giudizio continua presso la sede
originaria allo scopo di non far perdere la tutela al ricorrente.
Terminata l'istruttoria del Ministero entro 120 g.g. dal termine per presentare le deduzioni
da parte dei controinteressati, il gravame viene trasmesso al Consiglio di Stato per il
parere.
La decisione viene emanata sotto forma di dpr del Presidente della Repubblica su
proposta del Ministero e sentito il parere del Consiglio di Stato.
Effetti
La decisione può essere di vario contenuto: il ricorso può essere accolto, vi può essere la
dichiarazione di inammissibilità se si riconosce che il ricorso non poteva essere proposto,
ad esempio l’atto non era definitivo, salva la facoltà della assegnazione di un breve
termine per presentare all’organo competente il ricorso proposto, per errore ritenuto
scusabile, contro atti non definitivi. Se si presenta contro atti non definitivi un ricorso
straordinario, il ricorso è inammissibile.
Possono essere dedotti i seguenti vizi dell'atto amministrativo : incompetenza relativa,
eccesso di potere e violazione di legge, se sono infondati, il ricorso viene rigettato mentre
in caso contrario si ha l’accoglimento. Nel caso in cui viene riconosciuto fondato un
motivo di competenza l’affare viene rimesso all’organo competente.