I macchiaioli - Atuttascuola

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I Macchiaioli
Come in Francia, anche in Italia lo
sviluppo di un movimento realista è
stato anticipato da esperienze legate a
una pittura di paesaggio caratterizzata
dallo studio e dalla riproduzione del
“vero”, ossia dalla ricerca di una
restituzione otticamente corretta della
natura.
Fino ai moti del 1848 era a Napoli il
foggiano Saverio Altamura (1826-1897)
il quale, secondo quanto scrive Diego
Martelli, scrittore e critico sostenitore
dei macchiaioli, introdusse a Firenze
quella nuova maniera pittorica avendo
anche conosciuto direttamente le
ultime esperienze francesi. Nel 1855,
infatti, l’anno del padiglione realista di
Courbet, era stato a Parigi con
Domenico Morelli e Serafino De Tivoli
(1826-1892) per vedere l’Esposizione
universale. Così, proprio a partire dal
1855, Firenze divenne il centro in cui
andò maturando il nuovo stile, con il
concorso di artisti toscani (Cristiano
Banti, Telemaco Signorini, Odoardo
Borrani, Giovanni Fattori, Raffaello
Sernesi) e no (Vincenzo Cabianca, Vito
D’Ancona, Giuseppe Abbati, Silvestro
Lega).
•Timidi anticipi di pittura “a macchia” in Toscana si avvertono sia in opere
di tradizione romantica, sia in opere di intonazione verista e naturalista
(paesaggi, bozzetti di genere).
•
La prima significativa occasione di confronto tra queste diverse componenti del realismo
italiano era stata l’Esposizione nazionale di Firenze del 1861, dove si potevano vedere qualche
quadro storico verista - sarebbe stato Domenico Morelli a teorizzare la pittura come
rappresentazione di “figure e cose, non viste, ma immaginate e vere a un tempo” - ma anche
opere effettivamente dipinte “dal vero”, come paesaggi e scene di vita quotidiana.
Quest’ultima tendenza può essere esemplificata da piccoli dipinti come Chiostro del
napoletano Giuseppe Abbati (1836-1868) e Tetti al sole del fiorentino Raffaello Sernesi
(1838-1866): in essi emerge l’interesse essenzialmente ottico degli artisti, che si concentrano
sulla resa dei rapporti cromatici e tonali di due frammenti di realtà, rappresentati secondo
una radicale semplificazione delle strutture essenziali, prescindendo dal disegno e dal
chiaroscuro anche in forza dell’osservazione che in natura i contorni non esistono.
•
Al problema dei valori era estremamente sensibile anche Silvestro Lega (1826-1895), nato
nel forlivese, il cui realismo di visione si svolse in una serie di opere, eseguite tra la metà
degli anni sessanta e i primi settanta, caratterizzate da un prevalente interesse per il
racconto con un’intonazione fortemente intimista (come Il pergolato).
•
Anche il livornese Giovanni Fattori (1825-1908) aveva aderito alla pittura “a macchia”, pur
senza rinunciare radicalmente, come in tutto il suo lavoro successivo, al chiaroscuro e ai
“contorni”: troviamo la nuova tecnica già in parte applicata nel grande dipinto Il campo
italiano dopo la battaglia di Magenta (1862), indicato da Maltese come “il primo quadro
storico moderno italiano”. Un’opera di tali dimensioni - eseguita in studio sulla base di una
scrupolosa documentazione - mette d’altra parte in luce la difficoltà di costruire l’immagine
esclusivamente con il colore nel momento in cui non si risolva il lavoro direttamente sul
motivo, dove soltanto è possibile un continuo controllo, “dal vero”, di toni e valori.
Domenico Morelli: I contemporanei lo ritennero uno dei maggiori pittori italiani
dell’Ottocento, soprattutto per le opere di tema storico. La scelta di soggetti di
questo genere, più vicina al romanticismo che al realismo, finirà per allontanarlo
dall’ambiente napoletano. Morelli sarà attivo a Firenze, a Milano, in Francia, diventando
così “internazionale”. La maggior parte della sua produzione, però, è forse costituita
dai ritratti. Al di là dell’atteggiamento teatrale dei personaggi da lui dipinti, bisogna
riconoscere a Morelli il merito di aver dato vita ad un luminismo sfaccettato, a
macchie, in qualche modo di origine tiepolesca, che avrà peso non indifferente sulla
formazione dei pittori macchiaioli a Firenze.
Giovanni Fattori, il maggior
pittore della “macchia” e
forse di tutto l’ottocento
italiano, è anche colui che,
meno di altri, segue teorie e
programmi rigidi, guardando
liberamente la natura e
rappresentandola come la
sente. Nato a Livorno, poco
più che ventenne, si reca si
reca a Firenze entrando
nella scuola di un maestro
celebre, il Bezzuoli, dal quale
certame te impara una
tecnica raffinata. Il 1848 lo
vede coinvolto nei moti
risorgimentali. Da questi
eventi riceve un impressione
indelebile. Le battaglie
risorgimentali saranno per
lui, non soltanto la strada
per raggiungere l’unità
dìItalia, ma soprattutto per
creare una società nuova.
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