Kant, La critica della ragion pura (seconda parte)

Kant
(1724-1804)
Critica
della
ragion pura
seconda parte
Storia della filosofia II
Deduzione trascendentale
Perché le categorie, pur essendo forme soggettive della nostra
mente, pretendono di valere anche per gli oggetti, ossia per
una natura che, materialmente, non è l'intelletto a creare?
Detto altrimenti, che cosa ci garantisce, di diritto, che la natura
obbedirà alle categorie, manifestandosi, nell'esperienza,
secondo le nostre maniere di pensarla?
La risposta a questa domanda richiede una deduzione
trascendentale dei concetti puri dell'intelletto. Il termine
deduzione è impiegato qui da Kant nell'accezione che esso ha
nel linguaggio giuridico: significa "dimostrazione di un diritto",
della legittimità di una pretesa.
Nei confronti delle forme della sensibilità, cioè dello spazio e del
tempo, tale problema non si affaccia. Infatti, un oggetto non
può apparire all'uomo, cioè essere percepito da lui, se non
attraverso queste forme.
Un oggetto che non è dato nello spazio e nel tempo non è un
oggetto per noi, perché non è intuito.
Invece, per quanto concerne le categorie, non è per nulla
evidente che gli oggetti debbano sottostare a esse.
L’Io penso
- l'unificazione del molteplice non deriva dalla molteplicità stessa, che è
sempre qualcosa di passivo, ma da un'attività sintetica che ha la sua sede
nell'intelletto;
- distinguendo tra il processo tramite il quale si attua la sintesi del
molteplice e il principio in base a cui si realizza l'unificazione, Kant
identifica la suprema unità fondatrice della conoscenza con quel centro
mentale unificatore che egli, per meglio sottolineare come esso non si
identifichi con la psiche di questa o di quella persona, ma con l'identica
struttura mentale che accomuna gli uomini, denomina con l'espressione
«io penso».
- senza tale autocoscienza le varie rappresentazioni non si configurerebbero
come "mie" e quindi risulterebbero impossibili: «l’io penso deve poter
accompagnare tutte le mie rappresentazioni; in caso contrario si darebbe
in me la rappresentazione di qualcosa che non potrebbe esser pensata; il
che equivale a dire che la rappresentazione o sarebbe impossibile o, per
me almeno, sarebbe nulla»;
- l'attività dell'io penso si attua tramite i giudizi, i quali, come
sappiamo, sono i modi concreti con cui il molteplice
dell'intuizione viene pensato;
- ma i giudizi si basano sulle categorie, che sono le diverse
maniere di agire dell'io penso, ovvero le dodici funzioni
unificatrici in cui si concretizza la sua attività sintetica;
- di conseguenza, gli oggetti non possono assolutamente venir
pensati senza per ciò stesso venire categorizzati.
Il ragionamento kantiano consiste quindi nel mostrare che:
• poiché tutti i pensieri presuppongono l'io penso
• e poiché l'io penso pensa tramite le categorie
• ne segue che tutti gli oggetti pensati presuppongono le
categorie.
Il che equivale a dire che la natura (fenomenica) obbedisce
necessariamente alle forme (a priori) del nostro intelletto.
Il mondo dei fenomeni è conoscibile grazie all'originaria funzione
unificatrice dell'intelletto, cioè grazie all'attività del soggetto.
Non si tratta, però, di questo o quel soggetto, del soggetto
individuale empirico, né del soggetto-sostanza della
metafisica: quando Kant parla di Io penso intende il principio
formale di unificazione del pensiero, che è condizione di
possibilità della conoscenza del mondo, sia della conoscenza
ordinaria, sia di quella scientifica.
Lo schematismo trascendentale
Si pone tuttavia un altro problema.
Kant afferma l'eterogeneità fra sensibilità e intelletto; sappiamo
anche che la conoscenza non può che essere sintesi fra
intuizione e concetto.
Come è possibile questa relazione fra rappresentazioni
eterogenee?
Come è possibile, per esempio, l'applicazione della categoria di
causalità ai fenomeni, dal momento che questa è un concetto
puro dell'intelletto, che non può trovarsi nei fenomeni stessi?
Per risolvere questa difficoltà, Kant sviluppa la dottrina dello
schematismo trascendentale.
L'intelletto, nella sua funzione di unificazione del molteplice
sensibile, opera attraverso schemi, «rappresentazioni
intermediarie» fra intuizione e concetto.
Lo schema è un prodotto dell'immaginazione, definita da
Kant come «la facoltà di rappresentare un oggetto
nell'intuizione, anche senza la sua presenza».
Kant intende per schema la rappresentazione intuitiva di
un concetto.
«Lo schema non è il fantasma sbiadito di un oggetto
empirico e concreto, ma il modello per gli oggetti
possibili dell'esperienza».
Lo schema di cane non coincide con l'immagine sensibile
e particolare di questo o quel cane, ma si identifica con
«una regola in base alla quale la mia immaginazione è
posta in grado di delineare in generale la figura di un
quadrupede, senza tuttavia chiudersi entro una
particolare raffigurazione offertami dall'esperienza o in
una qualsiasi immagine che io possa rappresentarmi in
concreto» (Critica della ragion pura).
La stessa cosa vale per gli schemi di triangolo, numero
ecc., e per quella specifica classe di schemi che
corrispondono alle categorie e che Kant chiama schemi
«trascendentali».
Gli schemi trascendentali sono la prefigurazione intuitiva
(temporale) delle categorie, ovvero le regole attraverso cui
l'intelletto condiziona il tempo in conformità ai propri
concetti a priori. In altri termini, potremmo dire che gli
schemi trascendentali sono le categorie "calate" nel tempo,
ovvero le categorie "tradotte" in linguaggio temporale.
- lo schema della categoria di sostanza è la permanenza nel
tempo (infatti, noi possiamo pensare qualcosa come sostanza
solo a patto di rappresentarla come un quid che "permane"
sotto il variare degli accidenti);
- lo schema della categoria di causa-effetto è la successione
(irreversibile) nel tempo;
- lo schema dell'azione reciproca è la simultaneità nel tempo.
- lo schema della categoria di possibilità è l'esistenza in un
tempo qualsiasi;
- lo schema della categoria di realtà è l'esistenza in un
determinato tempo;
- lo schema della categoria di necessità è l'esistenza in
ogni tempo.
- le categorie di quantità, il loro schema complessivo è il
numero, ovvero la successiva addizione degli omogenei
nel tempo.
- le categorie di qualità, il loro schema complessivo è la
cosalità, ossia la presenza, l'assenza e l'intensità dei
fenomeni nei tempo.
I principi dell'intelletto puro
Il noumeno come concetto-limite
Kant, anziché cercare negli oggetti o in Dio la garanzia
ultima della conoscenza, la scopre nella mente stessa
dell'uomo, fondando le istanze dell'oggettività nel
cuore stesso della soggettività.
Con questo non si intende dire che la rivoluzione
copernicana del criticismo sia consistita
semplicemente nel fondare sul soggetto, anziché
sull'oggetto, la validità del sapere.
L'originalità della soluzione kantiana è consistita anche
nell'intendere il fondamento del sapere in termini di
possibilità e di limiti.
Le categorie, costituendo la facoltà logica di unificare il molteplice
della sensibilità, funzionano solo in connessione con le intuizioni
spazio-temporali cui si applicano.
Considerate di per sé, cioè senza essere riempite di dati provenienti
dal senso esterno o interno, sono "vuote".
Questo fa sì che esse risultino operanti solo in relazione al fenomeno,
intendendo per quest'ultimo l'oggetto proprio della conoscenza
umana, che è sempre sintesi di un elemento materiale e di uno
formale.
Di conseguenza, il conoscere, per Kant, non può estendersi al di là
dell'esperienza, in quanto una conoscenza che non si riferisca a
un'esperienza possibile non è conoscenza, ma un vuoto pensiero
che non conosce nulla, un semplice gioco di rappresentazioni.
Questo principio postula una distinzione tra "pensare" e "conoscere“.
La denominazione stessa di fenomeno, tuttavia,
riferendosi alle cose come appaiono a noi, rinvia alle
cose «come sono in se stesse», dunque concepite
indipendentemente dall'esperienza che noi ne
abbiamo. In quanto tali cose possono essere pensate
dall'intelletto, ma mai conosciute attraverso
l'intuizione sensibile, Kant dà loro il nome di noumeni.
Il noumeno è il concetto di una cosa in sé come di una x
che non può mai entrare in rapporto conoscitivo con
noi ed essere quindi «oggetto della nostra intuizione
sensibile».
La cosa in sé, più che essere una realtà, è per noi un
concetto, e precisamente un concetto-limite, che serve
ad arginare le nostre pretese conoscitive.
L'idea di cosa in sé, o noumeno, da un lato circoscrive le
pretese della sensibilità, rammentandoci che ciò che ci
viene dato nell'intuizione spazio-temporale non è la
realtà in assoluto, e dall'altro circoscrive le arroganze
dell'intelletto, ricordandoci che esso non può
conoscere le cose in sé, ma soltanto pensarle nella loro
possibilità, sotto forma di x ignote.
Il mondo delle cose in sé è dunque del tutto sottratto,
in quanto privo di contenuto oggettivo, alla
conoscenza.
Resta ora da considerare perché si dia nei fatti il
tentativo di produrre conoscenza anche di questo
mondo, e che cosa accada quando ciò avviene: è
questo il compito della Dialettica trascendentale.
Successivamente, Kant continuerà la sua riflessione sul
mondo noumenico, considerando in che modo esso
sia esplorabile attraverso le categorie della ragione
pratica, nell'orizzonte della morale.
Dialettica trascendentale
Nella Dialettica trascendentale Kant conduce l'esame dei
fondamenti della metafisica e del suo diritto a proporsi come
sapere scientifico.
Per "dialettica trascendentale" Kant intende l'analisi e lo
smascheramento dei ragionamenti fallaci della metafisica.
Nonostante la sua infondatezza, la metafisica rappresenta
tuttavia «un'esigenza naturale e inevitabile della mente
umana», di cui la filosofia critica intende chiarire la genesi
profonda.
La metafisica è un parto della ragione; questa, a sua volta, in
partenza, non è altro che l'intelletto stesso, il quale, essendo
la facoltà logica di unificare i dati sensibili tramite le categorie,
è inevitabilmente portato a voler pensare, anche senza dati.
Simile alla colomba, che, presa dall'ebbrezza del volo e
avvertendo l'impedimento dell'aria, immaginasse di poter
volare anche senza l'aria, non rendendosi conto che
quest'ultima, come osserva Kant, pur essendo un limite al suo
volo, ne è anche la condizione immanente, senza di cui essa
precipiterebbe a terra.
Ricerca della totalità e illusioni della ragione
Il problema che la ragione mira a risolvere è quello della
totalità: «Ogni singola esperienza è solo una parte di tutta la
sfera dell‘esperienza: la totalità assoluta di ogni esperienza
possibile non è in se stessa un'esperienza e tuttavia è un
problema necessario per la ragione».
L'intelletto umano è finito, limitato; l'esperienza che è nelle sue
possibilità è necessariamente circoscritta. Tuttavia, è una
caratteristica costitutiva del pensiero quella di voler afferrare
la totalità.
Per esempio, posta una connessione causale tra un certo
numero di fenomeni, la ragione tenta di risalire a una causa
ultima, a ciò che sia condizione senza essere a sua volta
condizionato: perciò Kant chiama la ragione facoltà
dell'incondizionato.
Kant ritiene che questo voler procedere oltre i dati
esperienziali derivi dalla nostra innata tendenza
all'incondizionato e alla totalità. In altre parole, la nostra
ragione, mai paga del mondo fenomenico, che è il
campo del condizionato e del relativo, è irresistibilmente
attratta verso il regno dell'assoluto e quindi verso una
spiegazione globale e onnicomprensiva di ciò che esiste.
Se l'intelletto operava mediante le categorie l'unificazione del
molteplice intuito, la ragione opera invece con idee; l'idea —
termine che Kant assume esplicitamente da Platone — è
definita come «un concetto necessario della ragione, al quale
non può essere dato un oggetto congruente nei sensi».
Tre sono le idee alle quali il tentativo di raggiungere la totalità
incondizionata mette capo:
l'idea di anima (il soggetto assoluto, incondizionato),
l'idea di mondo (la totalità dei fenomeni esterni),
l'idea di Dio (la condizione assoluta di ogni realtà).
Anima, mondo e Dio sono i grandi campi di indagine della
metafisica dogmatica.
L'idea di anima
La metafisica afferma che l’anima è una sostanza che permane
identica a se stessa nel tempo, che è distinta da ogni altro oggetto.
Questa dottrina — secondo Kant — è fallace, perché si fonda su
paralogismi, ossia su ragionamenti errati.
La radice di tali errori consiste nel fatto che il soggetto, l'Io penso,
come momento di unificazione delle rappresentazioni, viene
trasformato arbitrariamente in una sostanza sussistente di per sé,
in un'anima.
Questa trasformazione avviene applicando la categoria di sostanza
all'Io penso, che non è un oggetto, ma l'unità della coscienza,
ovvero proprio la condizione di applicabilità delle categorie. Quella
che è una condizione logico-trascendentale della conoscenza viene
così trasformata in una realtà, nell'oggetto di una conoscenza che si
rivela però inevitabilmente illusoria.
L'idea di mondo
La cosmologia razionale si fonda sull'idea di mondo, inteso come
totalità delle condizioni dei fenomeni (si tratta dunque di cosa
ben diversa dalla natura, che è la connessione dei fenomeni
oggetto di un'esperienza possibile).
L'illusorietà del tentativo della ragione di conoscere il mondo
come totalità è dimostrata dal fatto che esso conduce ad
antinomie, cioè a coppie di proposizioni in contraddizione fra
loro e tuttavia egualmente dimostrabili.
Kant individua quattro antinomie.
PRIMA ANTINOMIA
TESI
ANTITESI
Il mondo ha un suo inizio nel tempo e, rispetto allo
spazio, è delimitato entro precisi confini.
II mondo non ha né inizio né confini nello spazio,
ma è infinito, così rispetto al tempo come rispetto
allo spazio
SECONDA ANTINOMIA
TESI
ANTITESI
Nel mondo ogni sostanza composta consta di parti
semplici, e in nessun luogo esiste qualcosa che non
sia o il semplice o ciò che ne risulta composto.
Nessuna cosa composta, nel mondo, consta di parti
semplici; e in nessuna parte del mondo esiste
alcunché di semplice.
TERZA ANTINOMIA
TESI
ANTITESI
La causalità delle leggi della natura non è l'unica da
cui sia possibile far derivare tutti i fenomeni del
mondo. Per la loro spiegazione si rende necessaria
l'ammissione anche d'una causalità per libertà.
Non c'è libertà alcuna, ma nel mondo tutto accade
esclusivamente in base a leggi di natura.
QUARTA ANTINOMIA
TESI
Del mondo fa parte qualcosa che, o come suo
elemento o come sua causa, costituisce un essere
assolutamente necessario.
ANTITESI
In nessun luogo, né nel mondo, né fuori del mondo,
esiste un essere assolutamente necessario che ne
sia la causa.
Al tempo stesso, tuttavia, queste affermazioni
antitetiche sono altrettanti tentativi di risolvere
«quattro naturali e inevitabili problemi della
ragione»:
• Ha il mondo un inizio e un limite nel tempo e nello
spazio?
• La materia è infinitamente divisibile o discreta?
• È possibile la libertà, o tutto ciò che avviene è
causalmente determinato?
• Esiste una causa ultima, necessaria dei fenomeni?
Kant nega che si possa dare risposta a queste domande,
che non hanno un riscontro possibile nell'esperienza.
L'idea di Dio
Nel concetto di Dio la ragione esprime l'ideale di un essere supremo,
originario, perfetto; la totalità di tutte le realtà possibili, della
quale ogni singola realtà non è che la determinazione.
L'illusione della ragione consiste nel trasformare questo concetto
ideale in una realtà, supponendo che corrisponda a esso l'oggetto
di un Essere onnipotente, onnisciente, eterno, laddove la totalità
assoluta non è e non potrà mai essere oggetto di un'esperienza
possibile.
Risulta quindi dall'impianto stesso del criticismo kantiano che non si
possa dare di Dio una conoscenza teoretica; ma Kant si propone
anche di dimostrare l'impossibilità delle tradizionali prove
dell'esistenza di Dio, che egli raggruppa sotto tre titoli: la prova
ontologica; la prova cosmologica; la prova fisico-teologica.
Dall'opera di Kant emerge quindi un verdetto inappellabile
contro la metafisica tradizionale:
La metafisica, come disposizione naturale della ragione,
è reale, ma [...] è anche dialettica e ingannatrice. Se,
dunque, vogliamo da essa prendere i princìpi [...] non
possiamo mai trarne fuori una scienza, ma soltanto
una vana arte dialettica, in cui una scuola può
sorpassare l'altra, ma nessuna può mai procacciarsi
un legittimo e durevole consenso.
(Prolegomeni)
La funzione regolativa delle idee
Le idee della ragion pura possono avere, secondo Kant, un uso
regolativo, indirizzando la ricerca intellettuale verso
quell'unità totale che rappresentano.
Infatti ogni idea è una regola che spinge la ragione a dare al suo
campo d'indagine, che è l'esperienza, non solo la massima
estensione, ma anche la massima unità sistematica.
Per esempio, l'idea cosmologica spinge a passare da un
fenomeno naturale all'altro, dall'effetto alla causa e alla causa
di questa causa e via all'infinito, proprio come se la totalità
dei fenomeni costituisse un unico-mondo.
Le idee, cessando di valere dogmaticamente come realtà,
varranno in questo caso problematicamente, come condizioni
che impegnano l'uomo nella ricerca naturale.