L’astronomia e l’ottica di Descartes:
Il Mondo ovvero Trattato della luce
La Dioptrique
Principia Philosophiae
Ne Il Mondo Descartes espone le sue teorie circa la formazione ed il
moto dei corpi celesti, soffermandosi sulla natura della luce che
alcuni di essi emanano, ed il modo in cui noi la percepiamo. Alcune
delle sue osservazioni in materia di ottica ricompariranno ne La
Dioptrique.
La prima edizione di quest’opera risale al 1664, a più di quattordici
anni dopo la morte dell’autore. Egli non ebbe infatti mai il coraggio
di pubblicarla, nel timore che la Chiesa lo potesse condannare per
aver sostenuto le tesi di Copernico e Tycho Brahe. Egli terminò la
stesura del manoscritto nel 1633, proprio l’anno in cui il Consiglio del
Sant’Uffizio pronunciò la sentenza contro Galileo,
mettendo
all’indice il suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo.
Descartes non abbandonò la prudenza nemmeno quando, alcuni anni
più tardi, diede alle stampe i Principia Philosophiae, nei quali le
sue teorie astronomiche venivano sì fedelmente riproposte, ma
l’eliocentrismo appariva
soltanto come un’“ipotesi, che forse è
lontanissima dalla realtà” (Parte III, § 44). Non mancano, nei
Principia, veri e propri tributi alla dottrina ecclesiastica, con i quali
l’autore cerca di premunirsi, prima di presentare la sua visione
meccanicistica e materialistica dell’universo: “E ben lungi dal volere
che si creda a tutte le cose che scriverò, pretendo, anzi, di proporne qui
alcune che credo assolutamente essere false. Cioè, io non dubito che il
mondo non sia stato creato al principio con tanta perfezione, quanta ne
ha, di modo che il Sole, la Terra, la Luna, le stelle sono state sin
d’allora, e la Terra non ha avuto solamente in sé i semi delle piante, ma
le piante stesse ne han coperto una parte; e Adamo ed Eva non sono
stati creati bambini, ma in età di uomini perfetti […] egualmente, noi
faremo comprendere meglio qual è generalmente la natura di tutte le
cose che sono al mondo, se possiamo immaginare dei principi che siano
intelligibilissimi e semplicissimi, dai quali facciamo vedere chiaramente
che gli astri e la terra ed infine tutto il mondo visibile avrebbe
potuto essere prodotto come da alcuni semi, benché sappiamo
che esso non è stato prodotto in questo modo.” (Parte III, § 45).
Descartes passa poi a esporre queste sue “supposizioni”, quindi, per
poter procedere nel ragionamento, si affretta ad aggiungere “che la
loro falsità non impedisce che quello che ne sarà dedotto sia vero.”
(Parte III, § 46-47).
Questa precauzione non impedì la messa all’indice delle opere
cartesiane, avvenuta nel 1663.
Secondo Descartes il cosmo sarebbe pieno di un’unica materia, che si
manifesta sotto forma di tre elementi: il fuoco, di cui sono composte
le stelle, l’aria, che è la sostanza dei cieli, la terra, che è la materia dei
pianeti e delle comete. Nell’universo non esistono spazi vuoti: pertanto
la materia, che Dio ha posto in movimento al momento della
Creazione, non può che muoversi in maniera circolare. Per effetto di
questo moto, i corpi celesti, formandosi, sarebbero diventati
tondeggianti. Poiché la materia, all’inizio del tempo, era agitata in
maniera non uniforme, si sono prodotti molti centri del moto, sparsi
per tutto l’universo: il cosmo risulta così composto da vortici.
Ogni vortice è un cielo sferico, che ruota
intorno ad una stella posta nel suo centro.
Esso può contenere uno o più pianeti, che
trascina nel suo moto rotatorio. Così è
fatto anche il nostro sistema solare.
Nei Principia
Descartes cerca di mitigare la sua posizione
eliocentrica definendo “improprio” il moto della Terra: il nostro
pianeta si sposta rispetto alle cosiddette stelle fisse. Ma perché non
ammettere, allora, che siano queste ultime a muoversi, mentre la
Terra è in quiete? Per quanto riguarda poi il moto della Terra intorno
al Sole, Descartes fa presente che “essa è in riposo, e che non ha
propensione al movimento, visto che non ne notiamo in essa; ma non
crediamo nemmeno che questo possa impedire che essa sia portata dal
corso del cielo che segna il suo movimento, senza, peraltro, muoversi:
come un vascello, che non è trasportato dal vento, né da remi, e che
non è nemmeno trattenuto da ancore, resta fermo nel mezzo del mare,
benché forse il flusso o riflusso di quella gran massa d’acqua lo porti
insensibilmente con sé.” (Parte III, § 26).
Anche la Terra è dotata di un suo piccolo cielo, nel quale si trova la
Luna, e che, come Descartes spiega ne Il Mondo, dà origine alla
forza di gravità (“la pesantezza”) ed alle maree. Ben diversa è la
spiegazione data da Galileo nei Discorsi.
I corpi vengono spinti verso il centro della Terra dalla compressione
degli strati d’aria circostanti, che prevale sulla forza centrifuga dovuta
al moto rotatorio, che tenderebbe invece ad allontanarli. D’altra
parte, l’aria che ruota, nel passare tra la Terra e la Luna, incontra
una strettoia, per cui, in quel tratto, essa scorre più velocemente,
trascinando con sé la superficie del mare, che da quel lato del globo
risulta così rialzata. Dalla parte opposta l’acqua necessariamente si
abbassa, a causa della rotazione della Terra intorno al proprio asse,
poi, il punto d’innalzamento, che rimane praticamente fisso rispetto
alla Luna, si sposta rispetto alla superficie terrestre, determinando in
dodici ore un ciclo completo di flusso e riflusso.
L’ottica fisica, alla quale sono dedicate pagine di tutte e
tre le opere, si basa sul modello corpuscolare, anche se
è presente un lieve accenno alla teoria ondulatoria. Tutti
i fenomeni legati alla propagazione della luce sono
spiegati immaginando il moto di piccole sfere del primo
elemento (il fuoco) che sospingono le particelle d’aria o
di terra secondo le leggi della meccanica. Così la luce si trasmette
attraverso il cielo come i granellini di sabbia passano da una parte
all’altra della clessidra, o il mosto sgorga da un foro praticato sul
fondo di una tinozza piena d’uva, prendendo via via il posto dell’aria.
La riflessione avviene esattamente come il rimbalzo di una palla
lanciata contro una parete, la rifrazione come la deviazione cui è
soggetta la stessa palla quando viene gettata in acqua. Tutto trae
origine dal gioco di forze che le singole sferette, compresse nello
spazio, esercitano una sull’altra.
Il paragone con una mano che spinge un corpo con un
bastone storto permette di capire come la luce si
trasmetta sempre in linea retta, anche se le sferette
sono disposte in maniera irregolare. I raggi provenienti
da direzioni diverse possono convergere in un solo
punto, esattamente come, tirando più corde, è possibile
sollecitare uno stesso oggetto. I raggi che concorrono
in uno stesso punto da direzioni opposte non si
intralciano, come, del resto, avviene anche per i flussi
di aria che attraversano un sistema di tubi disposti a
raggiera.
La visione umana è concepita come un effetto della sollecitazione
esercitata dalla luce sull’aria, e trasmessa da questa alla retina. In
pratica, il meccanismo non è diverso da quello in base al quale un
cieco “vede” attraverso il suo bastone.
L’ottica geometrica è sviluppata più diffusamente ne La Dioptrique,
dove sono enunciate le leggi della riflessione e della rifrazione, che
vengono applicate allo studio delle lenti di varie forme, tra cui le
cosiddette ovali di Cartesio. In quest’opera Descartes dimostra di
aver letto le opere ottiche di Keplero.
Descartes si preoccupa perfino di descrivere i macchinari per il
taglio delle lenti impiegate negli strumenti ottici. In quegli anni gli
strumenti ottici, come il microscopio ed il cannocchiale, cominciavano
a diffondersi tra gli scienziati.
Il cannocchiale di Descartes
Il cannocchiale di Galileo