PARTE PRIMA
PRINCIPI GENERALI
IV
FONTI DEL DIRITTO
Il tema delle fonti del diritto si collega a quanto esposto in
precedenza sia con riferimento alla forma di stato e di governo
sia con riferimento ai principi costituzionali 1.
Il sistema delle fonti del diritto è, infatti, la diretta conseguenza
della forma di stato e di governo in cui viviamo e delle scelte
compiute nella nostra carta costituzionale, la quale suggella i
principi informatori del nostro ordinamento positivo. Il potere
costituente rappresenta l’autoaffermazione del potere normativo
e detta le norme di riconoscimento, ossia le norme che indicano
le
fonti
abilitate
ad
innovare
l’ordinamento
giuridico,
individuando così i fattori legittimanti la produzione delle norme
stesse.
1
Sotto questo profilo esiste un rapporto necessario tra il sistema delle fonti impiegato in un
certo paese e la forma di stato e di governo in esso adottata. Si pensi alla forma di stato
federale in cui la funzione legislativa viene distribuita fra federazione e stati membri oppure
alla forma di governo parlamentare in cui la funzione normativa è distribuita tra potere
1
Da un punto di vista terminologico e contenutistico nell’ambito
delle fonti del diritto si distinguono le fonti di produzione dalle
fonti di cognizione.
Fonti di produzione sono tutti quegli atti o fatti normativi 2 idonei
a produrre norme giuridiche laddove per norma giuridica, che
costituisce l’unità elementare del sistema del diritto, si intende
genericamente una proposizione precettiva dotata di caratteri di
intersoggettività, coercibilità, astrattezza, generalità, effettività e
novità3.
legislativo e potere esecutivo. Si veda A. Pizzorusso, alla voce “Sistema costituzionale delle
fonti”, in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, pag. 421 e segg.
2 Si è soliti distinguere in generale tra fatti e atti giuridici. Fatti giuridici possono essere sia
i fatti naturali ossia quei fenomeni cui è estranea ogni manifestazione proveniente da un
soggetto sia i fatti umani risultanti dall’attività di un soggetto. Ulteriore distinzione è poi
quella tra fatti ed atti laddove per atti si considerano in particolare quei fatti umani che
richiedono esplicazione di attività psichica volontaria che dà luogo ad effetti giuridici. In
particolare, gli atti e i fatti normativi si distinguono dagli atti e dai fatti non normativi
perché i primi possiedono efficacia “erga omnes” ossia producono effetti nei confronti di
tutti mentre i secondi hanno solitamente efficacia inter partes ossia tra le parti. Tuttavia,
esistono atti non normativi per forma i quali hanno un contenuto di atti normativi. Si pensi
ad esempio ai contratti collettivi, alle sentenze di annullamento di atti normativi, le cui
statuizioni producono effetti nei confronti di tutti e non solo nei confronti delle parti cui
sono destinati, in deroga alla definizione degli effetti di una sentenza di cui all’art. 2909
c.c., secondo la quale “l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato
ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi ed aventi causa” o quella degli effetti di contratto ai
sensi dell’art. 1372 c.c. secondo il quale il contratto “ha forza di legge tra le parti” e “non
produce effetto rispetto ai terzi che nei casi consentiti dalla legge”. Si veda A. Pizzorusso,
cit., pag. 410.
3 Senza pretesa di essere esaustivi, sulla nozione di norma giuridica, meritano un cenno la
teoria normativa del diritto, esposta da Kelsen in la “Teoria generale del diritto e dello
stato”, secondo il quale il diritto è un insieme di norme sociali di tipo particolare tra loro
collegate in un sistema e la teoria istituzionale, come esposta ad esempio da S. Romano in
“L’ordinamento giuridico”, secondo la quale il diritto prima ancora che un complesso di
norme è l’istituzione che crea le norme e le fa valere.
Sui caratteri della norma giuridica si rimanda fra gli altri a E. Spagna Musso, in Diritto
Costituzionale, pagg. 16 e segg., 1990; Digesto delle Discipline Pubblicistiche, op. ed
autore già cit., pag. 412 e segg. ; N. Gobbo, Teoria della norma giuridica, Torino, 1958; R.
Galli, in Corso di Diritto Amministrativo, “Le fonti”, pagg. 15 e segg., 1996; A. Romano,
Diritto Amministrativo, “Introduzione”, pagg. 1 e segg., 1993; F. Galgano, in Diritto Civile
e commerciale, pagg. 5 e segg., 1990.
In particolare per intersoggettività della norma si ritiene la sua capacità di disciplinare
direttamente rapporti fra soggetti diversi della società; per coercibilità si intende l’attitudine
della norma a produrre i suoi effetti anche contro la volontà dei destinatari; per astrattezza
si considera che il precetto si rivolga ad un numero indeterminato ed indeterminabile di
persone; per generalità si ritiene che la norma non riguardi una seria concreta di fatti ma una
serie ipotetica di essi; per effettività si fa riferimento al concetto che la norma giuridica
appare come una regola di condotta che rispetto alla realtà effettuale esprime un dover
essere e la giuridicità della norma richiede che essa sia effettivamente attuata
dall’ordinamento; per novità si intende la capacità della norma di innovare l’ordinamento
giuridico.
Si differenziano dalle norme giuridiche ad esempio le norme interne, le quali non hanno la
capacità di innovare l’ordinamento giuridico, e non rientrano tra le fonti del diritto. Si tratta
2
Le norme giuridiche, una volta prodotte, sono contenute ad
esempio in documenti o comunque strumenti idonei invece
esclusivamente a far conoscere le norme stesse 4: che
costituiscono le fonti di cognizione5.
Le fonti di produzione possono essere classificate in modi
diversi, per quel che a noi interessa merita attenzione il criterio
distintivo tra fonti atto e fonti fatto.
Le fonti atto sono quelle emanate dagli organi costituzionali
competenti a creare e modificare il diritto vigente, come
espressione del potere abilitato ad esercitare la funzione
legislativa.
Esse si identificano con la costituzione, le leggi oppure i
regolamenti e tutte le altre fonti espressione della funzione non
solo legislativa, ma più in generale normativa.
Si tratta in sostanza di fonti che producono o meglio per mezzo
delle quali vengono redatte disposizioni destinate a valere per i
destinatari come norme giuridiche6.
ad esempio delle circolari ossia quelle disposizioni generali dettate al fine di uniformare
l’operato di un ente, di un’amministrazione, e aventi validità solo all'interno di essa.
4
Fonti di cognizione sono ad esempio la Gazzetta Ufficiale italiana (G.U.) o della
Comunità europea (GUCE) oppure ancora i Bollettini Ufficiali regionali (BUR).
Particolare attenzione meritano i Testi Unici, poiché in relazione a questi ultimi, di recente
utilizzati per esempio in tema di documentazione amministrativa, in tema di pubblico
impiego, in tema di espropriazione, in tema di edilizia, si è proposto all’attenzione del
mondo giuridico un vivace dibattito sulla loro natura di fonti di produzione o di cognizione.
Più in generale si può affermare che il testo unico è una tecnica legislativa con la funzione
di raccolta, selezione e coordinamento della legislazione vigente. Si distinguono i Testi
Unici innovativi e compilativi. I primi sono fonti di produzione. I secondi sono mere fonti
di cognizione. I primi sono adottati spesso alla pari dei codici con la forma dei decreti
delegati mutuando dai decreti delegati la loro posizione nella scala gerarchica. Tuttavia, i
Testi Unici vengono anche definiti fonti ad efficacia variabile in quanto talvolta vengono
raccolte disposizioni la cui efficacia formale resta quella derivante dalle fonti da cui sono
state originariamente prodotte.
5
Si veda tale distinzione in A. Pizzorusso, “Il sistema costituzionale delle fonti”, in
Digesto delle Discipline Pubblicistiche, pag. 410 oppure ancora R. Galli, in Corso di Diritto
Amministrativo, “Le fonti”, pagg. 15 e segg., 1996, e ancora Diritto Costituzionale, a cura
di E. Spagna Musso, pag. 114 e segg., 1990, Padova.
Si può sottolineare un’ulteriore distinzione ossia quella tra norme e disposizioni. Queste
ultime rappresentano il momento in cui la proposizione normativa viene predisposta mentre
la norma costituisce la disposizione così come applicata, ovvero ad esito della attività
interpretativa ed applicativa dei soggetti ai quali essa è diretta; v. anche nota 11.
6
3
Le fonti fatto sono invece quelle in cui la produzione di norme è
conseguenza del verificarsi di un mero fatto, com’è la
consuetudine (fatto) che deriva dalla ripetizione nel tempo di
comportamenti tenuti da persone indeterminate7.
Ancora, ad esempio lo stato di necessità (fatto) è fonte la quale, a
differenza della consuetudine, si afferma in modo improvviso ed
immediato8.
Affrontiamo questi argomenti (solo apparentemente tecnicistici)
perché essi rappresentano utili strumenti “teorici” per poter
affrontare poi concretamente l’esame delle fonti vigenti e dei
loro rapporti nel nostro ordinamento: in questo senso, si tratta
dunque di capire i principi sulla produzione, sulla classificazione
delle disposizioni e sulla loro interpretazione al fine di
comprendere quali siano non solo i rapporti fra le varie fonti
normative, ma anche, in ulteriore analisi, i modi di atteggiarsi
dei rapporti tra gli organi costituzionali e coloro che li
rappresentano.
Si tratta da un lato del principio di gerarchia e della riserva di
legge utili nell’ambito della produzione e della classificazione
delle disposizioni, dall’altro si tratta dei principi relativi alla
interpretazione delle disposizioni stesse.
Per quanto riguarda il principio di gerarchia, riconducibile alla
Carta Costituzionale e connaturato alla caratteristica rigidità
7
A proposito della consuetudine va precisato che essa consiste in un comportamento
sociale idoneo a determinare la nascita di norme giuridiche che la comunità statale
riconosce valide ed operanti nel suo ordinamento giuridico. Si è soliti identificare nella
“diuturnitas” ossia la ripetizione costante ed uniforme nel tempo di un comportamento e
nella “opinio iuris ac necessitatis” ossia la convinzione della giuridicità necessaria di quel
comportamento i tratti distintivi della consuetudine basata sul concetto di regolarità (si veda
R. Galli, Corso di diritto Amministrativo, Le fonti, pag. 23, 1996).
8 In “Diritto Costituzionale”, di E. Spagna Musso, pag. 87-88, in cui si legge che lo stato di
necessità può considerarsi fonte nella misura in cui si accoglie la premessa metodologica
secondo la quale il principio di effettività è condizione di validità delle norme costituzionali
a carattere fondamentale così che per esempio in un regime rivoluzionario lo stato di
necessità diventa fatto avente valore di fonte normativa anche contro la valutazione
dell’ordinamento giuridico nel cui ambito opera.
4
della stessa, esso permette di ordinare le fonti rispetto al grado di
efficacia normativa delle norme prodotte.
Tale criterio è basato e collegato al fatto che le fonti nel loro
complesso costituiscono un sistema nel quale le fonti stesse
vengono classificate in modo che ciascuna fonte produce norme
che hanno efficacia corrispondente a quella di un determinato
grado della gerarchia.
Fra norme si stabiliscono infatti rapporti di subordinazione, di
equiordinazione o di prevalenza basati sulla possibilità che una
norma prodotta da una data fonte intervenga sulla precedente
normazione e sia in grado di modificarla.
Per quanto riguarda la riserva di legge è la Costituzione ad
individuare tale strumento, che rappresenta un’applicazione del
principio di legalità9 frutto a sua volta della contestazione dei
regimi assolutisti ed espressione dello Stato di diritto.
In virtù del principio di legalità, l’esercizio di un potere pubblico
si deve fondare su una norma attributiva di competenza.
Nell’ambito di una costituzione rigida, la stessa funzione
legislativa è soggetta al principio di legalità, il cui precipitato è
la riserva di legge.
In altri termini, la norma attribuisce ad un dato soggetto una
certa funzione, non solo, ma può anche prevedere che solo
9
Il principio di legalità in quanto tale preesisteva alle costituzioni rigide essendo
espressione dello stato di diritto. Il principio di legalità non è codificato nella nostra
Costituzione ma da essa viene costantemente applicato. Si veda ad esempio l’art. 23 della
Costituzione secondo il quale “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere
imposta se non in base alla legge”; l’art. 25, comma 2, “nessuno può essere punito se non in
forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”; l’art. 101, comma 2,
“i giudici sono soggetti soltanto alla legge”; l’art. 113 “la legge determina quali organi di
giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli
effetti previsti dalla legge stessa”. Il principio di legalità si può distinguere in formale e
sostanziale. Nel primo significato si fa riferimento al fatto che è sufficiente che l’esercizio
di un potere pubblico si basi su una previa norma di attribuzione della competenza da parte
della legge. Nel secondo significato si intende che l’esercizio del potere pubblico è limitato
e diretto da specifiche norme di legge non solo nell’attribuzione della competenza ma anche
nella regolamentazione dell’estensione e dell’intensità del potere pubblico Si veda “Diritto
Costituzionale”, a cura di R. Bin e G. Pitruzzella, pag. 305, 2005.
5
norme provenienti da una certa fonte possano occuparsi o
disciplinare una certa materia.
In via principale, si può distinguere tra riserva di legge assoluta
quando la Costituzione attribuisce alla legge la potestà di
disciplinare interamente una determinata materia, e riserva di
legge relativa quando invece la Costituzione riserva alla legge
solo lo stabilire i principi generali, mentre viene lasciata alla
normativa di grado inferiore a quello della legge la definizione
degli aspetti di dettaglio10.
Le disposizioni per poter essere applicate necessitano di
interpretazione: una volta interpretate esse diventano norme
ossia regole concretamente applicabili11.
Nel nostro ordinamento è l’art. 12 delle “Disposizioni sulla legge
in generale” del codice civile (comunemente dette “preleggi”),
che detta regole relative all'interpretazione.12.
Fra esse va annoverata in primo luogo la regola secondo la quale
nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso
che quello fatto palese dal significato proprio delle parole
In tema di riserve assumono rilevanza le c.d. “riserve rinforzate”. Si tratta dei casi in cui
il Legislatore incontra limiti ulteriori alla riserva nella determinata materia. E’ il caso ad
esempio delle riserve rinforzate per contenuto quando è la legge che interviene in quanto
abbia contenuti particolari a tutela dei valori indicati dalla Costituzione: il Legislatore può
limitare la libertà di circolazione ma solo per motivi di sanità e di sicurezza. Ancora, le
riserve rinforzate per procedimento quando vi sia un aggravamento del normale
procedimento: ad esempio ai sensi dell’art. 7 della Costituzione i rapporti tra Stato e Chiesa
già regolati dal Concordato per essere modificati dalla legge devono essere preceduti da un
accordo tra Governo e Santa Sede. Altri tipi di riserve sono le riserve a favore degli atti
diversi dalla legge, quali per esempio le riserve a favore delle leggi costituzionali o le
riserve a favore dei regolamenti parlamentari o ancora le riserve a favore delle leggi formali
ossia le leggi adottate con il procedimento ordinario.
10
Con il termine "norma" in senso tecnico si intende il frutto dell’interpretazione delle
disposizioni quando vengono applicate ad un caso concreto secondo la tecnica del
sillogismo giudiziale in cui si ha la premessa maggiore disposizione, la premessa minore
che è il fatto e la conclusione che è l’applicazione della norma al fatto. Si veda sul punto:
Diritto costituzionale, a cura di R. Bin, G. Pitruzzella, pag. 289, 2005.
12 E’ opportuno segnalare che nel nostro ordinamento i giudici hanno il potere ed il dovere
di individuare ed interpretare le norme in modo autonomo sintetizzandosi ciò nella formula
"iura novit curia". Ancora è interessante osservare che a differenza che nel nostro
ordinamento rientrante nei paesi di civil law, le sentenze nei paesi di common law
costituiscono un precederete vincolante e dunque anche l’attività interpretativa compiuta dai
giudici assume ruolo di vera e propria fonte del diritto.
11
6
secondo la connessione di esse e dalla intenzione del
legislatore13.
In via sussidiaria l’interprete può fare ricorso alle disposizioni
che regolano i casi simili o materie analoghe 14 o ancora fare
ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico, che
s’identificano per noi anche e soprattutto nei principi
costituzionali.
Peculiare è invece il caso dell’interpretazione autentica di una
disposizione perché non si tratta di vera e propria interpretazione
ma di opera di legislazione: il Legislatore stabilisce infatti con
una disposizione il significato autentico di altra disposizione.
Naturalmente, può avvenire che in sede di interpretazione
sorgano contrasti circa l’applicabilità, al caso concreto, di una
disposizione piuttosto che un’altra: in tal caso si ha una
“antinomia”, per risolvere la quale si deve ricorrere ad alcuni
criteri come il criterio di gerarchia, il criterio cronologico e il
criterio di specialità, anch'essi codificati dalle Preleggi 15.
Il criterio di gerarchia, oltre ad essere dunque principio di
classificazione delle fonti, è anche uno dei criteri che serve a
risolvere eventuali antinomie o contrasti tra norme.
Quando si pone infatti un contrasto tra norme di gradi diversi,
l’interpretazione si può avvalere di questo criterio che permette
13
In questo caso, diventano estremamente utili ad esempio i documenti che danno conto
dell’iter di formazione di una norma. Si pensi ai resoconti parlamentari dei lavori
preparatori dell’atto normativo.
14
Si suole distinguere nella teoria l’interpretazione estensiva dall’analogia. Infatti,
l’interpretazione estensiva implica attribuire alla disposizione un significato più ampio di
quello letterale mentre l’analogia implica la soluzione di un caso non disciplinato da norme
utilizzando norme riguardanti casi simili. In entrambi i casi tuttavia si ha sempre che un
caso viene disciplinato utilizzando norme ad esso non riferite. Va chiarito poi che si ha
analogia legis quando per individuare la norma da applicare si ricorre ad una disposizione
mentre si ha analogia iuris quando la regola da applicare viene mutuata dai principi generali
e non da una disposizione specifica.
Le preleggi recano ancora l’indicazione tra le fonti delle norme corporative, fonte
operante nel periodo fascista ed oggi venuta meno, sottordinata anche ai regolamenti.
15
7
di individuare la regola da applicare secondo il brocardo lex
superior derogat legi inferiori.
La gerarchia, quale criterio risolutivo di antinomie, trova
legittimazione nell’art. 134 della Costituzione, in virtù del quale,
ed anche in considerazione della rigidità della Costituzione, se la
Corte Costituzionale giudica della legittimità costituzionale delle
leggi e degli atti aventi forza di legge in modo che le leggi e gli
atti aventi forza di legge devono essere legittimi e dunque
rispettare la Costituzione, così anche le fonti secondarie quali i
regolamenti devono operare nei limiti e nel rispetto delle norme
primarie.
Proprio la classificazione gerarchica delle fonti permette allora
di risolvere eventuali antinomie tra norme sancendo la
prevalenza della norma superiore sulla norma inferiore.
Il criterio cronologico16 è poi quello che porta a preferire, in caso
di contrasto tra due norme, quella più recente a quella più antica
secondo l’adagio lex posterior derogat priori.
La prevalenza della norma più recente rispetto a quella più
vecchia si attua mediante l’abrogazione ossia la cessazione
dell’efficacia17 e quindi l’inapplicabilità della norma più vecchia
che sia incompatibile con quella da ultimo emanata.
Tale norma viene abrogata solo a partire dal momento in cui
entra in vigore la nuova norma. Infatti, l’abrogazione ha effetto
ex nunc,18 in quanto le nuove norme solitamente dispongono
In “Diritto costituzionale”, a cura di R. Bin e G. Pitruzzella, pag. 293 si legge che il
criterio cronologico viene implicitamente accolto nella Costituzione all’art. 70 laddove si
dice che “la funzione legislativa viene esercitata collettivamente dalle due camere” in una
visione dinamica dell’ordinamento.
17 In generale, l’efficacia è l’idoneità di un atto o di un fatto giuridico a produrre effetti
giuridici e quindi a costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche.
18 Cioè “da ora”, contrapposto a “ex tunc”, cioè “da allora”.
16
8
solo per il futuro in virtù del principio di irretroattività delle
leggi, salvo espressa deroga19.
Secondo
quanto
previsto
dall’art.
15
delle
Preleggi:
l’abrogazione può essere espressa, implicita o tacita20.
L’abrogazione espressa si ha per effetto di una dichiarazione
esplicita del Legislatore che nel redigere un nuovo testo
legislativo enuncia esplicitamente quali norme anteriori vanno
abrogate21.
L’abrogazione implicita consegue non tanto ad una espressa
previsione del Legislatore quanto invece ad un’operazione
interpretativa
compiuta
dall’interprete
che
utilizzerà
principalmente il criterio cronologico (previa verifica di
incompatibilità tre le due norme) per considerare quali norme
siano ancora o meno efficaci.
L’abrogazione
espressa
e
l’abrogazione
implicita
sono
accomunate dal fatto che esse producono i loro effetti ex nunc
ossia solo per il futuro da quando opera l’abrogazione, lasciando
che i rapporti già sorti sotto la previgente disciplina continuino
ad essere disciplinati dalle vecchie disposizioni. Questi due tipi
di abrogazione si differenziano invece perché la prima opera con
effetti erga omnes ossia nei confronti di tutti in quanto si tratta di
E’ interessante osservare che il principio di irretroattività viene codificato solo dalle
Preleggi e dunque da una legge ordinaria che come tale può essere derogata da altra legge
ordinaria, che può espressamente prevedere la propria retroattività. E’ vietata invece, per
espressa previsione costituzionale e dunque con norma non derogabile da una legge
ordinaria, la retroattività delle sole norme penali incriminatrici secondo il principio del
favor rei.
20 Dall’abrogazione che è l’effetto che la norma più recente produce nei confronti della
norma meno recente si può tenere distinta la deroga che nasce dal contrasto tra due norme
di tipo diverso. Si tratta infatti di una norma generale che viene derogata da una norma
particolare. La norma generale derogata non perde efficacia ma viene limitato il suo campo
di applicazione cosicché se venisse abrogata la norma derogante la norma derogata
riespanderebbe la sua efficacia. Nel caso dell’abrogazione invece la norma che perde
efficacia per il futuro può riprendere a produrre effetto solo se il legislatore emani una
ulteriore disposizione che lo prescriva:in tal caso si parla di riviviscenza della norma
abrogata.
21 Ad essa, quanto meno sotto il profilo degli effetti, può essere affiancata l'abrogazione per
effetto di referendum abrogativo ex art. 75 Cost. e l'abrogazione per effetto della sentenza
di accoglimento della Corte Costituzionale, art. 136 Cost..
19
9
una previsione del Legislatore, che vincola anche gli interpreti22,
mentre la seconda opera solo inter partes ossia nei confronti di
quei
soggetti
interessati
dall'operazione
ermeneutica
dell’interprete, che sarà, nella più parte dei casi, il giudice, a cui
è affidato il compito di determinare quale sia il “diritto vivente”
applicabile al caso concreto sottoposto al suo esame 23.
L’abrogazione tacita consiste invece nella abrogazione di un
complesso di disposizioni, ad opera di un nuovo insieme di
norme che regolano l’intera materia già regolata dalla legge
anteriore.
Il tratto distintivo dell’abrogazione tacita rispetto alla simile
abrogazione implicita è che la prima può intervenire quando
viene riformata una intera materia sulla base di principi
incompatibili con la disciplina previgente ed in tale circostanza
si ha
l’abrogazione di più leggi, e non solo di singole
disposizioni. In altri termini, è l’insieme delle norme che
regolavano la materia a non essere più compatibile con i nuovi
principi: da qui l’abrogazione dell’intero “corpus” previgente.
Infine, il criterio della specialità opera nel caso di contrasto tra
norme nel senso che va preferita la norma speciale a quella
generale anche se questa è successiva secondo il brocardo lex
specialis derogat legi generali; lex posterior generalis non
derogat legi priori speciali.
In questo caso non opera né l’abrogazione sul piano
dell’efficacia né l’annullamento sul piano della validità delle due
norme. Infatti, le norme in conflitto restano sempre valide ed
efficaci e l’interprete valuta quale applicare al caso di specie, a
Secondo l’art. 101, comma 2, della Costituzione, infatti: “I giudici sono soggetti soltanto
alla legge”.
22
23
“Iura novit curia” v. nota 12
10
seconda che ritenga che la fattispecie rientri nell’ambito di
vigenza della norma generale o, piuttosto, di quella speciale 24.
Il criterio della competenza serve infine più propriamente a
spiegare come è organizzato il sistema delle fonti più che essere
un criterio interpretativo per risolvere antinomie.
Infatti, dalla combinazione dell’articolazione in gradi del sistema
delle fonti e dalla presenza nel nostro ordinamento della riserva
di legge, può accadere che i rapporti tra norme presenti
all’interno di uno stesso grado e dotate della medesima forza,
non siano risolvibili sulla base del criterio della gerarchia ma su
quello della competenza.
Si pensi ad esempio al caso in cui vi sia un contrasto tra atti
normativi statali e atti normativi regionali oppure al rapporto tra
norma dell’ordinamento italiano e norma dell’ordinamento
comunitario: tra di essi non esiste un rapporto gerarchico, bensì
di competenza, nel senso che ad ognuno di essi spetta
l'emanazione di atti normativi nel settore di competenza, che è ad
esso riservato e nel quale altri non possono intervenire 25.
Un cenno meritano infine i rapporti tra i criteri sopra visti in
quanto può accadere che l’interprete debba scegliere quale
criterio adottare tra due contemporaneamente utilizzabili in
astratto.
Ad esempio, se una norma posteriore di grado inferiore
contraddice una norma precedente di grado superiore, poiché
24
Un esempio potrà essere utile. Una norma che fissi a 90 Km/ora il limite di velocità per
autoveicoli sulle strade extraurbane, è norma generale rispetto a quella che fissa il limite a
130 Km/ora su autostrade e superstrade: spetterà poi all’interprete (ovvero al giudice)
stabilire se nel caso concreto si tratti di strade, o di autostrade o superstrade o di arterie ad
esse assimilabili.
25 Una norma statale non “prevale” su quella regionale, perché allo Stato non è dato un
potere di supremazia: semplicemente, è la Costituzione che attribuisce all’uno o all’altro
soggetto la competenza a disciplinare talune materie. L’ente che non rispetti tali ambiti di
competenza crea un “conflitto di competenza” e non di gerarchia, che nel nostro sistema
spetta alla Corte Costituzionale risolvere, accertando se siano o meno stati rispettati gli
ambiti di competenza costituzionalmente garantiti. V. infra.
11
non ci può essere abrogazione della norma superiore da parte
della norma inferiore, si dovrà utilizzare il criterio gerarchico e
dunque si avrà l’annullamento della norma inferiore26.
Dunque, nel caso vi sia possibilità di contrasto tra il criterio
gerarchico e il criterio cronologico è il primo destinato a
prevalere.
Nel caso invece vi sia un una norma generale successiva alla
quale sopravviene una norma particolare con lo stesso grado
della norma generale, è preferita la norma speciale.
Si ha così prevalenza del criterio di specialità sul criterio
cronologico27.
Su questi concetti è necessario richiamare l’attenzione: non si
tratta infatti di una sterile elencazione di possibilità di conflitti
tra norme, bensì, come appare chiaro a chi voglia valutarne le
implicazioni, del complesso articolarsi dei rapporti tra i vari
soggetti che, in un sistema complesso come il nostro sono a
vario titolo abilitati, nel susseguirsi del tempo e con diversi
assetti istituzionali che sono a loro volta conseguenza del
mutamento delle condizioni sociali, economiche e culturali, ad
26
Diverso è il caso in cui una norma posteriore di grado superiore contraddice una norma
precedente di grado inferiore. Se si tratta di norme omogenee ossia o entrambe di principio
o entrambe di dettaglio, La norma posteriore di grado superiore è destinata a prevalere su
quella previgente inferiore abrogandola secondo il criterio cronologico.
Se invece le norme sono disomogenee: c’è abrogazione nell’ipotesi in cui la norma
successiva superiore sia di dettaglio; c’è annullamento della norma precedente inferiore di
dettaglio nel caso sopravvenga una norma superiore di principio.
27 Ancora. Se la norma generale è successiva e la norma generale è superiore alla norma
speciale è preferita la norma generale con illegittimità della norma speciale: prevale il
criterio gerarchico.
Se la norma generale è successiva ed inferiore nella scala gerarchica a quella speciale, è
destinata a prevalere quella speciale superiore con conseguente illegittimità di quella
generale.
Se la norma speciale è successiva, ma di pari grado rispetto a quella generale, è destinata a
prevalere quella speciale.
Se la norma speciale è successiva, ma di grado inferiore rispetto alla norma generale
anteriore, prevale la norma generale superiore anche se anteriore, con conseguente
illegittimità di quella speciale.
Infine, se la norma speciale è successiva ma superiore alla norma generale anteriore prevale
la norma speciale con conseguente illegittimità di quella generale.
12
emanare precetti normativi. La complessità del sistema, inoltre, è
specchio della complessità della aggregazione sociale, che
richiede di poter dare spazio ad una pluralità di voci e di
protagonisti che rappresentano, appunto i poliedrici elementi
componenti una struttura sociale moderna: individuare il miglior
compromesso tra complessità e semplicità, senza eccedere nella
moltiplicazione dei centri di potere e, tuttavia, senza conculcare
le esigenze di taluni settori della società, è uno dei temi più
attuali e interessanti del nostro diritto pubblico, al quale queste
brevi note non possono che costituire una semplice introduzione.
In sintesi dunque si può affermare che il sistema delle fonti del
diritto nel nostro ordinamento attribuisce il ruolo principale alla
legge nel rispetto del principio di legalità, in applicazione dello
strumento della riserva di legge, tenuto conto del fatto che la
forma di Stato e di governo nella quale viviamo attribuisce al
Parlamento in via prioritaria la funzione legislativa nel rispetto
del principio della divisione dei poteri e del ruolo della
democrazia rappresentativa.
Ancora, il sistema delle fonti è ordinato secondo un criterio di
gerarchia espressione della rigidità della Costituzione, ma tiene
conto altresì ad esempio del ruolo delle autonomie locali ed
anche delle fonti di origine comunitaria secondo il criterio della
competenza.
Purchè si consideri la premessa di metodo secondo la quale le
classificazioni vanno sempre adottate con cautela perché se
hanno utilità concettuale ed espositiva, talvolta tuttavia
costituiscono elementi di rigidità, a danno della elasticità
imprescindibile nella rappresentazione dei fenomeni giuridici, si
può di seguito formulare un’ipotesi di sintesi del sistema di
gerarchia delle fonti nel nostro ordinamento.
13
A) I principi costituzionali inderogabili qualificabili come
fonti supreme;
B) La costituzione e le leggi costituzionali nonché le leggi di
revisione costituzionale. Ancora, alla pari di queste, si
collocano gli statuti regionali speciali e le norme del
diritto internazionale generale.
C) Fonti primarie comprendenti le leggi statali, regionali. Gli
statuti delle regioni ordinarie. Le leggi di delega e le leggi
di conversione dei decreti legge. Tra gli atti aventi forza di
legge si collocano i decreti legge, i decreti legislativi
delegati. Ancora, in questa posizione, si collocano le
norme di attuazione degli statuti regionali speciali; i
referendum abrogativi. I regolamenti interni degli organi
costituzionali.
D) Fonti secondarie comprendenti i regolamenti, altri atti
normativi ad essi assimilabili.
E) Consuetudini praeter legem.
La gerarchia delle fonti si apre al suo vertice con la Costituzione,
che rappresenta il fondamento del nostro ordinamento 28.
28
Si distingue solitamente tra Costituzione formale e Costituzione sostanziale.
La prima coincide con la costituzione scritta consistente in un corpo organico di norme
consacrate in un testo scritto e solenne coincidente con la carta costituzionale, con leggi
costituzionali e le leggi di revisione. In opposizione alla costituzione formale si ha la
costituzione sostanziale da intendersi come il diritto costituzionale nel suo contenuto
indipendentemente dal fatto che si manifesti mediante norme scritte o consuetudinarie.
L’Inghilterra ad esempio è sfornita di costituzione scritta ma il suo ordinamento
costituzionale è affidato in gran parte alle norme consuetudinarie.
Esiste però un’ulteriore accezione della costituzione, detta materiale, quando si vuol mettere
in evidenza l’effettiva vigenza delle norme costituzionali oppure quando invece si vuol
evidenziare che la costituzione coincide con l’insieme di forze sociali e di fini politici,
sottostanti alla costituzione formale, di cui garantiscono con il loro sostegno l’effettiva
vigenza. Si vedano più in generale su tali argomenti ad esempio C. Mortati in Istituzioni di
diritto pubblico, 1969, e E.Spagna Musso in diritto Costituzionale, 1991.
Altra distinzione è quella tra costituzione di compromesso o di egemonia.
Con la prima si intende evidenziare che essa è il frutto di un compromesso effettivo tra
forze sociali su un piano di contrapposizione politica; con la seconda si intende invece la
costituzione espressione dell’egemonia di alcune e specifiche forze sociali. Si pensi nel
primo caso alle costituzioni dell’ottocento frutto del compromesso tra potere assoluto del
sovrano e classe borghese oppure nel secondo caso alle costituzioni delle democrazie
pluraliste, qual è la nostra, frutto del dell’equilibrio tra contrapposte istanze di diverse forze
sociali.
14
Essa è espressione della funzione costituente quale particolare
funzione normativa che è definita costituente proprio perchè il
suo essere collegata immediatamente all’instaurazione di un
nuovo ordinamento costituzionale le attribuisce carattere
originario.
Essa contiene i principi fondamentali 29 e si articola in due parti
identificabili la prima nei diritti e doveri dei cittadini e la
seconda nell’ordinamento della repubblica.
La nostra Costituzione è “rigida” ossia modificabile solo a
seguito di un procedimento "rafforzato" detto di revisione
costituzionale a garanzia dei valori e dei principi in essa
contenuti30.
Il procedimento di revisione costituzionale è disciplinato
dall’art. 138 della Costituzione: esso rappresenta una variazione
aggravata dell’iter normale di formazione di una legge ordinaria
e dà origine infatti alle leggi costituzionali. Il testo della nuova
norma
costituzionale
deve
essere
approvato
con
due
deliberazioni successive da parte di ogni Camera. La prima
deliberazione deve essere assunta con la maggioranza relativa, la
seconda potrà essere adottata, in ogni caso dopo che siano
decorsi tre mesi dalla prima, o con il consenso della maggioranza
29
La dottrina costituzionalista ritiene che taluni principi costituzionali abbiano natura
“rinforzata” rispetto alle altre disposizioni costituzionali, in quanto fondanti e caratterizzanti
il nostro sistema politico-sociale: tale è ad esempio la forma repubblicana, ex art 139 Cost.
sottratta alla revisionabilità propria di tutte le altre norme costituzionali, e tali sono i diritti
fondamentali dell’uomo. Sul punto, v. il cap. III che precede.
Nell’ambito delle costituzioni formali, in opposizione alla costituzione rigida, troviamo
la costituzione flessibile caratterizzata proprio dal fatto di essere attaccabile nei suoi
principi, nelle sue disposizioni, che delineano l’assetto politico dello Stato, da qualunque
maggioranza legislativa o governativa. Lo Statuto Albertino ad esempio del 1848 si
collocava nell’ambito delle costituzioni flessibili in quanto non era prevista una particolare
procedura per l’abrogazione delle sue disposizioni. Tale Statuto è anche definito elastico in
quanto restò in vigore con regimi politici antitetici quale il regime liberale ed il regime
fascista. Le costituzioni elastiche sono composte da disposizioni, dunque, che sono
adattabili all’evolversi dei rapporti sociali senza necessità di essere abrogate nella loro
interezza. La Costituzione degli Stati Uniti d’America ad esempio è al contempo rigida ma
elastica.
30
15
qualificata dei 2/3 dei membri di essa oppure potrà aversi
approvazione con la maggioranza assoluta ossia con la metà più
uno dei membri di ogni Camera.
In questa seconda ipotesi, però il testo della legge verrà
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e per essere considerato
definitivamente approvato dovrà, entro tre mesi, essere chiesto il
referendum popolare costituzionale confermativo31: la legge
potrà essere promulgata solo se avrà ottenuto la maggioranza dei
voti favorevoli. Si tratta dell’unica forma di referendum
confermativo conosciuto dal nostro ordinamento, che, tra l’altro,
prescinde dal
raggiungimento di un “quorum” per la sua
validità.
In sostanza, la Costituzione rigida è modificabile solo attuando il
procedimento di revisione costituzionale, l'espletamento del
quale tuttavia incontra alcuni limiti esplicitamente definiti dalla
Costituzione o impliciti ad essa.
In primo luogo, si ha un limite espresso nell’art. 139 in cui si
legge che “la forma repubblicana non può essere oggetto di
riforma costituzionale”.
La superiorità di questa disposizione, anche rispetto alla stessa
Costituzione, tecnicamente trae origine dal fatto che essa è frutto
del referendum istituzionale espresso dal popolo in una fase
precedente il costituirsi dell’Assemblea costituente cosicchè essa
stessa ne è stata vincolata.
Con l’art. 139 si ritiene sia tutelata anche una serie di principi
connessi alla forma repubblicana e più in generale alla
31
Il referendum potrà essere chiesto dalle minoranze del corpo elettorale con la raccolta di
500.000 firme o dalle minoranze territoriali con cinque consigli regionali o dalle minoranze
politiche ossia con le firme di un quinto dei membri di una camera. Inoltre, tale referendum
a differenza di quello abrogativo è valido senza che sia richiesto un quorum minimo di
votanti.
16
democrazia: si pensi al carattere elettivo e rappresentativo delle
istituzioni32.
Altro esempio di limite espresso al potere di revisione
costituzionale è nell’art. 2 della Costituzione laddove si
definiscono “inviolabili” i diritti dell’uomo come tali dunque
intangibili.
Lo stesso art. 2 si ritiene tuteli, in via implicita, tutti i valori
contenuti nella premessa alla Costituzione e identificabili nei
suoi principi fondamentali33 ritenuti pertanto immodificabili.
Per quel che a noi interessa, nella scala gerarchica, i principi
supremi e le norme costituzionali immodificabili sono collocabili
al di sopra della Costituzione stessa in quanto costituiscono
limiti al potere di revisione costituzionale esprimendo essi stessi
una rigidità rafforzata.
Se concettualmente esistono parti e principi della Costituzione
intangibili, teoricamente tali parti e principi potrebbero essere
modificabili con un doppio procedimento volto prima ad
eliminare le disposizioni che sanciscono il limite e poi a
modificare il contenuto delle norme immodificabili.
Tale meccanismo però potrebbe dar luogo ad una modifica così
radicale del sistema costituzionale tale da instaurare addirittura
un nuovo ordinamento costituzionale con una evidente rottura
rispetto al sistema precedente, che, seppure per via parlamentare,
produrrebbe un risultato analogo a di quel che accadrebbe per
effetto di un colpo di stato o di una rivoluzione34.
32
Con le sentenze nn. 30 e 31 del 1971 la Corte Costituzionale ha affermato che le norme
di altri ordinamenti che vengono immesse nel nostro ordinamento attraverso rinvii previsti
dalla Costituzione non possono violare i principi supremi dell’ordinamento costituzionale.
Tale principio la Corte ha ribadito anche rispetto alle norme comunitarie che sono
inapplicabili nel nostro ordinamento qualora contrastino appunto con i principi supremi.
33 Si veda R. Bin e G. Pitruzzella, opera già citata, pag. 315.
34 Si veda E. Spagna Musso, opera citata, pag. 106, anche per un tentativo di definizione
“colpo di stato” e di “rivoluzione”. Per colpo di stato si intende “l’attività di determinati
17
Le fonti costituzionali si collocano dunque al di sopra delle fonti
primarie sia in virtù del principio di rigidità costituzionale,
introdotto dall’art. 138 della Costituzione con la previsione del
procedimento aggravato per modificare la costituzione o dar vita
alle leggi costituzionali, sia in virtù del controllo di
costituzionalità delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello
Stato e delle Regioni, da parte della Corte Costituzionale,
introdotto dall’art. 134 della Costituzione 35.
Sotto quest’ultimo profilo la Costituzione rappresenta dunque
anche il paradigma che l’autorità giudiziaria, secondo un
meccanismo di “controllo di costituzionalità diffusa”, utilizza
per valutare ipotesi di illegittimità costituzionale e sollevarne le
conseguenti questioni che andranno risolte poi dalla Corte
Costituzionale36.
organi statali, che fuoriuscendo dall’ambito delle competenze a loro proprie in sede
giuridico costituzionale e quindi realizzando un attentato alla costituzione vigente, mira ad
ottenere con la forza la conquista del potere”. Per rivoluzione invece si intende “un
movimento popolare, un’azione diretta dei cittadini che mediante l’uso della forza ed in
netta antitesi dell’ordinamento costituzionale vigente tende al suo abbattimento ed
all’instaurazione di un diverso regime politico”. Di contro, le rivoluzioni parlamentari o
“bianche” sono oggi assai frequenti: v. da ultimo, la rivoluzione c.d. “arancione” in
Ucraina.
35 Le sentenze della Corte Costituzionale hanno diversa valenza. Le sentenze sono di mero
accoglimento, con conseguente declaratoria di incostituzionalità della norma, o di mero
rigetto, con dichiarazione di infondatezza della questione di illegittimità sollevata. La Corte
ha peraltro costituito una prassi per la quale si fa luogo anche a sentenze interpretative di
rigetto con le quali viene respinto il ricorso fornendo un’interpretazione adeguatrice delle
norme legittima e diversa da quella prospettata dal giudice del rinvio; le sentenze
interpretative di accoglimento con le quali la Corte dichiara l’illegittimità di una norma
ossia dell’interpretazione data ad una determinata disposizione, lasciando invece
sopravvivere nella sua legittimità costituzionale la disposizione in quanto tale. Le sentenze
parziali di accoglimento dichiarano l’illegittimità costituzionale di una disposizione in via
parziale facendo venire meno l’efficacia solo di una parte di essa. Infine, le sentenze
additive dichiarano non solo l’illegittimità costituzionale di parte del disposto ma addirittura
lo riformulano dando vita a nuove norme non contemplate dalla originaria formulazione con
un’interpretazione che è anche creative e sostitutiva.
Sempre in tema di sentenze della Corte Costituzionale si deve anche ricordare che le
sentenze interpretative di rigetto non hanno efficacia erga omnes e conservano un vincolo
negativo soltanto per il Giudice del procedimento in cui è stata sollevata la questione. Le
sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale della legge possiedono invece efficacia
erga omnes (si veda Corte di Cassazione, Sez. Unite penali, 17.5.2004 n. 23016)
36 Alla Corte Costituzionale è attribuita la funzione non solo di giudicare sulle controversie
relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, ma anche
di giudicare sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica per alto tradimento
o attentato alla costituzione ed infine di giudicare sui conflitti di attribuzione tra i poteri
dello Stato, su quelli fra Stato e Regioni nonché fra le Regioni stesse.
18
Alla stregua delle leggi costituzionali si collocano gli Statuti
delle Regioni speciali, che vengono appunto adottati con legge
costituzionale37.
Le “fonti primarie” sono fonti tipiche e tassative previste dalla
Costituzione.
Esse sono la legge formale e gli atti aventi forza di legge, i quali
ulteriori rappresentano un’eccezione alla regola secondo la quale
la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due
camere (art. 70 Cost.). Fra gli atti aventi forza di legge, la
Costituzione comprende il referendum abrogativo delle leggi
(art. 75 Cost.), il decreto legislativo delegato (art. 76 Cost.), il
decreto legge (art. 77 Cost.) e i decreti del governo in caso di
guerra (art. 78 Cost.)38.
La legge formale, fonte del diritto cardine del nostro
ordinamento, viene definita tale quando viene approvata dalle
Camere e promulgata dal Presidente della Repubblica secondo il
procedimento ordinario previsto dalla Costituzione 39, agli
articoli da 70 a 74.
In particolare il procedimento legislativo, inteso come sequenza
di atti scanditi secondo una predeterminata successione
temporale, si articola nelle fasi di iniziativa legislativa, di
37
Ma a seguito della riforma avvenuta con le leggi costituzionali n. 1/1999 e n. 2/2001, il
procedimento per la loro revisione non prevede il referendum costituzionale .
38 Quanto ai decreti emanati dal governo in caso di guerra va detto che si tratta di fonti
primarie che trovano la loro fonte, prima ancora che nella costituzione, nello stato di
necessità.
39 L’iter di formazione di una legge si completa con la sua pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale o nei Bollettini Ufficiali delle Regioni o nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità
Europee in base al fatto che la norma provenga dallo Stato italiano, dalle Regioni, dalla
comunità europea. La pubblicazione della legge sul testo ufficiale fa sì che il testo
normativo entri in vigore ossia produca i suoi effetti giuridici, divenendo obbligatorio per
tutti, solo dopo 15 giorni salva deroga espressa ad opera della stessa legge. Tale lasso di
tempo viene definito vacatio legis e implica la sospensione degli effetti giuridici del testo
normativo. Una volta decorso tale periodo e divenuto vincolante per tutti il testo di legge, la
sua ignoranza da parte dei cittadini non è scusabile vigendo la presunzione della conoscenza
di legge e l’obbligo del giudice di applicarla senza bisogno che siano le parti a provarne
l’esistenza.
19
approvazione delle leggi, di promulgazione delle leggi e della
loro pubblicazione.
L’iniziativa legislativa è il momento iniziale e consiste nella
presentazione di un progetto di legge ad una Camera 40, senza che
peraltro vi sia un obbligo per la Camera di deliberare su tale
progetto.
L’iniziativa viene dalla Costituzione affidata tassativamente al
Governo, al Parlamento stesso attraverso i suoi deputati o i suoi
senatori singolarmente o più frequentemente in gruppo, al
popolo o meglio ad almeno 50.000 elettori, alle Regioni
attraverso i consigli regionali ed infine al Cnel 41.
In particolare, al Governo è addirittura riservata in modo
vincolato o doveroso l’iniziativa legislativa ad esempio nei casi
di necessità ed urgenza, di cui all’art. 77 comma 2, della
Costituzione oppure per il bilancio ed il rendiconto consuntivo,
di cui all’art. 81 della Costituzione42.
Quanto all’approvazione delle leggi, va detto che la discussione
del progetto di legge alla Camera va preceduto dall’esame ad
opera della Commissione permanente competente.
Vanno distinti tuttavia tre procedimenti tipici: il procedimento
ordinario, il procedimento per commissione deliberante ed infine
il procedimento per commissione redigente.
Il procedimento ordinario si compone di due momenti. Il primo
si svolge davanti alla Commissione competente per materia,
40
Solitamente il progetto di legge viene definito disegno di legge quando viene presentato
dal Governo alla Camera oppure proposta di legge ad esempio nel caso che l’iniziativa sia
popolare.
Si tratta del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro ossia di uno degli organi di
rilievo costituzionale. Esso, insieme al Consiglio di Stato ed alla Corte dei Conti, viene
definito dalla carta Costituzionale come organo ausiliario. Tali organi si collocano in una
posizione di ausiliarietà del governo e del parlamento in quanto deputati a svolgere anche
funzioni consultive e di controllo.
41
20
detta referente, dove si discute la proposta di legge con
discussione articolo per articolo del testo di legge e votazione
degli emendamenti. Quindi, il testo di legge approvato ed
accompagnato da una relazione finale viene portato all’esame
dell’aula
da
un
relatore
della
commissione
incaricato
tecnicamente di riferire ad essa. Si apre quindi il secondo
momento che si compie interamente nell’aula, dove si effettuano
tre letture dell’articolato di legge per avere l’approvazione
definitiva dello stesso43.
Il procedimento per commissione deliberante o legislativa
implica che la Commissione sostituisca completamente l’aula in
quanto il progetto di legge viene discusso e votato soltanto in
commissione senza necessità che intervenga l’aula. A garanzia di
questa particolare tipologia di iter legislativo, la stessa
Costituzione prevede che alcune materie quali la materia
costituzionale, la materia elettorale, le leggi di delegazione
legislativa, le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati
internazionali e le leggi di approvazione dei bilanci, siano
sottratte
all’esame
della
commissione
deliberante
con
conseguente riserva di assemblea. Ancora, la commissione
deliberante nella sua composizione deve rispecchiare il criterio
della rappresentanza dei gruppi parlamentari. Infine, in
qualunque momento dell’iter legislativo il progetto di legge può
essere rimesso all’Assemblea per tornare ad un procedimento
Il disegno di legge è frutto di un subprocedimento che comincia con l’iniziativa di uno o
più ministri, la deliberazione del consiglio dei ministri, l’autorizzazione del Presidente della
Repubblica e la presentazione ad una Camera.
43 Le tre letture constano, come nella discussione in commissione, di una discussione
generale dell’articolato; di una discussione articolo per articolo anche degli emendamenti e
loro approvazione; infine, con la terza lettura si ha l’approvazione finale.
42
21
ordinario secondo quanto previsto dall’art. 72, comma 3 della
Costituzione44.
Infine, il procedimento per commissione redigente, non
disciplinato dalla costituzione ma dai regolamenti parlamentari
sia della Camera che del Senato, comporta la discussione e
approvazione di articoli ed emendamenti in commissione,
lasciando l’approvazione finale all’aula. Anche in questo caso vi
sono materie sottratte a questo procedimento ed in qualunque
momento è possibile rimettere integralmente il progetto all’aula.
Per aversi un testo di legge pronto per la promulgazione il
medesimo testo va esaminato ed approvato sia dalla Camera che
dal Senato.
La promulgazione delle leggi è invece la fase del procedimento
legislativo che attribuisce efficacia alla legge, la quale una volta
approvata è perfetta ma non efficace. Il Governo trasmette la
legge al Presidente della Repubblica il quale promulga la legge
stessa. In sostanza, il Presidente della Repubblica controlla il
testo della legge sotto il profilo formale e sostanziale, avendo il
potere di rinviare per una sola volta il testo di legge con un
messaggio motivato alle camere ad esempio per ragioni di
illegittimità costituzionale ma non certo per ragioni attinenti al
merito politico della legge riguardanti le scelte squisitamente
politiche esercitate dal Parlamento nell’esercizio della sovranità
popolare45 46.
44
Cioè quando lo richieda il Governo, o un decimo dei componenti della Camera o un
quinto dei componenti della Commissione.
45 Va segnalato che l’atto di promulgazione e l’eventuale messaggio di rinvio devono
essere controfirmati dal Governo, il quale così assume la responsabilità politica di un tale
atto. Non solo. Il rinvio può essere compiuto una sola volta perché se le Camere approvano
nuovamente la legge, questa deve essere promulgata. Il potere di rinvio non è un potere di
veto, ma una forma di controllo con richiesta di riesame, superabile dal Parlamento con la
riapprovazione della legge stessa. Si veda l’art. 74 della Costituzione.
46 Può essere utile precisare che, mutuando dalla categoria delle leggi la qualifica di leggi
rinforzate o atipiche, si possono avere, più in generale, fonti rinforzate o atipiche essendo
22
Gli atti con forza di legge sono invece atti normativi che si
trovano nella scala gerarchica allo stesso livello delle leggi
formali47 e dunque possiedono la stessa forza attiva ossia la forza
di modificare atti paritetici o inferiori ed hanno la stessa forza
passiva ossia possono resistere alle modificazioni provenienti da
altri atti inferiori potendo essere abrogati solo dalla legge
formale o da altri atti aventi forza di legge.
Il decreto legislativo rappresenta l’atto con forza di legge con cui
il Governo esercita, in via eccezionale, la funzione legislativa in
virtù di una delega conferitagli dal Parlamento.
questo un concetto adattabile a tutti i gradi della gerarchia e non soltanto a quello delle fonti
primarie.
Le leggi rinforzate sono quelle per le quali la Costituzione stessa prevede una riserva di
legge rinforzata per procedimento ed al contempo hanno un contenuto particolare e
specifico.
Essa consiste nel fatto che o il procedimento di formazione del progetto di legge è più
complesso o è più complesso l’intero iter del procedimento.
Si pensi ai casi dei procedimenti volti ad approvare le leggi per l’amnistia e l’indulto,
disciplinato dall’art. 79 della Costituzione, o al caso previsto dall’art. 116 della
Costituzione in tema di riconoscimento a determinate Regioni di forme e condizioni
particolari di autonomia.
Nella scala gerarchica, tali leggi si collocano in una posizione particolare perché
possiedono, come forza attiva, la capacità di abrogare solo leggi aventi il medesimo
contenuto e, come forza passiva, quella di essere abrogate solo da leggi formate con quello
specifico procedimento.
Ulteriore esempio di leggi rinforzate, anche se non più statali ma regionali, è rappresentato
dagli Statuti delle Regioni ordinarie, i quali statuti, a differenza come si è detto degli Statuti
delle Regioni a Statuto speciale, vengono adottati con legge regionale rinforzata, cioè
approvata a maggioranza dei suoi componenti con due deliberazioni successive adottate ad
intervallo non minore di due mesi.
Alla stregua del procedimento di revisione costituzionale, è inoltre previsto che, entro tre
mesi dalla pubblicazione, lo statuto sia assoggettabile a referendum, definito tecnicamente
nel caso di specie, approvativo o sospensivo perché lo Statuto sottoposto a referendum non
è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi. La pubblicazione in
questione è di natura meramente notiziale e dunque diversa da quella che si avrà, decorso il
termine di tre mesi, sul BUR a seguito della promulgazione da parte del Presidente della
Repubblica (si veda sul punto la sentenza della Corte Costituzionale n. 304/2002).
Va anche ricordato che lo statuto può essere impugnato davanti alla Corte Costituzionale
dal Governo entro trenta giorni dalla sua pubblicazione.
Vale soffermarsi, per completezza, sul contenuto degli Statuti in questione. Ad essi la
Costituzione riserva sia la disciplina della forma di governo sia i principi fondamentali di
organizzazione e di funzionamento.
In sostanza, lo Statuto funge da limite sia per le leggi dello Stato sia per le leggi regionali,
alle quali esso è gerarchicamente sovraordinato: di qui la qualifica di legge rinforzata.
47 Va aggiunto tuttavia che proprio gli atti aventi forza di legge, quali i decreti delegati,
sono anche qualificati come fonti subprimarie solo per il fatto che la loro validità non è solo
dipendente dalle norme contenute nella Costituzione ma anche dal rispetto dei principi
contenuti nelle leggi delegate stesse. Si tratta delle cosiddette “norme interposte “ si veda Il
sistema costituzionale delle fonti, in Digesto Discipline Pubblicistiche, pag. 428, e al
riferimento sul punto a G. Zagrebelsky in “Processo costituzionale”, Enc. Dir., XXXVI,
23
Proprio in considerazione della deroga alla regola secondo la
quale la funzione legislativa è esercitata dal Parlamento, il
Governo, o meglio il Consiglio dei ministri, esercita il proprio
potere solo se a ciò delegato e nei limiti di quanto previsto dalla
legge di delega.
La legge di delega ha la caratteristica di essere soggetta a riserva
di legge formale adottata con il procedimento ordinario.
La legge di delega ha contenuti necessari che sono identificati
dall’art. 76 della Costituzione nell’oggetto definito, nel tempo
limitato entro il quale il decreto deve essere emanato, nei
principi e criteri direttivi ai quali il decreto delegato deve
attenersi.
Qualora la legge di delega violi i parametri ad essa indicati dalla
Costituzione essa è inficiata da un vizio di illegittimità
costituzionale48 e conseguentemente viziati sono i decreti
delegati emanati in virtù di essa.
Quanto al decreto legislativo delegato esso viene approvato su
proposta del Ministro competente con delibera del Consiglio dei
Ministri ed emanato dal Presidente della Repubblica49.
Il decreto legge è l’atto con forza di legge che il governo adotta,
di sua iniziativa, in casi particolari ossia in casi straordinari di
necessità ed urgenza: al Parlamento è riservato il controllo
successivo50 tramite legge di conversione.
Milano, 1987, 548 e segg., nonché a Sandulli in “Fonti del Diritto”, in NN.D.I.,VII, Torino,
1961, 524.
48 I vincoli posti alla legge di delega sono che la delega deve essere conferita soltanto con
legge formale: si tratta di una riserva di legge formale e di una riserva di assemblea.
Ancora. La delega può essere conferita soltanto al Governo inteso nella sua collegialità.
Infine, la legge di delega ha un contenuto necessario. Essa deve indicare un contenuto, un
oggetto definito; la delega deve essere data per un periodo limitato di tempo e deve fornire i
principi e i criteri direttivi.
49 Va segnalato che il decreto legislativo viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale come tale
mentre, prima della legge 400/1988, veniva pubblicato come Decreto del Presidente della
Repubblica potendo ingenerare confusione sul grado della fonte stessa.
50 La gran parte della dottrina reputa che le tre condizioni poste dalla Costituzione vadano
lette unitariamente. Per casi straordinari si devono intendere quei casi legati a circostanze
24
Il decreto legge, la cui disciplina principale è nell’art. 77 della
Costituzione,
entra
in
vigore
immediatamente
dopo
la
pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Esso, tuttavia, perde efficacia fin dall’inizio se il Parlamento non
lo converte in legge entro 60 giorni dalla sua pubblicazione.
Il decreto legge è approvato con deliberazione del Consiglio dei
Ministri, quindi l’emanazione del Presidente della Repubblica e
l’immediata pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale51.
Il decreto legge viene presentato alle Camere, le quali anche se
sciolte si devono riunire per la conversione, entro cinque giorni
dalla sua pubblicazione.
Se non convertito, il decreto legge decade, con il che vengono
travolti, ex tunc, tutti gli effetti medio tempore prodotti.
I rimedi che lo stesso art. 77 della Costituzione offre nel caso in
cui si vogliano preservare comunque gli effetti prodotti dal
decreto legge consistono nella legge di sanatoria del Parlamento
ossia una legge formale che permette di regolare i rapporti
giuridici sorti sulla base di decreti non convertiti oppure nel
provvedimento reiterativo del governo adottato sotto la sua
responsabilità52.
La legge di conversione può convertire con o senza
emendamenti un decreto legge avendosi in questo caso
imprevedibili ed eccezionali; di necessità nel senso che non è possibile provvedere con
strumenti legislativi ordinari; e di urgenza nel senso che rende indispensabile produrre
immediatamente quegli effetti. In realtà l’interpretazione della norma costituzionale è stata
piuttosto estensiva si veda per un approfondimento sul punto R. Bin e G. Pitruzzella, op. già
citata, pag. 341.
51 Anche in questo caso è l’art. 15 della Legge n. 400/88 che va a completare la disciplina
dei decreti legge prevedendo in particolare la denominazione di decreto legge per la
pubblicazione in Gazzetta; quindi l’indicazione delle circostanze straordinarie di necessità e
di urgenza; l’avvenuta deliberazione del Consiglio dei Ministri ed infine la clausola di
presentazione al Parlamento per la conversione in legge.
52 Si tratta di responsabilità politica. La reiterazione dei decreti legge consiste nel fatto che
il Governo allo scadere dei 60 giorni reitera un decreto legge in scadenza in modo che la
precarietà di un decreto viene trasformata in stabilità perlatro limitata ai successivi 60
giorni. La Corte Costituzionale con sentenza n. 360/1996 ha bloccato la prassi della
reiterazione ed è intervenuta in tema di emendamenti.
25
novazione della fonte perché sono le norme della legge di
conversione a retroagire al momento dell’entrata in vigore del
decreto legge.
Altrimenti la legge di conversione può incidere sul decreto con
emendamenti di varia natura. Essa può sopprimere parzialmente
il decreto legge con emendamenti, detti soppressivi, con effetto
identico alla mancata conversione e conseguente decadenza ex
tunc del decreto; oppure
potrà sostituire il decreto legge
attraverso l’uso degli emendamenti sostitutivi oppure ancora la
legge di conversione potrà apportare modifiche al testo del
decreto con emendamenti aggiuntivi, che opereranno solo per il
futuro nel rispetto del principio di irretroattività; infine, possono
essere utilizzati emendamenti modificativi ossia quando le
disposizioni del decreto legge vengono parzialmente modificate
dalla legge di conversione operando anche in questo caso il
principio di irretroattività.
Ciascuna delle Camere adotta regolamenti per la disciplina
dell’organizzazione e del funzionamento delle Camere stesse
(art. 64 Cost.): essi sono fonti di natura primaria, inferiori solo
alla Costituzione, ed espressione di competenza riservata alle
Camere stesse53.
Per previsione costituzionale, si collocano nell’ambito delle fonti
primarie anche le leggi regionali, emanate dalle Regioni ossia da
enti dotati di autonomia statutaria e normativa e che sono fonti
nel nostro ordinamento in virtù del principio di competenza.
53
Gli altri regolamenti di organi Costituzionali, quali il Governo ed il Presidente della
Repubblica, si ritiene non abbiano la stessa caratteristica di fonti alla pari dei regolamenti
parlamentari. Allo stesso modo dibattuta è la natura dei regolamenti della Corte
Costituzionale. Si veda sull’argomento R. Bin e G. Pitruzzella. In Diritto Costituzionale,
2005, a pag. 353.
26
In particolare, la disciplina dell’autonomia legislativa proviene
dal testo dell’art. 117 della Costituzione nel suo testo oggi
vigente a seguito della riforma del titolo V della Costituzione54.
Esso prevede che vi sia potestà legislativa esclusiva dello Stato
su una serie di materie quali ad esempio gli affari esteri,
l’immigrazione, la giurisdizione.
Inoltre esso prevede che vi sia potestà legislativa concorrente
delle Regioni su un elenco di materie quali ad esempio la tutela e
la sicurezza sul lavoro, la tutela della salute, il governo del
territorio55.
In queste ultime materie, la legislazione dello Stato detta i
principi fondamentali della materia lasciando alla legislazione
regionale il compito di dettare la disciplina specifica56.
Per tutte le altre materie non esplicitamente indicate le Regioni
hanno la residua competenza a legiferare57.
Quanto
alla
potestà
legislativa
delle
Regioni
speciali
tradizionalmente più accentuata rispetto a quella delle Regioni a
statuto ordinario, va detto, in via incidentale, che gli Statuti delle
Regioni speciali, adottati con leggi costituzionali, e ancora
vigenti in attesa di ricevere adeguamento alla riforma del Titolo
54
V. legge costituzionale n. 3 del 18.10.01
Prima della riforma invece venivano elencate dalla Costituzione le materie su cui le
Regioni avevano la potestà legislativa concorrente aggiungendo che le leggi statali potevano
delegare ulteriori competenze.
56 Anche a questo proposito come già si è detto per il rapporto fra leggi di delega e decreti
delegati, va segnalato che le leggi regionali, nell’ambito della potestà legislativa
concorrente, devono rispettare non soltanto dunque i parametri costituzionali ma anche le
leggi dello Stato che vengono definite leggi cornice in quanto contengono i principi
fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato: di qui la classificazione di fonti sub primarie.
Le leggi cornice rappresentano sotto questo profilo “norme interposte”.
57 E’ evidente la macchinosità del sistema di ripartizione delle competenze, anche alla luce
del nuovo testo dell’art. 117 della Costituzione come segnalato con opportuni
approfondimenti a pag. 373 e segg. del testo già citato a cura di R. Bin e G. Pitruzzella. E’
il caso degli obblighi internazionali, delle interferenze statali nelle materie regionali, della
sussidiarietà, della successione delle leggi nel tempo, della potestà legislativa delle Regioni
speciali.
55
27
V,
riconoscono
alle
Regioni
potestà
esclusiva, potestà
concorrente e potestà attuativa58.
Le leggi regionali sono leggi ordinarie formali il cui
procedimento è disciplinato dalla Costituzione, dallo Statuto ed
infine dal Regolamento interno del consiglio regionale.
Il procedimento consta dell’iniziativa in capo alla Giunta, ai
consiglieri Regionali, ai soggetti individuati dallo Statuto quali il
corpo elettorale e gli enti locali, dell’approvazione, quasi sempre
con maggioranza relativa, in Consiglio Regionale secondo il
criterio delle commissioni in sede referente, ma talvolta anche
redigente, della promulgazione da parte del Presidente della
Regione con pubblicazione sul Bollettino Ufficiale delle
Regione.
Anche le leggi regionali sono soggette al controllo di legittimità
da parte della Corte Costituzionale nell’ambito della definizione
dei “conflitti di attribuzione”, ovvero dei conflitti generati da
“invasioni di campo” della legislazione statale in settori di
competenza regionale, o delle regioni in settori di competenza
statale. Risulta dunque chiaro, come già detto, che tra
legislazione statale e legislazione regionale non esiste un
rapporto gerarchico, bensì un rapporto di competenza: non sono
cioè l’una sovraordinata all’altra, ma ciascuna possiede un
proprio ambito di competenza nel quale esplicarsi e ad essa
riservato.
Alle leggi regionali sono equiparate le leggi provinciali emanate
dalle Province Autonome di Trento e di Bolzano.
Il referendum abrogativo59 è espressione di democrazia diretta in
quanto il popolo esercita direttamente la propria sovranità senza
58
Si veda nota 48.
Dalla Corte costituzionale con sentenza n. 29/1987 è stato definito “un atto fonte
dell’ordinamento dello stesso rango della legge ordinaria”
59
28
la mediazione delle rappresentanze elettive; con esso viene
attribuita alla minoranza la possibilità di incidere su disposizioni
di legge o di atti aventi forza di legge, abrogandole.
La disciplina concreta di questo istituto viene affidata dall’art.
75 della Costituzione alla legge ordinaria che ha provveduto
soltanto nel 1970 con la legge n. 352.
Il procedimento inizia o con la richiesta popolare di almeno
500.000 elettori o con la richiesta regionale di almeno 5 Consigli
Regionali. Quindi l’Ufficio centrale per il referendum presso la
Cassazione valuta la conformità alla legge dei quesiti depositati.
Ancora, i quesiti dichiarati legittimi vengono trasmessi alla
Corte Costituzionale per il giudizio di ammissibilità, una volta
dichiarato il quale, il Presidente della Repubblica fissa il giorno
delle elezioni.
Il referendum ha esito positivo se al voto prende parte la
maggioranza degli aventi diritto al voto e se i sì superano i no, in
caso di esito negativo, lo stesso quesito non potrà essere
riproposto se non dopo 5 anni.
L’effetto del referendum consiste nell’abrogazione, dichiarata
dal Presidente della repubblica con D.P.R., pubblicato in G.U.,
avente effetto dal giorno successivo alla data di pubblicazione
stessa60.
Le fonti secondarie, cioè subordinate alla legge ed agli atti aventi
forza di legge nella scala gerarchica, sono i regolamenti, i quali
non possono contenere norme contrarie alle disposizioni di
legge, secondo quanto previsto dall’art. 4 delle Preleggi.
E’ opportuno precisare che il Presidente della Repubblica può ritardare l’entrata in
vigore della abrogazione fino a 60 giorni dalla sua pubblicazione. La procedura descritta si
interrompe per essere ripresa dopo un anno dalle nuove elezioni, se le Camere vengono
anticipatamente sciolte oppure nel caso in cui prima dello svolgimento del referendum la
legge venga abrogata.
60
29
Si tratta di atti sostanzialmente legislativi ma formalmente
amministrativi tra i quali si possono ricomprendere i regolamenti
governativi, ministeriali e più in generale amministrativi,
regionali e degli enti locali.
Il loro fondamento si rinviene nella legge ordinaria.
La
Costituzione
invece
non
disciplina
direttamente
i
regolamenti, i quali non sono pertanto una categoria chiusa.
Tuttavia, la Costituzione indirettamente pone argini all’uso dei
regolamenti da parte della legge ponendo le riserve di legge che
possono essere, come detto, relative o assolute.
Sempre la Costituzione dispone che i regolamenti siano fonti a
competenza limitata perché stabilisce, con la riforma del Titolo
V, il principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni
regolamentari con la conseguenza che il Governo può emanare i
regolamenti soltanto nelle materie nelle quali lo Stato ha
competenza legislativa esclusiva.
Per quanto riguarda i regolamenti statali si distinguono i
regolamenti governativi ed i regolamenti ministeriali, che non
possono contenere norme contrarie ai regolamenti governativi,
come previsto dall’art. 17 della legge n. 400/1988.
La distinzione investe anche il procedimento: infatti i
regolamenti governativi vengono deliberati dal Consiglio dei
Ministri, previo parere obbligatorio ma non vincolante del
Consiglio di Stato, quindi emanati con decreto dal Presidente
della Repubblica ed infine per essere efficaci devono essere
vistati e registrati dalla Corte dei Conti e, soltanto dopo,
vengono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.
I regolamenti ministeriali sono invece emanati, previo parere del
Consiglio di Stato e previa comunicazione al Presidente del
Consiglio dei Ministri, dal Ministro competente, quindi sono
30
controllati dalla Corte dei Conti e pubblicati in Gazzetta
Ufficiale.
I regolamenti governativi hanno la forma del Decreto del
Presidente della Repubblica, mentre i regolamenti ministeriali
hanno la forma dei Decreti Ministeriali: tutti comunque vengono
pubblicati come regolamenti, proprio per distinguerli dai meri
decreti governativi o ministeriali.
Attualmente, a seguito della riforma del Titolo V della
Costituzione avvenuta con legge costituzionale n. 1/1999 61, il
principio di parallelismo tra funzioni legislative e regolamentari
impone al Governo di emanare regolamenti nelle sole materie in
cui lo Stato ha la potestà legislativa esclusiva. Così alle Regioni
resta un potere regolamentare generale in tutte le altre materie,
oltre ad un potere delegato dallo Stato di tipo amministrativo.
Nell’ambito della gerarchia delle fonti regionali, i regolamenti
sono soggetti alle leggi regionali a loro volta soggette allo
Statuto.
Infine, il regolamento degli enti locali è lo strumento tipico di
normazione secondaria cui è affidata l’organizzazione dell’ente
ma anche la disciplina delle materie di sua competenza 62. Il ruolo
dei regolamenti degli enti locali a seguito della riforma
dell’articolo 117 della Costituzione è divenuto più significativo
nel senso che è la stessa Costituzione a riconoscere l’autonomia
regolamentare degli enti locali, la quale resta pur tuttavia
assoggettata alle leggi dello Stato e della Regione.
Gli Statuti degli enti locali ricevono rilevanza costituzionale in
conseguenza della pariordinazione di Comuni, Province, Città
61
Prima della riforma era la stessa Costituzione a prevedere che il potere regolamentare
fosse attribuito ai consigli Regionali ossia all’organo legislativo. Sono comunque gli Statuti
Regionali a disciplinare titolarità e modi di esercizio della potestà regolamentare. Gli Statuti
delle Regioni a Statuto Speciale hanno invece sempre riconosciuto il potere regolamentare
in capo alla Giunta.
31
metropolitane, Regioni e Stato. La loro autonomia normativa è
comunque sottordinata alla legge statale e regionale.
La consuetudine, che abbiamo già collocato tra le fonti fatto, può
essere secundum legem quando viene richiamata espressamente
dalla legge, prater legem ossia quando vi sia una lacuna
nell’ordinamento ed allora lo spazio vuoto viene riempito dagli
usi come accade frequentemente in tema di commercio.
Non è invece ammessa nel nostro ordinamento la consuetudine
contra legem perché essa deve essere sempre subordinata ad un
atto di produzione normativa. La fonte fatto non può operare in
contrasto con le fonti atto.
Essa è infatti fonte ammessa nel nostro ordinamento sulla base
della lettura data, a contrario, dell’art. 8 delle preleggi secondo il
quale “nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi
hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati” 63.
A conclusione di questa disamina del sistema delle fonti, va
aggiunto che un altro criterio per la loro classificazione è il
principio di esclusività.
In virtù di tale principio, lo Stato sovrano, esercitando il potere
esclusivo di riconoscere le proprie fonti permette che le norme,
prodotte da fonti di altri ordinamenti, operino nel nostro
ordinamento divenendo quindi norme interne.
Le fonti di altri ordinamenti saranno produttive di norme nel
nostro ordinamento attraverso il meccanismo del rinvio.
Sul punto non è possibile trattenerci oltre: dobbiamo solo
ricordare che molta parte del nostro ordinamento interno riceve
disciplina dal necessitato recepimento di direttive della
Comunità, come per esempio tutto il Settore Lavori Pubblici.
62
Si pensi ad esempio ai regolamenti edilizi.
32
Sul punto, rinviamo alla trattazione specifica del tema.64
E’ il caso dei rapporti con la comunità Europea e con le fonti
comunitarie.
Lo Stato italiano rientra nella Comunità Europea, la quale è un
ordinamento che possiede un proprio sistema di fonti delineato
dai propri Trattati istitutivi.
Si tratta di quelle fonti che sono produttive di norme applicabili
nel nostro ordinamento in virtù del principio di competenza, ma
indipendentemente da un provvedimento di ricezione della fonte
nel nostro ordinamento.
Si tratta in sostanza di fonti che sono e restano estranee al nostro
sistema: le norme comunitarie non possono essere infatti incluse
nel catalogo delle fonti del diritto italiano65.
In breve, si reputa opportuno un cenno a tali fonti, non senza
aver detto che le norme comunitarie godono di tutela
costituzionale, in virtù dell’art. 11 della Costituzione, secondo il
quale l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati,
alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che
Dall’art. 10 comma 1 della Costituzione si ricavano altresì le consuetudini internazionali
ossia quelle norme che non trovano la loro fonte nei trattati ma nel diritto non scritto
considerato obbligatorio da tutti gli Stati.
64 Il rinvio può essere fisso, materiale e recettizio quando viene richiamato un atto e si
impone l’applicazione delle norme in esso contenute come se fossero norme interne. Le
eventuali variazioni apportate all’atto cui si rinvia cioè all’atto recepito sono indefferenti e
dunque l’atto viene applicato come tale.
Il rinvio mobile detto formale o non recettizio implica invece il richiamare non uno
specifico atto ma una fonte. Per questa ragione in questo caso vi è un adeguamento
automatico a tutte le modifiche che nell’altro ordinamento si producono nella normativa
posta dalla fonte richiamata.
Quanto sopra permette di svolgere un’ulteriore considerazione.
Fino ad ora si è detto del rinvio a singole fonti o a singoli atti normativi, ma cosa diversa è
se ad essere richiamato come fonte di produzione sia un sistema autonomo e completo di
fonti.
Si può porre in questo caso un problema di rapporti con altri ordinamenti, che possiedano
appunto un loro sistema di fonti.
65 La legge n. 86/1989 stabilisce che il Parlamento italiano approvi annualmente una legge
comunitaria per adeguare la legislazione nazionale ai regolamenti ed alle direttive
comunitarie. Sulla natura e sui rapporti delle fonti comunitarie con quelle interne si veda ad
esempio E. Spagna Musso, in Diritto costituzionale, pag. 288 e segg., 1990 ed ancora G.
Gaja, in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, “Fonti Comunitarie”, pag. 433 e segg.
63
33
assicuri la pace e la giustizia. fra le Nazioni”, e della
interpretazione che di esso è stata data.
Infatti, la copertura costituzionale dell’art. 11 permette ad
esempio agli atti di normazione primaria della comunità europea,
quali i regolamenti, di prevalere sulle leggi ordinarie interne
nonostante l’esecuzione dei Trattati istitutivi delle Comunità sia
avvenuta con leggi ordinarie e non costituzionali.
Tra le fonti del diritto comunitario troviamo i Trattati, i
Regolamenti, le Direttive e le Decisioni66.
Il Trattato di Roma del 1957 (così come integrato dalle
disposizioni del Trattato di Maastricht del 7.2.1992, reso
esecutivo con legge n. 454 del 3.11.1992, a sua volta integrato
con i successivi trattati di Nizza del 26.2.2001 e di Amsterdam
del 2.10.1997, resi esecutivi rispettivamente con le leggi n. 102
del 11.5.2002 e n. 209 del 16.6.1998).
è quello istitutivo della Comunità europea ed ha la stessa natura
che la Costituzione possiede nell’ambito delle fonti interne.
Le disposizioni del Trattato si rivolgono agli Stati membri, ma
ciò non esclude, secondo l’interpretazione della Corte di
Giustizia, che in virtù di esse sorgano comunque situazioni
giuridiche soggettive per persone fisiche e giuridiche.
Esiste in sostanza un effetto diretto delle norme del Trattato che
non esime comunque gli stati membri dall’attuare le norme ad
essi dirette.
Il regolamento, ai sensi dell’art. 189 del Trattato CEE, è
obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in
ciascuno degli Stati membri; esso ha una portata generale.
Il sistema delle fonti comunitarie è stato elaborato anche dall’attività interpretativa della
Corte di giustizia Europea, la quale svolge questa funzione sulla base dell’art. 177 del
Trattato.
66
34
E’ pubblicato in Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea ed
entra in vigore a seguito di una vacatio legis di venti giorni,
periodo quest’ultimo che può essere anche più breve.
Il fatto che si tratti di un atto direttamente applicabile significa
che esso è destinato ad operare senza nessun atto di attuazione.
Tuttavia, esiste la possibilità esplicita o implicita che il
regolamento stesso necessiti di una normativa statale di
attuazione, ai fini della sua più piena attuazione, senza tuttavia
che tale normativa interna si possa sostituire al regolamento
stesso.
Nonostante il regolamento sia un atto normativo completo, l’art.
189 non disegna una gerarchia tra fonti e dunque esso si trova in
posizione paritaria rispetto alle altre fonti comunitarie.
Le Direttive, sempre ai sensi dell’art. 189 del Trattato, vincolano
soltanto gli Stati membri e li vincolano per il risultato da
raggiungere entro termini prestabiliti, salva restando la
competenza degli organi nazionali, in fase di attuazione, in
merito alla forma ed ai mezzi.
Le direttive diventano operanti a seguito di notificazione e
vengono comunque pubblicate nella GUCE.
Esiste una riserva di competenza a favore degli Stati membri,
anche se è invalsa una prassi invasiva di tale riserva da parte
delle istituzioni comunitarie stesse attraverso l’uso delle direttive
dettagliate.
Comunque la normativa posta in essere dallo Stato membro non
diviene parte del diritto comunitario per il fatto di essere
emanata in attuazione di una direttiva.
Circa poi gli effetti diretti delle direttive, anche nel caso di
scadenza del termine posto allo stato per il suo adempimento, va
detto che la Corte di giustizia ha ritenuto inesistenti effetti
35
orizzontali ossia una diretta applicabilità nei confronti di persone
fisiche o giuridiche in quanto essa è un atto che si rivolge
unicamente agli Stati membri quali destinatari.
Ai sensi dell’art. 189, le decisioni sono obbligatorie in tutti i loro
elementi per i destinatari designati siano essi stati membri o
singoli a seguito della notificazione.
Sempre ai sensi dell’art. 189 troviamo le raccomandazioni e i
pareri che non sono vincolanti per i destinatari, ma ciò non
significa che esse non producano effetti per esempio, sempre
secondo la Corte, sul piano dell’interpretazione di norme
nazionali.
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