AF_2015-16_Modulo 5_Aporetica dell`AF

Modulo 5
Aporetica
dell'Antropologia filosofica
Antropologia e filosofia
Pur avendo guadagnato con i precedenti tre approcci all’AF, la
corrispondenza tra antropologia e filosofia, va però osservato che
storicamente
1) la filosofia si è applicata ad investigare l’area extra-umana
della metafisica articolandola nelle discipline:
- Metaphysica generalis o ontologia, che tratta dell’essere in
quanto tale e
- Metaphysicae speciales, a loro volta suddivise in:
.Psychologia, volta allo studio dell’anima;
.Cosmologia, volta allo studio del mondo;
.Theologia, volta allo studio di Dio;
2) fino alla nascita dell’antropologia filosofica moderna, nel XX
sec., la filosofia non ha messo a tema l’uomo in se stesso,
quale entità ontologica unitaria o sfera autonoma d’essere.
La metafisica
** μετά τά φυσικά (metà tà physikà) = ciò che viene dopo la fisica
a) Denominazione biblioteconomica che indicava la posizione dei
libri di Philosophia Prima di Aristotele, nella biblioteca di
Alessandria d’Egitto, la più grande e celebre dell’antichità, andata
distrutta nel periodo ellenistico a causa di un incendio e oggi
ricostruita. Tali libri erano collocati: «dopo i libri di fisica»
b) Poiché, poi, nella Philosophia Prima, Aristotele si poneva i
problemi relativi al senso del mondo fisico nell’intero dell’essere,
si cominciò a parlare di «metafisica» con riferimento ad una
disciplina conoscitiva che affronta le problematiche relative al
senso delle cose, elaborando sistemi simbolici d’essere. Infatti, noi
uomini possiamo apprendere, solo in quanto tutto ciò che
apprendiamo rientra nell’orizzonte d’essere che abbiamo ovvero:
è/non è.
Antropologia e filosofia (1)
Fino al XX secolo, la filosofia si è occupata dell’uomo
considerandolo un essere tra gli altri, seppure particolare e perciò
applicandosi soprattutto a riscontrare in lui fattori già analizzati e
descritti in sede di trattazione generale dell’essere.
P. es.:
- secondo Aristotele l’uomo è una sostanza composta dall’elemento
materiale e da quello spirituale, cioè è «sinolo di materia e forma»;
-per Cartesio l’uomo è composto di res cogitans e res extensa unite
dalla ghiandola pineale (dualismo antropologico cartesiano);
- per Spinoza l’uomo è un «modo» dell’unica sostanza.
Antropologia e filosofia (2)
Nel nostro procedere alla ricerca del significato dell’aggettivo
«filosofica» che qualifica la nostra disciplina, ci imbattiamo così in
un problema imprevisto:
l’accostamento dell’aggettivo «filosofica» ad «antropologia»
comporta forse l’autocontraddizione di trattare dell’uomo in modo
extra-umano?
Poiché, infatti, la filosofia si è storicamente occupata dell’uomo solo
metafisicamente, sorge il sospetto che proprio quando l’uomo,
spontaneamente, cioè dando seguito alle istanze di ricerca di
senso più caratteristiche della sua natura, si spinge a investigare
su di sé in modo filosofico, proprio allora di sé non parla più
tematicamente, almeno fino al XX secolo d. C., allorchè, ai nostri
giorni, dalla crisi della metafisica è sorta l’antropologia filosofica.
Antropologia e filosofia (3)
Per dissipare il sospetto
che l'antropologia filosofica abbia imboccato
una «via senz'uscita» (= aporetica),
incorrendo nell' autocontraddizione,
di voler trattare l'uomo con metodologia extra-umana,
non abbiamo altra via che
quella di addentrarci nella storia della filosofia,
fino a raggiungere il suo momento di origine.
Origine della filosofia I
Il tipo di sguardo conoscitivo, filosofico, sulla realtà si
è sviluppato spontaneamente tra i Greci del VII sec. a.
C., dove ad opera di Talete di Mileto la realtà tutta, fino
ad allora rappresentata in termini mitologici o praticoreligiosi, fu investita da un interrogativo originale e
radicale, che chiedeva quale fosse l’αρχή πάντων
(=archè pànton) ovvero il principio di tutte le cose, da
cui scaturiva l’ordine razionale dell’universo.
Origine della filosofia II
Come mai si è sviluppato un tale investimento conoscitivo,
filosofico, della realtà?
Evidentemente, non del tutto soddisfacente risultava la forma
in cui l’energia vitale dell’istinto di potenza, che nei viventi
presiede tanto alla conoscenza quanto all’azione, si era fino a quel
momento configurata negli uomini, conducendo Talete ad osservare
le stelle, misurare i terreni ed esprimere massime morali.
Proprio un tale senso di insoddisfazione lo spinse a un vissuto
d’arresto, la meraviglia - in greco: θαυμάζειν (=thaumàzein) - e a
trarre da sé, riflessivamente, una modalità di intenzionamento
conoscitivo mai vista prima: quella che si interroga sul principio
di tutte le cose e mira a descriverle secondo un ordine plausibile,
in cui ognuna abbia il suo posto all’interno di un senso
complessivo ovvero elaborando una rappresentazione simbolica
della totalità dell’essere, a partire dal principio primo individuato.
La meraviglia
Quando qualcosa si manifesta come conoscitivamente
inoltrepassabile, suscitandoci un senso di ignoranza e di incertezza,
come dice Aristotele (Met., A, 2, 982b 20), il filosofare sorge ad
esigere che taccia la vitale smania acquisitiva di conoscenze e si lasci
spazio ad un ritorno riflessivo sul già noto, che prelude alla teoresi.
Questo semplice vissuto d’arresto oltrepassa, nel suo stesso
spontaneo manifestarsi, i limiti del flusso istintivo-vitale, che pure lo
supporta. Esso può essere suscitato da qualunque oggetto, anche il
più abituale e in qualunque momento, al contrario di quanto accade
alla curiosità, istinto di potenza che nelle scimmie antropoidi è
innescato invece da tutto quanto esula dalla routine consuetudinaria.
La meraviglia consente che si compia l’atto a priori con cui la
coscienza assume un punto di vista che prima non aveva mai
raggiunto, essendo stata impegnata a conseguire conoscenze che
attenevano alle necessità di vita, all’agiatezza e al benessere, come
avverte ancora Aristotele (Met., A, 2, 982b 22-24).
Talete I
Talete formulò una risposta naturalistica all’interrogativo
filosofico appena inaugurato, affermando, secondo la testimonianza
di Aristotele, che principio di tutto è l’acqua.
Talete partiva
«dalla constatazione che il nutrimento di tutte le cose è l’umido e
che perfino il caldo si genera dall’umido e vive nell’umido. Ora, ciò
da cui tutte le cose si generano è, appunto, il principio di tutto.
Egli desunse dunque questa convinzione da questo e inoltre dal
fatto che i semi di tutte le cose hanno una natura umida e l’acqua è
il principio della natura delle cose umide»
(ARISTOTELE, Metafisica, A 3, 983b 23-27; tr.
it. di G. Reale, Rusconi, Milano 1998, pp. 16-17).
Talete II
Rispetto al nostro problema, di come accostare
all’antropologia l’aggettivo «filosofica», visto che storicamente il
filosofico non sembra riguardare l’antropologico in modo
specifico,
non è tanto importante la risposta che Talete ha fornito alla
domanda sul principio di tutte le cose,
risposta del resto rapidamente integratasi con l’àpeiron
(άπειρον=indeterminato) di Anassimandro o con l’aria di
Anassimene,
quanto la prospettiva conoscitiva inedita così inaugurata.
Talete III
Anche secondo Nietzsche:
«Talete contemplò l’unità di ciò che è, e quando volle
comunicare la sua intuizione, parlò dell’acqua!»
(F. NIETZSCHE, Die Philosophie im tragischen Zeitalter der Griechen, in
Nietzsche Werke. Kritische Gesamtausgabe, a cura di G. Colli e M. Montinari,
III2, p. 311; tr. it. di G. Colli, La filosofia nell’epoca tragica dei greci, in
Nietzsche Opere Complete, III2, p. 285).
Talete IV
Di Talete ci interessa scoprire l’intenzionalità
ovvero il vissuto filosofico di trascendenza, messo in
atto, nella sua ricerca del principio di tutte le cose.
Questo vissuto, costitutivo e specie-specifico
dell’umano, è ciò che vogliamo apprendere
dall’antropologia filosofica, per riscoprirlo in noi e
rimetterlo all’opera di questi tempi in cui sembra che
abbiamo dimenticato chi siamo veramente.
Come procede la filosofia
Essa segue il metodo della ricerca del «principio di tutte le cose»
(αή ά =archè pànton), attraverso il quale, a partire
dall’individuazione di un principio primo, si strutturano sistemi di
senso-d’essere, nel cui ambito ciascun ente può trovare la sua
posizione adeguata.
Il sistema non si può mai considerare chiuso o definitivo, perché essendo soddisfatto solo dalla condizione della totalità, che noi ci
rappresentiamo come un’idea, ma non possediamo mai attualmente - la
comparsa di nuovi enti rimette continuamente in discussione la
primalità del principio, di cui va sempre di nuovo verificata la capacità
di rendere ragione di ciò che appare alla ribalta della storia, cioè della
totalità di volta in volta ri-costituentesi.
Filosofia e simbolizzazione
Nel filosofare si manifesta la radice antropologica di ogni
simbolizzazione d’essere.
Filosofando, infatti, ci protendiamo lungo le linee intenzionali
dell’idea di totalità dell’essere, per cui tutto quanto i nostri organi di
senso recepiscono viene reso in forma d’essere e collocato nella
posizione più appropriata nell’ambito dell’orizzonte di senso che si
configura a partire dal principio di tutte le cose di volta in volta in
vigore.
P. es.: per i filosofi ionici, che ritenevano principi di tutte le cose
gli elementi naturali, quali l’acqua, la terra, il fuoco, l’aria, tutto il
contenuto dell’esperienza si strutturava in termini di “natura
animata”.
Per i moderni, il cui orizzonte di senso si è costruito a partire
dalle scoperte astronomico-fisiche, tutto il contenuto dell’esperienza
si struttura invece in termini di “forze inanimate”.
L’antropologia filosofica I
Possiamo a questo punto concludere che
l’antropologia filosofica è
il discorso razionale che l’uomo fa su di sè,
secondo il metodo
della ricerca del principio di tutte le cose,
scoperto e inaugurato da Talete nel VII sec. a. C.,
metodo che risponde alla intenzionalità
antropologica più propria,
quella che si interroga sul senso di ogni esperienza
(= funzione “meta-”, intenzionalità, istanza di
trascendenza)
L’antropologia filosofica II
L’antropologia filosofica mette a fuoco il suo oggetto di
conoscenza, l’uomo
– sia ricercandone il principio proprio, l’essenza (=ciò per cui
ogni uomo è uomo; ciò che rende riconoscibile l’uomo, in
qualunque condizione spazio-temporale si trovi e comunque
sfigurato o deprivato)
– sia contestualizzando tale essenza nell’ambito dell’essere
nella sua interezza
cioè :
1) cogliendo la relazione che l’essere-uomo ha con l’essere in
quanto tale, investigato dalla metaphysica generalis o ontologia
2) individuando la posizione che l’ente-uomo assume nell’ambito
della gerarchia ontologica, corrispondente alle metaphysicae
speciales ovvero psicologia, cosmologia, teologia.
L’antropologia filosofica III
Considerando l’uomo filosoficamente, cioè secondo la
intenzionalità* metafisica**, l’antropologia filosofica rende
ragione e risponde alla domanda di senso che l’uomo si pone
riguardo a se stesso e riguardo a tutto ciò che è.
Infatti l’orizzonte di senso in cui solamente gli enti possono darsi,
si costituisce sulla base dell’intenzionalità “filosofica” di
trascendenza, volta al principio di tutte le cose, individuato
nell’essere, da Parmenide in poi (cfr. Appendice I).
*= atto di protensione “inesistente” (Brentano) della coscienza
tra polo soggettivo e polo oggettivo
** metà tà physikà =oltre la fisica, ovvero riguardante i principi e le
questioni di senso del mondo fisico
Antropologia filosofica IV
Uscita dall'aporetica
L’antropologia filosofica, dunque, solo in apparenza incorre
nella situazione aporetica di occuparsi dell’uomo in modo extraumano, cioè filosofico-metafisico.
Infatti non c’è tipologia conoscitiva più radicalmente
umana di quella filosofico-metafisica.
In essa, è la stessa esigenza di trascendenza o funzione
“meta”, costitutiva dell’umano nel suo andare alla ricerca del
senso di sé e del mondo,
a farsi metodo di indagine.