Limba Italiană - Universitatea din Craiova

PROGRAMA ANALITICĂ
Disciplina: LIMBA ITALIANĂ
Specializarea: Română – Italiană
Anul I ID, Semestrele I-II
Titularul disciplinei: Conf. univ. dr. ELENA PÎRVU
Limba Italiană
Denumirea disciplinei
Codul disciplinei
3
Semestrul
Facultatea
Litere
Profilul
Filologie
Specializarea
Română - Italiană
I, II
Numărul de credite
Numărul orelor pe
an / activităţi
Total
SI TC AT AA
56
36
Categoria formativă a disciplinei: DF - fundamentală, DG - generală,
DS - de specialitate, DE - economică/managerială, DU - umanistă
Categoria de opţionalitate a disciplinei: DI - impusă, DO - opţională,
DL - liber aleasă (facultativă)
Discipline
anterioare
Obiective
Conţinut
(descriptori)
Obligatorii
(condiţionate)
Recomandate
8
8
12
DF
DI
-
- însuşirea de către studenţi a cunoştinţelor de bază de fonetică şi
fonologie italiană;
- însuşirea de către studenţi a caracteristicilor fiecărei părţi de vorbire;
- însuşirea de către studenţi a deprinderilor de a se exprima corect în
limba italiană.
I. FONETICĂ şi FONOLOGIE
1. L’alfabeto italiano
2. I fonemi dell’italiano. Le vocali. Le consonanti. La scrittura delle
consonanti. La lettera “h”. Le semiconsonanti e le semivocali. Le lettere
straniere
3. I dittonghi e i trittonghi
4. Lo iato
5. L’accento
6. La divisione in sillabe
7. I fenomeni fonetici di collegamento. L’elisione. Il troncamento. La
prostesi. Il raddoppiamento fonosintattico. La “d eufonica”
II. MORFOLOGIE
1. L’articolo
1.1. L’articolo determinativo
1.2. L’articolo indeterminativo
1.3. Usi particolari dell’articolo. L’articolo con i nomi di persona.
L’articolo con i cognomi dei personaggi famosi. L’articolo con i nomi
geografici. L’articolo con i nomi dei giorni e dei mesi. L’articolo con i
nomi di parentela. Omissione dell’articolo.
1.4. La posizione dell’articolo.
1.5. L’articolo partitivo.
1.6. Le preposizioni articolate.
2. Il nome
2.1.Classificazione dei nomi.
2.2. Il genere del nome. Falsi cambiamenti di genere.
2.3. La formazione del femminile. I nomi mobili. I nomi indipendenti.
I nomi di genere comune. I nomi di genere promiscuo.
2.4. Formazione del plurale. Nomi in -a. Nomi in -o. Nomi in -e. Nomi
invariabili. Nomi difettivi. Nomi sovrabbondanti. Plurale dei nomi
composti.
3. L’aggettivo
3.1. Funzioni dell’aggettivo
3.2. Categorie dell’aggettivo
3.3. L’aggettivo qualificativo. Genere e numero dell’aggettivo
qualificativo. Posizione dell’aggettivo qualificativo. Concordanza
dell’aggettivo qualificativo. Nominalizzazione dell’aggettivo
qualificativo. L’aggettivo con valore avverbiale. La struttura degli
aggettivi qualificativi. Gradi dell’aggettivo qualificativo. Comparativi e
superlativi organici. Comparativi e superlativi privi di grado positivo.
Aggettivi che non hanno il comparativo e il superlativo. Superlativi
sostantivati e nomi al superlativo.
3.4. Gli aggettivi determinativi o indicativi. Gli aggettivi possessivi. Gli
aggettivi dimostrativi. Gli aggettivi indefiniti. Gli aggettivi interrogativi.
Gli aggettivi esclamativi. Gli aggettivi numerali.
4. Il pronome
4.1. Classificazione
4.2. I pronomi personali. I pronomi personali soggetto. I pronomi
personali complemento. I pronomi allocutivi. I pronomi personali
riflessivi. “Si” impersonale e “si” passivante. Forme atone
polifunzionali: ci, vi, ne.
4.3. I pronomi possessivi
4.4. I pronomi dimostrativi
4.5. I pronomi indefiniti
4.6. I pronomi relativi
4.7. I pronomi interrogativi ed esclamativi
5. Il verbo
5.1. Classificazione. Il significato e la funzione dei verbi. Il genere dei
verbi: verbi transitivi e verbi intransitivi.
5.2. La forma del verbo.Forma attiva e passiva. Forma riflessiva. Forma
intransitiva pronominale. I verbi impersonali.
5.3. Le “variabili” del verbo. La persona, il numero e il genere. Il modo.
Il tempo. L’aspetto.
5.4. I verbi di “servizio”. I verbi ausiliari. L’uso degli ausiliari con i verbi
intransitivi. La concordanza del participio passato con gli ausiliar essere e
avere. I verbi servili. I verbi fraseologici. I verbi causativi.
5.5. Il verbo secondo la flessione: le coniugazioni. La coniugazione dei
verbi ausiliari. La coniugazione attiva. La coniugazione passiva. La
coniugazione riflessiva. I verbi difettivi. I verbi irregolari.
5.6. Uso dei modi e dei tempi. Il modo indicativo e i suoi tempi. Il modo
congiuntivo e i suoi tempi. Il modo condizionale e i suoi tempi. Il modo
imperativo. L’infinito e i suoi tempi. Il participio e i suoi tempi. Il
gerundio e i suoi tempi.
6. L’avverbio
6.1. Posizione dell’avverbio.
6.2. Formazione e classificazione degli avverbi. Gli avverbi di modo. Gli
avverbi di luogo. Gli avverbi di tempo. Gli avverbi di giudizio. Gli
avverbi di quantità. Gli avverbi interrogativi ed esclamativi. Gli avverbi
presentativi.
6.3. I gradi dell’avverbio
6.4. L’alterazione degli avverbi
7. La preposizione
7.1. Classificazione.
7.2. Le preposizioni proprie. La preposizione di. La preposizione a. La
preposizione da. La preposizione in. La preposizione con. La
preposizione su. La preposizione per. Le preposizioni tra e fra.
8. La congiunzione
8.1. Classificazione
8.2. Le congiunzioni coordinative
8.3. Le congiunzioni subordinative
9. L’interiezione. 9.1.Onomatopee
Forma de evaluare (E - examen, C - colocviu / test final, LP - lucrări de control)
E
Stabilirea
- răspunsurile la examen / colocviu / lucrări practice
50%
notei
- activităţi aplicative atestate / lucrări practice/ proiect etc.
finale
- teste pe parcursul semestrului
25%
(procentaje)
- teme de control
25%
Bibliografie
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con
generală
nozioni di linguistica, Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995.
Elena Pîrvu; Ramona Vasile; Aurelian Velea, La lingua italiana.
Fonetica. Fonologia. Morfologia, Craiova, Editura AIUS, 2001.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi),
Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET
Libreria, 1989.
Legenda: SI - studiu individual, TC - teme de control, AT - activităţi tutoriale,
AA - activităţi aplicative aplicate
SUPORT DE CURS
Disciplina: LIMBA ITALIANĂ
(Fonetică, Fonologie. Morfologie)
Anul I ID, Semestrele I-II
Titularul disciplinei: Conf. univ. dr. ELENA PÎRVU
INDICE
I. FONETICA e FONOLOGIA
1. I fonemi dell’italiano
1.1. Le vocali
1.2. Le consonanti
1.3. La lettera “h”
2. L’accento
3. I fenomeni fonetici di collegamento
3.1. L’elisione
3.2. Il troncamento
3.3. Il raddoppiamento fonosintattico
II. MORFOLOGIA
1. L’articolo
1.1. L’articolo determinativo
1.2. L’articolo indeterminativo
1.3. L’articolo partitivo
1.4. Le preposizioni articolate
2. Il nome
2.1. La formazione del femminile
2.1.1. I nomi mobili
2.1.2. I nomi indipendenti
2.1.3. I nomi di genere comune
2.1.4. I nomi di genere promiscuo
2.2. Formazione del plurale
3. L’aggettivo
3.1. L’aggettivo qualificativo
3.1.1. Genere e numero dell’aggettivo qualificativo
3.1.2. Gradi dell’aggettivo qualificativo
3.2. Gli aggettivi determinativi o indicativi
3.2.1. Gli aggettivi possessivi
3.2.2. Gli aggettivi dimostrativi
3.2.3. Gli aggettivi interrogativi
3.2.4. Gli aggettivi esclamativi
4. Il pronome
4.1. I pronomi personali
4.1.1. I pronomi personali complemento
4.1.2. I pronomi allocutivi
4.1.3. I pronomi personali riflessivi
4.1.3.1. “Si” impersonale e “si” passivante
4.1.4. Forme atone polifunzionali: ci, vi, ne
4.2. I pronomi possessivi
4.3. I pronomi dimostrativi
4.4. I pronomi relativi
4.5. I pronomi interrogativi ed esclamativi
5. Il verbo
5.1. La forma del verbo
5.2. I verbi di “servizio”
5.2.1. I verbi ausiliari
5.2.2. I verbi servili
5.2.3. I verbi fraseologici
5.2.4. I verbi causativi
5.3. Uso dei modi e dei tempi
5.3.1. Il modo indicativo e i suoi tempi
5.3.2. Il modo congiuntivo e i suoi tempi
5.3.3. Il modo condizionale e i suoi tempi
5.3.4. Il modo imperativo
5.3.5. L’infinito e i suoi tempi
5.3.6. Il participio e i suoi tempi
5.3.7. Il gerundio e i suoi tempi
6. L’avverbio
6.1. Gli avverbi di modo
6.2. Gli avverbi di luogo
6.3. Gli avverbi di tempo
6.4. Gli avverbi di giudizio
6.5.Gli avverbi di quantità
6.6. Gli avverbi interrogativi ed esclamativi
6.7. Gli avverbi presentativi
7. La preposizione
7.1. La preposizione di
7.2. La preposizione a
7.3. La preposizione da
7.4. La preposizione in
7.5. La preposizione con
7.6. La preposizione su
7.7. La preposizione per
7.8. Le preposizioni tra e fra
8. La congiunzione
8.1. Le congiunzioni coordinative
8.2. Le congiunzioni subordinative
9. L’interiezione
9.1.Onomatopee
I. FONETICA e FONOLOGIA
1. I fonemi dell’italiano
La divisione più comune dei suoni linguistici, secondo il modo d’articolazione, è
quella tra vocali e consonanti.
I suoni vocalici si pronunciano modificando la posizione della cavità orale, mentre
l’aria che sale dai polmoni fa vibrare le corde vocali ed esce dalla bocca senza incontrare
chiusure e ostacoli. I suoni consonantici si ottengono quando l’aria che esce dai polmoni
incontra l’ostacolo delle labbra, della lingua, dei denti che modificano l’emissione del suono,
permettendo di formulare consonanti diversi.
L’italiano ha un sistema che comprende 28 fonemi: 7 vocalici, 21 consonantici.
1.1. Le vocali
In italiano, i grafemi vocalici sono cinque: a, e, i, o, u.
Essi esprimono sette suoni differenti, poiché e ed o toniche dispongono di due suoni
diversi, uno aperto, pronunciato con suono largo e indicato con accento fonico grave (copèrta,
mèrito, còsa, stòria), e uno chiuso, pronunciato con suono stretto e indicato con accento
fonico acuto (mése, stélla, concórso, erróre).
L’accento fonico (acuto o grave) non è, di norma, segnalato; nei casi di dubbio, si può
ricorrere a un dizionario generale, o a uno specifico, ortografico o ortoepico.
La distinzione tra la pronuncia aperta o chiusa delle vocali e ed o toniche è,
essenzialmente, un fatto di proprietà espressiva. Nella pronuncia dell’italiano di molte regioni
(Italia settentrionale, Lazio, Italia meridionale, Sardegna) questa differenza è assente, oppure
è distribuita in modo diverso nelle parole.
1.2. Le consonanti
I 21 suoni consonantici dell’italiano si distinguono in base ai seguenti tratti distintivi:
il modo di articolazione, il luogo di articolazione e il grado di articolazione.
a) In base al modo di articolazione, che indica il modo in cui si verifica la chiusura o il
restringimento, si distinguono in:
 occlusive (o esplosive o momentanee), che si articolano mediante una chiusura
completa del canale fonatorio seguita da una fuoriuscita improvvisa dell’aria: /p/, /b/, /t/, /d/,
/k/, /g/;
 continue (o costrittive o fricative), che si articolano mediante un restringimento
del canale fonatorio e una fuoriuscita continua dell’aria: /f/, /v/, /s/, /z/, /∫/;
 affricate (o semiocclusive), che si articolano mediante la combinazione di una fase
di chiusura (occlusiva) e di una successiva di parziale apertura (continua) del canale fonatorio:
/ts/, /dz/, /t∫/, /dз/;
 vibrante, che si articola facendo vibrare più volte la punta della lingua: /r/;
 laterali, che si articolano facendo fuoriuscire l’aria dai lati della lingua,
appoggiando la punta della stessa sulla parte interna degli alveoli superiori: /l/, /λ/;
 nasali, che si articolano facendo penetrare il flusso dell’aria nelle fosse nasali; /m/,
/n/, /η/.
b) In base al luogo di articolazione, che indica il luogo della cavità orale interessato
dalla chiusura o dal restringimento, si distinguono in:
 bilabiali, articolate sulle labbra: /p/, /b/, /m/;
 labiodentali, articolate fra i denti superiori e il labbro inferiore: /f/, /v/;
 dentali, articolate fra la punta della lingua e i denti incisivi superiori: /t/, /d/, /n/;
 alveolari, articolate fra la punta della lingua e le gengive: /s/, /z/, /l/, /r/, /ts/, /dz/;
 palatali, articolate fra la lingua e il palato: /∫/, /λ/, /η/, /t∫/, /dз/;
 velari, articolate fra la lingua e il palato: /k/, /g/.
c) In base al grado di articolazione, cioè in base al comportamento delle corde vocali
durante l’emissione del flusso d’aria, si distinguono in:
 sorde, articolate senza vibrazione delle corde vocali: /p/, /t/, /k/, /f/, /s/, /∫/, /ts/, /t∫/;
 sonore, articolate con vibrazione delle corde vocali: /b/, /d/, /g/, /v/, /z/, /l/, /r/, /λ/,
/m/, /n/, /η/, /dz/, /dз/.
1.3. La lettera “h”
In italiano, la lettera h non rappresenta alcun suono; è solo un segno grafico o, come si
dice di solito, una lettera muta. Essa si usa:
– per formare i digrammi ch e gh, cioè per rendere duro (o velare) il suono di c e g
seguite dalle vocali e od i: pacchetto, rischio, ghepardo, ghianda;
– nella prima, seconda e terza persona singolare e nella terza persona plurale del verbo
avere: ho, hai, ha, hanno, per distinguerle dalla congiunzione o, dalla preposizione semplice
a, dalla preposizione articolata ai e dal sostantivo anno;
– in alcune interiezioni, per metterne in evidenza il valore esclamativo e suggerire
l’idea del prolungamento del suono: ah, ahi, eh, oh ecc.;
– in parole o espressioni latine passate in italiano: habeas corpus, habitat, habitus,
herpes, homo sapiens, humus ecc.;
– in parole italiane derivate da parole o da cognomi stranieri: handicappato (‘portatore
di handicap’), hockeista (‘giocatore di hockey’), hertziano (dal nome del fisico H. R. Hertz),
hegelismo ed hegeliano (dal nome del filosofo G. W. F. Hegel) ecc.;
– in numerosi stranierismi: hippy, hi-fi, hostess ecc.
2. L’accento
In quasi tutte le parole che vengono pronunciate quando si parla, esiste una sillaba che
assume un particolare rilievo sonoro rispetto alle altre.
La vocale di questa sillaba viene pronunciata con un rafforzamento dell’emissione di
aria. Questo rafforzamento è detto accento (o anche accento tonico).
L’italiano è una lingua ad accento libero, in quanto quest’ultimo può cadere su
qualsiasi sillaba. A seconda della posizione dell’accento le parole si dividono in:
– tronche od ossitone, con l’accento sull’ultima sillaba: virtù, caffè, sarà ecc.;
– piane o parossitone, con l’accento sulla penultima sillaba: passare, nazione ecc.;
– sdrucciole o proparossitone, con l’accento sulla terzultima sillaba: classifica,
psicologo, sillaba, trappola ecc.;
– bisdrucciole, con l’accento sulla quartultima sillaba: scivolano, scrivimelo ecc.;
– trisdrucciole, con l’accento sulla quintultima sillaba: recitamelo, telefonamelo ecc.
Quasi tutte le parole in italiano hanno il proprio accento. Le parole atone, cioè prive si
accento, hanno una sola sillaba e si appoggiano sulla parola che segue (proclitiche) o su
quella che precede, con cui si uniscono (enclitiche).
Sono parole atone gli articoli determinativi e indeterminativi, le particelle pronominali
(mi, ti, si, ci, vi, ne, lo, la, li, le, gli), le congiunzioni e, o, ma, se, gli avverbi ci, vi, ne, non, le
preposizioni.
L’italiano distingue tra l’accento tonico, proprio di ogni parola (a parte quei
monosillabi che nella pronuncia si appoggiano alla parola seguente o a quella precedente), e
l’accento grafico, che si usa solo in certi casi nella scrittura, in corrispondenza dell’accento
tonico. Quindi, tutte le parole hanno un accento tonico, ma solo alcune hanno anche l’accento
grafico.
I segni usati dall’ortografia italiana per indicare la vocale tonica di una parola sono (´ )
per l’accento acuto, che si mette sulla e e sulla o chiuse, e ( `) per l’accento grave, che si
mette sulla e e sulla o aperte e sulle altre tre vocali.
È obbligatorio segnare l’accento:
– sulle parole tronche di due o più sillabe: caffè, libertà, canterò (futuro di cantare),
portò (passato remoto di portare) ecc.;
– su alcuni monosillabi che contengono un dittongo ascendente: ciò, già, giù, più ecc.;
– su altri monosillabi, per distinguerli da parole uguali nella pronuncia o nella
scrittura, ma di significato diverso:
è (voce del verbo essere)
e (congiunzione)
lì (avverbio di luogo)
li (pronome personale)
né (congiunzione)
ne (pronome, avverbio)
tè (nome)
te (pronome personale) ecc.
– sui composti di che: benché, finché, giacché, perché, poiché ecc.;
– sui composti di blu, re, su, tre: rossoblù, quassù, viceré, ventitré ecc.
3. I fenomeni fonetici di collegamento
Quando parliamo, pronunciamo le varie parole che compongono il nostro discorso
l’una dietro l’altra, collegandole più o meno strettamente in gruppi abbastanza compatti,
seguendo una certa intonazione e un certo ritmo, scandito dagli accenti tonici.
Per effetto di questa compattazione in gruppi, le parole, nei punti in cui vengono in
contatto le une con le altre nell’ambito dei vari gruppi, subiscono delle modifiche che i
linguisti chiamano fenomeni fonetici di collegamento o anche fenomeni di fonetica
sintattica, in quanto sono dovuti agli incontri di fonemi che si trovano collegati all’interno di
una sequenza ordinata di parole.
In italiano, i più importanti fenomeni fonetici di collegamento sono: l’elisione, il
troncamento, la prostesi e il raddoppiamento fonosintattico.
3.1. L’elisione
L’elisione consiste nella caduta della vocale finale atona di una parola di fronte alla
vocale iniziale della parola successiva (h- non fa difficoltà, poiché ha solo valore diacritico, è
come non ci fosse). Nella scrittura, l’elisione si indica con l’apostrofo, che prende il posto
della vocale elisa.
In italiano, l’elisione si ha con:
– gli articoli determinativi lo e la e le preposizioni composte con tali articoli: l’estate,
dell’amica, dall’Asia, nell’interno;
La regola non si applica mai davanti ai dittonghi inizianti per i-: lo iodio.
– l’articolo indeterminativo una: un’attrice, un’amica;
– i pronomi personali atoni lo, la, solo se la perdita della desinenza maschile o
femminile non genera ambiguità: l’aspetto, l’ho già letto, l’ho guardata;
– gli aggettivi dimostrativi questo e quello, obbligatoriamente al singolare maschile:
quest’anno, quell’uomo, non necessariamente al singolare femminile: quest’amica, quell’idea
(ma anche questa amica, quella idea);
– gli aggettivi bello e santo, obbligatoriamente al singolare maschile: bell’uomo,
Sant’Andrea, non necessariamente al singolare femminile: bell’amica, sant’Ilaria (ma anche
bella amica, Santa Ilaria);
– gli aggettivi alcuna, ciascuna e nessuna: ciascun’occasione, nessun’amica;
– l’avverbio di luogo ci davanti alle forme del verbo essere che iniziano per e: c’è,
c’era, c’erano ecc.
L’elisione è facoltativa, ma abbastanza frequente con:
– le particelle pronominali mi, ti, si, vi e ne: non m’importa, t’aspettavo;
– l’avverbio e la congiunzione come: com’è, com’era, com’adesso;
– la preposizione di, specialmente davanti a i: d’inverno, d’argento;
– la preposizione da, ma solo in certe locuzioni, come: d’ora in poi, d’altronde;
– la congiunzione anche, davanti ai pronomi personali: anch’io, anch’essi.
L’elisione è poco frequente con altro/altra, buona, grande, mezzo/mezza,
povero/povera, quando, quattro, senza, tutto/tutta, salvo che in alcune formule fisse, come
mezz’ora, pover’uomo, quand’anche, a quattr’occhi, senz’altro, tutt’al più, tutt’altro.
3.2. Il troncamento
Il troncamento consiste nella caduta della vocale o della sillaba finale di una parola
davanti ad una parola che comincia per vocale o per consonante. Si ha in parole che terminano
con la e o la o atona preceduta da una l, r, m, n, davanti a parole che iniziano per vocale o
consonanti differenti da x, y, z, s impura e dai gruppi gn, pn, ps.
In genere, al plurale non si ha troncamento: buon uomo, ma buoni uomini.
Diversamente dall’elisione, il troncamento, tranne poche eccezioni, non è segnalato
dall’apostrofo.
In italiano, il troncamento si ha:
– con l’articolo indeterminativo maschile uno e gli aggettivi indefiniti alcuno,
ciascuno, nessuno: un amico, un cane, in alcun modo nessun operaio;
– con l’aggettivo buono, al maschile singolare: buon uomo, buon gusto;
– con gli aggettivi quello, bello e santo, al maschile singolare e soltanto davanti a
parola che inizia per consonante: quel viale, bel tempo, San Francesco;
– con l’aggettivo grande, davanti a nomi maschili e femminili inizianti per
consonante: gran dolore, gran casa;
– con i nomi signore, professore, dottore, ingegnere, cavaliere, frate e suora, usati
come apposizione: il signor Rossi, il professor Ferretti, fra Cristoforo, suor Maria.
Il troncamento è frequente, ma non obbligatorio:
– con gli aggettivi tale e quale: un tal uomo, un tal personaggio, qual è, la qual cosa;
Con quale è preferibile usare la forma piena, specialmente davanti a consonante.
– in alcune locuzioni verbali, anche se il troncamento suona oggi piuttosto affettato:
andar via, aver sonno, star male, voler bene ecc.;
– con le parole amore, bene, cavallo, fiore, fine, male ecc., quando sono usate in
particolari locuzioni, come: amor proprio, ben detto, ben fatto ecc.
Il troncamento viene indicato con l’apostrofo nei seguenti casi:
– con po’ (per poco): un po’ stanco, un po’ di vino;
– con da’, di’, sta’, fa’, va’, le forme troncate delle seconde persone singolari
dell’imperativo dei verbi dare, dire, stare, fare, andare.
3.3. Il raddoppiamento fonosintattico
Il raddoppiamento fonosintattico è il fenomeno per cui una consonante iniziale di
parola, quando è preceduta da determinate parole che terminano in vocale, può subire una
intensificazione di pronuncia. Questo fenomeno si verifica soprattutto nell’Italia centromeridionale.
Il raddoppiamento fonosintattico si ha:
– dopo un monosillabo tonico, anche se non porta l’accento grafico: sto bene  sto
bbene, è vero  è vvero, ho visto  ho vvisto;
– dopo alcuni monosillabi atoni, come a, e, o, da, ma, se, che, chi, tra, fra: a Roma 
a rroma, chi sei?  chi ssei?, fra di noi  fra ddi noi;
– dopo una parola tronca: sarò breve  sarò bbreve; un caffè forte  un caffè fforte;
– dopo le parole piane come, dove, qualche, sopra: dove vai?  dove vvai?
Il raddoppiamento fonosintattico è un fenomeno che riguarda essenzialmente la
pronuncia, ma talvolta è registrato anche dalla grafia. Ciò succede:
– con le forme prefissali contra-, sopra- e sovra-: contraddire, soprattutto;
– con le congiunzioni e, o, né: ebbene, ossia, nemmeno, neppure;
– con le preposizioni a, da, fra, su: atterrare, davvero, frattanto, supporre;
– con gli avverbi là, qua, più, sì (e così): lassù, quaggiù, piuttosto, siffatto, cosiddetto.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu; Ramona Vasile; Aurelian Velea, La lingua italiana. Fonetica. Fonologia.
Morfologia, Craiova, Editura AIUS, 2001, pp. 8-19.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica,
Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 668-701.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 3-63.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Descrivere le vocali italiane.
2. Come si classificano le consonanti italiane secondo il modo di articolazione?
3. Come si classificano le consonanti italiane secondo il luogo di articolazione?
4. Qual è l’uso di h?
5. In quali casi si deve segnare l’accento tonico sulle parole?
6. Quando l’elisione è obbligatoria?
7. Quando l’elisione è facoltativa?
8. Definire il troncamento e quando è obbligatorio.
9. Cos’è il raddoppiamento fonosintattico?
10. Quando si ha la tendenza al raddoppiamento fonosintattico?
11. In quali casi il raddoppiamento fonosintattico si evidenzia graficamente e come?
II. MORFOLOGIA
1. L’articolo
La lingua italiana presenta tre tipi di articolo: determinativo, indeterminativo e
partitivo.
1.1. L’articolo determinativo
L’articolo determinativo indica una cosa ben definita, che si presuppone già nota.
In italiano, l’articolo determinativo si accorda in genere e in numero con il nome cui
si riferisce e presenta forme diverse a seconda di come inizia la parola che segue (che non è
necessariamente il nome a cui l’articolo è sintatticamente collegato).
In particolare, si usano:
- gli articoli il e i, con i nomi maschili, davanti a parole che cominciano per
consonante (eccetto x, y, z, s impura e i gruppi consonantici gn, pn, ps, sc): il bambino - i
bambini, il bravo scolaro - i bravi scolari;
- gli articoli lo e gli, con i nomi maschili, davanti a parole inizianti per s impura, x, y,
z, gn, pn, ps, sc, e davanti alle semivocali i e j: lo sbaglio - gli sbagli, lo psicologo - gli
psicologi, lo zio - gli zii, lo iato - gli iati, lo gnomo - gli gnomi, lo jugoslavo - gli jugoslavi.
Davanti a parole inizianti per vocale, l’articolo lo si elide in l’: l’ospite - gli ospiti.
- gli articoli la e le, con tutti i nomi femminili: la casa - le case, la iena - le iene.
Davanti a parole inizianti per vocale, la forma la si elide in l’: l’amica - le amiche.
1.2. L’ articolo indeterminativo
L’articolo indeterminativo introduce il nome cui si riferisce lasciandolo su un piano
di genericità e di indeterminatezza:
Quando vieni portami un giornale. (“un giornale qualsiasi”)
In italiano, l’articolo indeterminativo ha soltanto il singolare, maschile e femminile.
Si accorda quindi solo per genere con il nome cui si riferisce e, inoltre, presenta forme diverse
a seconda di come inizia la parola che lo segue immediatamente.
In particolare, si usano:
- l’articolo un, con i nomi maschili singolari, quando la parola che segue inizia con
una vocale o con una consonante diversa da x, y, z, s impura, e dai gruppi gn, pn, ps: un
amico, un ottimo strumento, un ragazzo;
- l’articolo uno, con i nomi maschili singolari, quando la parola che segue comincia
per x, y, z, s impura, gn, pn, ps, oppure per le semivocali i o j: uno sbaglio, uno xilofono, uno
zio, uno studente, uno gnomo, uno pneumatico, uno psicologo, uno iato, uno jugoslavo;
- l’articolo una, con i nomi femminili singolari, quando la parola che segue comincia
con una consonante o con le semivocali i e j: una ragazza, una iena, una jugoslava.
Davanti a una vocale, l’articolo una si elide, ma sempre più raramente, in un’:
un’amica, un’arma, un’attenta lettura.
1.3. L’articolo partitivo
L’articolo partitivo indica una parte indeterminata, una certa quantità di un tutto
divisibile. Indica cioè che la quantità designata dal nome che accompagna non è considerata
nella sua totalità, ma solo in parte.
Formato dall’unione fra l’articolo determinativo e la preposizione di, l’articolo
partitivo presenta tutte le forme articolate della preposizione di: del, dello, della, dell’, dei,
degli, delle.
Al singolare, l’articolo partitivo equivale, per significato, alle espressioni: un po’ di,
una certa quantità di, un certo numero di: Ho comprato del pane (= un po’ di pane).
Al plurale, l’articolo partitivo equivale ad alcuni, alcune o qualche e sostituisce il
plurale dell’articolo indeterminativo un, che non esiste: Ho trascorso il tempo leggendo dei
giornali (= alcuni giornali).
1.4. Le preposizioni articolate
Nell’ambito dei vari complementi che caratterizzano la frase, l’articolo determinativo
è preceduto da una delle preposizioni di, a, da, in, su, con, e si unisce con esse dando luogo
alle cosiddette preposizioni articolate.
Naturalmente, a ogni forma dell’articolo determinativo corrisponde una forma di
preposizione articolata, come appare anche dalla seguente tabella:
di
a
da
in
su
con
il
del
al
dal
nel
sul
col
lo
dello
allo
dallo
nello
sullo
collo
la
della
alla
dalla
nella
sulla
colla
l’
dell’
all’
dall’
nell’
sull’
coll’
i
dei
ai
dai
nei
sui
coi
gli
degli
agli
dagli
negli
sugli
cogli
le
delle
alle
dalle
nelle
sulle
colle
Per quanto riguarda le preposizioni articolate formate da con, occorre distinguere tra
l’uso scritto e l’uso parlato. Nella lingua scritta si preferiscono in genere le forme staccate con
il, con la, con i ecc.; tra le forme unite si usa ancora col, mentre le altre hanno un carattere
letterario. Nella lingua parlata, invece, prevalgono le preposizioni articolate col, colla, coi,
cogli ecc., che sono più facili da pronunciare:
Quella donna chiacchiera sempre con i passanti.
Le forme articolate della preposizione per si trovano solo nel linguaggio letterario.
Oggi si usano le forme staccate per il, per la ecc.:
Il volo è stato rimandato per la fitta nebbia.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu; Ramona Vasile; Aurelian Velea, La lingua italiana. Fonetica. Fonologia.
Morfologia, Craiova, Editura AIUS, 2001, pp. 30-36.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica,
Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 149-161.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 161-189.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Indicare gli usi delle forme dell’articolo determinativo.
2. Indicare gli usi delle forme dell’articolo indeterminativo.
3. Definire l’articolo partitivo.
4. Indicare le forme delle preposizioni articolate.
2. Il nome
2.1. La formazione del femminile
I nomi di cosa hanno un genere grammaticale fisso, determinato dall’uso linguistico:
essi, perciò, sono sempre maschili o femminili, e non possono subire trasformazioni nel
genere. Invece, i nomi che designano esseri animati possono avere i due generi, maschile e
femminile, a seconda che indichino un essere di sesso maschile o un essere di sesso
femminili.
A seconda di come avviene il passaggio dalla forma maschile alla corrispondente
forma femminile, i nomi che indicano esseri animati si suddividono in:
- nomi mobili: il sarto / la sarta; lo spettatore / la spettatrice;
- nomi indipendenti: il padre / la madre;
- nomi di genere promiscuo: il leopardo maschio / il leopardo femmina;
- nomi di genere comune: il preside / la preside.
2.1.1. I nomi mobili
La maggior parte dei nomi di esseri animati sono mobili, cioè passano dal maschile al
femminile mediante il cambiamento della desinenza o l’aggiunta di un suffisso, senza
modificare la radice o con modifiche minime determinate dalla necessità di conservare, ad
esempio, il suono velare di c o di g (duca  duchessa). Così:
- I nomi che al maschile terminano in -o passano al femminile prendendo la desinenza
-a: il figlio - la figlia, il gatto - la gatta.
- I nomi che al maschile terminano in -a formano di norma il femminile aggiungendo
al tema il suffisso -essa: il poeta - la poetessa, il duca - la duchessa.
- I nomi che al maschile terminano in -e formano il femminile in due modi diversi.
Alcuni mutano la desinenza -e in -a: il signore - la signora, il padrone - la padrona.
Altri, per lo più indicanti professioni, cariche o titoli nobiliari e nomi di animali,
aggiungono al tema il suffisso -essa: lo studente - la studentessa, il principe - la principessa,
il leone - la leonessa.
Altri, infine, presentano la stessa forma per il maschile e per il femminile e sono,
quindi, nomi di genere comune: il nipote - la nipote, il cantante - la cantante.
- I nomi che al maschile terminano in -tore (i cosiddetti nomi di agente) formano il
femminile, per lo più, in -trice: lo scrittore - la scrittrice, il pittore - la pittrice.
Il nome dottore presenta al femminile la forma dottoressa.
- I nomi che al maschile finiscono in -sore (anch’essi nomi d’agente) sono adoperati
raramente al femminile, ottenuto aggiungendo la desinenza -itrice alla radice del verbo da cui
derivano: il difensore - la difenditrice, il possessore - la posseditrice.
Professore fa professoressa (questo è l’unico sostantivo in -sore che ha una forma
femminile molto comune nell’uso).
- Formano il femminile al di fuori degli schemi sopra registrati o modificando
sostanzialmente la radice: il dio - la dea, il doge - la dogaressa, l’eroe - l’eroina, l’abate - la
badessa, il re - la regina, il cane - la cagna, lo stregone - la strega, il gallo - la gallina ecc.
2.1.2. I nomi indipendenti
Sono detti indipendenti i nomi che presentano la caratteristica di avere forme di
maschile e di femminile derivanti da radici completamente diverse, come in: il padre - la
madre, il toro - la vacca, il marito - la moglie, il fratello - la sorella, il montone - la pecora.
In questa categoria rientrano anche gli aggettivi celibe (l’uomo non coniugato) e
nubile (la donna non coniugata), che sono spesso usati come sostantivi.
2.1.3. I nomi di genere comune
Alcuni nomi presentano un’unica forma per il maschile e per il femminile. Con essi
solo il contesto (l’articolo, l’eventuale desinenza degli aggettivi e dei participi passati che li
accompagnano o la presenza nella frase di un nome dal genere naturale ben definito) permette
di capire se ci si riferisce a un essere di genere maschile o femminile: Mi ha scritto una
lontana parente; L’omicida è stata condannata.
Alla categoria dei nomi di genere comune appartengono:
- alcuni nomi in -e: il nipote - la nipote, il custode - la custode;
- i nomi che rappresentano la forma sostantivata di participi presenti: il cantante - la
cantante, un insegnante - un’insegnante;
- alcuni nomi in -a: un ipocrita - un’ipocrita, il collega - la collega;
- i nomi in -ista e in -cida: un artista - un’artista, il giornalista - la giornalista, un
omicida - un’omicida, il suicida - la suicida.
I nomi dei primi due gruppi sono ambigeneri non solo al singolare, ma anche al
plurale: il cantante / la cantante - i cantanti / le cantanti.
Per gli altri nomi, invece, la comunanza del genere è limitata esclusivamente al
singolare, giacché nel plurale essi presentano forme diverse per il maschile e per il femminile:
il collega / la collega - i colleghi / le colleghe.
2.1.4. I nomi di genere promiscuo
Tra i nomi di animali, alcuni si comportano come nomi mobili (orso / orsa; leone /
leonessa) e altri come nomi indipendenti (fuco / ape; toro / vacca). La maggior parte dei nomi
di animali, però, sono di genere promiscuo, hanno cioè un’unica forma, maschile o
femminile, per indicare tanto il maschio quanto la femmina: la giraffa, la panterra, la volpe,
la rondine ecc.; il corvo, il delfino, il leopardo, il serpente ecc.
In questi casi, per distinguere il genere “naturale” si aggiunge maschio o femmina: il
leopardo maschio / il leopardo femmina; la volpe maschio / la volpe femmina; oppure: il
maschio del leopardo / la femmina del leopardo.
Ci sono poi dei nomi zoologici che possono essere maschili e feminili, sempre nella
medesima forma: il serpe - la serpe, il lepre - la lepre.
Tuttavia il maschile non si usa solo per il maschio e il femminile solo per la femmina,
ma entrambi si adoperano sia per l’uno sia per l’altra. Perciò anche qui, se si vuole
distinguere, bisogna specificare il sesso e dire: il lepre maschio - il lepre femmina, la lepre
maschio - la lepre femmina.
2.2. Formazione del plurale
Dal punto di vista morfologico, la differenza tra i nomi singolari e i nomi plurali è
marcata per lo più da una diversa desinenza. Ma ci sono anche nomi che hanno la medesima
forma al singolare e al plurale (nomi invariabili), nomi privi di singolare o di plurale (nomi
difettivi) e nomi con più forme di singolare o di plurale (nomi sovrabbondanti).
Il plurale dei nomi si forma, nella maggior parte dei nomi, mutando la desinenza
morfologica del singolare.
Per comodità, a seconda della desinenza del singolare, in italiano i nomi si
suddividono in tre classi: nomi in -a, nomi in -o e nomi in -e.
Nomi in -a. I nomi che al singolare terminano in -a formano il plurale in -i, se sono
maschili, in -e, se sono femminili: il problema - i problemi, la casa - le case.
Osservazioni:
1. I nomi che terminano in -ca e -ga conservano al plurale il suono velare (duro) della
c e della g. Perciò formano il plurale in -chi e -ghi se sono maschili, in -che e -ghe se sono
femminili: il duca - i duchi, il collega - i colleghi, la basilica - le basiliche, la bottega - le
botteghe.
2. I nomi femminili in -cìa e -gìa con i tonica, cioè accentata, formano il plurale
regolarmente, in -cie e -gie, conservando la i: la farmacia - le farmacie, la bugia - le bugie.
3. I nomi femminili in -cia e -gia con i atona, cioè non accentata, formano il plurale in
-cie e -gie, conservando la i, se le consonanti c e g sono precedute da vocale: la camicia - le
camicie, la ciliegia - le ciliegie; e in -ce e -ge, perdendo la i, se le consonanti c e g sono
precedute da consonante: la pronuncia - le pronunce, la pioggia - le piogge.
Nomi in -o. I nomi che al singolare terminano in -o prendono al plurale la desinenza
-i: il bambino - i bambini, la mano - le mani.
Osservazioni:
1. I nomi in -co e -go non seguono un comportamento costante nella formazione del
plurale. In linea di massima, se sono piani, cioè accentati sulla penultima sillaba, conservano
il suono velare (duro) delle consonanti c e g, ed escono in -chi e -ghi; se sono sdruccioli, cioè
accentati sulla terzultima sillaba, formano il plurale in -ci e -gi, con la palatalizzazione: il
banco - i banchi, il medico - i medici, l’albergo - gli alberghi, il teologo - i teologi.
Fra i nomi piani fanno eccezione: l’amico - gli amici, il nemico - i nemici, il greco - i
greci, il porco - i porci ecc.
Fra gli sdruccioli, molto più numerosi: il dialogo - i dialoghi, l’incarico - gli incarichi,
il catalogo - i cataloghi, l’obbligo - gli obblighi, il prologo - i prologhi ecc.
Molto numerosi sono poi i nomi sdruccioli che presentano entrambe le forme:
chirurgo - chirurgi, chirurghi; stomaco - stomaci, stomachi ecc.
2. Per i nomi uscenti in -logo, in linea di massima, vale la seguente regola pratica: i
nomi in -logo hanno il plurale in -logi se si riferiscono a persone: il sociologo - i sociologi; e
hanno, invece, il plurale in -loghi se si riferiscono a cose: il dialogo - i dialoghi.
3. I nomi uscenti in -ìo con la i tonica, cioè accentata, formano, senza eccezioni, il
plurale regolarmente in -ìi: lo zìo - gli zìi, il rinvìo - i rinvìi.
4. I nomi uscenti in -io con la i atona, cioè non accentata, formano, invece, il plurale in
-i. In taluni casi la -i- del tema si fonde con la -i della desinenza plurale: il cambio - i cambi,
l’occhio - gli occhi.
Invece nei nomi in cui la -i- del tema è solo un segno grafico con la funzione di
rappresentare il suono palatale della consonante o del gruppo consonantico che precede la
desinenza del singolare -o, tale -i- cade: il figlio - i figli, il bacio - i baci.
5. I nomi uomo, dio e tempio formano il plurale rispettivamente in uomini, dei, templi,
per influenza delle corrispondenti forme latine (homines, dei, templa).
6. Alcuni nomi di genere maschile uscenti in -o diventano al plurale di genere
femminile e assumono la desinenza -a: il paio - le paia, il miglio - le miglia, l’uovo - le uova,
il migliaio - le migliaia, il riso (il ridere) - le risa, il centinaio - le centinaia ecc.
7. Quasi tutti i nomi femminili uscenti in -o sono invariabili, presentano cioè al plurale
la stessa forma del singolare: la biro - le biro, la moto - le moto.
Nomi in -e. I nomi che al singolare terminano in -e formano il plurale in -i, siano
maschili o femminili: il padre - i padri, la madre - le madri.
Osservazioni:
1. Il nome bue presenta il plurale irregolare buoi.
2. Nei multipli, mille assume una speciale forma di plurale: -mila: duemila, tremila.
3. I nomi uscenti in -ie sono, di solito, invariabili. Fanno eccezione i seguenti nomi,
che formano il plurale in -i: l’effigie - le effigi, la superficie - le superfici, la moglie - le mogli.
Esistono anche le forme invariate le superficie e le effigie, ma sono meno comuni.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu; Ramona Vasile; Aurelian Velea, La lingua italiana. Fonetica. Fonologia.
Morfologia, Craiova, Editura AIUS, 2001, pp. 37-51.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica,
Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 170-208.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 103-159.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Come formano il femminile i nomi maschili in -o?
2. Come formano il femminile i nomi maschili in -a?
3. Cosa sono i nomi indipendenti?
4. Cosa sono i nomi di genere comune?
5. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -a?
6. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -o?
3. L’aggettivo
In base al tipo di informazione che aggiungono al nome, gli aggettivi vengono
tradizionalmente distinti in aggettivi qualificativi e aggettivi determinativi (o indicativi).
Gli aggettivi qualificativi sono quelli che si aggiungono al nome per segnalarne una
particolare qualità: bello, brutto, grande, piccolo, ricco, povero ecc.
Gli aggettivi determinativi o indicativi sono quelli che si aggiungono a un nome per
meglio specificarlo, attraverso una determinazione possessiva, dimostrativa, indefinita,
numerica, interrogativa o esclamativa.
3.1. L’aggettivo qualificativo
3.1.1. Genere e numero dell’aggettivo qualificativo
Per quanto riguarda il genere e il numero, l’aggettivo qualificativo si comporta in
maniera del tutto analoga al nome. Possiamo distinguere quattro classi di aggettivi
qualificativi:
- alla prima classe appartengono gli aggettivi che presentano quattro desinenze, cioè
gli aggettivi che cambiano la forma a seconda del genere e del numero, e presentano le
desinenze: -o, per il maschile singolare; -i, per il maschile plurale; -a, per il femminile
singolare; -e, per il femminile plurale: un ragazzo alto - dei ragazzi alti; una ragazza alta delle ragazze alte.
- alla seconda classe appartengono gli aggettivi che cambiano la forma solo a seconda
del numero, e presentano due desinenze: -e, per il maschile e il femminile singolare,
rispettivamente -i, per il maschile e il femminile plurale: un uomo intelligente - degli uomini
intelligenti; una donna intelligente - delle donne intelligenti.
- alla terza classe appartengono gli aggettivi che al singolare escono in -a, sia al
maschile sia al femminile, e al plurale distinguono il maschile (in -i) dal femminile (in -e): un
uomo egoista - degli uomini egoisti; una donna egoista - delle donne egoiste.
A questa classe appartengono gli aggettivi in: -ista (pessimista), -asta (entusiasta), -ita
(ipocrita), -cida (omicida) e -ota (idiota).
- la quarta classe è formata dagli aggettivi invariabili. Appartengono a questa classe:
1. gli aggettivi in -i, cioè l’aggettivo pari e i suoi derivati, impari e dispari: un numero
pari, due cifre pari.
2. gli aggettivi indicanti colore che derivano da sostantivi: viola, rosa, marrone ecc.:
Indossava una camicetta viola; I suoi pantaloni erano viola.
3. gli aggettivi usati in coppia per indicare gradazione di colore: verde pastello, rosso
scuro, rosa pallido: una blusa verde pastello, due vestiti verde pastello.
4. gli aggettivi di origine straniera e gli aggettivi terminanti in consonante o in vocale
accentata: blu, zulù ecc.: il cielo blu, le acque blu.
5. le locuzioni avverbiali usate come aggettivi: dabbene, perbene, dappoco: un uomo
dappoco, una donna dappoco.
6. alcuni aggettivi di recente formazione composti da anti- e un sostantivo:
antiruggine, antinebbia, antifurto, antiurto ecc.: strato antiruggine, fari antinebbia.
7. l’infinito attributivo avvenire: negli anni avvenire.
8. l’aggettivo arrosto: pollo arrosto, galline arrosto.
Osservazioni:
1. Gli aggettivi in -co (con il femminile in -ca) formano il plurale:
- in -chi (femm. -che) se sono piani, cioè accentati sulla penultima sillaba: bianco –
bianchi, bianca – bianche.
- in -ci (femm. -che) se sono sdruccioli, cioè accentati sulla terzultima sillaba: acustico
– acustici, acustica – acustiche.
Fanno eccezione:
a) Fra gli aggettivi piani: amico - amici, greco - greci, nemico - nemici ecc.
b) Fra gli aggettivi sdruccioli: carico – carichi, dimentico – dimentichi, intrinseco intrinsechi (o, anche, intrinseci).
2. Gli aggettivi in -go (femm. -ga) formano il plurale in -ghi (femm. -ghe): analogo –
analoghi, analoga – analoghe.
Fanno eccezione gli aggettivi in -logo e in -fago, che al maschile plurale finiscono in logi e -fagi (il femm. plurale è regolare, in -loghe e -faghe): antropofago – antropofagi,
antropofaga – antropofaghe.
3. Gli aggettivi in -io formano il plurale maschile:
- con una sola -i, se la -i- del gruppo -io è atona: serio – seri;
- con la doppia -i, se la -i- del gruppo -io è tonica: natio – natii.
4. Gli aggettivi in –cio, -gio fanno il plurale in -ci, -gi: riccio – ricci, saggio – saggi.
5. Gli aggettivi femminili in -cia e in -gia formano il plurale femminile:
- in -cie e in -gie se la c e la g sono precedute da vocale: fradicia – fradicie;
- in -ce e in -ge se c, g sono precedute da consonante: riccia - ricce, saggia - sagge.
6. Gli aggettivi composti, nati cioè dall’unione di due aggettivi, formano il femminile
e il plurale solo nel secondo aggettivo: sordomuto – sordomuti, sordomuta – sordomute.
7. Gli aggettivi bello, grande, santo, buono presentano più forme di singolare e di
plurale, a seconda della lettera iniziale del sostantivo cui tali aggettivi sono anteposti.
L’aggettivo bello quando è posto prima del sostantivo cui si riferisce si comporta
come l’articolo determinativo: bel ragazzo - bei ragazzi, bello studente - begli studenti,
bell’amico - begli amici, bella ragazza - belle ragazze, bella o bell’amica - belle amiche.
Il plurale maschile “regolare” belli si usa soltanto quando l’aggettivo è postposto al
sostantivo o non lo precede direttamente: libri belli; Belli i libri che mi hai regalato!
Grande si può troncare in gran, davanti a consonante: grande o gran signore, grande
o gran casa; ed anche davanti a z e s impura, quando si vogliono ottenere particolari effetti
espressivi, specialmente se l’aggettivo è preceduto dall’articolo indeterminativo: un grande
stupido o un gran stupido. Davanti a vocale, può essere eliso in grand’: un grande uomo o un
grand’uomo. Il plurale è sempre grandi, sia al maschile che al femminile.
L’aggettivo santo si tronca in san davanti a nomi maschili inizianti per consonante
diversa da s impura: San Francesco. Davanti a nomi inizianti per s impura si usa santo: Santo
Stefano. Davanti ai sostantivi inizianti per vocale, sia maschili che femminili, santo e santa
subiscono l’elisione in sant’: Sant’Antonio, Sant’Orsola.
L’aggettivo buono si tronca in buon davanti a un nome maschile che comincia per
consonante (eccetto z, ps, gn, x e s impura) o per vocale: buon ragazzo, buon amico, buono
studente. Davanti ai nomi femminili che cominciano per vocale si può elidere in buon’:
buona o buon’amica.
3.1.2. Gradi dell’aggettivo qualificativo
Poiché una persona o una cosa possono avere una certa qualità in misura uguale,
maggiore, minore o massima rispetto a un’altra persona o cosa, l’aggettivo qualificativo ha
tre gradi: positivo, comparativo e superlativo.
Il grado positivo si ha quando l’aggettivo esprime solo l’esistenza della qualità senza
indicarne la misura: Leggo un libro interessante.
Il grado comparativo stabilisce un paragone fra due termini rispetto a una medesima
qualità o un confronto fra due qualità riferite allo stesso termine. Può essere di tre tipi: di
uguaglianza, di maggioranza e di minoranza.
Il comparativo di uguaglianza si ha quando la qualità espressa dall’aggettivo è
presente in misura uguale nei due termini di paragone e si forma con l’aiuto delle particelle
correlative (così)... come, (tanto)... quanto: Lucia è simpatica come sua sorella; Luigi è così
onesto come buono; Carlo è tanto ricco quanto avaro.
Quando la comparazione fatta tra due sostantivi si riferisce a quantità si usa la formula
tanto... quanto, però in questo caso tanto e quanto concordano con i sostantivi ai quali si
accompagnano: Luisa compra tanti cappelli quante sciarpe.
Il comparativo di maggioranza si ha quando la qualità espressa dall’aggettivo è
presente in misura maggiore nel primo che nel secondo termine di paragone e si forma con
l’aiuto delle particelle correlative più... di, più... che: Mario è più alto di Luigi; Anna è più
simpatica che bella.
La formula più... di si usa quando il paragone si realizza fra due termini, rispetto a una
stessa qualità. La preposizione di si usa anche davanti all’avverbio quanto: Gino è più veloce
di Aldo; Questo ristorante è più costoso di quanto pensassi.
La formula più... che si usa quando il paragone si riferisce allo stesso termine e si
realizza fra due sostantivi, due aggettivi, due verbi al modo infinito o due avverbi, o due
pronomi retti da preposizione: Ho avuto più gioie che dispiaceri; Ha dato più ragione a Luisa
che a Marco; Questo allievo è più astuto che intelligente; Mi piace più ascoltare che parlare.
Il comparativo di minoranza si ha quando la qualità espressa dall’aggettivo è
presente in misura minore nel primo che nel secondo termine di paragone e si forma con
l’aiuto delle particelle correlative meno... di, meno... che: La rosa è meno profumata del
gelsomino; È meno facile salire che scendere. Le particelle correlative meno... di, meno...che
si usano nelle stesse condizioni come più... di, più... che.
Il grado superlativo dell’aggettivo indica che una determinata qualità è posseduta al
massimo grado o comunque in misura molto elevata e può essere relativo o assoluto.
Il superlativo relativo indica che una qualità è posseduta al massimo (superlativo
relativo di maggioranza) o al minimo grado (superlativo relativo di minoranza)
relativamente a un determinato gruppo di persone o cose.
Si differenzia formalmente dal comparativo di maggioranza o di minoranza per la
presenza dell’articolo determinativo davanti all’avverbio più (o meno) quando l’aggettivo
precede il nome, o al nome cui l’aggettivo si riferisce se l’aggettivo è posposto: Leopardi è il
più grande poeta italiano dell’Ottocento; Luisa è la persona meno adatta per questo lavoro.
Se il termine di confronto collettivo plurale è espresso esplicitamente, questo è
introdotto dalla preposizione di o, meno spesso, tra, fra: Carlo è il più fortunato di tutti.
Il superlativo assoluto indica che una qualità è posseduta al massimo grado,
indipendentemente da ogni confronto e da ogni termine di riferimento. Si può formare:
a) aggiungendo il suffisso -issimo all’aggettivo di grado positivo privato della vocale
finale: alt(o) - altissimo, felic(e) - felicissimo, malevolo - malevolentissimo
b) premettendo all’aggettivo di grado positivo un avverbio, che ne rafforza il
significato, come molto, assai, decisamente, incredibilmente, estremamente, oltremodo: I
miei amici ti hanno trovato molto simpatico.
c) ripetendo l’aggettivo di grado positivo: La mia città è grande grande grande.
d) premettendo all’aggettivo di grado positivo prefissi come arci-, ultra-, extra-, stra-,
super-, sopra-, sovra-, iper- ecc.: contento – arcicontento, rapido – ultrarapido ecc.
e) rafforzando l’aggettivo positivo con un altro aggettivo o con un sostantivo di
significato analogo; in questo caso, però, è necessario utilizzare certe “formule” che fanno
parte delle espressioni idiomatiche della lingua italiana: stanco morto = stanchissimo, buio
pesto = molto buio, ricco sfondato = ricchissimo, pieno zeppo = pienissimo ecc.
3.2. Gli aggettivi determinativi o indicativi
A seconda del tipo di determinazione che esprimono, gli aggettivi determinativi o
indicativi si distinguono in: possessivi, se esprimono una determinazione di possesso;
dimostrativi, se indicano una posizione nello spazio; indefiniti, se indicano una quantità
generica; interrogativi, se esprimono una determinazione interrogativa; esclamativi, se
esprimono una determinazione esclamativa; numerali, se indicano una quantità precisa o un
ordine in una serie numerica.
3.2.1. Gli aggettivi possessivi
L’aggettivo possessivo ha le seguenti forme:
I persona singolare
II persona singolare
III persona singolare
I persona plurale
II persona plurale
III persona plurale
Maschile
mio
miei
tuo
tuoi
suo
suoi
nostro
nostri
vostro
vostri
loro
femminile
mia
mie
tua
tue
sua
sue
nostra
nostre
vostra
vostre
loro
La lingua italiana possiede anche gli aggettivi possessivi proprio e altrui.
Proprio (propria, propri, proprie), che è anche aggettivo qualificativo e può avere
funzione di avverbio, esprime l’idea di possesso in modo molto netto e preciso e si usa:
- in sostituzione degli aggettivi possessivi suo e loro, con riferimento al soggetto,
specialmente quando questi potrebbero creare equivoci non indicando chiaramente il
possessore: Luigi si è intrattenuto con Luca nel proprio ufficio (= nell’ufficio di Luigi stesso).
- per rafforzare l’aggettivo possessivo, quando si sottolinea il senso di proprietà o il
valore affettivo del possesso: Ho dipinto la casa con le mie proprie mani.
- obbligatoriamente, nelle costruzioni impersonali: Si deve fare il proprio dovere.
- preferibilmente, nelle frasi che hanno come soggetto un pronome indefinito: Tutti
possono esprimere il proprio pensiero.
Altrui è un aggettivo possessivo indefinito che si usa soltanto in riferimento a persona.
È invariabile e solitamente viene posto dopo il nome: Dobbiamo rispettare le opinioni altrui.
3.2.2. Gli aggettivi dimostrativi
Gli aggettivi dimostrativi precisano la posizione dell’oggetto e della persona cui si
riferiscono rispetto a chi parla o a chi ascolta. Sono sempre anteposti al nome o all’aggettivo
che eventualmente lo precede. Non sono mai preceduti dall’articolo.
In italiano, gli aggettivi dimostrativi sono questo, quello e codesto: concordano con il
nome cui si riferiscono e presentano forme variabili nel genere e nel numero:
singolare
maschile
femminile
questo
questa
codesto
codesta
quello, quel
quella
plurale
maschile
femminile
questi
queste
codesti
codeste
quegli, quei quelle
a) Questo è usato per indicare ciò che sta vicino a chi parla. Al maschile e femminile
singolare questo si può elidere davanti a vocale, ma al plurale non si elide mai: quest’anno /
questo anno - questi anni, quest’amica / questa amica - queste amiche. In alcuni composti la
forma femminile questa diventa sta: stamattina, stasera, stavolta.
b) Codesto (meno comune cotesto) è usato per indicare ciò che è vicino a chi ascolta;
il suo uso è limitato alla Toscana e al linguaggio letterario e burocratico. Nella lingua comune
viene sostituito da questo: Portami codesto foglio che hai in mano; In codesta occasione non
ti sei comportato bene; Codesto discorso non è da te.
c) Quello è usato per indicare ciò che è lontano sia da chi parla sia da chi ascolta:
Conosci quel signore?; Quell’anno al mare siamo stati proprio bene.
Al maschile, sia singolare sia plurale, quello presenta forme diverse a seconda di come
inizia il sostantivo cui è legato, comportandosi in modo del tutto analogo all’articolo
determinativo: il silenzio - quel silenzio, lo studente - quello studente, l’amico - quell’amico, i
cavalli - quei cavalli, gli scolari - quegli scolari, gli abiti - quegli abiti.
L’elisione della forma femminile quella davanti a vocale è facoltativa: quell’amica /
quella amica - quelle amiche.
Altri aggettivi dimostrativi
a) Stesso e medesimo. Sono chiamati dimostrativi di identità o identificativi, perché
indicano identità più o meno completa fra due elementi. Fra stesso e medesimo, il secondo è
meno comune e di tono più letterario.
Variabili nel genere e nel numero, hanno il significato di “uguale, identico”, stanno
sempre prima del nome e, diversamente dai dimostrativi, possono essere preceduti
dall’articolo: Ho lo stesso posto dell’anno scorso; Mario dice sempre le medesime cose.
Stesso e medesimo possono avere anche valore rafforzativo; in questo caso si
pospongono generalmente al termine cui si riferiscono e significano “perfino, proprio lui, lui
in persona”: Il suo valore è riconosciuto dagli avversari stessi; Il presidente medesimo si
congratulò con loro.
b) L’aggettivo indefinito tale e gli aggettivi simile e siffatto sono aggettivi
dimostrativi identificativi quando significano “questo”, “quello”, “di questo tipo”, “di questa
natura”: Non dire più tali sciocchezze; Un simile comportamento è indegno di te; Non posso
rispondere a siffatte domande.
3.2.3. Gli aggettivi interrogativi
L’italiano ha tre aggettivi interrogativi: quale, che e quanto.
a) Quale, variabile nel numero, serve per formulare una domanda sulla qualità o
sull’identità del sostantivo cui si riferisce: Quale libro preferisci?
Al singolare, quale può subire il troncamento in qual davanti a vocale e, talvolta,
anche davanti a consonante diversa da z, x, gn, pn o s impura: Qual è la tua opinione?; Qual
senso, qual errore esiste?
b) Che è invariabile ed equivale a “quale”, rispetto a cui è di uso più comune nella
lingua parlata: Che fumetti leggi di solito?; Dimmi in che mese sei nato.
c) Quanto, variabile in genere e numero, serve per chiedere informazioni relative alla
quantità del sostantivo cui si riferisce: Quanto denaro hai speso?; Quante persone verranno
a cena?; Dimmi quanto zucchero vuoi nel caffè.
3.2.4. Gli aggettivi esclamativi
Gli aggettivi quale, che e quanto sono aggettivi esclamativi quando si usano nelle
esclamazioni per mettere in risalto la qualità, l’identità o la quantità del nome cui si
riferiscono: Che giornata stupenda!; Quali maltrattamenti subimmo!; Qanta bontà ha
dimostrato quell’uomo!
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu; Ramona Vasile; Aurelian Velea, La lingua italiana. Fonetica. Fonologia.
Morfologia, Craiova, Editura AIUS, 2001, pp. 52-80.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica,
Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 209-257.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 191-235 e 267-326.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Quali sono gli aggettivi qualificativi invariabili?
2. Come si forma il grado comparativo degli aggettivi?
3. Come si forma il grado superlativo degli aggettivi?
4. Definire gli aggettivi possessivi.
5. Definire gli aggettivi dimostrativi.
6. Definire cosa sono gli aggettivi interrogativi.
4. Il pronome
In base al loro significato e alla loro funzione, in italiano i pronomi si distinguono in:
personali, possessivi, dimostrativi, indefiniti, relativi, interrogativi ed esclamativi.
4.1. I pronomi personali
4.1.1. I pronomi personali complemento
In italiano, come in romeno, i pronomi personali complemento hanno due forme, ben
distinte tra loro: una forma tonica o forte, fortemente accentata, che dà al pronome un
particolare rilievo (pronomi tonici), e una forma atona o debole, non accentata, che nel
discorso si appoggia al verbo (pronomi atoni).
a) Le forme toniche dei pronomi personali complemento sono:
persona
I persona
II persona
III persona
singolare
me
te
lui, lei
esso, essa
plurale
noi
voi
loro
essi, esse
Nella funzione di complemento oggetto le forme toniche dei pronomi personali
complemento si collegano direttamente al verbo. In quella di complemento di termine (che
in romeno ha come corrispondente il complemento indiretto in dativo) sono introdotte dalla
preposizione a, mentre in quella di complemento indiretto sono introdotte da qualsiasi
preposizione o locuzione preposizionale: Il dottore cura noi; Devi dirlo a me.
b) Le forme atone dei pronomi personali complemento sono:
I pers. sg.
II pers. sg.
III pers. sg.
I pers. pl.
II pers. pl.
III pers. pl.
complemento oggetto
mi
ti
lo, la
ci
vi
li, le
complemento di termine
mi
ti
gli, le
ci
vi
loro
Quando si incontrano, le forme atone dei pronomi personali danno origine a forme
composte, le cosiddette coppie di pronomi. Le particelle mi, ti, gli, le, ci, vi (con funzione di
complemento di termine) possono essere seguite da lo, la, li, le (con funzione di complemento
oggetto) o da ne (con funzione di complemento indiretto o di avverbio di luogo). In questo
caso mi, ti, ci, vi diventano me, te, ce, ve e le forme gli e le diventano glie-, e si scrivono
sempre attaccate al pronome seguente:
mi
ti
gli / le
ci
vi
lo
me lo
te lo
glielo
ce lo
ve lo
la
me la
te la
gliela
ce la
ve la
li
me li
te li
glieli
ce li
ve li
le
me le
te le
gliele
ce le
ve le
ne
me ne
te ne
gliene
ce ne
ve ne
4.1.2. I pronomi allocutivi
I pronomi allocutivi sono i pronomi con cui ci si rivolge a una persona.
a) I primi allocutivi sono ovviamente i pronomi personali: il tu (con tutti i suoi
derivati) se ci si rivolge ad un solo interlocutore, il voi (con tutti i suoi derivati) se ci si rivolge
a più interlocutori. Si usano nel rivolgersi a persone con cui si è in rapporto di amicizia, di
familiarità o di confidenza.
b) Nel rivolgersi a qualcuno che non si conosce o con cui non si è in confidenza o che
appartiene a un livello sociale o professionale più elevato, si usano i pronomi allocutivi di
cortesia: al singolare si usano i pronomi Lei, che è più comune, ed Ella, che suona prezioso e
ricercato, mentre al plurale si usa il pronome Loro.
Nella funzione di soggetto, i pronomi di cortesia Lei, Ella e Loro, essendo pronomi di
terza persona, richiedono il verbo alla terza persona, singolare o plurale: Lei che cosa
desidera?; Vengono anche Loro con noi?. Alle forme soggettive Lei, Ella, Loro
corrispondono in funzione di complemento le forme toniche di Lei, di Loro, a Lei, a Loro
ecc.; e le forme atone: La, Le (per Lei ed Ella); Li, Le, Loro (per Loro).
4.1.3. I pronomi personali riflessivi
I pronomi personali riflessivi si usano quando l’azione compiuta dal soggetto “si
riflette”, cioè ricade sul soggetto stesso, quindi quando il verbo è alla forma riflessiva.
I pronomi riflessivi sono:
I pers. sg.
II pers. sg.
III pers. sg.
I pers. pl.
II pers. pl.
III pers. pl.
pronomi tonici
me
te
sé
noi
voi
sé
pronomi atoni
mi
ti
si
ci
vi
si
Quando è seguito da uno dei pronomi lo, la, li, le il pronome riflessivo si diventa se, e
risultano le coppie: se lo, se la, se li, se le: La barba, se la fa ogni due giorni.
4.1.3.1. “Si” impersonale e “si” passivante
a) “Si” impersonale è la particella pronominale che equivale a soggetti come “uno”,
“qualcuno”, “la gente”, “tutti”, “un tale”: In questo treno si viaggia più comodamente.
Nel caso dei verbi riflessivi e dei verbi pronominali, nei quali è già presente la
particella si, si ricorre alla particella ci: ci si lava, ci si sveglia, ci si scrive ecc.: Ci si lava con
acqua e sapone; Nel mondo non ci si ama abbastanza.
b) “Si” passivante è la particella pronominale che si premette alla terza persona
singolare o plurale di un verbo transitivo attivo in un tempo semplice per renderlo passivo:
Non si fa (= non viene fatto) credito; Qui si vendono (= sono venduti) libri usati.
4.1.4. Forme atone polifunzionali: ci, vi, ne
Ci, e meno comunemente vi, possono avere le funzioni di: pronome dimostrativo e
avverbio di luogo. Si usano poi con valore rafforzativo e in alcune locuzioni fisse.
Si elidono obbligatoriamente davanti alle voci del verbo essere inizianti per -e e,
facoltativamente, davanti a forme verbali inizianti per -i: Non c’era più nulla da fare; Non v’è
dubbio che sia così; Non c’interessa nulla.
Per quanto riguarda la collocazione di ci e vi, essa può essere sia proclitica che
enclitica: Pensa alle mie parole. Pensaci bene!; Vado dal medico. Ci vado ogni settimana.
Quando sono seguite da un pronome forma atona (lo, la, li, le, ne), ci e vi diventano
ce, ve: - Tu hai messo il libro nella cartella? - Sì, io ce (ve) l’ho messo.
Tra ci e vi non esiste nessuna differenza di significato. La particella ci, però, è oggi di
uso molto più frequente e molto più comune di vi, che suona piuttosto libresca e di norma
viene utilizzata solo in testi di registro letterario, per sottolineare l’idea di lontananza: Non
sono ancora andato al supermercato, ma vi (= là) andrò fra poco.
La particella ne può essere usata nelle funzioni di: pronome personale o
dimostrativo e avverbio di luogo.
Si usa poi con valore rafforzativo e in alcune locuzioni fisse.
Per quanto riguarda la sua collocazione, ne, come le altre particelle pronominali, può
essere tanto proclitica quanto enclitica: È una persona in gamba, tutti ne parlano bene; Se hai
troppi libri, regalane qualcuno alla biblioteca.
Con le forme di imperativo da’, sta’, fa’, di’, va’, anche ne subisce il raddoppiamento
della consonante iniziale: Quanti pacchi! Danne qualcuno a me.
4.2. I pronomi possessivi
I pronomi possessivi sono formalmente identici agli aggettivi possessivi e sono
sempre preceduti dall’articolo determinativo: Il tuo cane è buono quanto il mio; I miei
interessi contrastano con i loro.
L’uso dei pronomi possessivi il proprio (la propria, i propri, le proprie) e l’altrui (la
altrui, gli altrui, le altrui) segue le modalità già indicate a proposito dei corrispondenti
aggettivi: Ritiro i compiti in classe: ciascuno consegni il proprio; È bene avere un proprio
stile di vita e non imitare l’altrui.
4.3. I pronomi dimostrativi
Tra i pronomi dimostrativi, alcuni hanno forme uguali a quelle degli aggettivi
dimostrativi. Altri, invece, non possono mai avere funzione di aggettivi.
a) I pronomi dimostrativi che hanno forme uguali a quelle degli aggettivi dimostrativi
sono:
singolare
maschile
femminile
questo
questa
codesto
codesta
quello
quella
stesso
stessa
medesimo
medesima
maschile
questi
codesti
quelli
stessi
medesimi
plurale
femminile
queste
codeste
quelle
stesse
medesime
- questo indica vicinanza a chi parla: La fotografia che volevo farti vedere È questa.
- codesto (che appartiene all’uso toscano e letterario) indica vicinanza a chi ascolta:
Codesto che stai sfogliando non È il libro che ti ho richiesto.
- quello indica lontananza sia da chi parla sia da chi ascolta: Quella è più bella.
- stesso (più comune) e medesimo indicano l’identità o l’uguaglianza tra le persone o
le cose che sostituiscono: Gli insegnanti sono gli stessi (o i medesimi) dell’anno scorso.
b) I pronomi dimostrativi che non possono mai avere funzione di aggettivi sono:
singolare
maschile
femminile
questi

quegli

costui
costei
colui
colei
ciò

maschile
plurale
femminile




costoro
coloro
costoro
coloro


Questi e quegli si adoperano solo al maschile singolare, solo in riferimento a persone
e solo in funzione di soggetto (per i complementi si ricorre a questo e quello). Questi si
riferisce a persona vicina, quegli a persona lontana: Mario e Luigi sono fratelli. Questi
(Luigi) ha nove anni, quegli (Mario) ne ha sei.
Il pronome dimostrativo ciò è invariabile e ha solo valore “neutro”. Equivale a “questa
cosa, queste cose, quella cosa, quelle cose”: Ciò non mi piace affatto.
Ciò è frequentemente sostituito da questo e quello, sempre con valore neutro: Quello
che fai non è bello; Su questo non ho nulla da fare.
4.4. I pronomi relativi
La lingua italiana possiede i seguenti pronomi relativi: il quale (la quale, i quali, le
quali), che, cui, chi e quanto (quanta, quanti, quante).
Il quale. Il pronome relativo il quale, variabile nel genere e nel numero, concorda con
il nome cui si riferisce. Può sostituire tutti gli altri pronomi relativi e può essere usato sia
come soggetto (conferisce alla frase un tono più sostenuto rispetto a che), sia come
complemento oggetto (molto raro e letterario), sia come complemento indiretto preceduto
dalla opportuna preposizione (di uso corrente, accanto a cui): Ho incontrato Luisa, la quale
mi ha invitato alla sua festa; Il paese nel quale abito è molto bello.
Nonostante la prevalenza di che e cui, che hanno il vantaggio di rendere più spedito il
discorso, l’uso del pronome il quale è tuttavia preferibile o, addirittura, indispensabile:
- quando la forma che, essendo invariabile, potrebbe creare ambiguità circa il nome
cui si riferisce: Ho incontrato il cugino di Luisa, che ormai vive a Roma. … il quale ormai
vive a Roma. / … la quale ormai vive a Roma.
- quando il pronome relativo è lontano dal nome cui si riferisce: Molte storie mi ha
raccontato il nonno quand’ero bambino, le quali erano non solo molto belle ma anche
istruttive.
- quando nel periodo si susseguono altri che, non necessariamente tutti relativi: La
maestra mi ha detto che Gino, il quale è un bambino molto vivace, a scuola si comporta bene.
Che. Il pronome relativo che è invariabile ed è usato esclusivamente come soggetto o
complemento oggetto della subordinata relativa; le concordanze vengono effettuate con
l’antecedente: La matematica è una materia che mi interessa molto; Ho gradito il regalo che
mi hai fatto.
Il pronome relativo che può sostituire anche un’intera frase. In questo caso È
preceduto dall’articolo determinativo o dalla preposizione articolata e ha il significato di “la
qual cosa”: Paolo è arrivato in anticipo, il che (= la qual cosa) ci ha stupiti.
Cui. Il pronome relativo cui è invariabile e si adopera soltanto come complemento
indiretto, preceduto da una preposizione semplice: L’uomo di cui parliamo è mio padre.
Il relativo cui non è preceduto dalla preposizione semplice soltanto in due casi:
a) nel complemento di termine, accanto alla forma con la preposizione a: Il ragazzo
cui / a cui mi sono rivolto è mio amico.
b) quando si trova fra l’articolo determinativo (o una preposizione articolata) e il
nome, con il valore di complemento di specificazione e con il significato di “del quale, della
quale, dei quali, delle quali”:
È un uomo, il cui valore è immenso.
… il valore del quale è immenso.
Preceduto dalla preposizione per, cui può assumere anche valore neutro, nel
significato di “per la qual cosa, perciò, per questo motivo”: Non mi intendo di motori, per cui
è meglio che taccia.
Chi. Il pronome chi, invariabile, vale solo per il singolare e si riferisce soltanto a
esseri animati. Può essere usato in funzione di soggetto e di complemento.
È un pronome “doppio”, in quanto unisce in sé la funzione di due pronomi diversi:
uno dimostrativo (colui, quello, colei, quella) o indefinito (qualcuno, uno, qualcuna, una),
l’altro relativo (che, il quale, la quale), e corrisponde per significato a colui il quale, colui
che, qualcuno che, uno che: C’è sempre chi (= qualcuno che) si comporta male; È vile
criticare chi (= quello che) non ascolta; Ho compassione per chi (= per quello che) soffre.
Quanto. Il pronome quanto, variabile nel genere e nel numero. Al singolare è usato
con valore neutro, nel significato di “tutto quello che”, “tutto ciò che”: Gli ho dato quanto gli
spettava. Al plurale si riferisce sia a persone sia a cose ed equivale a “tutti quelli che”, “tutti
coloro che”, “tutte coloro che”: La festa è riservata a quanti hanno ricevuto l’invito.
4.5. I pronomi interrogativi ed esclamativi
a) I pronomi interrogativi introducono una domanda, diretta o indiretta, chiedendo
informazioni o precisazioni circa l’identità, la qualità o la quantità di qualcuno o di qualcosa.
I pronomi interrogativi dall’italiano sono: chi, che, quale e quanto.
Chi, invariabile, si usa esclusivamente per indicare persone ed esseri animati: Chi ti
accompagna?; Sai chi mi ha telefonato?
Che, invariabile, si usa solo in riferimento a cose e corrisponde a quale. Chiede
l’accordo al maschile singolare: Che ti devo dire?; Dimmi che ti passa per la mente.
Quale è variabile solo in numero; serve a chiedere informazioni circa l’identità o la
qualità di una persona o di una cosa: A quale delle due risposte devo credere?; Quali sono i
maggiori fiumi dell’Italia?; Non sai quali scegliere? Al singolare, quale può subire il
troncamento in qual davanti a vocale e, talvolta, anche davanti a consonante diversa da z, x,
gn, pn o s impura: Qual è il libro che preferisci?
Quanto, variabile nel genere e nel numero, serve a chiedere informazioni relative alla
quantità e si usa in riferimento sia a persone sia a cose: Quanti hanno aderito alla nostra
proposta?; Quanto costa quella valigia?; Ti chiedo in quanti verranno.
b) Tutti i pronomi interrogativi possono essere usati anche in funzione esclamativa:
Chi ho incontrato stamattina!; Che occasione!; Non so davvero quali scegliere!; Stanno
arrivando gli spettatori, e quanti sono!
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu; Ramona Vasile; Aurelian Velea, La lingua italiana. Fonetica. Fonologia.
Morfologia, Craiova, Editura AIUS, 2001, pp. 81-102.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica,
Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 258-304.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 237-326.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali complemento.
2. Cosa sono i pronomi allocutivi e come si usano.
3. A cosa servono i pronomi possessivi e quali sono.
4. Definire i pronomi dimostrativi ed indicare quali sono.
5. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi relativi.
6. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi interrogativi.
5. Il verbo
5.1. La forma del verbo: attiva, passiva e riflessiva
Secondo il ruolo che attribuisce al soggetto della frase, il verbo può avere forma
attiva, passiva e riflessiva.
Il verbo è di forma attiva quando il soggetto coincide con l’agente dell’azione, cioè
compie l’azione espressa dal verbo: L’estate scorsa abbiamo visitato la Sicilia.
Il verbo è di forma passiva quando l’agente non è il soggetto, ma il complemento:
complemento d’agente se animato, complemento di causa efficiente se inanimato, entrambi
introdotti dalla preposizione da.
Quando il complemento d’agente o di causa efficiente non sono espressi si ha la
forma passiva assoluta.
In italiano, di solito, la forma passiva è realizzata con l’ausiliare essere coniugato nel
modo, nel tempo e nella persona della corrispondente voce attiva, seguito dal participio
passato del verbo, accordato in genere e numero con il soggetto: L’affresco è stato rovinato
dall’umidità.; L’automobile è stata revisionata.
Oltre che con l’ausiliare essere, in italiano, il passivo si può formare anche con l’aiuto
degli ausiliari:
- venire, che conferisce alla frase un valore dinamico, sottolineando un’azione; per
questo si usa solo nel contesto dei tempi semplici: Paolo è lodato da tutti. / Paolo viene
lodato da tutti.
L’ausiliare venire può essere usato con tutti i verbi che indicano azione e il suo uso è
particolarmente frequente in quei casi in cui l’assenza del complemento d’agente o di causa
efficiente favorisce l’interpretazione di stato: La finestra è chiusa. / La finestra viene chiusa.
- andare, solo nel contesto dei tempi semplici, e senza possibilità di esprimere il
complemento d’agente. Come ausiliare del passivo, andare comporta:
1. Un generico valore passivo. In questo caso è una variante di essere con una
sfumatura aspettuale in cui si sottolinea lo svolgimento del processo. Questo valore è ristretto
ad un inventario lessicale limitato, costituito da verbi che esprimono un’idea di
«consunzione», o che indicano un senso generalmente negativo, come: deludere, distruggere,
(dis)perdere, spendere, sprecare, vendere, tagliare, abbattere ecc. In tal caso è in uso solo la
terza persona, singolare e plurale: Il libro andò perso. (“fu perso”); I documenti andarono
smarriti. (“furono smarriti”).
Il generico valore passivo si presenta soprattutto nei tempi composti e all’infinito, ma
non esclude l’impiego dei tempi semplici: Vorrei avere tutti i soldi che vanno spesi
malamente. (“vengono spesi, sono spesi, si spendono”).
2. L’idea di opportunità, dovere, necessità. Questo valore è ammesso con tutti i verbi,
ma solo nei tempi semplici e alla terza persona, singolare e plurale. In questo caso «va +
participio passato» ha il valore di «deve essere + participio passato»: Questo lavoro va finito
per domani. (“deve essere finito”).
Inoltre, il passivo si può formare con il cosiddetto “si” passivante premesso alla terza
persona singolare o plurale di un verbo transitivo attivo in un tempo semplice: All’improvviso
si sentì (= fu sentita) una voce; Si acquistano (= sono acquistati) mobili antichi.
Il verbo ha forma riflessiva quando il soggetto compie e nello stesso tempo subisce
l’azione e, quindi, l’azione si riflette sul soggetto.
Vengono definiti verbi riflessivi i verbi transitivi che nella coniugazione sono
preceduti o seguiti da uno dei pronomi atoni riflessivi mi, ti, si, ci, vi: Lavandosi le mani,
Marco si guardava nello specchio.
Essi, però, esprimono diversi tipi di “riflessività” e quindi hanno diverso significato e
valore. Perciò, all’interno della forma riflessiva, è opportuno distinguere tra una forma
riflessiva propria o diretta, una forma riflessiva indiretta o apparente e una forma
riflessiva reciproca.
a) Un verbo transitivo ha forma riflessiva propria o diretta quando c’è identità di
persona tra il soggetto e il complemento oggetto, che è sempre rappresentato dai pronomi
atoni mi, ti, si, ci, vi: Paolo si lava (= lava se stesso) con acqua calda.
b) Un verbo ha forma riflessiva indiretta o apparente quando le particelle
pronominali mi, ti, si, ci, vi svolgono la funzione di complemento di termine: Paolo si lava ( =
lava a se stesso) le mani.
c) Un verbo è alla forma riflessiva reciproca quando, attraverso l’uso dei pronomi
atoni plurali ci, vi, si, esprime un’azione che viene esercitata in modo scambievole fra due o
più persone (o anche animali o cose): Luigi e Carlo si abbracciarono (= l’un l’altro).
5.3. I verbi di “servizio”
5.2.1. I verbi ausiliari
Gli ausiliari propriamente detti dell’italiano sono due: essere e avere.
Per quanto riguarda la collocazione dell’ausiliare, esso di norma precede
immediatamente il participio a cui si riferisce: ho parlato, siamo andati.
Tra ausiliare e participio possono interporsi elementi semanticamente «deboli», come
avverbi o congiunzioni: Non ho ancora letto la lettera arrivata stamattina. Abbiamo già
affrontato quest’argomento.
Per quanto riguarda l’uso dell’ausiliare, nell’italiano si possono identificare tre gruppi
di verbi:
a) verbi che usano solo avere: i verbi transitivi e alcuni verbi attivi intransitivi: Paolo
ha comprato due dischi nuovi; Ieri ho dormito dalle due alle quattro.
b) verbi che usano soltanto essere: i verbi riflessivi, i verbi usati in forma impersonale,
la maggioranza dei verbi intransitivi, i verbi alla forma passiva: Marco si è vestito per uscire;
Non ci siamo accorti di nulla; Questo romanzo è scritto da Luigi Pirandello.
c) verbi che usano l’uno o l’altro variando significato in ciascun caso: alcuni verbi
intransitivi, come aumentare, correre, crescere ecc, e i verbi impersonali relativi a fenomeni
atmosferici: Sono corso a casa. / Ho corso tutta la giornata; È piovuto tanto. / Ha piovuto
tutta la notte.
L’uso dell’ausiliare temporale è oscillante anche con un verbo che regge un verbo
all’infinito: Luigi è dovuto andare in città; Ieri ho dovuto comprare un nuovo libro.
*
Quando
l’ausiliare
*
temporale
*
è
essere,
*
*
il
participio
passato
si
accorda
obbligatoriamente in genere e in numero con il soggetto. Ciò, forse, perché l’ausiliare essere,
marcando più la condizione, lo stato, che l’azione, richiede al participio passato più una forza
predicativa nominale che verbale.
Nel caso dell’ausiliare avere, che sottolinea il ruolo di agente diretto dell’azione del
soggetto, il participio passato rimane di solito invariato, nella forma di maschile singolare.
Quando il complemento oggetto è espresso con un pronome clitico incontriamo le
seguenti situazioni:
a) Se si tratta di un pronome clitico di terza persona (lo, la, li, le), l’accordo del
participio passato con il complemento oggetto è obbligatorio, a causa delle confusioni che
possono apparire, specialmente nella pronuncia, per il fatto che, se il pronome-complemento
oggetto di terza persona precede l’ausiliare avere, al singolare, la vocale finale del pronome
atono tende ad essere omessa, situazione indicata nella lingua scritta con l’uso dell’apostrofo:
Ieri ho parlato con Carla. L’ho incontrata all’Università.
b) Se il complemento oggetto è rappresentato da uno dei pronomi mi, ti, ci, vi,
l’accordo del participio passato con l’oggetto è facoltativo: I Rossi ci hanno invitato a cena
martedì. I Rossi ci hanno invitati a cena martedì.
c) Per quanto riguarda il ne partitivo, la concordanza è preferita se il verbo è seguito
da un complemento oggetto e questo indica il genere e il numero di ne: In vacanza ho letto
molti libri. Ne ho letti molti.
Se il complemento oggetto non indica il numero e il genere del ne partitivo, si
preferisce la forma invariata del participio passato: Carlo ha bevuto della birra in
abbondanza. Ne ha bevuto in abbondanza.
5.2.2. I verbi servili
I verbi servili o modali sono una classe particolare di verbi che, premessi all’infinito
di un verbo, formano con esso un predicato unico.
Di solito si considerano verbi servili potere, dovere e volere e, con alcune restrizioni,
sapere (nel senso di “essere capace di”, “essere in grado di”). Dal punto di vista semantico,
questi verbi qualificano una particolare modalità dell’azione, incardinata sulla possibilità
(potere, sapere), sulla necessità (dovere), sulla volontà (volere): Marco può arrivare da un
momento all’altro; Ha saputo risolvere tutto senza problemi; Dobbiamo attendere il nostro
turno; Luigi non ha voluto mangiare nulla.
Per quanto riguarda la scelta dell’ausiliare temporale nella presenza degli ausiliari
modali dovere, potere, volere e sapere, possiamo distinguere le seguenti situazioni:
1. Se sono combinati con l’infinito di un verbo attivo, prendono l’ausiliare dell’infinito
che reggono. Sapere, invece, prende sempre l’ausiliare avere, essendo verbo servile nel senso
di “essere capace di”, “essere in grado di”: Abbiamo dovuto attendere il nostro turno; Siamo
dovuti partire più presto; Come mai hai saputo venire qui?
2. Se l’infinito è un verbo riflessivo, osserviamo che:
a) Se il pronome riflessivo “sale” ad attaccarsi al verbo servile, si usa l’ausiliare
essere, perché tutta la costruzione diventa riflessiva e l’ausiliare temporale dei verbi riflessivi
è essere: Carlo e Lucia si sono potuti sposare a maggio.
b) se il pronome riflessivo si unisce all’infinito in posizione enclitica, si usa l’ausiliare
avere, la costruzione conservando il carattere transitivo della forma attiva del verbo
all’infinito. In più, anche i verbi servili, usati da soli, selezionano l’ausiliare avere: Carlo e
Lucia hanno potuto sposarsi a maggio.
3. Anche certi verbi intransitivi attivi richiedenti essere e uniti ad un complemento di
interesse o di termine rappresentato da un pronome enclitico (mi, ti, ci, vi, gli, le), come:
piacere, sembrare, capitare ecc., si comportano come i verbi riflessivi: assumono essere se il
pronome è in posizione proclitica; assumono avere se è in posizione enclitica: Non capisco
come mi sia potuto accadere tutto ciò; Non capisco come abbia potuto accadermi tutto ciò.
4. Se il verbo all’infinito è alla forma passiva, per evitare la ripetizione dell’ausiliare
essere (che è anche l’ausiliare della forma passiva), l’ausiliare selezionato sarà avere: Carla
ha fatto tutto da sola; non ha voluto essere aiutata da nessuno.
L’accordo del participio passato dipende anche nel contesto dei verbi servili dal tipo
di ausiliare e dal tipo dei pronomi clitici che precedono il participio.
Dunque, quando l’ausiliare è essere il participio passato si accorda obbligatoriamente
in genere e in numero con il soggetto, mentre nel contesto dell’ausiliare avere è invariabile e
assume la forma del maschile singolare: Carla ha dovuto comprare un libro; Luisa è dovuta
andare in città.
Con i verbi servili, l’accordo del participio passato del verbo servile con l’oggetto
clitico della terza persona è possibile e obbligatorio solo se l’oggetto clitico “sale”
all’ausiliare del verbo servile, ma è impossibile se l’oggetto rimane attaccato all’infinito: Non
abbiamo potuto vederli / Non li abbiamo potuti vedere nemmeno un attimo.
Se il complemento oggetto clitico che “sale” all’ausiliare del verbo servile è
rappresentato da uno dei pronomi mi, ti, ci, vi, ne partitivo, l’accordo del participio passato
con l’oggetto è facoltativo: Non vi abbiamo potuto vedere / Non vi abbiamo potuti vedere
alla festa; Gelati, Luisa ne ha potuto mangiare / ne ha potuti mangiare molti.
5.2.3. I verbi fraseologici
Sono detti fraseologici i verbi che reggono un infinito retto da preposizione o un
gerundio, evidenziando un particolare aspetto dell’azione dei verbi che seguono; per questo
motivo vengono definiti anche aspettuali.
Nei tempi composti, i verbi fraseologici richiedono l’ausiliare che avrebbero se
fossero usati autonomamente.
I verbi fraseologici costituiscono un unico predicato con il verbo che li accompagna.
I costrutti più notevoli esprimono i seguenti ambiti di significato:
- azione che sta per iniziare: stare per, accingersi a, essere sul punto di ecc. + infinito:
Ho fretta: sto per partire; Mario si accinge a partire.
- azione che viene tentata: sforzarsi di, cercare di, tentare di, provare a + infinito:
Cerca di venire presto; Abbiamo tentato di scalare la cima della montagna.
- azione che inizia: cominciare a, iniziare a, mettersi a + infinito: Silenzio: l’oratore
comincia a parlare; D’un tratto si mise a correre.
- azione in svolgimento: stare + gerundio, stare a + infinito, andare + gerundio,
venire + gerundio: Non disturbarmi: sto svolgendo un compito difficile.
- azione che dura nel tempo: continuare a, insistere a o nel, persistere a o nel,
ostinarsi a + infinito: Continua a disturbare; Insiste nel dire sciocchezze.
- azione che si avvia verso una certa conclusione: finire per + infinito: Finiremo per
restare senza spiccioli.
- azione che termina: smettere di, cessare di, finire di, terminare di + infinito: Ha
smesso di piangere; Ha cessato di piovere; Ha finito di parlare: era ora.
5.2.4. I verbi causativi
Si chiamano verbi causativi o fattitivi i verbi fare e lasciare che si accompagnano a
un altro verbo, posto all’infinito, per esprimere un’azione causata - fatta eseguire (fare) o
lasciata eseguire (lasciare) - dal soggetto e non direttamente compiuta da esso: L’ho fatto
aspettare più di un’ora; Il professore non mi ha lasciato finire la lezione.
5.3. Uso dei modi e dei tempi
5.3.1. Il modo indicativo e i suoi tempi
L’indicativo è il modo verbale della realtà, della certezza e della obiettività. Si usa
pertanto, sia nelle proposizioni indipendenti sia in quelle dipendenti, per indicare ciò che è
vero e sicuro o, comunque, ritenuto e presentato come tale.
L’indicativo ha otto tempi: quattro semplici (presente, imperfetto, passato remoto,
futuro semplice) e quattro composti (passato prossimo, trapassato prossimo, trapassato
remoto, futuro anteriore).
Il presente esprime un fatto, una situazione o un modo di essere che si verificano o
sussistono nel presente, cioè contemporaneamente al momento in cui si parla.
Il passato prossimo indica un’azione compiuta nel passato, il cui processo è
considerato obiettivamente o psicologicamente attuale.
L’imperfetto indica un’azione avvenuta nel passato in un arco di tempo di cui non è
precisato né il momento di inizio, né quello conclusivo.
Il trapassato prossimo indica un’azione conclusa nel passato, anteriormente a un’altra
azione passata e ad essa collegata.
Il passato remoto (o passato storico) è il tempo proprio della narrazione.
Il trapassato remoto indica un fatto anteriore al passato remoto. Oggi si trova solo
nelle proposizioni temporali introdotte da quando, dopo che, non appena, appena (che).
Il futuro semplice indica un fatto che deve ancora verificarsi o giungere a
compimento.
Il futuro anteriore si usa nelle subordinate temporali e indica un’azione anteriore ad
un’altra pure del futuro.
5.3.2. Il modo congiuntivo e i suoi tempi
Il congiuntivo è il modo della possibilità, del dubbio e dell’incertezza. Indica che
l’evento espresso dal verbo è presentato come possibile, verosimile, incerto, ipotizzabile,
dubbio, desiderabile, sperato o temuto.
In italiano, il modo congiuntivo ha quattro tempi: due semplici (presente e
imperfetto) e due composti (passato e trapassato).
Il congiuntivo presente è usato:
- nelle proposizioni indipendenti, per esprimere un dubbio, un timore, una volontà, un
augurio o un’ipotesi, per lo più in forma interrogativa: Che sia arrabbiato con noi?
- nelle proposizioni subordinate, per esprimere un rapporto di contemporaneità rispetto
a un presente o a un futuro contenuti nella reggente: Desidero che Maria resti qui.
Il congiuntivo passato è usato:
- nelle proposizioni indipendenti, per esprimere dubbio o possibilità nel passato, per
lo più in forma interrogativa: Che il treno sia già partito?
- nelle proposizioni subordinate, per esprimere un rapporto di anteriorità rispetto a un
presente o a un futuro della reggente: Luisa penserà che tu non le abbia telefonato.
Il congiuntivo imperfetto è usato:
- nelle proposizioni indipendenti, per esprimere un timore, un augurio ecc. che si
ritengono o si temono al presente non realizzabili: Magari legesse qualche libro!
- nelle proposizioni subordinate, per esprimere un rapporto di contemporaneità rispetto
a un indicativo passato o a un condizionale della reggente: Temevo che partisse senza soldi;
Vorrei che non arrivassi così tardi; o un rapporto di anteriorità rispetto a un indicativo
presente della reggente: Credo che allora vivesse da sola.
Il congiuntivo imperfetto si usa, inoltre, nella protasi del periodo ipotetico della
possibilità: Se fossi ricco, regalerei molti soldi ai poveri; e dell’irrealtà, in riferimento al
presente: Se fossi invisibile, saprei cosa si dice di me.
Il congiuntivo trapassato è usato:
- nelle proposizioni indipendenti, per esprimere desiderio o possibilità riferiti al
passato e non realizzati: Se avessi studiato di più!
- nelle proposizioni subordinate, per esprimere un rapporto di anteriorità rispetto a un
indicativo passato o a un condizionale passato della reggente: Non sapevo se tu fossi arrivato;
Non avrei mai immaginato che fosse stato Mario.
Si usa, inoltre, nella protasi del periodo ipotetico dell’irrealtà, in riferimento al
passato: Se fosse stato onesto, non avrebbe rubato.
5.3.3. Il modo condizionale e i suoi tempi
Il condizionale è il modo della possibilità condizionata: presenta l’evento espresso dal
verbo come possibile o realizzabile solo a certe condizioni: Verrei volentieri, ma non posso;
Se ti impegnassi di più, saresti migliore; Te lo avrei detto, se me lo avessi chiesto.
Il condizionale presente esprime un evento che potrebbe verificarsi nel presente o nel
futuro a condizione che accada o che sia accaduto un altro evento: Se avessi bisogno di aiuto,
ti chiamerei; Se avessi preso l’aereo, sarei già a casa.
Il condizionale presente si usa soprattutto nell’apodosi del periodo ipotetico della
possibilità: Se la gente seguisse questi consigli, lei perderebbe i clienti; e dell’irrealtà, in
riferimento al presente: Se fossi un gabbiano, volerei sopra il mare.
Si usa pure, in proposizioni indipendenti o subordinate, per esprimere:
- una richiesta cortese: Mi passeresti quel libro?
- una supposizione: Il vero responsabile sarebbe un noto uomo d’affari.
- un’opinione personale, presentata in forma attenuata: Secondo me, bisognerebbe
telefonargli subito.
- un dubbio, in forma diretta o indiretta: Dovrei forse uscire?; Non so proprio che cosa
dovrei fare.
Il condizionale passato esprime un evento che si sarebbe potuto verificare nel passato,
se si fosse verificata una certa condizione.
Il condizionale presente si usa soprattutto nell’apodosi del periodo ipotetico
dell’irrealtà, in riferimento al passato: Se fosse tornato in tempo, gli avrei parlato.
In dipendenza di un tempo passato, specialmente nelle proposizioni soggettive,
oggettive e interrogative indirette, il condizionale passato si usa per indicare un fatto che si
sarebbe potuto realizzare in un momento successivo (futuro nel passato): Si dice che avrebbe
fatto meglio ad agire in modo diverso.; Mi dicevano che saresti arrivato oggi.
Il condizionale passato si usa pure per esprimere:
- un’opinione personale, in forma attenuata: Non avresti dovuto fare così.
- una supposizione: A quanto si dice, qualcuno l’avrebbe avvertito.
- un dubbio, in forma diretta o indiretta: A chi avrei dovuto rivolgermi?; Non so
proprio a chi avrei dovuto rivolgermi.
5.3.4. Il modo imperativo
L’imperativo esprime un ordine, un comando, una esortazione, un consiglio, un
invito, una preghiera o un divieto. Ha un solo tempo, il presente, ed è usato solo in
proposizioni indipendenti.
Ha forme proprie solo per le seconde persone. Per le altre tre (per la terza singolare e
per la prima e la terza plurali) si usano le corrispondenti forme del congiuntivo presente
(congiuntivo esortativo).
Il comando nella forma negativa si esprime:
- con non seguito dall’infinito per la seconda persona singolare: Non cantare!
- con non seguito dalle forme dell’imperativo positivo per tutte le altre persone: Non
canti!(egli); Non cantiamo! (noi); Non cantate! (voi); Non cantino! (essi).
5.3.5. L’infinito e i suoi tempi
L’infinito è il modo che esprime l’evento in maniera generica e indeterminata:
esprime, cioè, il semplice significato del verbo.
Esso ha due tempi: uno semplice, il presente, e uno composto, il passato.
Come tutti i modi indefiniti, l’infinito è, nello stesso tempo, una forma verbale e una
forma nominale e, quindi, può essere usato in funzione di verbo e di sostantivo.
In funzione di verbo, l’infinito si usa:
- nelle proposizioni subordinate implicite, nelle quali assume come soggetto la persona
del verbo della frase reggente: Ti scrivo per farti sapere la data del mio arrivo; Prenderò una
decisione dopo aver esaminato la questione.
- in dipendenza da verbi servili, causativi e fraseologici: Vorrei partire prima di sera;
L’ho fatto aspettare più di un’ora; Ha smesso di piovere.
- in luogo dell’imperativo, per esprimere un comando o un avvertimento rivolti a
interlocutori generici; per lo più si trova in insegne, in cartelli, in istruzioni per l’uso e simili:
Mescolare lentamente per cinque minuti; Circolare! Circolare!
- preceduto dall’avverbio non, l’infinito esprime divieto o comando negativo: Giorgio,
non toccare il mio disegno!
- nelle frasi interrogative ed esclamative, per esprimere, con particolari effetti emotivi,
dubbio, sorpresa, desiderio, contrarietà e simili: Che cosa dire?; Io venire a spasso con te?!
- nelle narrazioni può sostituire l’indicativo, creando un particolare effetto stilistico
che evidenzia la ripetitività dell’azione (infinito narrativo): E tutti lì a pregarla, a cercare di
convincerla.
5.3.6. Il participio e i suoi tempi
Il participio è un modo che, esprimendo il significato del verbo come se fosse una
qualità di un nome, “partecipa” sia delle caratteristiche del verbo sia di quelle dell’aggettivo.
Il participio ha due tempi, entrambi semplici, il presente e il passato.
Il participio presente può avere valore di verbo o di aggettivo.
Come verbo corrisponde per significato a una proposizione relativa che esprime
un’azione contemporanea a quella indicata dalla reggente: Udimmo una voce invocante (=
che invocava) aiuto.
Come aggettivo corrisponde a un attributo del nome: Abbiamo assistito a uno
spettacolo deprimente; Claudio ha un sorriso affascinante.
Il participio passato, come il participio presente, accomuna in sé la funzione verbale
con quella di aggettivo.
Come aggettivo, il participio passato funge da attributo o da elemento del predicato
nominale, e concorda in genere e in numero con il sostantivo cui si riferisce: I carabinieri
hanno catturato il bandito evaso; La casa sembrava abbandonata.
Come verbo, unito agli ausiliari essere e avere, il participio passato serve a formare i
tempi composti dei verbi transitivi, intransitivi, riflessivi e pronominali e, unito all’ausiliare
essere (e, più raramente venire o andare), serve a costruire tutti i tempi della forma passiva:
Mario è andato al cinema; Entrambi hanno ascoltato i commenti; La terra viene (è) arata
dal contadino; Durante il traslocco molte cose andarono smarrite.
Sempre come verbo, unito a un sostantivo o a un pronome, è spesso usato come
predicato di varie proposizioni dipendenti implicite, con valore temporale, causale, concessivo
o relativo, che esprimono un’azione o un fatto anteriori a quelli espressi dalla reggente:
Terminata (= dopo che fu terminata) la cerimonia, ci fu un rinfresco.
5.3.7. Il gerundio e i suoi tempi
Il gerundio è il modo che indica un’azione che si compie in stretta relazione con
un’altra azione espressa da un verbo di modo finito. Infatti, il gerundio si usa esclusivamente
in proposizioni dipendenti implicite.
Ha due tempi: presente (o gerundio semplice) e passato (o gerundio composto).
Il gerundio presente indica azione contemporanea a quella espressa dal verbo della
reggente: Parlando si possono chiarire i malintesi.
Il gerundio passato esprime un’azione anteriore a quella indicata nella reggente:
Avendo camminato molto, si sentiva distrutto dalla stanchezza.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu; Ramona Vasile; Aurelian Velea, La lingua italiana. Fonetica. Fonologia.
Morfologia, Craiova, Editura AIUS, 2001, pp. 103-153.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica,
Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 305-381.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 379-486.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Come si costruisce la forma passiva del verbo?
2. Cos’è il passivo con il si passivante?
3. Come si classificano i riflessivi?
4. Descrivere l’uso dei verbi ausiliari.
5. Descrivere l’uso dei verbi servili.
6. Specificare quali sono i tempi dell’indicativo e come si usano.
7. Specificare quali sono i tempi del congiuntivo e come si usano.
8. Specificare quali sono i tempi del condizionale e come si usano.
9. Definire cos’è l’imperativo e come si usa.
10. Spiegare cosa sono i modi indefiniti, indicare quali sono e come si usano.
6. L’avverbio
L’avverbio è la parte invariabile del discorso che si aggiunge a un verbo, a un
aggettivo, a un nome o a un altro avverbio per modificarne, qualificandolo o determinandolo,
il significato: Il treno partirà sicuramente in orario.
Può modificare anche un’intera frase: Forse non verrò alla festa.
Secondo il loro significato, cioè in base al tipo di modificazione o di determinazione
che esprimono, gli avverbi si distinguono in: avverbi di modo o qualificativi e avverbi
determinativi: di luogo; di tempo; di quantità; di valutazione o giudizio; interrogativi;
esclamativi; presentativi.
6.1. Gli avverbi di modo
Gli avverbi di modo indicano il modo in cui si svolge un evento oppure aggiungono
una precisazione qualificativa a un aggettivo o a un altro avverbio: Al suo arrivo fu accolto
calorosamente; Il panorama è veramente ineguagliabile.
Appartengono a questo tipo:
- gli avverbi in -mente: calorosamente, gentilmente, velocemente ecc.;
- gli avverbi in -oni: ginocchioni, cavalcioni, bocconi ecc.;
- gli avverbi costituiti dalla forma maschile singolare di taluni aggettivi qualificativi
usati, appunto, in funzione avverbiale: chiaro, giusto, piano, forte, alto ecc.;
- alcuni altri avverbi quali: bene, male, così, insieme, cioè, come, invano ecc.
6.2. Gli avverbi di luogo
Gli avverbi di luogo esprimono una determinazione di luogo.
I più comuni avverbi di luogo sono:
a) qui, qua, quaggiù, quassù, che indicano un luogo vicino a chi parla;
b) là, colà, laggiù, lassù, lì, ivi, quivi, che indicano un luogo lontano da chi parla e da
chi ascolta;
c) costì, costà, che indicano un luogo vicino a chi ascolta (rari nell’uso parlato al di
fuori della Toscana);
d) vicino, presso, lontano, dappertutto, fuori, dentro, dietro, indietro, davanti, dinanzi,
avanti, intorno, sotto, sopra, su, giù ecc.:
e) dovunque, ovunque, dove, ove, donde, onde, che si usano esclusivamente per
mettere in relazione due proposizioni e sono detti perciò avverbi di luogo relativi: Non so
dove può essersi nascosto.
f) Le particelle avverbiali:
- ci, vi (“qui, in questo luogo, in quel luogo”): Adoro Venezia perché ci sono nato.
- ne (“da qui, da qua, da lì, da là”): Amo la mia città e me ne allontano raramente.
6.3. Gli avverbi di tempo
Gli avverbi di tempo esprimono una determinazione di tempo.
I più comuni avverbi di tempo sono: ora, allora, adesso, ormai, subito, prima, poi,
dopo, poscia, sempre, spesso, sovente, talora, talvolta, ancora, tuttora, finora, già, mai,
presto, tardi, ieri, oggi, domani, dopodomani ecc.: Parleremo dopo di questa faccenda.
6.4. Gli avverbi di giudizio
Gli avverbi di giudizio esprimono un giudizio in forma affermativa, negativa o
dubitativa. Si distinguono in:
- avverbi di affermazione: sì, certo, certamente, esattamente, sicuro, sicuramente,
appunto, giusto, proprio, indubbiamente ecc.: Sì, Luisa è stata la prima a pettinarsi così.
- avverbi di negazione: no, non, neanche, nemmeno, neppure, mica ecc.: Non ti posso
comprare quell’abito, costa troppo.
- avverbi di dubbio: probabilmente, forse, magari (“forse”) ecc.: Credi forse che non
ti aiuteremo?; Magari non si farà neanche vedere, ma bisogna aspettarlo.
Sì. L’avverbio sì può essere usato da solo, o accompagnato da altri avverbi; serve
come risposta a una domanda: - Vieni a pescare con noi? / - Sì (= vengo a pescare con voi).
Può inoltre modificare un verbo, un aggettivo e simili: Giovanni è sì studioso, ma
molto furbo.
L’affermazione sì può essere rafforzata: con il raddoppiamento: sì, sì, ho capito; con
l’aiuto di altri avverbi affermativi: sì certo; con formule come sissignore, signorsì.
Non. In italiano, non è l’avverbio negativo per eccellenza. Quando precede il verbo
connota la frase negativa: Non ho potuto seguire l’ultima fase della gara.
Non può negare anche un solo elemento della frase, generalmente un pronome, un
aggettivo o un avverbio: Non molti ti hanno creduto; Mi sembra un film non interessante.
Nelle contrapposizioni, quando non si ripete il verbo nel secondo termine, non viene
sostituito da no: Io ho letto il libro, Maria no (= non l’ha letto).
Spesso non viene rafforzato da un elemento posposto al verbo, rispettivamente da:
- l’avverbio affatto (“per niente”, “in nessun modo”): Non ho affatto freddo.
- l’avverbio mica (“per nulla, minimanente, affatto”): Non è mica vero quello che dici.
- gli avverbi neanche, nemmeno, neppure: Non si è visto neanche oggi; Non mi piace
nemmeno quando è gentile con me; Non l’ho neppure invitato.
- i pronomi niente, nulla e il pronome o l’aggettivo nessuno: Non ho visto niente;
Non è stato fatto nulla per lui; Non è venuto nessuno; Non ho nessun desiderio di vederti.
- l’avverbio mai: Luigi non è mai stanco.
Quando sono collocati davanti al verbo, neanche, nemmeno, neppure, niente, nulla,
nessuno e mai rifiutano la presenza della negazione non: Neanche voglio vederlo; Nemmeno
mi ha guardato; Neppure Franco l’ha saputo; Nulla può convincerlo; Mai mi sarei permesso
di gridare in classe.
No. L’avverbio no può essere usato da solo e serve come risposta a una domanda: - Ti
è piaciuto lo spettacolo? / - No (= non mi è piaciuto).
No si usa pure nelle frasi che esprimono un’alternativa o una contrapposizione,
quando non si ripete il verbo nel secondo termine: Vuoi mangiare o no?; A me è piaciuto il
film, a Luigi no.
L’avverbio no può essere rafforzato: con il raddoppiamento: no no, no e poi no; con
l’aiuto degli avverbi davvero e certo: no davvero, no certo, certo che no; da formule come
nossignore.
6.5. Gli avverbi di quantità
Gli avverbi di quantità più comuni e più usati sono: molto, poco, alquanto, parecchio,
tanto, quanto, altrettanto, più, meno, troppo, nulla, niente (“per nulla”), abbastanza, quasi,
piuttosto, appena, assai (“abbastanza, sufficientemente”), almeno, affatto, così (“molto,
tanto”), minimamente, interamente ecc.: Studia molto e parla poco; Oggi ho mangiato tanto.
6.6. Gli avverbi interrogativi ed esclamativi
Gli avverbi interrogativi ed esclamativi compaiono in frasi interrogative dirette ed
esclamative, in riferimento:
- al modo: come: Come farò senza il tuo aiuto?
- al luogo: dove, ove, donde, onde: Dove ti posso rintracciare?
- al tempo: quando: Quando ti deciderai a smettere di fumare?
- alla quantità: quanto: Quanto manca alla fine della partita?
- alla causa: perché: Perché ti comporti in quel modo?
6.7. Gli avverbi presentativi
Gli avverbi presentativi sono, in realtà, uno solo: ecco; esso, però, può essere usato in
molti modi e forme diverse. Infatti, ecco si usa per presentare, annunciare, mostrare, indicare
qualcosa o qualcuno, specialmente in frasi esclamative o in frasi nominali.
Si premette:
- a verbi: Ecco, guarda cosa hai combinato!
- a nomi: Ecco il dottore.
- a pronomi personali: Ecco… io… vorrei… un gelato!; Eccoti di nuovo qui.
- ad altri avverbi: Ecco qua!
- a congiunzioni: Ecco che arriva Giorgio.
Può avere valore conclusivo: Non ne voglio più sapere, ecco!
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu; Ramona Vasile; Aurelian Velea, La lingua italiana. Fonetica. Fonologia.
Morfologia, Craiova, Editura AIUS, 2001, pp. 154-162.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica,
Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 382-401.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 487-514.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Definire gli avverbi di modo.
2. Quali sono gli avverbi di luogo e come si usano?
3. Quali sono gli avverbi di tempo e come si usano?
4. Quali sono gli avverbi di giudizio e come si usano?
5. Quali sono gli avverbi interrogativi e presentativi, come si usano?
7. La preposizione
In italiano, le preposizioni si suddividono in tre categorie: preposizioni proprie,
preposizioni improprie e locuzioni prepositive.
L’italiano ha le seguenti preposizioni proprie: di, a, da, in, con, su, per, tra o fra.
Quando sono premesse direttamente al nome, al pronome, all’avverbio o al verbo che
reggono, queste preposizioni si chiamano preposizioni semplici. Quando invece sono
premesse a un articolo determinativo, come abbiamo visto parlando dell’articolo, si uniscono
con esso dando luogo alle cosiddette preposizioni articolate: del, dello, della, dell’ ecc.
Con le preposizioni tra, fra non si formano preposizioni articolate.
Nell’italiano attuale non si formano preposizioni articolate neppure con per.
Le preposizioni articolate formate da con sono poco usate, tranne col, ancora comune.
Le preposizioni improprie sono parole che, pur appartenendo ad altre parti del
discorso, a seconda del contesto, possono assumere il ruolo di preposizioni. Fanno parte delle
preposizioni improprie:
- aggettivi: salvo, secondo, lungo ecc.: Ho passeggiato lungo la via Veneto.
- avverbi: prima, dopo, davanti, avanti, dietro, dentro, oltre, fuori, sopra, sotto,
presso, contro, insieme ecc.: Verrò da te dopo le otto; Dietro la casa c’è un parco immenso.
- verbi al participio presente o passato: durante, mediante, rasente, nonostante,
escluso, eccetto, dato ecc.: Nonostante le tue riserve l’affare si concluderà.
Le locuzioni preposizionali sono gruppi di due o più parole usate come preposizioni:
in mezzo a, allo scopo di, in faccia a, in luogo di, per causa di, vicino a, invece di ecc.: Invece
di piangere trova una soluzione; Lo avvisai per mezzo del telefono.
7.1. La preposizione di
La preposizione di (può elidersi davanti ad altra vocale, in particolare davanti a i:
d’inverno, d’un tratto, d’accordo) “specifica” la parola che segue nel senso più ampio: È
indispensabile nutrirsi di pane; Alcuni di noi partiranno subito.
Seguita da un verbo all’infinito, introduce le seguenti subordinate implicite:
- soggettiva: Si prega di chiudere la porta.
- oggettiva: Spero di arrivare in tempo.
- dichiarativa: Per fortuna ho avuto la possibilità di avvertirti in tempo.
- causale: Mi dispiace di essermi comportato male con te.
- finale: Ti prego di evitare commenti.
- consecutiva: È degno di essere premiato.
La preposizione di serve anche per formare:
- locuzioni prepositive: prima di, dopo di, fuori di, invece di, in luogo di ecc.;
- locuzioni avverbiali: di là, di sopra, di sotto, di recente, di nascosto, di rado ecc.;
- locuzioni congiuntive: di modo che, dopo di che ecc.
7.2. La preposizione a
La preposizione a (davanti ad altra vocale, in particolare davanti ad a si può avere la
forma ad, con d eufonica) indica la direzione di un movimento, sia reale sia figurato, o il
punto di arrivo del movimento. È pure la preposizione specifica del complemento di termine
(che in romeno ha come corrispondente il complemento indiretto in dativo): Porterò i tuoi
saluti a mio padre; La mia famiglia vive a Craiova.
Seguita da un infinito, può introdurre le seguenti subordinate implicite:
- causale: Hai sbagliato a non venire sabato.
- finale: Verrò di persona a salutarti.
- condizionale: A pensarci bene, non ci sto.
- temporale: A sentirlo dire così, non ci ho visto più.
- limitativa: A guardarlo, sembrerebbe perfetto.
- condizionale: A pensarci bene, non ha tutti i torti.
- relativa: È stato l’unico a riuscire nell’impresa.
La preposizione a serve anche a formare:
- locuzioni prepositive: fino a, vicino a, davanti a, dietro a, a seguito di ecc.;
- locuzioni avverbiali: a caso, a poco a poco, a mano a mano, a uno a uno ecc.
7.3. La preposizione da
La preposizione da indica un concetto di provenienza, di distacco e allontanamento,
sia reale sia figurato. È pure la preposizione specifica del complemento d’agente: È stato
mandato da Paolo; È stato abbagliato da una luce.
La preposizione da si elide solo in pochi casi: d’ora in poi, d’altronde, d’altro canto.
In altri casi si unisce alla parola che segue raddoppiandone la consonante iniziale: da bene 
dabbene, da vero  davvero, da capo  daccapo, da che  dacché ecc.
Seguita da un infinito, può introdurre le seguenti subordinate implicite:
- consecutiva: È stato tanto abile da rimontare e vincere la partita.
- finale: Dammi qualcosa da mangiare.
- limitativa: I problemi di geometria sono divertenti da risolvere.
- relativa: Ho un vestito da smacchiare.
La preposizione da serve anche a formare:
- locuzioni prepositive: da parte di, fuori da, fino da, di qua da, di là da ecc.;
- locuzioni avverbiali: da vicino, da lontano, da capo, da meno ecc.
7.4. La preposizione in
La preposizione in indica la posizione, reale o figurata, nello spazio e nel tempo:
Studio in biblioteca; Vado spesso in campagna.
Seguita da un infinito (l’infinito rifiuta la preposizione semplice in, ma richiede la
preposizione articolata), la preposizione in può introdurre la subordinata implicita temporale:
I genitori soffrono nel vedere i figli allontanarsi.
La preposizione in serve anche a formare:
- locuzioni prepositive: in compagnia di, in seguito a, in relazione a, in base a ecc.;
- locuzioni avverbiali: in qua, in là, in giù, in su, in basso, in alto, di volta in volta ecc.
7.5. La preposizione con
La preposizione con indica l’idea di unione o partecipazione. Indica pure un rapporto
di carattere strumentale: È uscito con una valigia in mano; Vado in vacanza con il mio amico.
Seguita da un infinito (l’infinito rifiuta la preposizione semplice con, ma richiede la
preposizione articolata), la preposizione con può introdurre la subordinata implicita modale:
Col passar del tempo, la questione si chiarirà.
7.6. La preposizione su
La preposizione su indica fondamentalmente “contiguità, approssimazione” e
“posizione superiore”: Ho dimenticato i guanti sul tavolo.
La preposizione su si usa pure in varie locuzioni avverbiali: sul momento, sul tardi, sul
far del giorno, sul serio, su due piedi ecc.
7.7. La preposizione per
La principale funzione della preposizione per è quella di introdurre il “tramite”
attraverso cui si svolge l’azione, in accezione locativa, strumentale, modale ecc.: Esci per la
porta dietro; Luigi è partito per Roma.
Seguita da un infinito, può introdurre le seguenti subordinate implicite:
- finale: Cambiai atteggiamento per non aggravare la situazione.
- consecutiva: È troppo piccolo per lavorare.
- causale: Si è sentito male per aver bevuto troppo.
Seguita da un infinito seguito dall’espressione che faccia o che facesse o da un
aggettivo seguito da che sia, che sembri, che appaia, introduce la subordinata concessiva
esplicita: Per mangiare che faccia, Giorgio rimane magro come un chiodo.
La preposizione per serve anche a formare:
- locuzioni avverbiali: per l’appunto, per sempre, per lungo, per poco, per caso ecc.;
- locuzioni congiuntive: per la qual cosa, per quanto, per il fatto che ecc.
7.8. Le preposizioni tra e fra
Le preposizioni tra e fra indicano una posizione intermedia, nello spazio e nel tempo,
tra due elementi. Per questo sono spesso correlate alla congiunzione e: Tra l’ufficio e casa
mia ci sono pochi minuti di macchina.
Le preposizioni tra e fra si usano pure in varie locuzioni avverbiali: tra/fra poco,
tra/fra l’altro, tra/fra non molto, tra/fra breve ecc.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu; Ramona Vasile; Aurelian Velea, La lingua italiana. Fonetica. Fonologia.
Morfologia, Craiova, Editura AIUS, 2001, pp. 163-170.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica,
Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 402-424.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 327-357.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Come si classificano le preposizioni?
2. Indicare le funzioni della preposizione di.
3. Indicare le funzioni della preposizione a.
4. Indicare le funzioni della preposizione da.
5. Indicare le funzioni delle preposizioni in, con, su, per, tra e fra.
8. La congiunzione
La congiunzione è la parte invariabile del discorso che serve a collegare due parole di
una proposizione coordinandole, oppure due proposizioni coordinandole o subordinandole.
Rispetto alla loro forma, le congiunzioni possono essere:
– semplici, se sono formate da una sola parola: e, o, né, ma, se, come, che, anche,
quando, mentre, però, quindi ecc.;
– composte, se sono formate dalla fusione di due o più parole: cioè, perciò, oppure,
poiché, affinché, sebbene, neanche, nemmeno, neppure, nondimeno ecc.;
– locuzioni congiuntive, se sono formate da due o più parole scritte separatamente:
visto che, in quanto a, dal momento che, di modo che, ogni volta che, anche se ecc.
Rispetto alla funzione sintattica, le congiunzioni si dividono in:
- congiunzioni coordinative o coordinanti, quelle che uniscono proposizioni o parti
di proposizione sintatticamente equivalenti: Mario e Giorgio frequentano la stessa classe.
- congiunzioni subordinative o subordinanti, quelle che collegano due proposizioni
stabilendo un rapporto di subordinazione per cui una dipende sintatticamente dall’altra: È
pallido che pare un lenzuolo; Non so nulla perché non ho letto il giornale.
8.1. Le congiunzioni coordinative
In base al tipo di rapporto che stabiliscono tra gli elementi che collegano, le
congiunzioni coordinative si suddividono in:
- copulative: sono quelle che hanno la funzione esclusiva di collegamento: e, anche,
inoltre, pure, né, neppure, neanche, nemmeno ecc.: Mangia di tutto, anche la plastica.
- disgiuntive: collegano due elementi di cui uno esclude l’altro ponendo
un’alternativa: o, oppure, ovvero, ossia, altrimenti ecc.: Vuoi latte o limone nel tè?
- avversative: indicano una contrapposizione: ma, però, tuttavia, nondimeno, pure,
eppure, anzi, piuttosto, invece ecc.: Abito in una casa vecchia ma comoda.
- dichiarative o esplicative: introducono una parola o una proposizione che spiega o
precisa quanto si è detto precedentemente: cioè, ossia, infatti, invero, vale a dire ecc.: Sono
andato a trovarlo due giorni fa, ossia lunedì.
- conclusive: indicano una conclusione, una conseguenza di ciò che si è detto prima: e,
dunque, quindi, pertanto, perciò, allora ecc.: Volete una spiegazione e io ve la darò.
- correlative: indicano relazione reciproca tra due parole o due proposizioni: e... e,
sia... sia, sia che... sia che, o... o, né... né ecc.: Ho acquistato sia la moto sia la bicicletta.
8.2. Le congiunzioni subordinative
In base al loro senso e, quindi, al tipo di collegamento che stabiliscono fra la
proposizione subordinata e la reggente, le congiunzioni subordinative si suddividono in:
- dichiarative: introducono un’affermazione: che, come: Mi consola la certezza che
un giorno tornerai.
- finali: introducono una proposizione che indica lo scopo per cui avviene l’azione
espressa dalla reggente: perché, affinché, acciocché ecc.: Controlla che non combini guai.
- causali: introducono una proposizione che indica la causa di ciò che è espresso nella
reggente: perché, poiché, giacché, siccome, che, visto che, per il fatto che ecc.: Giacché non
vuoi giustificarti, ti proibisco di uscire.
- condizionali: introducono una proposizione che indica la condizione necessaria
perché avvenga l’azione espressa nella reggente: se, purché, qualora, quando, a condizione
che, a patto che, nel caso che, supposto che ecc.: Ti ascolterò, se mi dirai la verità.
- concessive: introducono una proposizione che indica la circostanza nonostante la
quale si compie l’azione espressa nella reggente: sebbene, nonostante, benché, quantunque,
anche se, seppure, nonostante che ecc.: La gita fu rimandata, sebbene il tempo fosse bello.
- consecutive: introducono una proposizione che indica la conseguenza di quanto si
afferma nella reggente (in cui, il più delle volte, si trova un termine correlativo): (tanto)... che,
(a tal punto)... che, (tale)... che ecc.: Va così veloce che sembra una freccia.
- temporali: introducono una proposizione che indica le circostanze temporali
dell’azione espressa nella reggente: quando, mentre, finché, come, appena che, ogni volta che,
prima che, dopo che, fino a che ecc.: Resto a casa fino a quando non smette di piovere.
- comparative: introducono una proposizione che costituisce un secondo termine di
paragone: (così)... come, (piuttosto)... che, (più)... che, (meglio)... che, (meno)... che,
(altrimenti)... che ecc.: Mi piace di più dipingere che disegnare.
- modali: introducono una proposizione che indica il modo in cui si compie l’azione
espressa nella reggente: come, come se, quasi, nel modo che ecc.: Decidi come meglio credi.
- avversative: introducono una proposizione che esprime un’azione contrapposta a
quanto si afferma o avviene nella reggente: mentre, quando, laddove, anziché ecc.: Lo
credevo onesto, mentre si è dimostrato un bugiardo.
- limitative: introducono una proposizione che esprime una limitazione a quanto
espresso nella reggente: che, per quanto, in quanto a ecc.: Che io sappia, sono già partiti.
- eccettuative: introducono una proposizione che esprime un’eccezione rispetto a
quanto si afferma nella reggente: fuorché, salvo che, tranne che, eccetto che, a meno che ecc.:
Non lo farò, a meno che non vi sia obbligato.
- esclusive: introducono una proposizione nella quale si esclude qualcosa da ciò che è
affermato nella reggente: senza che: Prese una decisione, senza che ne sapessimo nulla.
- interrogative indirette: introducono una proposizione che esprime una domanda o
un dubbio: se, come, quando, quanto ecc.: Desidero sapere se interverrai alla cerimonia.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu; Ramona Vasile; Aurelian Velea, La lingua italiana. Fonetica. Fonologia.
Morfologia, Craiova, Editura AIUS, 2001, pp. 171-175.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica,
Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 425-431.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 359-365.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Come si classificano le congiunzioni secondo la forma?
2. Come si classificano le congiunzioni secondo la funzione?
3. Come si suddividono le congiunzioni coordinative?
4. Come si suddividono le congiunzioni subordinative?
9. L’interiezione
L’interiezione o esclamazione è la parte invariabile del discorso che esprime in
forma immediata un sentimento, uno stato d’animo, una preghiera, un saluto, un richiamo.
In italiano, le interiezioni si suddividono in tre categorie: interiezioni proprie (o
semplici, o primarie), interiezioni improprie (o secondarie) e locuzioni interiettive (o
esclamative).
Le interiezioni proprie sono quelle che hanno sempre e soltanto la funzione di
interiezione:
- ahi, ahimè, ohi (indicano sofferenza fisica o morale): Ohi, che dolore!
- uff, uffa (indicano noia, fastidio): Uff, ancora quel discorso!
- boh, bah, ehm, uhm, mah, ma (indicano dubbio, incertezza, rassegnazione): Boh, che
vuoi, è sempre così.
- ah, oh, eh, uh, ih (indicano disappunto, dolore, sorpresa, gioia, ilarità): Oh, che
regalo bellissimo.
- urrà, urrah, hurrá (indicano gioia): Urrà, siamo entrati in finale!
- oh, toh (indicano sorpresa): Oh, che bella sorpresa!
- st, sst, ssst, sss (usate per zittire o richiamare qualcuno): Sss, basta parlare!
- ehi, ps, pst, pss (usate per richiamare l’attenzione di qualcuno): Ps, voi due!
- deh (indica preghiera, esortazione): Deh, spiriti dell’aria e dell’acqua.
- beh, be’ (apocope di bene, usate per troncare, introdurre, interrogare): Beh, vogliamo
muoverci?
- puah (indica disgusto): Era un intruglio disgustoso! Puah!
- sciò (usata per scacciare animali): Sciò, zanzare malefiche!
- alt, marsc’ (usate per dare un ordine) ecc.
Le interiezioni improprie sono parole che appartengono comunemente ad altra
categoria (nomi, verbi, aggettivi, verbi, avverbi ecc.) usate come interiezioni per diversi scopi:
- verme!, cane!, maiale!, bestia!, animale! ecc., usate per insultare;
- vieni!, vai!, zitto!, taci!, basta!, fuori! ecc., usate per ordinare;
- dai!, vai!, suvvia!, coraggio!, andiamo!, animo!, forza! ecc., usate per esortare;
- pietà!, perdono!, scusi!, scusa!, usate per pregare;
- giusto!, bene!, bravo!, esatto!, usate per apprezzare;
- male!, sbagliato!, vergogna!, scusa!, usate per biasimare.
Le locuzioni interiettive sono gruppi di parole che assumono valore esclamativo:
Santo Cielo!, Per carità!, Dio mio!, Per l’amor di Dio!, Al ladro!, Al fuoco!, Ci mancherebbe
altro!, Porca miseria!, Siamo fritti! ecc.: Uh, Santo Cielo! Ho dimenticato la pizza in forno!;
Mamma mia, che spavento!
9.1. Onomatopee
Le onomatopee sono espressioni che imitano e riproducono versi di animali, suoni e
rumori: miao, bau, toc-toc, cip cip, drin, din don, tic tac, bum! ecc.
Le onomatopee sono spesso usate in forma nominale e, in qualità di sostantivi,
possono essere precedute dall’articolo o da una preposizione (semplice o articolata): Il tic tac
dell’orologio mi ossessiona; I miei canarini cantano il loro cip-cip allegro.
BIBLIOGRAFIA DI BASE
Elena Pîrvu; Ramona Vasile; Aurelian Velea, La lingua italiana. Fonetica. Fonologia.
Morfologia, Craiova, Editura AIUS, 2001, pp. 176-177.
Maurizio Dardano; Pietro Trifone, Grammatica italiana. Con nozioni di linguistica,
Terza Edizione, Bologna, Zanichelli Editore, 1995, pp. 432-434.
Luca Serianni (con la collaborazione di Alberto Castelvecchi), Grammatica italiana.
Italiano comune e lingua letteraria, Bologna, UTET Libreria, 1989, pp. 367-378.
TRACCIA PER LA VERIFICA FORMATIVA DEI CONTENUTI
1. Come si classificano le interiezioni?
2. Definire le interiezioni proprie e spiegare le loro caratteristiche e funzioni.
3. Definire le interiezioni improprie e spiegare le loro caratteristiche e funzioni.
4. Cosa sono le locuzioni interiettive?
5. Definire le onomatopee e spiegare le loro caratteristiche e funzioni.
RICAPITOLAZIONE
1. Descrivere le vocali italiane.
2. Come si classificano le consonanti italiane secondo il modo di articolazione?
3. Come si classificano le consonanti italiane secondo il luogo di articolazione?
4. Riepilogare i digrammi e i trigrammi italiani.
5. Qual è l’uso di h?
6. Quali sono le lettere straniere aggiunte all’alfabeto italiano e come si usano?
7. In quali casi si deve segnare l’accento tonico sulle parole?
8. Quali sono le semiconsonanti italiane?
9. Quando l’elisione è obbligatoria?
10. Quando l’elisione è facoltativa?
11. Definire il troncamento e quando è obbligatorio.
12. Cosa è la prostesi?
13. Cos’è il raddoppiamento fonosintattico?
14. Quando si ha la tendenza al raddoppiamento fonosintattico?
15. In quali casi il raddoppiamento fonosintattico si evidenzia graficamente e come?
16. Cosa è la “d eufonica”?
17. Indicare le forme e gli usi dell’articolo determinativo.
18. Indicare le forme e gli usi dell’articolo indeterminativo.
19. Come si usa l’articolo con i nomi di persona?
20. Come si usa l’articolo con con i cognomi dei personaggi famosi?
21. Come si usa l’articolo con i nomi geografici?
22. Definire l’articolo partitivo.
23. Indicare le forme delle preposizioni articolate.
24. Come si classificano i nomi secondo la forma?
25. Come formano il femminile i nomi maschili in -o?
26. Come formano il femminile i nomi maschili in -a?
27. Cosa sono i nomi indipendenti?
28. Cosa sono i nomi di genere comune?
29. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -a?
30. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -o?
31. Come si forma il plurale dei nomi maschili e femminili in -e?
32. Quali sono i nomi invariabili?
33. Illustrare il gruppo dei nomi con due forme di plurale.
34. Come si forma il plurale dei nomi composti?
35. Quale deve essere la posizione dell’aggettivo qualificativo?
36. Quali sono gli aggettivi qualificativi invariabili?
37. Come si forma il grado comparativo degli aggettivi?
38. Come si forma il grado superlativo degli aggettivi?
39. Cosa sono i comparativi e i superlativi organici?
40. Indicare le forme e gli usi degli aggettivi possessivi.
41. Indicare le forme e gli usi degli aggettivi dimostrativi.
42. Indicare l’uso degli aggettivi indefiniti qualunque, nessuno e tutto.
43. Indicare le forme e gli usi degli aggettivi interrogativi.
44. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali soggetto.
45. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali complemento.
46. Cosa sono i pronomi allocutivi e come si usano.
47. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi personali riflessivi.
48. Descrivere ed indicare l’uso delle particelle ci e vi.
49. Descrivere ed indicare l’uso della particella ne.
50. A cosa servono i pronomi possessivi e quali sono?
51. Definire i pronomi dimostrativi ed indicare quali sono.
52. Indicare l’uso dei pronomi indefiniti nessuno, niente e nulla.
53. Indicare l’uso dei pronomi indefiniti uno, qualcuno, chiunque e qualcosa.
54. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi relativi.
55. Descrivere ed indicare l’uso dei pronomi interrogativi.
56. Cosa sono i verbi predicativi e quelli copulativi?
57. Come si costruisce la forma passiva del verbo?
58. Come si classificano i verbi riflessivi?
59. Descrivere ed indicare l’uso dei verbi impersonali.
60. Descrivere l’uso dei verbi ausiliari.
61. Descrivere la concordanza del participio passato con l’ausiliare essere.
62. Descrivere la concordanza del participio passato con l’ausiliare avere.
63. Descrivere l’uso dei verbi servili.
64. Definire i verbi fraseologici ed indicare gli ambiti di significato che esprimono.
65. Descrivere l’uso dei verbi causativi.
66. Specificare quali sono i tempi dell’indicativo e come si usano.
67. Specificare quali sono i tempi del congiuntivo e come si usano.
68. Specificare quali sono i tempi del condizionale e come si usano.
69. Definire cos’è l’imperativo e come si usa.
70. Spiegare cosa sono i modi indefiniti, indicare quali sono e come si usano.
71. Qual è la posizione dell’avverbio?
72. Descrivere gli avverbi derivati.
73. Definire e descrivere gli avverbi di modo.
74. Quali sono gli avverbi di luogo e come si usano?
75. Quali sono gli avverbi di tempo e come si usano?
76. Quali sono gli avverbi di giudizio e come si usano?
77. Quali sono gli avverbi interrogativi e presentativi, come si usano?
78. Come si classificano le preposizioni?
79. Indicare le funzioni della preposizione di.
80. Indicare le funzioni della preposizione a.
81. Indicare le funzioni della preposizione da.
82. Indicare le funzioni delle preposizioni in, con, su, per, tra e fra.
83. Come si classificano le congiunzioni secondo la forma?
84. Come si classificano le congiunzioni secondo la funzione?
85. Come si suddividono le congiunzioni coordinative?
86. Come si suddividono le congiunzioni subordinative?
87. Come si classificano le interiezioni?
88. Definire le interiezioni proprie e spiegare le loro caratteristiche e funzioni.
89. Definire le interiezioni improprie e spiegare le loro caratteristiche e funzioni.
90. Cosa sono le locuzioni interiettive?
91. Definire le onomatopee e spiegare le loro caratteristiche e funzioni.
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Gli esercizi dal volume Elena Pîrvu; Ramona Vasile; Aurelian Velea, La lingua
italiana. Fonetica. Fonologia. Morfologia, Craiova, Editura AIUS, 2001, pp. 181-241.