Cessione contratto di leasing - Università degli Studi di Parma

Il costo di acquisizione del contratto di leasing
Uno commento alla Norma di comportamento n. 141
dell’Associazione dottori commercialisti di Milano
Giulio Tagliavini
Università di Parma
[email protected] - 0521.902437
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Premessa
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Problema: il trattamento del prezzo pagato da parte dell’acquirente per
subentrare in un contratto di leasing.
Questo prezzo potrebbe essere configurato:
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come spesa relativa a più esercizi da ripartirsi sulla durata residua del
contratto di leasing che il subentrante assume su di sé;
come onere accessorio del prezzo di riscatto del bene oggetto del contratto
di leasing, in tale caso l’onere verrebbe aggiunto al costo del riscatto del
bene e sarà sottoposto a successivo processo di ammortamento;
come onere da imputare subito, all’esercizio in cui si stipula la cessione del
leasing;
in forma mista, sulla base di una imputazione pro quota agli elementi
suddetti.
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La soluzione ufficiale
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La Direzione generale delle entrate dell’Emilia Romagna ha proprio sostenuto la
tesi della ripartizione del prezzo sugli elementi prima citati, in modo da
rispecchiare la natura effettiva dell’accordo.
Se la cessione ha il fine di assumere il godimento del bene in vigenza di
contratto, allora è prevalente l’imputazione al periodo antecedente alla fine del
leasing.
Se invece la cessione ha l’obiettivo di assumere l’opzione di riscatto, ed è
dunque finalizzata all’acquisto del bene oggetto del contratto finanziario, allora è
opportuna l’imputazione incrementativa del prezzo di riscatto.
Se la cessione è effettuata nella prima fase del contratto di leasing, allora
l’acquisto del diritto di godimento del bene produce un prevalente incremento
della componente relativa
Se il contratto è ceduto verso la fine della sua vita, allora il prezzo pagato sarà in
via prioritaria imputato ad incremento del prezzo di riscatto.
La metodologia di ripartizione del prezzo tra le componenti elencate è rimasta
tuttavia indefinita ed una soluzione articolata è stata offerta dalla recente citata
norma di comportamento n. 141.
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La soluzione proposta
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E’ opinione di chi scrive che la linea di ragionamento seguita
dall’Associazione dei commercialisti di Milano possa in qualche caso
produrre soluzioni non accettabili.
Per le ragioni in seguito illustrate, appare però preferibile adottare una
contabilizzazione attenta ai valori finanziari delle prestazioni i gioco.
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L’esempio di riferimento
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Si assuma un contratto di leasing immobiliare di durata novennale.
Il contratto viene ceduto all’inizio dell’ottavo anno.
Si semplifica il problema introducendo due elementi del tutto
trascurabili: il contratto viene ceduto il 1 gennaio dell’ottavo anno, in
modo che non sorgano problemi di valutazione dei ratei di canone;
inoltre il tasso di interesse prevalente sul mercato non è variato rispetto
al momento della stipula e rimane, nell’esempio, del 10%.
Se il tasso fosse variato, occorrerebbe fare qualche ulteriore
aggiustamento rispetto a quelli qui presentati ma il problema viene
affrontato molto facilmente e non merita una discussione specifica. La
norma 141 affronta in modo adeguato questo dettaglio.
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L’esempio di riferimento
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Si ipotizzi che il valore del bene, alla cessione del leasing, sia aumentato a 1,2
milioni di euro. Il valore attuale delle prestazioni future richieste dal locatore è di
circa 341 mila euro; ne consegue che il prezzo teorico del leasing è di circa 859
mila euro; le parti si accordano però per un pagamento di 890 mila euro.
I pagamenti che il cessionario del leasing assume su di sé sono nel complesso
1,287 milioni di euro.
Si deve risolvere il problema di identificare una opportuna appostazione
contabile.
La soluzione secondo la norma 141 è indicata nella parte finale della tabella. Si
suggerisce di imputare 100 mila euro al riscatto, 351 mila circa a risconto da
imputare alla fase di vigenza del leasing, 837 mila ad incremento del prezzo di
riscatto.
Questa soluzione, di cui la norma n. 141 non fornisce una motivazione esplicita,
ha in effetti l’obiettivo di rendere ammortizzabile all’acquirente del contratto, sul
periodo rimanente di vigenza del leasing, quanto non era stato in precedenza
ammortizzato; d’altra parte si suggerisce di capitalizzare sul riscatto quanto
ammortizzato dal primo locatario.
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L’esempio di riferimento
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Tale soluzione finisce per imputare al riscatto del bene una cifra
considerevole.
Il bene doveva essere riscattato ed in seguito ammortizzato per 100
mila euro dall’originario locatario; il bene viene ora riscattato ed in
seguito ammortizzato per circa 937 mila euro.
A ben vedere, colpisce ancora di più il fatto che un bene con un valore
di 1,2 milioni di euro sia spesato per ben 351 mila euro nei primi due
anni.
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La soluzione alternativa
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Una soluzione alternativa possibile, e che in seguito verrà qui sostenuta con
forza, è la valutazione del prezzo equo dell’opzione di acquisto insita nel riscatto
con le metodologie proprie dell’analisi finanziaria.
Il prezzo di una opzione è quantificabile avendo una stima del tempo alla
scadenza, del prezzo del bene, del prezzo di esercizio dell’opzione, della
variabilità dei prezzi di beni di quel tipo, del tasso di interesse.
Esistono diverse soluzioni di stima tra cui la più famosa e conosciuta è il
modello di Black & Scholes.
Questa metodologia permette di stimare il diritto di opzione sull’immobile a
esercizio postergato a 1,125 milioni di euro. Di questa somma, 1,1 milioni di
euro corrispondono al “valore intrinseco” che è pari alla differenza tra valore del
bene e costo del riscatto, a cui si aggiungono 25 mila euro che si spiegano per il
fatto che il locatario ha il diritto di non esercitare l’opzione se l’evoluzione del
valore del bene fosse sfavorevole.
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Una soluzione alternativa
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E’ corretto pensare che il valore intrinseco sia da capitalizzare sul
prezzo di riscatto, il valore in eccesso (i 25 mila euro) sia da riscontare
nel periodo di vigenza del leasing.
Ciò dipende dal fatto che tale esborso è legato al profilo assicurativo
del contratto di locazione finanziaria, riferito a tali due anni.
Il profilo assicurativo si connette al fatto che, sotto opzione, l’acquirente
è sicuro che il bene varrà almeno il prezzo di riscatto; se valesse meno
non lo riscatterà e ciò gli produrrà un flusso finanziario differenziale pari
al riscatto (che appunto non paga).
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Una soluzione alternativa
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Si propone dunque di imputare 100 mila euro al riscatto, 1,1 milioni di
euro ad incremento del prezzo di riscatto, 31 mila euro da spesare
immediatamente in quanto minusvalenza rispetto ai valori acquisiti con
la cessione, 82 mila euro complessivi da riscontare sul residuo periodo
di vigenza del leasing.
Questa soluzione ha il pregio di valutare correttamente l’opzione che è
stata acquistata mediante l’assunzione del contratto di leasing; ha poi il
pregio di imputare immediatamente a conto economico la spesa di 31
mila euro che non rispecchia un valore acquisito ed inoltre di imputare
per ammortamento implicito del bene solo la somma di circa 82 mila
euro rispetto ad un valore assunto di 1,2 milioni di euro.
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Quale alternativa è migliore ? Quale contabilizzazione tra le due
alternative illustrate risulta preferibile ?
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Probabilmente la valorizzazione dell’opzione secondo la logica
finanziaria ha motivi di forza molto netti.
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Un riferimento concettuale
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Immaginiamo che il secondo locatario, invece del leasing, compri dal primo
locatario la semplice opzione di acquisto del bene (che ha sempre un valore
normale di 1,2 milioni di euro) al prezzo di esercizio di 100 mila euro.
Quanto pagherà questa opzione ? Ovviamente 1,125 milioni di euro, un prezzo
in linea con il valore elevato del bene. Il prezzo si forma con il valore intrinseco
(1,1 milioni di euro) più la quota a fronte della flessibilità di potere rinunciare al
riscatto.
Si tratta di una opzione piuttosto particolare, pagata una somma considerevole
in ragione del fatto che può essere esercitata ad un prezzo molto contenuto
rispetto al valore atteso del bene. Si tratta di un contratto di opzione
normalmente non diffuso nella pratica degli affari ma assolutamente lecito.
Questo contratto differisce dal leasing per il fatto che non è previsto un piano di
pagamento dilazionato del prezzo dell’opzione; in effetti sono due contratti molto
vicini sotto il profilo dei rischi sopportati dalle parti.
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Come contabilizzerà l’opzione l’acquirente?
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Considererà 25 mila euro come costo del periodo fino alla scadenza
dell’opzione e 1,1 milioni di euro come somma da aggiungere al
riscatto per definire la base di ammortamento.
E’ impossibile che esista un principio contabile difendibile che permetta
di spesare (in tutto o in parte) in due anni il valore intrinseco
dell’opzione.
Se così fosse salterebbe ogni possibilità di normare i processi di
ammortamento. Se questo indubbiamente avviene per l’acquisto della
sola opzione, perché non dovrebbe avvenire anche nel caso del
leasing, nel cui ambito la clausola di riscatto ha un rilievo notevolissimo
?
Come si vede, la contabilizzazione del valore dell’opzione secondo una
logica finanziaria è assolutamente necessaria.
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Difetti della norma 141
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La soluzione della norma 141 dunque differisce, a ben vedere, in
quanto consente al secondo locatario di ammortizzare prima della
scadenza del leasing il valore residuo non ammortizzato dal primo
locatario.
Perché questo debba avvenire e perché in questi termini non è però
chiaro.
Pure ammesso che ciò possa essere fatto ai fini fiscali, non è evidente
come un corretto principio contabile debba consentire un
ammortamento definito in modo tanto peculiare.
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Guardo “indietro” o guardo “avanti” ?
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La soluzione della norma 141 “guarda indietro”, ossia definisce il valore
del bene al riscatto aggiungendo ad esso le quote già
precedentemente ammortizzate, di cui si consente il caricamento nel
nuovo processo di ammortamento.
La contabilizzazione del valore finanziario dell’opzione “guarda in
avanti”, ossia definisce il valore del bene al riscatto sulla base di una
corretta considerazione del cosiddetto valore intrinseco.
La plusvalenza realizzata dal venditore del contratto di leasing è
immediatamente imponibile e corrisponde, in linea di principio, alla
quota in linea capitale da lui già dedotta dalle imposte sul reddito
(meno la variazione del valore del bene).
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Il buon senso fiscale
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A questa quota corrisponde la parte del prezzo da capitalizzare sul
riscatto secondo la norma 141.
La quota ulteriore di prezzo di cui si propone la capitalizzazione
secondo la logica finanziaria è evidentemente composta da
ammortamenti non ancora dedotti dal primo locatario.
Siccome il primo locatario era nella condizione giuridica di poterli
dedurre, la norma 141 suggerisce di trasferire la deducibilità
all’acquirente del contratto.
Dato atto che questa è indubbiamente la soluzione più conveniente
sotto il profilo fiscale movendosi nell’area della ragionevole legittimità,
rimane incerto il fatto che questo solo elemento possa giustificare il
principio contabile.
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Conclusione
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Il tema in oggetto è invero molto interessante e permette di chiarire
che, forse, c’è qualche problema a monte, che poi si riverbera sulla
norma 141.
In effetti è la stessa contabilizzazione del prezzo di riscatto del primo
leasing ad essere criticabile.
Se le opzioni debbono essere contabilizzate al loro valore finanziario,
ciò deve essere fatto anche dal primo e non solo dal secondo locatario.
Per leasing particolari, come il leasing immobiliare, questo è un
problema molto delicato.
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