PER UNA STORIA DEL CONFINE ORIENTALE PER UNA STORIA DEL CONFINE ORIENTALE Il giorno del ricordo La legge del 2004 riconosce come “giorno del ricordo” per conservare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo forzato dalle loro terre. La data, il 10 Febbraio, coincide con il giorno della firma del Trattato di pace di Parigi (il 10 Febbraio del 1947) che sancì la perdita per l’Italia di vaste zone al confine con la Jugoslavia. Non Maggio, o Settembre, la data in cui il fenomeno “foibe” si verificò, ma il momento in cui fu sancita, in ambito internazionale, quella ridefinizione dei confini, che chiamava l’Italia a rendere conto delle politiche dissennate messe in atto nella zona orientale dal nazionalismo fascista. IL CONFINE OGGI: quello tra Italia e Jugoslavia prima, tra Italia e Repubbliche Slovena e Croata oggi, è stato definito “confine mobile”. I confini, i limiti tra Stati, infatti, non vanno considerati come “cose in sé”, immobili ed eterne, ma come segni di un’interazione fra spazio geografico e agire sociale e politico. L’ESODO DALL’ISTRIA 1945-1954 - LE FONTI Nell’opera di Jean Améry, Intellettuale ad Auschwitz, si affronta il tema dell’Heimat (patria, terra natia, paese dell’infanzia e della giovinezza). Chi perde l’Heimat resta spaesato, alienato, l’uomo non è più presso di sé. L’esperienza di esule ha privato Améry, come tanti suoi contemporanei, del sentimento di sicurezza: lo ha sconvolto nell’intimità più profonda. “Se non si ha una heimat si è vittime della mancanza di ordine, di turbamenti, della dispersione”. (J. Améry, Intellettuale a Auschwitz, Torino, Bollati Borighieri, 1987, p. 109) FONTI FOTOGRAFICHE FONTI LETTERARIE • Spaesamento/Estraneità «Vicino alla scuola elementare “Vladimir Goitan” un uomo stava fermo con un grosso cane, ma noi non riuscivamo a mettere a fuoco l’immagine. Gli andavamo incontro, ignari. Quando fummo vicini, lui ci gurdò con occhi cupi e fermi nella faccia larga e pelosa e ci disse: «Se vi sento ancora una volta parlare italiano, mollo il cane che vi divori. Ve la faccio passare io la voglia di parlare questa lingua fascista» […] Le nostre gambe, paralizzate dalla paura, sembravano di piombo, si rifiutavano di muoversi, volevamo gridare e non ci veniva fuori la voce. Le orecchie che ardevano, i cuori d’un subito piccoli e molli, ce ne restammo zitti e terrorizzati per tutta la strada, fino a casa di nonna. Ma come dovevamo parlare, in quale lingua? […] Ecco fu così che la fanciullezza ci regalò questa grande confusione. Quell’episodio entrò nella mia mente, nella mia vita, e vi rimase come un segno, un avvertimento, uno sforzo perenne di capire, di interrogare disperatamente la tenebra […] Quando, alcuni anni più tardi, anche i miei fratellini Claudio e Diego, segnati nei registri e per la vita come Klaudio e Dijego, dovettero andare alla scuola croata, io abbandonai definitivamente la presunzione di padroneggiare un’individualità coesa definita.» (A. M. Mori, N. Milani, Bora, Frassinelli, Milano, 1998, pp. 41-42) ESERCIZIO: • Individua le parole e i passaggi - chiave e rifletti sul loro significato FONTI LETTERARIE • Partire/Restare «La partenza di Bortolo e Giurazzani fu per noi come quando una pecora riesce a trovare uno spiraglio tra la siepe per buttarsi nell’altro campo e allora le altre perdono la testa e lasciano lì tutto per correrle dietro […]. Per noi era ormai diventata un’abitudine vedere in quei giorni i soliti camion traballanti di povere masserizie […]. Chi avrebbe pensato che alla fine si sarebbe mossa anche la campagna? […]. Fu come una grandinata; anche la gente sembrava un’altra. Il suocero non partiva se non partiva la figlia, il genero si trovava contro tre contro quattro, era messo alle strette e infine doveva rassegnarsi; e allora anche i genitori e i fratelli di lui partivano». • (F. Tomizza, Materada, Mondadori, Milano, 1982, p. 115) «A Pola sono spariti quasi tutti quelli della mia età, tutti i rimasti, quelli che avevano sperato, discusso, fatto progetti, spaccato il capello in quattro. Ogni volta che ci andavo mi sembrava che in una nuvola di malumore persistente custodissero cose morte o morenti, sale e cenere, che il loro fosse un destino di sentinelle di tombe e macerie, se non addirittura di nessuno e di niente». (N. Milani, La valigia di cartone, Sellerio, Palermo, 1992, pp. 63-64) • ESERCIZIO: Individua le immagini utilizzate nei due testi per descrivere, rispettivamente, l’esperienza della partenza e quella della permanenza. TESTIMONIANZE ORALI L’esodo • «Siamo partiti il 18 aprile 1947. Mio papà ha deciso di andare via con l’arrivo delle truppe di Tito: ha avuto qualche diatriba e all’epoca le minacce facevano paura perché c’erano quei maledetti buchi e lì se andavi in galera sparivi e non sapevi come. Così mio papà ha deciso». (Ettore L.) • «Siamo partiti ne marzo del 1947, con la nave Toscana. Siamo andati via per il fatto di sentirci italiani: io sono italiano, mi sento italiano, ecco questo era il mio pensiero fisso». (Maria P.) • «La mia famiglia è partita nel 1948. Non volevamo andare via: Mio padre è stato partigiano e non doveva avere nessuna problematica con le forze di Tito. Poi però Tito ha cambiato l’ottica nei riguardi dei partigiani italiani, ha cominciato ad avere un certo astio, gli dava contro e molti, insomma, han cominciato a sparire. Allora a quel punto lì mio padre ha cominciato ad avere un po’ di paura e ha pensato di venire in Italia». (Paolo P.) • ESERCIZIO Quali aspetti accomunano le testimonianze riportate? MEMORIALISTICA L’angoscia della partenza «Si era persino detto più di una volta che forse avrebbe potuto continuare a vivere lì, in mezzo agli slavi, comandato dai titini; d’altronde lui non aveva mai fatto politica. Forse sarebbe riuscito ad imparare il croato ed avrebbe accettato che Marisa (la figlia minore) iniziasse a imparare a leggere a scrivere esclusivamente in quella lingua straniera per loro […] forse avrebbe potuto accettare con umiltà che una parte del raccolto gli fosse preteso; che le sue terre venissero requisite perché tutto doveva essere di tutti, ma gli sarebbe costato qualche travaso di bile perché lui non poteva lavorare dall’alba al tramonto e poi spartire con i vagabondi, con i magna pan de bando; forse sarebbe stato zitto, soffocando la rabbia nel vedere le chiese profanate dall’orda degli invasori che ballavano, ballavano, ballavano la loro danza anche in quei luoghi sacri; forse si sarebbe abituato a tirar dritto per strada senza scambiare do ciacole con i pochi paesani rimasti; forse avrebbe fatto l’abitudine a non sentire più le belle cantade in dialetto uscire dalle osterie e invadere ogni contrada; quelle contrade ormai cupe per i sorrisi mancanti, vuote di bambini gioiosi, tristi e spente in quanto prive della musicalità, dell’espansività della sua gente, ma dove si dava fuoco ai libri italiani; forse si sarebbe piegato a non festeggiare più il vero significato del Natale e della Pasqua, a non partecipare èiù a processioni e feste patronali […] Forse sarebbe riuscito a vincere la paura trovandosi al cospetto di un druse (slavo) e avrebbe rigettato l’immagine della foiba che stava per ingoiare anche lui come tanti italiani, dimenticando il buio pronto ad accoglierlo, e avrebbe trovato persino la forza di sollevare il braccio brandendo il pugno chiuso e avrebbe ascoltato il moto sprezzante rivolto al suo tricolore.”bianco, rosso e verde, il colore delle tre merde”. […] Nora (la figlia maggiore) però aveva compiuto 15 anni e lui era venuto a sapere che sarebbe stata prelevata dalla famiglia e inviata lontano da casa, destinata al lavoro volontario in qualche fabbrica o addirittura sarebbe stata sfruttata per ricostruire le linee ferroviarie o altro. Quando, oltre alle fatiche fisiche, cui sua figlia non era di certo abituata, immaginò anche la promiscuità dell’ambiente; quando la vide costretta a dormire in camerini che accoglievano sia uomini che donne; … Quando ipotizzò che anche Marisa … non avrebbe più custodito nel suo intimo né tradizioni né identità italiani, allora aveva alzato il capo e preso la decisione più gravosa: bisognava andar via!» (Un esule descrive la scelta compiuta dal padre, in M. Brugna, Memoria negata. Crescere in un Centro Raccolta Profughi per Esuli giuliani, Condaghes, Cagliari, 2002, pp. 47-48) • • Quali aspetti tipici di un regime comunista emergono? Che cosa spinge il padre di questo esule a lasciare la propria terra? REGIONE GIULIANA: COMPLESSITÀ ETNICO-GEOGRAFICA DELL’AREA • Città di Gorizia: etnicamente mista (slavi/italiani) • Trieste: a maggioranza italiana, ma con un circondario prevalentemente sloveno • Istria: presenza italiana concentrata nelle cittadine del litorale e quella slava nei borghi dell’interno • Comunità italiana prevalentemente urbana/ comunità slava prevalentemente rurale, ma non mancano insediamenti rurali italiani in Istria né insediamenti urbani sloveni (in particolare a Trieste e Gorizia) Tra grande guerra, fascismo e secondo dopoguerra 1915-1918: • il confine orientale diviene una zona calda in cui si combatte la prima guerra mondiale • l’esercito italiano avanza fino all’Isonzo per poi retrocedere nel 1917 dietro la linea del Piave • Le popolazioni della zona devono abbandonare le loro abitazioni perché improvvisamente ritrovatesi in zona di guerra (primo esodo delle popolazioni di confine) 1919-1924: • Trattato di S. German (1919) • Trattato di Rapallo (1920) il territorio del Litorale austriaco viene assegnato all’Italia • Accordo di Roma (1924) assumendo il nome di Venezia Giulia Confine: a nord fra Regno d’Italia e Repubblica d’Austria, a est fra Italia e Regno dei Serbi, Croati e sloveni che, nel 1929, diverrà Regno di Jugoslavia 1919-1921: • Nascita dei Fasci di combattimento Fascismo di confine (identificazione fascismo• Nascita del Partito nazionale fascista italianità) • politica improntata sull’antibolscevismo e l’antislavismo: violenze e repressioni verso tutti coloro che non fossero «italiani» 1923: Riforma Gentile: nelle scuole pubbliche italiane l’unica lingua ammessa è l’italiano (obiettivo: deslavizzazione linguistica) 1925: un regio Decreto proibisce l’uso di lingue diverse nelle sedi giudiziarie; in seguito il divieto viene esteso a tutti gli uffici dell’amministrazione, ai negozi, ai locali pubblici; vengono cancellate le insegne pubbliche e la cartellonistica in sloveno e in croato. Tra grande guerra, fascismo e secondo dopoguerra Repressione del clero sloveno e croato: abolizione della lingua slovena nella liturgia e nella catechesi, rimozione dell’arcivescovo di Gorizia (Francesco Borgia Sedej) e del vescovo di Trieste (Luigi Fogar) Anni ‘20/’30: • fuga di gran parte delle minoranze dalla Venezia Giulia (150 mila sloveni e croati) • Forte sentimento anti italiano e equivalenza fra Italia e fascismo Primavera 1941: • In Jugoslavia: colpo di stato militare che rovescia il principe Paolo Karadjordjevic, che stava per firmare il patto di alleanza con la Germania nazista • Reazione di Hitler, cancellazione della Jugoslavia come realtà statale e sua spartizione • L’Italia ottiene la Slovenia meridionale - costituita in Provincia di Lubiana – buona parte della costa dalmata – costituita in un Governatorato della Dalmazia (comprendente la provincia di Zara, Spalato e Cattaro) una fascia di territorio croato destinato ad ampliare la provincia di Fiume: 800.000 sloveni e croati passano sotto il governo di Roma Estate 1941: • Prime azioni del ribellismo partigiano sloveno • resistenza partigiana nel Montenegro che si estende poi alla Serbia, alla Bosnia Erzegovina, alla Dalmazia • Il regime risponde con rastrellamenti, fucilazioni, rappresaglie, incendi di villaggi • Creazione di campi di concentramento in Jugoslavia e in Italia (Casoli, Città Sant’Angelo, Corrosoli, Lanciano, Notaresco, in Abruzzo, Scipione, presso Parma, nelle ex colonie di confino di Ponza e di Lipari, a Sassoferrato, presso Ancona, nell’isola di Arbe, di Melata e di Mamula, ecc.) dove vengono deportati uomini, donne e bambini (cittadini slavi o allogeni della Venezia Giulia ed ebrei) per ridurre l’appoggio popolare al movimento partigiano; difficile il calcolo delle vittime, dovute a cattive condizioni igieniche, scarsa alimentazione, sovraffollamento, assenza di cure. PROVINCIA DI LUBIANA 1941-1943 A NORD: il Terzo Reich aveva occupato i territori della Carinzia e della Carniola AD EST: era nato lo Stato indipendente croato GOVERNATORATO DI DALMAZIA 1941-1943 DISGREGAZIONE DEL REGNO DI JUGOSLAVIA 1941: • Disgregazione del regno di Jugoslavia, provocata dall’attacco italo-tedesco situazione di anarchia in cui operano forze contrapposte: • Formazione del movimento militare e politico dei cetnici, costituito da un gruppo di ufficiali serbi (che si raccolgono attorno alla figura del generale Draža Mihajlović) cercano di organizzare le forze per il momento della restaurazione monarchica • Movimento partigiano di Josip Broz «Tito» (dal 1937 segretario del Partito comunista jugoslavo) mette al primo posto la lotta contro gli occupanti • Ustascia, membri del movimento nazionalista e fascista croato fondato da A. Pavelić nel 1929; con l’occupazione nazifascista della Iugoslavia diedero vita al regime collaborazionista dello Stato, formalmente autonomo, di Croazia, durante il quale si resero responsabili di stermini su base etnica e religiosa; alleati ufficiali dell’Asse, in contrasto aperto con i cetnici ZONA OPERAZIONI LITORALE ADRIATICO 8 SETTEMBRE 1943: • i tedeschi occupano la Venezia Giulia e vi creano la «zona di operazioni litorale adriatico» (che comprende la provincia di Belluno e di Lubiana) • Prospettiva politica dei tedeschi: sottrarre il territorio alla sovranità italiana per conservarlo al diretto controllo germanico, forse sotto forma di protettorato, come risposta alle ambizioni del nazismo carinziano che aveva costruito stretti rapporti economici e politici con Trieste, dove era attiva una sezione del Partito nazionalsocialista, dotata di un centro di propaganda • La zona viene di fatto separata dalla Repubblica sociale italiana che non poteva estendervi la propria legislazione, nominarvi le proprie autorità e inviarvi le proprie forze armate, salvo alcuni reparti sotto il comando tedesco Zona in cui dall’8 Sett. 1943 la sovranità della RSI è di fatto sospesa AUTUNNO 1943: LE FOIBE ISTRIANE 8 Settembre 1943: • annuncio dell’armistizio e dissoluzione dell’esercito italiano • I tedeschi occupano i centri nevralgici della Venezia Giulia (Trieste, Gorizia, Pola, Fiume) ma lasciano, per carenza di forze, temporaneamente libero il resto del territorio, ovvero l’entroterra • Nell’Istria interna si crea un improvviso vuoto di potere: da un lato le formazioni partigiane slave assumono il potere «in nome del popolo» senza trovare resistenza, dall’altro si ha l’insurrezione spontanea dei contadini croati, che incendiano catasti e archivi comunali • Si coniugano così la lotta di liberazione nazionale contro gli italiani, la lotta di classe contro i padroni e la lotta politica contro il fascismo (equazione italiano=padrone=fascista semplificazione utilizzata da Tito) • Parte della popolazione rurale slava vede nel crollo della presenza italiana l’occasione per vendicare i torti subiti nel Ventennio (per cancellare le tracce del controllo fascista vengono bruciati gli archivi comunali, cancellata la cartellonistica stradale) • La cessazione formale delle ostilità fra eserciti lungi dal sedare le conflittualità profonde, segna il momento in cui la violenza si frammenta negli abusi personali AUTUNNO 1943: LE FOIBE ISTRIANE 1943: • Preoccupazione politica prioritaria dei nuovi poteri instauratosi sul territorio istriano: decretare l’annessione della regione alla Jugoslavia • Ci furono una serie di proclami di annessione: il 13 sett. ‘43 da parte del Comitato di Liberazione a Pisino; il 20 sett. Il Consiglio territoriale antifascista di liberazione nazionale di Croazia proclama l’annessione alla Croazia e, per suo tramite, alla Jugoslavia, di tutti i territori ceduti all’Italia (Istria, Fiume, Zara, Dalmazia) • Questi proclami (interpretati come un pacchetto di rivendicazioni e perciò sottovalutati) vengono accolti dagli sloveni e dai croati come provvedimenti aventi forza di legge l’annessione viene considerata come una realtà in atto che va difesa • • Nella regione cominciano gli arresti: nelle località costiere vengono imprigionati prevalentemente squadristi e gerarchi fascisti, nelle aree controllate dai croati vengono fatti sparire i rappresentanti dello stato, come podestà, segretari e messi comunali, carabinieri, esattori delle tasse e uffici postali Obiettivo: «spazzare via chiunque ricordasse l’amministrazione italiana, odiata dalla popolazione croata per il suo fiscalismo, oltre che per le sue prevaricazioni nazionalistiche e poliziesche» […] «nelle campagne bersaglio prioritario delle retate divennero anche i possidenti italiani, che caddero vittime di quell’antagonismo di classe che da decenni li vedeva contrapposti a coloni e mezzadri croati» AUTUNNO 1943: LE FOIBE ISTRIANE • • • «scomparvero anche commercianti, insegnati, farmacisti, veterinari, medici condotti e levatrici, vale a dire le figure più visibili delle comunità […] sembrava dunque che l’intera classe dirigente italiana fosse sotto tiro. […] uno dei compiti affidati ai nuovi poteri popolari è quello di «ripulire» il territorio dai «nemici del popolo» = tutti coloro che non collaboravano attivamente con il Movimento di Liberazione guidato dai comunisti di Tito si tratta di una definizione assai elastica, che lascia ampi margini di discrezionalità La maggior parte degli arrestati viene concentrata in alcune località di raccolta, come avviene a Pisino, dove si celebrano i processi sommari, che si concludevano quasi sempre con la condanna a morte, l’esecuzione, in genere collettiva, e l’occultamento dei corpi nelle cavità, oppure, nelle località costiere, con la dispersione in mare delle spoglie. Castello di Pisino, nei cui sotterranei venivano rinchiusi i prigionieri AUTUNNO 1943: LE FOIBE ISTRIANE Inizio ottobre 1943: • L’offensiva tedesca costringe le formazioni partigiane ad arretrare e poi ad abbandonare del tutto l’Istria in una ritirata disordinata • Il ritmo delle esecuzioni diventa convulso poiché i prigionieri possono diventare testimoni scomodi e l’occultamento dei cadaveri nelle foibe (cavità carsiche di origine naturale) serve a far scomparire la prova dei crimini • Sembra che le fucilazioni sull’orlo delle foibe venissero condotte in modo da precipitare nelle voragini anche condannati ancora vivi • «infoibare» rinvia ad un’immagine minacciosa, non si tratta semplicemente di uccidere un uomo, ma di trattarlo «alla stregua di un rifiuto», cancellarne l’identità, la memoria, come se non fosse mai esistito • Gli italiani si sentono colpiti in quanto gruppo etnico, indipendentemente dalla collocazione politica e sociale di ciascuno, visto che ci furono linciaggi, violenze, anche di gruppo, a carico di ragazze e donne incinte, esecuzioni efferate, spesso accompagnate da sevizie, in una commistione di odi politici e personali, di rancori etnici, familiari e di interesse. • Siamo d’altra parte, davanti ad un progetto preciso: la distruzione del popolo italiano sull’entroterra istriano e la sua sostituzione con il contropotere partigiano, un potere rivoluzionario che vuole mostrare la sua capacità di vendicare i torti, individuali e storici, subiti dai croati dell’Istria e di coinvolgere e compromettere la popolazione slava nella guerra contro gli italiani IL PROGETTO POLITICO E MILITARE DI TITO • La Venezia Giulia, nel contesto del secondo conflitto mondiale, si presenta come il «tassello di una politica internazionale che immagina la futura Jugoslavia come baluardo del mondo comunista contro l’espansionismo americano e l’area giuliana non come zona di confine fra stati, ma come barriera tra blocchi politicoideologici contrapposti» • Necessità per le truppe di Tito di arrivare a Trieste e Gorizia prima degli angloamericani Maggio 1945: • La «corsa per Trieste» viene vinta dall’esercito jugoslavo, che assume il potere insediando i comitati di liberazione composti da cittadini di etnia slavi come organi amministrativi • Per la realizzazione dell’annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia occorre eliminare qualsiasi voce di potenziale dissenso, occorre epurare l’area da tutti coloro che si oppongono al comunismo jugoslavo; occorre anche evitare che si affermino autorità italiane antifasciste capaci di legittimarsi come tali davanti agli alleati • Viene impartito l’ordine di «imprigionare tutti gli elementi nemici e consegnarli all’OZNA (polizia politica jugoslava) per processarli» • A Trieste, per 45 giorni, si susseguono irruzioni nelle case sulla base di sospetti, arresti, fucilazioni, rastrellamenti, coprifuoco, deportazioni, sistematico ricorso alla tortura, stupri, confisca di preziosi. MAGGIO 1945: FOIBE GIULIANE • Molti arrestati vengono condotti nei campi di concentramento della Slovenia, ma molti vengono uccisi subito dopo la cattura o la resa • La repressione non colpisce i maggiori dirigenti del fascismo giuliano, che sono fuggiti in tempo, ma i quadri intermedi • L’epurazione «preventiva» si abbatte poi sugli esponenti del Comitato di Liberazione nazionale di Fiume e di Gorizia, in quanto si presentano come organizzazioni antifasciste direttamente concorrenziali rispetto alle autorità jugoslave • Come per gli istriani un anno e mezzo prima, si ricorre all’occultamento dei cadaveri nelle foibe, in qualche pozzo di miniera o direttamente nel mare. Basovizza, Opicina, Prosecco, Volci, Cruscevizza, Podgomila, Gropada, Quisca, Aurisina, Ternovizza: tra Trieste e Gorizia nuove voragini carsiche inghiottono le vittime dell’epurazione, che in alcuni casi vengono «infoibate» ancora vive • Stima delle vittime, tra infoibati e deceduti nei campi di concentramento: circa 10-12 mila persone FOIBA DI BASOVIZZA Operazioni di esplorazione delle foibe CARTINA PRINCIPALI FOIBE DEFINIZIONE DEI CONFINI 12 giugno 1945: • A Belgrado jugoslavi e angloamericani firmano un Accordo provvisorio che delimitava le rispettive zone d’occupazione lungo la «linea Morgan»: i territori ad occidente della linea Trieste – Caporetto – Tarvisio e la città di Pola (ZONA A) vengono posti sotto il controllo diretto degli alleati, la parte orientale (ZONA B) viene assegnata alla temporanea amministrazione militare della Jugoslavia, che considerò, invece, tale territorio annesso di fatto 10 Febbraio 1947: • Trattato di Pace di Parigi: ampia riduzione della provincia di Gorizia, perdita di Fiume e di Zara; viene costituito il Territorio libero di Trieste (da affidare per 10 anni all’amministrazione delle Nazioni Unite), che, in realtà rimane lettera morta e rimane sempre diviso in due parti: la Zona A, con amministrazione militare anglo-americana, Zona B, con amministrazione militare jugoslava LINEA MORGAN DEFINIZIONE DEI CONFINI 5 Ottobre 1954: • Memorandum di Londra: la Zona A viene assegnata all’Italia e la zona B alla Jugoslavia. Dopo gli scontri del 1953 tra nazionalisti triestini e governo militare alleato che usò l’arma della repressione violenta, gli anglo-americani rafforzarono l’dea di disimpegnarsi da Trieste. Ciò si spiega anche con lo stemperarsi della tensione della guerra fredda a partire dal 1948 (rottura rapporti Stalin/Tito) che fa della Jugoslavia un Paese con cui l’Occidente inizia a dialogare, pur nella diversità dei rispettivi sistemi economico-politici. Il testo contiene margini di ambiguità lessicale sul carattere «provvisorio» o «definitivo» della soluzione, tali da permettere alle due parti di dichiarare di non aver rinunciato a nulla, ma è ormai evidente a tutti che la questione di Trieste è chiusa. 10 Novembre 1975: • Accordi di Osimo (località in provincia di Ancona): la linea di demarcazione fra la Zona A e la Zona B diviene ufficialmente il confine di Stato tra Italia e Jugoslavia, ratificando una situazione che si era andata a consolidare nel tempo. DEFINIZIONE DEI CONFINI • Il nuovo clima politico della Guerra fredda e la radicalizzazione dello scontro locale, nonché la distanza fra le richieste di Belgrado (che vuole tornare ai confini del 1915 tra Italia e Impero asburgico) e di Roma (che rivendica i confini del 1919, con l’autonomia della città di Fiume) interagiscono tra loro rallentando le trattative diplomatiche, ingessando, di fatto, la linea di demarcazione fissata nel 1945 • Forzare lo stato di fatto, per accogliere le richieste di una delle due parti, equivarrebbe a mettere in discussione le rispettive aree d’influenza in una stagione in cui i confini tendono a trasformarsi in linee di frattura fra due mondi ideologicamente contrapposti. DEFINIZIONE DEI CONFINI ESODI Gennaio 1947: • Inizio ufficiale dell’esodo dei quasi 30.000 abitanti di Pola, assistiti dal Governo italiano e dal Governo militare alleato • Vengono allestiti centoventi campi, ricavati da campi di concentramento smantellati, caserme abbandonate, stabilimenti industriali dismessi in cui gli esuli vivono in condizioni di miseria, privazioni, carenze igieniche • L’accoglienza dei profughi fu diversa nelle varie città: in alcuni casi generosa, in altri di rifiuto ESODI • Solo nel 1946 il governo italiano prende coscienza della condizione di «profughi» dei giuliano-dalmati e adotta provvedimenti parziali e frammentari con sistemazioni d’urgenza, accumunate da sovraffollamento, promiscuità, precarietà delle condizioni igieniche, mancanza di opportunità di lavoro • C’è chi riesce ad abbandonare i centri di accoglienza dopo qualche mese e chi vi rimane anche per 10 anni ESODI • L’esodo giuliano dalmata coinvolge i nuclei familiari • Ciò favorisce , pur nella precarietà delle loro condizioni di vita, la conservazione di regole di vita, valori e reti di solidarietà • L’Italia della fine degli anni ’40 è un paese uscito prostrato dalla guerra in cui gli stessi residenti faticano a trovare alloggio e lavoro e in cui si riversano prigionieri di guerra rimpatriati dagli alleati, internati militari e deportati civili che tornano dai lager tedeschi, rifugiati delle ex colonie, soldati che hanno collaborato con la resistenza all’estero i primi profughi si confondono in questo grande marasma • Ci furono anche atti di ostilità nei confronti dei profughi di Pola, al momento del loro sbarco o del loro insediamento • Dopo l’emergenza la comunità raccolta nei centri si organizza: vengono costruite scuole, organizzate attività sportive, viene mantenuta viva la tradizione religiosa (grazie alla presenza di numerosi sacerdoti che seguono le loro comunità) LA RESISTENZA ITALIANA NELLA VENEZIA GIULIA • Nella Venezia Giulia la resistenza italiana sconta le difficoltà legate alle contrapposizioni nazionali, esasperate dalla guerra • La scelta della militanza armata nella Resistenza è resa difficile dalla consapevolezza della difficoltà di accompagnare la lotta per la liberazione con la battaglia per il mantenimento della sovranità italiana • La classe operaia italiana, inoltre, riteneva opportuno porre la questione nazionale in secondo piano rispetto all’urgenza della lotta contro i tedeschi e alla prospettiva di innescare su di essa un disegno di radicale trasformazione dei rapporti di classe • L’esercito popolare di liberazione jugoslavo appariva l’avanguardia dell’Armata rossa e il portatore, per la Venezia Giulia, di una possibile soluzione comunista • «Nel proletariato giuliano, in larghissima maggioranza di lingua e cultura italiana, esisteva dunque un’apertura di fondo verso la guida politica del movimento partigiano Jugoslavo, non però in chiave nazionale ma, al contrario, in un’ottica internazionalista» MOVIMENTO DI LIBERAZIONE JUGOSLAVO • Differenza movimento di liberazione jugoslavo/ movimento di liberazione italiano: - la Resistenza italiana si fonda su organismi unitari, i Comitati di Liberazione Nazionale (CLN) in cui sono presenti e operano, su un piano di parità, tutte le forze antifasciste - Il Movimento di Liberazione jugoslavo è invece egemonizzato dal Partito comunista, che si propone il duplice obiettivo di liberare il paese dagli invasori e di conquistare il potere • La parola d’ordine dell’annessione alla Jugoslavia dell’intera Venezia Giulia garantisce al movimento di liberazione sloveno e croato l’appoggio di massa delle popolazioni slave, che l’oppressione fascista aveva ulteriormente motivato al distacco dallo Stato italiano • Una Trieste jugoslava avrebbe potuto costituire un’ottima base per la diffusione della rivoluzione verso l’Italia settentrionale e avrebbe evitato che inglesi e americani cercassero di influire sulla situazione politica jugoslava, approfittando di una Trieste italiana, controllata con tutta probabilità dalle potenze occidentali • «Spinte nazionali, motivazioni ideologiche e calcoli strategici si combinavano dunque nel rendere prioritario da parte jugoslava l’obiettivo della conquista del territorio giuliano» BIBLIOGRAFIA • L. Benedettelli, M. Fiorani, L. Rocchi, Per una storia del confine orientale fra guerre, violenze, foibe, diplomazia, Grec, Ombrone - Grosseto, 2007 • G. Oliva, Esuli, dalle foibe ai campi profughi: la tragedia degli italiani di Istria, Fiume, Dalmazia, Mondadori, Mi, 2011 • R. Pupo, R. Spazzali, Foibe, Bruno Monadadori, Mi, 2003