PER UNA STORIA DEL CONFINE ORIENTALE
PER UNA STORIA DEL CONFINE ORIENTALE
Il giorno del ricordo
La legge del 2004 riconosce come “giorno del ricordo” per
conservare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le
vittime delle foibe, dell’esodo forzato dalle loro terre.
La data, il 10 Febbraio, coincide con il giorno della firma del
Trattato di pace di Parigi (il 10 Febbraio del 1947) che sancì la
perdita per l’Italia di vaste zone al confine con la Jugoslavia.
Non Maggio, o Settembre, la data in cui il fenomeno “foibe” si
verificò, ma il momento in cui fu sancita, in ambito internazionale,
quella ridefinizione dei confini, che chiamava l’Italia a rendere
conto delle politiche dissennate messe in atto nella zona orientale
dal nazionalismo fascista.
IL CONFINE OGGI:
quello tra Italia e Jugoslavia prima, tra Italia e Repubbliche Slovena e Croata oggi, è stato definito “confine
mobile”. I confini, i limiti tra Stati, infatti, non vanno considerati come “cose in sé”, immobili ed eterne, ma come
segni di un’interazione fra spazio geografico e agire sociale e politico.
L’ESODO DALL’ISTRIA 1945-1954 - LE FONTI
Nell’opera di Jean Améry, Intellettuale ad Auschwitz, si affronta
il tema dell’Heimat (patria, terra natia, paese dell’infanzia e
della giovinezza). Chi perde l’Heimat resta spaesato,
alienato, l’uomo non è più presso di sé.
L’esperienza di esule ha privato Améry, come tanti suoi
contemporanei, del sentimento di sicurezza: lo ha sconvolto
nell’intimità più profonda. “Se non si ha una heimat si è vittime
della mancanza di ordine, di turbamenti, della dispersione”.
(J. Améry, Intellettuale a Auschwitz, Torino, Bollati Borighieri,
1987, p. 109)
FONTI FOTOGRAFICHE
FONTI LETTERARIE
• Spaesamento/Estraneità
«Vicino alla scuola elementare “Vladimir Goitan” un uomo stava fermo con un grosso
cane, ma noi non riuscivamo a mettere a fuoco l’immagine. Gli andavamo incontro,
ignari. Quando fummo vicini, lui ci gurdò con occhi cupi e fermi nella faccia larga e
pelosa e ci disse: «Se vi sento ancora una volta parlare italiano, mollo il cane che vi
divori. Ve la faccio passare io la voglia di parlare questa lingua fascista» […] Le nostre
gambe, paralizzate dalla paura, sembravano di piombo, si rifiutavano di muoversi,
volevamo gridare e non ci veniva fuori la voce. Le orecchie che ardevano, i cuori d’un
subito piccoli e molli, ce ne restammo zitti e terrorizzati per tutta la strada, fino a casa di
nonna. Ma come dovevamo parlare, in quale lingua? […]
Ecco fu così che la fanciullezza ci regalò questa grande confusione. Quell’episodio
entrò nella mia mente, nella mia vita, e vi rimase come un segno, un avvertimento, uno
sforzo perenne di capire, di interrogare disperatamente la tenebra […]
Quando, alcuni anni più tardi, anche i miei fratellini Claudio e Diego, segnati nei registri
e per la vita come Klaudio e Dijego, dovettero andare alla scuola croata, io abbandonai
definitivamente la presunzione di padroneggiare un’individualità coesa definita.»
(A. M. Mori, N. Milani, Bora, Frassinelli, Milano, 1998, pp. 41-42)
ESERCIZIO:
•
Individua le parole e i passaggi - chiave e rifletti sul loro significato
FONTI LETTERARIE
• Partire/Restare
«La partenza di Bortolo e Giurazzani fu per noi come quando una pecora riesce a trovare uno
spiraglio tra la siepe per buttarsi nell’altro campo e allora le altre perdono la testa e lasciano lì tutto
per correrle dietro […].
Per noi era ormai diventata un’abitudine vedere in quei giorni i soliti camion traballanti di povere
masserizie […].
Chi avrebbe pensato che alla fine si sarebbe mossa anche la campagna? […]. Fu come una
grandinata; anche la gente sembrava un’altra. Il suocero non partiva se non partiva la figlia, il
genero si trovava contro tre contro quattro, era messo alle strette e infine doveva rassegnarsi; e
allora anche i genitori e i fratelli di lui partivano».
•
(F. Tomizza, Materada, Mondadori, Milano, 1982, p. 115)
«A Pola sono spariti quasi tutti quelli della mia età, tutti i rimasti, quelli che avevano sperato,
discusso, fatto progetti, spaccato il capello in quattro. Ogni volta che ci andavo mi sembrava che
in una nuvola di malumore persistente custodissero cose morte o morenti, sale e cenere, che il
loro fosse un destino di sentinelle di tombe e macerie, se non addirittura di nessuno e di niente».
(N. Milani, La valigia di cartone, Sellerio, Palermo, 1992, pp. 63-64)
•
ESERCIZIO: Individua le immagini utilizzate nei due testi per descrivere, rispettivamente,
l’esperienza della partenza e quella della permanenza.
TESTIMONIANZE ORALI
L’esodo
•
«Siamo partiti il 18 aprile 1947. Mio papà ha deciso di andare via con l’arrivo delle
truppe di Tito: ha avuto qualche diatriba e all’epoca le minacce facevano paura
perché c’erano quei maledetti buchi e lì se andavi in galera sparivi e non sapevi
come. Così mio papà ha deciso». (Ettore L.)
•
«Siamo partiti ne marzo del 1947, con la nave Toscana. Siamo andati via per il fatto
di sentirci italiani: io sono italiano, mi sento italiano, ecco questo era il mio pensiero
fisso». (Maria P.)
•
«La mia famiglia è partita nel 1948. Non volevamo andare via: Mio padre è stato
partigiano e non doveva avere nessuna problematica con le forze di Tito. Poi però
Tito ha cambiato l’ottica nei riguardi dei partigiani italiani, ha cominciato ad avere un
certo astio, gli dava contro e molti, insomma, han cominciato a sparire. Allora a quel
punto lì mio padre ha cominciato ad avere un po’ di paura e ha pensato di venire in
Italia».
(Paolo P.)
•
ESERCIZIO
Quali aspetti accomunano le testimonianze riportate?
MEMORIALISTICA
L’angoscia della partenza
«Si era persino detto più di una volta che forse avrebbe potuto continuare a vivere lì, in mezzo agli slavi,
comandato dai titini; d’altronde lui non aveva mai fatto politica. Forse sarebbe riuscito ad imparare il croato ed
avrebbe accettato che Marisa (la figlia minore) iniziasse a imparare a leggere a scrivere esclusivamente in
quella lingua straniera per loro […] forse avrebbe potuto accettare con umiltà che una parte del raccolto gli
fosse preteso; che le sue terre venissero requisite perché tutto doveva essere di tutti, ma gli sarebbe costato
qualche travaso di bile perché lui non poteva lavorare dall’alba al tramonto e poi spartire con i vagabondi, con
i magna pan de bando; forse sarebbe stato zitto, soffocando la rabbia nel vedere le chiese profanate dall’orda
degli invasori che ballavano, ballavano, ballavano la loro danza anche in quei luoghi sacri; forse si sarebbe
abituato a tirar dritto per strada senza scambiare do ciacole con i pochi paesani rimasti; forse avrebbe fatto
l’abitudine a non sentire più le belle cantade in dialetto uscire dalle osterie e invadere ogni contrada; quelle
contrade ormai cupe per i sorrisi mancanti, vuote di bambini gioiosi, tristi e spente in quanto prive della
musicalità, dell’espansività della sua gente, ma dove si dava fuoco ai libri italiani; forse si sarebbe piegato a
non festeggiare più il vero significato del Natale e della Pasqua, a non partecipare èiù a processioni e feste
patronali […] Forse sarebbe riuscito a vincere la paura trovandosi al cospetto di un druse (slavo) e avrebbe
rigettato l’immagine della foiba che stava per ingoiare anche lui come tanti italiani, dimenticando il buio pronto
ad accoglierlo, e avrebbe trovato persino la forza di sollevare il braccio brandendo il pugno chiuso e avrebbe
ascoltato il moto sprezzante rivolto al suo tricolore.”bianco, rosso e verde, il colore delle tre merde”. […] Nora
(la figlia maggiore) però aveva compiuto 15 anni e lui era venuto a sapere che sarebbe stata prelevata dalla
famiglia e inviata lontano da casa, destinata al lavoro volontario in qualche fabbrica o addirittura sarebbe
stata sfruttata per ricostruire le linee ferroviarie o altro. Quando, oltre alle fatiche fisiche, cui sua figlia non era
di certo abituata, immaginò anche la promiscuità dell’ambiente; quando la vide costretta a dormire in
camerini che accoglievano sia uomini che donne; … Quando ipotizzò che anche Marisa … non avrebbe più
custodito nel suo intimo né tradizioni né identità italiani, allora aveva alzato il capo e preso la decisione più
gravosa: bisognava andar via!»
(Un esule descrive la scelta compiuta dal padre, in M. Brugna, Memoria negata. Crescere in un Centro
Raccolta Profughi per Esuli giuliani, Condaghes, Cagliari, 2002, pp. 47-48)
•
•
Quali aspetti tipici di un regime comunista emergono?
Che cosa spinge il padre di questo esule a lasciare la propria terra?
REGIONE GIULIANA: COMPLESSITÀ ETNICO-GEOGRAFICA
DELL’AREA
• Città di Gorizia: etnicamente mista (slavi/italiani)
• Trieste: a maggioranza italiana, ma con un circondario
prevalentemente sloveno
• Istria: presenza italiana concentrata nelle cittadine del litorale e
quella slava nei borghi dell’interno
• Comunità italiana prevalentemente urbana/ comunità slava
prevalentemente rurale, ma non mancano insediamenti rurali
italiani in Istria né insediamenti urbani sloveni (in particolare a
Trieste e Gorizia)
Tra grande guerra, fascismo e secondo dopoguerra
1915-1918:
•
il confine orientale diviene una zona calda in cui si combatte la prima guerra mondiale
•
l’esercito italiano avanza fino all’Isonzo per poi retrocedere nel 1917 dietro la linea del Piave
•
Le popolazioni della zona devono abbandonare le loro abitazioni perché improvvisamente ritrovatesi in zona
di guerra (primo esodo delle popolazioni di confine)
1919-1924:
•
Trattato di S. German (1919)
•
Trattato di Rapallo (1920)
il territorio del Litorale austriaco viene assegnato all’Italia
•
Accordo di Roma (1924)
assumendo il nome di Venezia Giulia
Confine: a nord fra Regno d’Italia e Repubblica d’Austria, a est fra Italia e Regno dei Serbi, Croati e sloveni
che, nel 1929, diverrà Regno di Jugoslavia
1919-1921:
•
Nascita dei Fasci di combattimento
Fascismo di confine (identificazione fascismo•
Nascita del Partito nazionale fascista
italianità)
•
politica improntata sull’antibolscevismo e l’antislavismo: violenze e repressioni verso tutti coloro che non
fossero «italiani»
1923:
Riforma Gentile: nelle scuole pubbliche italiane l’unica lingua ammessa è l’italiano (obiettivo: deslavizzazione
linguistica)
1925:
un regio Decreto proibisce l’uso di lingue diverse nelle sedi giudiziarie; in seguito il divieto viene esteso a tutti gli
uffici dell’amministrazione, ai negozi, ai locali pubblici; vengono cancellate le insegne pubbliche e la cartellonistica
in sloveno e in croato.
Tra grande guerra, fascismo e secondo dopoguerra
Repressione del clero sloveno e croato: abolizione della lingua slovena nella liturgia e nella catechesi,
rimozione dell’arcivescovo di Gorizia (Francesco Borgia Sedej) e del vescovo di Trieste (Luigi Fogar)
Anni ‘20/’30:
•
fuga di gran parte delle minoranze dalla Venezia Giulia (150 mila sloveni e croati)
•
Forte sentimento anti italiano e equivalenza fra Italia e fascismo
Primavera 1941:
•
In Jugoslavia: colpo di stato militare che rovescia il principe Paolo Karadjordjevic, che stava per firmare il
patto di alleanza con la Germania nazista
•
Reazione di Hitler, cancellazione della Jugoslavia come realtà statale e sua spartizione
•
L’Italia ottiene la Slovenia meridionale - costituita in Provincia di Lubiana – buona parte della costa dalmata
– costituita in un Governatorato della Dalmazia (comprendente la provincia di Zara, Spalato e Cattaro) una fascia di territorio croato destinato ad ampliare la provincia di Fiume: 800.000 sloveni e croati passano
sotto il governo di Roma
Estate 1941:
•
Prime azioni del ribellismo partigiano sloveno
•
resistenza partigiana nel Montenegro che si estende poi alla Serbia, alla Bosnia Erzegovina, alla Dalmazia
•
Il regime risponde con rastrellamenti, fucilazioni, rappresaglie, incendi di villaggi
•
Creazione di campi di concentramento in Jugoslavia e in Italia (Casoli, Città Sant’Angelo, Corrosoli,
Lanciano, Notaresco, in Abruzzo, Scipione, presso Parma, nelle ex colonie di confino di Ponza e di Lipari, a
Sassoferrato, presso Ancona, nell’isola di Arbe, di Melata e di Mamula, ecc.) dove vengono deportati
uomini, donne e bambini (cittadini slavi o allogeni della Venezia Giulia ed ebrei) per ridurre l’appoggio
popolare al movimento partigiano; difficile il calcolo delle vittime, dovute a cattive condizioni igieniche,
scarsa alimentazione, sovraffollamento, assenza di cure.
PROVINCIA DI LUBIANA 1941-1943
A NORD: il Terzo Reich aveva occupato i territori della Carinzia e della Carniola
AD EST: era nato lo Stato indipendente croato
GOVERNATORATO DI DALMAZIA 1941-1943
DISGREGAZIONE DEL REGNO DI JUGOSLAVIA
1941:
•
Disgregazione del regno di Jugoslavia, provocata dall’attacco italo-tedesco
situazione di anarchia in cui operano forze contrapposte:
•
Formazione del movimento militare e politico dei cetnici, costituito da un gruppo di
ufficiali serbi (che si raccolgono attorno alla figura del generale Draža Mihajlović)
cercano di organizzare le forze per il momento della restaurazione monarchica
•
Movimento partigiano di Josip Broz «Tito» (dal 1937 segretario del Partito
comunista jugoslavo)
mette al primo posto la lotta contro gli occupanti
•
Ustascia, membri del movimento nazionalista e fascista croato fondato da A.
Pavelić nel 1929; con l’occupazione nazifascista della Iugoslavia diedero vita al
regime collaborazionista dello Stato, formalmente autonomo, di Croazia, durante il
quale si resero responsabili di stermini su base etnica e religiosa; alleati ufficiali
dell’Asse, in contrasto aperto con i cetnici
ZONA OPERAZIONI LITORALE ADRIATICO
8 SETTEMBRE 1943:
•
i tedeschi occupano la Venezia Giulia e vi creano la «zona di operazioni litorale
adriatico» (che comprende la provincia di Belluno e di Lubiana)
•
Prospettiva politica dei tedeschi: sottrarre il territorio alla sovranità italiana per
conservarlo al diretto controllo germanico, forse sotto forma di protettorato, come
risposta alle ambizioni del nazismo carinziano che aveva costruito stretti rapporti
economici e politici con Trieste, dove era attiva una sezione del Partito
nazionalsocialista, dotata di un centro di propaganda
•
La zona viene di fatto separata dalla Repubblica sociale italiana che non
poteva estendervi la propria legislazione, nominarvi le proprie autorità e inviarvi le
proprie forze armate, salvo alcuni reparti sotto il comando tedesco
Zona in cui dall’8 Sett. 1943 la sovranità della RSI è di fatto sospesa
AUTUNNO 1943: LE FOIBE ISTRIANE
8 Settembre 1943:
• annuncio dell’armistizio e dissoluzione dell’esercito italiano
• I tedeschi occupano i centri nevralgici della Venezia Giulia (Trieste, Gorizia,
Pola, Fiume) ma lasciano, per carenza di forze, temporaneamente libero il resto del
territorio, ovvero l’entroterra
• Nell’Istria interna si crea un improvviso vuoto di potere: da un lato le formazioni
partigiane slave assumono il potere «in nome del popolo» senza trovare resistenza,
dall’altro si ha l’insurrezione spontanea dei contadini croati, che incendiano catasti e
archivi comunali
• Si coniugano così la lotta di liberazione nazionale contro gli italiani, la lotta di classe
contro i padroni e la lotta politica contro il fascismo
(equazione italiano=padrone=fascista
semplificazione utilizzata da Tito)
• Parte della popolazione rurale slava vede nel crollo della presenza italiana
l’occasione per vendicare i torti subiti nel Ventennio (per cancellare le tracce del
controllo fascista vengono bruciati gli archivi comunali, cancellata la cartellonistica
stradale)
• La cessazione formale delle ostilità fra eserciti lungi dal sedare le conflittualità
profonde, segna il momento in cui la violenza si frammenta negli abusi personali
AUTUNNO 1943: LE FOIBE ISTRIANE
1943:
• Preoccupazione politica prioritaria dei nuovi poteri instauratosi sul territorio istriano:
decretare l’annessione della regione alla Jugoslavia
• Ci furono una serie di proclami di annessione: il 13 sett. ‘43 da parte del Comitato
di Liberazione a Pisino; il 20 sett. Il Consiglio territoriale antifascista di liberazione
nazionale di Croazia proclama l’annessione alla Croazia e, per suo tramite, alla
Jugoslavia, di tutti i territori ceduti all’Italia (Istria, Fiume, Zara, Dalmazia)
• Questi proclami (interpretati come un pacchetto di rivendicazioni e perciò
sottovalutati) vengono accolti dagli sloveni e dai croati come provvedimenti aventi
forza di legge
l’annessione viene considerata come una realtà in atto che va
difesa
•
•
Nella regione cominciano gli arresti: nelle località costiere vengono imprigionati
prevalentemente squadristi e gerarchi fascisti, nelle aree controllate dai croati
vengono fatti sparire i rappresentanti dello stato, come podestà, segretari e messi
comunali, carabinieri, esattori delle tasse e uffici postali
Obiettivo: «spazzare via chiunque ricordasse l’amministrazione italiana, odiata dalla
popolazione croata per il suo fiscalismo, oltre che per le sue prevaricazioni
nazionalistiche e poliziesche» […] «nelle campagne bersaglio prioritario delle retate
divennero anche i possidenti italiani, che caddero vittime di quell’antagonismo di
classe che da decenni li vedeva contrapposti a coloni e mezzadri croati»
AUTUNNO 1943: LE FOIBE ISTRIANE
•
•
•
«scomparvero anche commercianti, insegnati, farmacisti, veterinari, medici condotti e
levatrici, vale a dire le figure più visibili delle comunità […] sembrava dunque che
l’intera classe dirigente italiana fosse sotto tiro. […]
uno dei compiti affidati ai nuovi poteri popolari è quello di «ripulire» il territorio dai
«nemici del popolo» = tutti coloro che non collaboravano attivamente con il
Movimento di Liberazione guidato dai comunisti di Tito
si tratta di una
definizione assai elastica, che lascia ampi margini di discrezionalità
La maggior parte degli arrestati viene concentrata in alcune località di raccolta, come
avviene a Pisino, dove si celebrano i processi sommari, che si concludevano quasi
sempre con la condanna a morte, l’esecuzione, in genere collettiva, e
l’occultamento dei corpi nelle cavità, oppure, nelle località costiere, con la
dispersione in mare delle spoglie.
Castello di Pisino, nei cui sotterranei
venivano rinchiusi i prigionieri
AUTUNNO 1943: LE FOIBE ISTRIANE
Inizio ottobre 1943:
• L’offensiva tedesca costringe le formazioni partigiane ad arretrare e poi ad
abbandonare del tutto l’Istria in una ritirata disordinata
• Il ritmo delle esecuzioni diventa convulso poiché i prigionieri possono diventare
testimoni scomodi e l’occultamento dei cadaveri nelle foibe (cavità carsiche di
origine naturale) serve a far scomparire la prova dei crimini
• Sembra che le fucilazioni sull’orlo delle foibe venissero condotte in modo da
precipitare nelle voragini anche condannati ancora vivi
• «infoibare» rinvia ad un’immagine minacciosa, non si tratta semplicemente di
uccidere un uomo, ma di trattarlo «alla stregua di un rifiuto», cancellarne l’identità, la
memoria, come se non fosse mai esistito
• Gli italiani si sentono colpiti in quanto gruppo etnico, indipendentemente dalla
collocazione politica e sociale di ciascuno, visto che ci furono linciaggi, violenze,
anche di gruppo, a carico di ragazze e donne incinte, esecuzioni efferate, spesso
accompagnate da sevizie, in una commistione di odi politici e personali, di rancori
etnici, familiari e di interesse.
• Siamo d’altra parte, davanti ad un progetto preciso: la distruzione del popolo
italiano sull’entroterra istriano e la sua sostituzione con il contropotere partigiano, un
potere rivoluzionario che vuole mostrare la sua capacità di vendicare i torti,
individuali e storici, subiti dai croati dell’Istria e di coinvolgere e compromettere la
popolazione slava nella guerra contro gli italiani
IL PROGETTO POLITICO E MILITARE DI TITO
•
La Venezia Giulia, nel contesto del secondo conflitto mondiale, si presenta come il
«tassello di una politica internazionale che immagina la futura Jugoslavia come
baluardo del mondo comunista contro l’espansionismo americano e l’area giuliana
non come zona di confine fra stati, ma come barriera tra blocchi politicoideologici contrapposti»
• Necessità per le truppe di Tito di arrivare a Trieste e Gorizia prima degli angloamericani
Maggio 1945:
• La «corsa per Trieste» viene vinta dall’esercito jugoslavo, che assume il potere
insediando i comitati di liberazione composti da cittadini di etnia slavi come organi
amministrativi
• Per la realizzazione dell’annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia occorre
eliminare qualsiasi voce di potenziale dissenso, occorre epurare l’area da tutti
coloro che si oppongono al comunismo jugoslavo; occorre anche evitare che si
affermino autorità italiane antifasciste capaci di legittimarsi come tali davanti agli
alleati
• Viene impartito l’ordine di «imprigionare tutti gli elementi nemici e consegnarli
all’OZNA (polizia politica jugoslava) per processarli»
• A Trieste, per 45 giorni, si susseguono irruzioni nelle case sulla base di sospetti,
arresti, fucilazioni, rastrellamenti, coprifuoco, deportazioni, sistematico ricorso alla
tortura, stupri, confisca di preziosi.
MAGGIO 1945: FOIBE GIULIANE
• Molti arrestati vengono condotti nei campi di concentramento della
Slovenia, ma molti vengono uccisi subito dopo la cattura o la resa
• La repressione non colpisce i maggiori dirigenti del fascismo giuliano, che
sono fuggiti in tempo, ma i quadri intermedi
• L’epurazione «preventiva» si abbatte poi sugli esponenti del Comitato di
Liberazione nazionale di Fiume e di Gorizia, in quanto si presentano
come organizzazioni antifasciste direttamente concorrenziali rispetto alle
autorità jugoslave
• Come per gli istriani un anno e mezzo prima, si ricorre all’occultamento dei
cadaveri nelle foibe, in qualche pozzo di miniera o direttamente nel
mare. Basovizza, Opicina, Prosecco, Volci, Cruscevizza, Podgomila,
Gropada, Quisca, Aurisina, Ternovizza: tra Trieste e Gorizia nuove voragini
carsiche inghiottono le vittime dell’epurazione, che in alcuni casi vengono
«infoibate» ancora vive
• Stima delle vittime, tra infoibati e deceduti nei campi di concentramento:
circa 10-12 mila persone
FOIBA DI BASOVIZZA
Operazioni di esplorazione delle
foibe
CARTINA PRINCIPALI FOIBE
DEFINIZIONE DEI CONFINI
12 giugno 1945:
• A Belgrado jugoslavi e angloamericani firmano un Accordo provvisorio
che delimitava le rispettive zone d’occupazione lungo la «linea Morgan»: i
territori ad occidente della linea Trieste – Caporetto – Tarvisio e la città di
Pola (ZONA A) vengono posti sotto il controllo diretto degli alleati, la
parte orientale (ZONA B) viene assegnata alla temporanea
amministrazione militare della Jugoslavia, che considerò, invece, tale
territorio annesso di fatto
10 Febbraio 1947:
• Trattato di Pace di Parigi: ampia riduzione della provincia di Gorizia,
perdita di Fiume e di Zara; viene costituito il Territorio libero di Trieste (da
affidare per 10 anni all’amministrazione delle Nazioni Unite), che, in realtà
rimane lettera morta e rimane sempre diviso in due parti: la Zona A, con
amministrazione militare anglo-americana, Zona B, con amministrazione
militare jugoslava
LINEA MORGAN
DEFINIZIONE DEI CONFINI
5 Ottobre 1954:
• Memorandum di Londra: la Zona A viene assegnata all’Italia e la zona B
alla Jugoslavia. Dopo gli scontri del 1953 tra nazionalisti triestini e governo
militare alleato che usò l’arma della repressione violenta, gli anglo-americani
rafforzarono l’dea di disimpegnarsi da Trieste. Ciò si spiega anche con lo
stemperarsi della tensione della guerra fredda a partire dal 1948 (rottura
rapporti Stalin/Tito) che fa della Jugoslavia un Paese con cui l’Occidente
inizia a dialogare, pur nella diversità dei rispettivi sistemi economico-politici.
Il testo contiene margini di ambiguità lessicale sul carattere «provvisorio» o
«definitivo» della soluzione, tali da permettere alle due parti di dichiarare di
non aver rinunciato a nulla, ma è ormai evidente a tutti che la questione di
Trieste è chiusa.
10 Novembre 1975:
• Accordi di Osimo (località in provincia di Ancona): la linea di demarcazione
fra la Zona A e la Zona B diviene ufficialmente il confine di Stato tra Italia e
Jugoslavia, ratificando una situazione che si era andata a consolidare nel
tempo.
DEFINIZIONE DEI CONFINI
• Il nuovo clima politico della Guerra fredda e la
radicalizzazione dello scontro locale, nonché la distanza fra
le richieste di Belgrado (che vuole tornare ai confini del 1915
tra Italia e Impero asburgico) e di Roma (che rivendica i confini
del 1919, con l’autonomia della città di Fiume) interagiscono tra
loro rallentando le trattative diplomatiche, ingessando, di fatto,
la linea di demarcazione fissata nel 1945
• Forzare lo stato di fatto, per accogliere le richieste di una delle
due parti, equivarrebbe a mettere in discussione le rispettive
aree d’influenza in una stagione in cui i confini tendono a
trasformarsi in linee di frattura fra due mondi
ideologicamente contrapposti.
DEFINIZIONE DEI CONFINI
ESODI
Gennaio 1947:
• Inizio ufficiale dell’esodo dei quasi 30.000 abitanti di Pola, assistiti dal
Governo italiano e dal Governo militare alleato
• Vengono allestiti centoventi campi, ricavati da campi di concentramento
smantellati, caserme abbandonate, stabilimenti industriali dismessi in cui gli
esuli vivono in condizioni di miseria, privazioni, carenze igieniche
• L’accoglienza dei profughi fu diversa nelle varie città: in alcuni casi
generosa, in altri di rifiuto
ESODI
• Solo nel 1946 il governo italiano prende
coscienza della condizione di «profughi»
dei giuliano-dalmati e adotta
provvedimenti parziali e frammentari con
sistemazioni d’urgenza, accumunate da
sovraffollamento, promiscuità, precarietà delle condizioni igieniche,
mancanza di opportunità di lavoro
• C’è chi riesce ad abbandonare i centri di accoglienza dopo qualche mese e
chi vi rimane anche per 10 anni
ESODI
• L’esodo giuliano dalmata coinvolge i nuclei familiari
• Ciò favorisce , pur nella precarietà delle loro condizioni di vita, la
conservazione di regole di vita, valori e reti di solidarietà
• L’Italia della fine degli anni ’40 è un paese uscito prostrato dalla guerra
in cui gli stessi residenti faticano a trovare alloggio e lavoro e in cui si
riversano prigionieri di guerra rimpatriati dagli alleati, internati militari e
deportati civili che tornano dai lager tedeschi, rifugiati delle ex colonie,
soldati che hanno collaborato con la resistenza all’estero
i primi profughi
si confondono in questo grande marasma
• Ci furono anche atti di ostilità nei confronti
dei profughi di Pola, al momento del loro
sbarco o del loro insediamento
• Dopo l’emergenza la comunità raccolta nei
centri si organizza: vengono costruite scuole,
organizzate attività sportive, viene mantenuta
viva la tradizione religiosa (grazie alla
presenza di numerosi sacerdoti che
seguono le loro comunità)
LA RESISTENZA ITALIANA NELLA VENEZIA GIULIA
•
Nella Venezia Giulia la resistenza italiana sconta le difficoltà legate alle
contrapposizioni nazionali, esasperate dalla guerra
• La scelta della militanza armata nella Resistenza è resa difficile dalla
consapevolezza della difficoltà di accompagnare la lotta per la
liberazione con la battaglia per il mantenimento della sovranità italiana
• La classe operaia italiana, inoltre, riteneva opportuno porre la questione
nazionale in secondo piano rispetto all’urgenza della lotta contro i
tedeschi e alla prospettiva di innescare su di essa un disegno di radicale
trasformazione dei rapporti di classe
• L’esercito popolare di liberazione jugoslavo appariva l’avanguardia
dell’Armata rossa e il portatore, per la Venezia Giulia, di una possibile
soluzione comunista
• «Nel proletariato giuliano, in larghissima maggioranza di lingua e cultura
italiana, esisteva dunque un’apertura di fondo verso la guida politica del
movimento partigiano Jugoslavo, non però in chiave nazionale ma, al
contrario, in un’ottica internazionalista»
MOVIMENTO DI LIBERAZIONE JUGOSLAVO
• Differenza movimento di liberazione jugoslavo/ movimento di liberazione
italiano:
- la Resistenza italiana si fonda su organismi unitari, i Comitati di
Liberazione Nazionale (CLN) in cui sono presenti e operano, su un piano
di parità, tutte le forze antifasciste
- Il Movimento di Liberazione jugoslavo è invece egemonizzato dal
Partito comunista, che si propone il duplice obiettivo di liberare il paese
dagli invasori e di conquistare il potere
• La parola d’ordine dell’annessione alla Jugoslavia dell’intera Venezia
Giulia garantisce al movimento di liberazione sloveno e croato l’appoggio
di massa delle popolazioni slave, che l’oppressione fascista aveva
ulteriormente motivato al distacco dallo Stato italiano
• Una Trieste jugoslava avrebbe potuto costituire un’ottima base per la
diffusione della rivoluzione verso l’Italia settentrionale e avrebbe evitato che
inglesi e americani cercassero di influire sulla situazione politica jugoslava,
approfittando di una Trieste italiana, controllata con tutta probabilità dalle
potenze occidentali
• «Spinte nazionali, motivazioni ideologiche e calcoli strategici si
combinavano dunque nel rendere prioritario da parte jugoslava
l’obiettivo della conquista del territorio giuliano»
BIBLIOGRAFIA
• L. Benedettelli, M. Fiorani, L. Rocchi, Per una storia del confine orientale fra
guerre, violenze, foibe, diplomazia, Grec, Ombrone - Grosseto, 2007
• G. Oliva, Esuli, dalle foibe ai campi profughi: la tragedia degli italiani di
Istria, Fiume, Dalmazia, Mondadori, Mi, 2011
• R. Pupo, R. Spazzali, Foibe, Bruno Monadadori, Mi, 2003