Esercizi spirituali e filosofia ellenistica - Consulenza Filosofica

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Esercizi spirituali e filosofia
ellenistica
III parte: imparare a morire
(cfr. P. Hadot, Esercizi spirituali e
filosofia antica, Einaudi, Torino, 2005,
pp.49-58)
MORTE E LINGUAGGIO
• Il linguaggio può essere pensato come un
mondo ideale dove vigono norme e regole che
rispondono ad un esigenza di razionalità
universale – Il LOGOS - .
• A tale sfera del logos può essere opposta la
sfera della vita, dell’esistenza, dell’essere
empirico dominato dal divenire e dall’irrazionale.
• La fedeltà al logos può entrare in contrasto con
la vita, come è stato per Socrate e come lo è
anche per gli stoici, rispetto ai quali in vista del
logos la vita diviene un INDIFFERENTE.
Sallustio Sereno (filosofo neoplatonico del sec. IV,
amico dell’imperatore Giuliano l’Apostata)
• Il Logos identifica il Bene in senso platonico. Se
è vero ciò, conclude Sallustio, “se tutti gli esseri
non sono esseri che per la bontà e se
partecipano al Bene, è necessario che il primo
principio sia un bene che trascende l’essere.
Ecco una prova eminente: le anime di valore
disprezzano l’essere a causa del Bene, quando
affrontano spontaneamente il pericolo per la loro
patria, per coloro che amano la virtù” (Sugli dei e
il mondo, V, 3).
Tirocinio di morte
• In questo senso la filosofia è esercizio e
tirocinio di morte, se è vero, come è vero,
che subordina la volontà di vivere del
corpo alle esigenze superiori del pensiero.
Per Platone
• L’anima, quale parte del composto umano
che ha avuto accesso alla verità e che è
connaturale al mondo supremo delle idee,
deve essere esercitata a separarsi dal
corpo, a liberarsi dalle catene del corpo,
per diventare veramente se stessa e per
emanciparsi dalle catene delle passioni e
dei desideri sensibili.
Quando l’anima cede: il sogno
• Il sogno è quel fenomeno che aggredisce
l’anima umana non vigile, non desta e quindi più
debole quanto alla sua razionalità. Il fatto che,
diremmo oggi, con il linguaggio di Freud, nel
sogno emerga un rimosso scandaloso e talora
vergognoso, significa per Platone che qui
emerge “la parte ferina e selvaggia del nostro
essere” (Repubblica 57 I c-d). Per questa
ragione è necessario “Non cedere al sonno che
dopo aver destata la parte razionale del nostro
essere e averla nutrita con bei pensieri e belle
ricerche” (ivi, 57 I d).
Se la filosofia è un esercizio di
morte…
• …la morte non può spaventare il filosofo.
Anzi dal pensiero della morte egli troverà
motivi per un mutamento complessivo
dell’atmosfera interiore:
• “Che la morte ti sia davanti ogni giorno, e
non avrai nessun pensiero basso e
nessun desiderio eccessivo” (Epitteto,
Manuale, 21, D).
Perché?
• Perché il pensiero della morte non è il pensiero del nulla,
ma il pensiero della totalità delle cose, è il pensiero che
subordina la vita al logos dell’universo.
• In Platone essa riguarda il corpo, libera l’anima dal corpo
e le permette di ricongiungersi con il Bene sommo e
trascendente cui siamo destinati.
• Negli stoici essere disposti a morire significa non far
arretrare il logos di fronte alla vita, riconoscere che vi è
un bene più grande, il logos universale, rispetto al bene
della vita. Solo seguendo il logos l’uomo diventa libero,
realizzando in pieno tutte le possibilità insite nella vita.
Magnanimità
• Nessuna delle cose umane merita che le si
attribuisca grande importanza: questo è
l’insegnamento della morte. Le cose umane,
come la morte dell’individuo,sono piccole di
fronte al Tutto, alla totalità dell’universo e al
senso razionale che presiede al suo governo.
• Chi eleva il suo pensiero alla contemplazione
della totalità, sa di sparire di fronte al tutto, sa di
diventare uno con la somma e universale Verità.
• Egli dunque non fa gran caso alla propria vita e
nutre la sua anima con pensieri elevati che la
ingrandiscono
La fisica ellenistica
• Se in Platone la disciplina che consentiva all’anima di
non temere la morte del corpo, ma anzi di raggiungere
un’immortalità spirituale ricongiungendosi con la
trascendenza dalla quale era originariamente caduta nel
corpo, era la metafisica che ri-univa l’anima con l’Essere
trascendente,
• nei filosofi ellenistici non vi è nessuna trascendenza e la
disciplina che permette loro di liberarsi dalle passioni, tra
le quali la filopsychia (attaccamento alla vita- cfr. C.
Michelstaedter, La persuasione e la rettorica), è la fisica.
E’ dentro il mondo fisico che contempliamo il logos.
La vita: una festa
• L’attività dell’immergersi nella ricerca delle
cause e del funzionamento della natura, che
produce un’AMMIRAZIONE infinita per la
somma razionalità che governa l’universo
provoca un DISTACCO dalla piccolezza degli
affari umani e da tutto ciò che è semplicemente
individuale, tale da consentire di liberarsi
dall’attaccamento alla vita e proprio per questo
POTERLA CELEBRARE COME UNA FESTA:
“Un uomo dabbene non celebra forse una festa
ogni giorno?” domanda Diogene il Cinico.
Il tutto e la piccolezza degli affari
umani
• In Marco Aurelio (121-180 d.C.) è presente
questo tema del “sorvolo immaginativo”
sull’immensa bellezza e razionalità del cosmo
che fa attribuire scarsa importanza alle cose
umane: “Supponi di trovarti improvvisamente ad
un’eccelsa altezza, e di contemplare di lassù le
cose umane e la loro diversità; quanto le
disprezzeresti quando vedessi in un solo colpo
d’occhio l’immenso spazio popolato degli esseri
dell’aria e dell’etere”
(Ricordi, XII, 24, 3).
Il tutto e l’immortalità
• Da questo “altezza eccelsa” si accede
all’immortalità, identificando la propria
anima con l’immensità della durata del
logos eterno che a tutto conferisce ordine.
Plotino (205-270 d.C.)
• Il fondatore del Neoplatonismo, allievo di
Ammonio Sacca (che non lasciò scritti),
condivide con Platone l’idea di un’originaria
connaturalità dell’anima con il principio
metafisico:
l’anima originariamente era il tutto, cioè
apparteneva a quel mondo sovrasensibile che
aveva diretto accesso al principio assoluto,
ineffabile, infinito, indicibile che è l’UNO.
Al tutto si è aggiunto qualcosa…
Dice Plotino: “Tu eri già il tutto, ma poiché
qualche cosa ti si è aggiunta in più del
tutto, tu sei diventato minore per
quest’aggiunta stessa. Tale aggiunta non
aveva nulla di positivo (infatti che cosa si
potrebbe aggiungere a ciò che è tutto?),
era interamente negativa. Chi diventa
qualcuno non è più il tutto, gli aggiunge
una negazione” (Enneadi, VI, 5).
Una vite spanata
Quando si è avvitata una vite fino in fondo, se si vuole
forzare e procedere nell’avvitare, il nostro strumento si
guasta, si spana, perde la filettatura. Allo stesso modo
all’anima che aveva già in sé tutto quello di cui aveva
bisogno, si è voluto aggiungere a forza qualcosa:
l’individualità materiale. Così l’anima si è unita ad un
corpo, ma in questa sua unione alla materia essa ha
perso la sua collocazione nel sovrasensibile, ha perso il
suo essere più pieno, aggiungendovi tutti i mali che
provengono all’uomo dalla sua corporeità materiale,
caduca, mortale.
La nostalgia dell’UNO
• L’anima nel corpo è come se fosse in esilio e
sente la nostalgia della sua patria, il vero
essere, la stabile unità del tutto: “Francamente il
vivere quaggiù e tra le cose della terra non è
che crollo ed esilio e perdita d’ali […] la vera vita
è solo lassù; poiché la vita dell’oggi che è vita
senza Dio, è solo un’orma della vita, che va
imitando la vita suprema […] siccome ella è, sì,
qualcosa di diverso dal Dio, ma da Lui deriva,
l’anima è innamorata di Lui necessariamente”
(Enneadi, VI, 9,9)
Scolpire la propria statua
• Per ritornare all’UNO, l’anima deve
scolpire la propria statua, cioè, come fa lo
scultore con il pezzo di marmo grezzo,
togliere, scalpellare, tutto il materiale che
si aggiunge alle forme belle dell’opera, in
modo da far emergere nella sua purezza il
cuore incorrotto del soggetto umano, cioè
la sua anima metafisica.
Togli ogni macchia
• “se si vuole conoscere l’essenza i una
cosa, occorre esaminarla considerandola
allo stato puro, poiché ogni cosa aggiunta
ad una cosa è un ostacolo alla
conoscenza di questa cosa. Esaminala
dunque (la tua anima, n.d.r.) togliendole
ciò che non è essa stessa, o piuttosto,
togliti le tue macchie ed esaminati, e avrai
fede nella tua immortalità” (Enneadi,
IV,7,10,27)
Esercizi spirituali
• Questi sono gli esercizi spirituali plotiniani:
cercare di emanciparsi da ogni realtà corporea,
tornare in sé stessi, esaminarsi incessantemente
per cogliere il nocciolo spirituale del sé, prima
contemplando la bellezza sensibile e amandola,
poi risalendo alla bellezza spirituale, poi
esercitando la dialettica filosofica (cioè il giusto
ragionamento), poi al culmine del pensiero,
uscendo da sé per unirsi all’oggetto della propria
contemplazione, l’Uno assoluto, e diventare la
stessa cosa con l’uno.
L’immortalità
• L’uscire da sé per unirsi all’UNO è la vera
immortalità, che si è liberata da tutto ciò che è
mortale e caduco. Il mondo materiale, che è
privazione e mancanza, deve morire, per
lasciare spazio all’essere, al bene e all’Uno. La
nostra vita deve esercitarsi a trovare prima in
questo mondo le tracce del Dio, poi tramite il
ragionamento farsi un concetto di Dio aderente
alla sua essenza spirituale, poi unirsi al Dio nella
sua purezza, abbandonando ogni realtà
sensibile al suo destino.
La mistica plotiniana
• Nella mistica plotiniana convergono motivi
platonici, ma anche stoici. Essa rappresenterà il
fondamento razionale della riflessione cristiana
sulla possibilità di entrare in una relazione
stretta con Dio già in questa vita, pregustando le
gioie promesse da Cristo nel suo Regno. A
Plotino si rifaranno lo Pseudo-Dionigi
l’Aeropagita, Agostino, Scoto Eriugena,
Bonaventura da Bagnoregio: tutti maestri del
pensiero mistico cristiano che alimenteranno
una lunga tradizione di esercizi spirituali
cristianamente orientati.
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