Trattamento farmacologico nell`ipertensione - Digilander

Medicina interna (dott.ssa Marini)
ore 11 – 13
29/01/2004
Barbara Favaloro
Trattamento farmacologico nell’ipertensione arteriosa
Noi abbiamo a disposizione innumerevoli quantità di farmaci antiipertensivi, tanti farmaci anche
per le differenti classi farmacologiche. Come si comincia con un farmaco piuttosto che un altro?
Qual è l’efficacia migliore di un farmaco rispetto a un altro? Ho cercato di darvi qualche
indicazione. Per il trattamento dell’ipertensione sono disponibili molte classi di farmaci: abbiamo
gli ACE–inibitori, gli -bloccanti, gli antagonisti del recettore dell’angiotensina 1, i -bloccanti, i
calcio–antagonisti, i farmaci con azione centrale, i vasodilatatori diretti ed i diuretici. Bisogna
fare i conti con quello che è l’effetto benefico del farmaco sulla prognosi di vita del paziente. Per
alcuni farmaci è stato dimostrato come l’effetto del farmaco abbia dei benefici per quanto
riguarda la prognosi di vita del paziente. Questo è stato dimostrato negli ACE-inibitori, nei bloccanti, nei calcio-antagonisti e nei diuretici. Non è che gli altri non ce l’abbiano, è solo che
ancora non sono stati fatti gli studi a lungo termine o quantomeno non è chiara l’evidenza
sull’effetto benefico della prognosi. L’altra volta abbiamo detto che era stato dimostrato come gli
ACE-inibitori e gli antagonisti del recettore dell’angiotensina 1 riducano la mortalità
cardiovascolare. Solo gli studi clinici randomizzati in doppio cieco possono fornire evidenze sulle
quali è possibile basare la decisione sul razionale del trattamento.
Classe
Effetti benefici
ACE-inibitori
SI
-bloccanti
NO
Antagonisti AT1
NO
-bloccanti
SI
Ca2+-antagonisti
SI
Ag. Azione centrale
NO
Vasodilatatori diretti
NO
Diuretici
SI
Il termine di potenziale ipotensivo: ci sono poche dimostrazioni che un agente farmacologico sia
più evidente di un altro e comunque, come dicevamo prima, contano di più soprattutto la ridotta
mortalità cardiovascolare a lungo termine e la morbilità cardiovascolare. Per alcune categorie,
come gli -bloccanti, gli effetti sulla prognosi a lungo termine è incerta e, secondo alcuni autori, è
addirittura sfavorevole. Sono stati fatti altri studi clinici negli ultimi 25 anni e questi studi hanno
dimostrato che il trattamento con un diuretico e/o il -bloccante, si associa a benefici prognostici.
Recentemente, i risultati di altri studi clinici hanno fornito l’evidenza che anche i nuovi farmaci,
come per esempio calcio-antagonisti e gli ACE-inibitori, migliorano la prognosi, così come lo fanno i
farmaci più antichi, quelli convenzionali. Questa è una tabellina sugli studi che sono stati fatti,
sulla mortalità e la morbilità, su tutti i farmaci nuovi, gli ACE-inibitori ed i calcio-antagonisti.
Rischio relativo di mortalità e morbilità cardiovascolare: comparazione tra farmaci di nuova sintesi
e tradizionali
Mortalità
Morbilità
Tutti i nuovi farmaci
ACE-inibitori
Ca2+-antagonisti
Mortalità tot.
1.01
1.02
0.99
Mortalità cardiovasc.
0.99
1.01
0.97
Tutti gli ictus
0.89
0.90
0.88
Tutti gli IMA
1.04
0.90
1.18
0.96
0.94
0.99
Tutti i princ. Eventi
CV
Per quanto riguarda la mortalità totale, per tutti i nuovi farmaci, è dell’1%. La differenza fra ACEinibitori e Ca2+-antagonisti è minima. Mentre i Ca2+-antagonisti hanno una mortalità totale che è
dello 0.99%, gli ACE-inibitori ce l’hanno dell’1.02%, quindi sarebbero da preferire i Ca2+antagonisti. Per quanto riguarda nello specifico la mortalità cardiovascolare, gli ACE-inibitori
hanno una mortalità dell’1.01% ed i Ca2+-antagonisti dello 0.97%. Per quanto riguarda l’ictus, sono
sempre migliori i Ca2+-anatagonisti, per quanto riguarda invece l’ischemia miocardica sono da
preferire gli ACE-inibitori. Per tutti gli eventi cardiovascolari, “se la battono” perché la
differenza è minima. Da questa casistica verrebbe fuori che, per quanto riguarda la prevenzione
dell’infarto del miocardio e tutti i principali eventi cardiovascolari, sono da preferire farmaci come
gli ACE-inibitori. Possiamo venire alla decisione che dobbiamo scegliere solamente i farmaci nei
quali si è dimostrato che riducono la mortalità e la morbilità cardiovascolare. Questi sono i farmaci
che andrebbero prescritti inizialmente. Questa scelta, sulla base delle conoscenze attuali,
dovrebbe andare ad un diuretico o ad un -bloccante o un ACE-inibitore o ad un Ca2+-antagonista.
Non so se vi ricordate delle linee guida, in cui c’è l’associazione anche con alcune patologie, per cui,
in alcune patologie, andrebbe preferibilmente scelto un ACE-inibitore, ad esempio in un paziente
diabetico. Ogni modificazione di questa scelta si deve basare su ulteriori argomentazioni, quindi la
scelta dell’antiipertensivo non va fatta a caso. Uno dei fattori che possono favorire la scelta di un
farmaco rispetto ad un altro, è il profilo farmacologico. Che cosa è importante che un farmaco
abbia? Intanto, per esempio, una piena copertura delle 24 ore con una singola dose di farmaco. Che
cosa fa la singola dose di farmaco? Voi pensate al paziente che prende la terapia antiipertensiva:
molto spesso prende anche una statina, un antiaggregante, un ipoglicemizzante, quindi alla fine,
soprattutto i pazienti anziani, prendono molte pasticche e non è facile, se un farmaco ha emivita
breve, ricordarsi di prenderlo 3 o 4 volte al giorno, quindi una singola dose di farmaco ovviamente
migliora la compliance dei pazienti. Molti dei farmaci antiipertensivi disponibili sono somministrati
in 2 dosi giornaliere ma vanno comunque preferiti farmaci in monosomministrazione. Un’altra cosa
molto importante è alzare la durata di azione di un farmaco nel caso di mancata assunzione di una
dose: può saltare una dose di farmaco, allora per esempio, mettendo a confronto 2 ACE-inibitori, il
trandolapril ha una copertura maggiore rispetto all’enalapril. Un altro fatto che dovrebbe essere
tenuto presente molto importante è che il farmaco dovrebbe ridurre la pressione arteriosa
lentamente, senza causare ipotensione ortostatica. Se noi abbiamo un paziente, magari anziano,
che è abituato a valori di pressione sistolica di 200/100, se noi abbassiamo la pressione
velocemente, si ipoperfonde, anche perché i vasi non sono più elastici e quindi possiamo causargli
qualche altro danno. Il farmaco deve ridurre sempre la pressione arteriosa lentamente. In questo
caso, gli agenti centrali ed i -bloccanti sono meno raccomandabili perché abbassano la pressione
più velocemente. Sempre nella scelta del farmaco, bisogna sempre considerare, oltre alle
caratteristiche del farmaco che sono quelle di essere un agente antiipertensivo, vi sono alcuni
agenti farmacologici in cui sono state dimostrate delle proprietà ancillari, cioè ci sono anche dei
farmaci che inibiscono l’aggregabilità piastrinica, ci sono dei farmaci che stimolano la fibrinolisi,
alcuni migliorano la sensibilità all’insulina.
Domanda:”Quali sono questi farmaci?”. Per esempio, alcuni ACE-inibitori stimolano l’aggregabilità
piastrinica e stimolano la fibrinolisi, alcuni inibitori del recettore dell’angiotensina 1 migliorano la
sensibilità all’insulina, i -bloccanti invece possono peggiorare l’insulino – sensibilità. Un’altra cosa
importante sono i costi: variano per motivi di cause farmaceutiche, anche perché a livello di
molecole non c’è tutta questa gran differenza, però il farmaco più innovativo magari costa di più. I
diuretici sono i farmaci antiipertensivi più economici, però bisogna anche considerare che non è
solo il costo della compressa, questo può essere solo un aspetto marginale, perché, ad esempio, un
paziente che prende come monoterapia un farmaco diuretico va monitorato più accuratamente
perché può avere un’ipopotassiemia.
Approccio orientato al paziente: c’è una risposta differente sia per l’età, sia per la razza del
paziente. Per esempio, i diuretici ed i Ca2+-antagonisti sono più indicati nei pazienti anziani, gli
ACE-inibitori ed i -bloccanti di più nei pazienti giovani. I pazienti di razza nera rispondono meglio
ai diuretici ed invece sono più resistenti agli ACE-inibitori. C’è poi una grande variabilità
interpersonale nella risposta dei pazienti: due pazienti non rispondono mai allo stesso modo al
trattamento antiipertensivo. Anche l’età può costituire un fattore limitante per l’uso di alcuni
farmaci: per esempio, negli anziani, bisogna evitare quei farmaci che possono causare una riduzione
del profilo della pressione, cioè un’ipotensione ortostatica e questo lo danno soprattutto i farmaci
ad azione centrale o gli -bloccanti.
Profilo fisiopatologico: ci sono da fare parecchie riflessioni. Un paziente giovane, che abbia una
gittata cardiaca aumentata, va preferenzialmente prescritto un -bloccante, mentre in un
paziente anziano, che abbia una resistenza vascolare periferica elevata, è meglio prescrivere
ovviamente un vasodilatatore. C’è, a proposito del paziente giovane con una gittata aumentata, da
dire che il -bloccante può dare impotenza anche a basse dosi, quindi in un paziente giovane, a
meno che non abbia una gittata relativamente aumentata, è preferibile, se indicato per qualche
motivo particolare il -bloccante, partire sempre con dosi basse perché dà effetti collaterali, che
poi non gli fanno avere una buona compliance alla terapia. Un’altra cosa, ad esempio, è la
valutazione della renina: può essere predittiva della responsività dei singoli pazienti ai farmaci
antiipertensivi, quindi con bassi livelli di renina è preferibile usare un diuretico, mentre se si hanno
livelli di renina elevati, sicuramente sarà più efficace l’azione di un -bloccante o farmaci che
inibiscono il sistema renina-angiotensina-aldosterone. Queste sono scelte razionali che, però, a
tutt’oggi, non sono approvate da evidenze scientifiche chiare. Una cosa da tenere sempre presente
è che, se c’è un danno a carico di un organo bersaglio o se ci sono malattie concomitanti, come
dicevamo prima, insulino-resistenza e diabete mellito franco è da preferirsi un ACE-inibitore, gli
antagonisti del recettore dell’angiotensina 1 e alcuni Ca2+-antagonisti. Per esempio, si è osservato
in alcuni studi, che gli ACE-inibitori prevengono lo sviluppo di nuove forme di diabete. Altre
condizioni che possono influenzare la scelta terapeutica sono per esempio la presenza di
cardiopatia ischemica, insufficienza cardiaca congestizia, le malattie renali, le malattie ostruttive
polmonari e l’ipertrofia prostatica. Un’altra cosa che bisogna considerare sono le controindicazioni,
gli effetti collaterali. Quali sono le controindicazioni potenziali? I -bloccanti nella malattia
ostruttiva polmonare o nei pazienti allergici che soffrono di asma allergico possono scatenare una
crisi asmatica. Un ACE-inibitore, in un paziente con una significativa stenosi dell’arteria renale,
può aggravare la situazione. In realtà, da tutto questo discorso, viene fuori che nessun singolo
farmaco sembra essere meglio tollerato di altri. Sicuramente, i farmaci inibitori dell’angiotensina 1
hanno il potenziale di divenire farmaco di prima scelta, visto che è stato anche provato che
riducono la mortalità e la morbilità cardiovascolare. C’è poi un altro campo, che è di futura
attuazione, che è quello rappresentato dalla possibilità di associare il farmaco a certe
caratteristiche genetiche del paziente. Per esempio, sono stati studiati alcuni polimorfismi del
gene ACE, questo potrebbe predire la capacità di una maggiore risposta all’inibizione dell’ACE, così
come ci sarebbero dei polimorfismi dei canali del sodio nei confronti dei diuretici. Questa evidenza
non è stata ancora stabilita in modo inequivocabile, però può essere sicuramente una prospettiva
per il futuro. Ancora non si fanno i regimi terapeutici in base al profilo genetico ma ci si arriverà
sicuramente. Quindi l’approccio terapeutico deve essere basato su quello che viene chiamato indice
prognostico. La decisione di intraprendere o meno un trattamento antiipertensivo va presa
tenendo conto del rischio assoluto cardiovascolare. Come si inizia un trattamento? Intanto bisogna
valutare gli effetti della terapia a lungo termine, per esempio, se un farmaco può dare
sanguinamento, se c’è un farmaco nel quale è stata studiata a lungo termine una maggiore incidenza
di carcinoma prostatico. Se il paziente ha 20 anni, bisogna comunque scegliere il farmaco che, a
lungo termine, abbia meno effetti collaterali possibili. Ogni farmaco ha, in realtà, una cosa che lo
fa preferire rispetto ad un altro e non c’è un farmaco migliore in assoluto per un determinato tipo
di paziente. Nessuna variabile, inoltre, è in grado di predire con abbastanza certezza la risposta
del singolo paziente ad un dato farmaco antiipertensivo e in realtà la tecnica è empirica. Per cui,
cosa ci aiuta? Ci aiutano le linee guida, per cui sicuramente in un paziente asmatico non inizieremo
mai con un -bloccante o in un paziente diabetico è sicuramente preferibile iniziare con un ACEinibitore, ma non è detto che a quel paziente diabetico, magari l’ACE-inibitore gli fa venire la
tosse, allora proviamo con l’inibitore del recettore dell’angiotensina 1 e non gli fa assolutamente
niente, la pressione rimane bella alta; il Ca2+-antagonista non glielo possiamo dare perché magari ha
un altro problema miocardico e gli dobbiamo dare un -bloccante, ma quest’ultimo peggiora
l’insulino-resistenza…Il problema è che non abbiamo alternative! Non c’è assolutamente niente di
standardizzato. Con che cosa bisogna cominciare? Indipendentemente dal farmaco di prima scelta,
è sempre bene iniziare con bassi dosaggi, anche se, in teoria, il basso dosaggio potrebbe non
ridurre la pressione efficacemente, però dobbiamo ricordarci che la pressione non va abbassata
troppo velocemente e comunque dobbiamo sempre testare il minimo dosaggio efficace. Se la
monoterapia a basse dosi fallisce, o si può aumentare la dose del farmaco, si chiama aggiustamento
posologico, oppure si può passare ad un altro farmaco, questo è il concetto di monoterapia
sequenziale, oppure si può aggiungere un altro farmaco, cioè la terapia combinata. Tutte e due le
opportunità sono valide, perché noi potremmo tranquillamente usare tutti e due i farmaci a basso
dosaggio, che danno pochi effetti collaterali perché il dosaggio è basso e associarli oppure
prendere un farmaco, se vediamo che non è sufficiente l’effetto di quel farmaco, e cambiarlo. La
monoterapia sequenziale può essere fatta anche con farmaci della stessa classe. Per esempio, nella
classe degli inibitori dell’angiotensina 1 abbiamo sicuramente farmaci, a parità di effetti
collaterali, che hanno più o meno efficacia, quindi possiamo passare da un farmaco all’altro oppure
cambiare farmaco. L’altra volta nelle linee guida avevamo visto uno schemino con i farmaci più
comunemente associati, ci sono adesso parecchie associazioni precostituite, che facilitano
sicuramente la compliance del paziente, in genere sono associazioni con diuretici. Si inizia quindi
con un basso dosaggio e si aumentano successivamente le dosi. Può essere efficace aumentare la
dose però è a rischio di scatenare effetti collaterali. Il concetto di monoterapia sequenziale è
sicuramente una buona opportunità però ci vuole parecchio tempo per trovare la terapia giusta. La
sostituzione all’interno della stessa classe va fatta ovviamente solo se ci sono studi che
dimostrano chiaramente come un farmaco di una classe sia più efficace rispetto ad un farmaco
sempre della stessa classe.
Trattamento su bi-associazione: sono stati fatti molti studi su larga scala e hanno dimostrato che
un considerevole numero di pazienti non può essere mantenuto sotto controllo con un farmaco
solamente, molto spesso bisogna aggiungere un secondo farmaco antiipertensivo e, a volte, in un
alcune forme di ipertensione grave, si vanno ad aggiungere più farmaci antiipertensivi. Come
funziona? Si danno, in genere, bassi dosaggi di ciascun farmaco o le massime dosi tollerabili di ogni
farmaco; se vengono associati 2 tipi di farmaci sono possibili 2 approcci:
1.
in fasi successive;
2. schema libero di combinazione;
comunque, quello che conta di più alla fine, è che la pressione arteriosa si abbassi, non tanto i
meccanismi con quali l’abbassamento della pressione si è ottenuto. Perché combinare i farmaci? In
questo modo si sfruttano le caratteristiche che hanno alcuni farmaci di agire su meccanismi
diversi, quindi, ad esempio, associare un ACE-inibitore ed un Ca2+-antagonista, l’associazione con i
diuretici si trova più facilmente precostituita, comunque bisogna sempre cercare di evitare, se un
farmaco ha degli effetti collaterali, di combinare 2 farmaci che possono avere effetti collaterali
simili come ad esempio l’ipotensione ortostatica. In conclusione, è impossibile predire la capacità di
risposta a certi farmaci di un singolo individuo. Per non sbagliare, cosa conviene fare? Alcuni
sfruttano rigidi protocolli in fasi successive, la cosa migliore è il trattamento personalizzato con
argomentazioni di tipo soggettivo, molto importante è sempre l’anamnesi del paziente, perché già
parlando molto col paziente sapete che cosa vi aiuta, se è un paziente giovane ed è un fumatore ed
ha già problemi cardiovascolari ed è diabetico, utilizzando il -bloccante gli provocheremo
sicuramente impotenza. Se il paziente è asmatico e voi dimenticate di chiederglielo, con il bloccante gli viene una crisi d’asma. La sostituzione piuttosto che l’addizione dei farmaci offre
l’opportunità per valutare l’efficacia di un insieme di farmaci in un particolare paziente e quindi di
trovare il farmaco migliore per quel paziente. Praticamente, il metodo migliore è il regime di
sostituzione sequenziale, cioè cambiare il farmaco o con un farmaco della stessa classe più
efficace, cominciando sempre con i farmaci a basse dosi, che danno meno effetti collaterali
possibili.
Domanda: “In pratica, se uno deve scegliere tra vari farmaci quale sceglie?”
Risposta:”Se devi scegliere tra vari farmaci, sicuramente con gli studi che ci sono adesso, se è un
paziente di età media, provi a partire con un inibitore dell’angiotensina 1, che è un farmaco che ha
degli effetti collaterali molto scarsi, che è però più caro, ma in moltissimi pazienti l’ACE-inibitore
fa venire la tosse. È una tosse stizzosa. Gli inibitori dell’angiotensina 1, secondo degli studi a lungo
termine, sono quelli più associati ad una riduzione della mortalità e della morbilità
cardiovascolare.”
Domanda.”Dopo quanto tempo mi posso aspettare che la pressione scenda?”
Risposta:”Ci sono dei farmaci che hanno un’azione più veloce, per esempio, il diuretico ha un’azione
più veloce soprattutto in pazienti che hanno un’evidente ritenzione di liquidi. Il -bloccante anche
ha un’azione veloce, il Ca2+-antagonista, gli ACE-inibitori e gli antagonisti del recettore
dell’angiotensina 1 hanno un’azione più lenta, quindi se tu cominci con un antagonista del recettore
dell’angiotensina 1, i primi effetti si avranno dopo una settimana. Se dopo una settimana la
pressione ancora non si è abbassata, allora si cambia antiipertensivo.”
Domanda:”Le interazioni di questi farmaci con altri farmaci che possono essere utilizzati in
pazienti con altre patologie cardiovascolari o non cardiovascolari”
Risposta:”Ci sono dei farmaci che è bene non usare perché magari peggiorano la contrattilità
miocardica, non c’è niente di assoluto, però sicuramente, ci sono dei farmaci che è meglio non
usare. Ci sono tutte delle belle schedine di interazione fra farmaci, però sicuramente un paziente
che è cardiopatico, che ha una cardiopatia dilatativa, è preferibile dargli un -bloccante, anche il
Ca2+-antagonista lo può aiutare, l’ACE-inibitore un pochino gli serve. Un paziente con insufficienza
renale con una creatinina alta, l’ACE-inibitore gli può precipitare l’insufficienza renale, quindi è una
cosa da prendere con le pinze e soprattutto non c’è niente di assoluto e quindi la cosa più
ragionevole è andare avanti sempre, intanto cominciare con le basse dosi, perché può essere
sufficiente una bassa dose, quando non sapete bene com’è la copertura si ha l’opportunità di
montare il monitoraggio della pressione nelle 24 ore. Molto spesso si vede questo: un paziente ha
per qualche giorno la pressione stabilmente alta, la notte la pressione è bassissima…in quel
paziente, la pressione non può essere abbassata troppo, perché potrebbe collassare, avere
un’ipotensione ortostatica molto importante, quindi magari, anche se giovane, un pizzico di bloccante, magari con un’emivita breve, anche se sarebbe meglio una monosomministrazione, può
ridurre quell’ipertono adrenergico perché ha soprattutto un’ipertensione su base ansiosa. Quindi
sono tante le cose da tenere in considerazione…Le cose che io faccio più comunemente è
cominciare, tenendo presente che nel giovane è migliore il -bloccante, se non ha altre patologie, a
basse dosi in modo che non gli dia effetti collaterali anche perché gli antagonisti del recettore
dell’angiotensina 1 sono farmaci recentissimi. I farmaci, se devono essere somministrati per lungo
tempo, devono essere in grado di dare meno effetti collaterali possibili.”
Domanda:”In quali casi si usa il vasodilatatore diretto?”
Risposta:”Ad esempio, quando il paziente ha un’ipertensione polmonare, in alcuni casi soprattutto
cardiologici. Il vasodilatatore diretto si usa anche per la crisi ipertensiva. Quando ci troviamo di
fronte ad un’ipertensione in età giovanile, quello che dobbiamo andare a studiare è il rene, perché
magari è una persona che ha avuto la malattia reumatica e quindi ha una glomerulonefrite, una
forma silente di cui non si è accorto, capita di vedere un soggetto giovane che ha già un iniziale
danno renale, perché magari ha iniziato la sua ipertensione dopo un fatto infettivo, una
glomerulonefrite che è passata inosservata ed è tranquillamente abituato a valori pressori di
170/90”.
Domanda:”Le vampate nei pazienti che usano Ca2+-antagonisti è un effetto collaterale?”
Risposta.”In realtà non esiste farmaco che sia completamente privo di effetti collaterali, quindi se
hai un paziente anziano che già di per sé si agita facilmente, somministrandogli un Ca 2+-antagonista
gli farà venire le vampate sicuramente! Però, anche se ci sono questi studi che sono su 20.000
pazienti, ogni individuo è completamente diverso dall’altro, quindi non c’è niente di assoluto,
eccetto le controindicazioni chiare.”
Domanda:”Quali tra i farmaci antiipertensivi può avere un effetto negativo sulla spermatogenesi?”
Risposta:”Sicuramente i -bloccanti possono dare impotenza…Per quanto riguarda gli effetti
specifici sulla spermatogenesi, ti converrebbe chiedere ad un andrologo!”.
Domanda:”Quando va fatta la terapia antiaggregante?”
Risposta:”La terapia antiaggregante va fatta in tutti i pazienti che abbiano avuto una patologia
cardiovascolare importante. Però, perché aspettare che abbia l’infarto per dargli l’aspirina?
Sicuramente la terapia antiaggregante, e con questo termine io intendo l’aspirina controindicata in
pazienti allergici o con patologie gastrointestinali, anche se la dose bassa non dovrebbe interferire
a livello della mucosa gastrica, quindi utilizzerò dei farmaci con meccanismo antiaggregante
differente. Sicuramente, se il paziente è maschio e quindi con un maggior rischio cardiovascolare,
ha una familiarità per patologia cardiovascolare, è un fumatore, anche se non ha avuto infarti e le
coronarie sono perfettamente indenni, io l’antiaggregante glielo consiglierei, gli si fa fare un
ecodoppler. Quando un paziente è iperteso cosa dovete controllare? Lo screening è quello del
danno d’organo, quindi i vasi, per cui soprattutto l’ecodoppler, soprattutto dei tronchi sovraaortici,
l’occhio perché ci possono essere dei danni retinici ed il rene. Il rene va studiato con la clearance
della creatinina e la microalbuminuria, ancora prima che venga alterata la clearance della
creatinina, è un indice predittivo di danno d’organo, così come nel diabete anche nella malattia
ipertensiva. C’è poi, più che il trattamento antiaggregante, il trattamento anticoagulante che va
fatto nei pazienti che fibrillano, nei pazienti portatori di pacemaker, nei pazienti che hanno fatto
un intervento sulle coronarie e quello è un trattamento differente perché va monitorato
continuamente, è una terapia che va aggiustata ciclicamente per cui non si può fare una terapia
fissa. Come trattamento anticoagulante vengono usati i dicumarolici, mentre l’eparina, adesso c’è
quella a basso peso molecolare, viene data ai pazienti ipertesi anziani che, o si alletta, o fa un
intervento di tipo ortopedico. Il paziente anziano, che nel 90% dei casi ha una patologia varicosa
degli arti inferiori, comunque il paziente che viene ospedalizzato è sempre bene che, a meno che
non
abbia
una
patologia
cronica
gastrointestinale,
che
avvii
contemporaneamente
all’ospedalizzazione una terapia con eparina a basso peso molecolare che, tra l’altro, si può fare in
monoterapia, la scomodità è che la terapia sia solamente iniettiva però i tempi in genere sono
brevi.”
Domanda:”C’è un target di INR da raggiungere?”
Risposta:”Con l’eparina a basso peso molecolare no, devi allungare semplicemente il PTT. L’INR lo
devi raggiungere quando scoaguli completamente il paziente con la terapia anticoagulante, cioè il
paziente fibrilla, deve avere l’INR che si mantiene fra 2 e 3. La terapia anticoagulante è anche
scomoda perché ci sono delle verdure che hanno delle sostanze che interferiscono con
l’anticoagulante”.
Domanda:”Interazione tra statine e tiklid”.
Risposta:”Chi prende una statina molto spesso prende anche un antiaggregante, cioè il paziente
classico, obeso, vasculopatico, iperteso, che ha avuto una cardiopatia ischemica, un intervento di
bypass, che è diabetico, è uno dei classici pazienti che ci sono al centro per l’aterosclerosi”.
Domanda:”Quando preferire l’eparina a basso peso molecolare rispetto a quella di vecchia
generazione?”.
Risposta:”L’eparina di più vecchia generazione tu la preferisci quando hai una trombosi evidente,
come ad esempio una trombosi polmonare oppure un fatto importante, in questo caso il paziente va
eparinizzato, l’eparina a basso peso molecolare è quella che preferisci se hai una trombosi di tipo
superficiale alle gambe, oppure come copertura negli interventi o nell’ospedalizzazione. In tutti gli
interventi ortopedici in cui abbiamo un paziente anziano che si frattura.
(N.B. La dott.ssa ha detto che, se ci si reca al centro per l’aterosclerosi, darà un testo carino
sull’ipertensione e delle fotocopie sull’ipertensione in gravidanza e dell’ipertensione infantile).