Università imprenditoriale
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Università imprenditoriale
Il modello dell’università imprenditoriale può
essere sintetizzato in cinque nozioni. Si tratta
di cinque norme e contro–norme proprie
dell’università imprenditoriale, poste tra loro
in una tensione creativa che contribuisce
fortemente all’innovazione.
Il modello ottimale si manifesta in un punto di
equilibrio tra questi elementi.
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Università imprenditoriale
Proposizione 1 — Capitalismo
La conoscenza è creata e trasmessa per
essere utilizzata e per consentire un
avanzamento scientifico; la capitalizzazione
della conoscenza diventa la base per lo
sviluppo economico e sociale.
Proposizione 2 — Interdipendenza
L’università imprenditoriale interagisce
strettamente con l’industria e l’attore
pubblico; essa non è una torre d’avorio
isolata dalla società.
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Università imprenditoriale
Proposizione 3 — Indipendenza
L’università imprenditoriale è
un’istituzione relativamente indipendente;
non rappresenta un’emanazione che dipende da
altre sfere istituzionali.
Proposizione 4 — Ibridazione
La risoluzione tra le tensioni generate dai
principî dell’interdipendenza e
dell’indipendenza si rintraccia in un forte
impulso verso la creazione di modelli
organizzativi ibridi volti a perseguire
simultaneamente i due obiettivi.
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Università imprenditoriale
Proposizione 5 — Riflessività
La struttura interna dell’università è in
una condizione di rinnovamento continuo
nella misura in cui le sue relazioni con
l’industria e con l’attore pubblico si
modificano e in cui questi ultimi rivedono
le proprie relazioni con l’università
stessa.
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Università imprenditoriale
Si possono cogliere tre fasi di sviluppo
dell’università come soggetto
imprenditoriale
Fase iniziale (Università Imprenditoriale 1)
l’istituzione accademica assume una visione
strategica della sua linea di sviluppo e
acquisisce specifiche capacità grazie ai
rapporti negoziali con chi le assicura le
risorse (Clark, 1999).
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Università imprenditoriale
Seconda fase (Università Imprenditoriale 2)
l’istituzione accademica riveste un ruolo
attivo nella commercializzazione della
proprietà intellettuale derivante dalle
attività realizzate dalle proprie facoltà,
dal proprio personale o dai propri
studenti
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Università imprenditoriale
Terza fase (Università Imprenditoriale 3)
l’istituzione svolge un ruolo trainante
nel migliorare il sistema regionale di
innovazione, spesso in collaborazione
con imprese e con attori pubblici.
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Università imprenditoriale
L’università imprenditoriale assume un ruolo
attivo nel favorire l’uso delle conoscenze e
nell’incrementare gli input alla creazione di
conoscenza in ambito accademico, operando
secondo un modello interattivo dell’innovazione.
Ricerca
Utilizzazione
Scienza
Problemi dell’industria
e della società
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Università imprenditoriale
Una volta che i due processi agiscono insieme,
spesso attraverso l’ufficio di trasferimento
tecnologico dell’università, si spostano
rilevanti conoscenze e tecnologie al di fuori
dell’università e del suo liaison office e,
allo stesso tempo, si riportano i problemi
dall’esterno all’interno dell’istituzione
universitaria. Si genera così un processo
interattivo in cui i punti di origine dei due
percorsi lineari si rafforzano reciprocamente
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Università imprenditoriale
Il passo successivo verso la costruzione
dell’ethos di un’università imprenditoriale
è rappresentato dalla comprensione del
fatto che operare su problemi pratici posti
da soggetti non accademici può avere una
duplice potenzialità.
1. Da una parte, esso soddisfa i bisogni di
coloro che sostengono l’impresa accademica
e che la finanziano.
2. Dall’altra parte, assumere compiti di
ricerca per conto di altri può portare a
nuove domande di ricerca con importanti
potenzialità di tipo teorico.
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Università imprenditoriale
Nei sistemi accademici che seguono il
modello humboldtiano, basato su una stretta
relazione con lo stato e, allo stesso
tempo, su un’autonomia professionale
garantita dallo status di servizio
pubblico, l’università rappresentava un
braccio del Ministero dell’istruzione,
scarsamente dotato di una propria capacità
di darsi proprie linee strategiche.
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Università imprenditoriale
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
La complessità dell’innovazione è
principalmente data dal fatto che, a
differenza di altri processi, essa non si
pone come un aspetto della realtà
confinato o confinabile all’interno di
specifici ambiti sociali, economici o
amministrativi, ma esiste di per sé come
un sistema di processi e fenomeni tra loro
interrelati che agiscono trasversalmente
in tutti le sfere della vita sociale.
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
In questo senso, l’innovazione identifica
il modo stesso di essere di una società,
un suo carattere, per così dire,
“essenziale”, che rientra cioè nel campo
delle sue espressioni fisiologiche. Ogni
realtà sociale si modifica continuamente
ed è indubbio che, tra gli elementi che
entrano in gioco in questa continua
trasformazione, la tecnologia e la
scienza, intrecciandosi con altri fattori
di mutamento, ricoprono un ruolo decisivo.
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
Nel contesto della globalizzazione, poi,
questo carattere pervasivo e continuo
dell’innovazione appare ancora più
evidente. Non esistono più società chiuse
e isolate ma tutte sono esposte a tendenze
e sollecitazioni esterne, che attraversano
con maggiore o minore vigore l’intero
pianeta, determinando reazioni anche
difformi a seconda delle modalità in cui
si radicano negli specifici contesti
sociali ed economici.
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
Quanto detto mette in evidenza anche
l’ambiguità dei processi di innovazione.
Ogni innovazione non può essere valutata,
di per sé, in termini positivi o negativi,
come qualcosa di desiderabile o
indesiderabile, fintanto che non dispiega
pienamente le sue potenzialità.
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
Questo perché, essendo un processo
sociale, sistemico e non lineare essa può
essere orientata e prevista solo in modo
parziale, per cui è quasi certo che, ad
ogni suo effetto intenzionalmente
ricercato e ritenuto positivo, si
accompagnerà sempre qualche effetto non
voluto e non necessariamente desiderato.
Si tratta, per così dire, di un fenomeno
“anfibio”, in quanto non è interamente
comprensibile e gestibile, né come
fenomeno sociale o economico, né come
fenomeno politico in senso lato
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
Forse il modo migliore per interpretarla è
quello di coglierla come una transizione.
Questo tipo di fenomeni presentano
sostanzialmente due caratteristiche:
1. da una parte, manifestano un carattere
processuale, evolvendosi in virtù di
meccanismi intrinseci, che li rendono
sostanzialmente inarrestabili;
2. dall’altra parte, tuttavia, sono
suscettibili di essere gestiti e orientati
attraverso un'azione di tipo politico.
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
In quanto fenomeno transizionale, dunque,
l’innovazione si produce comunque: ciò che
mutano (e su cui è possibile in qualche
modo agire) sono piuttosto i ritmi, la
qualità, la direzionalità e l’intensità
che la caratterizzano.
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
La questione che allora si pone non concerne
solo “quanta” innovazione si attiva, ma
soprattutto “come” essa viene prodotta: può
essere subìta oppure attivamente promossa,
accelerata e gestita; può prendere direzioni
di sviluppo desiderate oppure assumere
traiettorie non volute e lontane dagli
interessi della collettività; può essere
controllata solo da poche strutture
decisionali o, al contrario, divenire
oggetto di una responsabilità diffusa; può
favorire l’inclusione sociale o, viceversa,
dare vita a inaspettate e incontrollate
disuguaglianze.
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
Le tre componenti dell’innovazione
La prima componente da considerare è
rappresentata dal sistema della ricerca di
cui una collettività dispone.
Con questa espressione si fa riferimento a:
1. una serie di attori (istituzioni
scientifiche, amministrazioni pubbliche,
ecc.);
2. un insieme di risorse materiali e
immateriali (laboratori, impianti, personale
qualificato, fondi, ecc.);
3. una serie di meccanismi che presiedono
alle relazioni tra attori e all’allocazione e
all’uso delle risorse.
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
Le tre componenti dell’innovazione
Un sistema di ricerca efficace non è in grado
di attivare processi di innovazione
scientifica e tecnologica
Paradosso Europeo
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
Le tre componenti dell’innovazione
La seconda componente è quella della
“socializzazione dell’innovazione”.
Le esperienze più avanzate, sia in Italia che
in altre aree continentali, mostrano come
l’innovazione assuma dimensioni e ritmi più
elevati laddove essa è maggiormente
socializzata.
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
Le tre componenti dell’innovazione
In questa sede l’espressione
“socializzazione” diviene polisemica e
utilizzata per indicare un processo
attraverso il quale un problema comune o un
aspetto della realtà diviene oggetto di
interesse e di coinvolgimento per un’area di
soggetti, individuali e collettivi, più vasta
di quanto lo fosse inizialmente.
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
Le tre componenti dell’innovazione
Un’innovazione altamente socializzata
significa un’innovazione percepita e, per
così dire, “vissuta” come obiettivo
collettivo prioritario e vitale da parte
della società nel suo complesso, degli attori
organizzati e dei singoli individui
Sincronizzazione tra gli attori, riducendo le
possibilità di conflitto, diluendo le vischiosità e
le resistenze (organizzative, procedurali,
decisionali, ecc.) e moltiplicando le opportunità di
produrre e di diffondere innovazione.
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
Le tre componenti dell’innovazione
La terza componente che entra in gioco è
quello della guida politica e culturale
dell’innovazione.
Si tratta dell’insieme delle normative,
politiche e misure messe in campo a
differenti livelli per indirizzare le diverse
variabili (tangibili e intagibili) del
processo di innovazione verso obiettivi
chiari e condivisi
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
Le tre componenti dell’innovazione
Ovviamente, in una società post–moderna, la
guida dell’innovazione, più che il carattere
di un’azione di government, vale a dire di
intervento direttivo ed esclusivo degli
attori pubblici, non può che assumere quello
di una azione di governance, cioè di sostegno
dei molti attori che hanno un peso e un
potere sulle dinamiche dell’innovazione,
creando le condizioni perché essi possano
cooperare tra loro per il raggiungimento di
comuni obiettivi
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
Queste tre componenti consentono di
identificare 8 differenti fasi di
innovazione (“+”: alta; “-”: bassa.
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Per una teoria sociologica
dell’innovazione
Le fasi possono essere dislocate lungo
un continuum i cui estremi sono
rappresentati da:
Innovazione
socialmente
condivisa
Fase 1
Deriva
tecnologica
Fase 8
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L’innovazione come processo sociale
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L’innovazione come
processo sociale
I primi studi sui processi di diffusione
dell’innovazione sono da attribuire al
sociologo francese G. Tarde (1903), il quale
aveva rilevato come la diffusione delle idee
avveniva secondo una curva ad S, che consente
di distinguere tre fasi (innovazione,
crescita e maturità).
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L’innovazione come
processo sociale
Rogers identificò, invece, il processo di
diffusione come essenzialmente di natura
comunicativa, in cui entrano in gioco
caratteristiche e orientamenti personali.
Più che una curva a S, Rogers propose una
curva normale “a campana”.
A, 2.5%
B, 13.5%
C, 34%
D, 34%
E, 13%
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L’innovazione come
processo sociale
il gruppo A è quello degli innovatori, caratterizzati
da alto livello di istruzione, orientamento al rischio,
controllo su fonti finanziarie, abilità specifiche
nella comprensione e nella applicazione delle
conoscenze tecniche ed esposti a più fonti di
informazione;
il gruppo B include gli anticipatori (early adopters),
dotati di alti livelli di istruzione, elevata
reputazione nella comunità, capacità di svolgere una
funzione di leadership sociale e con esperienze di
successo alle spalle;
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L’innovazione come
processo sociale
il gruppo C include la maggioranza anticipatrice (early
majority), caratterizzata da soggetti che hanno una
forte interazione con i pari; spesso ricoprono
posizioni di leadership e hanno una tendenza a seguire
un processo deliberativo prima di adottare una nuova
idea;
il gruppo D include la maggioranza ritardataria (late
majority), comprendente soggetti normalmente scettici,
tradizionalisti, con uno status economico basso,
prudenti e che patiscono molto la “pressione” sociale
esercitata dai pari;
il gruppo E, infine, include i ritardatari (laggards)
ed è composto da individui normalmente isolati,
sospettosi, con relazioni sociali ridotte (solo vicini
o parenti), con un processo di decision making lento e
dotati di risorse limitate.
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L’innovazione come
processo sociale
Secondo Rogers, l’adozione si configura come un
processo caratterizzato da cinque momenti:
consapevolezza (awareness), in cui
l’individuo è esposto all’innovazione, senza
detenere informazioni in proposito
conoscenza
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L’innovazione come
processo sociale
interesse (interest), in cui l’individuo
dispone di prime informazioni e mostra una
attitudine a ricercarne di nuove
persuasione
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L’innovazione come
processo sociale
valutazione (evaluation), in cui l’individuo
applica mentalmente l’innovazione e si
prefigura la situazione futura
decisione
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L’innovazione come
processo sociale
prova (trial), in cui l’individuo sperimenta
l’innovazione
implementazione
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L’innovazione come
processo sociale
adozione (adoption), in cui l’individuo
decide di applicare completamente
l’innovazione.
conferma
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L’innovazione come
processo sociale
Ma perché un’innovazione si diffonde e ha
successo e un’altra no?
L’innovazione, perché abbia successo, deve presentare
cinque caratteristiche “critiche”.
Relative advantage. L’innovazione deve essere percepita
come migliore rispetto alle soluzioni già disponibili.
Il grado di “vantaggio relativo” può essere misurato in
termini economici, ma altre componenti entrano in
gioco, quali i fattori di prestigio locale, la
convenienza o la soddisfazione personale.
Compatibility. L’innovazione deve essere percepita come
coerente rispetto ai valori esistenti, all’esperienza
precedente e ai bisogni di chi la deve adottare.
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L’innovazione come
processo sociale
Complexity. Si tratta del grado in cui un’innovazione è
percepita come difficile da comprendere e da
utilizzare. Alcune innovazioni sono facili da capire e
si diffondono più rapidamente di quelle più complesse.
Triability. L’innovazione deve avere caratteristiche
tali da poter essere sperimentata su basi limitate.
Innovazioni “non divisibili” (che devono cioè essere
assunte nel loro complesso, senza poter essere testate)
si diffondono con minore velocità.
Observability. L’innovazione che produce risultati
visibili ha maggiori possibilità di diffusione
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