SSIS MARCHE Relazione finale dello specializzando: Marco Campogiani Indirizzo: Scienze umane Classe di abilitazione: A037 Cinema e filosofia Un'ipotesi di didattica della filosofia «È fonte di piacere guardare le immagini (eikonas) perché coloro che contemplano le immagini imparano (manthanein) e ragionano (sylloghizestai) su ogni punto» Aristotele, Poetica «Quando il bambino era bambino, era il tempo di queste domande: "Perché io sono io, e perché non sei tu? Perché sono qui, e perché non sono lì? Quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio? La vita sotto il sole è forse solo un sogno? C’è veramente il male, e gente veramente cattiva? Come può essere che io, che sono io, non c’ero, e che un giorno io, che sono io, non sarò più quello che sono?» Wim Wenders, Il cielo sopra Berlino A.A. 2000-2001 Indice 1. Premessa. Motivazioni e prospettive della ricerca … p. 2 2. Perché il cinema per la didattica della filosofia? … p. 8 3. Breve excursus sullo stato del dibattito … p. 12 4. Conclusioni … p. 19 Appendice 1: Ipotesi di percorsi di cinema e filosofia … p. 24 Appendice 2: Analisi di un film. Ricomincio da capo … p. 27 Bibliografia … p. 37 1 1. Premessa. Motivazioni e prospettive della ricerca Obiettivo di questa relazione conclusiva del difficile percorso della Scuola di Specializzazione all'Insegnamento Secondario è quello di indagare teoreticamente e di vagliare sul campo il tema dell'utilizzazione didattica, per l'insegnamento della filosofia, della forma cinematografica. Questo argomento si sviluppa a partire dai miei interessi culturali e dall'esperienza di «tirocinio diretto», che mi ha condotto a elaborare un progetto sul rapporto «Cinema e filosofia» ed a realizzare un intervento didattico in aula. Esamineremo qui le motivazioni, il senso e la legittimità di un tale approccio, volto a integrare nella didattica delle filosofia un forte riferimento alle narrazioni filmiche. Il tema "Filosofia e cinema", o "cinefilosofia", è da qualche tempo oggetto di grande interesse, soprattutto in seguito alla pubblicazione del libro Cinema: 100 anni di filosofi. Una introduzione alla filosofia attraverso l'analisi di film (come suona il titolo originale) di Julio Cabrera, e anche mediante iniziative come la rassegna di lezioni-proiezioni organizzata dal quotidiano "IlSole24Ore" e altre pubblicazioni recenti. Il cinema esprime anche concetti, ragionamenti, idee. Nella narrazione cinematografica le idee, al contrario di quanto accade spesso nella tradizione scritta, si mostrano in tutta la loro concretezza ed espressività. Con il cinema, soprattutto con il grande cinema, si realizza spesso il miracolo di unire l'efficacia 2 argomentativa, basata su una logica stringente, alla capacità di far sentire un problema sulla propria pelle, indipendentemente dal fatto che si condivida o meno la prospettiva che viene proposta. I temi affrontati dal cinema possono acquisire una profondità filosofica, anche di tipo argomentativo, che il ragionamento scritto raramente riesce ad avere. Anche il rapporto tra universale e particolare acquista una dimensione nuova: il cinema mostra sempre storie particolari, ma «verosimili», che «potrebbero accadere», nelle quali lo spettatore si riflette e si immedesima. Il cinema, come il romanzo (Kundera 1988) esplora regioni dell'esistenza, dei possibili modi di essere-nel-mondo. Spesso le storie cinematografica, per la loro esemplarità, esprimono «verità» universali, che hanno il vantaggio di essere rivedibili e magari di entrare in collisione con altre «verità», ugualmente plausibili, che emergono da altri film (Cabrera 2000). Il mio scopo è di sperimentare concretamente, con gli alunni, questa prospettiva di didattica della filosofia, che ha anche il non piccolo pregio di stimolare gli studenti a una lettura/visione/analisi più attenta e consapevole dei molteplici messaggi audiovisivi da cui sono continuamente avvolti. Data l' «indivisibilità di fatto» dell'esperienza di tirocinio diretto computa, in questa relazione prenderemo in esame la rilevanza teorica e la problematicità del tema, riservando all'altra relazione (PER LA CLASSE DI ABILITAZIONE A036) il compito di descrivere e di analizzare criticamente le risultanze dell'intervento realizzato. Le due relazioni, in altre parole, andrebbero considerate come parti di un tutto unitario: una pratica didattica deve, al tempo stesso, 3 ancorarsi e trovare legittimità in una discussione teorica e dimostrarsi efficace per i risultati che consegue «sul campo». Alla fine della presente relazione (APPENDICE 1) presentiamo alcune ipotesi di percorsi su temi filosofici/cinematografici. Infine (APPENDICE 2), come esempio di lettura filosofica di un film, proponiamo l'analisi di «Ricomincio da capo» (USA 1993; scritto da Danny Rubin e diretto da Harold Ramis), sulla scorta delle analisi fatte dal logico Roberto Casati (Casati 2000) Questa ricerca, necessariamente breve data la natura della relazione finale SSIS, nasce da diverse ragioni: 1) il mio forte interesse personale nei confronti del cinema e in particolare della narrazione cinematografica, che mi ha portato a frequentare un lungo corso di formazione professionale come "sceneggiatore"; 2) la constatazione della marginalità (o della considerazione meramente strumentale) dell'audiovisivo nella scuola odierna, e dei recenti interventi direttivi volti a dare maggior risalto all'apprendimento del linguaggio cinematografico; 3) la recente pubblicazione di libri e articoli sull'argomento (VEDI BIBLIOGRAFIA); l'esistenza di un dibattito piuttosto vivace e di un diffuso interesse per l'argomento «cinefilosofia» sulla stampa e in recenti convegni; 4) l'esperienza di tirocinio diretto con la prof.ssa Maria Laura Baragli presso l' I.T.A.S. "Matteo Ricci" di Macerata, durante la quale ho progettato un ciclo di lezioni sul tema «Cinema e filosofia». 4 Al fondo, la mia ricerca (pur con tutti i suoi limiti) nasce da un tentativo di affrontare «la crisi in atto delle forme di insegnamento», la «crisi della didattica» (Maragliano 1998); nasce dall'insoddisfazione per l'attuale perdurante separatezza tra il mondo scolastico e la realtà culturale della nostra epoca. Per dirla con Maragliano, intendo mettere in discussione «l'abitudine a concepire l'insegnamento come zona franca, sottratta al rumore e ai movimenti della storia e del mondo» (Maragliano 1998). In altre parole la scuola continua a fondarsi su una concezione del sapere che si fonda su una matrice ottocentesca; ma non si può riuscire a dar conto del nostro tempo (a far in modo che gli studenti giungano alla capacità di orientarsi e muoversi nella loro realtà) con l'epistemologia dell'Ottocento (Maragliano 1998). Semplicemente, gli studenti non ci credono e quindi o si adattano passivamente a quanto viene offerto, per quieto vivere, oppure lo rifiutano. In ogni caso l'autentica motivazione allo studio, condizione essenziale per un apprendimento davvero significativo, latita. L'ipotesi minima che mi ha guidato nel lavoro di ricerca e nell'esperienza di progettazione di lezioni e di sperimentazione in aula, è che l'integrazione dell'ausilio cinematografico nella didattica della filosofia può concorrere a migliorare la qualità dei risultati di apprendimento della disciplina, agendo soprattutto sul risveglio della motivazione degli studenti. Considero questa come un'ipotesi minima; minima perché non mette in discussione la concezione (banale, limitante e oggi prevalente) meramente strumentale degli audiovisivi, intesi come 5 mezzi, per certi aspetti vantaggiosi, per raggiungere il risultato dell'apprendimento della filosofia (ma cosa vuol dire apprendere "la filosofia"? cfr. Ruffaldi 1999). Da questo punto di vista, non importa quale sia lo strumento: cd-rom, manuali, audiovisivi, fotografie, ecc. L'importante è essi siano utili per raggiungere un risultato di apprendimento (posto come "fisso"). Oltre ai risultati disciplinari (agli obiettivi didattici specifici della disciplina), ho ritenuto che un approccio "cinefilosofico" possa avere importanti ricadute sugli «obiettivi educativi» (Pellerey 1994), sulla formazione complessiva degli studenti. Tale ipotesi aggiuntiva - la cui validità l'attività svolta nell'ambito del Tirocinio poteva solo «saggiare» e non dimostrare - è che un approccio filosofico alle opere cinematografiche sia in grado di attivare capacità trasferibili e utilizzabili in una molteplicità di contesti di comunicazione multimediale. L'ipotesi più ambiziosa, che qui possiamo soltanto accennare, è che l'adozione consapevole, meditata e continua dei mezzi audiovisivi, anzi l'integrazione di essi nell'insegnamento del filosofare, possa contribuire a ridefinire lo scopo stesso, e a far sì che tale scopo perda, almeno in parte, quell'aspetto di separatezza-estraneità-astrattezza rispetto ai bisogni e al mondo culturale degli studenti. In questo senso il ricorso all'audiovisivo (e, più in generale, al "multimediale": parola oggi abusatissima) può offrire, a chi si occupa di formazione «più che un repertorio di soluzioni materiali a problemi già definiti, la sollecitazione a proiettarsi su nuovi orizzonti problematici e perciò ad 6 adottare nuovi schemi interpretativi» (Maragliano 1998) Per dirla in modo netto, noi siamo largamente e quasi costantemente «immersi nell'audiovisivo». Viviamo in un caotico mondo fatto, in larga parte, di rappresentazioni multimediali, fuori e - soprattutto - dentro di noi; se questa è la condizione che sperimentiamo - e a maggior ragione la condizione sperimentata dagli studenti, che pur dispongono di minori strumenti di decodifica - è proprio in questo campo che bisogna allora portare la bussola e le capacità analitiche del pensiero filosofico. Hic rhodus, hic salta. La realtà che viviamo è sempre più «formattata» dai modelli dei media di massa e dei nuovi media personali; dal modo in cui le emails influenzano e cambiano il nostro modo di scrivere e di pensare la comunicazione ai reality shows, al modo in cui viviamo e interpretiamo i nostri sentimenti, le passioni, i vissuti e la nostra situazione sociale e personale, sulla scorta di narrazioni cinematografiche, serials televisivi, talk shows, ecc. [E' anche per questo motivo che abbiamo scelto, per il progetto operativo in aula, film [Matrix e The Truman Show] che offrono occasioni di riflessione sulla compenetrazione tra realtà e artificio/rappresentazione] La formazione della «cultura» - come capacità di orientarsi, valutare, esaminare criticamente se stessi e il mondo - costituisce uno degli aspetti fondamentali degli obiettivi educativi che la scuola si propone di raggiungere. La filosofia - la matrice originaria della cultura occidentale - può avere un ruolo essenziale nella costituzione di una consapevole e critica cultura dei giovani (dei nuovi cittadini). Riteniamo che la filosofia possa svolgere meglio il suo ruolo se è in grado di mettersi a confronto con i 7 prodotti culturali della narrazione cinematografica, intesa come forma dominante (o quantomeno maggioritaria) della odierna narrazione, come elemento forte dell'atmosfera culturale che ci troviamo a vivere. 2. Perché il cinema per la didattica della filosofia? Il linguaggio audiovisivo è stato spesso confinato nei limiti di un cinema «ricreativo per ragazzi». E' però opinione oramai diffusa che esso incida profondamente nei loro processi di apprendimento, fin dall'età prescolare e che vada affrontato come problema culturale. Da questa consapevolezza discendono una serie di recenti provvedimenti, volti a potenziare gli sforzi educativi relativi alle competenze audiovisive e multimediali. L'articolo 4 della Direttiva Ministeriale n.202 del 16 agosto 2000 individua senz'altro l'apprendimento del linguaggio cinematografico e audiovisivo tra gli obiettivi di formazione e fra i temi di intervento prioritario sui curricoli disciplinari e sulle competenze degli insegnanti. Ciò ha significato l'avvio di nuove aree di intervento (tra cui la formazione di una nuova figura di formatore specializzato cinematografico e nella audiovisivo, la didattica creazione del di un linguaggio archivio di esperienze didattiche) specifico nel contesto del riformato sistema di formazione della scuola italiana. Sono partite iniziative di sostegno, promozione, ricerca e formazione dei docenti nell'area dei linguaggi cinematografici e audiovisivi. E' nato un Corso di formazione alla didattica del linguaggio cinematografico, promosso dall'Università degli studi di Roma Tre, per formare docenti da indicare come referenti per le attività didattico-educative riguardanti il cinema. La Scuola nazionale di Cinema (ex Centro Sperimentale: www.snc.it) ha approntato (dal 1999) una Sezione didattica e formazione preuniversitaria, per supportare il Piano di promozione della didattica del linguaggio cinematografico e audiovisivo promosso dal Ministero della Pubblica IStruzione e dal sistema I.R.R.S.A.E. Altre iniziative sono portate avanti dal 8 C.E.C., il Centro (www.cecudine.it) con Espressioni il progetto Cinematografiche Cinescuola, che di Udine offre anche servizi agli insegnanti. In un discorso riguardante la progettazione dell'azione didatticoeducativa (cfr. Pellerey 1994, 43-68), il cinema può svolgere un ruolo, già riconosciuto, nel primo momento, iniziale, di strutturazione delle unità didattiche, quello riguardante la «motivazione» (Gagnè 1974, 75), la «problematizzazione» dell'esperienza e la «focalizzazione dell'attenzione» del discente (Pellerey 1994, 159-160). La motivazione deriva da stati d'animo interni, più che da elementi estranei (voti, minacce, premi ecc.). Tali stati d'animo vanno stimolati. Come? Pellerey afferma che «un elemento che normalmente produce l'attivazione del processo di apprendimento scolastico è la discrepanza o dissonanza che viene a prodursi tra lo stato della conoscenza interna dell'alunno, la sua maniera di vedere e giudicare le cose… e i nuovi elementi di informazione, nuove esperienza, nuovi concetti e chiavi di interpretazione, nuovi rapporti con le persone e le cose» (Pellerey 1994, 158). Questo è particolarmente vero per la filosofia (piuttosto che per la matematica, ad esempio). Occorre dunque introdurre elementi di perturbazione nell'esperienza del discente, portandolo a una «presa di coscienza riflessa della cultura in cui si è cresciuti, di analisi critica di essi, cioè di problematizzazione» (Pellerey 1994, 160). Questa problematizzazione può essere ottenuta, ovviamente, in vari modi. Uno particolarmente importante utilizza l'apporto degli strumenti audiovisivi: 9 «E' possibile infatti mettere il ragazzo di fronte ad una serie di immagini sia fisse, sia in movimento, che si pongono in contrasto con il suo modo di pensare e vedere le cose, oppure che ne fanno emergere le lacune. Talvolta è sufficiente che tra le immagini stesse si faccia evidente una situazione di tensione o incongruenza» (Pellerey 1994, 160) Un intervento di questo genere da un lato si riallaccia al «mondo interiore e simbolico degli allievi», dall'altro si presenta come intervento educativo che apre «questo mondo, spesso angusto, a nuovi orizzonti, nuovi atteggiamenti mentali, nuove conoscenze e nuove motivazioni» (Pellerey 1994, 160). Ed è proprio questa problematizzazione, questa apertura alla possibilità (a mondi paralleli, ad altre vite possibili, a scelte etiche difficili, a scontri di visioni del mondo, personalità, affetti ecc.) che il cinema - il buon cinema - ci offre, riuscendo a catturare la nostra attenzione senza annoiare, facendoci riflettere mentre partecipiamo emotivamente alle vicende dei protagonisti. E' inoltre piuttosto evidente che il cinema, come la letteratura, ha anche valore per un'esplorazione di quegli aspetti della vita e dell'attività umana che non sono direttamente raggiungibili, per quelle situazioni troppo ricche di conseguenze per essere esplorate da soli nella realtà o che risultano troppo lontane dal proprio ambiente di vita. Il cinema, come la letteratura (Nussbaum 1996) e per certi aspetti più della letteratura - offre una sorta di «esperienza vicaria», che ha lo scopo di allargare gli orizzonti, gli interessi, le aspirazioni, i contatti. 10 Dunque nel rapporto cinema-filosofia, orientato alla didattica, possiamo scorgere una duplice utilità: 1) quella più ovvia: i film possono essere utili per l'insegnamento della filosofia, in quanto - ad esempio avvicinano le tematiche filosofiche a una platea abituata e (permeata dal) al linguaggio audiovisivo, in quanto rendono visivi e in forma «drammatica» aspetti, problemi, ecc. del discorso filosofico; 2) La filosofia serve a decodificare i film. I film sono uno dei modi attraverso i quali si forma la nostra «visione dl mondo»; quindi mostrare agli allievi che è possibile una lettura e un approfondimento filosofico della visione del film serve anche a far capire, se mi passate l'espressione, «a che cosa può servire la filosofia». Ciò dovrebbe contribuire, sul piano degli «obiettivi educativi», a sollevare gli studenti dall'abitudine a una fruizione meramente passiva e a-critica delle produzioni cinematografiche (e più in generale dei testi audiovisivi e delle narrazioni). Ciò dovrebbe aiutare a metter in discussione (quantomeno) l'inclinazione a riversare sulle narrazioni i poveri schemi di un'estetica ridotta alla polarità bello/brutto, mi piace/non mi piace. I film inoltre, per la loro struttura narrativa, sono spesso intrisi di questioni di senso, di scelte etiche: anche i film in genere considerati semplicemente spettacolari, di intrattenimento e di evasione (film comici, western, di azione), sono sottesi da questioni in senso lato filosofiche, da un «tema» (la giustizia, la scelte morali, il modo in cui dovrebbe funzionare la società, i paradossi dell'esistenza, il ruolo della donna, ecc.), da scelte etiche 11 e confronti tra visioni del mondo (cfr. Cabrera 2000). Molti film esprimono una presa di posizione sul mondo e sui valori. E' questo elemento filosofico, implicito e solo scarsamente avvertito, può e deve venir tematizzato. Nel caso dell'insegnamento della filosofia, si devono scegliere quelle pellicole e quelle storie che si agganciano con il percorso di insegnamento adottato consapevolmente dall'insegnante. 3. Cinema e filosofia. Breve excursus sullo stato del dibattito Cerchiamo di ripercorrere brevemente alcuni punti del dibattito sul rapporto tra l'immagine in movimento e la ricerca filosofica, individuando gli aspetti salienti e gli autori più significativi. Il rapporto cinema-filosofia, nel corso del Novecento, si è scontrato con la difficoltà di stabilire cosa fossero, in realtà, i due che lo fondavano: cosa fossero il «cinema» e la «filosofia». Il rapporto stesso si determina non prima di aver definito il ruolo, l'essenza stessa della filosofia e del cinema. Molto spesso, la legittimazione del rapporto parte dalla sovrapposizione della prima sul secondo: la filosofia è chiamata a riflettere sul cinema, ad esplicitarne i meccanismi di senso, la possibilità che un'immagine sia rilevante per il pensiero, ecc... Ma in nome di quale legittimità è possibile che la filosofia (qualunque cosa sia) si inserisca in un territorio altro, come quello del cinema (qualunque cosa chiamiamo con questo nome) e magari anche sovrapporvisi? E' possibile una problematizzazione del rapporto stesso e dei due termini che lo compongono? E' possibile 12 che questo rapporto finisca per non riproporre un'idea precostituita del cinema e della filosofia, ma ci porti anzi anzi a interrogare lo statuto di entrambi? La domanda è stata posta da Stanley Cavell, uno dei più originali filosofi statunitense, docente a Harvard, i cui testi sul cinema (a parte uno: Alla ricerca della felicità. La commedia hollywoodiana del rimatrimonio, Einaudi 1999) non sono stati tradotti in Italia. [Per una brve presentazione del provocatorio e complesso pensiero di Cavell, vedi: http://www.tempimoderni.com/1999/novembre/rubriche/clavell. htm http://www.akademie-verlag.de/journals/2249/schwerpk/s21998.html (articoli pubblicati sul Deutsche Zeitschrift fuer Philosophie, Heft 2/1998: Schwerpunkt: Die Philosophie von Stanley Cavell, von Ludwig Nagl] Il testo fondamentale del percorso di Cavell è The World Viewed: Reflections on the Ontology of Film, Viking 1971. Per Cavell la rilevanza del cinema sta nella suo grado di penetrazione nella nostra esperienza ordinaria. Il cinema marca il nostro orizzonte di vita. In questo senso, il cinema costituisce una sfida allo statuto stesso della filosofia, in quanto ci introduce in un "mondo visto", in una modalità particolare di rendere reali gli oggetti attraverso lo schermo e quindi costringe la filosofia a confrontarsi con una modalità fondamentale del darsi dell'esperienza. E' di questa realtà nuova, realtà del Novecento, con questa forma nuova del darsi/manifestarsi del mondo che il cinema deve confrontarsi. Dunque la domanda pone in discussione il ruolo stesso della ricerca filosofica che è chiamata, nel rapporto con la produzione cinematografica, a confrontarsi con il quotidiano, l'ordinario, con 13 gli oggetti (e le modalità di esperienza degli oggetti) della nostra esistenza. La questione è stata posta in maniera ancora più radicale da Gilles Deleuze nei suoi due testi (filosofici) sul cinema: L'immagine-movimento e L'immagine-tempo. [Per una presentazione del pensiero di Deleuze sul cinema, vedi: Antonio Leto, Cinema e filosofia. L'immagine-movimento, Quaderni del Dipartimento Università di di Scienze dell'Educazione, Salerno - n. 1/2 (pp. 1994 - 171-179) http://www.unisa.it/disced/quad4/q4leto.htm] E' proprio nella pagina finale del secondo libro che Deleuze riformula la questione del rapporto tra cinema e filosofia: «Per molta gente la filosofia non è qualcosa che "fa se stessa", ma qualcosa che preesiste bell'e fatta in un cielo prefabbricato. Eppure la teoria filosofica è una pratica, tanto quanto il suo oggetto. Non è più astratta del suo oggetto. E' una pratica dei concetti e va giudicata in funzione delle altre pratiche con cui interferisce. (...). La teoria del cinema non si fonda sul cinema, ma sui concetti del cinema, che sono pratiche effettive ed esistenti quanto lo stesso cinema. (...). Sicché c'è sempre un'ora, mezzogiorno-mezzanotte, in cui non bisogna più chiedersi "che cos'è il cinema?", ma "che cos'è la filosofia?» (Deleuze 1989, 308) Per Deleuze quindi, la domanda deve essere posta in modo radicale: interrogarsi sul rapporto cinema/filosofia significa riconoscere la necessità di tale rapporto come operazione di 14 chiarimento della filosofia, chiamata, ancora una volta ad chiarire il suo compito di attività volta all'invenzione dei concetti. Ciò che emerge è un piano concettuale in cui la filosofia non è indicata tanto come attività riflessiva in grado quindi di trovare riscontro nel «territorio altro» del cinema (il pensiero nel cinema o pensiero sul cinema), ma si configura come attività che nel rapporto stesso trova la sua funzione di pratica dei concetti, in analogia con una pratica delle immagini come quella del cinema. Anche in Italia il dibattito su questi temi sta diventando vivace e visibile. Tre testi in particolare sembrano rappresentativi del dibattito. Il primo, di Edoardo Bruno (Il pensiero che muove, Bulzoni, Roma 1998), raccoglie il frutto della ricerca che il suo autore ha condotto per anni sul problema del rapporto cinema/filosofia, nel tentativo di elaborare un linguaggio, una modalità espressiva che, «...come quella del film, oltre il narrato, esprime un "pensare", che arriva al concetto e dunque alla filosofia» (Bruno 1998, 9). In questo senso, allora, il film, più che un oggetto da analizzare secondo griglie concettuali e categorie prefissate, si manifesta come soggetto «...con cui entrare in comunicazione, oltrepassando la linea di demarcazione fissata dal suo "essere", per entrare nelle vòlute nascoste del suo pensiero» (Bruno 1998, 10). Il film allora, entra di diritto nel territorio della filosofia nel momento in cui la sua attività mi costringe a confrontarmi con il vedere, con lo sguardo più che con l'immagine: «Dentro l'immagine vedo così riflesso più l'occhio di chi guarda che l'oggetto guardato, 15 annullo le ragioni di rassomiglianza e vedo la finzione che - come suggerisce Foucault - consiste non nel far vedere l'invisibile, ma nel far vedere quanto è invisibile l'invisibilità del visibile» (Bruno 1998, 103). Esplorare la domanda porta dunque a rovesciarne i presupposti: se inizialmente il problema era di stabilire la legittimità di un'analisi filosofica del cinema (Cavell), fino a stabilire un'analogia operativa tra cinema e filosofia (Deleuze), ora il discorso diventa quello di riconoscere nel cinema un primato conoscitivo con cui il discorso filosofico deve fare i conti: un modalità del darsi del reale, di uno "sguardo" su di esso, che è logicamente prima di ogni discorso, di ogni mediazione di linguaggio. In questa direzione sembra muoversi l'approccio di Pietro Montani, docente di Estetica all'Università di Roma «La Sapienza» (L'immaginazione narrativa. Il racconto del cinema oltre i confini dello spazio narrativo, Guerini 1999). Montani parte dal riconoscimento che il cinema si costituisce come spazio oltrenarrativo, spazio in cui la modalità del senso si costituisce in una «..intermediazione originaria tra qualcosa che è dato e qualcosa che ha senso» (Montani 1999, 14). Il cinema può quindi costituire non tanto un oggetto della ricerca filosofica, quanto un suo necessario correlato, nel momento in cui gli si riconosce lo statuto di «immaginazione al lavoro». Umberto Curi, in un recente libro, ha svolto un discorso molto più semplice sul rapporto cinema-filosofia (e quindi forse più 16 direttamente utile per un uso didattico), rapportandosi al «padre» riconosciuto delle riflessioni estetiche e narratologiche: Aristotele. L'elemento di gran lunga più importante della tragedia, secondo Aristotele, è il mythos, vale a dire il racconto, la fabula narrata in un intreccio. E' il mythos, e più in particolare il modo in cui è ben costruito, che conferisce all'opera poetica la capacità di suscitare il coinvolgimento emotivo e liberatorio degli spettatori. L'approccio aristotelico - ancor oggi fondamentale per le teorie narratologiche e in particolare per le teorizzazioni sulla sceneggiatura - è dunque un approccio contenutistico, che tralascia altri aspetti della poiesis considerati secondari (la musica, la scena, gli attori, le luci…), aspetti che costituiscono lo specifico di ogni tipo di rappresentazione (ad es. «lo specifico filmico»). Aristotele, come è noto, realizza un'analisi dell'impianto narrativo, della sua struttura/forma, delle modalità mediante le quali i fatti sono connessi a formare una trama ben organizzata. Fra i criteri della «narrazione ben strutturata» vi è la richiesta di una concatenazione «verosimile» (eikos) dei fatti narrati; il racconto, occupandosi del verosimile, intrattiene una relazione con l'universale, nella forma della probabilità. Di qui discende la superiorità attribuita alla poiesis rispetto alla storia: la prima dice gli universali, mentre la storia si limita ai particolari. In questo senso la poiesis viene definita philosophoteron, «più filosofica». Una trama ben organizzata annoda e scioglie i fatti in modo verosimile ma non piattamente prevedibile, andando contro le facili aspettative (para ten doxan) dello spettatore attraverso svolte, colpi di scena, riconoscimenti, rovesciamenti, peripezie. Questa connessione di verosimile e imprevisto è essenziale per far sì che lo spettatore giunga al thaumaston, a ciò che desta la 17 «meraviglia», lo stupore, a ciò è phoberon, che desta il terrore liberatorio. Nella prospettiva aristotelica fatta propria da Curi il cinema, come moderna e più potente reincarnazione del mythos, mediante la mimesi verosimile (mimesi che è fonte di conoscenze) conduce al thaumazein, alla meraviglia, come fondamento e origine del filosofare. La mimesis, attraverso la contemplazione delle immagini, offre a tutti la possibilità di «imparare» e «ragionare». Guardando le immagini, seguendo il racconto, da un lato si prova piacere - un piacere liberatorio, purificatore - e dall'altro si svolge un'attività del tutto simile a quella del filosofo. Perciò Curi giunge a dire, sulla scorta di Aristotele, che il cinema altro non è che filosofia. Quindi il lavoro filosofico su opere cinematografiche non è un'arbitraria invasione di campo o qualcosa di estrinseco. Al contrario: «una lettura dell'opera d'arte che non punti a valorizzare la carica in senso proprio filosofica, finisce per smarrirne gli aspetti più caratterizzanti, trascurando quella dimensione conoscitiva che è invece peculiare dell'attività di guardare le immagini» (Curi 2000, 31) Certo nei film l'aspetto conoscitivo non è la finalità principale, ma è subordinato al «piacere». Questo fatto - che da un lato può costituire un pregio dell'utilizzazione opere cinematografiche per la didattica della filosofia - richiede un lavoro difficile per far emergere le conoscenze non già da uno scritto esplicitamente 18 indirizzato a questo scopo, ma da un'opera nella quale molto spesso sono sepolte sotto l'immediatezza dello spettacolo. 4. Conclusioni Ci sembra, con queste riflessioni di aver delineato le coordinate del dibattito e di aver individuato la legittimità, le motivazione e la possibile fruttuosità di una approccio «cinefilosofico». Un tale approccio è anche un approccio alla filosofia come pratica del filosofare, anzi del «con-filosofare», della riflessione in atto sugli oggetti culturali. Una filosofia che non si presenti - come spesso appare agli studenti - come la parete di una vecchia cucina, carica di antichi, pregiati e desueti strumenti (le «teorie», i «sistemi») che non servono più a nessuno e a nessun compito, bensì come una pratica attuale, che si avvale degli strumenti (i «concetti») e delle strategie (le «argomentazioni») di una lunga tradizione per far luce nella confusione, per mettere ordine nel caos, per affrontare le ormai famigerate sfide della navigazione nella «complessità» (parola abusata) con bussola e sestante, per cercare di capire dove ci si trova e quali sono le possibili direzioni. Ci appare quindi legittimo e sensato, in una prospettiva didattica, pensare ai film come possibili «forme di pensiero», E' possibile che alcuni aspetti del reale - delle teorie e dei concetti sul reale - possano essere introdotti sensitivamente agli studenti, portando a una comprensione al tempo stesso razionale e affettiva; questa introduzione sensitiva potrebbe avere un «impatto 19 emotivo» sugli studenti; un impatto maggiore rispetto alla semplice enunciazione e articolazione logica di proposizioni. Un tale impatto emotivo dice qualcosa (sul mondo, sull'essere umano, sulla natura, ecc.) e lo dice con «pretese di verità e di universalità». D'altronde anche la filosofia più analitica e razionalista ha da sempre ammesso la legittimità di fare ricorso alla fantasia, al pensiero per immagini (VEDI AD ES. RELAZIONE FINALE PER LA CLASSE APPENDICE 1 DELLA 36A), a esempi bizzarri, a esperimenti mentali («che cosa accadrebbe se?») per chiarire con limpidezza grandi tematiche filosofiche: il «genio maligno» di Descartes, i «cervelli in una ampolla» e la «terra gemella» di Putnam, la «staza cinese» di Searle o i numerosi esempi nella filosofia di Platone. In filosofia si assume che si possa giungere alla conoscenza anche attraverso supposizioni inconsuete e fortemente immaginative. L'universalità proposta dal Cinema appartiene, per così dire, all'ordine della Possibilità piuttosto che a quello della Necessità. Riguarda le cose come potrebbero essere; riguarda esperimenti mentali, con personaggi fittizi (sperimentali): su che cosa accadrebbe se il personaggio X si trovasse nella situazione Y e decidesse di fare Z, ad esempio. Le risposte offerte sono sempre aperte e dubbiose. A proposito dei film e dei cineasti si potrebbe ripetere e adattare quello che Kundera scrive in un lapidaria definizione del «romanzo»: «ROMANZO: La grande forma della prosa in cui l'autore, attraverso degli io sperimentali (i 20 personaggi), esamina fino in fondo alcuni grandi temi dell'esistenza» Kundera, L'arte del romanzo, p. 205 E ancora, sempre Kundera, a proposito dei romanzieri: «I romanzieri disegnano la carta dell'esistenza scoprendo questa o quella possibilità umana… esistere vuol dire: "essere nel mondo". E' necessario intendere tanto il personaggio quanto il suo mondo come possibilità... i suoi romanzi [di Kafka] colgono una possibilità dell'esistenza (possibilità dell'uomo e del suo mondo) e ci fanno così vedere di che cosa siamo capaci…. il romanziere è un esploratore dell'esistenza» Kundera, L'arte del romanzo, pp. 68-70 Se consideriamo i film - tutti i film, non solo quelli «d'autore» vediamo che essi non cessano mai di presentare problematiche concernenti l'uomo, il mondo, i valori, ecc. I film riguardano sempre l'uomo e il suo rapporto con la realtà. I film inoltre vivono di crisi: ciò che è del tutto positivo, ciò che fila liscio senza intoppi è del tutto privo di interesse. E così possiamo considerare un film come Gli uccelli di Hitchcock anche (da un punto di vista filosofico) come un film che ci dice qualcosa di importante sulla fragilità umana, oppure Twister come un'opera che riguarda il concetto «il rapporto dell'uomo con la natura». E certo un horror movie o un thriller possono farci prendere coscienza di parte degli orrori di questo 21 mondo, o della dinamica delle nostre passioni. Ciò vale, in misura diversa, non solo per i film di alto livello culturale, ma anche, ad esempio, per King Kong o Guerre stellari. E' quasi impossibile trovare un film che si limiti a divertire senza dire assolutamente nulla del mondo e dell'esistenza umana. Per operare una lettura filosofica dei film non ci si deve necessariamente rivolgere a Tarkovskij o a Bergman. D'altronde l'aspetto di «evasione» e di divertimento (o di paura) proprio di molti film non va assolutamente escluso, nella prospettiva dell'insegnamento della filosofia, in quanto contribuisce all'impatto emotivo del film, facilita la partecipazione, tiene desta l'attenzione. Certo è possibile distinguere sommariamente i film, seguendo una classificazione ormai consueta e forse in gannevole, in opere d'arte e in prodotti commerciali, seguendo ancora un avolta l'indicazione data da Kundera a proposito dei romanzi: «la sola ragion d'essere di un romanzo è scoprire quello che solo un romanzo può scoprire. Il romanzo che non scopre una porzione di esistenza fino ad allora ignota è immorale. La conoscenza è la sola morale del romanzo» Kundera, L'arte del romanzo, pp. 18 Ci sono evidentemente film originali (di «scoperta») e film invece ripetitivi, che si appoggiano sui generi, sulle aspettative consolidate del pubblico, sul desiderio di svago, sulla riproposizione di quanto è già noto, ecc. 22 E' ovvio che vedere semplicemente il film non significa, di per sé, fare filosofia. Per fare filosofia con il film dobbiamo interagire con le sue componenti logiche, cogliere l'idea o il concetto trasmessi dale immagini in movimento. Doabbbiamo disporci a leggere il film filosoficamente. Non vi è un film filosofico «in sé» e d'altronde i film non hanno in genere lo scopo di presentare un catena di argomentazioni e di concetti, secondo il modello della tradizionale esposizione filosofica. E ovviamente la nostra lettura è solo una possibile lettura fra molte altre. Il discorso riguardante il cinema si può ovviamente estendere alla letteratura e forse pochi negheranno che la grande letteratura (Dostojevskj, Shakespeare, Ibsen, Pirandello, ecc.) possa avere un rilevo filosofico. Ciò che il cinema offre, rispetto alla letteratura, è un potenziamento dell' «impressione di realtà» e quindi la creazione di un'esperienza di forte impatto emotivo. Il buon film «aggancia» lo spettatore, lo tiene avvinto alla pellicola; lo fa sussultare di paura, piangere di commozione, ridere di gioia, ecc. Il film realizzare una riproduce la pienezza di un'esperienza viva. La letteratura fornisce gli elementi per «proiezione privata» che ha luogo a seconda della sensibilità di chi legge, mentre il cinema offre, in forma singolarmente «impositiva», ciò che la letteratura suggerisce. Da'ltro canto, come è noto, la letteratura offre la descrizione dei processi psicologici interni, che nel cinema sono pressoché assenti ovvero surrogati/sostituiri con fungono da «correlativi elementi visivi (oggetti/situazioni che oggettivi» di stati d'animo) o con espedienti (voce fuori campo, narratore, ecc.). 23 Appendice 1 Ipotesi di percorsi di cinema e filosofia L'INCONSCIO Brani tratti dai film: - Il posto delle fragole (Svezia 1957), di Ingmar Bergman Un viaggio come ripensamento della propria esistenza, pellegrinaggio della memoria e delle occasioni perdute. - Solaris (Urss 1972), di Andrej Tarovskij La fantascienza come pretesto per riflessioni filosofiche: Uno scienziato, invitato a indagare su ciò che sta accadendo sulla base orbitante attorno al magmatico pianeta Solaris, scopre che delle radiazioni hanno il potere di materializzare angosce, desideri, sensi di colpa dell'equipaggio. - La donna che visse due volte (Usa 1958), di Alfred Hitchcock Il capolavoro nella parte filosofico oscura di della Hitchcock. mente, nei Un viaggio sogni, nelle paure che ci bloccano e che si ripresentano. PARADOSSI DEL TEMPO: TEMPORALITA' DELL'ESISTENZA E MEMORIA - Ricomincio da capo (Usa 1997), di Harold Ramis Un uomo che, al risveglio, si ritrova a vivere sempre la stessa giornata (conservando però memoria delle giornate "precedenti"). All’inizio sembra comodo sapere in anticipo quello che accadrà, ma se il tempo si ferma, si ferma anche la vita, che diventa una trappola senza via d’uscita. - Memento (Usa 2000), di Christopher Nolan Un film che procede «al contrario», per frammenti di 15 minuti. Un uomo (un investigatore alla ricerca 24 dell'assassiono della moglie) è affetto da un disturbo che cancella la sua memoria a breve termine, rendendogli impossibile immagazzinare le informazioni che l'esperienza gli detta, e che l'uomo cerca disperatamente di annotare con tautuaggi, Polaroid, foglietti. Cosa significa vivere senza memoria? Come possono i segni scritti, incisi, registrati, sostituire una memoria che non c'è? Una riflessione sul rapporto tra l'identità personale, la temporalità, la memoria di essere se stessi. LA REALTA' ESISTE? CARTESIO E IL DUBBIO RADICALE Si propone la visione partecipata, commentata e discussa di brani tratti da: - Matrix (Usa 1999), di Larry e Andy Wachowski La realtà come illusione ingannatrice creata da un genio maligno. - The Truman Show (Usa 1998), di Peter Weir Il signor Truman crede di vivere una vita normale, forse nel migliore dei mondi possibili, invece tutto ciò che lo circonda è finto: il set di un programma tv che mette in scena la sua esistenza 24 ore su 24. Vive in una monade, senza porte e finestre. Riflesso in mille schermi. Il "genio maligno" e la ricerca dell'autenticità nell'esistenza umana. IL PARADOSSO DELLA FEDE Si propone di discutere alcuni aspetti della filosofia di Kierkegaard, sulla paradossalità della fede (il sacrificio di Isacco…) mettendoli in rapporto alla loro reinterpretazione cinematografica più recente, secondo il "Dogma" di Lars von Trier. - Le onde del destino (Danimarca 1997) di Lars Von Trier Fede e amore, paradossali, fino al sacrificio. - Ordet – La parola (Danimarca 1955), di C. Th. Dreyer Ambientata negli anni ’30, la storia di un giovane che si crede il messia e riuscirà nel miracolo di far tornare in vita la moglie di suo fratello. 25 - L'ultima tentazione di Cristo (Usa 1988), di Martin Scorsese Un film giudicato scandaloso che si occupa della umanità - delle passioni - del Cristo. LA SCELTA ETICA "Il fare ingiustizia è più brutto e dannoso del subirla" (Socrate) Una riflessione sulle conseguenze dell'agire. - Crimini e misfatti (Usa ), di Woody Allen Amarissimo apologo sulla "morte di Dio" e l'ingiustizia trionfante. - L'attimo fuggente (Usa ), di Peter Weir Una riflessione su etica della convinzione ed etica utilitaristica. - L'appartamento (Usa ), di Billy Wilder Cosa si è pronti a fare per la carriera? Cos'è la dignità? Una commedia difficile che riflette percorso responsabilità, che per (Mensch: come Inoltre, sottotraccia, sulla porta divenire sottolinea il un'audace dignità e sul all'assunzione veramente viennese di "uomo" Wilder). riflessione sui rapporti tra le persone nella nostra società (tema della "prostituzione"). I RISCHI DEL FUTURO: BIOETICA E TECNICA - Gattaca (Usa 1997), di Andrew Niccol Film profetico sui rischi dell'eugenetica. In modo molto semplice e suggestivo si affronta il tema delle possibili discriminazioni sulla base del patrimonio genetico. - Blade Runner (Usa 1982), di Ridley Scott In questo film dagli echi nicciani, considerato da molti come un autentico capolavoro, viene presentata una realtà del futuro, pienamente tecnologizzata e nichilistica, popolata di replicanti dalle forme umane sfuggiti al controllo degli uomini (androidi). Un noir ambientato nel futuro. 26 Appendice 2 Analisi di un film Ricomincio da capo (Groundhog Day), USA 1993. Scritto da Danny Rubin, regia di Harold Ramis. Con Bill Murray (Phil Connors), Andie MacDowell (Rita), Si tratta di una commedia molto brillante e divertente. Nell'analisi, utilizziamo il film come modo per illustrare alcuni problemi filosofici; dai paradossi del tempo (che mettono in rilievo la storicità e temporalità della nostra esistenza) alla tematica dei mondi paralleli, della conoscenza e delle scelte morali. La storia Il 2 febbraio - il «giorno della marmotta» che dà il titolo al film nell’edizione originale - è un’istituzione statunitense. Il villaggio di Punxsutawney, in Pennsylvania, ospita il «Groundhog Day», il giorno della marmotta. La mascotte del villaggio, esce dalla sua tana: è un aruspice meteorologico, in grado di annunciare una primavera precoce. Se però vede la sua ombra, l’inverno continuerà per altre sei settimane. Il film inizia il 1 febbraio. La prima sequenza ci mostra Phil Connors, annunciatore meteorologico per una catena televisiva che ha sede a Pittsburgh. Finita la trasmissione Connors parte alla volta di Punxsutawney per il suo quarto anno di reportage sul giorno della marmotta; decisamente una prospettiva non entusiasmante. Lo accompagnano il suo operatore Larry e la sua produttrice Rita. Rita è agli antipodi di Phil per gusti e atteggiamenti ma sembra cercare comunque in lui un lato buono. L’indomani, dopo 27 la breve diretta sul festival, in cui la marmotta vede la sua ombra, i tre ripartono per Pittsburgh ma vengono bloccati da una tempesta di neve che Connors non aveva previsto. Rientrano a Punxsutawney e vi trascorrono la notte. Connors si risveglia alle sei del mattino e si accorge subito che qualcosa non quadra: la radio trasmette esattamente le stesse voci del giorno precedente; le stesse persone lo incontrano alla pensione e per strada e si ritrova a raccontare in diretta l’identico festival del giorno della marmotta. A questo punto inizia un ciclo infernale. Giorno dopo giorno, alle sei del mattino, Connors si risveglia ritrovandosi alla casella di partenza: il due febbraio. Superato lo choc iniziale decide di trarre un partito dalla situazione e comincia a raccogliere informazioni sugli abitanti del villaggio Grazie a questa strategia seduce l’avvenente Nancy Taylor, svaligia un furgone per il trasporto valori, si dà alla bella vita, ecc. – episodi che naturalmente non si estendono al di là dello spazio del due febbraio. Quando però cerca di applicare i suoi piani a Rita la differenza tra i due si rivela insuperabile. Faticosamente Connors cerca di costruire la giornata perfetta, che dovrebbe culminare nella seduzione di Rita, ma inesorabilmente si scontra con il bisogno di sincerità di Rita, che intuisce la falsità dei suoi tentativi. Connors è depresso: sperando di mettere fine all'eterno ritorno del 2 febbraio rapisce la sciagurata marmotta e si lancia con lei in un burrone. Ma questo non è sufficiente: puntualmente alle sei del mattino seguente si ritrova intatto nel letto della pensione a Punxsutawney. Nei giorni seguenti, per accorciare le sue 28 sofferenze, si suicida immediatamente appena alzato, ogni volta risvegliandosi al punto di partenza. Vista l’inutilità del suicidio, Connors convoca Rita e le dichiara di essere un dio; per provarlo, le mostra di sapere tutto degli abitanti di Punxsutawney, fin nei più intimi dettagli. Rita si dichiara pronta a seguirlo per un giorno come ‘testimone imparziale’. Alla fine della giornata Connors sembra riconciliato con se stesso. I giorni seguenti lo vedono affabile con Rita e Larry. Si dà alla scultura di statue di ghiaccio. Decide di dedicarsi agli studi e inizia a seguire un corso di pianoforte. Ne seguiamo i progressi. Conosciamo un Connors buono, che si dispera per non riuscire a salvare un pover’uomo che pare condannato a morire un due di febbraio e che finisce con l’accettare che alcune cose non possono venir comunque cambiate nel giorno che egli vorrebbe perfetto. Nell’ultimo giorno della marmotta Connors compie una serie di buone azioni che gli permettono di guadagnare l’affetto degli abitanti di Punxsutawney e l’ammirazione di Rita che, lungi dal trovarlo insopportabile, lo compra all’asta degli scapoli. L’amore infine conquistato lo libera dalla ripetizione; il risveglio al tre febbraio porta con sé l’accettazione del destino: Connors vuole vivere a Punxsutawney. Come descrivere la storia? Che cosa accade quando si ha a disposizione molto, moltissimo tempo? E quanto tempo è trascorso davvero? Tempo per chi? L’unità di tempo del film è il giorno. Dal punto di vista di Rita e degli abitanti del villaggio, la storia sembrerebbe estendersi su tre giorni. Dal punto di vista di Connors, i giorni sono molti di più. I 29 primi giorni della marmotta sono anche i primi giorni filmati; ben presto i giorni filmati sono una selezione di quelli richiesti dallo svolgimento della storia. Il film ne mostra alcune decine; ma quanto tempo è veramente passato per Connors? La differenza tra tempo mostrato e tempo implicato è ragguardevole. Nella seconda parte del film Connors comincia a suonare il piano da principiante, e nel concerto finale si produce in un blues abbastanza elaborato. Parecchi altri giorni sicuramente stati necessari per apprendere molte delle cose che Connors sfrutta a suo vantaggio nella prima parte del film (gli orari del furgone portavalori, ecc.). Si può essere tentati di fare qui una distinzione tra tempo "soggettivo" (di Connors), tempo "oggettivo" (il calendario che tutti gli altri rispettano, e tempo "della narrazione" (i giorni che effettivamente ci vengono mostrati nel film. Le cose sono un po’ più complicate, e forse queste categorie sono inapplicabili al film. Phil Connors conosce la stasi come qualcosa di esterno al suo tempo. Uno dei problemi che deve risolvere è quello di come tenere un calendario del proprio tempo soggettivo. Gli oggetti del mondo che lo circonda non sono infatti in grado di ricordare, dato che ogni giorno si ritrovano intatti allo stesso posto. Connors non può scrivere un diario o lasciare una traccia a futura memoria. Come dovrebbe essere fatto il mondo perchè il film possa funzionare? In che modo la sceneggiatura gioca con i concetti di spazio e di tempo? Il mondo rappresentato dal Giorno della Marmotta è un mondo molto strano. 30 Connors «ricomincia da capo il 2 febbraio». Dire così è ingannevole. Se veramente ricominciasse da capo, rifarebbe esattamente le stesse cose. Non si tratta dunque di un semplice viaggio nel tempo. Il mondo in cui Connors si ritrova nel secondo giorno della marmotta non è lo stesso mondo in cui si trovava nel primo giorno Si tratta di un universo parallelo, di cui sappiamo che è simile in tutto e per tutto all’universo del primo giorno (G1) tranne che per il fatto che Connors ricorda il G1. E il G3 è in tutto e per tutto simile al G1 e al G2 tranne che per il fatto che nel G3 Connors ricorda sia il G2 sia il G1 e gli sembra che il G1 abbia preceduto il G2. E così via. Per questo affermare che Connors «ricomincia da capo» è ingannevole. È vero il contrario: in pratica tutti ricominciano da capo, tranne Connors. "Ricomincio da capo" non è dunque un film che riguarda il tempo, ma le possibilità. Il fatto che Connors conservi la memoria in questo modo particolare è indice di alcune «irregolarità». Sappiamo che la memoria è uno dei criteri principali dell’identità personale. Grazie a ciò possiamo dire che Connors in G1 è lo stesso che Connors nel giorno della marmotta iniazale. A prima vista ci verrebbe anche fatto di dire che Rita-in-G1 è la stessa persona di Rita-in-G2, ma basta riflettere un momento per vedere che si tratta di un senso molto più debole di "la stessa persona". In realtà, Rita-in-G2 non sa nulla dell’esistenza di Rita-in-G1. La sua situazione è simile a quella delle due protagoniste de La doppia vita di Veronica di Kieslowski. Le Rita nei vari mondi non sono letteralmente la stessa persona, sono varianti l’una dell’altra. 31 In secondo luogo, Connors si sposta "lateralmente" tra universi paralleli, e "all’indietro" nel tempo di ciascuno di questi universi, immaginando che siano tutti sincronizzati, con un curioso percorso a zig-zag. Questa è la situazione impossibile – ma concettualmente proficua – del film: un trasferimento di memoria tra universi paralleli. Si aggiunga a questo che il tre febbraio che chiude il film può essere preceduto solo dall’ultimo giorno della marmotta, quello in cui Connors conquista il cuore di Rita. Quel due febbraio è il solo che veramente ha avuto luogo nel nostro mondo. Perché? Ovviamente nessuno degli altri giorni termina con Rita che ricorda di aver comprato Connors all’asta degli scapoli. In particolare, non il primo giorno. Questo fa sì che il G1 che vediamo all’inizio del film in realtà fosse già un universo parallelo. Quindi lo spostamento laterale di Connors comincia già nel G1. Se il giorno finale corrisponde all’ultima variante, se si tratta della variante buona, di quello che è veramente successo, e se per realizzarla Connors dev’essere passato attraverso tutte le altre varianti, è come se al giorno G1 Connors fosse «in ritardo» rispetto al resto del mondo e avesse dovuto mettersi a viaggiare negli universi paralleli per recuperare il ritardo. Il viaggio di Connors è un’esplorazione di varianti parallele del mondo reale, grazie alla quale ottiene l’amore di Rita che era sicuramente fuori della sua portata il giorno 1 febbraio. Questa conquista avviene grazie a un cambiamento interiore di Connors. Lo stesso Connors può essere un Connors diverso perché nell’esplorare gli universi paralleli egli acquisisce la conoscenza. In prima approssimazione il film sembrava uno studio sul tempo. Ma il soggetto filosofico principale del film è forse la conoscenza. 32 Che cosa sembra dire il film Nel G28 Rita si offre di essere una «testimone oggettiva». Connors le racconta di come i vari suicidi da lui commessi non gli impediscano di rinascere ogni giorno, e come questo l’avesse convinto di essere un dio. Rita non può sapere che cosa è successo negli universi paralleli visitati da Connors e gli chiede di provarle che è un dio. Non potendo addurre prove per la propria immortalità Connors le dimostra di essere onnisciente – ovvero, di conoscere tutti i dettagli del microcosmo di Punxsutawney che ha esplorato in lungo e in largo nei «giorni precedenti». L’esplorazione degli universi paralleli mette Connors di fronte al valore della conoscenza. La ripetizione è una prigione, ma Punxsutawney è uno spazio sufficientemente grande perché vi avvengano molti eventi e vi si possano fare molti incontri. La ripetizione si rivela una fonte di conoscenza, perché permette di esplorare gli eventi. Normalmente gli eventi non sono soggetti di «esplorazione» come gli oggetti materiali. Possiamo tornare a esplorare un oggetto materiale per osservarne i lati che non avevamo visto, ma possiamo soltanto – al meglio – seguire una volta sola un evento nel suo svolgersi. La ripetizione elimina questo ostacolo. Permette a Connors di tornare a osservare lo "stesso" evento (in realtà, una sua variante indistinguibile dall’evento, se si esclude una possibile interazione di Connors con l’evento) per scoprirne degli aspetti che erano passati inosservati a una prima visita. Per Connors è come se gli eventi avessero dei "lati". La sua conoscenza non è solo più vasta della nostra, è anche di un tipo qualitativamente diverso. 33 Qui entra in gioco l’aspetto morale del film, che travalica la questione del tempo e i problemi della conoscenza. Che cosa dice il film? Se non ci sono conseguenze nel futuro delle nostre azioni (perché non c'è futuro) tutto è permesso e possiamo non star più alle regole. Scopriamo che la morale ha un’importante collegamento con la «metafisica del tempo». In un mondo con una struttura diversa dalla nostra – come quello in cui è confinato Connors – gli atti potrebbero avere conseguenze modeste e comunque circoscritte per colui chi li compie. Avrebbero però comunque delle conseguenze. Connors dà qui un’ulteriore prova di cinismo, dato che le conseguenze sono circoscritte per lui e non per gli altri. Ma certo i vincoli della situazione sono più deboli per Connors, che sa che per lui non ci sarà "domani". Il successo morale dipende in buona parte dalla fortuna morale, dal gioco di conseguenze che rendono un atto buono o cattivo, ma la situazione di Connors indica che tale successo dipende anche dalla possibilità di conoscere le conseguenze. E Connors sa che le conseguenze dei suoi atti non saranno mai avvertite da lui. In questo senso è una creatura morale bizzarra. La conoscenza di Connors, abbiamo detto, è diversa dalla nostra. Non solo per via dell’onniscienza. Un po’ come il pianista che ripete lo stesso pezzo per impararlo, Connors ripete la «cassetta» dello stesso giorno. Tuttavia la conoscenza che ne ottiene si rivela inutile proprio là dove dovrebbe dare i frutti migliori. Nonostante egli riesca a ottenere facilmente sesso e denaro, non riesce a conquistare Rita. 34 A Rita non interessa quello che Connors sa, e addirittura la indispone che egli sappia anticipare tutti suoi desideri. Connors è un filologo di Rita, ma la sua erudizione è inutile. A Rita interessa un certo tipo di Connors, un Connors con certe qualità. La conoscenza è inutile perché non cambia Connors. Non nasce mai un Connors nuovo o migliore, e difatti egli si ritrova ogni giorno ad essere il Connors che era il giorno prima. Questo è il vero significato della seconda parte del film, il vero senso, incidentalmente, del ricominciare da capo. Connors spezzerà il cerchio infernale quando passerà da una conoscenza che si limita a raccogliere dati a una «conoscenza che lo trasforma». Possiamo parlare di un valore intrinseco della conoscenza, al di là di tutti gli usi strumentali che Connors può farne: limitati alle circostanze del momento nella prima parte del film, o inseriti in un grande progetto di vita nella seconda parte. Il tipo di conoscenza che può ottenere e il modo in cui questa si lega all’intuizione cje la conoscenza ha un valore intrinseco potrebbero semplicemente dipendere dall’artificiosità della situazione che ci propone lo sceneggiatore. Ma il legame con il mondo reale è in agguato dietro l’angolo, e ci viene offerto già al terzo giorno. Connors chiede a due amici che cosa accadrebbe se uno fosse condannato a vivere sempre nello stesso luogo e i giorni fossero tutti uguali e nulla fosse veramente importante. Gus osserva, sconsolato, che questa è in fondo la sua vita. Il mondo reale non è poi così diverso. Conclusioni 35 L’onniscienza è moralmente insufficiente in quanto non rende necessariamente migliori. Il punto di vista fuori dal tempo e l’onniscienza sono irrilevanti ai fini morali. Per gli umani il viaggio alla ricerca della conoscenza è l’unica cosa che sembra veramente poter contare, e su cui nessun dio ha alcunché da insegnare. La conoscenza e persino l’onniscienza possono non aver valore se non nella contingenza delle situazioni. Non basta essere dei. Anzi, gli umani hanno il privilegio di potersi migliorare, ed è questo che li rende così interessanti. Ciò che sembra avere un valore intrinseco è il cammino che ci porta alla conoscenza, e la conoscenza stessa. Per trarre questa morale Groundhog Day ci mostra una situazione molto originale: l’epica di un dio che diventa uomo e scopre che da uomini si sta meglio. 36 Bibliografia Bruno, Edoardo, Il pensiero che muove, Bulzoni, Roma 1998 Bruno, Marcello Walter, Heidegger goes to Hollywood. Essere e tempo nell'ultimo cinema americano, Segnocinema 103, Maggio-Giugno 2000 Cabrera, Julio, Da Aristotele a Spielberg: Capire la filosofia attraverso i film, Bruno Mondadori, Milano 2000 Cartesio, Renato, Meditazioni filosofiche, Casati, Roberto, La conoscenza ci migliora? Analisi di "Ricomincio da capo", articolo publicato sul sito: ilsole24ore.com (sezione cultura) Cavell, Stanley, The World Viewed: Reflections on the Ontology of Film, Viking, New York 1971 Cavell, Stanley Cavell, Alla ricerca della felicità La commedia hollywoodiana del rimatrimonio, Einaudi, Torino 1999 Curi, Umberto, Lo schermo del pensiero. 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