Università degli Studi di Pisa Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Fisica Anno Accademico 2002-2003 Tesi di Laurea Determinazione dell’età del disco galattico dalla funzione di luminosità delle nane bianche Candidato: Federica Zacchei Relatore: Dott.ssa Scilla Degl’Innocenti 1 Indice 1 Introduzione 1 2 Cenni sulle caratteristiche della Via Lattea 1 3 Le nane bianche 3.1 La fase di pre-nana bianca 3.2 La struttura delle nane bianche 3.3 Evoluzione delle nane bianche 3.4 Evoluzione in AGB e relazione tra massa nana e massa del progenitore 3.5 Distribuzione in massa delle nane bianche 3.5.1 Determinazione della massa dall’accelerazione gravitazionale 3.5.2 Determinazione della massa dal redshift gravitazionale 4 4 6 9 23 25 25 25 4 La funzione di luminosità delle nane bianche 4.1 La funzione di luminosità teorica 4.2 La funzione di luminosità osservativa 5 L’età del disco galattico 5.1 Determinazioni dell’età del disco galattico 5.2 Incertezze dei risultati 5.3 Conclusioni A Magnitudini e filtri A.1 La magnitudine delle stelle A.2 Sistemi fotometrici ed indici di colore B Reazioni nucleari B.1 Catena protone-protone B.2 Biciclo CN-NO B.3 Combustione dell’elio B.4 Reazioni picnonucleari Bibliografia 2 1. Introduzione In questa tesina verrà analizzato il metodo di valutazione dell’età del disco galattico attraverso la funzione di luminosità locale delle nane bianche. Con funzione di luminosità locale intendiamo il numero di nane bianche osservato localmente nel disco in funzione della loro luminosità. Le nane bianche sono stelle di piccola massa che hanno raggiunto la fase finale della loro evoluzione; cioè stelle che hanno spento tutte le reazioni nucleari e che raffreddano con tempi scala dell’ordine dei miliardi di anni fino ad arrivare ad uno stato di equilibrio con il fondo cosmico. La nostra galassia è formata principalmente da due strutture: l’alone di forma pressoché sferica privo di gas e di polveri ed il disco che invece ne è ricco e in cui è ancora attivo il processo di formazione stellare. Lo scenario di formazione della nostra galassia prevede che il disco si sia formato successivamente all’alone, tuttavia la precisa datazione del disco galattico è un problema ancora aperto. Il metodo descritto si basa sul fatto che i tempi di raffreddamento delle nane bianche sono maggiori dell’età del disco galattico e che quindi la funzione di luminosità sarà troncata ad un certo valore osservabile di luminosità (cut-off). Il confronto tra le funzioni di luminosità teoriche ed osservative per il disco (più precisamente tra il cut-off teorico ed osservativo) permette quindi, una valutazione dell’età del disco galattico. Dopo una breve descrizione delle caratteristiche della nostra galassia descriverò la struttura e l’evoluzione delle nane bianche di disco. Analizzerò poi la funzione di luminosità teorica (ottenuta tramite calcoli di raffreddamento di nane bianche e stime sulla loro distribuzione in massa ed in età) ed osservativa discutendo criticamente le stime di età ottenute. 2. Cenni sulle caratteristiche della Via Lattea Prima di passare all’argomento specifico di questa tesina mi sembra utile un breve cenno alle caratteristiche della nostra Galassia in modo da collegare l’età del disco galattico all’evoluzione della galassia stessa La nostra galassia è una galassia a spirale con una massa in stelle dell’ordine di 6 1011 M . In realtà la massa dovrebbe essere maggiore a causa della materia oscura, la cui presenza è stata evidenziata da studi sulla velocità di rotazione della Galassia. La natura della materia oscura non è del tutto nota, potrebbe essere costituita ad esempio da stelle poco massive e poco luminose ( e per questo non osservabili) negli ultimi stadi della loro evoluzione (nane bianche) o stelle non hanno innescato la combustione dell’idrogeno (nane brune), oppure da particelle massive che intaragiscono debolmente (WIMPS) o neutrini massivi. Nella nostra, così come in altre galassie a spirale vengono identificate principalmente due sottostrutture diverse per forma, composizione, proprietà dinamiche ed evoluzione: il disco e la componente sferoidale.Come si può vedere in figura 1, in cui è illustrata la struttura della nostra galassia come apparirebbe se osservata di fronte oppure di taglio, il disco è una struttura piatta a simmetria assiale con uno spessore di circa 300 pc1 e raggio compreso tra 25 e 30 kpc dal cui centro partono i bracci della spirale. Il Sole è una stella di disco situata a circa 8.5 kpc dal centro. Il disco è ricco di polveri e gas interstellari, e la materia che lo costituisce si muove di moto pressoché circolare intorno al centro galattico. 1 1 parsec ~ 3.26 anni luce 3.1 1018 cm 3 La componente sferoidale presenta simmetria sferica con raggio uguale a quello del disco e può essere ulteriormente suddivisa in altre sottostrutture: nucleo, bulge, thick disk, e alone. Il nucleo è una struttura sferica al centro del disco di raggio dell’ordine di 100 pc al cui interno si trova il centro galattico sede di una potente sorgente radio. Il nucleo è circondato dal bulge, una struttura sferica di raggio di circa 3 kpc ricca di stelle e di polveri. Il thick disk presenta invece, una popolazione stellare con caratteristiche chimiche, dinamiche e fotometriche intermedie tra quelle di disco e quelle di alone. Tutte queste sottostrutture sono circondate dall’alone sferico di raggio di almeno 30 kpc. Le stelle che lo popolano hanno velocità di rotazione attorno al centro galattico molto basse e di conseguenza percorrono orbite ad alta eccentricità con raggio compreso tra circa 4 e 20 kpc. Figura 1.Schema della struttura della Via Lattea Sia nel disco che nell’alone si trovano sia stelle di campo sia ammassi stellari. Un ammasso stellare à un insieme di stelle che si sono originate da una stessa nube e quindi hanno stessa composizione chimica ed età ma masse diverse. Nell’alone sono presenti ammassi detti globulari mentre nel disco si trovano gli ammassi aperti. Gli ammassi globulari sono sistemi di stelle legati gravitazionalmente ed hanno massa totale compresa tra circa 105 e 106 M. La forma sferica indica che le stelle interagenti gravitazionalmente fra loro hanno ormai raggiunto un equilibrio approssimativamente isotermo e la distribuzione delle velocità stellari segue, quindi, con buona approssimazione, una legge di Maxwell-Boltzmann. L’età di questi ammassi è piuttosto vecchia, paragonabile a quella dell’alone, ed è dell’ordine di 1010 anni. Le stelle più luminose degli ammassi globulari sono le stelle di piccola massa in fase evolutiva avanzata: giganti e supergiganti di colore giallo oppure rosso. La metallicità (Z) varia tra circa 10-4 e circa 10-3, come si evince da osservazioni spettroscopiche. Gli ammassi aperti, invece, non mostrano una forma ben definita. La loro massa tipica è dell’ordine di 10 3 M , mentre per quanto riguarda l’età, questa varia da circa 107 anni a circa 8 109 anni. Le 4 giganti osservate negli ammassi aperti sono, invece, stelle con metallicità di tipo solare (Z ~ 0.02) e di massa intermedia o grande in fase di sequenza principale, bianche o blu. Tutte queste evidenze osservative ci indicano un percorso di formazione della galassia: ad esempio, il fatto che gli ammassi globulari abbiano età dell’ordine di quella dell’alone ed inoltre che quest’ultimo sia privo di gas, ci suggerisce che in tale regione della nostra galassia siano attualmente assenti processi di formazione stellare, processi che invece sono ancora in atto nel disco come testimoniano la presenza di ammassi giovani e l’abbondanza di polveri, cioè di materiale disponibile per dare origine a successive generazioni stellari. La diversa metallicitá, poi, mostra che è avvenuta anche un’evoluzione chimica della materia galattica: le stelle del disco (ovvero di popolazione I) hanno metallicitá, maggiore di quelle dell’alone (popolazione II) perché si sono originate da materia arricchita da elementi pesanti processati durante la nucleosintesi di precedenti generazioni stellari e poi dispersi tramite esplosioni di supernovae o venti stellari. Lo scenario evolutivo è ancora oggetto di numerose ricerche ma a grandissime linee può essere descritto nel modo seguente: si suppone che la nube originaria, detta protogalassia, sia collassata in pochi milioni di anni; è molto probabile data l’elevata quantità di materia allora presente che fosse privilegiata la formazione di stelle molto massicce, le quali proprio a causa della loro grande massa avevano una grossa luminosità ed una vita molto breve ossia minore del tempo caratteristico del collasso della protogalassia, in tal modo la materia protogalattica si è potuta arricchire di metalli fino a raggiungere valori di Z ~ 10-4. Le stelle dell’alone che si sono formate in quella fase avevano delle eccentricità notevoli che si sono poi conservate. Il gas deve essere successivamente collassato verso il centro dando luogo alla formazione del disco, durante la quale veniva ulteriormente arricchito di metalli. Ancor prima della formazione del disco deve però, essere avvenuta quella del bulge dato che la distribuzione del momento angolare di questa struttura è molto simile a quella dell’alone. A sostegno di questa ipotesi è il fatto che il bulge è ricco di polveri come il disco, ma presenta anche ammassi globulari e stelle giganti rosse che sono tipici dell’alone. La metallicità del bulge è supposta essere circa doppia di quella solare indice di un notevole arricchimento interno. Tutto questo fa pensare alla popolazione del bulge come ad una popolazione antica e metallica. La fase più controversa dell’evoluzione galattica risulta la formazione del thick disk, vi sono infatti a tal proposito almeno due possibili scenari teorici. Il primo sostiene che il thick disk si sia formato dopo l’alone e il bulge tramite collasso dissipativo durante le ultime fasi di formazione del disco. Questa ipotesi però, implica che o il collasso sia avvenuto lentamente, oppure che ci sia stato un alto tasso di formazione stellare. Purtroppo nessuna delle due possibilità è avvalorata da riscontri osservativi dal momento che non vi sono né tracce che avrebbe potuto lasciare l’eventuale azione di gradienti chimici e cinematici durante tale collasso, né evidenze che il tasso di formazione stellare del disco possa aver avuto un incremento dall’inizio della sua formazione. Secondo l’altro modello il thick disk si sarebbe, invece, formato dopo il disco; anche in questo caso vi sono due spiegazioni possibili. La prima assume che il thick disk sia un prolungamento del disco perché le prime stelle qui formatesi avrebbero potuto diffondersi oltre il disco stesso dato che avevano velocità casuali elevate dovute all’azione perturbatrice del gas sulle loro orbite. La seconda è basata su osservazioni che mostrano come le popolazioni di disco e di thick disk abbiano caratteristiche diverse, e quindi la formazione di quest’ultimo possa essere il risultato di uno scontro tra la nostra galassia ed una galassia satellite. 5 3. Le nane bianche 3.1 La fase di pre-nana bianca La quasi totalità delle stelle termina la propria evoluzione come nana bianca; per comprendere meglio le caratteristiche di questa fase evolutiva accennerò in maniera estremamente sintetica all’evoluzione precedente. L’evoluzione di una stella è determinata principalmente dalla sua massa ed in modo meno stringente dalla sua composizione chimica. Le stelle nascono dalla contrazione di una parte di una nube di gas (composta principalmente di H ed He) che si arresta quando temperatura e densità centrali raggiungono valori che permettono l’innesco delle combustioni nucleari. La pressione del gas caldo controbilancia allora la forza di gravità e l’energia prodotta nuclearmente supplisce alle perdite di energia dovute all’irraggiamento di fotoni (luminosità) della stella. In realtà, in queste fasi, dette stop nucleari, la contrazione non è arrestata ma procede secondo tempi scala di combustione nucleari (ad es. per 1 M in combustione di idrogeno è dell’ordine dei miliardi di anni). Più una stella è massiccia, più è luminosa e quindi i tempi evolutivi sono più brevi. Oltre a questo, in certe fasi evolutive può intervenire un altro fenomeno a bloccare la contrazione, ovvero la degenerazione elettronica, in questo caso la pressione esercitata dagli elettroni degeneri controbilancia la forza di gravità. Stelle con masse maggiori di circa 1/10 M riescono durante la contrazione iniziale a raggiungere temperature sufficienti ad innescare la combustione dell’idrogeno entrando così nella fase più lunga della vita di una stella: la sequenza principale (o main sequence = MS). Al termine di tale fase la stella avrà esaurito l’idrogeno al centro e proseguirà la combustione di idrogeno in shell attorno ad un nucleo inerte di elio (fase di gigante rossa = RGB) finché, se la massa della stella è maggiore di circa 0.5 M , si raggiungeranno al centro le temperature sufficienti per l’innesco della combustione dell’elio in carbonio ed ossigeno. Al termine della combustione centrale di elio la stella prosegue l’evoluzione bruciando l’elio in shell ed accrescendo così il nucleo di carbonio ed ossigeno (fase di ramo asintotico AGB). L’ evoluzione successiva dipende ancora una volta dalla massa: se al termine della fase di AGB (in cui la stella è soggetta a perdite di massa) la stella ha massa minore di 1.4 M , ovvero minore del limite di Chandrasekhar, che è la massa al di sopra della quale non può esistere una struttura degenere stabile, la stella termina la sua evoluzione come nana bianca di carbonio ed ossigeno. Se invece la massa della stella è maggiore del limite di Chandrasekhar ma comunque inferiore a circa 7 M , la stella esplode tramite la deflagrazione del carbonio, cioè l’esplosione della struttura è provocata dall’innesco della combustione del carbonio in ambiente degenere che produce un rilascio di energia maggiore dell’energia di legame gravitazionale. In fase di nana bianca quando le reazioni nucleari della stella sono spente o fortemente inefficienti la stella raffredda a raggio costante percorrendo nel diagramma HR una retta che viene detta “curva di raffreddamento” (vedi figura 2). Stelle con massa compresa all’incirca tra 7 e 10 M possono arrivare alla formazione del neon, a questo punto però, la temperatura e la densità centrali sono tali da dar luogo ad una stella con nucleo degenere di ossigeno e neon, o diventano efficienti meccanismi di cattura elettronica e la struttura implode e viene distrutta. Le stelle più massicce invece, la cui massa iniziale è maggiore di circa 10 M, proseguono la loro evoluzione effettuando tutte le fusioni esoenergetiche fino a sintetizzare il ferro, dopo di che non essendo più sorrette da combustioni nucleari contraggono ed esplodono come supernovae di tipo II. Quanto detto fino adesso è illustrato schematicamente in figura 2 in cui è mostrata l’evoluzione del diagramma HR di stelle massa diversa. Con diagramma HR intendiamo un grafico in cui sono riportate due osservabili fondamentali per lo studio dell’evoluzione stellare: la luminosità L della stella in funzione della temperatura superficiale (od effettiva). Poiché ogni stella irraggia con buona approssimazione come corpo nero, si può usare la relazione di Stefan 6 Boltzmann per definire la temperatura effettiva Teff della stella come funzione della sua luminosità e del suo raggio L = 4R² eff dove è la costante di Stefan-Boltzmann. Luminosità e temperatura effettiva sono grandezze teoriche, ciò che si osserva sperimentalmente è invece la magnitudine apparente in certi intervalli di frequenza a cui sono sensibili gli strumenti di misura ed il colore della Figura 2. Tracce evolutive di stelle di varia massa nel diagramma HR. Le linee più spesse indicano le fasi di combustione centrale (da Castellani, Astrofisica Stellare, 1985) stella (vedi appendice). Quindi, accanto al diagramma L-Teff cosiddetto “teorico” esiste un diagramma HR “osservativo”cioè il diagramma colore – magnitudine in cui viene riportata la magnitudine apparente in una data banda in funzione dell’indice di colore (vedi appendice). Per poter effettuare il confronto tra i dati teorici e quelli sperimentali si devono convertire la luminosità e la temperatura effettiva nelle magnitudini nelle diverse bande. A tale scopo vengono usati dei modelli di atmosfera stellare completamente teorici o semiempirici che forniscono l’intensità della luce emessa nelle varie bande in funzione della composizione chimica, della gravità superficiale, della luminosità e della temperatura della stella. In figura 2 vengono mostrati i possibili cammini evolutivi che una stella di data massa può compiere. Si noti come al crescere della massa la stella sperimenti la fase di sequenza principale a luminosità e temperature effettive maggiori ed allo stesso tempo la fase di RGB diventi sempre più breve per sparire addirittura nel caso di una stella molto massiccia maggiore od uguale a 7 circa 25 M . Si può vedere come la stella durante le fasi di combustione centrale, si sposti in generale verso temperature effettive più alte, mentre durante le fasi di combustione a shell (AGB, RGB) la struttura una volta raggiunte temperature effettive più basse, evolve mantenendo tale temperatura pressoché costante raggiungendo alte luminosità. Si può notare anche che le nane bianche si dispongono su di una sequenza a raggio costante e che maggiore è la massa della nana bianca minore è la luminosità e maggiore la temperatura effettiva a cui si colloca la sua sequenza. Questo è dovuto, come spiegherò più in dettaglio nel paragrafo successivo alla relazione peculiare tra massa e raggio esistente per queste stelle. 3.2 La struttura delle nane bianche Nei prossimi due paragrafi descriverò la struttura e l’evoluzione di una tipica nana bianca di disco galattico nelle vicinanze del Sole, cioè quelle per cui abbiamo dati osservativi che ci permettono di costruire una funzione di luminosità. Dato che sono interessata alla funzione di luminosità metterò in evidenza le incertezze nelle caratteristiche delle nane bianche che potrebbero riflettersi in incertezze sui tempi evolutivi. La massa media stimata per le nane bianche locali risulta circa 0.6 M (vedi ad esempio Fontaine et al. 2001). Sono stelle molto compatte, che sono stimate presentare densità centrali dell’ordine di circa 107 gr/cm³ e quindi valori elevati della gravità superficiale (accelerazione di gravità superficiale ~ 108 109 cm s-2). Le nane bianche coprono un ampio intervallo in temperature effettive che va da circa 150000 K per le più calde a circa 4000 K per le più fredde e degeneri ed un altrettanto ampio intervallo di luminosità che va da 10²- 10³ luminosità solari (L) per quelle appena entrate in sequenza di raffreddamento a circa 10-4.7 L per quelle più deboli che si riescono ad osservare. Sebbene la maggior parte delle nane bianche presenti un nucleo di carbonio ed ossigeno, esistono nane bianche di ossigeno, neon, magnesio e nane bianche di elio. Le nane di quest’ultimo tipo osservabili derivano da stelle che durante la fase di RGB hanno perso gran parte dell’inviluppo e non sono riuscite ad innescare la combustione centrale dell’elio. Nane bianche derivanti da stelle con massa inferiore a quella minima per l’innesco dell’elio (0.5 M vedi paragrafo 3.1) non sono invece osservabili perché stelle di tale massa evolvono molto lentamente e quindi la loro età sarebbe maggiore dell’età dell’universo attuale. A causa dell’elevata accelerazione gravitazionale superficiale le nane bianche in curva di raffreddamento presentano in prima approssimazione una struttura stratificata: un’atmosfera di puro idrogeno ed uno strato sottostante di puro elio. Al di sotto dell’atmosfera si trova un nucleo degenere composto da carbonio ed ossigeno che contiene quasi tutta la massa della stella. Prima dell’ingresso in curva di raffreddamento, invece, l’inviluppo non è ancora completamente separato chimicamente e nell’inviluppo ricco di idrogeno sono ancora presenti anche i metalli. Lo spessore dell’elio viene stimato tra circa 10-6 a circa 10-2 della massa totale (Bradley & Winget 1994, Nitta & Winget 1998), mentre lo spessore di idrogeno tra meno di 10-5 fino a circa 10-3 della massa totale (si veda ad es. J.C. Clemens 1993). La determinazione di tali spessori risulta quindi, abbastanza incerta ed a causa dell’importanza dei meccanismi di opacità che avvengono nell’inviluppo, che determinano la regolazione del flusso uscente dalla stella e delle combustioni nucleari residue, potrebbero influenzarne il raffreddamento. In ogni caso esiste sicuramente un limite superiore dell’inviluppo di idrogeno per cui la stella può entrare in sequenza di raffreddamento (si veda ad es. D’Antona & Mazzitelli 1990, Romaniello 1992) . 8 Figura 3: log(dt/dlog(L/L)) (indice del tempo necessario a percorrere un certo intervallo di luminosità) in funzione della luminosità per una nana bianca di ~ 0.6 M con due valori estremi dell’inviluppo di H di massa rispettivamente di 1.4 105 M (linea continua) e 1.76 10—4 M (linea tratteggiata) (da Coraggio 2002, tesi di laurea). Per ogni massa del nucleo esiste, infatti, un valore massimo della massa dell’inviluppo di idrogeno oltre il quale la stella alla base dell’inviluppo di idrogeno raggiunge la temperatura per l’innesco della combustione dell’idrogeno in ambiente degenere tramite flash del CNO e di conseguenza non entra in sequenza di raffreddamento. È stato mostrato (Coraggio 2002) che per una nana bianca con massa tipica di ~ 0.6 M e Z = 0.02, il limite superiore risulta circa 0.00017 M a logL/L=1.Tale limite dipende comunque dalla massa e dalla metallicità della stella. Il limite inferiore dello spessore dell’inviluppo di idrogeno può assumere un qualsiasi valore fino ad essere pressoché nullo (e quindi la stella avrà in questo caso un inviluppo di solo elio). La figura 3 mostra le derivate dei tempi di raffreddamento per una nana bianca con massa tipica di ~0.6 M in funzione della luminosità per due valori dell’inviluppo di idrogeno pari a 1.76 10—4 M (linea tratteggiata) e 1.4 10-5 M (linea continua). Come si nota non ci sono differenze significative nei tempi di raffreddamento, ciò significa che il limite superiore dell’inviluppo di idrogeno è già sufficientemente piccolo e quindi un’ulteriore diminuzione non influenza significativamente i tempi di raffreddamento. Sebbene, come già detto, la maggioranza delle nane bianche possieda uno strato esterno di idrogeno (nane DA), vi è tuttavia un discreto numero di nane bianche, non-DA, che hanno invece perso tale strato di idrogeno e presentano quindi un’atmosfera ricca di elio o di altri elementi. Ad esempio vi sono delle nane bianche con atmosfera di elio (nane DO) molto calde (T > 45000 K) che oltre a presentare righe di assorbimento caratteristiche dell’elio ionizzato (HeII) mostrano anche righe di assorbimento del carbonio (vedi figura 4), vi sono inoltre anche nane bianche che pur non mostrando righe dell’ HeI a causa della minore temperatura (T 10000K) presentano righe del carbonio atomico sia nel visibile che nell’UV (nane DQ) (vedi figura ). Da osservazioni condotte sull’atmosfera delle nane bianche emerge che tale composizione non rimane sempre la stessa durante l’evoluzione delle stelle non DA ma cambierebbe a causa della presenza di fenomeni come la diffusione ed il rimescolamento convettivo (Fontaine et al. 2001). La determinazione della composizione chimica è molto importante perché questi strati anche se sono sottili possiedono un’elevata opacità e regolano di conseguenza il flusso di fotoni uscente dalla stella e quindi i tempi di raffreddamento. Hansen (1999), fa comunque notare che tali cambiamenti nella composizione chimica dovrebbero avvenire a temperature effettive relativamente alte 9 Figura 4 : (sinistra) Sequenza di quattro spettri di nane bianche DO calde (1.4 105 < T< 5.3 104) che risultano caratterizzate da righe di He II (Balmer e ) e righe del CIV. (destra): Sequenza di quattro spettri di nane bianche DQ, in questo caso sono evidenti righe CI. In entrambe le figure gli spettri sono stati normalizzati e traslati verticalmente di 1.0) (da Holberg, Barstow, Burleigh, 2002). (maggiori di 10000 K) e quindi non sono fondamentali perché le nane bianche trascorrono la maggior parte della loro evoluzione a temperature minori. La diversa natura della materia presente nel nucleo e nell’inviluppo dà luogo a meccanismi di trasporto energetico differenti: conduzione, radiazione (ed eventualmente convezione) Si noti che anche gli strati più esterni devono essere trattati in modo preciso per elaborare modelli accurati di nane bianche. Gli elettroni degeneri del nucleo fanno sì che il canale principale del trasporto sia la conduzione, la conducibilità di questi elettroni è talmente elevata che il nucleo risulta sostanzialmente isotermo. In generale la conduzione risulta scarsamente inefficiente nelle stelle ad esempio nel centro del Sole il cammino libero medio del fotone è di circa 0.005cm mentre quello degli elettroni è di circa 7 ordini di grandezza inferiori e poiché la conducibilità termica può essere espressa nel seguente modo: 3 k 2mT nee 2 3 / 2 1/ 2 B 7/2 e (2) dove ne è la densità elettronica, e il cammino libero medio dell’elettrone, me la massa dell’elettrone, kB la costante di Boltzmann. Da questa relazione si vede come la conducibilità e quindi il trasporto conduttivo sia trascurabile. Nel caso di una nana bianca, a causa della materia fortemente degenere presente nel nucleo, il canale di trasporto privilegiato è la conduzione, infatti mentre il cammino libero medio del fotone all’interno di una nana bianca con luminosità tipica del cutoff è dell’ordine di 10 -7 cm, quello dell’elettrone risulta dell’ordine del cm (ovvero superiore di circa 10 ordini di grandezza rispetto a quello dell’elettrone nel Sole). Tali valori sono possibili perché gli elettroni degeneri vanno ad occupare le singole cellette elementari dello spazio delle fasi riducendo la probabilità di interazione ed aumentando significativamente il cammino libero medio. Per alte temperature effettive la parte più esterna dell’inviluppo delle nane bianche risulta radiativa, mentre a temperature effettive più basse, a mano a mano che procede il raffreddamento diventa sempre più importante la convezione. 10 3.3 Evoluzione delle nane bianche Una nana bianca è una stella composta per almeno il 99% da materia degenere e che ha le combustioni nucleari spente o largamente inefficienti. La stella dopo una prima fase di contrazione dell’inviluppo non degenere, non può più sfruttare in maniera efficiente nemmeno l’energia gravitazionale a causa della pressione dovuta agli elettroni degeneri che impedisce ulteriori contrazioni del nucleo, e quindi può solamente raffreddarsi. Le strutture degeneri come le nane bianche sono sorrette da un sistema di equazioni politropico da cui si ricavano nel caso non relativistico le seguenti relazioni dove M ed R sono rispettivamente la massa ed il raggio totale e c la densità centrale: MR³ = costante e c ~ M² (3) Si deduce quindi, che all’aumentare della massa aumenta la densità ed allo stesso tempo diminuisce il raggio della struttura. Aumentando la massa diminuisce la luminosità ed aumenta, come si può vedere dalla figura 2, la temperatura superficiale della sequenza a raggio costante in cui si colloca la nana bianca. La nana bianca una volta raggiunto il raggio corrispondente alla sua massa, raffredda percorrendo una retta nel diagramma HR detta sequenza di raffreddamento. Man mano che la nana bianca procede lungo tale sequenza a raggio costante, diminuisce la sua luminosità e la sua temperatura effettiva. Di conseguenza l’evoluzione di una nana bianca è caratterizzata da un progressivo raffreddamento che terminerà quando, per un’età maggiore a quella attuale dell’universo essa sarà diventata un corpo in equilibrio con il fondo cosmico. La velocità di raffreddamento dipende da vari fattori tra cui, come già detto, la composizione chimica dell’inviluppo che influenza i meccanismi di interazione fotone-materia (opacità) e quindi determina la velocità con cui viene persa energia. Oltre a ciò l’eventuale presenza di residue fonti di energia può intervenire a ritardare l’entrata in sequenza di raffreddamento ed a rallentare il raffreddamento una volta che la stella è entrata in sequenza. Ad esempio se la stella ha un inviluppo sufficientemente massiccio o ricco di metalli, accade che prima del raffreddamento la stella contragga il suo inviluppo non degenere provocando così una riaccensione della shell di idrogeno tramite il ciclo CNO (vedi appendice) come è illustrato in figura 5 portando, inoltre, ad una variazione della composizione chimica dell’inviluppo stesso. Figura 5: Principali fasi evolutive rappresentate nel diagramma HR per una nana bianca con massa M = 0.603 M e Z = 0.02 (da Coraggio 2002, tesi di laurea). 11 Dalla figura 5, che mostra l’evoluzione di una nana bianca con massa pari a 0.603 M e Z = 0.02, si può vedere come per gran parte del raffreddamento rimangano attive varie shell: nelle fasi iniziali è accesa la shell di elio che si spegne attorno a logL/L ~ 1 e logTeff ~ 4.85; poi si accende quella di idrogeno intorno logL/L ~ 0 e logTeff ~ 4.6 attraverso la catena p-p (vedi appendice) che si spegne a basse luminosità (logL/L ~ - 4.2) e basse temperature effettive (logTeff ~ 3.65). Con le combustioni a shell la nana bianca, pur non riuscendo a supplire alle perdite per irraggiamento, riesce comunque a rallentare il raffreddamento. Tale raffreddamento è caratterizzato alle alte luminosità da perdita di energia dovuta all’emissione dei neutrini che diventa, in certe fasi, superiore a quella dei fotoni e raggiunge il massimo a logL/L ~ 0.3 e logTeff ~ 4.7. Infatti, quando la stella si è da poco collocata sulla sequenza di raffreddamento è ancora piuttosto calda, ma già molto densa; ciò fa si che si formino nella parte centrale della stella neutrini da oscillazione del plasma che sottraggono energia alla stella. Una volta terminato il raffreddamento dovuto ai neutrini, la nana bianca entra in una fase di raffreddamento termico dal momento che gli elettroni sono già nel loro stato di minima energia essendo degeneri. La stella perde, quindi, in primo luogo l’energia di agitazione termica degli ioni, poi il calore latente di liquefazione, e da ultimo il calore latente di cristallizzazione che porta alla solidificazione della materia presente nel nucleo. Il rilascio di calore latente durante la fase di cristallizzazione del nucleo porta ad un considerevole rallentamento del processo di raffreddamento che per una nana bianca con massa tipica che giunge a logL/ L -5.5 produce un ritardo di circa 1 Gyr . Al termine di quest’ultima fase la nana bianca ha pressoché esaurito la sua riserva termica e si porta verso l’estremità più fredda della sequenza di raffreddamento, al termine della quale raggiunge, in tempi maggiori dell’età attuale dell’universo, lo stato di nana nera, ovvero un oggetto cristallizzato in equilibrio con il fondo cosmico. A questo punto mi sembra utile dare una qualche stima del calcolo dei tempi di raffreddamento e dell’andamento di quest’ultimo in funzione di luminosità e temperatura. Un modello piuttosto semplice ma comunque abbastanza esplicativo dal quale si può ricavare una relazione per il tempo di raffreddamento è il seguente. Si considera la zona interna della nana bianca completamente degenere ed a causa della elevata conducibilità si suppone che abbia una temperatura uniforme. Questa zona è isolata da uno strato superficiale sottile e non degenere in equilibrio radiativo. Poiché la materia presente in questo strato è essenzialmente in equilibrio termodinamico locale con un flusso di energia uscente prodotto dalla diffusione di fotoni si può usare l’equazione di fotodiffusione degli elettroni c d L 4r 2 3 (aT 4 ) dr (4) dove L è la luminosità (erg /s), c la velocità della luce, aT4 è la densità di energia del corpo nero e è l’opacità (cm2/g), ρ la densità, ricordo che 1/ =λ cammino libero medio del fotone. Derivando tale equazione si ottiene: dT 3 L dr 4ac T 3 4r 2 (5) a questo punto occorre introdurre una relazione che descriva approssimativamente l’andamento dell’opacità nello strato esterno, a tale scopo si utilizza ad esempio l’opacità di Kramer che deriva dalla fotoionizzazione degli atomi e dalla radiazione di frenamento inverso degli elettroni (transizioni boundfree e free-free) 12 0 T 7 / 2 (6) dove 0 è dato dalla seguente relazione: 0 = 4.34 1024 Z(1+X) cm2/g (7) dove X è la frazione in massa dell’idrogeno e Z quella dei metalli. Introduciamo inoltre l’equazione di equilibrio idrostatico, cioè il fatto che in ogni zona (guscio sferico) di una stella all’equilibrio si ha il bilanciamento tra le forze di autogravitazione e le forze di pressione del gas dP(r ) Gm(r ) (r ) dr r2 (8) dove r è la coordinata radiale all’interno della stella, P è la pressione, G la costante di gravitazione, m la massa contenuta in una sfera di raggio r e la densità al raggio r, dividendo la quale per l’equazione (5) otteniamo una relazione che lega P,T, m, in cui non compare la coordinata radiale dP 4ac 4Gm(r ) T 13 / 2 dT 3 0L (9) Poiché lo strato esterno è sottile allora si può approssimare m (r) con (M) massa totale della stella ed usare l’equazione di stato dei gas perfetti per la materia esterna non degenere per sostituire nella precedente equazione: P kB T mu (10) dove è il peso molecolare medio e mu l’unità di massa atomica, kB la costante di Boltzmann, si ottiene così: PdP 4ac 4GM k B 15 / 2 T dT 3 0 L mu (11) Data la difficoltà della descrizione dell’andamento di P e T per lo strato superficiale si usano per l’integrazione condizioni al contorno esterne approssimate: P=0 e T=0, tale approssimazione è giustificabile tenendo conto che i valori esterni di P e T sono molto minori di quelli interni. Quindi si ottiene: 1 2 2 4ac 4GM k B 17 / 2 P T 2 17 3 0 L mu (12) allo stesso modo si può trovare una relazione tra la densità e la temperatura 13 4 4ac 4GM mu 1 / 2 13 / 4 ) T 17 3 0 L k B ( (13) Nei punti di contatto tra l’interno degenere e lo strato esterno la pressione del gas degenere degli elettroni uguaglia la pressione del gas costituente lo strato esterno, in tal modo si possono determinare la temperatura e la densità nella zona di transizione Pest k BT mu (14) nel caso non relativistico la pressione degli elettroni degeneri si può scrivere come una politropica con indice γ = 5/3 P K (15) 2/3 4/3 2 = (1.0036×1013) / e5 / 3 cgs 5/3 5/3 5 me mu e dove μe è il peso molecolare medio dell’elettrone e me la massa dell’elettrone uguagliando la (14) e la (15) si ottiene dove K = 3 * b eT*3 / 2 (16) dove b = (2.4× 10-8 g/cm3). Ho indicato con gli asterischi la densità e la temperatura della zona di transizione. Si può notare che poiché l’interno di una nana bianca è assunto isotermo T* è anche approssimativamente la temperatura interna della nana bianca. Uguagliando le due espressioni trovate per la densità si ottiene una relazione tra la luminosità , la massa, la composizione chimica e la temperatura interna di una nana bianca L c1 1 M 7/2 T* 2 e Z (1 X ) M (17) dove c1= 5.7× 105 erg/s, e M è la massa del Sole. Notiamo che ad esempio se X = 0, Y=0.9 (frazione in massa di elio) e Z=0.01 allora e 2 e 1.4 e quindi se L= 10-210-5 L allora T* 106107 K e * 103g/cm3 che è molto minore della densità centrale, quindi la bassa densità nella zona di transizione conferma che lo strato superficiale è relativamente sottile e non altera la relazione massaraggio delle nane bianche. Per comodità si può riscrivere la (17) includendo tutte le quantità costanti nella costante C L CMT*7 / 2 (18) D’ora in avanti chiamerò T la temperatura dell’interno uniforme che abbiamo visto coincide con T *. Il dU tasso di raffreddamento è dato da dove U è l’energia termica totale della nana bianca. dt 14 Si deve notare che quando una stella entra in nana bianca l’energia che può irradiare è l’energia termica degli ioni, infatti come già accennato, l’energia gravitazionale che può essere rilasciata è piccola in quanto l’interno è governato dalla pressione degli elettroni degeneri, l’emissione dei neutrini è importante ad alte temperature e grandi luminosità e quindi può essere trascurata in questo caso perché si considerano nane bianche fredde, anche l’energia termica degli elettroni viene trascurata dato che essi si trovano nello stato di minima energia. Quindi, se cv è il calore specifico per ione, allora l’energia termica degli ioni risulta cv dT . Se prendiamo cv quello di un gas monoatomico non degenere ( 3/2kB) e supponiamo che l’interno della nana bianca sia costituito da un solo elemento otteniamo: U 3 M k BT 2 Amu (19) ovvero l’energia termica totale della nana bianca, dove A è il numero atomico Ma dU non è altro che L, quindi, si può scrivere dt d 3k BT / 2 CT 7 / 2 dt Amu (20) integrando si ottiene 3 kB T 5 / 2 T05 / 2 C t t 0 5 Amu (21) dove T0 è la temperatura dell’interno della nana bianca all’istante iniziale t0; se supponiamo che T0>> T e definiamo il tempo di raffreddamento τ = t-t0 possiamo riscrivere l’equazione precedente nel seguente modo: 3 k BTM 5 Amu L (22) se poi vi sostituiamo l’espressione per T che si ricava dalla (18) si ottiene: L τ M 5 / 7 (23) la relazione (22) non è del tutto esatta, infatti per una nana bianca con luminosità circa logL/L = -4 (tipica del cutoff) il tempo di raffreddamento è dell’ordine delle decine di Gyr, quindi in base a ciò non sarebbe possibile osservarle, cosa che invece non accade. L’effetto principale che non è stato considerato e che permette di spiegare l’osservazione di nane con luminosità fino a circa logL/L= 4.5 è la variazione del calore specifico dovuta alla cristallizzazione (di cui parleremo più in dettaglio subito dopo). Per temperature sufficientemente basse e di conseguenza per bassi valori di luminosità il 15 calore specifico è dovuto alle oscillazioni del reticolo degli ioni piuttosto che alla agitazione termica. Esiste una temperatura critica di Debye D (tipicamente dell’ordine di 107 K) al di sotto della quale il cv decresce rapidamente e conseguentemente accelera anche il raffreddamento. L’andamento del calore specifico in funzione della temperatura è illustrato in figura 6. Per grandi T (Γ<<1) gli ioni formano un gas ideale, ogni grado di libertà contribuisce di kBT/2 all’energia ottenendo in tal modo un valore del calore specifico per ione cv = 3/2. Se T diminuisce aumenta la correlazione tra le posizioni degli ioni dovuto al fatto che la forza coulombiana aumenta per valori di Γ tra 1 e 10. Per questo motivo aumentano i gradi di libertà e cv aumenta fino ad un valore massimo di 3k quando il plasma cristallizza. Ma diminuendo ulteriormente la temperatura diminuisce anche il numero di oscillazioni e quindi anche cv che raggiunge di nuovo il valore di 3kB/2 attorno alla temperatura di Debye. Per T 0 il calore specifico diminuisce rapidamente andando a zero come T3. Figura 6: Schema dell’andamento del calore specifico in funzione della temperatura.Si noti che per T< D cv va a zero come T3, e quindi per valori D < T diventano importanti gli effetti delle oscillazioni del reticolo e di conseguenza c v tende al valore di 3k, mentre per alte temperature si approssima al valore tipico per un gas monoatomico. (Il ΓC in figura è il Γ che compare in questa tesina) (da Kippenham &Weigert, Stellar Structure and Evolution, 1990) Vediamo ora come cambia il tempo di raffreddamento tenendo conto delle variazioni del calore specifico durante e dopo la cristallizzazione ma trascurando il rilascio di calore latente di cristallizzazione. Innanzi tutto riscriviamo l’equazione (20) nel seguente modo: cv dt dT CAmu T 7 / 2 (24) per temperature tali che D << T e cv 3kB allora l’equazione per diventa = 6 k BTM 5 Amu L (25) Tale equazione risulta maggiore di un fattore 2 della (22) a causa dell’inclusione dell’energia potenziale del reticolo, quindi in questa fase di precristallizzazione il raffreddamento è più lento Nel caso invece, in cui T<< D cv si può esprimere come 16 16 4 cv 5 T D 3 k B (26) Se si sostituisce tale formula nella (24) e si integra si ottiene 32 4 5 T D 3 T0 1 / 2 Mk B T 1 Amu L T (27) dove T0 D è la temperatura iniziale a cui inizia il raffreddamento. Parliamo adesso un po’ più dettagliatamente dell’equazione di stato di una nana bianca e del fenomeno della cristallizzazione. Per conoscere l’equazione di stato si deve conoscere l’energia libera di Helmholtz F per un plasma completamente ionizzato di ioni ed elettroni come nel caso dell’interno di una nana bianca, nel limite di accoppiamento debole ione-elettrone si può scrivere come somma di più termini F Fid(i ) Fid( e ) Fee Fii Fiiq Fie (28) dove Fid(i ) e Fid(e ) sono rispettivamente l’energia libera di un gas perfetto di ioni e di elettroni, Fiiq è l’energia libera dovuta alle correzioni quantistiche, mentre Fii , Fee , Fie sono le correzioni alle energie libere dovute rispettivamente all’interazione ione-ione, all’interazione elettrone-elettrone e all’interazione ione-elettrone. Per la trattazione di questi effetti è necessario introdurre alcuni parametri tra cui: il parametro di correlazione ionica , il parametro di correlazione elettronica e ed il parametro di densità elettronica rs (definiti qui sotto) 2 2 a Ze e 5/3 Z e , e , rs e k B Ta k B Ta e a0 dove kB è la costante di Boltzmann, a0 è il raggio di Bohr definito come: a 0 2 , ae è la distanza me e 2 interelettronica media ae 43 ne ed a è la distanza interionica media a 43 ni = aeZ1/3, ni la densità ionica media, ne la densità elettronica media. È importante notare che Γe è definito nel limite di e2 elettroni non degeneri, mentre nel caso degenere è dove εF è l’energia di Fermi. Un altro aspetto a F di cui si deve tener conto sono gli effetti quantistici sul moto degli ioni che diventano sempre più importanti a mano a mano che cresce la densità e al diminuire della temperatura, per stimare i quali si introduce il parametro η p 3 (29) k BT Rs 1 / 3 1 / 3 17 1/ 2 4Z 2 e 2 ni m è la frequenza di plasma degli ioni, mentre Rs i rs Z 7 / 3 è il parametro di dove p mi me densità ionica. La componente elettronica è caratterizzata dal parametro di degenerazione θ e dal parametro relativistico xr p T , xr F TF me c dove TF me c 2 / k B 1 x r2 1 è la temperatura di Fermi mentre p F 3 2 ne è l’impulso di Fermi. Le proprietà di schermo elettronico si esprimono in termini del numero d’onda di Thomas1/ 3 1/ 2 n Fermi kTF 4e 2 e dove μ è il potenziale chimico degli elettroni. In figura 7 è riportato l’andamento del parametro di correlazione Γ per un plasma di puro carbonio ad una temperatura di 106K. Figura 7 : Andamento del parametro di correlazione al variare della densità per un plasma di carbonio ad una temperatura di 106K (da Prada-Moroni 2001, tesi di dottorato) Per alte densità e basse temperature, come nel caso delle nane bianche diventano importanti le interazioni coulombiane degli ioni, i quali tendono a formare un reticolo rigido che minimizza la loro 3 energia totale. Questo accade quando l’energia di agitazione termica ( k B T ) diventa comparabile con 2 l’energia coulombiana ((Ze)2/a), ovvero il parametro di correlazione ionica Γ (ricordo che Γ è proporzionale a ρ1/3/T, dove è la densità e T la temperatura) diventa maggiore di un certo valore stimato intorno a Γ =175 0.4 (Potekhin & Chabrier 2000). In generale se <<1 l’energia elettrostatica è meno importante e gli ioni seguono la distribuzione di Boltzmann, se invece >>1 l’energia cinetica degli ioni è trascurabile e quindi gli ioni cristallizzano. All’interno di una nana bianca il fronte della cristallizzazione procede dall’interno e si sposta gradualmente verso l’esterno durante il raffreddamento. Se nel calcolo del tempo di raffreddamento si considera anche il rilascio del calore latente di cristallizzazione (-q kBT) il tempo di raffreddamento aumenta di un fattore di circa 1.6 ( vedi Lamb & Van Horn,1975) dato che viene rilasciata la seguente quantità di energia: 18 Ecalorelatente q 2 Etermica 3k BT / 2 3 (30) Dalle equazioni che descrivono la nana bianca si evince che i tempi evolutivi durante il raffreddamento variano a seconda della massa della nana bianca. La figura 8 (sinistra) mostra l’andamento della luminosità in funzione del tempo per masse diverse ed il tempo impiegato dalle strutture ad evolvere da logL/L = -4.5 a logL/L = -5.4 (cristallizzazione) e da logL/L = -1 a logL/L = - 4 (precristallizzazione) al variare della massa (destra). Si nota che al crescere della massa delle nane bianche aumenta la durata della fase di pre-cristallizzazione e diminuisce quella della fase cristallizzata. Figura 8 (sinistra): Luminosità (in L) della stella in funzione del tempo (in Gyr) per nane bianche di diversa massa. (destra): Tempo impiegato (in 109 anni) dalle nane bianche ad evolvere da logL/ L = -1 a logL/ L = -4 (linea tratteggiata) e da logL/ L = -4.5 a da logL/ L = -5.4 (linea continua) al variare della massa ( da Prada Moroni 2001, tesi di dottorato). Infatti, maggiore è la massa della nana bianca maggiore sarà la sua capacità termica totale, e di conseguenza la sua riserva termica, mentre allo stesso tempo, per la relazione massa - raggio, diminuisce la superficie irraggiante. Questi fattori influenzano entrambi il processo di raffreddamento rallentando la fase di pre-cristallizzazione. Una volta in fase di cristallizzazione, invece, le nane bianche con massa maggiore sperimentano prima il raffreddamento di Debye, e poiché in questa fase la capacità termica diminuisce come T³, Figura 9: Luminosità corrispondente all’inizio della cristallizzazione (linea continua) e alla fine della cristallizzazione (linea tratteggiata) per nane bianche di diversa massa (da Prada-Moroni 2001, tesi di dottorato). 19 viene accelerata la perdita di energia termica nella fase finale dell’evoluzione. Anche l’inizio della cristallizzazione cambia a seconda della massa. Come abbiamo visto la cristallizzazione ha luogo quando il parametro di correlazione ionica , diventa maggiore di un certo valore e quindi, se la massa aumenta cresce anche la densità (ricordiamo che M2 ), e deve anche crescere la temperatura (e di conseguenza anche la luminosità) a cui avviene la cristallizzazione dato che è proporzionale a 1/3/T. Tale andamento è ben visibile in figura 9 in cui è riportata la luminosità corrispondente all’inizio della cristallizzazione (linea continua) ed alla fine di tale fase (linea tratteggiata) per nane bianche con massa diversa. Abbiamo già visto che il nucleo di una nana bianca tipico è composto di carbonio ed ossigeno, poiché il parametro di correlazione dell’ossigeno è maggiore di quello del carbonio accade che l’ossigeno cristallizza prima del carbonio, quest’ultimo inizia la transizione di fase solo quando l’ossigeno è in gran parte (circa il 65%) cristallizzato (vedi figura 10). Figura 10: Coordinata in massa del fronte di cristallizzazione del carbonio (linea continua) e dell’ossigeno (linea tratteggiata) in funzione della luminosità della stella (in L) (da Prada-Moroni, 2001, tesi di dottorato). Chiaramente i tempi di raffreddamento di nana bianca sono influenzati dal rilascio del calore latente di cristallizzazione. Come si può notare dalla figura 11 in cui sono riportati gli andamenti della luminosità in funzione del tempo di una nana bianca di 0.6 M per un modello standard (che comprende il rilascio del calore latente) (linea continua) e per un modello in cui tale rilascio non è considerato (linea tratteggiata), il rilascio del calore latente influenza l’evoluzione di una nana bianca non solo durante la cristallizzazione ma anche dopo che questa fase è terminata (logL/L - 4.3) producendo un ritardo di circa un miliardo di anni per modelli con logL/L < -5.5. Durante la cristallizzazione oltre al rilascio del calore latente può avvenire un ulteriore rilascio di calore determinato dalla sedimentazione del nucleo di carbonio ed ossigeno. Il forte campo gravitazionale presente all’interno della nana bianca provoca la sedimentazione dell’ossigeno che è più pesante dando luogo alla separazione dei due elementi. Questo fenomeno produce un rilascio di energia gravitazionale che porta ad un ulteriore rallentamento nel raffreddamento che nel caso di una nana bianca DA con massa tipica e con luminosità di circa logL/L ~ -4.5 è del 14 % (Chabrier et al. 2000). 20 Figura 11: Luminosità in funzione del tempo (in miliardi di anni) per il modello standard (linea continua) e per un modello calcolato in assenza del calore latente di cristallizzazione (linea tratteggiata) (da Prada-Moroni 2001, tesi di dottorato). Tale fenomeno, così come il rilascio di calore latente, non è facile da valutare a causa delle incertezze non trascurabili sulle percentuali di carbonio ed ossigeno nel nucleo dovute all'indeterminazione presente sulla sezione d’urto della reazione 12C (,) 16O (si veda paragrafo 5.2). Un ulteriore ritardo nel processo di raffreddamento di efficienza maggiore della cristallizzazione e molto importante per le nane bianche fredde, (come evidenziato da Fontaine et al. 2001), è l’accoppiamento convettivo, vale a dire il contatto che avviene tra l’inviluppo che, diventato totalmente convettivo, arriva a contatto con il nucleo degenere. Tale fenomeno è associato al cambiamento di pendenza nella curva di raffreddamento registrato a basse luminosità logL/L ~ -4.5 dovuto al fatto che la convezione appiattisce il gradiente di temperatura esistente tra l’interno e l’inviluppo rispetto a modelli di strutture con inviluppo totalmente radiativo. Come si può vedere dalla figura 12 in cui è riportata la derivata della curva di raffreddamento rispetto alla magnitudine bolometrica in funzione della luminosità per nane bianche di diversa massa, questo rallentamento è più importante di quello indotto dalla cristallizzazione perché avviene in un intervallo di luminosità più ristretto e cambia quindi in maniera sensibile la pendenza della curva di raffreddamento influenzando, ovviamente, la funzione di luminosità. Anche in questo caso risulta fondamentale l’uso di modelli di atmosfera accurati; Tassoul, Fontaine e Winget (1990) avevano già allora fatto notare che sostituire un modello di atmosfera dettagliato con l’approssimazione più semplice di atmosfera grigia porta ad una sovrastima dell’estensione della convezione superficiale e quindi ad un anticipo del contatto tra la convezione ed il nucleo isotermo elettronicamente degenere, ovvero del momento in cui si “cortocircuita” la riserva termica con la superficie irraggiante accelerando il processo di raffreddamento. 21 Figura 12: Derivata della curva di raffreddamento rispetto alla magnitudine bolometrica in funzione della luminosità per nane bianche di varia massa (M = 0.2, 0.3, 0.4, 0.5, 0.6, 0.7, 0.8, 0.9, 1.0, 1.1, 1.2, 1.3 M). Solo la 0.2 M è disposta correttamente rispetto all’asse delle ordinate, tutte le altre sono state traslate verticalmente per facilitare la lettura. Il primo cerchio vuoto rappresenta l’inizio della cristallizzazione mentre l’ultimo indica il punto in cui il 98% della struttura è solidificata; il cerchio pieno individua la penetrazione della convezione nel nucleo elettronicamente degenere (Da Fontaine et al. 2001). Come si può vedere dalla figura 13, in cui sono riportati gli andamenti della temperatura centrale in funzione della luminosità per nane bianche di 0.5 M (linea continua) e 0.9 M (linea tratteggiata) il cambiamento di pendenza avviene a luminosità minori per masse maggiori (si veda anche la figura 14 (sinistra)). Questi andamenti si spiegano considerando che a parità di temperatura effettiva, per la relazione tra massa e raggio e quella di Stefan- Boltzmann risulta che i modelli con massa maggiore hanno luminosità minore. Figura 13: Andamento della temperatura centrale (in K) in funzione della luminosità (in L per una nana bianca di 0.5 M (linea continua) e per una di 0.9 M (linea tratteggiata) (da Prada Moroni 2001, tesi di dottorato). 22 Un’altra caratteristica di questo fenomeno come si può notare dalla figura 14 (destra) è che al crescere della massa corrisponde un incremento della temperatura effettiva al momento del contatto convezionedegenerazione. Ciò accade perché il fronte della regione elettronicamente degenere si propaga più velocemente verso l’esterno nelle nane bianche più massicce e quindi più dense. Quando la convezione irrompe nella riserva termica tutto l’inviluppo diventa più trasparente e l’eccesso di energia termica iniziale produce il rallentamento osservato, ma dopo che è stato liberato questo eccesso di energia la convezione ha l’effetto opposto, cioè accelera il processo di raffreddamento rispetto ai modelli che hanno inviluppo radiativo perché a questo punto la riserva termica risulta meno isolata di prima. Figura 14 (sinistra): Luminosità (in L ) corrispondenti alla fase di contatto tra la convezione superficiale ed il nucleo elettronicamente degenere in funzione della massa (in M ). (destra):Temperatura (in K) a cui avviene il contatto tra la convezione superficiale ed il nucleo elettronicamente degenere in funzione della massa (in M) (entrambe le figure da Prada Moroni 2001, tesi di dottorato). 3.4 Evoluzione in AGB e relazione tra massa nana e massa del progenitore Definire con precisione la relazione tra la massa di una nana bianca e quella del progenitore è un problema ancora aperto. La conoscenza della massa del progenitore è fondamentale per tracciare la storia evolutiva della stella prima che entri sulla sequenza di raffreddamento e dunque permette di avere maggiori informazioni sui parametri principali che influenzano la sequenza di raffreddamento. Tali parametri sono, a parte la massa totale, la composizione chimica del nucleo, in particolar modo le percentuali di carbonio ed ossigeno presenti, e lo spessore dell’inviluppo di elio e di quello di idrogeno. Dopo la fase di ramo orizzontale le stelle che hanno un inviluppo sottile (stelle piccole o che hanno subito forti perdite di massa in RGB tali che l’inviluppo di elio ed idrogeno è inferiore a circa 0.02 M, (Caloi 1990)) non possiedono un inviluppo sufficiente per supportare la fase di AGB e quindi vanno direttamente in nana bianca. Stelle con inviluppo maggiore (che non hanno perso molta massa in fasi precedenti o stelle più massicce) sperimentano la fase di AGB durante la quale, in particolar modo nelle fasi finali dei pulsi termici, vengono accresciute le dimensioni del nucleo di carbonio ed ossigeno. Durante la fase di ramo asintotico la struttura perde massa sotto forma di vento stellare, finché ad un certo punto inizia la fase di supervento che strappa praticamente tutto l’inviluppo (fase di nebulosa planetaria). Il meccanismo responsabile dell’innesco del supervento e la conseguente uscita dall’AGB non è ancora molto chiaro ed è per questo motivo che ancora non si riesce a prevedere dopo quanti 23 pulsi termici una stella di ramo asintotico diventa una nana bianca. La complessità di questa fase evolutiva è testimoniata dalla presenza in letteratura di significative differenze nei modelli di AGB e nelle varie trattazioni dei pulsi termici (a tale proposito si vedano ad esempio Straniero et al. (1997), Dominguez et al. (1999), Blocker et al. (2000), Herwig (2000)). La figura 15 mostra varie traiettorie evolutive al variare della perdita di massa nella fase di RGB; l’efficienza della perdita di massa è regolata dal parametro di perdita di massa di Reimers R definito nel seguente modo: M( M L/ L ) 4 10 13 R yr gR / R (31) dove M è la quantità di massa persa dalla stella, L la luminosità della stella, M la sua massa , Teff la sua temperatura effettiva e g l’accelerazione di gravità, M , L , R indicano rispettivamente la massa, la luminosità ed il raggio del Sole. Nel riquadro (a) è mostrata l’evoluzione di una stella che dopo il flash dell’elio va in ramo orizzontale e poi in AGB, fa i pulsi termici e vari flash CNO prima di entrare in nana bianca. In figura (b), a differenza della figura (a), si nota che la stella esce dall’AGB prima dei pulsi termici andando poi in nana bianca dopo vari flash CNO. Le figure (c) e (d) mostrano due casi di “AGB manqué”: la stella innesca il flash dell’elio fuori dall’RGB va poi in ramo orizzontale e poi in nana senza sperimentare la fase di ramo asintotico. Nel riquadro (e) è, invece illustrata l’evoluzione di una stella che terminato l’RGB va in curva di raffreddamento dove innesca la combustione dell’elio, quindi sperimenta una fase di ramo orizzontale molto blu ed infine torna in nana bianca. In figura (f) la stella subisce forti perdite di massa (R = 0.937) e una volta uscita dall’RGB va in nana bianca senza innescare la combustione dell’elio. Figura 15: Tracce evolutive al variare della perdita di massa. Le linee continue rappresentano le fasi evolutive dalla sequenza principale fino all’innesco del flash dell’elio. Le linee a punti indicano le fasi evolutive successive alla combustione centrale dell’elio fino alla fase di nana bianca. L’asterisco indica il punto di massima efficienza del flash dell’elio (da Brown et al. 2001). 24 La relazione (Mi-Mf) esistente tra la massa iniziale del progenitore e la massa finale della nana risulta molto importante per la determinazione della funzione di luminosità teorica, riuscire a determinarla sia empiricamente che teoricamente, però, è molto difficile (si veda a tal proposito la discussione del problema da parte di Weidemann (2000)). Nel 1983 Weidemann & Koester presentarono una relazione massa nana-massa progenitore semiempirica. Il metodo usato consisteva nel determinare l’età di raffreddamento della singola nana bianca confrontando i valori dell’accelerazione gravitazionale superficiale e della temperatura effettiva ottenuti spettroscopicamente con i valori predetti dai modelli di raffreddamento. Sottraendo dall’età dell’ammasso stellare l’età di raffreddamento si ottiene il tempo impiegato dal progenitore a raggiungere lo stadio di nana bianca, poiché questo tempo dipende dalla massa si può ottenere quella del progenitore dal confronto con le previsioni dei modelli teorici.Tuttavia tale metodo è molto sensibile al modello teorico usato, di conseguenza i tempi di raffreddamento risultano molto incerti, così come l’effetto delle assunzioni fatte sull’estensione del nucleo convettivo sull’evoluzione di nana bianca. In figura 16 sono riportate alcune delle relazioni Mi-Mf presenti in letteratura. Figura 16: Relazione massa iniziale-massa finale secondo alcuni autori per stelle con Z = 0.02. Dall’alto verso il basso Girardi et al. (2000), Herwig (1995), Dominguez et al. (1999), Weidemann (2000) (linea continua), Weidemann (1987). I quadrati rappresentano la massa del nucleo di C-O all’inizio dei pulsi termici, i triangoli la massa del nucleo di C-O alla fine dell’AGB, i numeri sopra i triangoli indicano il numero di pulsi termici sperimentati dalla stella prima della fine della fase di AGB secondo Dominguez et al. (1999) (da Coraggio 2002, tesi di laurea). 3.5 Distribuzione in massa delle nane bianche 3.5.1 Determinazione della massa dall’accelerazione gravitazionale Il metodo più usato per la determinazione della massa delle nane bianche è quello della misurazione dell’accelerazione gravitazionale superficiale. Analizzando lo spettro della radiazione emessa dalle nane bianche è possibile, confrontando le osservazioni con i modelli teorici di atmosfera risalire al valore dell’accelerazione gravitazionale e della temperatura effettiva. Dalla temperatura effettiva, ancora usando modelli teorici, si ricava la luminosità e quindi il raggio della stella. Sfruttando la relazione classica: g = GM/R2 (32) 25 si può calcolare la massa. Questo metodo è particolarmente diffuso poiché è possibile compiere misure estremamente accurate dello spettro stellare ed i modelli di atmosfera, soprattutto per nane bianche DA, sono ritenuti particolarmente attendibili, inoltre le DA analizzabili spettroscopicamente sono molto più numerose di quelle che possono essere analizzate con gli altri metodi. I lavori più recenti sono quelli di Bergeron et al. (BSL, 1992) che fornisce un valor medio di M = 0.562 0.137 M e di Finley et al. (FKB,1997) che indica Mmedia = 0.570 0.060 M . 3.5.2 Determinazione della massa dal redshift gravitazionale Per nane bianche appartenenti a sistemi binari con orbite con grande semiasse maggiore (< a > 103 UA) è possibile compiere misure accurate del redshift gravitazionale. Queste stelle hanno infatti una bassa velocità orbitale ( 1 km/s) inoltre la grande distanza tra le due stelle del sistema garantisce che esse si siano evolute come stelle singole senza fenomeni di scambi di massa. Il redshift gravitazionale è una conseguenza della teoria della relatività generale e si basa sul fatto che i fotoni che escono da un campo gravitazionale perdono energia e quindi aumentano la loro lunghezza d’onda. Nell’approssimazione di campo debole si può scrivere: vg c 0 0.635 M / 1M km / s R / 1R (33) Dove vg è il redshift gravitazionale, M , R sono rispettivamente la massa ed il raggio del Sole. Esso è espresso come una velocità poiché rappresenta lo spostamento verso il rosso che avrebbe la luce emessa da una sorgente che si muove con velocità vg radiale rispetto all’osservatore. Stimando la temperatura effettiva e la distanza della stella è possibile risalire alla luminosità assoluta e di conseguenza al raggio, e quindi grazie alla relazione (33), determinare la massa. Lo spostamento di riga più facile da osservare per questo fenomeno è quello della riga H e questo limita le osservazioni alle nane DA. Silvestri et al (2001) hanno usato questo metodo su un insieme di 41 DA ed hanno trovato una distribuzione che ha una media < M > = 0.68 0.03 M e a M = 1.12 0.03 M . Questo strano comportamento si deve attribuire, secondo gli autori, alla particolarità dell’insieme di nane osservato, infatti, omettendo 5 nane particolarmente massive, si ottiene una distribuzione in massa con media intorno a M = 0.61 0.03 M , che è equivalente, all’interno degli errori, con le distribuzioni ottenute da McMahan (1989), Bergeron et al. (1995) e Reid (1996). In tabella 1 sono riassunti i valori medi delle distribuzioni in massa ottenute da alcuni autori; poiché queste distribuzioni sono molto piccate essi corrispondono praticamente al valore di picco. Come si può notare il valore più probabile suggerito da questi studi è 0.6 M. Silvestri et al. (2001), per confrontare la compatibilità di diversi metodi, ha fatto la media dei valori di picco trovati da quattro recenti lavori che utilizzano il redshift gravitazionale, ottenendo < M > = 0.62 0.05 M , e di sei lavori che hanno usato il metodo dell’accelerazione gravitazionale, ottenendo < M > = 0.60 0.04 M. Valori medi delle distribuzioni di massa di nane bianche DA Autore Valore medio (M) Dispersione (M) Weidemann & Koester 0.603 0.133 1984 Bergeron et al. 1992 0.562 0.137 Silvestri et al. 2001 0.68 0.04 26 Metodo M(g) M(g) M(vg) Silvestri et al 2001* 0.61 0.03 M(vg) Tabella 1: Valore medio delle distribuzioni in massa delle nane bianche DA ottenute da alcuni autori con metodi diversi: M(g) massa dall’accelerazione di gravità, M(v g) massa dal redshift gravitazionale. * Il valore qui riportato è quello suggerito da Silvestri et al. (2001) escludendo dal suo campione 5 stelle di massa particolarmente elevata. 4 La funzione di luminosità delle nane bianche 4.1 La funzione di luminosità teorica Le nane bianche raffreddano in tempi scala superiori all’età dell’universo quindi la loro funzione di luminosità risulterà troncata ad un certo valore (cut-off) indicando l’età finita del sistema stellare considerato; dal confronto tra il cut-off teorico e quello osservativo si ricava l’età del sistema stellare in esame. La funzione di luminosità delle nane bianche di un dato sistema stellare di età t rappresenta la densità spaziale delle nane bianche ad una data luminosità e può essere ricavata dalla seguente formula che, come si può vedere, è una convoluzione tra il tasso di formazione stellare (), la funzione iniziale di massa (), e il tasso di raffreddamento: M up n( L) M min dtraff dMbol L, Mm t t L, Mm t wd raff wd ms M M dM (34) l’integrazione è effettuata sulla massa del progenitore della nana bianca, i limiti di integrazione sono dati da Mup che è la maggiore massa stellare che termina l’evoluzione come nana bianca, Mmin è invece la minima massa iniziale della stella che, data l’età del sistema stellare, diventa una nana bianca di luminosità L e si ottiene dalla relazione traff L, Mmin mwd tms Mmin tsist (35) dove traff L, M mwd è il tempo di raffreddamento fino alla luminosità L di una nana bianca di massa mwd con un progenitore di massa M, t ms M è il tempo impiegato da una stella di massa M a raggiungere la fase di nana bianca, tsist è l’età del sistema stellare, M mwd è la relazione tra la massa iniziale del progenitore M e la massa della nana bianca mwd . L’equazione (35) è conseguenza del fatto che per una data luminosità L, la nana bianca più vecchia (cioè quella con il progenitore meno massivo) deve avere un’età complessiva (età del progenitore più il tempo di raffreddamento) uguale a quella del sistema. Per ricavare la funzione di luminosità occorre conoscere la relazione tra la massa della nana bianca e la massa del progenitore, il tasso di formazione stellare del disco e la funzione di massa iniziale . Il tasso di formazione stellare nel disco è un problema ancora aperto sul quale i ricercatori non sono concordi: c’è chi propone un andamento discontinuo con vari burst di formazione, un tasso di formazione stellare crescente nel passato oppure una formazione stellare costante nel tempo (si veda ad es. Shore et al. 1995) od altro. Ad esempio Rocha-Pinto et al. (2000) sostengono che il disco galattico sia stato caratterizzato da periodi in cui la formazione stellare è stata particolarmente elevata avvenuti ad età tra circa 0 ed 1 Gyr, tra 2 e 5 Gyr e tra 7 e 9 Gyr. A causa delle incertezze tuttora presenti, molti 27 autori assumono per l’analisi della funzione di luminosità di nana di disco un tasso di formazione stellare costante (si vedano ad esempio Hansen (1999), Castellani et al. (2001) e Fontaine et al.(2001)). La funzione di massa iniziale fornisce, invece, il rapporto tra il numero di stelle che si formano per intervallo di massa ed il numero totale di stelle, vale a dire come si distribuisce la massa di un sistema all’inizio della sua formazione. In realtà quello che interessa è la funzione di massa iniziale per stelle che vanno in nana bianca con un’età inferiore od uguale a quella dell’età delle stelle di disco età che, come vedremo, è sicuramente minore di 12 Gyr, età stimata dell’alone. Con questo criterio si considerano per il calcolo della funzione di luminosità solo stelle con massa maggiore di circa 0.8 M Per tali masse i ricercatori sono concordi per un andamento della funzione di massa iniziale del tipo dN/dM M- con = 2.3± 0.3 (si veda ad es. Kroupa 2001). Un altro parametro importante è dtraff cioè la velocità di raffreddamento, che si può ricavare dalla curva di raffreddamento. Un dM bol parametro fondamentale risulta essere anche la relazione tra la massa della nana bianca e la massa del progenitore (si veda paragrafo 3.4). La funzione di massa iniziale (o IMF) e lo star formation rate (o SFR) influenzano direttamente l’andamento della funzione di luminosità. Il tratto del ramo ascendente ad alte luminosità è dominato dalla perché in questa zona si trovano stelle ancora giovani (ovvero con età molto inferiore a quella del disco). La zona a cavallo del picco risente sia dell’effetto della sia di quello della . La caduta è influenzata principalmente dal tasso di formazione stellare e dall’età, mentre la luminosità minima dipende solo dall’età. Figura 16: Funzioni di luminosità per età diverse del disco galattico da (Fontaine et al. 2001). Le età assunte per il disco variano da 8 a 16 Gyr in passi di 1 Gyr. Le curve sono normalizzate ad un punto arbitrario indicato dal cerchietto aperto. L’andamento caratteristico delle funzioni di luminosità teoriche è illustrato in figura 16 in cui sono riportate le funzioni di luminosità teoriche di Fontaine et al. 2001; ciascuna delle curve fornisce il numero di stelle n(L) ad una data luminosità in funzione della luminosità per una assunta età del disco galattico, le età considerate vanno da 8 a 16 miliardi di anni con intervalli di 1 miliardo di anni. Si può notare come nella parte ascendente della curva la forma della funzione di luminosità non sia sensibile all’età del sistema poiché cresce in maniera monotona fino al picco che si manifesta a logL/L ~ - 4. Tale picco indica la manifestazione della cristallizzazione del nucleo e della penetrazione della convezione nella zona elettronicamente degenere come indicato da tali autori. La pendenza del ramo 28 discendente è, al contrario, fortemente dipendente dall’età del sistema ed è la caratteristica che permette di ricavare l’età dello stesso sistema. Si può notare dalla figura che più il sistema è giovane più è ripida la pendenza. Ciò si spiega considerando che se diminuisce l’età del sistema diventa minore il numero di nane bianche che hanno avuto il tempo necessario per raffreddare al di sotto del picco ovvero che hanno avuto il tempo per sviluppare la cristallizzazione del nucleo. Infatti, dato che con la cristallizzazione i tempi di vita rallentano, la maggior parte della nane bianche locali (che possiedono una massa intorno alla massa media stimata) si sono accumulate attorno al valore di logL/L ~ - 4, mentre quelle più massicce, ma meno numerose, popolano la coda a basse luminosità, perché nello stesso tempo sono arrivate in fase di raffreddamento di Debye. Confrontando, perciò, le funzioni teoriche, in modo particolare i rami discendenti delle curve teoriche, con i dati osservativi si riesce ad avere una stima dell’età del sistema. Figura 17: Funzioni di luminosità osservative. I dati ad alte luminosità (linea a tratti) sono presi da Fleming, Liebert & Green (1986); i simboli pieni e la linea continua indicano i dati di Leggett et al. (1998) mentre i simboli aperti sono i dati di Liebert, Dahn & Monet (1988) (da Leggett et al. 1998). 4.2 La funzione di luminosità osservativa Una funzione di luminosità osservativa recente e sufficientemente precisa per le stelle di disco è quella di Leggett et al. 1998 riportata in figura 17. Gli autori di questo articolo si sono basati su un campione già osservato da Liebert, Dahn, & Monet (1988) costituito da 43 nane bianche identificate spettroscopicamente. Per tali stelle Leggett et al. hanno ottenuto nuovi dati nell’infrarosso e nel visibile completando quelli già in possesso di Liebert et al. e migliorando la determinazione delle magnitudini bolometriche In particolare, le loro osservazioni si sono rivolte alle nane bianche fredde (con temperatura effettiva minore di 8000 K) perché sono quelle che determinano la parte a bassa luminosità (turnover) della funzione di luminosità che fornisce indicazioni sull’età del sistema. Per i dati ad alte luminosità si sono basati su campioni di nane bianche con atmosfera di idrogeno pubblicati da Fleming, Liebert & Green (1986) già usati nel loro lavoro da Liebert et al. (1988). In figura 17 la linea a tratti rappresenta la funzione di luminosità per le nane bianche calde basata sul lavoro di Fleming et al. (1986), i simboli vuoti sono i dati di Liebert et al. (1988) mentre i simboli pieni sono i dati ottenuti da Leggett et al. (1998); i cerchi ed i quadrati pieni identificano i dati ottenuti tramite due diversi metodi usati per passare dalle magnitudini visuali osservate alle magnitudini bolometriche. In generale, i dati fotometrici ottenuti in una certa banda devono essere convertiti nella luminosità assoluta della stella da confrontarsi con le previsioni teoriche (o viceversa). Diventa quindi 29 determinante avere a disposizione dei buoni modelli di atmosfera stellare cosa non banale per stelle dense e fredde. In particolare occorre includere nei modelli di atmosfera le collisioni delle molecole di H ed He e calcoli per l’allargamento della riga H che influenzano in modo significativo l’opacità degli strati esterni. Per la loro funzione di luminosità Leggett et al. hanno usato i modelli di atmosfera di Bergeron, Saumon, & Wesemael (1995) i quali mostrarono che per Teff 5000K lo spettro di distribuzione dell’energia uscente da atmosfere particolarmente dense (log g 89 cm/s2) si discosta notevolmente dallo spettro di corpo nero a causa di assorbimenti indotti dalle collisioni H2-H2 e H2-He come si può vedere in figura 18 (sinistra) dove è riportato il confronto tra lo spettro di corpo nero con Teff di 4000K(linea a punti) con lo spettro della radiazione uscente (linea continua spessa) e con quello di puro elio (linea continua sottile). È utile sottolineare che nel regime di temperature così basse tali collisioni sono la principale sorgente dell’opacità, come si può vedere in figura 18 (destra), influenzando significativamente il rilascio dell’energia. Figura 18 (sinistra): Spettro emergente per un’atmosfera di puro idrogeno (linea continua spessa) e per un’atmosfera di puro elio (linea continua sottile). La linea a punti è la funzione di Planck (calcolata per Teff = 4000K). La linea a tratti è lo spettro emergente per un’atmosfera mista di H/He, con 10% di H. (destra): Opacità in funzione della lunghezza d’onda dei principali contributi per un’atmosfera di puro idrogeno (10-2 g/cm3, riquadro superiore) e di puro elio ( 100 g/cm3, riquadro inferiore) con T eff =4000 K e log g(cm/s2) = 8. (Riquadro superiore): il rapido incremento di opacità per λ > 1μm mostra l’importanza della formazione delle molecole. (Riquadro centrale): funzione di Planck a queste temperature (da Hansen 1999). Un altro passaggio delicato è l’uso di modelli evolutivi; ad esempio Leggett et al. hanno usato i modelli di nana di Wood (1990, 1995) per derivare, una volta noti raggio e temperatura, la massa della stella e successivamente la gravità superficiale. Il problema principale nella determinazione della funzione di luminosità osservativa risiede, comunque, nella completezza del campione di stelle a disposizione. 30 Figura 19: Confronto tra le funzioni di luminosità osservative e teoriche. I dati osservativi sono di Leggett et al 1998 (cerchietto pieno) e di Knox et al. 1999 (cerchietto vuoto) Le linee continue sono le funzioni di luminosità teoriche di Fontaine et al. (2001) calcolate per età da 8 a 14 Gyr su modelli con nucleo di puro carbonio (da Fontaine et al. 2001). Leggett et al. (1998) hanno utilizzato il metodo di Schmidt (1968, 1975) (di cui non entreremo nel merito perché esula dagli scopi di questa tesina) per la creazione della loro funzione di luminosità che permette di avere anche una stima dell’incompletezza del campione di stelle. Secondo tale metodo il campione usato da Leggett et al. risulta leggermente incompleto ma gli autori hanno stimato che l’errore che può derivare da tale incompletezza è comunque all’interno degli errori nella determinazione della funzione di luminosità e quindi non inficia la validità della funzione di luminosità così costruita. Si può vedere dalla figura 17 che le nane bianche tendono ad addensarsi verso luminosità intorno logL/L ~ - 4 valore per cui la funzione di luminosità presenta un picco che corrisponde ad una magnitudine bolometrica di ~ 14.75 ed una temperatura effettiva di ~5300 K. Andando verso valori di luminosità inferiori la funzione di luminosità presenta una discesa la cui ripidità dipende dall’età del sistema considerato. Un tale andamento è visibile anche in figura 19 che mostra il confronto di funzioni di luminosità teoriche di Fontaine et al. (2001) con i dati osservativi di Leggett et al. (1998) e quelli di Knox et al. (1999). Dalla figura 19 sembra esserci un discreto accordo tra i dati di Leggett et al. (1998) e quelli di Knox et al. (1999); tale risultato sembra significativo dal momento che questi dati osservativi costituiscono due set di dati ottenuti con metodi diversi: tramite una selezione basata sul moto proprio (Leggett et al. (1998), per mezzo di una selezione colorimetrica in aggiunta a quella di moto proprio (Knox et al. (1999)). Va accennato, per inciso, che la selezione delle stelle basata sul moto proprio è fondamentale per distinguere le nane di disco da quelle di alone che hanno velocità orbitali elevate (vedi Hansen 1999). L’accordo teoria-osservazione che si ha fino alla regione del picco deve essere interpretato con una certa cautela dato che la regione del picco è influenzata sia dall’IMF che dalla SFR e quindi si possono ottenere risultati simili con diverse combinazioni di IMF e di SFR. Cioè questa caratteristica strutturale non è molto sensibile all’IMF e la SFR da adottare. Inoltre per quel che riguarda la zona a più alte luminosità, la forma della funzione di luminosità è scarsamente dipendente dalla massa delle nane e quindi anche dalla SFR. 31 Figura 20 (pannelli di sinistra): Confronto tra le funzioni di luminosità teoriche di Hansen (1999) per età del disco di 6, 8, 10 e 12 Gyr ed i dati osservativi di Liebert et al. (1988) (cerchi pieni) ed i dati di Fleming et al. (1986). (cerchi vuoti) (Il riquadro superiore si riferisce a modelli con atmosfera di H e l’inferiore a modelli con atmosfera di He (pannelli di destra) Confronto tra le funzioni di luminosità teoriche di Hansen per età del disco di 4, 6, 8, 10, 12 Gyr ed i dati di Oswalt et al. (1996). (Da Hansen 1999). 5 L’età del disco galattico 5.1 Determinazioni dell’età del disco galattico Esistono in letteratura numerosi lavori riguardo alla determinazione dell’età del disco galattico dalla funzione di luminosità delle nane bianche che forniscono stime comprese tra gli 8 e gli 11 miliardi di anni. Ad esempio la diversità dei risultati dipende principalmente dalle diverse funzioni di luminosità teoriche e dati osservativi adottati. Hansen (1999) (vedi figura 20) fornisce due set di risultati in base a due diversi campioni osservativi fittati con modelli teorici calcolati per atmosfera di puro H o di puro He. Per nane bianche con atmosfera di idrogeno ottiene 8 1 Gyr con il campione di LDM e 9.5 1.5 Gyr per il campione di Oswalt et al. (1996) (OSWH), mentre per le nane con atmosfera di elio ottiene 5.5 0.5 Gyr per il campione di LDM e 8 2 Gyr per il campione di (OSWH) (vedi figura 20). Fontaine et al. 2001 ricavano un’età di ~ 11 Gyr per modelli di nana bianca con nucleo di puro carbonio (vedi figura 16) e ~ 8.5 Gyr per modelli con nucleo di puro ossigeno. Leggett et al. stimano l’età del disco fittando le osservazioni con le funzioni di luminosità teoriche ricavate da Wood (1995) (vedi figura 21 (sinistra)) ottenendo un’età di 8 0.5 Gyr. Leggett et al. hanno poi fittato i loro dati 32 anche con la funzione di luminosità di Hernanz et al. (1994) da cui hanno ricavato una stima di ~ 9 Gyr (vedi figura 21 (destra)) Figura 21 (sinistra): Funzione di luminosità osservativa (cerchietti neri) di Leggett et al. 1998 fittata con le funzioni di luminosità teoriche di Wood 1995 corrispondenti ad età di 7 Gyr (linea a tratti) ,8 Gyr ( linea continua) e 9 Gyr (linea trattopunto). (destra): Funzione di luminosità osservativa (cerchietti pieni) di Leggett et al. (1998) fittate con le funzioni di luminosità teoriche di Hernanz et al. (1994) corrispondenti ad età di 8 Gyr (linea a tratti); 9 Gyr (linea continua) e 10 Gyr (linea tratto-punto). (Da Leggett et al. 1998). 5.2 Incertezze dei risultati Il range relativamente ampio di età stimate per il disco dai vari autori è dovuto sia ad incertezze nei modelli teorici adottati per le funzioni di luminosità teoriche sia ad incertezze osservative. Per quanto riguarda la funzione di luminosità osservativa i problemi principali sono costituiti dalla conversione in luminosità delle magnitudini osservate in una certa banda (ad esempio il visibile o l’infrarosso) tramite modelli di atmosfera accurati che tengono conto dei vari assorbimenti degli atomi e delle molecole presenti nell’atmosfera e dalla determinazione della completezza del campione esaminato su cui si basa poi la funzione di luminosità, in particolare risulta fondamentale una stima della completezza nella regione del turnover. Ricordiamo che attualmente tale porzione di curva è determinata da 1-3 stelle (Leggett et al. 1998). Un altro problema è costituito dalla presenza di stelle binarie non risolte soprattutto se presenti nella zona a bassa luminosità. L’effetto della presenza di binarie è comunque difficile da valutare perché dipende dalle caratteristiche del sistema binario, ad esempio dal rapporto delle masse e dalle fasi evolutive delle stelle componenti il sistema. Le incertezze nei modelli teorici derivano principalmente da indeterminazioni, tuttora presenti, negli input fisici e nella descrizione dei meccanismi macroscopici utilizzati nei modelli. In generale queste indeterminazioni non sono trascurabili perché le nane bianche, specialmente a bassa luminosità, sono oggetti i cui meccanismi fisici sono difficili da trattare. A basse luminosità ed alte densità, ad esempio, diviene difficile il trattamento dell’opacità, e dell’equazione di stato e quindi dell’atmosfera a causa di assorbimenti collisionali di molecole tipo H2 ed H¯. Questo è un problema soprattutto per le stelle di alone che hanno un’età comparabile a quella dell’universo. Fortunatamente per i nostri scopi, poiché il disco ha un’età inferiore a quella dell’alone, il problema diventa meno serio dato che la funzione di luminosità si arresta a logL/L ~ - 4.5. A queste luminosità la velocità di raffreddamento è determinata principalmente dalla composizione del nucleo di carbonio ed ossigeno e dalla struttura dell’inviluppo. 33 La composizione del nucleo, ovvero la percentuale di carbonio ed ossigeno presente nel nucleo, risulta una fonte di incertezza determinante come evidenziato dalle due stime per le composizioni estreme solo carbonio (età ~11 Gyr) o solo ossigeno (età ~ 8.5 Gyr), a parità di altre condizioni, ottenute da Fontaine et al. (2001). Questi due risultati potrebbero essere presi come limiti entro i quali si dovrebbe collocare l’età del disco, infatti il nucleo presenta una composizione mista di C ed O che è frutto delle reazioni nucleari che sono avvenute. Altri autori, invece, assumono composizioni miste per il nucleo (vedi ad esempio Hansen 1999, Salaris et al. 2000), ad esempio Castellani et al. hanno considerato una composizione di carbonio ed ossigeno le cui abbondanze percentuali sono calcolate sulla base dei valori ottenuti da Caughlan & Fowler 1988 per le sezioni d’urto delle reazioni 3 12C + e 12C + 16O + . La sezione d’urto dell’ultima reazione è una delle più incerte, si veda ad esempio l’analisi di tutti i dati disponibili compiuta da Buchmann et al. (1996): il tasso di reazione per una temperatura di T = 1.8 108 K è compreso tra NA< v> = 0.5 10-15 e NA< v >= 2.2 10-15 cm3/(mol·s), confrontabile con Caughlan & Fowler (1988) (CF88) (NA< v >= 0.8 10-15 cm3/(mol·s)) e Caughlan et al. (1985) (CF85) (1.9 10-15 cm3/(mol·s)) largamente usati nei codici di evoluzione stellare. Altre stime sono fornite ad esempio dalla compilazione NACRE che dà NA< v >compreso tra 0.9 10-15 cm3/(mol·s) e 2.1 10-15 cm3/(mol·s) ed un valore raccomandato di 1.5 10-15 cm3/(mol·s). Più recentemente Kunz et al. (2002) adottano un valore di NA< v> =1.24 10-15 cm3/(mol·s) che risulta compreso tra 0.68 1015 cm3/(mol·s) e 1.68 10-15 cm3/(mol·s); tuttavia è opinione comune degli esperti nel campo che l’incertezza su questa sezione d’urto non sia ancora inferiore al 50%. La difficoltà nella misurazione è dovuta principalmente al fatto che ad energie di interesse astrofisico la sezione d’urto è dominata dalle transizioni allo stato fondamentale: le due ampiezze E1 dovute alla coda a bassa energia della risonanza 1- a Ecm = 2.42 MeV ed alla risonanza sottosoglia a –45KeV, l’ampiezza E2 dovuta alla risonanza sottosoglia 2+ a –245KeV e la cattura diretta allo stato fondamentale dell’16O (Imbriani et al. (2001)). Figura 22: (sinistra) Luminosità di una nana bianca (espressa in L ) in funzione del tempo (in 109 anni) di massa pari a 0.6 M con nucleo di carbonio ed ossigeno le cui abbondanze sono date da Caughlan & Fowler (1985) (linea continua) e da Caughlan & Fowler (1988) (linea tratteggiata). (da Prada Moroni & Straniero 2002). (destra) Valore assoluto della differenza in percentuale dei tempi di raffreddamento a parità di luminosità per una nana bianca di 0.6 M al variare della composizione chimica del nucleo (da Prada Moroni 2001). L’ incertezza del valore della sezione d’urto 12C + 16O + si riflette sull’incertezza della composizione relativa di carbonio ed ossigeno presenti nel nucleo; ciò influenza l’energia a disposizione dell’interno stellare, infatti la capacità termica è inversamente proporzionale al numero di massa ed è perciò maggiore per il carbonio. A parità di altre condizioni, una capacità termica maggiore 34 produrrà un rilascio più lento del calore e quindi la luminosità avrà un diverso andamento temporale. Inoltre, diverse percentuali di carbonio ed ossigeno in fase di cristallizzazione possono influire sulla sedimentazione. I valori estremi comunemente adottati in letteratura che coprono conservativamente il range delle incertezze tuttora presenti sono quelli estrapolati da Caughlan & Fowler in base ai risultati sperimentali disponibili nel 1985 (CF85) e nel 1988 (CF88); in quest’ultimo lavoro, come abbiamo visto, l’efficienza proposta è minore di circa un fattore due rispetto a quella del 1985. I modelli che adottano la CF88 raffreddano più lentamente perché considerano una minore efficienza della reazione 12 C+ che porta ad un maggiore contenuto di carbonio nel nucleo e quindi come già accennato, ad una maggiore capacità termica a parità di altre condizioni. Adottare un valore oppure l’altro per la sezione d’urto produce differenze significative nei tempi di raffreddamento in particolare per valori di luminosità attorno a logL/L ~ - 4 ovvero per i valori più critici per la determinazione dell’età del sistema dalla funzione di luminosità. In figura 22 (sinistra) è mostrato l’andamento temporale della luminosità di due modelli di nana bianca con massa tipica pari a 0.6 M per differenti valori della sezione d’urto della 12C + ; la linea continua corrisponde al modello in cui è stata adottata la CF85 mentre quella tratteggiata rappresenta il modello con la CF88. Il diverso andamento delle luminosità dei due modelli è evidenziato in figura 22 (destra) in cui è riportato il valore assoluto della differenza percentuale dei tempi di raffreddamento si può vedere come per luminosità di interesse per il turnoff della funzione di luminosità a logL/L ~ -4 la differenza in percentuale arrivi ad un considerevole 7 %. Un’altra differenza tra le stime delle età è dovuta alla diversa composizione atmosferica, molti autori basano le loro funzioni di luminosità su campioni di nane bianche con atmosfera di idrogeno dato che queste sono la maggior parte (circa il 75 %) delle nane esistenti. Alcuni autori, si veda ad es. Hansen (1999) hanno però mostrato, (vedi figura 20) , che funzioni di luminosità basate su campioni di nane con atmosfera di elio forniscono un’età più giovane di circa 2 Gyr rispetto ai modelli con atmosfera di idrogeno. Come si può vedere in figura 20 dove sono riportate le funzioni di luminosità ricavate da Hansen per nane con atmosfera di elio e nane di idrogeno e fittate con i dati osservativi di due autori diversi, le funzioni di luminosità delle nane bianche di elio presentano un picco più allargato e per questo vengono fittate dando età più giovani. Ciò è dovuto al fatto che l’elio è meno opaco dell’idrogeno (ricordiamo che è l’opacità che regola la radiazione uscente dalla stella), quindi un’atmosfera di elio isola meno la riserva termica del nucleo causando un raffreddamento più veloce. Altre differenze consistono nel trattamento di fenomeni fisici che si verificano durante la fase di cristallizzazione ad esempio le funzioni di luminosità di Hernanz et al. 1994 includono la sedimentazione, ovvero la separazione di carbonio ed ossigeno durante la cristallizzazione. A causa dell’elevato valore della gravità l’ossigeno affonda separandosi dal carbonio, questo fenomeno permette il rilascio di energia gravitazionale che si riflette in un ritardo di circa 2 miliardi di anni nel raffreddamento rispetto a modelli in cui la sedimentazione non è considerata. 35 Figura 23: Luminosità ( in L) della stella in funzione del tempo (in 10 9 anni) per una nana bianca di massa M= 0.6 M secondo modelli di vari autori: Salaris et al. (2000) (linea a tratto lungo); Prada Moroni & Straniero (2002) (linea continua); Chabrier et al. (2000) (linea a tratto breve); Wood (1995) (linea punto-tratto); Benvenuto & Althaus (1999) (linea a punti) (da Prada Moroni & Straniero 2002). Confrontare in generale i risultati dei diversi autori è quindi difficile perché i modelli vengono ricavati usando differenti input fisici e scelte diverse sulla trattazione di meccanismi macroscopici, tali diversità sono evidenti in modo particolare per valori di luminosità corrispondenti alla regione a luminosità inferiore della funzione di luminosità (logL/L - 4.2) come si può notare in figura 23 in cui sono riportate le curve di raffreddamento di una nana bianca con massa tipica di 0.6 M come calcolate in recenti lavori. Si noti ad esempio che la differenza tra i tempi evolutivi di Salaris et al. (2000) e quelli di Wood (1995) è di circa 2.3 miliardi di anni per logL/L ~ - 4.5. È inoltre interessante notare che per la stima dell’età del disco, ciò che è sufficiente confrontare è l’andamento della regione di turnover teorico ed osservativo che dipende essenzialmente dall’età del disco. Il confronto dell’andamento di tutta la funzione di luminosità risente invece maggiormente delle assunzioni fatte sull’IMF e sulla star formation rate. Inoltre, se in aggiunta all’andamento, si volesse riprodurre il valore assoluto della funzione di luminosità occorrerebbe assumere una distribuzione spaziale per le stelle di disco (si veda ad es. Cignoni et al. 2003, figura 24). 36 Figura 24: Confronto tra una simulazione di una funzione di luminosità ed i dati osservativi Liebert et al. (1988) ed i dati di Leggett et al. (1998) (da Cignoni, Prada-Moroni, Degl’Innocenti, 2003) 5.3 Conclusioni La funzione di luminosità delle nane bianche presenta caratteristiche che permettono di stimare l’età del sistema in esame. Per quanto riguarda l’età del disco galattico le stime ottenute sono comprese tra 8.5 e 11 Gyr (a seconda delle funzioni di luminosità teoriche ed osservative utilizzate) e sono compatibili con età stimate con altri metodi. Di conseguenza l’uso delle nane bianche come orologi cosmici risulta un metodo affidabile ed estendibile alla valutazione dell’età di altri sistemi come l’alone galattico e gli ammassi globulari soprattutto in futuro quando saranno disponibili nuove osservazioni a luminosità più deboli necessarie per la stima di età di oggetti più antichi. Come abbiamo visto sono ancora presenti incertezze di varia natura sia teoriche che osservative. Per quanto riguarda le incertezze teoriche rivestono un ruolo importante la difficoltà nella determinazione della composizione chimica del nucleo delle nane bianche ed il trattamento dell’opacità e dell’equazione di stato che risulta particolarmente complesso a basse luminosità ed alte densità. Di conseguenza questi problemi diverranno ancora più critici se si vogliono stimare le età di ammassi più antichi. Appendice A Magnitudini e filtri A.1 La magnitudine delle stelle Fin dall’antichità, le stelle furono classificate in base alla loro luminosità: Ipparco nel II sec. a.C. redasse un catalogo delle stelle visibili a occhio nudo, raggruppandole in 5 classi di luminosità. Il 37 termine usato per indicare la luminosità era grandezza o magnitudine, poiché si riteneva che le stelle fossero situate tutte alla stessa distanza sulla sfera celeste, e quindi le stelle più luminose erano ritenute essere più grandi. Nel XIX secolo Pogson realizzò una calibrazione più quantitativa per cui un intervallo in magnitudine m = 1corrispondeva ad un fattore 2.5 in intensità. Considerando che la sensibilità dell’occhio all’intensità luminosa fornisce una risposta logaritmica la scala delle magnitudini viene così definita: m 2.5 log I I , std dove I,std è l’intensità di riferimento basata su un oggetto standard definito come la stella con magnitudine apparente zero ad una specifica lunghezza d’onda. Per il filtro V (del sistema di Johnson) si considera la stella Vega ( Lyrae). La magnitudine assoluta di una stella è invece definita dalla seguente relazione Mi = mi +5 –5log r dove r è la distanza della stella in parsec. Essa rappresenta la magnitudine apparente che avrebbe la stella se osservata da una distanza di 10 pc dando in tal modo, la possibilità di confrontare la luminosità delle stelle indipendentemente dalla loro distanza. Oltre a queste due magnitudini si introduce la magnitudine bolometrica assoluta, ovvero la luminosità integrata su tutte le frequenze, definita in questo modo Mbol = mv + BC = -2.5 logL/L + Mbol dove la quantità BC è detta correzione bolometrica e dipende dalle caratteristiche dell’atmosfera stellare, Mbol è invece la magnitudine bolometrica assoluta del Sole mentre mv è la magnitudine apparente nel visibile. A.2 Sistemi fotometrici ed indici di colore Un sistema fotometrico largamente usato è il sistema Johnson e Morgan nel quale si distinguono tre bande spettrali. In figura sono riportate le curve di trasmittanza (o di sensibilità spettrale) di tale sistema, in funzione della lunghezza d’onda espressa in Å. Figura A.2.1: curve di sensibilità del sistema UBV. 38 Il rapporto tra i flussi in due diverse bande è dato dagli indici di colore ( ad esempio B-V = MB – MV ); dalle caratteristiche dello spettro di corpo nero notiamo che al crescere della temperatura crescono i rapporti tra i flussi raccolti nelle coppie di bande ( ad esempio (B)/(V) dove (B) e (V) sono rispettivamente i flussi nella banda blu e nel visibile), e diminuiscono conseguentemente i valori dell’indice di colore. Appendice B Reazioni nucleari B.1 Catena protone-protone La catena protone-protone (o ciclo pp) è la reazione di fusione che avviene durante la fase di sequenza principale delle stelle di piccola massa per cui 4 protoni si fondono dando un nucleo di elio. A seconda della temperatura di innesco si hanno tre cicli possibili. Il ciclo pp1 si innesca ad una temperatura T ~ 6 106 K ed è caratterizzato dalle seguenti reazioni: p + p D + e+ + D + p 3He + 3 He + 3He 4He + 2p Se all’interno della struttura si raggiunge la temperatura centrale di ~ 15 106 K diviene attiva e concorrente all’ultima reazione la seguente: 3 He + 4He 7Be + Da questa ha origine il ciclo pp2 dato dalle reazioni: 7 Be + e- 7Li + 7 8 Li + p 8Be Be 4He + 4He Per T ~ 2 107 K prevale invece, il pp3 costituito dalle reazioni: 7 8 Be + p 8B + B 8Be + e+ + 8 Be 4He + 4He 39 B.2 Biciclo CN-NO La combustione centrale di idrogeno per stelle di massa intermedia e grande avviene tramite il ciclo CNO che si innesca ad una temperatura T > 15 106 K caratterizzato dalle seguenti equazioni: C + p 13N + 12 13 N 13C + e+ + C + p 14N + 13 14 15 N + p 15O + O 15N + e+ + 15 16 N + p 16O O 12C + 4He B.3 Combustione dell’elio Quando la temperatura centrale della struttura stellare raggiunge circa 108 K diventa efficiente un processo a tre corpi per cui tre particelle , ovvero tre nuclei di elio, si fondono dando origine alla seguente catena di reazioni: 3 12 C + C + 16 O + 20 Ne + 24 12 16 ( 20 ( 24Mg + O+ Ne + Mg + ) 28 Si + ) Le ultime due reazioni sono tra parentesi perché risultano molto meno efficaci delle prime e quindi non influenzano significativamente la composizione chimica del nucleo che sperimenta questo tipo di combustione. 40 B.4 Reazioni picnonucleari In condizioni di elevata densità e bassa temperatura come quelle presenti all’interno di una nana bianca possono aver luogo delle reazioni dette picnonucleari che si differenziano da quelle termonucleari citate sopra perché il superamento della barriera coulombiana necessario affinché avvenga una reazione è determinato dall’energia dei nuclei nel reticolo. Gli ioni del reticolo oscillano attorno alle loro posizioni reticolari e possono penetrare la barriera coulombiana di uno ione vicino. In generale, quando la densità della materia supera un certo valore che aumenta per elementi più pesanti hanno luogo le reazioni picnonucleari; ad esempio se la densità risulta maggiore di circa 10 6gr/cm3 si ha la combustione dell’idrogeno, se supera circa 109 gr/cm3 si ha quella dell’elio, mentre se è superiore a circa 1010 gr/cm3 avviene la combustione del carbonio. Notiamo inoltre che nel caso delle nane bianche, a causa delle forti interazioni elettrostatiche tra gli ioni, ci troviamo in condizioni di schermaggio elettronico forte e cioè: Z1Z2 e2 / kBT >> 1 dove Z1,2 sono le cariche dei nuclei reagenti, T la temperatura, kB la costante di Boltzmann, e è l’inverso del raggio di Debye ed è dato dalla seguente formula 2 = (4 e2/ kBT) (i Z2i ni + ne e) dove ni è la densità numerica degli ioni di carica Zi, ne è la densità numerica media degli elettroni con fattore di degenerazione e. Il termine i Z2i ni corrisponde allo schermo esercitato dagli ioni, mentre ne e corrisponde a quello esercitato dagli elettroni presenti nel plasma. 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