file - Dipartimento di Fisica

Università degli Studi di Pisa
Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali
Corso di Laurea in Fisica
Anno Accademico 2002-2003
Tesi di Laurea
Determinazione dell’età del disco galattico
dalla funzione di luminosità delle nane bianche
Candidato:
Federica Zacchei
Relatore:
Dott.ssa Scilla Degl’Innocenti
1
Indice
1 Introduzione
1
2 Cenni sulle caratteristiche della Via Lattea
1
3 Le nane bianche
3.1 La fase di pre-nana bianca
3.2 La struttura delle nane bianche
3.3 Evoluzione delle nane bianche
3.4 Evoluzione in AGB e relazione tra massa nana e massa del progenitore
3.5 Distribuzione in massa delle nane bianche
3.5.1 Determinazione della massa dall’accelerazione gravitazionale
3.5.2 Determinazione della massa dal redshift gravitazionale
4
4
6
9
23
25
25
25
4 La funzione di luminosità delle nane bianche
4.1 La funzione di luminosità teorica
4.2 La funzione di luminosità osservativa
5 L’età del disco galattico
5.1 Determinazioni dell’età del disco galattico
5.2 Incertezze dei risultati
5.3 Conclusioni
A Magnitudini e filtri
A.1 La magnitudine delle stelle
A.2 Sistemi fotometrici ed indici di colore
B
Reazioni nucleari
B.1 Catena protone-protone
B.2 Biciclo CN-NO
B.3 Combustione dell’elio
B.4 Reazioni picnonucleari
Bibliografia
2
1. Introduzione
In questa tesina verrà analizzato il metodo di valutazione dell’età del disco galattico attraverso la
funzione di luminosità locale delle nane bianche. Con funzione di luminosità locale intendiamo il
numero di nane bianche osservato localmente nel disco in funzione della loro luminosità. Le nane
bianche sono stelle di piccola massa che hanno raggiunto la fase finale della loro evoluzione; cioè
stelle che hanno spento tutte le reazioni nucleari e che raffreddano con tempi scala dell’ordine dei
miliardi di anni fino ad arrivare ad uno stato di equilibrio con il fondo cosmico. La nostra galassia è
formata principalmente da due strutture: l’alone di forma pressoché sferica privo di gas e di polveri ed
il disco che invece ne è ricco e in cui è ancora attivo il processo di formazione stellare. Lo scenario di
formazione della nostra galassia prevede che il disco si sia formato successivamente all’alone, tuttavia
la precisa datazione del disco galattico è un problema ancora aperto.
Il metodo descritto si basa sul fatto che i tempi di raffreddamento delle nane bianche sono maggiori
dell’età del disco galattico e che quindi la funzione di luminosità sarà troncata ad un certo valore
osservabile di luminosità (cut-off). Il confronto tra le funzioni di luminosità teoriche ed osservative per
il disco (più precisamente tra il cut-off teorico ed osservativo) permette quindi, una valutazione dell’età
del disco galattico.
Dopo una breve descrizione delle caratteristiche della nostra galassia descriverò la struttura e
l’evoluzione delle nane bianche di disco. Analizzerò poi la funzione di luminosità teorica (ottenuta
tramite calcoli di raffreddamento di nane bianche e stime sulla loro distribuzione in massa ed in età) ed
osservativa discutendo criticamente le stime di età ottenute.
2. Cenni sulle caratteristiche della Via Lattea
Prima di passare all’argomento specifico di questa tesina mi sembra utile un breve cenno alle
caratteristiche della nostra Galassia in modo da collegare l’età del disco galattico all’evoluzione della
galassia stessa
La nostra galassia è una galassia a spirale con una massa in stelle dell’ordine di 6  1011 M . In realtà
la massa dovrebbe essere maggiore a causa della materia oscura, la cui presenza è stata evidenziata da
studi sulla velocità di rotazione della Galassia. La natura della materia oscura non è del tutto nota,
potrebbe essere costituita ad esempio da stelle poco massive e poco luminose ( e per questo non
osservabili) negli ultimi stadi della loro evoluzione (nane bianche) o stelle non hanno innescato la
combustione dell’idrogeno (nane brune), oppure da particelle massive che intaragiscono debolmente
(WIMPS) o neutrini massivi.
Nella nostra, così come in altre galassie a spirale vengono identificate principalmente due sottostrutture
diverse per forma, composizione, proprietà dinamiche ed evoluzione: il disco e la componente
sferoidale.Come si può vedere in figura 1, in cui è illustrata la struttura della nostra galassia come
apparirebbe se osservata di fronte oppure di taglio, il disco è una struttura piatta a simmetria assiale con
uno spessore di circa 300 pc1 e raggio compreso tra 25 e 30 kpc dal cui centro partono i bracci della
spirale. Il Sole è una stella di disco situata a circa 8.5 kpc dal centro. Il disco è ricco di polveri e gas
interstellari, e la materia che lo costituisce si muove di moto pressoché circolare intorno al centro
galattico.
1
1 parsec ~ 3.26 anni luce  3.1  1018 cm
3
La componente sferoidale presenta simmetria sferica con raggio uguale a quello del disco e può essere
ulteriormente suddivisa in altre sottostrutture: nucleo, bulge, thick disk, e alone. Il nucleo è una
struttura sferica al centro del disco di raggio dell’ordine di 100 pc al cui interno si trova il centro
galattico sede di una potente sorgente radio. Il nucleo è circondato dal bulge, una struttura sferica di
raggio di circa 3 kpc ricca di stelle e di polveri. Il thick disk presenta invece, una popolazione stellare
con caratteristiche chimiche, dinamiche e fotometriche intermedie tra quelle di disco e quelle di alone.
Tutte queste sottostrutture sono circondate dall’alone sferico di raggio di almeno 30 kpc. Le stelle che
lo popolano hanno velocità di rotazione attorno al centro galattico molto basse e di conseguenza
percorrono orbite ad alta eccentricità con raggio compreso tra circa 4 e 20 kpc.
Figura 1.Schema della struttura della Via Lattea
Sia nel disco che nell’alone si trovano sia stelle di campo sia ammassi stellari. Un ammasso stellare à
un insieme di stelle che si sono originate da una stessa nube e quindi hanno stessa composizione
chimica ed età ma masse diverse. Nell’alone sono presenti ammassi detti globulari mentre nel disco si
trovano gli ammassi aperti.
Gli ammassi globulari sono sistemi di stelle legati gravitazionalmente ed hanno massa totale compresa
tra circa 105 e 106 M. La forma sferica indica che le stelle interagenti gravitazionalmente fra loro
hanno ormai raggiunto un equilibrio approssimativamente isotermo e la distribuzione delle velocità
stellari segue, quindi, con buona approssimazione, una legge di Maxwell-Boltzmann. L’età di questi
ammassi è piuttosto vecchia, paragonabile a quella dell’alone, ed è dell’ordine di 1010 anni. Le stelle più
luminose degli ammassi globulari sono le stelle di piccola massa in fase evolutiva avanzata: giganti e
supergiganti di colore giallo oppure rosso. La metallicità (Z) varia tra circa 10-4 e circa 10-3, come si
evince da osservazioni spettroscopiche.
Gli ammassi aperti, invece, non mostrano una forma ben definita. La loro massa tipica è dell’ordine di
10 3 M , mentre per quanto riguarda l’età, questa varia da circa 107 anni a circa 8 109 anni. Le
4
giganti osservate negli ammassi aperti sono, invece, stelle con metallicità di tipo solare (Z ~ 0.02) e di
massa intermedia o grande in fase di sequenza principale, bianche o blu.
Tutte queste evidenze osservative ci indicano un percorso di formazione della galassia: ad esempio, il
fatto che gli ammassi globulari abbiano età dell’ordine di quella dell’alone ed inoltre che quest’ultimo
sia privo di gas, ci suggerisce che in tale regione della nostra galassia siano attualmente assenti processi
di formazione stellare, processi che invece sono ancora in atto nel disco come testimoniano la presenza
di ammassi giovani e l’abbondanza di polveri, cioè di materiale disponibile per dare origine a
successive generazioni stellari. La diversa metallicitá, poi, mostra che è avvenuta anche un’evoluzione
chimica della materia galattica: le stelle del disco (ovvero di popolazione I) hanno metallicitá,
maggiore di quelle dell’alone (popolazione II) perché si sono originate da materia arricchita da elementi
pesanti processati durante la nucleosintesi di precedenti generazioni stellari e poi dispersi tramite
esplosioni di supernovae o venti stellari.
Lo scenario evolutivo è ancora oggetto di numerose ricerche ma a grandissime linee può essere
descritto nel modo seguente: si suppone che la nube originaria, detta protogalassia, sia collassata in
pochi milioni di anni; è molto probabile data l’elevata quantità di materia allora presente che fosse
privilegiata la formazione di stelle molto massicce, le quali proprio a causa della loro grande massa
avevano una grossa luminosità ed una vita molto breve ossia minore del tempo caratteristico del
collasso della protogalassia, in tal modo la materia protogalattica si è potuta arricchire di metalli fino a
raggiungere valori di Z ~ 10-4. Le stelle dell’alone che si sono formate in quella fase avevano delle
eccentricità notevoli che si sono poi conservate. Il gas deve essere successivamente collassato verso il
centro dando luogo alla formazione del disco, durante la quale veniva ulteriormente arricchito di
metalli. Ancor prima della formazione del disco deve però, essere avvenuta quella del bulge dato che la
distribuzione del momento angolare di questa struttura è molto simile a quella dell’alone. A sostegno di
questa ipotesi è il fatto che il bulge è ricco di polveri come il disco, ma presenta anche ammassi
globulari e stelle giganti rosse che sono tipici dell’alone. La metallicità del bulge è supposta essere circa
doppia di quella solare indice di un notevole arricchimento interno. Tutto questo fa pensare alla
popolazione del bulge come ad una popolazione antica e metallica. La fase più controversa
dell’evoluzione galattica risulta la formazione del thick disk, vi sono infatti a tal proposito almeno due
possibili scenari teorici. Il primo sostiene che il thick disk si sia formato dopo l’alone e il bulge tramite
collasso dissipativo durante le ultime fasi di formazione del disco. Questa ipotesi però, implica che o il
collasso sia avvenuto lentamente, oppure che ci sia stato un alto tasso di formazione stellare. Purtroppo
nessuna delle due possibilità è avvalorata da riscontri osservativi dal momento che non vi sono né
tracce che avrebbe potuto lasciare l’eventuale azione di gradienti chimici e cinematici durante tale
collasso, né evidenze che il tasso di formazione stellare del disco possa aver avuto un incremento
dall’inizio della sua formazione. Secondo l’altro modello il thick disk si sarebbe, invece, formato dopo
il disco; anche in questo caso vi sono due spiegazioni possibili. La prima assume che il thick disk sia un
prolungamento del disco perché le prime stelle qui formatesi avrebbero potuto diffondersi oltre il disco
stesso dato che avevano velocità casuali elevate dovute all’azione perturbatrice del gas sulle loro
orbite. La seconda è basata su osservazioni che mostrano come le popolazioni di disco e di thick disk
abbiano caratteristiche diverse, e quindi la formazione di quest’ultimo possa essere il risultato di uno
scontro tra la nostra galassia ed una galassia satellite.
5
3. Le nane bianche
3.1 La fase di pre-nana bianca
La quasi totalità delle stelle termina la propria evoluzione come nana bianca; per comprendere meglio
le caratteristiche di questa fase evolutiva accennerò in maniera estremamente sintetica all’evoluzione
precedente. L’evoluzione di una stella è determinata principalmente dalla sua massa ed in modo meno
stringente dalla sua composizione chimica. Le stelle nascono dalla contrazione di una parte di una nube
di gas (composta principalmente di H ed He) che si arresta quando temperatura e densità centrali
raggiungono valori che permettono l’innesco delle combustioni nucleari. La pressione del gas caldo
controbilancia allora la forza di gravità e l’energia prodotta nuclearmente supplisce alle perdite di
energia dovute all’irraggiamento di fotoni (luminosità) della stella. In realtà, in queste fasi, dette stop
nucleari, la contrazione non è arrestata ma procede secondo tempi scala di combustione nucleari (ad es.
per 1 M in combustione di idrogeno è dell’ordine dei miliardi di anni). Più una stella è massiccia, più
è luminosa e quindi i tempi evolutivi sono più brevi.
Oltre a questo, in certe fasi evolutive può intervenire un altro fenomeno a bloccare la contrazione,
ovvero la degenerazione elettronica, in questo caso la pressione esercitata dagli elettroni degeneri
controbilancia la forza di gravità. Stelle con masse maggiori di circa 1/10 M riescono durante la
contrazione iniziale a raggiungere temperature sufficienti ad innescare la combustione dell’idrogeno
entrando così nella fase più lunga della vita di una stella: la sequenza principale (o main sequence =
MS). Al termine di tale fase la stella avrà esaurito l’idrogeno al centro e proseguirà la combustione di
idrogeno in shell attorno ad un nucleo inerte di elio (fase di gigante rossa = RGB) finché, se la massa
della stella è maggiore di circa 0.5 M , si raggiungeranno al centro le temperature sufficienti per
l’innesco della combustione dell’elio in carbonio ed ossigeno. Al termine della combustione centrale di
elio la stella prosegue l’evoluzione bruciando l’elio in shell ed accrescendo così il nucleo di carbonio ed
ossigeno (fase di ramo asintotico AGB). L’ evoluzione successiva dipende ancora una volta dalla
massa: se al termine della fase di AGB (in cui la stella è soggetta a perdite di massa) la stella ha massa
minore di  1.4 M , ovvero minore del limite di Chandrasekhar, che è la massa al di sopra della quale
non può esistere una struttura degenere stabile, la stella termina la sua evoluzione come nana bianca di
carbonio ed ossigeno. Se invece la massa della stella è maggiore del limite di Chandrasekhar ma
comunque inferiore a circa 7 M , la stella esplode tramite la deflagrazione del carbonio, cioè
l’esplosione della struttura è provocata dall’innesco della combustione del carbonio in ambiente
degenere che produce un rilascio di energia maggiore dell’energia di legame gravitazionale. In fase di
nana bianca quando le reazioni nucleari della stella sono spente o fortemente inefficienti la stella
raffredda a raggio costante percorrendo nel diagramma HR una retta che viene detta “curva di
raffreddamento” (vedi figura 2). Stelle con massa compresa all’incirca tra 7 e 10 M possono arrivare
alla formazione del neon, a questo punto però, la temperatura e la densità centrali sono tali da dar luogo
ad una stella con nucleo degenere di ossigeno e neon, o diventano efficienti meccanismi di cattura
elettronica e la struttura implode e viene distrutta. Le stelle più massicce invece, la cui massa iniziale è
maggiore di circa 10 M, proseguono la loro evoluzione effettuando tutte le fusioni esoenergetiche fino
a sintetizzare il ferro, dopo di che non essendo più sorrette da combustioni nucleari contraggono ed
esplodono come supernovae di tipo II. Quanto detto fino adesso è illustrato schematicamente in figura 2
in cui è mostrata l’evoluzione del diagramma HR di stelle massa diversa. Con diagramma HR
intendiamo un grafico in cui sono riportate due osservabili fondamentali per lo studio dell’evoluzione
stellare: la luminosità L della stella in funzione della temperatura superficiale (od effettiva). Poiché
ogni stella irraggia con buona approssimazione come corpo nero, si può usare la relazione di Stefan 6
Boltzmann per definire la temperatura effettiva Teff della stella come funzione della sua luminosità e del
suo raggio
L = 4R² eff 

dove  è la costante di Stefan-Boltzmann. Luminosità e temperatura effettiva sono grandezze teoriche,
ciò che si osserva sperimentalmente è invece la magnitudine apparente in certi intervalli di frequenza a
cui sono sensibili gli strumenti di misura ed il colore della
Figura 2. Tracce evolutive di stelle di varia massa nel diagramma HR. Le linee più spesse indicano le fasi di combustione
centrale (da Castellani, Astrofisica Stellare, 1985)
stella (vedi appendice). Quindi, accanto al diagramma L-Teff cosiddetto “teorico” esiste un diagramma
HR “osservativo”cioè il diagramma colore – magnitudine in cui viene riportata la magnitudine
apparente in una data banda in funzione dell’indice di colore (vedi appendice). Per poter effettuare il
confronto tra i dati teorici e quelli sperimentali si devono convertire la luminosità e la temperatura
effettiva nelle magnitudini nelle diverse bande. A tale scopo vengono usati dei modelli di atmosfera
stellare completamente teorici o semiempirici che forniscono l’intensità della luce emessa nelle varie
bande in funzione della composizione chimica, della gravità superficiale, della luminosità e della
temperatura della stella. In figura 2 vengono mostrati i possibili cammini evolutivi che una stella di data
massa può compiere. Si noti come al crescere della massa la stella sperimenti la fase di sequenza
principale a luminosità e temperature effettive maggiori ed allo stesso tempo la fase di RGB diventi
sempre più breve per sparire addirittura nel caso di una stella molto massiccia maggiore od uguale a
7
circa 25 M . Si può vedere come la stella durante le fasi di combustione centrale, si sposti in generale
verso temperature effettive più alte, mentre durante le fasi di combustione a shell (AGB, RGB) la
struttura una volta raggiunte temperature effettive più basse, evolve mantenendo tale temperatura
pressoché costante raggiungendo alte luminosità. Si può notare anche che le nane bianche si
dispongono su di una sequenza a raggio costante e che maggiore è la massa della nana bianca minore è
la luminosità e maggiore la temperatura effettiva a cui si colloca la sua sequenza. Questo è dovuto,
come spiegherò più in dettaglio nel paragrafo successivo alla relazione peculiare tra massa e raggio
esistente per queste stelle.
3.2 La struttura delle nane bianche
Nei prossimi due paragrafi descriverò la struttura e l’evoluzione di una tipica nana bianca di disco
galattico nelle vicinanze del Sole, cioè quelle per cui abbiamo dati osservativi che ci permettono di
costruire una funzione di luminosità. Dato che sono interessata alla funzione di luminosità metterò in
evidenza le incertezze nelle caratteristiche delle nane bianche che potrebbero riflettersi in incertezze sui
tempi evolutivi. La massa media stimata per le nane bianche locali risulta circa 0.6 M  (vedi ad
esempio Fontaine et al. 2001). Sono stelle molto compatte, che sono stimate presentare densità centrali
dell’ordine di circa 107 gr/cm³ e quindi valori elevati della gravità superficiale (accelerazione di
gravità superficiale ~ 108  109 cm s-2). Le nane bianche coprono un ampio intervallo in temperature
effettive che va da circa 150000 K per le più calde a circa 4000 K per le più fredde e degeneri ed un
altrettanto ampio intervallo di luminosità che va da 10²- 10³ luminosità solari (L) per quelle appena
entrate in sequenza di raffreddamento a circa 10-4.7 L per quelle più deboli che si riescono ad
osservare. Sebbene la maggior parte delle nane bianche presenti un nucleo di carbonio ed ossigeno,
esistono nane bianche di ossigeno, neon, magnesio e nane bianche di elio. Le nane di quest’ultimo tipo
osservabili derivano da stelle che durante la fase di RGB hanno perso gran parte dell’inviluppo e non
sono riuscite ad innescare la combustione centrale dell’elio. Nane bianche derivanti da stelle con massa
inferiore a quella minima per l’innesco dell’elio (0.5 M vedi paragrafo 3.1) non sono invece
osservabili perché stelle di tale massa evolvono molto lentamente e quindi la loro età sarebbe maggiore
dell’età dell’universo attuale.
A causa dell’elevata accelerazione gravitazionale superficiale le nane bianche in curva di
raffreddamento presentano in prima approssimazione una struttura stratificata: un’atmosfera di puro
idrogeno ed uno strato sottostante di puro elio. Al di sotto dell’atmosfera si trova un nucleo degenere
composto da carbonio ed ossigeno che contiene quasi tutta la massa della stella. Prima dell’ingresso in
curva di raffreddamento, invece, l’inviluppo non è ancora completamente separato chimicamente e
nell’inviluppo ricco di idrogeno sono ancora presenti anche i metalli. Lo spessore dell’elio viene
stimato tra circa 10-6 a circa 10-2 della massa totale (Bradley & Winget 1994, Nitta & Winget 1998),
mentre lo spessore di idrogeno tra meno di 10-5 fino a circa 10-3 della massa totale (si veda ad es. J.C.
Clemens 1993). La determinazione di tali spessori risulta quindi, abbastanza incerta ed a causa
dell’importanza dei meccanismi di opacità che avvengono nell’inviluppo, che determinano la
regolazione del flusso uscente dalla stella e delle combustioni nucleari residue, potrebbero influenzarne
il raffreddamento. In ogni caso esiste sicuramente un limite superiore dell’inviluppo di idrogeno per cui
la stella può entrare in sequenza di raffreddamento (si veda ad es. D’Antona & Mazzitelli 1990,
Romaniello 1992) .
8
Figura 3: log(dt/dlog(L/L)) (indice del tempo necessario a percorrere un certo intervallo di luminosità) in funzione della
luminosità per una nana bianca di ~ 0.6 M con due valori estremi dell’inviluppo di H di massa rispettivamente di 1.4  105
M (linea continua) e 1.76 10—4 M (linea tratteggiata) (da Coraggio 2002, tesi di laurea).
Per ogni massa del nucleo esiste, infatti, un valore massimo della massa dell’inviluppo di idrogeno oltre
il quale la stella alla base dell’inviluppo di idrogeno raggiunge la temperatura per l’innesco della
combustione dell’idrogeno in ambiente degenere tramite flash del CNO e di conseguenza non entra in
sequenza di raffreddamento. È stato mostrato (Coraggio 2002) che per una nana bianca con massa
tipica di ~ 0.6 M e Z = 0.02, il limite superiore risulta circa 0.00017 M a logL/L=1.Tale limite
dipende comunque dalla massa e dalla metallicità della stella. Il limite inferiore dello spessore
dell’inviluppo di idrogeno può assumere un qualsiasi valore fino ad essere pressoché nullo (e quindi la
stella avrà in questo caso un inviluppo di solo elio). La figura 3 mostra le derivate dei tempi di
raffreddamento per una nana bianca con massa tipica di ~0.6 M in funzione della luminosità per due
valori dell’inviluppo di idrogeno pari a 1.76 10—4 M (linea tratteggiata) e 1.4  10-5 M (linea
continua). Come si nota non ci sono differenze significative nei tempi di raffreddamento, ciò significa
che il limite superiore dell’inviluppo di idrogeno è già sufficientemente piccolo e quindi un’ulteriore
diminuzione non influenza significativamente i tempi di raffreddamento.
Sebbene, come già detto, la maggioranza delle nane bianche possieda uno strato esterno di idrogeno
(nane DA), vi è tuttavia un discreto numero di nane bianche, non-DA, che hanno invece perso tale
strato di idrogeno e presentano quindi un’atmosfera ricca di elio o di altri elementi. Ad esempio vi sono
delle nane bianche con atmosfera di elio (nane DO) molto calde (T > 45000 K) che oltre a presentare
righe di assorbimento caratteristiche dell’elio ionizzato (HeII) mostrano anche righe di assorbimento
del carbonio (vedi figura 4), vi sono inoltre anche nane bianche che pur non mostrando righe dell’ HeI a
causa della minore temperatura (T  10000K) presentano righe del carbonio atomico sia nel visibile che
nell’UV (nane DQ) (vedi figura ). Da osservazioni condotte sull’atmosfera delle nane bianche emerge
che tale composizione non rimane sempre la stessa durante l’evoluzione delle stelle non DA ma
cambierebbe a causa della presenza di fenomeni come la diffusione ed il rimescolamento convettivo
(Fontaine et al. 2001). La determinazione della composizione chimica è molto importante perché questi
strati anche se sono sottili possiedono un’elevata opacità e regolano di conseguenza il flusso di fotoni
uscente dalla stella e quindi i tempi di raffreddamento. Hansen (1999), fa comunque notare che tali
cambiamenti nella composizione chimica dovrebbero avvenire a temperature effettive relativamente
alte
9
Figura 4 : (sinistra) Sequenza di quattro spettri di nane bianche DO calde (1.4  105 < T< 5.3 104) che risultano
caratterizzate da righe di He II (Balmer  e  ) e righe del CIV. (destra): Sequenza di quattro spettri di nane bianche DQ, in
questo caso sono evidenti righe CI. In entrambe le figure gli spettri sono stati normalizzati e traslati verticalmente di 1.0)
(da Holberg, Barstow, Burleigh, 2002).
(maggiori di 10000 K) e quindi non sono fondamentali perché le nane bianche trascorrono la maggior
parte della loro evoluzione a temperature minori. La diversa natura della materia presente nel nucleo e
nell’inviluppo dà luogo a meccanismi di trasporto energetico differenti: conduzione, radiazione (ed
eventualmente convezione) Si noti che anche gli strati più esterni devono essere trattati in modo
preciso per elaborare modelli accurati di nane bianche.
Gli elettroni degeneri del nucleo fanno sì che il canale principale del trasporto sia la conduzione, la
conducibilità di questi elettroni è talmente elevata che il nucleo risulta sostanzialmente isotermo. In
generale la conduzione risulta scarsamente inefficiente nelle stelle ad esempio nel centro del Sole il
cammino libero medio del fotone è di circa 0.005cm mentre quello degli elettroni è di circa 7 ordini di
grandezza inferiori e poiché la conducibilità termica  può essere espressa nel seguente modo:
  3 k 2mT nee
2 3 / 2 1/ 2
B
7/2
e
(2)
dove ne è la densità elettronica, e il cammino libero medio dell’elettrone, me la massa dell’elettrone, kB
la costante di Boltzmann. Da questa relazione si vede come la conducibilità e quindi il trasporto
conduttivo sia trascurabile. Nel caso di una nana bianca, a causa della materia fortemente degenere
presente nel nucleo, il canale di trasporto privilegiato è la conduzione, infatti mentre il cammino libero
medio del fotone all’interno di una nana bianca con luminosità tipica del cutoff è dell’ordine di 10 -7 cm,
quello dell’elettrone risulta dell’ordine del cm (ovvero superiore di circa 10 ordini di grandezza rispetto
a quello dell’elettrone nel Sole). Tali valori sono possibili perché gli elettroni degeneri vanno ad
occupare le singole cellette elementari dello spazio delle fasi riducendo la probabilità di interazione ed
aumentando significativamente il cammino libero medio.
Per alte temperature effettive la parte più esterna dell’inviluppo delle nane bianche risulta radiativa,
mentre a temperature effettive più basse, a mano a mano che procede il raffreddamento diventa sempre
più importante la convezione.
10
3.3 Evoluzione delle nane bianche
Una nana bianca è una stella composta per almeno il 99% da materia degenere e che ha le combustioni
nucleari spente o largamente inefficienti. La stella dopo una prima fase di contrazione dell’inviluppo
non degenere, non può più sfruttare in maniera efficiente nemmeno l’energia gravitazionale a causa
della pressione dovuta agli elettroni degeneri che impedisce ulteriori contrazioni del nucleo, e
quindi può solamente raffreddarsi. Le strutture degeneri come le nane bianche sono sorrette da un
sistema di equazioni politropico da cui si ricavano nel caso non relativistico le seguenti relazioni dove
M ed R sono rispettivamente la massa ed il raggio totale e c la densità centrale:
MR³ = costante e c ~ M²
(3)
Si deduce quindi, che all’aumentare della massa aumenta la densità ed allo stesso tempo diminuisce il
raggio della struttura. Aumentando la massa diminuisce la luminosità ed aumenta, come si può vedere
dalla figura 2, la temperatura superficiale della sequenza a raggio costante in cui si colloca la nana
bianca.
La nana bianca una volta raggiunto il raggio corrispondente alla sua massa, raffredda percorrendo una
retta nel diagramma HR detta sequenza di raffreddamento. Man mano che la nana bianca procede
lungo tale sequenza a raggio costante, diminuisce la sua luminosità e la sua temperatura effettiva. Di
conseguenza l’evoluzione di una nana bianca è caratterizzata da un progressivo raffreddamento che
terminerà quando, per un’età maggiore a quella attuale dell’universo essa sarà diventata un corpo in
equilibrio con il fondo cosmico. La velocità di raffreddamento dipende da vari fattori tra cui, come già
detto, la composizione chimica dell’inviluppo che influenza i meccanismi di interazione fotone-materia
(opacità) e quindi determina la velocità con cui viene persa energia. Oltre a ciò l’eventuale presenza di
residue fonti di energia può intervenire a ritardare l’entrata in sequenza di raffreddamento ed a
rallentare il raffreddamento una volta che la stella è entrata in sequenza. Ad esempio se la stella ha un
inviluppo sufficientemente massiccio o ricco di metalli, accade che prima del raffreddamento la stella
contragga il suo inviluppo non degenere provocando così una riaccensione della shell di idrogeno
tramite il ciclo CNO (vedi appendice) come è illustrato in figura 5 portando, inoltre, ad una variazione
della composizione chimica dell’inviluppo stesso.
Figura 5: Principali fasi evolutive rappresentate nel diagramma HR per una nana bianca con massa M = 0.603 M  e Z = 0.02
(da Coraggio 2002, tesi di laurea).
11
Dalla figura 5, che mostra l’evoluzione di una nana bianca con massa pari a 0.603 M  e Z = 0.02, si
può vedere come per gran parte del raffreddamento rimangano attive varie shell: nelle fasi iniziali è
accesa la shell di elio che si spegne attorno a logL/L ~ 1 e logTeff ~ 4.85; poi si accende quella di
idrogeno intorno logL/L ~ 0 e logTeff ~ 4.6 attraverso la catena p-p (vedi appendice) che si spegne a
basse luminosità (logL/L ~ - 4.2) e basse temperature effettive (logTeff ~ 3.65). Con le combustioni a
shell la nana bianca, pur non riuscendo a supplire alle perdite per irraggiamento, riesce comunque a
rallentare il raffreddamento. Tale raffreddamento è caratterizzato alle alte luminosità da perdita di
energia dovuta all’emissione dei neutrini che diventa, in certe fasi, superiore a quella dei fotoni e
raggiunge il massimo a logL/L ~ 0.3 e logTeff ~ 4.7. Infatti, quando la stella si è da poco collocata
sulla sequenza di raffreddamento è ancora piuttosto calda, ma già molto densa; ciò fa si che si formino
nella parte centrale della stella neutrini da oscillazione del plasma che sottraggono energia alla stella.
Una volta terminato il raffreddamento dovuto ai neutrini, la nana bianca entra in una fase di
raffreddamento termico dal momento che gli elettroni sono già nel loro stato di minima energia essendo
degeneri. La stella perde, quindi, in primo luogo l’energia di agitazione termica degli ioni, poi il calore
latente di liquefazione, e da ultimo il calore latente di cristallizzazione che porta alla solidificazione
della materia presente nel nucleo. Il rilascio di calore latente durante la fase di cristallizzazione del
nucleo porta ad un considerevole rallentamento del processo di raffreddamento che per una nana bianca
con massa tipica che giunge a logL/ L  -5.5 produce un ritardo di circa 1 Gyr .
Al termine di quest’ultima fase la nana bianca ha pressoché esaurito la sua riserva termica e si porta
verso l’estremità più fredda della sequenza di raffreddamento, al termine della quale raggiunge, in
tempi maggiori dell’età attuale dell’universo, lo stato di nana nera, ovvero un oggetto cristallizzato in
equilibrio con il fondo cosmico.
A questo punto mi sembra utile dare una qualche stima del calcolo dei tempi di raffreddamento e
dell’andamento di quest’ultimo in funzione di luminosità e temperatura. Un modello piuttosto semplice
ma comunque abbastanza esplicativo dal quale si può ricavare una relazione per il tempo di
raffreddamento è il seguente. Si considera la zona interna della nana bianca completamente degenere ed
a causa della elevata conducibilità si suppone che abbia una temperatura uniforme. Questa zona è
isolata da uno strato superficiale sottile e non degenere in equilibrio radiativo. Poiché la materia
presente in questo strato è essenzialmente in equilibrio termodinamico locale con un flusso di energia
uscente prodotto dalla diffusione di fotoni si può usare l’equazione di fotodiffusione degli elettroni
c d
L  4r 2 3
(aT 4 )
dr
(4)
dove L è la luminosità (erg /s), c la velocità della luce, aT4 è la densità di energia del corpo nero e  è
l’opacità (cm2/g), ρ la densità, ricordo che 1/ =λ cammino libero medio del fotone.
Derivando tale equazione si ottiene:
dT
3  L

dr
4ac T 3 4r 2
(5)
a questo punto occorre introdurre una relazione che descriva approssimativamente l’andamento
dell’opacità nello strato esterno, a tale scopo si utilizza ad esempio l’opacità di Kramer che deriva dalla
fotoionizzazione degli atomi e dalla radiazione di frenamento inverso degli elettroni (transizioni boundfree e free-free)
12
   0 T 7 / 2
(6)
dove 0 è dato dalla seguente relazione:
0 = 4.34  1024 Z(1+X) cm2/g
(7)
dove X è la frazione in massa dell’idrogeno e Z quella dei metalli.
Introduciamo inoltre l’equazione di equilibrio idrostatico, cioè il fatto che in ogni zona (guscio sferico)
di una stella all’equilibrio si ha il bilanciamento tra le forze di autogravitazione e le forze di pressione
del gas
dP(r )
Gm(r )  (r )

dr
r2
(8)
dove r è la coordinata radiale all’interno della stella, P è la pressione, G la costante di gravitazione, m la
massa contenuta in una sfera di raggio r e  la densità al raggio r, dividendo la quale per l’equazione (5)
otteniamo una relazione che lega P,T, m,  in cui non compare la coordinata radiale
dP 4ac 4Gm(r ) T 13 / 2

dT
3
 0L

(9)
Poiché lo strato esterno è sottile allora si può approssimare m (r) con (M) massa totale della stella ed
usare l’equazione di stato dei gas perfetti per la materia esterna non degenere per sostituire  nella
precedente equazione:
P
kB 
T
mu
(10)
dove  è il peso molecolare medio e mu l’unità di massa atomica, kB la costante di Boltzmann, si
ottiene così:
PdP 
4ac 4GM k B 15 / 2
T dT
3  0 L mu
(11)
Data la difficoltà della descrizione dell’andamento di P e T per lo strato superficiale si usano per
l’integrazione condizioni al contorno esterne approssimate: P=0 e T=0, tale approssimazione è
giustificabile tenendo conto che i valori esterni di P e T sono molto minori di quelli interni. Quindi si
ottiene:
1 2
2 4ac 4GM k B 17 / 2
P 
T
2
17 3  0 L mu
(12)
allo stesso modo si può trovare una relazione tra la densità e la temperatura
13
4 4ac 4GM mu 1 / 2 13 / 4
) T
17 3  0 L k B
 (
(13)
Nei punti di contatto tra l’interno degenere e lo strato esterno la pressione del gas degenere degli
elettroni uguaglia la pressione del gas costituente lo strato esterno, in tal modo si possono determinare
la temperatura e la densità nella zona di transizione
Pest 
k BT
mu
(14)
nel caso non relativistico la pressione degli elettroni degeneri si può scrivere come una politropica con
indice γ = 5/3
P  K 
(15)
2/3

4/3
2

= (1.0036×1013) /  e5 / 3 cgs
5/3 5/3
5
me mu  e
dove μe è il peso molecolare medio dell’elettrone e me la massa dell’elettrone uguagliando la (14) e la
(15) si ottiene
dove K =
3
*  b eT*3 / 2
(16)
dove b = (2.4× 10-8 g/cm3). Ho indicato con gli asterischi la densità e la temperatura della zona di
transizione. Si può notare che poiché l’interno di una nana bianca è assunto isotermo T* è anche
approssimativamente la temperatura interna della nana bianca. Uguagliando le due espressioni trovate
per la densità si ottiene una relazione tra la luminosità , la massa, la composizione chimica e la
temperatura interna di una nana bianca
L  c1

1
M 7/2
T*
2
e Z (1  X ) M 
(17)
dove c1= 5.7× 105 erg/s, e M  è la massa del Sole. Notiamo che ad esempio se X = 0, Y=0.9 (frazione
in massa di elio) e Z=0.01 allora e  2 e  1.4 e quindi se L= 10-210-5 L allora T*  106107 K e
* 103g/cm3 che è molto minore della densità centrale, quindi la bassa densità nella zona di
transizione conferma che lo strato superficiale è relativamente sottile e non altera la relazione massaraggio delle nane bianche.
Per comodità si può riscrivere la (17) includendo tutte le quantità costanti nella costante C
L  CMT*7 / 2
(18)
D’ora in avanti chiamerò T la temperatura dell’interno uniforme che abbiamo visto coincide con T *. Il
 dU
tasso di raffreddamento è dato da
dove U è l’energia termica totale della nana bianca.
dt
14
Si deve notare che quando una stella entra in nana bianca l’energia che può irradiare è l’energia termica
degli ioni, infatti come già accennato, l’energia gravitazionale che può essere rilasciata è piccola in
quanto l’interno è governato dalla pressione degli elettroni degeneri, l’emissione dei neutrini è
importante ad alte temperature e grandi luminosità e quindi può essere trascurata in questo caso perché
si considerano nane bianche fredde, anche l’energia termica degli elettroni viene trascurata dato che
essi si trovano nello stato di minima energia.
Quindi, se cv è il calore specifico per ione, allora l’energia termica degli ioni risulta  cv dT .
Se prendiamo cv quello di un gas monoatomico non degenere ( 3/2kB) e supponiamo che l’interno della
nana bianca sia costituito da un solo elemento otteniamo:
U
3
M
k BT
2
Amu
(19)
ovvero l’energia termica totale della nana bianca, dove A è il numero atomico
Ma

 dU
non è altro che L, quindi, si può scrivere
dt
d  3k BT / 2 

  CT 7 / 2
dt  Amu 
(20)
integrando si ottiene


3 kB
T 5 / 2  T05 / 2  C t  t 0 
5 Amu
(21)
dove T0 è la temperatura dell’interno della nana bianca all’istante iniziale t0; se supponiamo che T0>> T
e definiamo il tempo di raffreddamento τ = t-t0 possiamo riscrivere l’equazione precedente nel seguente
modo:

3 k BTM
5 Amu L
(22)
se poi vi sostituiamo l’espressione per T che si ricava dalla (18) si ottiene:
 L
τ  
M 
5 / 7
(23)
la relazione (22) non è del tutto esatta, infatti per una nana bianca con luminosità circa logL/L = -4
(tipica del cutoff) il tempo di raffreddamento è dell’ordine delle decine di Gyr, quindi in base a ciò non
sarebbe possibile osservarle, cosa che invece non accade. L’effetto principale che non è stato
considerato e che permette di spiegare l’osservazione di nane con luminosità fino a circa logL/L= 4.5 è la variazione del calore specifico dovuta alla cristallizzazione (di cui parleremo più in dettaglio
subito dopo). Per temperature sufficientemente basse e di conseguenza per bassi valori di luminosità il
15
calore specifico è dovuto alle oscillazioni del reticolo degli ioni piuttosto che alla agitazione termica.
Esiste una temperatura critica di Debye D (tipicamente dell’ordine di 107 K) al di sotto della quale il cv
decresce rapidamente e conseguentemente accelera anche il raffreddamento.
L’andamento del calore specifico in funzione della temperatura è illustrato in figura 6. Per grandi T
(Γ<<1) gli ioni formano un gas ideale, ogni grado di libertà contribuisce di kBT/2 all’energia ottenendo
in tal modo un valore del calore specifico per ione cv = 3/2. Se T diminuisce aumenta la correlazione tra
le posizioni degli ioni dovuto al fatto che la forza coulombiana aumenta per valori di Γ tra 1 e 10. Per
questo motivo aumentano i gradi di libertà e cv aumenta fino ad un valore massimo di 3k quando il
plasma cristallizza. Ma diminuendo ulteriormente la temperatura diminuisce anche il numero di
oscillazioni e quindi anche cv che raggiunge di nuovo il valore di 3kB/2 attorno alla temperatura di
Debye. Per T 0 il calore specifico diminuisce rapidamente andando a zero come T3.
Figura 6: Schema dell’andamento del calore specifico in funzione della temperatura.Si noti che per T< D cv va a zero
come T3, e quindi per valori D < T diventano importanti gli effetti delle oscillazioni del reticolo e di conseguenza c v tende
al valore di 3k, mentre per alte temperature si approssima al valore tipico per un gas monoatomico. (Il ΓC in figura è il Γ
che compare in questa tesina) (da Kippenham &Weigert, Stellar Structure and Evolution, 1990)
Vediamo ora come cambia il tempo di raffreddamento tenendo conto delle variazioni del calore
specifico durante e dopo la cristallizzazione ma trascurando il rilascio di calore latente di
cristallizzazione. Innanzi tutto riscriviamo l’equazione (20) nel seguente modo:
cv
dt

dT
CAmu T 7 / 2
(24)
per temperature tali che D << T e cv  3kB allora l’equazione per  diventa
=
6 k BTM
5 Amu L
(25)
Tale equazione risulta maggiore di un fattore 2 della (22) a causa dell’inclusione dell’energia
potenziale del reticolo, quindi in questa fase di precristallizzazione il raffreddamento è più lento
Nel caso invece, in cui T<< D cv si può esprimere come
16
16 4
cv 
5
T

 D
3

 k B

(26)
Se si sostituisce tale formula nella (24) e si integra si ottiene
32 4

5
 T

 D



3
 T0 1 / 2  Mk B T
   1
 Amu L
 T 
(27)
dove T0  D è la temperatura iniziale a cui inizia il raffreddamento.
Parliamo adesso un po’ più dettagliatamente dell’equazione di stato di una nana bianca e del fenomeno
della cristallizzazione.
Per conoscere l’equazione di stato si deve conoscere l’energia libera di Helmholtz F per un plasma
completamente ionizzato di ioni ed elettroni come nel caso dell’interno di una nana bianca, nel limite di
accoppiamento debole ione-elettrone si può scrivere come somma di più termini
F  Fid(i )  Fid( e )  Fee  Fii  Fiiq  Fie
(28)
dove Fid(i ) e Fid(e ) sono rispettivamente l’energia libera di un gas perfetto di ioni e di elettroni, Fiiq è
l’energia libera dovuta alle correzioni quantistiche, mentre Fii , Fee , Fie sono le correzioni alle energie
libere dovute rispettivamente all’interazione ione-ione, all’interazione elettrone-elettrone e
all’interazione ione-elettrone. Per la trattazione di questi effetti è necessario introdurre alcuni parametri
tra cui: il parametro di correlazione ionica , il parametro di correlazione elettronica e ed il parametro
di densità elettronica rs (definiti qui sotto)
2
2
a


Ze 
e
5/3

 Z e ,
e 
,
rs  e
k B Ta
k B Ta e
a0
dove kB è la costante di Boltzmann, a0 è il raggio di Bohr definito come: a 0 
2
, ae è la distanza
me e 2
interelettronica media ae   43 ne 
ed a è la distanza interionica media a   43 ni  = aeZ1/3, ni la
densità ionica media, ne la densità elettronica media. È importante notare che Γe è definito nel limite di
e2
elettroni non degeneri, mentre nel caso degenere è
dove εF è l’energia di Fermi. Un altro aspetto
a F
di cui si deve tener conto sono gli effetti quantistici sul moto degli ioni che diventano sempre più
importanti a mano a mano che cresce la densità e al diminuire della temperatura, per stimare i quali si
introduce il parametro η
 p
 3 
(29)

  
k BT
 Rs 
1 / 3
1 / 3
17
1/ 2
 4Z 2 e 2 ni 
m
 è la frequenza di plasma degli ioni, mentre Rs  i rs Z 7 / 3 è il parametro di
dove  p  
mi
me


densità ionica. La componente elettronica è caratterizzata dal parametro di degenerazione θ e dal
parametro relativistico xr
p
T

,
xr  F
TF
me c


dove TF  me c 2 / k B  1  x r2  1 è la temperatura di Fermi mentre p F   3 2 ne  è l’impulso di
Fermi.
Le proprietà di schermo elettronico si esprimono in termini del numero d’onda di Thomas1/ 3
1/ 2
n 

Fermi kTF   4e 2 e  dove μ è il potenziale chimico degli elettroni.
 

In figura 7 è riportato l’andamento del parametro di correlazione Γ per un plasma di puro carbonio ad
una temperatura di 106K.
Figura 7 : Andamento del parametro di correlazione  al variare della densità per un plasma di carbonio ad una temperatura
di 106K (da Prada-Moroni 2001, tesi di dottorato)
Per alte densità e basse temperature, come nel caso delle nane bianche diventano importanti le
interazioni coulombiane degli ioni, i quali tendono a formare un reticolo rigido che minimizza la loro
3
energia totale. Questo accade quando l’energia di agitazione termica ( k B T ) diventa comparabile con
2
l’energia coulombiana ((Ze)2/a), ovvero il parametro di correlazione ionica Γ (ricordo che Γ è
proporzionale a ρ1/3/T, dove  è la densità e T la temperatura) diventa maggiore di un certo valore
stimato intorno a Γ =175  0.4 (Potekhin & Chabrier 2000). In generale se <<1 l’energia elettrostatica
è meno importante e gli ioni seguono la distribuzione di Boltzmann, se invece >>1 l’energia cinetica
degli ioni è trascurabile e quindi gli ioni cristallizzano. All’interno di una nana bianca il fronte della
cristallizzazione procede dall’interno e si sposta gradualmente
verso l’esterno durante il
raffreddamento.
Se nel calcolo del tempo di raffreddamento si considera anche il rilascio del calore latente di
cristallizzazione (-q  kBT) il tempo di raffreddamento aumenta di un fattore di circa 1.6 ( vedi Lamb &
Van Horn,1975) dato che viene rilasciata la seguente quantità di energia:
18
Ecalorelatente
q
2


Etermica
3k BT / 2 3
(30)
Dalle equazioni che descrivono la nana bianca si evince che i tempi evolutivi durante il raffreddamento
variano a seconda della massa della nana bianca. La figura 8 (sinistra) mostra l’andamento della
luminosità in funzione del tempo per masse diverse ed il tempo impiegato dalle strutture ad evolvere da
logL/L = -4.5 a logL/L = -5.4 (cristallizzazione) e da logL/L = -1 a logL/L = - 4 (precristallizzazione) al variare della massa (destra). Si nota che al crescere della massa delle nane bianche
aumenta la durata della fase di pre-cristallizzazione e diminuisce quella della fase cristallizzata.
Figura 8 (sinistra): Luminosità (in L) della stella in funzione del tempo (in Gyr) per nane bianche di diversa massa.
(destra): Tempo impiegato (in 109 anni) dalle nane bianche ad evolvere da logL/ L = -1 a logL/ L = -4 (linea tratteggiata)
e da logL/ L = -4.5 a da logL/ L = -5.4 (linea continua) al variare della massa ( da Prada Moroni 2001, tesi di dottorato).
Infatti, maggiore è la massa della nana bianca maggiore sarà la sua capacità termica totale, e di
conseguenza la sua riserva termica, mentre allo stesso tempo, per la relazione massa - raggio,
diminuisce la superficie irraggiante. Questi fattori influenzano entrambi il processo di raffreddamento
rallentando la fase di pre-cristallizzazione. Una volta in fase di cristallizzazione, invece, le nane
bianche con massa maggiore sperimentano prima il raffreddamento di Debye, e poiché in questa fase la
capacità termica diminuisce come T³,
Figura 9: Luminosità corrispondente all’inizio della cristallizzazione (linea continua) e alla fine della cristallizzazione (linea
tratteggiata) per nane bianche di diversa massa (da Prada-Moroni 2001, tesi di dottorato).
19
viene accelerata la perdita di energia termica nella fase finale dell’evoluzione. Anche l’inizio della
cristallizzazione cambia a seconda della massa. Come abbiamo visto la cristallizzazione ha luogo
quando il parametro di correlazione ionica , diventa maggiore di un certo valore e quindi, se la massa
aumenta cresce anche la densità (ricordiamo che   M2 ), e deve anche crescere la temperatura (e di
conseguenza anche la luminosità) a cui avviene la cristallizzazione dato che  è proporzionale a 1/3/T.
Tale andamento è ben visibile in figura 9 in cui è riportata la luminosità corrispondente all’inizio della
cristallizzazione (linea continua) ed alla fine di tale fase (linea tratteggiata) per nane bianche con massa
diversa. Abbiamo già visto che il nucleo di una nana bianca tipico è composto di carbonio ed ossigeno,
poiché il parametro di correlazione dell’ossigeno è maggiore di quello del carbonio accade che
l’ossigeno cristallizza prima del carbonio, quest’ultimo inizia la transizione di fase solo quando
l’ossigeno è in gran parte (circa il 65%) cristallizzato (vedi figura 10).
Figura 10: Coordinata in massa del fronte di cristallizzazione del carbonio (linea continua) e dell’ossigeno (linea
tratteggiata) in funzione della luminosità della stella (in L) (da Prada-Moroni, 2001, tesi di dottorato).
Chiaramente i tempi di raffreddamento di nana bianca sono influenzati dal rilascio del calore latente di
cristallizzazione.
Come si può notare dalla figura 11 in cui sono riportati gli andamenti della luminosità in funzione del
tempo di una nana bianca di 0.6 M per un modello standard (che comprende il rilascio del calore
latente) (linea continua) e per un modello in cui tale rilascio non è considerato (linea tratteggiata), il
rilascio del calore latente influenza l’evoluzione di una nana bianca non solo durante la
cristallizzazione ma anche dopo che questa fase è terminata (logL/L  - 4.3) producendo un ritardo di
circa un miliardo di anni per modelli con logL/L < -5.5. Durante la cristallizzazione oltre al rilascio
del calore latente può avvenire un ulteriore rilascio di calore determinato dalla sedimentazione del
nucleo di carbonio ed ossigeno. Il forte campo gravitazionale presente all’interno della nana bianca
provoca la sedimentazione dell’ossigeno che è più pesante dando luogo alla separazione dei due
elementi. Questo fenomeno produce un rilascio di energia gravitazionale che porta ad un ulteriore
rallentamento nel raffreddamento che nel caso di una nana bianca DA con massa tipica e con
luminosità di circa logL/L ~ -4.5 è del 14 % (Chabrier et al. 2000).
20
Figura 11: Luminosità in funzione del tempo (in miliardi di anni) per il modello standard (linea continua) e per un modello
calcolato in assenza del calore latente di cristallizzazione (linea tratteggiata) (da Prada-Moroni 2001, tesi di dottorato).
Tale fenomeno, così come il rilascio di calore latente, non è facile da valutare a causa delle incertezze
non trascurabili sulle percentuali di carbonio ed ossigeno nel nucleo dovute all'indeterminazione
presente sulla sezione d’urto della reazione 12C (,) 16O (si veda paragrafo 5.2). Un ulteriore ritardo
nel processo di raffreddamento di efficienza maggiore della cristallizzazione e molto importante per le
nane bianche fredde, (come evidenziato da Fontaine et al. 2001), è l’accoppiamento convettivo, vale a
dire il contatto che avviene tra l’inviluppo che, diventato totalmente convettivo, arriva a contatto con il
nucleo degenere. Tale fenomeno è associato al cambiamento di pendenza nella curva di raffreddamento
registrato a basse luminosità logL/L ~ -4.5 dovuto al fatto che la convezione appiattisce il gradiente di
temperatura esistente tra l’interno e l’inviluppo rispetto a modelli di strutture con inviluppo totalmente
radiativo. Come si può vedere dalla figura 12 in cui è riportata la derivata della curva di raffreddamento
rispetto alla magnitudine bolometrica in funzione della luminosità per nane bianche di diversa massa,
questo rallentamento è più importante di quello indotto dalla cristallizzazione perché avviene in un
intervallo di luminosità più ristretto e cambia quindi in maniera sensibile la pendenza della curva di
raffreddamento influenzando, ovviamente, la funzione di luminosità. Anche in questo caso risulta
fondamentale l’uso di modelli di atmosfera accurati; Tassoul, Fontaine e Winget (1990) avevano già
allora fatto notare che sostituire un modello di atmosfera dettagliato con l’approssimazione più
semplice di atmosfera grigia porta ad una sovrastima dell’estensione della convezione superficiale e
quindi ad un anticipo del contatto tra la convezione ed il nucleo isotermo elettronicamente degenere,
ovvero del momento in cui si “cortocircuita” la riserva termica con la superficie irraggiante accelerando
il processo di raffreddamento.
21
Figura 12: Derivata della curva di raffreddamento rispetto alla magnitudine bolometrica in funzione della luminosità per
nane bianche di varia massa (M = 0.2, 0.3, 0.4, 0.5, 0.6, 0.7, 0.8, 0.9, 1.0, 1.1, 1.2, 1.3 M). Solo la 0.2 M è disposta
correttamente rispetto all’asse delle ordinate, tutte le altre sono state traslate verticalmente per facilitare la lettura. Il primo
cerchio vuoto rappresenta l’inizio della cristallizzazione mentre l’ultimo indica il punto in cui il 98% della struttura è
solidificata; il cerchio pieno individua la penetrazione della convezione nel nucleo elettronicamente degenere (Da Fontaine
et al. 2001).
Come si può vedere dalla figura 13, in cui sono riportati gli andamenti della temperatura centrale in
funzione della luminosità per nane bianche di 0.5 M (linea continua) e 0.9 M (linea tratteggiata) il
cambiamento di pendenza avviene a luminosità minori per masse maggiori (si veda anche la figura 14
(sinistra)). Questi andamenti si spiegano considerando che a parità di temperatura effettiva, per la
relazione tra massa e raggio e quella di Stefan- Boltzmann risulta che i modelli con massa maggiore
hanno luminosità minore.
Figura 13: Andamento della temperatura centrale (in K) in funzione della luminosità (in L per una nana bianca di 0.5 M
(linea continua) e per una di 0.9 M (linea tratteggiata) (da Prada Moroni 2001, tesi di dottorato).
22
Un’altra caratteristica di questo fenomeno come si può notare dalla figura 14 (destra) è che al crescere
della massa corrisponde un incremento della temperatura effettiva al momento del contatto convezionedegenerazione. Ciò accade perché il fronte della regione elettronicamente degenere si propaga più
velocemente verso l’esterno nelle nane bianche più massicce e quindi più dense. Quando la convezione
irrompe nella riserva termica tutto l’inviluppo diventa più trasparente e l’eccesso di energia termica
iniziale produce il rallentamento osservato, ma dopo che è stato liberato questo eccesso di energia la
convezione ha l’effetto opposto, cioè accelera il processo di raffreddamento rispetto ai modelli che
hanno inviluppo radiativo perché a questo punto la riserva termica risulta meno isolata di prima.
Figura 14 (sinistra): Luminosità (in L ) corrispondenti alla fase di contatto tra la convezione superficiale ed il nucleo
elettronicamente degenere in funzione della massa (in M ). (destra):Temperatura (in K) a cui avviene il contatto tra la
convezione superficiale ed il nucleo elettronicamente degenere in funzione della massa (in M) (entrambe le figure da Prada
Moroni 2001, tesi di dottorato).
3.4 Evoluzione in AGB e relazione tra massa nana e massa del progenitore
Definire con precisione la relazione tra la massa di una nana bianca e quella del progenitore è un
problema ancora aperto. La conoscenza della massa del progenitore è fondamentale per tracciare la
storia evolutiva della stella prima che entri sulla sequenza di raffreddamento e dunque permette di
avere maggiori informazioni sui parametri principali che influenzano la sequenza di raffreddamento.
Tali parametri sono, a parte la massa totale, la composizione chimica del nucleo, in particolar modo le
percentuali di carbonio ed ossigeno presenti, e lo spessore dell’inviluppo di elio e di quello di idrogeno.
Dopo la fase di ramo orizzontale le stelle che hanno un inviluppo sottile (stelle piccole o che hanno
subito forti perdite di massa in RGB tali che l’inviluppo di elio ed idrogeno è inferiore a circa 0.02 M,
(Caloi 1990)) non possiedono un inviluppo sufficiente per supportare la fase di AGB e quindi vanno
direttamente in nana bianca. Stelle con inviluppo maggiore (che non hanno perso molta massa in fasi
precedenti o stelle più massicce) sperimentano la fase di AGB durante la quale, in particolar modo
nelle fasi finali dei pulsi termici, vengono accresciute le dimensioni del nucleo di carbonio ed ossigeno.
Durante la fase di ramo asintotico la struttura perde massa sotto forma di vento stellare, finché ad un
certo punto inizia la fase di supervento che strappa praticamente tutto l’inviluppo (fase di nebulosa
planetaria). Il meccanismo responsabile dell’innesco del supervento e la conseguente uscita dall’AGB
non è ancora molto chiaro ed è per questo motivo che ancora non si riesce a prevedere dopo quanti
23
pulsi termici una stella di ramo asintotico diventa una nana bianca. La complessità di questa fase
evolutiva è testimoniata dalla presenza in letteratura di significative differenze nei modelli di AGB e
nelle varie trattazioni dei pulsi termici (a tale proposito si vedano ad esempio Straniero et al. (1997),
Dominguez et al. (1999), Blocker et al. (2000), Herwig (2000)). La figura 15 mostra varie traiettorie
evolutive al variare della perdita di massa nella fase di RGB; l’efficienza della perdita di massa è
regolata dal parametro di perdita di massa di Reimers R definito nel seguente modo:

M(
M
L/ L
)  4  10 13 R
yr
gR / R
(31)

dove M è la quantità di massa persa dalla stella, L la luminosità della stella, M la sua massa , Teff la
sua temperatura effettiva e g l’accelerazione di gravità, M  , L , R indicano rispettivamente la massa, la
luminosità ed il raggio del Sole. Nel riquadro (a) è mostrata l’evoluzione di una stella che dopo il flash
dell’elio va in ramo orizzontale e poi in AGB, fa i pulsi termici e vari flash CNO prima di entrare in
nana bianca. In figura (b), a differenza della figura (a), si nota che la stella esce dall’AGB prima dei
pulsi termici andando poi in nana bianca dopo vari flash CNO. Le figure (c) e (d) mostrano due casi di
“AGB manqué”: la stella innesca il flash dell’elio fuori dall’RGB va poi in ramo orizzontale e poi in
nana senza sperimentare la fase di ramo asintotico. Nel riquadro (e) è, invece illustrata l’evoluzione di
una stella che terminato l’RGB va in curva di raffreddamento dove innesca la combustione dell’elio,
quindi sperimenta una fase di ramo orizzontale molto blu ed infine torna in nana bianca. In figura (f) la
stella subisce forti perdite di massa (R = 0.937) e una volta uscita dall’RGB va in nana bianca senza
innescare la combustione dell’elio.
Figura 15: Tracce evolutive al variare della perdita di massa. Le linee continue rappresentano le fasi evolutive dalla
sequenza principale fino all’innesco del flash dell’elio. Le linee a punti indicano le fasi evolutive successive alla
combustione centrale dell’elio fino alla fase di nana bianca. L’asterisco indica il punto di massima efficienza del flash
dell’elio (da Brown et al. 2001).
24
La relazione (Mi-Mf) esistente tra la massa iniziale del progenitore e la massa finale della nana risulta
molto importante per la determinazione della funzione di luminosità teorica, riuscire a determinarla sia
empiricamente che teoricamente, però, è molto difficile (si veda a tal proposito la discussione del
problema da parte di Weidemann (2000)). Nel 1983 Weidemann & Koester presentarono una relazione
massa nana-massa progenitore semiempirica. Il metodo usato consisteva nel determinare l’età di
raffreddamento della singola nana bianca confrontando i valori dell’accelerazione gravitazionale
superficiale e della temperatura effettiva ottenuti spettroscopicamente con i valori predetti dai modelli
di raffreddamento. Sottraendo dall’età dell’ammasso stellare l’età di raffreddamento si ottiene il tempo
impiegato dal progenitore a raggiungere lo stadio di nana bianca, poiché questo tempo dipende dalla
massa si può ottenere quella del progenitore dal confronto con le previsioni dei modelli teorici.Tuttavia
tale metodo è molto sensibile al modello teorico usato, di conseguenza i tempi di raffreddamento
risultano molto incerti, così come l’effetto delle assunzioni fatte sull’estensione del nucleo convettivo
sull’evoluzione di nana bianca. In figura 16 sono riportate alcune delle relazioni Mi-Mf presenti in
letteratura.
Figura 16: Relazione massa iniziale-massa finale secondo alcuni autori per stelle con Z = 0.02. Dall’alto verso il basso
Girardi et al. (2000), Herwig (1995), Dominguez et al. (1999), Weidemann (2000) (linea continua), Weidemann (1987). I
quadrati rappresentano la massa del nucleo di C-O all’inizio dei pulsi termici, i triangoli la massa del nucleo di C-O alla fine
dell’AGB, i numeri sopra i triangoli indicano il numero di pulsi termici sperimentati dalla stella prima della fine della fase
di AGB secondo Dominguez et al. (1999) (da Coraggio 2002, tesi di laurea).
3.5 Distribuzione in massa delle nane bianche
3.5.1 Determinazione della massa dall’accelerazione gravitazionale
Il metodo più usato per la determinazione della massa delle nane bianche è quello della misurazione
dell’accelerazione gravitazionale superficiale. Analizzando lo spettro della radiazione emessa dalle
nane bianche è possibile, confrontando le osservazioni con i modelli teorici di atmosfera risalire al
valore dell’accelerazione gravitazionale e della temperatura effettiva. Dalla temperatura effettiva,
ancora usando modelli teorici, si ricava la luminosità e quindi il raggio della stella. Sfruttando la
relazione classica:
g = GM/R2
(32)
25
si può calcolare la massa. Questo metodo è particolarmente diffuso poiché è possibile compiere misure
estremamente accurate dello spettro stellare ed i modelli di atmosfera, soprattutto per nane bianche DA,
sono ritenuti particolarmente attendibili, inoltre le DA analizzabili spettroscopicamente sono molto più
numerose di quelle che possono essere analizzate con gli altri metodi. I lavori più recenti sono quelli di
Bergeron et al. (BSL, 1992) che fornisce un valor medio di M = 0.562  0.137 M e di Finley et al.
(FKB,1997) che indica Mmedia = 0.570  0.060 M .
3.5.2 Determinazione della massa dal redshift gravitazionale
Per nane bianche appartenenti a sistemi binari con orbite con grande semiasse maggiore (< a >  103
UA) è possibile compiere misure accurate del redshift gravitazionale. Queste stelle hanno infatti una
bassa velocità orbitale ( 1 km/s) inoltre la grande distanza tra le due stelle del sistema garantisce che
esse si siano evolute come stelle singole senza fenomeni di scambi di massa. Il redshift gravitazionale è
una conseguenza della teoria della relatività generale e si basa sul fatto che i fotoni che escono da un
campo gravitazionale perdono energia e quindi aumentano la loro lunghezza d’onda.
Nell’approssimazione di campo debole si può scrivere:
vg 
c
0
 0.635
M / 1M 
km / s
R / 1R
(33)
Dove vg è il redshift gravitazionale, M  , R sono rispettivamente la massa ed il raggio del Sole. Esso è
espresso come una velocità poiché rappresenta lo spostamento verso il rosso che avrebbe la luce
emessa da una sorgente che si muove con velocità vg radiale rispetto all’osservatore. Stimando la
temperatura effettiva e la distanza della stella è possibile risalire alla luminosità assoluta e di
conseguenza al raggio, e quindi grazie alla relazione (33), determinare la massa. Lo spostamento di
riga più facile da osservare per questo fenomeno è quello della riga H e questo limita le osservazioni
alle nane DA. Silvestri et al (2001) hanno usato questo metodo su un insieme di 41 DA ed hanno
trovato una distribuzione che ha una media < M > = 0.68  0.03 M e a M = 1.12  0.03 M . Questo
strano comportamento si deve attribuire, secondo gli autori, alla particolarità dell’insieme di nane
osservato, infatti, omettendo 5 nane particolarmente massive, si ottiene una distribuzione in massa con
media intorno a M = 0.61  0.03 M , che è
equivalente, all’interno degli errori, con le distribuzioni
ottenute da McMahan (1989), Bergeron et al. (1995) e Reid (1996). In tabella 1 sono riassunti i valori
medi delle distribuzioni in massa ottenute da alcuni autori; poiché queste distribuzioni sono molto
piccate essi corrispondono praticamente al valore di picco. Come si può notare il valore più probabile
suggerito da questi studi è  0.6 M. Silvestri et al. (2001), per confrontare la compatibilità di diversi
metodi, ha fatto la media dei valori di picco trovati da quattro recenti lavori che utilizzano il redshift
gravitazionale, ottenendo < M > = 0.62  0.05 M , e di sei lavori che hanno usato il metodo
dell’accelerazione gravitazionale, ottenendo < M > = 0.60  0.04 M.
Valori medi delle distribuzioni di massa di nane bianche DA
Autore
Valore medio (M) Dispersione (M)
Weidemann & Koester 0.603
0.133
1984
Bergeron et al. 1992
0.562
0.137
Silvestri et al. 2001
0.68
0.04
26
Metodo
M(g)
M(g)
M(vg)
Silvestri et al 2001*
0.61
0.03
M(vg)
Tabella 1: Valore medio delle distribuzioni in massa delle nane bianche DA ottenute da alcuni autori con metodi diversi:
M(g) massa dall’accelerazione di gravità, M(v g) massa dal redshift gravitazionale. * Il valore qui riportato è quello
suggerito da Silvestri et al. (2001) escludendo dal suo campione 5 stelle di massa particolarmente elevata.
4 La funzione di luminosità delle nane bianche
4.1 La funzione di luminosità teorica
Le nane bianche raffreddano in tempi scala superiori all’età dell’universo quindi la loro funzione di
luminosità risulterà troncata ad un certo valore (cut-off) indicando l’età finita del sistema stellare
considerato; dal confronto tra il cut-off teorico e quello osservativo si ricava l’età del sistema stellare in
esame. La funzione di luminosità delle nane bianche di un dato sistema stellare di età t rappresenta la
densità spaziale delle nane bianche ad una data luminosità e può essere ricavata dalla seguente formula
che, come si può vedere, è una convoluzione tra il tasso di formazione stellare (), la funzione iniziale
di massa (), e il tasso di raffreddamento:
M up
n( L) 

M min
dtraff
dMbol
 L, Mm   t  t  L, Mm   t
wd
raff
wd
ms

 M    M  dM
(34)
l’integrazione è effettuata sulla massa del progenitore della nana bianca, i limiti di integrazione sono
dati da Mup che è la maggiore massa stellare che termina l’evoluzione come nana bianca, Mmin è invece
la minima massa iniziale della stella che, data l’età del sistema stellare, diventa una nana bianca di
luminosità L e si ottiene dalla relazione

 
traff L, Mmin mwd  tms  Mmin   tsist

(35)
 
dove traff L, M mwd è il tempo di raffreddamento fino alla luminosità L di una nana bianca di massa
mwd con un progenitore di massa M, t ms  M  è il tempo impiegato da una stella di massa M a
 
raggiungere la fase di nana bianca, tsist è l’età del sistema stellare, M mwd è la relazione tra la massa
iniziale del progenitore M e la massa della nana bianca mwd . L’equazione (35) è conseguenza del fatto
che per una data luminosità L, la nana bianca più vecchia (cioè quella con il progenitore meno massivo)
deve avere un’età complessiva (età del progenitore più il tempo di raffreddamento) uguale a quella del
sistema. Per ricavare la funzione di luminosità occorre conoscere la relazione tra la massa della nana
bianca e la massa del progenitore, il tasso di formazione stellare del disco  e la funzione di massa
iniziale  . Il tasso di formazione stellare nel disco è un problema ancora aperto sul quale i ricercatori
non sono concordi: c’è chi propone un andamento discontinuo con vari burst di formazione, un tasso di
formazione stellare crescente nel passato oppure una formazione stellare costante nel tempo (si veda ad
es. Shore et al. 1995) od altro. Ad esempio Rocha-Pinto et al. (2000) sostengono che il disco galattico
sia stato caratterizzato da periodi in cui la formazione stellare è stata particolarmente elevata avvenuti
ad età tra circa 0 ed 1 Gyr, tra 2 e 5 Gyr e tra 7 e 9 Gyr. A causa delle incertezze tuttora presenti, molti
27
autori assumono per l’analisi della funzione di luminosità di nana di disco un tasso di formazione
stellare costante (si vedano ad esempio Hansen (1999), Castellani et al. (2001) e Fontaine et al.(2001)).
La funzione di massa iniziale fornisce, invece, il rapporto tra il numero di stelle che si formano per
intervallo di massa ed il numero totale di stelle, vale a dire come si distribuisce la massa di un sistema
all’inizio della sua formazione. In realtà quello che interessa è la funzione di massa iniziale per stelle
che vanno in nana bianca con un’età inferiore od uguale a quella dell’età delle stelle di disco età che,
come vedremo, è sicuramente minore di 12 Gyr, età stimata dell’alone. Con questo criterio si
considerano per il calcolo della funzione di luminosità solo stelle con massa maggiore di circa 0.8 M
Per tali masse i ricercatori sono concordi per un andamento della funzione di massa iniziale del tipo
dN/dM  M- con  = 2.3± 0.3 (si veda ad es. Kroupa 2001). Un altro parametro importante è
dtraff
cioè la velocità di raffreddamento, che si può ricavare dalla curva di raffreddamento. Un
dM bol
parametro fondamentale risulta essere anche la relazione tra la massa della nana bianca e la massa del
progenitore (si veda paragrafo 3.4). La funzione di massa iniziale (o IMF)  e lo star formation rate (o
SFR)  influenzano direttamente l’andamento della funzione di luminosità. Il tratto del ramo
ascendente ad alte luminosità è dominato dalla  perché in questa zona si trovano stelle ancora giovani
(ovvero con età molto inferiore a quella del disco). La zona a cavallo del picco risente sia dell’effetto
della  sia di quello della . La caduta è influenzata principalmente dal tasso di formazione stellare e
dall’età, mentre la luminosità minima dipende solo dall’età.
Figura 16: Funzioni di luminosità per età diverse del disco galattico da (Fontaine et al. 2001). Le età assunte per il disco
variano da 8 a 16 Gyr in passi di 1 Gyr. Le curve sono normalizzate ad un punto arbitrario indicato dal cerchietto aperto.
L’andamento caratteristico delle funzioni di luminosità teoriche è illustrato in figura 16 in cui sono
riportate le funzioni di luminosità teoriche di Fontaine et al. 2001; ciascuna delle curve fornisce il
numero di stelle n(L) ad una data luminosità in funzione della luminosità per una assunta età del disco
galattico, le età considerate vanno da 8 a 16 miliardi di anni con intervalli di 1 miliardo di anni. Si può
notare come nella parte ascendente della curva la forma della funzione di luminosità non sia sensibile
all’età del sistema poiché cresce in maniera monotona fino al picco che si manifesta a logL/L ~ - 4.
Tale picco indica la manifestazione della cristallizzazione del nucleo e della penetrazione della
convezione nella zona elettronicamente degenere come indicato da tali autori. La pendenza del ramo
28
discendente è, al contrario, fortemente dipendente dall’età del sistema ed è la caratteristica che permette
di ricavare l’età dello stesso sistema.
Si può notare dalla figura che più il sistema è giovane più è ripida la pendenza. Ciò si spiega
considerando che se diminuisce l’età del sistema diventa minore il numero di nane bianche che hanno
avuto il tempo necessario per raffreddare al di sotto del picco ovvero che hanno avuto il tempo per
sviluppare la cristallizzazione del nucleo. Infatti, dato che con la cristallizzazione i tempi di vita
rallentano, la maggior parte della nane bianche locali (che possiedono una massa intorno alla massa
media stimata) si sono accumulate attorno al valore di logL/L ~ - 4, mentre quelle più massicce, ma
meno numerose, popolano la coda a basse luminosità, perché nello stesso tempo sono arrivate in fase di
raffreddamento di Debye. Confrontando, perciò, le funzioni teoriche, in modo particolare i rami
discendenti delle curve teoriche, con i dati osservativi si riesce ad avere una stima dell’età del sistema.
Figura 17: Funzioni di luminosità osservative. I dati ad alte luminosità (linea a tratti) sono presi da Fleming, Liebert &
Green (1986); i simboli pieni e la linea continua indicano i dati di Leggett et al. (1998) mentre i simboli aperti sono i dati di
Liebert, Dahn & Monet (1988) (da Leggett et al. 1998).
4.2 La funzione di luminosità osservativa
Una funzione di luminosità osservativa recente e sufficientemente precisa per le stelle di disco è quella
di Leggett et al. 1998 riportata in figura 17. Gli autori di questo articolo si sono basati su un campione
già osservato da Liebert, Dahn, & Monet (1988) costituito da 43 nane bianche identificate
spettroscopicamente. Per tali stelle Leggett et al. hanno ottenuto nuovi dati nell’infrarosso e nel visibile
completando quelli già in possesso di Liebert et al. e migliorando la determinazione delle magnitudini
bolometriche In particolare, le loro osservazioni si sono rivolte alle nane bianche fredde (con
temperatura effettiva minore di 8000 K) perché sono quelle che determinano la parte a bassa luminosità
(turnover) della funzione di luminosità che fornisce indicazioni sull’età del sistema. Per i dati ad alte
luminosità si sono basati su campioni di nane bianche con atmosfera di idrogeno pubblicati da
Fleming, Liebert & Green (1986) già usati nel loro lavoro da Liebert et al. (1988). In figura 17 la linea a
tratti rappresenta la funzione di luminosità per le nane bianche calde basata sul lavoro di Fleming et al.
(1986), i simboli vuoti sono i dati di Liebert et al. (1988) mentre i simboli pieni sono i dati ottenuti da
Leggett et al. (1998); i cerchi ed i quadrati pieni identificano i dati ottenuti tramite due diversi metodi
usati per passare dalle magnitudini visuali osservate alle magnitudini bolometriche.
In generale, i dati fotometrici ottenuti in una certa banda devono essere convertiti nella luminosità
assoluta della stella da confrontarsi con le previsioni teoriche (o viceversa). Diventa quindi
29
determinante avere a disposizione dei buoni modelli di atmosfera stellare cosa non banale per stelle
dense e fredde. In particolare occorre includere nei modelli di atmosfera le collisioni delle molecole di
H ed He e calcoli per l’allargamento della riga H che influenzano in modo significativo l’opacità
degli strati esterni. Per la loro funzione di luminosità Leggett et al. hanno usato i modelli di atmosfera
di Bergeron, Saumon, & Wesemael (1995) i quali mostrarono che per Teff 5000K lo spettro di
distribuzione dell’energia uscente da atmosfere particolarmente dense (log g  89 cm/s2) si discosta
notevolmente dallo spettro di corpo nero a causa di assorbimenti indotti dalle collisioni H2-H2 e H2-He
come si può vedere in figura 18 (sinistra) dove è riportato il confronto tra lo spettro di corpo nero con
Teff di 4000K(linea a punti) con lo spettro della radiazione uscente (linea continua spessa) e con quello
di puro elio (linea continua sottile). È utile sottolineare che nel regime di temperature così basse tali
collisioni sono la principale sorgente dell’opacità, come si può vedere in figura 18 (destra),
influenzando significativamente il rilascio dell’energia.
Figura 18 (sinistra): Spettro emergente per un’atmosfera di puro idrogeno (linea continua spessa) e per un’atmosfera di puro
elio (linea continua sottile). La linea a punti è la funzione di Planck (calcolata per Teff = 4000K). La linea a tratti è lo spettro
emergente per un’atmosfera mista di H/He, con 10% di H. (destra): Opacità  in funzione della lunghezza d’onda dei
principali contributi per un’atmosfera di puro idrogeno (10-2 g/cm3, riquadro superiore) e di puro elio ( 100 g/cm3,
riquadro inferiore) con T eff =4000 K e log g(cm/s2) = 8. (Riquadro superiore): il rapido incremento di opacità per λ > 1μm
mostra l’importanza della formazione delle molecole. (Riquadro centrale): funzione di Planck a queste temperature (da
Hansen 1999).
Un altro passaggio delicato è l’uso di modelli evolutivi; ad esempio Leggett et al. hanno usato i modelli
di nana di Wood (1990, 1995) per derivare, una volta noti raggio e temperatura, la massa della stella e
successivamente la gravità superficiale. Il problema principale nella determinazione della funzione di
luminosità osservativa risiede, comunque, nella completezza del campione di stelle a disposizione.
30
Figura 19: Confronto tra le funzioni di luminosità osservative e teoriche. I dati osservativi sono di Leggett et al 1998
(cerchietto pieno) e di Knox et al. 1999 (cerchietto vuoto) Le linee continue sono le funzioni di luminosità teoriche di
Fontaine et al. (2001) calcolate per età da 8 a 14 Gyr su modelli con nucleo di puro carbonio (da Fontaine et al. 2001).
Leggett et al. (1998) hanno utilizzato il metodo di Schmidt (1968, 1975) (di cui non entreremo nel
merito perché esula dagli scopi di questa tesina) per la creazione della loro funzione di luminosità che
permette di avere anche una stima dell’incompletezza del campione di stelle. Secondo tale metodo il
campione usato da Leggett et al. risulta leggermente incompleto ma gli autori hanno stimato che
l’errore che può derivare da tale incompletezza è comunque all’interno degli errori nella
determinazione della funzione di luminosità e quindi non inficia la validità della funzione di luminosità
così costruita.
Si può vedere dalla figura 17 che le nane bianche tendono ad addensarsi verso luminosità intorno
logL/L ~ - 4 valore per cui la funzione di luminosità presenta un picco che corrisponde ad una
magnitudine bolometrica di ~ 14.75 ed una temperatura effettiva di ~5300 K. Andando verso valori di
luminosità inferiori la funzione di luminosità presenta una discesa la cui ripidità dipende dall’età del
sistema considerato. Un tale andamento è visibile anche in figura 19 che mostra il confronto di funzioni
di luminosità teoriche di Fontaine et al. (2001) con i dati osservativi di Leggett et al. (1998) e quelli di
Knox et al. (1999). Dalla figura 19 sembra esserci un discreto accordo tra i dati di Leggett et al. (1998)
e quelli di Knox et al. (1999); tale risultato sembra significativo dal momento che questi dati osservativi
costituiscono due set di dati ottenuti con metodi diversi: tramite una selezione basata sul moto proprio
(Leggett et al. (1998), per mezzo di una selezione colorimetrica in aggiunta a quella di moto proprio
(Knox et al. (1999)). Va accennato, per inciso, che la selezione delle stelle basata sul moto proprio è
fondamentale per distinguere le nane di disco da quelle di alone che hanno velocità orbitali elevate
(vedi Hansen 1999).
L’accordo teoria-osservazione che si ha fino alla regione del picco deve essere interpretato con una
certa cautela dato che la regione del picco è influenzata sia dall’IMF che dalla SFR e quindi si possono
ottenere risultati simili con diverse combinazioni di IMF e di SFR. Cioè questa caratteristica strutturale
non è molto sensibile all’IMF e la SFR da adottare. Inoltre per quel che riguarda la zona a più alte
luminosità, la forma della funzione di luminosità è scarsamente dipendente dalla massa delle nane e
quindi anche dalla SFR.
31
Figura 20 (pannelli di sinistra): Confronto tra le funzioni di luminosità teoriche di Hansen (1999) per età del disco di 6, 8,
10 e 12 Gyr ed i dati osservativi di Liebert et al. (1988) (cerchi pieni) ed i dati di Fleming et al. (1986). (cerchi vuoti) (Il
riquadro superiore si riferisce a modelli con atmosfera di H e l’inferiore a modelli con atmosfera di He (pannelli di destra)
Confronto tra le funzioni di luminosità teoriche di Hansen per età del disco di 4, 6, 8, 10, 12 Gyr ed i dati di Oswalt et al.
(1996). (Da Hansen 1999).
5 L’età del disco galattico
5.1 Determinazioni dell’età del disco galattico
Esistono in letteratura numerosi lavori riguardo alla determinazione dell’età del disco galattico dalla
funzione di luminosità delle nane bianche che forniscono stime comprese tra gli 8 e gli 11 miliardi di
anni. Ad esempio la diversità dei risultati dipende principalmente dalle diverse funzioni di luminosità
teoriche e dati osservativi adottati. Hansen (1999) (vedi figura 20) fornisce due set di risultati in base a
due diversi campioni osservativi fittati con modelli teorici calcolati per atmosfera di puro H o di puro
He. Per nane bianche con atmosfera di idrogeno ottiene 8  1 Gyr con il campione di LDM e 9.5  1.5
Gyr per il campione di Oswalt et al. (1996) (OSWH), mentre per le nane con atmosfera di elio ottiene
5.5  0.5 Gyr per il campione di LDM e 8  2 Gyr per il campione di (OSWH) (vedi figura 20).
Fontaine et al. 2001 ricavano un’età di ~ 11 Gyr per modelli di nana bianca con nucleo di puro
carbonio (vedi figura 16) e ~ 8.5 Gyr per modelli con nucleo di puro ossigeno. Leggett et al. stimano
l’età del disco fittando le osservazioni con le funzioni di luminosità teoriche ricavate da Wood (1995)
(vedi figura 21 (sinistra)) ottenendo un’età di 8  0.5 Gyr. Leggett et al. hanno poi fittato i loro dati
32
anche con la funzione di luminosità di Hernanz et al. (1994) da cui hanno ricavato una stima di ~ 9 Gyr
(vedi figura 21 (destra))
Figura 21 (sinistra): Funzione di luminosità osservativa (cerchietti neri) di Leggett et al. 1998 fittata con le funzioni di
luminosità teoriche di Wood 1995 corrispondenti ad età di 7 Gyr (linea a tratti) ,8 Gyr ( linea continua) e 9 Gyr (linea trattopunto). (destra): Funzione di luminosità osservativa (cerchietti pieni) di Leggett et al. (1998) fittate con le funzioni di
luminosità teoriche di Hernanz et al. (1994) corrispondenti ad età di 8 Gyr (linea a tratti); 9 Gyr (linea continua) e 10 Gyr
(linea tratto-punto). (Da Leggett et al. 1998).
5.2 Incertezze dei risultati
Il range relativamente ampio di età stimate per il disco dai vari autori è dovuto sia ad incertezze nei
modelli teorici adottati per le funzioni di luminosità teoriche sia ad incertezze osservative.
Per quanto riguarda la funzione di luminosità osservativa i problemi principali sono costituiti dalla
conversione in luminosità delle magnitudini osservate in una certa banda (ad esempio il visibile o
l’infrarosso) tramite modelli di atmosfera accurati che tengono conto dei vari assorbimenti degli atomi
e delle molecole presenti nell’atmosfera e dalla determinazione della completezza del campione
esaminato su cui si basa poi la funzione di luminosità, in particolare risulta fondamentale una stima
della completezza nella regione del turnover. Ricordiamo che attualmente tale porzione di curva è
determinata da 1-3 stelle (Leggett et al. 1998). Un altro problema è costituito dalla presenza di stelle
binarie non risolte soprattutto se presenti nella zona a bassa luminosità. L’effetto della presenza di
binarie è comunque difficile da valutare perché dipende dalle caratteristiche del sistema binario, ad
esempio dal rapporto delle masse e dalle fasi evolutive delle stelle componenti il sistema. Le incertezze
nei modelli teorici derivano principalmente da indeterminazioni, tuttora presenti, negli input fisici e
nella descrizione dei meccanismi macroscopici utilizzati nei modelli. In generale
queste
indeterminazioni non sono trascurabili perché le nane bianche, specialmente a bassa luminosità, sono
oggetti i cui meccanismi fisici sono difficili da trattare.
A basse luminosità ed alte densità, ad esempio, diviene difficile il trattamento dell’opacità, e
dell’equazione di stato e quindi dell’atmosfera a causa di assorbimenti collisionali di molecole tipo H2
ed H¯. Questo è un problema soprattutto per le stelle di alone che hanno un’età comparabile a quella
dell’universo. Fortunatamente per i nostri scopi, poiché il disco ha un’età inferiore a quella dell’alone,
il problema diventa meno serio dato che la funzione di luminosità si arresta a logL/L ~ - 4.5. A queste
luminosità la velocità di raffreddamento è determinata principalmente dalla composizione del nucleo di
carbonio ed ossigeno e dalla struttura dell’inviluppo.
33
La composizione del nucleo, ovvero la percentuale di carbonio ed ossigeno presente nel nucleo, risulta
una fonte di incertezza determinante come evidenziato dalle due stime per le composizioni estreme solo
carbonio (età ~11 Gyr) o solo ossigeno (età ~ 8.5 Gyr), a parità di altre condizioni, ottenute da Fontaine
et al. (2001).
Questi due risultati potrebbero essere presi come limiti entro i quali si dovrebbe collocare l’età del
disco, infatti il nucleo presenta una composizione mista di C ed O che è frutto delle reazioni nucleari
che sono avvenute. Altri autori, invece, assumono composizioni miste per il nucleo (vedi ad esempio
Hansen 1999, Salaris et al. 2000), ad esempio Castellani et al. hanno considerato una composizione di
carbonio ed ossigeno le cui abbondanze percentuali sono calcolate sulla base dei valori ottenuti da
Caughlan & Fowler 1988 per le sezioni d’urto delle reazioni 3  12C +  e 12C +   16O + .
La sezione d’urto dell’ultima reazione è una delle più incerte, si veda ad esempio l’analisi di tutti i dati
disponibili compiuta da Buchmann et al. (1996): il tasso di reazione per una temperatura di T = 1.8 
108 K è compreso tra NA< v> = 0.5  10-15 e NA< v >= 2.2  10-15 cm3/(mol·s), confrontabile con
Caughlan & Fowler (1988) (CF88) (NA< v >= 0.8  10-15 cm3/(mol·s)) e Caughlan et al. (1985)
(CF85) (1.9  10-15 cm3/(mol·s)) largamente usati nei codici di evoluzione stellare. Altre stime sono
fornite ad esempio dalla compilazione NACRE che dà NA< v >compreso tra 0.9  10-15 cm3/(mol·s) e
2.1  10-15 cm3/(mol·s) ed un valore raccomandato di 1.5  10-15 cm3/(mol·s). Più recentemente Kunz et
al. (2002) adottano un valore di NA< v> =1.24  10-15 cm3/(mol·s) che risulta compreso tra 0.68  1015
cm3/(mol·s) e 1.68  10-15 cm3/(mol·s); tuttavia è opinione comune degli esperti nel campo che
l’incertezza su questa sezione d’urto non sia ancora inferiore al 50%. La difficoltà nella misurazione è
dovuta principalmente al fatto che ad energie di interesse astrofisico la sezione d’urto è dominata dalle
transizioni allo stato fondamentale: le due ampiezze E1 dovute alla coda a bassa energia della risonanza
1- a Ecm = 2.42 MeV ed alla risonanza sottosoglia a –45KeV, l’ampiezza E2 dovuta alla risonanza
sottosoglia 2+ a –245KeV e la cattura diretta allo stato fondamentale dell’16O (Imbriani et al. (2001)).
Figura 22: (sinistra) Luminosità di una nana bianca (espressa in L ) in funzione del tempo (in 109 anni) di massa pari a 0.6
M con nucleo di carbonio ed ossigeno le cui abbondanze sono date da Caughlan & Fowler (1985) (linea continua) e da
Caughlan & Fowler (1988) (linea tratteggiata). (da Prada Moroni & Straniero 2002). (destra) Valore assoluto della
differenza in percentuale dei tempi di raffreddamento a parità di luminosità per una nana bianca di 0.6 M  al variare della
composizione chimica del nucleo (da Prada Moroni 2001).
L’ incertezza del valore della sezione d’urto 12C +   16O +  si riflette sull’incertezza della
composizione relativa di carbonio ed ossigeno presenti nel nucleo; ciò influenza l’energia a
disposizione dell’interno stellare, infatti la capacità termica è inversamente proporzionale al numero di
massa ed è perciò maggiore per il carbonio. A parità di altre condizioni, una capacità termica maggiore
34
produrrà un rilascio più lento del calore e quindi la luminosità avrà un diverso andamento temporale.
Inoltre, diverse percentuali di carbonio ed ossigeno in fase di cristallizzazione possono influire sulla
sedimentazione. I valori estremi comunemente adottati in letteratura che coprono conservativamente il
range delle incertezze tuttora presenti sono quelli estrapolati da Caughlan & Fowler in base ai risultati
sperimentali disponibili nel 1985 (CF85) e nel 1988 (CF88); in quest’ultimo lavoro, come abbiamo
visto, l’efficienza proposta è minore di circa un fattore due rispetto a quella del 1985. I modelli che
adottano la CF88 raffreddano più lentamente perché considerano una minore efficienza della reazione
12
C+  che porta ad un maggiore contenuto di carbonio nel nucleo e quindi come già accennato, ad
una maggiore capacità termica a parità di altre condizioni.
Adottare un valore oppure l’altro per la sezione d’urto produce differenze significative nei tempi di
raffreddamento in particolare per valori di luminosità attorno a logL/L ~ - 4 ovvero per i valori più
critici per la determinazione dell’età del sistema dalla funzione di luminosità. In figura 22 (sinistra) è
mostrato l’andamento temporale della luminosità di due modelli di nana bianca con massa tipica pari
a 0.6 M per differenti valori della sezione d’urto della 12C + ; la linea continua corrisponde al
modello in cui è stata adottata la CF85 mentre quella tratteggiata rappresenta il modello con la CF88.
Il diverso andamento delle luminosità dei due modelli è evidenziato in figura 22 (destra) in cui è
riportato il valore assoluto della differenza percentuale dei tempi di raffreddamento si può vedere
come per luminosità di interesse per il turnoff della funzione di luminosità a logL/L ~ -4 la
differenza in percentuale arrivi ad un considerevole 7 %.
Un’altra differenza tra le stime delle età è dovuta alla diversa composizione atmosferica, molti autori
basano le loro funzioni di luminosità su campioni di nane bianche con atmosfera di idrogeno dato che
queste sono la maggior parte (circa il 75 %) delle nane esistenti. Alcuni autori, si veda ad es. Hansen
(1999) hanno però mostrato, (vedi figura 20) , che funzioni di luminosità basate su campioni di nane
con atmosfera di elio forniscono un’età più giovane di circa 2 Gyr rispetto ai modelli con atmosfera di
idrogeno. Come si può vedere in figura 20 dove sono riportate le funzioni di luminosità ricavate da
Hansen per nane con atmosfera di elio e nane di idrogeno e fittate con i dati osservativi di due autori
diversi, le funzioni di luminosità delle nane bianche di elio presentano un picco più allargato e per
questo vengono fittate dando età più giovani. Ciò è dovuto al fatto che l’elio è meno opaco
dell’idrogeno (ricordiamo che è l’opacità che regola la radiazione uscente dalla stella), quindi
un’atmosfera di elio isola meno la riserva termica del nucleo causando un raffreddamento più veloce.
Altre differenze consistono nel trattamento di fenomeni fisici che si verificano durante la fase di
cristallizzazione ad esempio le funzioni di luminosità di Hernanz et al. 1994 includono la
sedimentazione, ovvero la separazione di carbonio ed ossigeno durante la cristallizzazione. A causa
dell’elevato valore della gravità l’ossigeno affonda separandosi dal carbonio, questo fenomeno
permette il rilascio di energia gravitazionale che si riflette in un ritardo di circa 2 miliardi di anni nel
raffreddamento rispetto a modelli in cui la sedimentazione non è considerata.
35
Figura 23: Luminosità ( in L) della stella in funzione del tempo (in 10 9 anni) per una nana bianca di massa M= 0.6 M
secondo modelli di vari autori: Salaris et al. (2000) (linea a tratto lungo); Prada Moroni & Straniero (2002) (linea continua);
Chabrier et al. (2000) (linea a tratto breve); Wood (1995) (linea punto-tratto); Benvenuto & Althaus (1999) (linea a punti)
(da Prada Moroni & Straniero 2002).
Confrontare in generale i risultati dei diversi autori è quindi difficile perché i modelli vengono ricavati
usando differenti input fisici e scelte diverse sulla trattazione di meccanismi macroscopici, tali diversità
sono evidenti in modo particolare per valori di luminosità corrispondenti alla regione a luminosità
inferiore della funzione di luminosità (logL/L  - 4.2) come si può notare in figura 23 in cui sono
riportate le curve di raffreddamento di una nana bianca con massa tipica di 0.6 M come calcolate in
recenti lavori. Si noti ad esempio che la differenza tra i tempi evolutivi di Salaris et al. (2000) e quelli
di Wood (1995) è di circa 2.3 miliardi di anni per logL/L ~ - 4.5. È inoltre interessante notare che per
la stima dell’età del disco, ciò che è sufficiente confrontare è l’andamento della regione di turnover
teorico ed osservativo che dipende essenzialmente dall’età del disco. Il confronto dell’andamento di
tutta la funzione di luminosità risente invece maggiormente delle assunzioni fatte sull’IMF e sulla star
formation rate. Inoltre, se in aggiunta all’andamento, si volesse riprodurre il valore assoluto della
funzione di luminosità occorrerebbe assumere una distribuzione spaziale per le stelle di disco (si veda
ad es. Cignoni et al. 2003, figura 24).
36
Figura 24: Confronto tra una simulazione di una funzione di luminosità ed i dati osservativi Liebert et al. (1988) ed i dati di
Leggett et al. (1998) (da Cignoni, Prada-Moroni, Degl’Innocenti, 2003)
5.3 Conclusioni
La funzione di luminosità delle nane bianche presenta caratteristiche che permettono di stimare l’età
del sistema in esame. Per quanto riguarda l’età del disco galattico le stime ottenute sono comprese tra
8.5 e 11 Gyr (a seconda delle funzioni di luminosità teoriche ed osservative utilizzate) e sono
compatibili con età stimate con altri metodi. Di conseguenza l’uso delle nane bianche come orologi
cosmici risulta un metodo affidabile ed estendibile alla valutazione dell’età di altri sistemi come l’alone
galattico e gli ammassi globulari soprattutto in futuro quando saranno disponibili nuove osservazioni a
luminosità più deboli necessarie per la stima di età di oggetti più antichi. Come abbiamo visto sono
ancora presenti incertezze di varia natura sia teoriche che osservative. Per quanto riguarda le incertezze
teoriche rivestono un ruolo importante la difficoltà nella determinazione della composizione chimica
del nucleo delle nane bianche ed il trattamento dell’opacità e dell’equazione di stato che risulta
particolarmente complesso a basse luminosità ed alte densità. Di conseguenza questi problemi
diverranno ancora più critici se si vogliono stimare le età di ammassi più antichi.
Appendice A
Magnitudini e filtri
A.1 La magnitudine delle stelle
Fin dall’antichità, le stelle furono classificate in base alla loro luminosità: Ipparco nel II sec. a.C.
redasse un catalogo delle stelle visibili a occhio nudo, raggruppandole in 5 classi di luminosità. Il
37
termine usato per indicare la luminosità era grandezza o magnitudine, poiché si riteneva che le stelle
fossero situate tutte alla stessa distanza sulla sfera celeste, e quindi le stelle più luminose erano ritenute
essere più grandi. Nel XIX secolo Pogson realizzò una calibrazione più quantitativa per cui un
intervallo in magnitudine m = 1corrispondeva ad un fattore 2.5 in intensità. Considerando che la
sensibilità dell’occhio all’intensità luminosa fornisce una risposta logaritmica la scala delle magnitudini
viene così definita:
m  2.5 log
I
I  , std
dove I,std è l’intensità di riferimento basata su un oggetto standard definito come la stella con
magnitudine apparente zero ad una specifica lunghezza d’onda. Per il filtro V (del sistema di Johnson)
si considera la stella Vega ( Lyrae).
La magnitudine assoluta di una stella è invece definita dalla seguente relazione
Mi = mi +5 –5log r
dove r è la distanza della stella in parsec. Essa rappresenta la magnitudine apparente che avrebbe la
stella se osservata da una distanza di 10 pc dando in tal modo, la possibilità di confrontare la luminosità
delle stelle indipendentemente dalla loro distanza. Oltre a queste due magnitudini si introduce la
magnitudine bolometrica assoluta, ovvero la luminosità integrata su tutte le frequenze, definita in
questo modo
Mbol = mv + BC = -2.5 logL/L + Mbol
dove la quantità BC è detta correzione bolometrica e dipende dalle caratteristiche dell’atmosfera
stellare, Mbol è invece la magnitudine bolometrica assoluta del Sole mentre mv è la magnitudine
apparente nel visibile.
A.2 Sistemi fotometrici ed indici di colore
Un sistema fotometrico largamente usato è il sistema Johnson e Morgan nel quale si distinguono tre
bande spettrali. In figura sono riportate le curve di trasmittanza (o di sensibilità spettrale) di tale
sistema, in funzione della lunghezza d’onda espressa in Å.
Figura A.2.1: curve di sensibilità del sistema UBV.
38
Il rapporto tra i flussi in due diverse bande è dato dagli indici di colore ( ad esempio B-V = MB – MV );
dalle caratteristiche dello spettro di corpo nero notiamo che al crescere della temperatura crescono i
rapporti tra i flussi raccolti nelle coppie di bande ( ad esempio (B)/(V) dove (B) e (V) sono
rispettivamente i flussi nella banda blu e nel visibile), e diminuiscono conseguentemente i valori
dell’indice di colore.
Appendice B
Reazioni nucleari
B.1 Catena protone-protone
La catena protone-protone (o ciclo pp) è la reazione di fusione che avviene durante la fase di sequenza
principale delle stelle di piccola massa per cui 4 protoni si fondono dando un nucleo di elio. A
seconda della temperatura di innesco si hanno tre cicli possibili. Il ciclo pp1 si innesca ad una
temperatura T ~ 6  106 K ed è caratterizzato dalle seguenti reazioni:
p + p  D + e+ + 
D + p  3He + 
3
He + 3He  4He + 2p
Se all’interno della struttura si raggiunge la temperatura centrale di ~ 15 106 K diviene attiva e
concorrente all’ultima reazione la seguente:
3
He + 4He  7Be + 
Da questa ha origine il ciclo pp2 dato dalle reazioni:
7
Be + e-  7Li + 
7
8
Li + p  8Be
Be  4He + 4He
Per T ~ 2  107 K prevale invece, il pp3 costituito dalle reazioni:
7
8
Be + p  8B + 
B  8Be + e+ + 
8
Be  4He + 4He
39
B.2 Biciclo CN-NO
La combustione centrale di idrogeno per stelle di massa intermedia e grande avviene tramite il ciclo
CNO che si innesca ad una temperatura T > 15  106 K caratterizzato dalle seguenti equazioni:
C + p  13N + 
12
13
N  13C + e+ + 
C + p  14N + 
13
14
15
N + p  15O + 
O  15N + e+ + 
15
16
N + p  16O
O  12C + 4He
B.3 Combustione dell’elio
Quando la temperatura centrale della struttura stellare raggiunge circa 108 K diventa efficiente un
processo a tre corpi per cui tre particelle , ovvero tre nuclei di elio, si fondono dando origine alla
seguente catena di reazioni:
3 
12
C + 
C + 
16
O + 
20
Ne +  
24
12
16
(
20
( 24Mg +  
O+ 
Ne + 
Mg +  )
28
Si +  )
Le ultime due reazioni sono tra parentesi perché risultano molto meno efficaci delle prime e quindi non
influenzano significativamente la composizione chimica del nucleo che sperimenta questo tipo di
combustione.
40
B.4 Reazioni picnonucleari
In condizioni di elevata densità e bassa temperatura come quelle presenti all’interno di una nana bianca
possono aver luogo delle reazioni dette picnonucleari che si differenziano da quelle termonucleari
citate sopra perché il superamento della barriera coulombiana necessario affinché avvenga una
reazione è determinato dall’energia dei nuclei nel reticolo. Gli ioni del reticolo oscillano attorno alle
loro posizioni reticolari e possono penetrare la barriera coulombiana di uno ione vicino. In generale,
quando la densità della materia supera un certo valore che aumenta per elementi più pesanti hanno
luogo le reazioni picnonucleari; ad esempio se la densità risulta maggiore di circa 10 6gr/cm3 si ha la
combustione dell’idrogeno, se supera circa 109 gr/cm3 si ha quella dell’elio, mentre se è superiore a
circa 1010 gr/cm3 avviene la combustione del carbonio.
Notiamo inoltre che nel caso delle nane bianche, a causa delle forti interazioni elettrostatiche tra gli
ioni, ci troviamo in condizioni di schermaggio elettronico forte e cioè:
Z1Z2 e2 / kBT >> 1
dove Z1,2 sono le cariche dei nuclei reagenti, T la temperatura, kB la costante di Boltzmann, e  è
l’inverso del raggio di Debye ed è dato dalla seguente formula
2 = (4 e2/ kBT) (i Z2i ni + ne e)
dove ni è la densità numerica degli ioni di carica Zi, ne è la densità numerica media degli elettroni con
fattore di degenerazione e. Il termine i Z2i ni corrisponde allo schermo esercitato dagli ioni, mentre
ne e corrisponde a quello esercitato dagli elettroni presenti nel plasma.
Bibliografia
Angulo C.,Arnould M., Rayet M., Descouvement P., Baye D., Leclercq-Willain C., Coc A., Barhoumi
S., Agner P., Rolfs C. and 18 authors 1999, NuPhA., 656, 3
Benvenuto O.G. & Althaus L.G., 1999, MNRAS, 303, 30
Bergeron P., Saffer A., Liebert J., 1992, ApJ, 394, 228
Bergeron P., Liebert J., Fulbright M.S., 1995, ApJ,443, 764
Bergeron P., Saumon D. & Wesemael F., 1995, ApJ, 443, 764 (BSW)
Blocker T., Herwig F., Driebe T., 2000, MmSAI, 71, 711
Bradley P.A. & Winget D.E., 1994, ApJ, 430, 850
Brown T.M., Sweigart A.V., Lanz T., Landsman W.B., Hubeny I., 2001, ApJ, 562, 368
Buchmann L., Azuma R.E., Barnes C.A., Humblet J., Langanke K., 1996, Ph.Rv. C 54, 393
Caloi V., 1990, A&A, 232, 67
Castellani V. Astrofisica Stellare, 1985, Bologna, Zanichelli editore
Castellani V., Cignoni M., Degl’Innocenti S., Petroni S., Prada Moroni P.G., 2002, MNRAS, 334, 69
Caughlan G.R. & Fowler W.A., 1988, Atomic Data Nucl. Data Tables, 40, 283
Caughlan G.R., Fowler W.A., Harris, M.J., Zimmermann, B.A., 1985, Atomic Data Nucl. Data Tables,
32, 197
Chabrier G., Brassard P., Fontaine G., Saumon D., 2000, ApJ, 543, 216
41
Cignoni M., Prada-Moroni P.G., Degl’Innocenti S., “Stars in Galaxies” Isole Canarie 7-11 marzo 2003,
memSAIt (in pubblicazione)
Cignoni M., Tesi di Laurea, Università di Pisa, Anno Accademico 1999-2000
Clemens J.C., 1993, Baltic Astron., 2, 407
Coraggio G., Tesi di Laurea, Università d Pisa, Anno Accademico 2001-2002
D’Antona F. & Mazzitelli I., 1990, ARA & A, 28, 139
Dominguez I., Chieffi A., Limongi M., Straniero O., 1999, ApJ, 524, 226
Finley D.S., Koester D., Basri G.,1997, ApJ, 488, 375
Fleming T.A., Liebert J. & Green R.F., 1986, ApJ, 308,176
Fontaine G., Brassard P., & Bergeron P., 2001, PASP, 113, 409
Girardi L., Bressan A., Bertelli G., Chiosi C., 2000, A&A, 141, 371
Hansen B.M.S., 1999, ApJ, 520, 680
Hernanz M., Garcia-Berro E., Isern J., Mochkovitch R., Segretain L. & Chabrier G., 1994, ApJ, 434,
652
Herwig F., 1995, in „Stellar Evolution: What Should be Done“, Proceedings of the 32nd Liège
International Astrophysical Colloquium, edited by Noels A., Fraipoint-Caro D., Gabriel M., Grevesse
N., Demarque P., Liege, p.441
Herwig F., 2000, A&A, 360, 952
Holberg J.B., Barstow M.A., Burleigh M.R., 2002, AASMeeting 201, #119.03 I
Imbriani G., Limongi M., Gialanella L., Terrasi F., Straniero O., Chieffi A., 2001, ApJ, 558, 903
Itoh N., Mitake S., Iyetomi H., & Ichimaru S., 1983, ApJ, 273,774
Kippenham R., Weigert A., Stellar Structure and Evolution, 1990, Springer-Verlag
Knox R.A., Hawkins M.R.S. & Fambly N.C., 1999, MNRAS, 306, 736
Kroupa P., 2001, MNRAS, 322, 231
Kunz R., Fey M., Jaeger M., Mayer A., Hammer J.W., Staudt G., Harissopulos S., Paradellis T., 2002,
ApJ, 567, 643
Lamb D.Q., Van Horn H.M., 1975, 1875, ApJ, 200, 306
Leggett S.K., Ruiz M.T. & Bergeron P., 1998, ApJ, 497, 294
Liebert J., Dahn C.C. & Monet D.G. 1988, ApJ, 332, 891
McMahan R.K., 1989, ApJ, 336, 409
Mihalas D. & Binney J., Galactic Astronomy, 1981, San Francisco, W.H. Freeman and Company
Mitake S., Ichimaru S., Itoh N., 1984, ApJ, 277, 375
Nitta A. & Winget D.E., 1998, Baltic. Astron., 7, 141
Oswalt T.D., Smith J.A., Wood M.A. & Hintzen P., 1996, Nature, 382, 692
Potekhin A.Y., Chabrier G., 2000, Ph.RvE., 62, 8554P
Prada Moroni P.G. & Straniero O., 2002, ApJ, 581, 585
Prada Moroni P. G., 2001, Tesi di Dottorato in Fisica, Università di Pisa
Reid I.N., 1996, AJ, 111, 2000
Reimers D., 1975, MSRSL, 8, 369
Rocha-Pinto M.J., Scalo J., Mociel W.J., Flynn C., 2000, A&A, 358, 869
Romaniello M., Tesi di Laurea, Universita' di Pisa, Anno Accademico 1991-1992
Salaris M., Garcia-Berro E., Hernanz M., Isern J., Saumon D., 2000, ApJ, 544, 1036
Schmidt M., 1968, ApJ, 151, 393
Schmidt M., 1975, ApJ, 202, 22
Shapiro S. L., Teukolsky S.A., Black Holes, White Dwarfs, and Neutron Stars, 1983, John Wiley &
Sons, Inc.
Shore S., Ferrini F., 1995, Fund.Cosm.Phys., 16, 1
Silvestri N.M., Oswalt T.D., Wood M.A., Smith J.A., Reid I.N., Sion E.M., 2001, AJ, 121, 503
42
Straniero O., Chieffi A., Limongi M., Busso M., Gallino R., Arlandini C., 1997, ApJ, 478, 332
Tassoul M., Fontaine G., Winget D.E., 1990, ApJS, 72, 335
Weidemann V. & Koester D., 1983, A&A, 121, 77
Weidemann V., 1987, A&A, 188, 74
Weidemann V., 2000, A&A, 363, 647
Wood M.A., 1990, JRASC, 84, 150
Wood M.A., 1995, in Koester D., Werner K., eds, “Proceedings of the 9th European Workshop on
White Dwarfs”. Springer -Werlag, Berlin, (http://astro.fit.edu/wood/wd/) p.41
43