Anno A DOMENICA DELLE PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE Mt 21,1-11 - Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Is 50,4-7 - Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi, sapendo di non restare deluso (terzo canto del Servo del Signore). Dal Salmo 21 - Rit.: Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? Fil 2,6-11 - Cristo umiliò se stesso, per questo Dio l’ha esaltato. Canto al Vangelo - Gloria e lode a te, o Cristo! Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è sopra ogni altro nome. Gloria e lode a te, o Cristo! Mt 26,14–27,66 - La passione del Signore. La passione secondo Matteo Con questa domenica, che ci introduce nel tempo della «settimana santa», siamo chiamati a meditare il mistero di Gesù Cristo, che «è morto per noi» (Rm 5,8), «per i nostri peccati, secondo le Scritture» (1 Cor 15,3), egli che è «venuto a dare la vita per la moltitudine» (Mc 10,45). Gesù, secondo Fil 2,6-11 (2a lettura), ha voluto «essere Figlio» non nella forma della «onnipotenza», o della sovranità umana o del trionfo umano, ma per la via della dolorosa passione e morte. Perché Gesù, Figlio di Dio, vive, soffre e muore «nella carne»? Quel vivere, soffrire e morire nella carne del Figlio di Dio sono «soltanto» suoi, unici e salvifici. Infatti, Gesù vive, soffre e muore nella «carne» in piena solidarietà con l’umanità e in totale affidamento-obbedienza a Dio Padre. Egli fu «obbediente fino alla morte e alla morte di croce»: l’obbedienza è ciò che qualifica Gesù, nella sua singolare posizione di fronte a Dio e di fronte all’umanità, come Figlio del Padre celeste e come uomo autentico che ci mostra come dobbiamo essere per realizzarci pienamente di fronte a Dio. Potremmo riassumere il senso del racconto evangelico della passione, dicendo che Gesù si realizza, anche in essa, come Figlio obbediente del Padre. E la sua obbedienza non è schiavizzante, non è pura sottomissione, ascetismo o volontà stoica, bensì fiducioso e amante affidamento totale di sé al Padre. Così egli ci insegna a vivere da cristiani. Il racconto matteano Il racconto della passione di Matteo ha caratteristiche proprie. Soprattutto si può notare la preoccupazione di narrare la passione di Gesù mettendo in rilievo che si tratta di una meditazione credente della Chiesa sulle ultime ore della vita del suo Signore. Matteo non è un cronista indifferente, non si occupa solo di «fenomeni» esterni, ma vuole capire in profondità il senso della passione di Gesù. Di conseguenza, egli fa continuo riferimento alla Scrittura per esplicitare la portata misteriosa di quel soffrire e morire. Le continue citazioni bibliche, disseminate nel racconto matteano della passione, intendono mostrare che in Gesù si attuano un piano e una volontà divina manifestati attraverso le parole della Bibbia. Ricollegando la passione di Gesù con le Scritture, Matteo fa risaltare che Gesù va incontro alla sua morte in atteggiamento di radicale e totale obbedienza a Dio. La parola del Padre, la sua volontà è il cibo al quale Gesù è costantemente «attaccato» e dal quale non si discosta mai. Anche quando tutti abbandonano Gesù e perfino Dio «sembra» lasciarlo Domenica delle Palme e di Passione “A” - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici 1 solo, Gesù si affida fiduciosamente al Padre nella notte luminosa della sua morte, da cui spunterà il giorno radioso della risurrezione. A chi tenta di difenderlo mettendo mano alla spada, Gesù risponde: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve accadere?». E alla folla, in quello stesso momento, dice: «Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti». Questo ricorso alle Scritture, da parte di Matteo, non va inteso nel senso di un piano divino necessitante, che «costringe» Gesù a soffrire e morire. Se diciamo che Dio «vuole» far morire suo Figlio e lo «punisce», allora ci costruiremmo un’immagine mostruosa di Dio. Nella passione di Gesù non c’è un Dio persecutore, «vendicatore». La passione e morte di Gesù è un cammino di libertà amante di Gesù obbediente al Padre, ma nella solidarietà con l’uomo peccatore. Matteo, infatti, sottolinea fortemente – e questa è un’altra caratteristica del suo racconto – che Gesù va incontro alla sua passione e morte con piena conoscenza di causa e in totale libertà. Infatti Gesù prevede il tradimento di Giuda («uno di voi mi tradirà», 26,21), sa che non berrà più di quel frutto della vite che è il vino (26,29), predice il rinnegamento di Pietro (26,34) ecc. Nel giardino del Getsemani, Gesù esclama: «Ecco, è giunta l’ora nella quale il Figlio dell’uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina» (26,45-46). Gesù non è colto di sorpresa, «costretto» a morire senza rendersi conto di quel che stava succedendo e quasi per una fatalità, voluta addirittura da Dio. L’insistenza sulla libertà assoluta con cui Gesù va incontro alla morte è un tema matteano di grande rilievo. La libertà di Gesù è la sua stessa obbedienza filiale al Padre. Niente, nemmeno il dolore e la morte, possono contrastare e bloccare la libertà-obbedienza di Gesù, il quale non trae argomento dal dolore e dalla morte per contestare o negare la bontà e l’assoluta affidabilità del Padre celeste. L’adempimento delle Scritture equivale alla libera e amante obbedienza di Gesù alla volontà assolutamente buona di Dio Padre. In tutta la sua passione-morte, Gesù vive quelle sue parole: «Padre, non come voglio io, ma come vuoi tu». E poiché il Padre vuole farlo vivere, per questo Gesù risusciterà. Il dolore innocente La passione di Gesù è la passione del «Figlio di Dio», titolo che Matteo ricorda più volte (27,40.43.54). Colui che soffre e muore è l’innocente Figlio di Dio fatto uomo. Egli soffre e muore non per i propri peccati, non per una volontà vendicativa di Dio, ma per la sua libera e amante solidarietà con l’umanità peccatrice. In quella sofferenza e morte, noi cristiani vediamo proposti il pensiero e la volontà di Dio per noi. Gesù non fa tanti discorsi sul dolore, ma lo prende su di sé e lo vive. Non c’è però un «piacere» sadico di soffrire né un apprezzamento del dolore in sé. Se Gesù prende su di sé il dolore è soltanto per un desiderio e una volontà di solidarietà e di comunione con tutta l’umanità sofferente. Così Gesù ci insegna e ci dà la forza di vivere attraverso il dolore senza rifiutare Dio, senza ribellarci a Dio e senza disperazione, ma anche senza titanismo eroico. Dalla passione di Gesù impariamo che è possibile vivere anche i momenti di dolore e perfino la nostra morte dando un senso alla nostra vita pure martoriata e mortale, se facciamo (cioè soffriamo e moriamo) come Gesù. È come se Gesù dicesse: se vivi con me e come me la tua sofferenza e la tua morte, allora la tua vita – anche in quei momenti terribili – sarà degna di essere vissuta, sarà preziosa, ti aprirà pur sempre una possibilità di speranza di vivere. Domenica delle Palme e di Passione “A” - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici 2 La passione e morte di Gesù è un «sacrificio». Ma non è sacrificio nel senso pagano, cioè una prestazione offerta a un dio adirato e desideroso del dolore e del sangue delle vittime. Nella Bibbia, è Dio stesso che stabilisce quali sacrifici compiere e in quale modo attuarli. Tale iniziativa divina è significativa, vuol dirci che Dio ci viene incontro e stabilisce alcune condizioni per realizzare un incontro di comunione con lui. Il senso, dunque, dei sacrifici nella Bibbia è quello di realizzare una comunione con Dio, voluta da lui stesso. Certo, anche nella Bibbia vediamo che il rischio dell’uomo è quello di cadere in concezioni pagane, ritualistiche o magiche del sacrificio. Tuttavia la critica profetica contro lo stravolgimento del senso del sacrificio richiama all’intenzione autentica, quella di stabilire una comunione con Dio. In che senso, allora, la morte di Gesù è un sacrificio? Nel senso che è una donazione obbediente e amante a Dio da parte dell’uomo Gesù e una dedizione di amore solidale del Figlio di Dio per l’umanità: dunque la morte di Gesù vuole stabilire la comunione tra Dio e l’uomo. Per questo è sacrificio. Domenica delle Palme e di Passione “A” - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici 3